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MAGAZINE n.208 / 19 21 OTTOBRE 2019 08 25 LG G8S, smartphone competitivo IN PROVA IN QUESTO NUMERO Canon EOS M6 mark II in prova tra le vie e i sassi di Matera La mirroless Canon è la scelta ideale per i vlogger ma è capace di dare soddisfazioni anche ai fotografi. Piccola e potente: e lo smartphone resta in tasca 04 Google Pixel 4 e Pixel 4 XL Questa volta Big G fa sul serio Svelata la quarta generazione di Google Pixel: due modelli completi e con tante novità, soprattutto nel software. Ecco perché i nuovi Pixel di Google sono diversi dagli altri Switch-off: incentivi di 50 euro al via forse già a novembre 11 360 Reality Audio: l’audio a 360 gradi di Sony è realtà 16 I prezzi degli OLED in strana discesa Futuro incerto, Il mercato è nervoso Anche in Europa i TV OLED sotto una soglia pericolosa per i TV premium: la convenienza a produrli scende Il mercato teme Samsung con qualcosa di grosso? 02 Apple iPhone 11 Top sotto i 1000 € 34 Galaxy Note 10+ Gioiello senza sconti Samsung The Frame 2019 in Italia. Per chi vuole un TV diverso Tutte le risposte sull’offerta Netflix su Sky 14 23 32 Huawei Watch GT2 Preciso e durevole 28 36 Volvo XC40 Recharge, la prima elettrica svedese OnePlus 7T Pro una bella conferma ma con poche novità 30

2019 in Italia. Per chi sull’o˜erta Netflix vuole un TV diverso su … · 2019-10-21 · Google Pixel 4 e Pixel 4 XL Questa volta Big G fa sul serio Svelata la quarta generazione

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

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LG G8S, smartphone competitivo

IN PROVA IN QUESTO NUMERO

Canon EOS M6 mark II in provatra le vie e i sassi di MateraLa mirroless Canon è la scelta ideale per i vloggerma è capace di dare soddisfazioni anche ai fotografi. Piccola e potente: e lo smartphone resta in tasca

04

Google Pixel 4 e Pixel 4 XL Questa volta Big G fa sul serio Svelata la quarta generazione di Google Pixel: due modelli completi e con tante novità, soprattutto nel software. Ecco perché i nuovi Pixel di Google sono diversi dagli altri

Switch-off: incentivi di 50 euro al via forse già a novembre 11

360 Reality Audio: l’audio a 360 gradi di Sony è realtà 16

I prezzi degli OLED in strana discesaFuturo incerto, Il mercato è nervosoAnche in Europa i TV OLED sotto una soglia pericolosa per i TV premium: la convenienza a produrli scende Il mercato teme Samsung con qualcosa di grosso?

02

Apple iPhone 11 Top sotto i 1000 €

34

Galaxy Note 10+ Gioiello senza sconti

Samsung The Frame 2019 in Italia. Per chi vuole un TV diverso

Tutte le risposte sull’offerta Netflix su Sky 14

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Huawei Watch GT2 Preciso e durevole

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Volvo XC40 Recharge, la prima elettrica svedese

OnePlus 7T Pro una bella conferma ma con poche novità

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

I giganti del web tassati dal 1 gennaio 2020. Gualtieri preannuncia la digital taxIl Ministro ha dichiarato l’intenzione di rendere operativa la Digital Tax a partire dal primo Gennaio 2020, come parte integrante della nuova manovra economica di Franco AQUINI

A inizio 2020 entrerà in vigore la Digital Tax, nota come Web Tax, già approvata dal precedente go-verno ma ancora non operativa. A dirlo è il Ministro dell’Economia Roberto Gualtieri da Lussembur-go. “Come è noto l’Italia ha la di-gital tax”, ha detto il Ministro, “noi la faremo entrare in vigore dal 1 gennaio, è uno dei componenti della manovra. Siamo tra i Paesi di punta tra quelli che vogliono andare avanti nel rafforzamento dei principi dell’equità”. La tassa rivolta ai giganti del web prevede un’aliquota fissa al 3% (calcolata sui ricavi al lordo dei costi e al net-to dell’IVA e di altre imposte indi-rette) per le società che sviluppa-no almeno 750 milioni di fatturato a livello mondiale, di cui almeno 5,5 milioni in Italia. Si rivolge, in altre parole, ai colossi come Fa-cebook, Amazon o Google, che riescono a pagare allo stato cifre irrisorie, se paragonate ai profit-ti realizzati. Con la nuova tassa dovrebbero invece entrare nelle casse dell’erario 150 milioni nel 2020 e 600 milioni l’anno quan-do la tassa sarà entrata a regime. Il ministro dell’Economia, tuttavia, non si è fermato qui: “Non voglia-mo solo la digital tax italiana ma vogliamo che sia collocata den-tro una misura definita sul piano internazionale”. Misura che però prevede la collaborazione di tutti gli stati europei e la complicata armonizzazione dei sistemi fiscali nazionali.

di Roberto PEZZALI

R ecentemente, l’OLED LG C9, il mo-dello più interessante di quest’anno, ha toccato i 1250 euro nella versio-

ne da 55” su eBay, da un negozio italia-no. Non è la prima volta che si arrivano a prezzi così bassi per gli OLED, ma per la prima volta viene “svaccato” un modello di punta di quest’anno. L’Italia è sempre stato il Paese dell’Unione Europea dove i TV OLED costavano meno degli altri, tan-to che i francesi venivano a far shopping da noi. Oggi la situazione si è totalmente ribaltata: nel nord Europa, quindi paesi con un reddito pro capite ben più elevato, gli OLED da 55” LG hanno toccato gli 800 euro in alcune promozioni. E la cosa non ha davvero alcun senso: se l’OLED crolla di prezzo, sparisce la fascia premium dei TV, con tutto quello che ne consegue. La caduta dei prezzi di LG ha poi portato an-che altri produttori, solitamente più attenti nel gestire i prezzi, ad abbassare a loro volta il prezzo di mercato: Sony, ad esem-pio, è sempre stata attentissima ma in periodo promozionale è comunque scesa attorno ai 1600 euro. Una situazione diffi-cile da spiegare: il prezzo del solo pannel-

lo OLED è talmente alto che, se togliamo le tasse e i margini, certi TV sono venduti praticamente sottocosto. Non solo: l’anno prossimo arrivano i TV OLED da 48”, que-sto lo diamo per certo: il prezzo previsto per questi TV è di 1.199 euro circa per la serie di ingresso, ma sarà davvero difficile riuscire a vendere un 48” a 1.200 euro se i 55” si troveranno a molto meno. Perché i prezzi stanno scendendo così tanto, soprattutto quelli dei TV LG? Le possibi-lità sono sostanzialmente due: la prima è che LG Display, dopo aver aumentato la produzione, ha iniziato ad abbassare sen-sibilmente il costo dei pannelli venduti a LG Electronics, e quindi LG riesce a fare prezzi migliori di tutti gli altri brand che

usando sempre pannello LG. E che non possono neppure comprare da altri, non esiste alternativa. La seconda è che LG Display abbia bi-sogno di aumentare quote e volumi di vendita per guadagnare una quota di mercato importante nella fascia di TV da 55” a 65”, in previsione di un forte ritorno di Samsung con qualcosa di nuovo. Sam-sung potrebbe presentarsi a inizio 2020 con qualcosa di rivoluzionario in ambito TV, e per “rivoluzionario” non stiamo pen-sando a QD-OLED, ma ad un concetto totalmente nuovo di televisore che per funzionalità, design e impatto può portare ad una terza era del TV. Dopo il tubo cato-dico, e dopo lo schermo piatto.

MERCATO Anche in Europa gli OLED stanno scendendo sotto una soglia non salutare per i tv premium

I prezzi degli OLED stanno crollando, perché?O LG Display ha abbassato il prezzo del pannello per LG Electronics, o Samsung ha qualcosa di grosso

di Pasquale AGIZZA

I l rapporto trimestrale di AGCOM sullo stato della rete fissa italiana è una me-daglia a due facce. Da un lato c’è un

preoccupante calo del numero di utenze connesse, che scendono di 260mila unità rispetto allo stesso trimestre e 660mila unità complessive rispetto a giugno 2018. Ma dall’altro lato sono sempre di più le connessioni in fibra che sostituiscono le vecchie ADSL, con un ovvio miglioramen-to in termini di velocità media.AGCOM paragona i dati attuali a quelli di giugno 2015, evidenziando una crescita di oltre 6 milioni e mezzo di unità per quel che riguarda le connessioni con tecnolo-gia FTTC, di 720mila utenze per quel che riguarda la FTTH e 690mila unità per la tecnologia FWA. Ora le linee FTTH in Italia sono più di un milione. In termini nume-

rici, la fibra ottica ha superato l’ADSL anche se il totale delle utenze servite da connessioni in rame rimane di poco superio-re a quelli serviti dalla fibra. Ad una crescita così marcata della connettività in fibra non può che corrispondere una grande cre-scita della velocità della nostra rete. Il 50,3% degli italiani viaggia ad una velocità superiore ai 30Mbps (era-no il 5,6% nel 2015), mentre solo il 22% delle utenze fa registrare velocità inferiori ai 10Mbps (erano il 70% nel 2015). Dati in chiaroscuro anche per quel che riguarda il settore mobile. Scendono di molto le attivazioni di SIM consumer (-1,3 milioni di unità) ma questo calo è contra-stato da una crescita impetuosa nel set-tore M2M (+4,3 milioni di SIM). Il computo totale vede comunque una crescita nel

numero di SIM di circa 3 milioni. In chiusu-ra diamo uno sguardo al settore televisivo e a quello dell’editoria. Buona prestazione della RAI, che vede i suoi ascolti salire fino al 35% (+1,5%). Scendono Mediaset e La7. Buio pesto, invece, per quel che riguarda l’editoria. Il numero di giornali venduti, in versione cartacea o digitale, si ferma ad appena 2,6 milioni di copie quotidiane facendo segnare una flessione del 9,9% su base annua.

MERCATO Il rapporto di AGCOM fotografa un calo di utenti connessi, ma un grande aumento della fibra

Rapporto AGCOM: la fibra ottica supera l’ADSLLe linee FTTH in Italia sono più di un milione. Scendono le attivazioni di SIM. Pessima l’editoria

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Gianfranco GIARDINA

S i parla tanto dei talenti italiani e delle startup costrette ad andare all’estero e non si capisce mai se è

così vero che il nostro Paese sia inospi-tale nei confronti delle nuove iniziative o si tratti della ricorrente esterofilia che serpeggia dalle nostre parti. Alcune volte viene da pensare che siano vere entram-be le cose: in Italia non si riesce a fare più innovazione perché sono i potenziali investitori e i distributori a credere che la sola vera innovazione possa venire dal-l’estero. Il caso di Eggtronic e del talento progettuale di Igor Spinella è sotto gli occhi di tutti: la società nata a Modena e ancora miracolosamente basata a Modena, da tempo sviluppa soluzioni innovative e originali nel mondo del-l’alimentazione elettrica, sia cablata che wireless. Sull’onda dell’inventiva del suo fondatore e del team di inge-gneri da lui coordinato, sono arrivati diversi brevetti e alcune soluzioni rivo-luzionarie, soprattutto in termini di effi-cienza, che sono sfociate, per esempio, nella realizzazione dell’alimentatore USB-C per laptop più compatto al mon-do e probabilmente anche il più efficien-te ed ecologico. Malgrado ciò a tutte le porte a cui Spinella è andato a bussare in Italia, non ha mai aperto nessuno, né sul fronte degli investitori che su quello degli retailer/distributori. Eggtronic, per fortuna, ha trovato un grande sbocco commerciale negli Stati Uniti, dove per ora genera la stragrande maggioranza delle sue vendite e ha aperto una sede specifica.La notizia di queste ore è che final-mente Eggtronic ha chiuso un accordo con Rinkelberg Capital Ltd, un fondo

di venture capital europeo collegato ai fondaotri di TomTom, per un cosiddet-to “Round A”: si tratta cioè di un inve-

stimento finalizzato a dare ai prodotti Eggtronic oramai pronti e non più allo stato prototipale, la capacità produttiva e lo sbocco commerciale che meritano

Sirius è una meravigliaNel frattempo, abbiamo avuto modo di testare Sirius, il piccolissimo alimenta-tore da 65 watt realizzato da Eggtronic per il mercato americano (ha la tipica spina USA intelligentemente retrattile).Le dimensioni sono già di per sé stupe-facenti: 6,8 x 5 x 2 cm, tutte largamente inferiore a un classico alimentatore per notebook e più contenute anche degli alimentatori Apple, anche di quello da 45W. Eggronic riesce a raggiungere una densità di potenza di 40 W per pollice

quadro. ben più alta dei com-petitor.E poi l’efficienza, che è su-periore agli alimentatori convenzionali, tradizionali o GaN, grazie alla tecnologia CoolPower brevettata da Eg-gtronic: Sirius arriva a un’ef-ficienza del 93%, molto alta, il che significa una quantità di calore da dissipare molto più contenuta. “In camera climatica - ci spiega Spinella

- a regime il nostro alimentatore sta al-meno 20 gradi sotto quelli della concor-renza: non è una magia, è che sprechia-mo meno energia”. Abbiamo collegato Sirius a un MacBook Pro da 15” mezzo scarico, riuscendo perfettamente a caricarlo, lavorandoci nel frattempo, e avendo, a fine carica, un alimentatore appena tiepido; non certo la mattonel-la rovente a cui siamo oramai abituati. E tra l’altro anche se con un adattatore di presa USA, il nostro zaino è sensi-bilmente più leggero: Sirius sta sotto i cento grammi.

Presto la versione europea, anche in versione dal 100 wattE a quando una versione con la spina europea? E magari un modello un po’ più potente? Spinella ha le idee chiare: “Ci stiamo già lavorando e presente-remo al CES di Las Vegas i prototipi. Presto avremo un alimentatore con due uscite, una da 100W e un’altra per uno smartphone o un altro device piccolo da 15W. E le dimensioni saranno solo un pizzico più grandi di quello attuale”. Il progetto comprende anche il passag-gio alle prese intercambiabili ma sem-pre con meccanismi “pieghevoli” capa-ci di minimizzare lo spazio: “Con i nuovi investitori, che portano con sé il nome e l’esperienza di TomTom, ci si stanno aprendo finalmente molte opportunità anche in Europa, dobbiamo per forza fare una versione adatta per le nostre. Siamo a una svolta”. Insomma, sta arri-vando un periodo di soddisfazioni per i ragazzi di Modena: Quando avranno il successo che meritano da tempo, sa-ranno in tanti gli italiani tra quelli che la porta non l’hanno aperta a far finta di essere “amici di vecchia data”.

MERCATO Abbiamo provato il mini alimentatore per notebook (e non solo) dell’italianissima Eggtronic

Il micro alimentatore Eggtronic è realtà E adesso arrivano nuovi finanziatoriPotente ed efficiente, grazie ai brevetti della società, dal 2020 arriverà anche in versione italiana

Un momento della firma dell’accordo tra Eggtronic e Rinkelberg Capital. Il secondo da sinistra è Igor Spinella, fondatore di Eggtronic.

La BBC sbarca (in inglese) sul DAB italiano C’è l’accordo con EuroDab ItaliaTutte le radio vendute in Italia dal 1° gennaio 2020 dovranno avere la capacità di ricevere i segnali radio digitali DAB+. La BBC ed EuroDAB Italia si portano avanti con i lavori, almeno per quanto riguarda la trasmissione dei contenuti della BBC come nuovo servizio incluso nel multiplex DAB+ di EuroDAB Italia.L’accordo prevede la trasmissione delle BBC News e di documentari, programmi economici, sportivi, artistici e scientifici. EuroDAB Italia si occupa di fornire sul canale 12A i servizi digitali, tra gli altri, per RTL 102.5, Virgin Radio, Radio Italia e Radio Montecarlo. C’è poi DAB Italia, sul canale 12C, che ha nel proprio portafoglio digitale emittenti radio come Radio DeeJay, Radio Capital, RDS, Radio Radicale, Radio 24 - Il Sole 24 Ore, R101. E infine c’è RAI Way che prende in carico tutte le emittenti radiofoniche del gruppo RAI sul canale 12B.

Estratto dai quotidiani onlinewww.DDAY.it

Registrazione Tribunale di Milanon. 416 del 28 settembre 2009

e

www.DMOVE.itRegistrazione Tribunale di Milano

n. 308 del’8 novembre 2017

direttore responsabileGianfranco Giardina

editingMaria Chiara Candiago

EditoreScripta Manent Servizi Editoriali srl

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Roberto PEZZALI

L a quarta generazione di Google Pixel è finalmente ufficiale: Google aveva ammesso la loro esistenza già a maggio, e negli ultimi i mesi la pioggia di infor-

mazioni sui nuovi smartphone costruiti a Mountain View non si è mai fermata. Sono due modelli, il Pixel 4 con schermo da 5.7” (FHD+) e il Pixel 4 XL, schermo da 6.5” (QHD+), entrambi con display OLED capace di raggiun-gere, in determinate condizioni, un refresh rate di 90 Hz per migliorare la fluidità delle animazioni e con i giochi. Il 90 Hz, rispetto a molti altri smartphone, si attiva solo quando serve, dinamicamente: questo per non impatta-re sulla batteria. Google cambia, ma non perde la sua anima: il design resta simile a quello dei modelli prece-denti, anche se a dare il tocco “G” ci pensano le custo-die in tessuto abbinate, ormai un marchio di fabbrica.Anima in alluminio, retro in vetro per la ricarica wireless, il Pixel 4 non si piega alle logiche del design e ricerca una linea funzionale a quelle che sono poi le caratteristiche del prodotto. Lo schermo ha quindi una vistosa cornice nella parte alta, sotto la quale sono nascosti diversi tipi di sensori, sia quelli per lo sblocco sia il radar per il con-trollo delle gesture, il famoso Project Soli che si chiama nella versione finale Motion Sense. Non bellissima, ma non si poteva fare altrimenti.Google ha messo molto del suo nel nuovo Pixel: lo Snapdragon 855, scelta quasi obbligata, è affiancato dal un nuovo Pixel Neural Core che funziona come co-processore per le operazioni di machine learning, legate sia al riconoscimento vocale e testuale sia alla fotografia computazionale. Non manca poi il Titan Security Modu-le, un altro processore che gestisce la parte di sicurezza e autenticazione; c’era già sui precedenti Pixel, ed è un altro elemento made by Google. Tra gli altri dettagli 6 GB di RAM, 64 e 128 GB di storage: la spinta di Google sui servizi cloud non è un segreto, e la scelta di tenere un quantitativo di memoria non eccessivo guarda proprio in quella direzione, spingere gli utenti ad appoggiare i contenuti più vecchi sullo storage online. Lo spazio per le foto, anche alla massima qualità, è gratuito. Le batte-rie non sono enormi ma l’ottimizzazione del dispositivo spesso fa la differenza: per il Pixel 4 è di 2800 mAh, per il Pixel 4 XL 3700 mAh. Ma veniamo ai due aspetti più rivoluzionari del Pixel, ov-

MOBILE Google toglie i veli a Pixel 4 e Pixel 4 XL. Dei nuovi smartphone si conoscevano già le specifiche, ma non quello che potevano fare

Google Pixel 4 e Pixel 4 XL finalmente ufficiali Radar a bordo e fotocamere super anche di notte Pixel 4 con schermo da 5.7” (FHD+) e Pixel 4 XL, schermo da 6.5” (QHD+), entrambi con display OLED. Google inizia a fare sul serio

vero quello che si può fare con i sensori frontali e quello che invece si può fare con le due fotocamere posteriori. Partiamo dal frontale: il Pixel 4 è il primo smartphone con un piccolo sensore che funziona come radar a bordo. Grazie al radar lo smartphone riesce a capire in che modo l’utente vuole interagire con lo smar-tphone, anche senza toccarlo. Suona la sveglia? Mentre la mano si avvicina il volume si abbassa, perché lo smartphone ha capito che l’utente sta per interagire, si è svegliato. Ma è solo un esempio. Pixel 4 è anche dotato di un si-stema di sblocco basato sul riconoscimento 3D del volto che secondo Google è immediato, sicuro e velocissimo. Rivisto anche Google Assistant, ancora più integrato nel sistema: si richiama sempre con uno squeeze, stringen-do lo smartphone, e interagisce con tutte le app. Lavo-rando anche off-line, quindi senza appoggio del cloud: c’è un nuovo audio recorder che trascrive le registrazio-ni vocali, permettendo anche di cercare all’interno del-l’audio. Tutto fatto usando il processore di bordo, senza inviare dati ad un server esterno.

Imbattibile sulle fotografie Si può fotografare la volta celesteGoogle è tuttavia convinta che ci sia un aspetto del Pixel dove il suo telefono è imbattibile: sulle fotografie. E per la prima volta su un Pixel arriva una doppia fotocamera, con un sensore da 12 megapixel dual pixel grandangola-re affiancato ad un 16 megapixel tele. Google ha spinto la fotografia computazionale ai massimi livelli, partendo dallo zoom: interpolando i movimenti della mano e cattu-rando più scatti successivi riesce a raggiungere gli 8x di ingrandimento senza perdere troppo a livello di qualità. C’era già sul Pixel 3, ora Google lo ha migliorato. Rinno-vata anche la modalità HDR Plus: se prima veniva calco-lata solo dopo lo scatto, ora il risultato è visibile in tem-

po reale sullo schermo. E grazie ai doppi controlli a schermo, si può agire sul tone mapping ottimizzando così le curve prima di scattare. Il bilanciamento del bianco au-tomatico, sempre potenziato dal machine learning, viene ora applicato a tutte le mo-dalità di scatto, anche sui ritratti. Infine il ritratto, punto di forza di Google: l’azienda di Mountain View riusciva a fare miracoli con una sola fotocamera, ora oltre ai dati del sistema dual pixel ha anche i dati della seconda fotocamera per calcolare la pro-

fondità e la mappa 3D. La nuova modalità può essere usata con persone, oggetti e anche animali, situazione questa spesso complessa. Google ha anche rivisto il calcolo del bokeh, molto più realistico sulle fonti di luce. La vera novità però è la modalità notte migliora-ta a tal punto che può toccare massimi livelli anche in astrofotografia: il Pixel 4 riesce a scattare una posa di 4 minuti e il risultato è sbalorditivo (foto sotto).Pixel 4 e Pixel 4 XL arriveranno in Italia in due colori, Just Black e Simply White: il Pixel 4 da 64 GB costerà 759 euro, da 128 GB 859 euro. Il Pixel 4 XL invece costerà 899 nella versione da 64 GB e 999 euro in quella da 128 GB. Il colore arancione sarà disponibile solo nella versione Pixel 4 da 64 GB.

clicca per l’ingrandimento

clicca per l’animazione

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di Roberto PEZZALI

L a presentazione dei nuovi Google Pixel 4 sarebbe stata uno degli eventi più noiosi dell’anno se non fosse stato per lui, Mark Levoy. Scienziato dell’im-

magine, professore di Stanford, un canale YouTube personale pieno di lezioni sulla fotografia che trasu-dano una passione innata per la “luce”. Un ricercatore che ha capito, ormai è assodato, che usando la poten-za del software i piccoli sensori degli smartphone non solo possono raggiungere prestazioni impensabili ma riescono anche, in alcuni casi, a scattare fotografie che oggi sono impensabili per una qualsiasi fotocamera senza una successiva fase di fotoritocco. Levoy è un po’ l’anima del Pixel e la sua presentazione lascia intendere molti aspetti dei nuovi smartphone di Google. Il primo, che molti spesso non considerano, è il peso e il lavoro che si nasconde dietro la parte software. Google quest’anno non si è preoccupata più di tanto di celare il Pixel 4: lo ha mostrato su Twitter nei mesi scorsi, non ha bloccato i vari leak usciti, non si è preoccupata troppo che gli utenti venissero a cono-scenza del design, del processore, dello schermo.Perché questi componenti non sono altro che elemen-ti a supporto del software e delle funzionalità di un di-spositivo: chi misura ancora oggi il prezzo dello smar-tphone mettendo sul piatto la capacità della batteria, i pixel dello schermo, la RAM e lo storage, oppure guardando al design, sicuramente sbaglia, dimentica nel calcolo una componente molto importante. Goo-gle non riuscirà mai ad essere competitiva nei prezzi come una Xiaomi o come un altro produttore cinese, perché nel costo totale del telefono deve calcolare anche una componente software che altri non hanno. E che incide. Il lavoro fatto sulla fotografia dal team guidato da Le-voy ha portato oggi a risultati a dir poco miracolosi, e che richiedono tempo e investimenti. Il machine lear-ning ha un costo, addestrare i modelli ha un costo, an-

MOBILE Abbiamo passato qualche ora in compagnia dei Pixel 4: belli, completi e con tante novità, soprattutto nel comparto software

Google Pixel 4, meno corpo e più anima Perché lo smartphone di Google è diverso dagli altri Quello che ci ha stupito è la fotocamera. Il doppio controllo a schermo per gestire l’esposizione è un qualcosa di assolutamente geniale

dare in giro per il mondo a scattare fotografie corrette e sbagliate per far capire ad un processore cosa è giu-sto e cosa invece no ha un costo. La Google Camera è più importante del sensore fotografico utilizzato; il re-gistratore audio che trascrive le registrazione usando il processore neurale in locale è più importante dello stesso processore e la stessa cosa vale per tutta la parte di intelligenza artificiale che combina il radar di Project Soli e il proiettore 3D per sbloccare lo smar-tphone all’istante. Il sensore viene attivato quando percepisce che qualcuno sta per toccare il telefono, un piccolo elemento capace di fare la differenza.

Pixel 4 è la perfetta sintesi della migliore integrazione tra hardware e softwareGoogle ha plasmato Android nel modo in cui le servi-va, e ha creato un Pixel dove l’hardware è essenzial-mente supporto al software. Il contrario di quello che solitamente fanno molti altri produttori: assemblano uno smartphone cercando di mettere all’interno tutto quello che si può mettere in base al budget che hanno e poi ci caricano sopra Android, soluzione già pronta chiavi in mano, e per la quale non hanno praticamente

costi di sviluppo, se non quelli legati ad una minima personalizzazione dell’interfaccia. Lo scorso anno il Pixel 3 ha raggiunto ne-gli Stati Uniti una quota di mercato note-vole: con la sua fotocamera incredibile, le scocche colorate, le bellissime custodie in tessuto che sono parte integrante del de-sign per molti americani il Pixel è stata la vera alternativa ad iPhone per chi voleva Android. E quest’anno la nuova versione ha tutte le carte in regola per aumentare la quota, soprattutto in un mercato, quello americano, dove il 90% degli utenti è lega-to agli operatori e Google, per il Pixel 4, ha fatto accordi con tutti. Lo abbiamo usato per tre ore abbondanti al termine della presentazione e ci sono

diverse cose che ci hanno colpito. Lo schermo non sembra luminosissimo, ma è di ottima qualità e i 90 Hz di refresh in molti casi fanno la differenza. Google ha modificato Android per le sue esigenze: non va sem-pre a 90 Hz, la frequenza è variabile, così si risparmia la batteria. Lo sblocco con il volto è quasi fastidioso da quanto è veloce: l’impressione è di avere uno smar-tphone sbloccato, ovviamente non è così. Il merito è del nuovo sistema di sblocco 3D e di Motion Sense, la soluzione che sfrutta il piccolo radar montato nella cornice superiore. “Crea una bolla attorno allo smar-tphone di circa 40 cm” ci spiega Google, consuma pochissimo e capisce cosa stiamo per fare, se la mano sta per prendere lo smartphone o se sta cercando di comunicare qualche azione.La possibilità di saltare un brano con un gesto, senza toccare lo smartphone, è lo stesso giochino che ab-biamo visto fare ad LG sul G8s con il sensore ToF: sim-patico ma poco utile ai fini pratici. Il rilevamento usato invece per modulare il volume della suoneria e della sveglia o per velocizzare lo sblocco, è un qualcosa che nessun altro smartphone al mondo ha, e siamo certi che Google di Motion Sense ci ha fatto vedere solo la punta dell’iceberg. Quello che ci ha stupito, almeno dai pochi scatti fatti in una condizione non certo adeguata, è la fotocamera. Il doppio controllo a schermo per gestire l’esposizio-ne è un qualcosa di assolutamente geniale: oggi con tutti gli smartphone si può regolare l’esposizione, ma così facendo si sovraespone o si sottoespone tutta la scena. Con il Pixel si può lavorare sulla curva di tone mapping simulando il risultato in tempo reale.Si poteva fare anche dopo, tramite editor, ma poter vedere il risultato sullo schermo ancora prima dello scatto è un qualcosa che nessuno ad oggi offre. Lo zoom e la modalità notte sono un qualcosa di magico: il risultato da solo non basta a comunicare la difficoltà tecnica che si nasconde dietro due algoritmi potenzia-

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ti dal machine learning che non hanno rivali al momen-to sul mercato.E la stessa cosa vale per l’effetto ritratto, dove la simu-lazione del flare e del bokeh è stata rivista partendo proprio da una analisi completa del comportamento della luce con veri obiettivi fotografici. Un lavoro im-mane quello di Levoy, che non è ancora concluso: il prossimo step sarà la gestione di scene dove la dif-ferenza di dinamica è talmente elevata da essere in-gestibile. Come ad esempio la luna che illumina un paesaggio, un contro sole all’alba o al tramonto: oggi in fotografia una situazione simile viene affrontata con una doppia esposizione e con un lavoro di maschere in Photoshop, ma Google ha trovato il modo per farlo in automatico grazie alla frammentazione semantica della scena. “Stay tuned”, ha concluso Levoy. Il Pixel 4 è uno smartphone eccellente, un prodotto con un’ani-ma: non quattro componenti assemblati per farlo sem-brare il più potente, ma tanto software frutto del lavoro di un team che ci mette tanta passione. A caldo, senza averlo ancora strapazzato per la recensione che arri-verà a breve, sono tre gli aspetti che possono essere oggetto di discussione.

Niente video in 4K a 60 FPS. Eliminata l’archiviazione cloud illimitata per foto alla massima qualitàIl primo è l’incapacità di riprendere in 4K a 60 fps:

l’hardware per farlo c’era, ma l’impressione è che Google abbia scelto di non mettere un formato che avrebbe occupato il doppio della memoria se selezio-nato inavvertitamente. Se togliamo la platea degli ap-passionati, che nel mare dei possibili acquirenti sono solo un granello di sabbia, pochi si rendono conto di quanto sia differente lo spazio occupato da un video a 1080p rispetto ad un video 4K a 60 fps, e qualcu-no potrebbe essere tentato di usare a prescindere la massima qualità salvo poi trovarsi, dopo diverse ore di ripresa, metà della memoria occupata. Il video oggi è un elemento particolare sullo smartphone: le persone non registrano video per creare contenuti, ma per sal-vare momenti. La qualità, fatta eccezione per i content creator, passa un po’ in secondo piano e 1080p a 60 fps sono più che sufficienti.Il secondo è la memoria, 64 GB: sarebbero sufficienti se Google avesse lasciato la possibilità di archivia-zione illimitata dei contenuti alla massima qualità, ma (punto 3) Google quest’anno l’ha tolta. Le foto vengo-no salvate ricompresse sul cloud, quindi non in versio-ne originale. Una scelta questa che può essere vista da due differenti punti di vista: da un lato Google che vuole spingere il suo servizio cloud, infatti propone tre mesi di trial gratuita, dall’altro lo spreco di spazio richiesto per archiviare fotografie in formato Jpeg, or-mai sorpassato, o i video in Mpeg4 è evidente.Offrendo archiviazione illimitata delle foto e video dell’utente nei formati classici Google spreca spazio. Ha quindi deciso di offrire l’archiviazione in formato ottimizzato, quindi ricompressi nel suo formato WebP. Più efficiente, e scorgere le differenze è praticamente

MOBILE

Google Pixel 4

impossibile. Pixel 4 parte da 759 euro, 899 euro nella versione XL e a nostro avviso non costa neppure trop-po per quello che è, per quello che fa e per il lavoro che ci sta dietro. Tutti possono assemblare uno smar-tphone, lo ha fatto prue Stonex. Ma dargli un’anima è tutt’altro che semplice.

di Massimiliano DI MARCO

I l Surface Phone è stato visto, per anni, alla stregua di un essere mitologico. Poi dal nulla è spuntato il Surface Duo.

Il dispositivo pieghevole con doppio schermo è quanto di più vicino all’idea di Surface Phone e una delle caratteri-stiche più interessanti e dibattute è l’uti-lizzo del sistema operativo Android. Non solo Surface Duo monterà Android, ma nasce addirittura da una stretta collabo-

razione con Google. Panos Panay, padre del dispositivo e alto dirigente Microsoft, è stato categorico nelle sue dichiarazio-ni: “Android è il miglior sistema operativo per questo tipo di prodotto”, fotografan-do in maniera abbastanza cristallina il fatto che Windows 10 non è un sistema operativo adattabile all’utilizzo con smar-tphone, almeno per il momento.

La strategia di Microsoft sul mobile: se non puoi batterli, fatteli amiciLa strategia Microsoft per il mobile ricor-da sempre più il detto reso celebre da Giulio Cesare: “Se non puoi sconfigge-re il tuo nemico, fattelo amico”. Dopo il fallimento di Windows Phone, infatti, la casa di Redmond sembra sempre più intenzionata ad usare Android come te-

sta di ponte per convincere gli utenti a utilizzare i propri servizi.A testimonianza di questa nuova visione, oltre all’utilizzo di Android per Surface Duo, c’è anche la lunga e proficua collaborazione con Samsung che vede tutta la suite Office e altre applicazioni di Microsoft preinstalla-te sui dispositivi della casa coreana or-

MOBILE Microsoft continua a portare avanti la propria strategia incentrata sui servizi, con l’occhio puntato a Surface Duo

Microsoft accetta la realtà e ammette: “Android è il miglior sistema operativo per i nostri dispositivi mobili”Dopo il fallimento di Windows Phone, Microsoft sembra sempre più intenzionata ad usare Android come leva per convincere nuovi clienti

mai da alcuni anni. Una scelta, quella di lasciar morire il proprio sistema operativo mobile per concentrarsi esclusivamente sui servizi in cloud, che si è dimostrata vincente. Microsoft infatti sta vivendo, infatti, un periodo ottimo in borsa con la sua capitalizzazione che ha superato il bilione di dollari.

segue Da pagina 05

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Roberto PEZZALI

Stesso prezzo della versione precedente, ma di-verse migliorie. A 499 euro si potrà infatti acqui-stare il nuovo Reno2 nella versione da 8 GB di

RAM e 256 GB di storage, tanto se si guarda a quello che solitamente viene offerto da prodotti con un prez-zo ben più elevato, anche il doppio.Reno è una serie fortunata: lo scorso anno, merito anche la campagna pubblicitaria azzeccata e delle interessanti promozioni degli operatori, in Italia ha raggiunto ottimi risultati nella fascia sotto i 500 euro. Quest’anno, con specifiche tecniche migliorate, può ambire a fare meglio. Di Reno2 colpisce soprattutto il design, impossibile definirlo classico: la camera na-scosta a pinna di squalo e il retro senza fotocamere sporgenti vengono esaltati ancora di più dalle nuove colorazioni, Luminous Black e Ocean Blue. Quest’ulti-ma, in particolare, valorizza la finitura posteriore con un fregio centrale che sembra quasi retroilluminato.Lo schermo è AMOLED, un 6.5” con un rapporto scher-mo corpo altissimo: niente notch, la fotocamera è na-scosta e la capsula auricolare affogata nella cornice, esattamente come nella versione precedente.Lo schermo è protetto dal Gorilla Glass di sesta gene-razione ma un vetro non può fare miracoli in caso di caduta: fortunatamente chi acquisterà in Italia Reno2 potrà beneficiare di OPPO Care, una garanzia della du-rata di 3 mesi dalla data di acquisto che prevede per una sola volta la sostituzione gratuita dello schermo e della cover posteriore anche in caso di danno acci-dentale. Per tre mesi si risparmiano le imprecazioni nel caso di rottura, e non è poco.Il sensore di sblocco è ottico e nascosto sotto lo scher-mo: Oppo parla di terza generazione, ancora più pre-ciso. Dentro la “pinna”, il blocco a scomparsa motoriz-zato che include la fotocamera, insieme al flash Oppo ha inserito un sensore da 16 MP. Jack audio, porta USB Type C, niente waterproof e niente carica wireless, ma c’è la tecnologia VOOC Flash Charge 3.0 che ricarica velocemente la batteria da 4000 mAh. Meno di mez-z’ora per 8 ore di autonomia, anche se come sempre è una soluzione proprietaria, serve il suo cavo e il suo caricatore. Android 9 con personalizzazione Color OS 6.1 è spinto da un processore Snapdragon 730G, la versione potenziata. Oppo, come lo scorso anno, non sceglie il miglior processore della gamma Qualcomm perché ritiene il 730G più bilanciato per quello di cui ha

MOBILE Oppo toglie i veli alla versione rinnovata di Reno: stesso prezzo della versione precedente, ma diverse migliorie

Oppo Reno2: tutto schermo e bel design a 499 €Reno2 può contare su un reparto video migliorato e su una dotazione di memoria super, 8GB e 256 GB di storage

bisogno e probabilmente è così, resta un processore velocissimo e con consumi moderati. OPPO Reno2 è dotato di tre fotocamere. Si, esatto, tre. Come abbiamo già scritto in un altro pezzo è ora di smetterla di chiamare fotocamere sensori da 2 mega-pixel che non vengono utilizzati per fare foto. C’è una camera principale 48MP, un teleobiettivo da 13 MP e un obiettivo ultra grandangolare da 8 MP con apertura di 116°, ad occhio un 16-18 mm equivalenti, quindi non troppo spinti. Quella che Oppo definisce fotocamera, la quarta, è un sensore monocromatico da 2 megapixel che viene usato per calcolare la mappa di profondità. Non è una fotocamera, è un sensore. L’algoritmo Fu-sion Image che Oppo aveva già usato su Reno 10x per raggiungere un fattore di ingrandimento esagerato viene adottato anche su Reno2 per toccare i 5x in mo-dalità ibrida e i 20x in modalità digitale. Tra le novità in ambito fotografico una rinnovata modalità notte che la-vora quando la luminosità è inferiore ad 1 lux e permet-te di scattare fino a 2 secondi di posa a mano libera, un nuovo Ultra Macro che permette di mettere a fuoco soggetti fino a 2,5 cm di distanza e una modalità ritratto rivista con due nuovi effetti e il bokeh regolabile. L’effetto sfuocato è disponibile anche sui video, e il vi-deo è forse l’aspetto che Oppo ha più rivoluzionato su Reno. C’è una nuova modalità video Ultra-Steady che sfrutta combinazione di stabilizzazione elettronica e ottica dell’immagine per un effetto anti-shacke simile a quello dei gimbal. L’abbiamo provata alla Color Run di Milano negli scorsi mesi ed effettivamente sembra funzionare molto bene, anche se limitata alla ripresa a

1080p@60 fps. Non manca lo zoom audio, potenziato da tre microfoni. Oppo ha anche realizzato un software di editing per il video, lo ha chiamato SOLOOP e di-spone di riconoscimento scene e volti per facilitare la creazione di piccole clip in pochi minuti, con musica integrata. Sicuramente da provare.OPPO Reno2 con 8GB RAM e 256GB ROM sarà dispo-nibile in Italia a partire dal 18 ottobre al prezzo consi-gliato di 499,00 euro, ma non sarà il solo Oppo della serie Reno. Ci sarà anche Reno2 Z, finiture Luminous Black e Sky White con 8GB RAM e 128GB di memoria storage a 349 euro. Reno Z ha processore Mediatek P90, uno schermo da 6.5” AMOLED con camera pop-up da 16 megapixel e due fotocamere posteriori. Quel-la principale da 48 MP e l’ultra grandangolare da 8 MP. Ci sono poi un obiettivo monocromatico da 2 MP e un obiettivo da ritratto (Portrait) da 2 MP, ma servono solo a fare numero.

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Gianfranco GIARDINA

È arrivato anche l’OK dell’Unione Europa: non si trat-ta di aiuto di Stato. A questo punto è veramente tutto pronto per iniziare ad erogare gli incentivi

statali per favorire il ricambio del parco installato di TV e decoder in vista del prossimo Switch-off del digitale terrestre, già stanziati dalle ultime due leggi finanziarie. Come ci ha spiegato la dott.ssa Eva Spina, a capo della Direzione generale per la pianificazione e la gestione dello spettro radioelettrico del Ministero dello Sviluppo Economico, incontrata a margine del Convegno “La libe-razione della banda 700 MHz” di Bologna, per terminare l’iter burocratico mancano solo le firme dei Ministri com-petenti, MISE e MEF, e la pubblicazione del decreto in Gazzetta Ufficiale. Secondo la dott.ssa Spina, visto che il database degli aventi diritto è già pronto e che pre-sto verranno date ai retailer le istruzioni per la vendita supportata di TV e decoder, gli incentivi potrebbero già diventare operativi entro la fine di novembre, per incon-trare così la richiesta di alcuni operatori di essere pronti per il Black Friday.

Quali sono le scadenze dello switch-offNe abbiamo parlato più volte, ma ricordiamo veloce-mente quali sono le scadenze e i passaggi del siste-ma televisivo italiano già previsti dalla legge, almeno quelli che impattano direttamente sui cittadini.A partire da inizio 2020 ci saranno in diverse zone d’Ita-lia degli spostamenti di frequenze che richiederanno, nel migliore dei casi, la risintonizzazione del TV e in qualche caso, soprattutto per gli impianti condominiali, l’intervento di un antennista per ritarare i filtri di impian-to. Il primo switch-off vero e proprio riguarderà lo spe-gnimento delle trasmissioni in MPEG2, previsto in tutta Italia per il 1 settembre 2021, per passare all’adozione dell’MPEG4, compatibile con tutti i TV HD. Questo vuol dire che ci saranno un numero difficilmente stimabile ma intorno come minimo ai 10 milioni di schermi che an-dranno a nero e dovranno essere sostituiti o affiancati da un nuovo decoder. La scadenza successiva è pre-vista per il giugno 2022, con il passaggio definitivo (e pare non rimandabile) alle trasmissioni DVB-T2 HEVC: in questo caso i TV incompatibili, anche proiettandoci nel 2022, sono tra i 20 e i 30 milioni di pezzi, un numero incredibile. Per sostenere gli italiani in questo passaggio, sono stati stanziati 151 milioni di euro da qui al 2022 da erogare ai consumatori, prediligendo le fasce più deboli. A meno di colpi di scena dell’ultim’ora, i contributi sono fissati a 50 euro per nucleo familiare, senza differenze tra TV e decoder; questo in contrasto con alcune ipotesi

circolate in un primo momento che preveda contributi differenziati, più alti per i TV. Questo significa che con questi fondi sarà possibile erogare circa 3 milioni di con-tributi: è evidente che non ce ne sia per tutti. Le famiglie che hanno diritto al contributo sono quelle ricomprese nelle fasce di reddito ISEE 1 e 2: acquistando con l’in-centivo di 50 euro “consumano” il loro ticket online e nessuno dello stesso nucleo familiare avrà diritto a un ulteriore incentivo. Contrariamente a quanto accadde con gli incentivi per il primo switch-off, invece non verrà verificato il corretto pagamento del Canone radiotelevi-sivo, che comunque, essendo ora annegato nella bollet-ta elettrica, è di più difficile evasione.

Diverse voci critiche: 151 milioni non bastano e vanno incentivati anche gli interventi degli antennistiL’impianto degli incentivi così previsto, per un totale di 151 milioni di euro, è giudicato però da alcuni operatori non sufficiente alle esigenze di sostegno alle famiglie nel passaggio al nuovi formati di trasmissione televisi-va. Per esempio Bianca Papini, Coordinatore Commis-sione Tecnica di Confindustria Radio TV, intervenuta al Convegno di Bologna, ha chiarito che questi contributi, secondo la visione di Confindustria, basteranno appena ad alleggerire il peso del primo salto, quello a MPEG4, ma ne vanno previsti di nuovi per il DVB-T2 HEVC. In effetti i numeri prospettati fanno pensare che altrimenti sarà difficile smovere la popolazione e tenere il ritmo de-gli acquisti in grado di garantire piena sostituzione del TV non compatibili. Per questo Confindustria Radio TV propone di affiancare agli incentivi un processo di rot-tamazione dei vecchi TV con vantaggi fiscali che possa essere più incisivo dei 50 euro previsti al momento. Ma a far discutere è anche la distribuzione degli incentivi

tra TV e decoder, 50 euro uno per l’altro. Davide Rossi, direttore generale di AIRES, l’associazione dei retailer specializzati, ha rimarcato come 50 euro siano addi-rittura sovrabbondanti rispetto ai prezzi dei decoder e troppo poco incisivi sui prezzi dei TV: “I consumatori hanno dimostrato di essere sensibili - ha detto Rossi - a tagli prezzo di almeno il 20%”. Il rischio è addirittura che i decoder, che ora costano meno di 50 euro, vengano riposizionati proprio a 49,90 in modo da portare a casa tutti gli incentivi: sarebbe quindi un danno per gli altri utenti senza incentivi. C’è poi il tema degli interventi agli impianti di antenna, che per il momento la legge ha tra-scurato: infatti, è molto probabile che per i cittadini sia necessario chiamare un antennista per cambiare i filtri, aggiungere un filtro anti-disturbo al limitare della ban-da 700 e per eventuali ripuntamenti di antenna verso nuovi impianti a valle del processo di trasferimento delle frequenze. Al momento, questi interventi non sono in-centivati.

Ma soprattutto, è possibile un ricambio così veloce di televisori?Non è inoltre chiara al momento la fattibilità del proces-so di ricambio dei TV: secondo Bianca Papini di CRTV, il mercato dovrà passare dagli attuali 300mila TV al mese medi a circa 900mila, con un fattore 3X.Un obiettivo che secondo Salvatore Paparelli di Anitec/Assinform (sempre Confindustria ma lato produttori di TV) non è possibile raggiungere in nessuno modo per-ché i retailer non avrebbero il sufficiente affidamento del credito per fare ordini così ingenti e anche perché, per avere il numero di TV previsti da Confindustria Radio TV bisognerebbe fare gli opportuni ordini verso le fabbriche con anche 18 mesi di anticipo. In pratica, secondo Antec, è già tardi per attivare un processo così poderoso in tempi così brevi. Anche perché, di tutto questo proces-so, la comunicazione agli utenti finali (salvo quanto fatto da DDAY.it) deve ancora partire. E non sarà facile farsi capire, perché questa volta viene chiesto agli italiani di mettere mano al portafoglio per “salvare” uno standard televisivo, il digitale terrestre, certamente universale e importante nel nostro Paese, ma che agli occhi dei citta-dini è sempre meno “cool”.

TV E VIDEO La dott.ssa Spina del MISE ha chiarito che oramai siamo in dirittura d’arrivo per l’erogazione degli incentivi per TV e decoder

Switch-off: tutto pronto per gli incentivi di 50 euro Manca solo la firma dei due ministri competenti e la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale. In totale 151 milioni, ma non basteranno

Un esempio di un decoder di marca presente sul sito MediaWorld.it a un prezzo ben inferiore ai 50 euro, già ora senza che si siano attivate ancora le

grandi vendite da switch-off con le relative econo-mie di scala.

La dott.ssa Eva Spina, Direttore Generale per la pianificazione e la gestione dello spettro radioelettrico del MiSE.

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Gianfranco GIARDINA

È stato Roberto Serafini, direttore servizi Broadcast e Gestione Frequenze di RAI, a raccontare i dettagli di come l’emittente nazionale si sta preparando al

processo di switch-off. Suo infatti uno degli interventi più interessanti al convegno “La liberazione della banda 700 Mhz” tenutosi a Pontecchio Marconi (BO) presso la Fondazione Marconi e ben organizzato dal Corecom Emilia-Romagna con l’egida dall’AGCOM. Serafini ha raccontato di tutte le sfide che RAI si sta preparando ad affrontare per rispettare gli obblighi del contratto di servizio pur con un sostanzioso taglio di frequenze derivante dalla cessione della banda 700 Mhz alla telefonia, processo di cui abbiamo già parlato molte volte, che si concluderà nel 2022 con il passaggio definitivo alle trasmissioni DVB-T2 HEVC. Rai, che oggi controlla 5 multiplex (di cui uno però ha una copertura del territorio molto parziale), sarà costretta a passare a soli due multiplex e mezzo, sostanzialmente la metà. Per passare al nuovo assetto e continuare a offrire il servizio di oggi, ovviamente RAI, come le altre emittenti, dovrà passare a MPEG 4 al 1 settembre 2021 e poi al DVB-T2 HEVC a fine giugno 2022. E malgrado le “acrobazie fre-quenziali” che toccherà fare, RAI ha svelato che riuscirà a portare il canale RAI 4K, già in onda su Tivusat, anche sul digitale terrestre. Vediamo come.

Da cinque a due multiplex e mezzo, forse treRai in questo momento trasmette su digitale terrestre 13 canali TV, di cui sei sono emessi in simulcast SD/HD; a questi si aggiungono anche 12 programmi radio sulle frequenze TV, che Serafini ha detto - stupendoci non poco - essere molto seguiti, tanto da rappresentare ad-dirittura fino al 10% degli ascolti totali di RadioRAI. Tutti questi canali sono distribuiti sui 5 MUX RAI secondo quanto riportato in questo schema.Solo il MUX 1 ha una copertura pressoché totale, del 99%: non a caso questo è il multiplex dedicato ai canali

TV E VIDEO Roberto Serafini di RAI ha illustrato nel dettaglio come RAI si prepara a spegnere l’MPEG2 e a passare a DVB-T2 HEVC

RAI 4K dal 2021 anche sul digitale terrestre Tutti i piani di RAI per lo switch-off al 2022RAI ha svelato che riuscirà a portare il canale RAI 4K, già in onda su Tivusat, anche sul digitale terrestre. Vedremo come

principali, i classici RAI 1, 2 e 3, ol-tre a RAI News 24. Gli altri MUX raggiungono una percentuale di penetrazione più bassa, attorno al 90% per il 2, il 3 e il 4; invece il MUX 5, sul quale al momento ci sono solo RAI Premium HD e Rai 4 HD, arriva solo a meno della metà della popolazione. Ci sono al momento sul tavolo due sce-nari evolutivi per RAI nel dopo switch-off: le risorse certe asse-gnatele sono pari a due MUX e mezzo, come dicevamo; ma c’è la possibilità che RAI partecipi all’asta per aggiudicarsi uno dei quattro mezzi multiplex ricavati dall’ultimo piano delle frequenze e arrivi a tre MUX totali.

Il passaggio in quattro fasi per arrivare a 14 canali in HD e uno in 4KDalla situazione odierna al giugno 2022, fine del pro-cesso, devono passare quattro fasi. La prima fase entra nel vivo già entro pochi mesi, prima della fine del 2019. L’assetto trasmissivo resta lo stesso in termini di stan-dard e multiplex; a cambiare sono i canali: arrivano al-cuni canali nuovi, tra cui un canale RAI in lingua inglese. In totale arriveranno sul MUX 2 e 3 due nuovi canali in HD e uno in SD, mentre uno degli attuali canali SD (RAI Scuola) verrà emesso solo via Internet.Da gennaio 2020, il MUX 1 di RAI dovrà ospitare in al-cune regioni i canali locali, come imposto dalla legge. Questo, nelle aree coinvolte, potrebbe portare a un decremento qualitativo dei canali RAI 1, 2 e 3 che ne-cessariamente dovranno viaggiare a bitrate più bassi del solito, visto che lo standard trasmissivo a inizio 2020 sarà ancora il DVB-T in MPEG2.La fase successiva partirà poi con la dismissione del-l’MPEG2, prevista per il settembre 2021, che corrispon-derà anche all ridimensionamento delle risorse fre-quenziali: come abbiamo detto RAI passera a 2,5 o 3 MUX. Di questi mezzo (nel caso di 2,5 MUX) o uno (nel caso di 3 MUX) potrà essere già in DVB-T2, facoltà che la legge le concede; anche se una scelta di anticipare la scadenza del giugno 2022 finirebbe per tagliare fuori chi non ha un TV già aggiornato. Ma comunque un pri-mo risparmio di spazio, RAI riuscirà ad averlo con il pas-saggio a MPEG4 e alla fine della doppia emissione per i canali SD e HD: una volta passati in MPEG4 non ha più senso trasmetterli entrambi, visto che basta trasmette-re quello HD per rendersi visibili a tutti i TV (ovviamente a quelli compatibili con MPEG4). La notizia è che, se la RAI disponesse di 3 multiplex (come crediamo che finirà) l’intenzione è quella di trasmettere RAI 4K anche su digitale terrestre sin dal settembre 2021. E di farlo,

nel caso in cui un MUX venga esercitato in DVB-T2, con una qualità comparabile a quella che sta andando in onda ora via satellite, e precisamente a 22 Mbit/sec. Nel caso in cui si decidesse invece di mantenere tutti e tre i MUX in DVB-T, RAI sarà costretta a ridurre un po’ il bitrate del canale 4K portandolo a 15 Mbit/sec, che comunque, grazie alla codifica HEVC, dovrebbe essere di qualità accettabile. Si arriva quindi, pochi mesi dopo, all’ultima fase, lo spegnimento del DVB-T per passare alle sole trasmissioni DVB-T2 e HEVC, cosa che acca-drà a fine giungo 2022. A questo punto RAI arriverà ad avere 14 canali tutti in HD e il canale 4K in onda. Ci saranno ovviamente delle differenze a seconda dello scenario, se sarà a 2,5 o a 3 MUX: nel primo caso i ca-nali HD saranno nella stessa qualità di quelli di oggi e quello 4K a 15 Mbit/sec; nel caso che RAI abbia 3 MUX a disposizione, i canali HD saranno in qualità migliore rispetto a oggi e quello 4K a 22 Mbit/sec.RAI ha fatto dei test oggettivi per valutare la qualità del-la messa in onda in 4K a questi bitrate e ha verificato che anche a 15 Mbit/sec il risultato è molto buono, clas-sificandosi con qualità 4 su 5 per il 25% del tempo e 5 su 5 nel restante 75%. Passando al bitrate target di 22 Mbit/sec, la qualità è a 5 su 5 per il 95% del tempo.

Miglioramenti anche nella coperturaRoberto Serafini di RAI ha anche illustrato come stia cambiando la strategia di copertura del territorio da parte di RAI: per passare al nuovo assetto, l’emittente aggiungerà ulteriori 1000 impianti sui multiplex diversi dal primo per garantire una copertura molto vicina a quella del MUX 1, e questo sin dai primi movimenti di frequenze del 2020. In questo modo il disagio dei cit-tadini per ricevere tutti i canali RAI sarà molto ridotto, perché non dovrebbero essere richieste importati ope-razioni di ripuntamento delle antenne. I MUX 2, 3 e 4 dovrebbero arrivare entro l’estate 2020 a una copertura tra il 95% e il 97% della popolazione, percentuali che verranno poi mantenute passando al nuovo assetto su 2,5-3 MUX.

clicca sull’immagine per l’ingrandimento

Dalla situazione odierna al giugno 2022, fine del processo, devono passare quattro fasi.

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Gianfranco GIARDINA

D opo ripetute esposizioni alle fiere di settore, il pro-totipo non è più un prototipo: il super display Mi-croLED di Samsung The Wall diventa un prodotto

finale e disponibile, anche se complesso da progettare (ogni esemplare è praticamente custom), trasportare e installare. E soprattutto complicato da pagare, con prez-zi molto più vicini alle applicazioni super-professionali che agli ambienti domestici.

MicroLED, senza dubbio il display del futuroTutti i vantaggi dei pannelli “self emitting” con una ri-serva di luce pressoché infinita e una risposta croma-tica eccellente. Non c’è dubbio che si tratti del TV dei desideri; desideri che ora, ammesso di avere 400mila euro da investirvi, possono diventare realtà. Questo è infatti il prezzo di listino (categoricamente IVA esclu-sa) della configurazione in risoluzione 4K da 146”. Un prezzo ovviamente irraggiungibile per qualsiasi uten-te “normale” ma che certamente potrebbe essere accettabile per applicazioni professionali in negozi, hotel o allestimenti simili. Ne parliamo perché siamo ben consci - la storia ce lo insegna - che ci vogliono anni per mettere a punto delle soluzioni tecnologiche nuove e anche una riunione da 10 minuti per cambia-re i prezzi.Il costo delle soluzioni microLED certamente scen-derà nel futuro, come aumenterà la flessibilità: oggi Samsung, nella soluzione The Wall che è ottimizzata per la visione ad alta fedeltà cromatica, offre solo un pitch di circa 0,85; il che significa che una composizio-ne 4K si può fare solo da 146”, che significano circa 3 metri e 20 di base. Nel futuro ci saranno certamente “mattonelle” con pitch differenti in grado di realizzare TV (se ha ancora senso chiamarli così) 4K di diverse dimensioni.Ovviamente, per applicazioni non home video, non c’è alcun problema a comporre i moduli di The Wall con rapporti di forma diversi, layout vericali o addirit-tura a mosaicoCose che invero già si fanno con i miniLED conven-zionali, ma senza questa densità di pixel che rende sensate anche installazioni per visioni più ravvicinate

TV E VIDEO Samsung annuncia anche per l’Italia l’attesissimo TV microLED The Wall, ora un prodotto finale e disponibile

Samsung The Wall è finalmente disponibile 400mila euro per il miglior TV al mondo da 146”Il prezzo ne fa un TV pro, “ma non escludiamo - dice Samsung - di ipotizzare anche installazioni residenziali di alto profilo”

di quanto non accada abitualmente con questo tipo di pannelli. Interessante anche lo spessore: i moduli hanno abbattuto la barriera dei 3 cm, cosa che con-sente una piacevole installazione anche in appoggio, senza necessitare di nicchie nel muro o locali tecnici per l’incasso. Samsung per questo ha anche pensato a una serie di finiture per le cornici in grado di adattar-si con tutti gli ambienti.Ma quello che è incredibile è la luminosità di picco di questo tipo di pannello (2000 nits) che va più che altro tenuta a bada se non si vuole rimanere abbaglia-ti, almeno in un locale scuro. Questa, in unione con un vetro superficiale creato da Samsung per azzera-re l’effetto della luce incidente, fa sì che questo tipo di display, contrariamente a quanto accade con un proiettore, non solo può essere visto con una perce-

zione di contrasto infinito anche in un ambiente forte-mente luminoso, ma non è afflitto da alcun problema se lavora con luce incidente. Quanto alla risoluzione, l’effetto è incredibile: a un metro di distanza non si percepiscono i pixel e la naturalezza di immagini e colori è eccellente; l’HDR nettamente più incisivo di quanto non si possa fare su dimensioni di schermo analoghe con i videoproiettori, anche i migliori.

Il The Wall esposto a Milano non è ancora della dimensione massima. Ma prima di fine anno tutti potranno vederlo nella versione 4K da 146”La conferenza stampa del lancio commerciale di The Wall si è tenuta al cospetto di una strana composizio-ne: i cabinet del The Wall sono stati assemblati (anche se in misura ridotta rispetto alla composizione 4k) in un telaio mobile, con un piedistallo stile TV, il tutto per realizzare un display da 110”.“Uno stratagemma - ci ha spiegato Stefano Biasi di Samsung - pensato per far viaggiare questo esemplare tra tutte le filiali europee”. Ma presto, entro un mese e mezzo, il The Wall da 146” sarà montato presso l’area espositiva Smart Home presso al sede Samsung di Mi-lano, area liberamente visitabile: l’occasione per gli ap-passionati per lo meno di rifarsi gli occhi è ghiotta e vale certamente il viaggio.

Samsung The WallAnteprima

lab

video

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Roberto PEZZALI

I più attenti alla qualità stanno aspettan-do da Samsung la rivoluzione “inorga-nica” annunciata da anni, ma i televisori

oggi hanno raggiunto una qualità talmen-te elevata che, a prescindere dalla tecno-logia, per chi guarda più il contenuto che il contenitore i TV di fascia alta sono più o meno tutti equivalenti. Uguali, se così si può dire. Oggi esistono sul mercato solo quattro TV “diversi”, che si allontanano dal classico concetto di televisore: Philips con il suo ambilight, chi lo vede la prima volta resta sempre affascinato, LG con la sua serie W, un TV attaccato al muro come un foglio è sempre un bel vedere, sempre LG con l’impossibile “rollable” e poi c’è lui, The Frame. Giunto alla sua ter-za generazione il TV Frame di Samsung è un TV ma non è un TV, perché la maggior parte del suo tempo lo passa in modalità quadro, mostrando all’interno della corni-ce dipinti, fotografie e opere d’arte prese da una collezione che ormai ha raggiunto numeri interessanti. The Frame è un TV unico nel suo genere, e lo si era capito fin da quando, tre anni fa, Samsung li aveva appesi allo stand del CES di Las Vegas senza dire cos’erano. Nessuno si era ac-corto che erano televisori, tutti li avevano scambiati per stampe. Quel “The Frame” aveva una superficie opaca, poco adatta a visualizzare immagini TV, aveva un pan-nello di qualità modesta e non aveva così tante immagini da mostrare.Oggi The Frame è diverso: il pannello è LCD QLED, e la scelta è decisamente azzeccata: deve mostrare fotografie in un ambiente luminoso, e a luci accese l’ele-vata luminosità serve. Come serve anche la tecnologia quantum dots, per rendere al meglio con opere d’arte e fotografie che, tolto l’aspetto artistico, sono soprat-tutto colore. Da acceso il The Frame è un

TV E VIDEO Quattro tagli, un numero ancora più elevato di contenuti e cornici personalizzabili

Samsung The Frame 2019 arriva in Italia Dedicato a chi vuole un TV diversoCon The Frame 2019 ancora una volta ci troviamo davanti ad un TV assolutamente diverso

TV QLED in tutto e per tutto, assimilabi-le alla gamma di TV QLED Samsung del 2019: ha la stessa piattaforma smart ge-stita da Tizen, è compatibile con AirPlay 2 e con la piattaforma TV di Apple ,e ha a bordo le stesse applicazioni. Da spento ha qualcosa in più: può essere appeso al muro senza lasciare il minimo spazio grazie alla staffa gapless in dotazione, ha il box con elettronica e ingressi dotato di connessione in fibra per una installazione il più possibile pulita, e ha la cornice inter-cambiabile, magnetica, per meglio inte-grarsi con diversi stili di arredamento.Ma come tutti i passati The Frame l’aspet-to più interessante è la possibilità di ri-produrre, quando non mostra immagini televisive, opere d’arte e fotografie, sfrut-tando una modalità a basso consumo. Il TV può attingere a tre diverse collezioni: le foto personali dell’utente, Samsung Collection, un database di 1000 fotografie e opere selezionate da Samsung e infine Art Store, decine di migliaia di foto e con-tenuti di elevatissima qualità provenienti da musei e gallerie d’arte di tutto il mon-do. Art Store funziona con abbonamento, te mesi sono inclusi poi c’è un costo ag-giuntivo. Nel menu dedicato della moda-lità Art Mode si possono anche scegliere colori e stili di visualizzazione per meglio uniformare il colore dell’arredamento con la gamma cromatica delle fotografie e delle opere mostrate. Samsung ha curato

in modo particolare due aspetti: il rivesti-mento del pannello, non troppo lucido e non troppo opaco, perfetto sia per i dipinti che per foto e stampe, e la regolazione della luce e della temperatura colore. Un sensore regola l’illuminazione per coor-dinarla con quella della stanza: se si ten-gono le luci soffuse The Frame reagirà di conseguenza, per dare l’impressione di trovarsi davanti ad un vero quadro. Ovviamente è stata pensata tutta la ge-stione del risparmio energetico: se da acceso consuma come un TV, da spento consuma molto meno e si spegne in due situazioni: se le luci della stanza sono spente e se non c’è nessuno nella stanza. I prezzi della gamma 2019 sono di 1099 euro per il 43”, 1299 euro per il 49”, 1599 euro per il 55” e 2199 euro per il 65”. L’estetica di The Frame è personalizzabi-le usando cornici magnetiche opzionali, da acquistare a parte nei colori bianco, noce e beige. Costano da 99 euro a 129 a seconda della dimensione del TV. L’ef-fetto quadro si ottiene montando il TV a parete, appoggiato a scaffale The Frame resta elegantissimo ma perde un po’ il senso. La staffa per la parete è inclusa, così come i supporti da scaffale. C’è an-che uno stand che simula il cavalletto di un artista, con sistema di raccolta cavo nascosto in uno degli steli che lo ten-gono sospeso da terra. Anche lo Studio Stand è opzionale, e costa 599 euro.

Nuovo firmware per i proiettori JVC D-ILA: il mapping HDR diventa dinamicoL’aggiornamento firmware per i proiettori JVC N5, N7 e NX9 introduce il processing Frame Adapt HDR: ora il tone mapping viene reimpostato scena per scena o frame per frame

di Gianfranco GIARDINAJVC ha rilasciato un nuovo firmwa-re per la propria gamma corrente di videoproiettori D-ILA che abilita una nuova importante funzione: viene infatti aggiunta, come prean-nunciato a IFA, la funzione denomi-nata Frame Adapt HDR. Si tratta della capacità di rimappare la gamma dinamica di video HDR sulle capacità del proiettore, otti-mizzando la curva di tone mapping di scena in scena o addirittura di fotogramma in fotogramma. I proiettori JVC N5, N7 e NX9 sono compatibili, oltre che con i conte-nuti HDR HLG, anche con HDR10: si tratta di codifiche HDR senza dati dinamici, contrariamente a Dolby Vision e HDR10+. Un proiet-tore, per quanto potente, non ha una riserva luminosa da spalmare su schermi spesso giganteschi per raggiungere le luminosità di picco dei TV Full LED e proprio per que-sto è importante che venga fatto un tone mapping di qualità per avere una resa eccellente, come per esempio sarebbe possibile ottenere con uno standard a dati dinamici. Ma nessun produttore di proiettori ha implementato sulle proprie macchine, per ora, i circuiti di gestione di segnali Dolby Vision o HDR10+. JVC rimedia implemen-tando in questo ultimo aggiorna-mento, una funzione che analizza, sulla base anche dei metadati di luminosità massima e media target del contenuto, come ripappare al meglio i contenuti, in maniera va-riabile scena per scena, così da massimizzare la qualità di visione.

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

Debutta 4K Universe, il quinto canale 4K su Tivùsat. Trasmissioni anche in HDRArriva sulla piattaforma Tivùsat di Hot Bird il quinto canale in definizione 4K Ultra HD: i contenuti si annunciano ricchi e interessanti, con tecnologia HDR. La numerazione LCN definitiva verrà assegnata ai primi di novembre

di Roberto FAGGIANO

Sta per arrivare nella piattaforma Tivùsat il quinto canale in 4K Ultra HD: 4K Universe, un canale pro-dotto negli Stati Uniti e da poco disponibile anche su Hot Bird per il pubblico europeo. Si tratta di un vero canale con un suo palinsesto, disponibile solo a pagamento negli USA. Tra i contenuti, il programma per bambini Eddie is a Yeti, la ru-brica di cucina vegana Plant based by Nafsika, la serie Model turned superstar e docu-film come The empire of winds. Un palinsesto completo, che arricchirà il pacchet-to Tivùsat, rendendolo sempre più interessante, specie per chi già possiede un TV Ultra HD 4K.Il canale è già disponibile in chia-ro su Hot Bird da agosto con una programmazione limitata ma già con contenuti HDR. Dai primi gior-ni di novembre avrà una sua nu-merazione LCN e verrà codificato per essere visibile solo dai titolari di card Tivùsat. Con la partenza ufficiale del nuovo canale sarà disponibile la nuova cam Tivùsat 4K, studiata per offrire il massimo livello di sicurezza e che consen-tirà di vedere tutti i canali dell’of-ferta Tivùsat.

di Sergio DONATO

D opo aver esplorato i territori dell’OLED con l’H5508B (qui la nostra recensione), Hisense ri-

prende gli schermi LED con la linea di TV “B7”, che comprende tagli dai 43” ai 75” tutti con risoluzione 4K e un con un’attenzione particolare allo stile.Hisense dichiara che la gamma di TV “B7” è stata progettata per venire incon-tro alle necessità estetiche - e quindi di arredamento - dei televisori, senza però rinunciare a una qualità che tenga conto del suo rapporto con il prezzo. Inoltre, recentemente ha ricevuto la certificazio-ne Tivùsat. La linea B7 è composta dalle serie B7500, B7300 e B7100. La B7100 offre tagli da 43”, 50”, 55” e 65” in 4K. La cornice intorno allo schermo è contenuta, con uno spessore che si concentra nella parte inferiore e posteriore del TV. La li-nea B7100 supporta HDR10 e HLG e, con-formandosi alle indicazioni della gamma circa il rapporto qualità/prezzo, il taglio da 65” viene offerto a 579 euro. La serie

TV E VIDEO La linea B7 è stata pensata per non creare problemi all’arredo di casa e costare poco

I TV 4K B7 di Hisense puntano sul prezzo 1.000 euro per un 75” con Dolby Vision La serie offre tecnologie di visione al passo con i tempi. 4K e Dolby Vision su un 75” a 1.000 €

B7300 riprende la stessa qualità di visio-ne e le stesse tecnologie della B7100, ma si differenzia nello stand inferiore, che ha un supporto centrale invece di avere i piedini laterali, che possono non adat-tarsi a tutti i mobili sui quali il televisore può essere installato. Discorso diverso per la serie B7500 che, oltre ai tagli già visti, presenta anche la disponibilità di un 75”. La linea ha uno stand cromato e uno spessore molto più sottile della B7100. A fare la differenza è solo il modello da 75” che, come si può notare dalla foto in alto, ha due piedi laterali. Ovviamente, la riso-

luzione è 4K e le connessioni prevedono 2 USB e 3 HDMI che diventano 4 per il 75”. La linea B7500 supporta il Wide Co-lor Gamut, il Dolby Vision, l’HDR 10, l’HLG, il suono DTS, il Dolby Audio e l’audio wire-less via Bluetooth. Il prezzo del 43” è di 369 euro, mentre per il 75” si sale a un prezzo suggerito di 1.099 euro.Tutta la linea B7 è governata dalla piat-taforma smart Vidaa nella versione 3.0 che comprende un gran numero di ap-plicazioni disponibili anche in Italia, com-prese ovviamente Netflix, Amazon Prime Video, Tim Vision, DAZN e Youtube.

di Massimiliano DI MARCO

Chili ha avvisato gli utenti in posses-so di selezionate smart TV prodot-te da Panasonic: dal 28 ottobre

l’applicazione non sarà più disponibile su molte smart TV Panasonic. La deci-sione coinvolge quasi tutte le smart TV dell’azienda commercializzate dal 2011 al 2016. Fanno eccezione solo i modelli CX del 2015 e dei DX del 2016, che rimarran-no compatibili con l’app ufficiale di Chili anche dopo il 28 ottobre.Chili ha pubblicato da poco la nuova versione della sua applicazione, rinno-vata con nuove funzioni, fra cui il sup-porto al 4K HDR e un’interfaccia grafica migliorata. L’app di Chili continuerà a

ENTERTAINMENT Niente app Chili sulla maggior parte delle smart TV Panasonic anteriori al 2017

Chili smetterà di supportare molte smart TV Panasonic. Colpa di un vecchio DRM di GoogleIl DRM Widevine Classic di Google è dismesso da anni e ormai poco sicuro oltre che limitante

supportare le smart TV Pa-nasonic lanciate sul merca-to dal 2017 in avanti.Perché questa decisione? La colpa è del DRM Widevi-ne Classic di Google, ormai dismesso da alcuni anni e quindi poco sicuro. Chili ha deciso di non supportarlo più a causa dei limiti che tale DRM aveva sia per la qualità sia per la sicurezza dei contenuti. Fra le limita-zioni, a mero titolo di esempio, l’impos-sibilità di sfruttare lo streaming adattivo per alzare o abbassare la risoluzione video a seconda dello stato della con-nessione dell’utente. Cosa possono fare gli utenti in possesso di una smart TV Pa-

nasonic non più supportata da Chili? Pos-sono sfruttare metodi alternativi come la Fire TV Stick di Amazon o la Chromecast di Google per trasmettere sulla smart TV il contenuto tramite dispositivi iOS e An-droid. Altrimenti, metodo ancora più eco-nomico, si può collegare il PC alla smart TV tramite un cavo HDMI.

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Gianfranco GIARDINA

L a super-convergenza attorno at-torno a Sky Q entra nel vivo: dal 9 ottobre, infatti, arriva sulla piatta-

forma Sky Q anche Netflix, che si ag-giunge alle app di DAZN e di Spotify. L’arrivo di Netflix era previsto entro la fine dell’anno e il fatto che i primi uten-ti beta già la stavano provando era un segnale incontrovertibile di un rilascio prossimo. L’annuncio del rilascio uffi-ciale è arrivato proprio in questi minuti: la nuova app è totalmente integrata con Sky Q, che rileva e condivide anche i contenuti di Netflix, miscelandoli nelle proposte e nei menù, a quelli originali di Sky, come già accade per le partite di DAZN. Ma la novità inattesa è che, insieme al ri-lascio dell’app, ci sia anche un’offerta commerciale a favore dei clienti Sky, un po’ come accade già per DAZN: chi infatti è abbona-to a Sky e possiede anche il pacchetto Sky Famiglia, può acquistare l’offerta “Intrattenimento Plus” a 9.99 al mese che com-prende un profilo Netflix Standard con visione HD e due flussi contemporanei, con un risparmio quindi di 24 euro all’anno (il prezzo via Netflix è di 11,99 euro al mese).La cosa più interessante, però, è che i clienti che posseggono Q Platinum (ovverosia il ricevitore con le unità pe-riferiche distribuite in altre stanze), allo stesso prezzo avranno incluso l’abbo-namento a Netflix Premium, quello che prevede quattro flussi contemporanei

e i contenuti anche in 4K HDR; il tutto sempre a 9,99 euro al mese contro i 15,99, con un risparmio che così rag-giunge i 72 euro all’anno. Ovviamente l’account Netflix così attivato, è un ac-count regolare a tutti gli effetti e può

essere utilizzato come di consueto al di fuori dell’ambiente Sky, su qualsiasi TV e device compatibile.Chi invece, pur cliente Sky, non ha il pacchetto Sky Famiglia, può acquista-re l’offerta Intrattenimento Plus (che ovviamente attiva anche Sky Famiglia) al prezzo cumulativo di 15,39 euro. Dal prossimo dicembre, poi, il pacchetto In-

trattenimento Plus (comprendente quin-di l’account Netflix) sarà anche disponi-bile in fase di sottoscrizione per i nuovi clienti Sky. Per aderire all’offerta Sky, ba-sta acquistare il pacchetto Intrattenimento Plus direttamente da Sky Q nella sezione

Serie TV/Netflix (ovviamente a partire dal 9 ottobre), previo in-serimento del proprio PIN Sky. Non è necessario fare un nuovo account Netflix (cosa che farebbe perdere lo storico delle visioni e i suggerimenti mirati) ma si può migrare sotto la bolletta Sky un account Netflix esistente, così da non modificare nulla nelle proprie impostazioni.Con questa mossa, Sky si confi-gura sempre più non solo come una pay TV ma come integratore

di offerte (anche) terze, un vero centro stella dell’intrattenimento televisivo e non, uno scenario che era difficile prevedere solo qualche anno fa.L’app di Netflix sbarcherà nei prossimi mesi anche sulla Now TV Stick e sul Now TV Box, ma non sono previsti al momento offerte commerciali congiunte tra le due piattaforme.

ENTERTAINMENT Arriva l’app di Netflix su Sky Q, con un’interessantissima offerta commerciale

Dal 9 ottobre Netflix sbarca su Sky QPiano 4K a 9,99€ per chi si abbona via Sky I possessori di Q Platinum risparmiano 72 euro all’anno sull’abbonamento 4K a Netflix

Guardando Netflix tramite Sky Q si perde l’HDR. Ma c’è una soluzioneLa gestione dell’HDR di Netflix non è compatibile con il chipset di Sky Q: i contenuti vengono quindi passati con gamma dinamica standard. La soluzione è utilizzare l’applicazione del televisore di Roberto PEZZALIL’integrazione di Netflix all’interno di Sky Q ha notevoli vantaggi, pri-mo tra tutti un risparmio sul prezzo dell’abbonamento al servizio di streaming americano: 9.99 euro al mese al posto di 15,99 euro al mese per chi ha Sky Q Platinum. Ma si perde anche qualcosa: non sarà infatti possibile vedere con-tenuti HDR utilizzando il decoder Sky Q. Sky Q, lo sappiamo, gesti-sce senza problemi contenuti HDR e già da un anno i fruitori del servi-zio possono godere di partite, film e show a gamma dinamica estesa. Tuttavia il processore del decoder, da quanto abbiamo appreso, non è in grado di gestire il particolare flusso HDR di Netflix. Quando si guardano i contenuti di Netflix tra-mite Sky Q questi ultimi vengono riprodotti in 4K, ma senza la moda-lità HDR attivata. Un ostacolo che al momento sembra insormontabi-le, limiti tecnici che potranno esse-re sorpassati solo con una futura revisione del decoder: quando Sky ha studiato il decoder non poteva certo pensare che in futuro avreb-be integrato, nella sua offerta, i contenuti in streaming di Netflix.Tuttavia c’è una soluzione ed è la più semplice: basta usare la nor-male app del televisore che, per alcuni marchi e modelli di TV, gesti-sce anche il Dolby Vision, formato preferito da Netflix per i contenuti a dinamica estesa. L’account a Net-flix attivato via Sky è un account re-golare a tutti gli effetti e consente ovviamente anche la visione attra-verso le app native dei TV.

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Gianfranco GIARDINA

È iniziata la possibilità di sottoscrivere Netflix attra-verso Sky, limitata ai possessori di ricevitore Sky Q e con condizioni leggermente diverse a se-

conda che si tratti di Q Platinum o Q Black. Abbiamo provato a fare chiarezza tra i tanti quesiti degli utenti con questa SuperFAQ. Se ci fossero altri quesiti, chie-diamo ai lettori di inserirli nei commenti: cercheremo di dare risposta a tutti inserendo nuove FAQ nell’ar-ticolo.

Netflix su Sky: in cosa consiste?Dal 9 ottobre 2019 l’app di Netflix è disponibile sulla piattaforma Q di Sky. Ma c’è di più: si tratta in realtà di una vera e propria integrazione, con i contenuti di Netflix suggeriti e direttamente accessibili dalle pa-gine di menù di Sky Q, in mezzo agli altri contenuti Sky. Inoltre, l’accordo tra Sky e Netflix prevede anche delle facilitazioni all’abbonamento a Netflix se fatto attraverso Sky.

Sono già abbonato a Netflix: posso vedere i contenuti via Sky?Sì, l’app di Netflix è disponibile su Sky Q come se si trattasse dell’ambiente smart di un TV: basta inseri-re le proprie credenziali nell’app e si accede a tutti i contenuti di Netflix. Ma, dati i vantaggi dell’offerta commerciale, un abbonato a Sky con Sky Q ha tutti i vantaggi ad acquistare l’abbonamento a Netflix attra-verso Sky: ha le stesse cose ma spende meno. Sono già abbonato a Netflix: se mi abbono tramite Sky, perdo il mio account?Assolutamente no: dopo aver attivato l’opzione In-trattenimento Plus (quella che attiva la tariffazione di Netflix su Sky), basta autenticarsi all’app con il proprio account per trasferire il pagamento di quella sottoscrizione da Netflix alla bolletta di Sky, a prezzo scontato.

In cosa consiste l’opzione Intrattenimento Plus?Si tratta di un’offerta che contiene Sky Famiglia e l’abbonamento a Netflix e ha prezzi differenziati a se-conda che il pacchetto Sky Famiglia sia già compreso nel bouquet del cliente: in tal caso si paga solo la differenza. In pratica chi ha Sky Famiglia già attivo, attivando Intrattenimento Plus non fa che aggiun-gere Netflix al proprio abbonamento.

Non ho Sky Q ma Il box MySky: posso acquistare comunque l’opzione Entertainemnt Plus?No, la condizione necessaria è proprio il posses-so di un sistema Sky Q. Vanno bene sia gli Sky Q Platinum (quelli con unità principale e una o più unità periferiche) che Sky Q Black, quello standard.

L’offerta è valida anche per i possessori di Sky Q via fibra ottica.

Che differenza c’è tra l’offerta per chi ha Sky Q Platinum rispetto a chi ha la versione Black?Chi ha la versione Black, con l’acquisto dell’opzione Intrattenimento Plus, ha accesso a un piano Netflix Standard (qualità HD e 2 flussi contemporanei); chi invece ha la versione Platinum, senza esborsi aggiun-tivi, ha accesso al piano Netflix Premium (qualità 4K e 4 flussi contemporanei)

Quanto costa l’opzione Intrattenimento Plus?Per i clienti Sky che hanno già il pacchetto Famiglia, il costo è di 9,99 euro al mese. C’è quindi un rispar-mio rispetto all’acquisto diretto dei rispettivi pacchetti Netflix di 2 euro al mese nel caso di Sky Q Black e di 6 euro al mese nel caso di Sky Q Platinum.

Dopo aver sottoscritto l’opzione Intrattenimento Plus, potrò vedere Netflix sono attraverso Sky Q?Assolutamente no, l’account attivato tramite Sky è a tutti gli effetti un account Netflix normale, con la pos-sibilità di autenticarsi e vedere su tutti device consue-ti. Anzi, a ben vedere, si potrebbe usare anche l’app Netflix di Sky Q con un account normale senza aderi-re all’offerta Sky, anche se questo non avrebbe senso dal punto di vista economico.

Condivido con altri il mio account Netflix: posso comunque acquistarlo via Sky?Premesso che la condivisione dell’account è una pra-tica vietata dai termini e condizioni d’uso di Netflix, seppur tollerata, in realtà non cambia nulla su questo fronte. Una cosa è l’offerta commerciale prevista dal-l’opzione Intrattenimento Plus e un’altra cosa è l’utiliz-zo dell’account Netflix, che resta identico.

Ho Sky Q Black ma voglio il profilo Premium di Netflix, posso?Sì, basta attivare l’opzione Intrattenimento Plus a 9,99 al mese e poi sottoscrivere l’upgrade al profi-lo Premium a 4 euro al mese di differenza, diretta-mente sul sito di Netflix.

Come si attiva l’opzione Intrattenimento Plus?

segue a pagina 15

ENTERTAINMENT È ora attiva la possibilità di sottoscrivere l’opzione Entertainment Plus di Sky, che dà accesso anche a Netflix

Tutte le risposte sull’offerta Netflix su Sky Sono ancora tanti i quesiti tra gli utenti. In questa FAQ cerchiamo di dare la risposta a tutte (o quasi) le domande più frequenti

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

ENTERTAINMENT

SuperFAQ Netflix-Skysegue Da pagina 14

L’attivazione dell’opzione Intrattenimento Plus si può fare solo attraverso Sky Q. Per farla basta lanciare il trailer di lancio dell’iniziativa e poi premere il tasto rosso sul telecomando (come da istruzioni presenti nel video). Inserendo il proprio PIN, si attiva l’offerta

Non ho idea di quale sia il mio PIN di Sky: come faccio?In questo caso, Sky ha pensato di utilizzare come stru-mento di assenso per l’acquisto dell’opzione il PIN che normalmente viene utilizzato per il Parental Control.Se non ci si ricorda il proprio PIN, basta andare nel-l’area Fai da te del sito e, nella sezione con tutti i dati anagrafici dell’abbonato, richiedere il reset e invio di un nuovo PIN via mail. Dopo qualche minuto arriva il PIN

via mail, utile per concludere il processo di acquisto di Intrattenimento Plus su Sky Q.

Come faccio per trasferire il pagamento da Netflix a Sky e non pagare due volte?Il rischio di pagare due volte non c’è: dopo che si è at-tivata l’opzione Intrattenimento Plus, basta autenticarsi nell’app di Netflix su Q: quell’account verrà trasferito dal punto di vista contabile sotto la gestione di Sky. Se non si dispone già di un account Netflix, è possibile crearlo direttamente nell’app su Sky Q.

Ma alla fine, dove troverò l’addebito di Netflix?Dalla prima scadenza mensile successiva al momento di attivazione, si trova l’addebito sulla bolletta di Sky e Netflix interrompe la fatturazione diretta di quell’ac-count.

L’opzione Intrattenimento Plus (e

quindi l’abbonamento a Netflix) diventa a scadenza annuale, come il resto dell’offerta Sky?No, l’opzione Entertainemnt Plus può essere disdetta a cadenza mensile, proprio come accade per Netflix. Peraltro, funziona allo stesso modo anche per l’offerta Sky-DAZN.

Se ho il profilo premium di Netflix (contenuti 4K) potrò vedere tramite Sky Q anche in HDR?Purtroppo no, dato che Sky Q funziona in HDR HLG mentre Netflix ha streaming in HDR10 e Dolby Vision, almeno per il momento non compatibili con Sky Q. Quindi la visione attraverso l’app presente in Sky Q sarà al massimo in 4K SDR. Ovviamente, dato che l’account Netflix sottoscritto attraverso l’opzione Sky e un account Netflix a tutti gli effetti, è possibile auten-ticarsi su un’altra app (per esempio quella presente all’interno dalla smart TV, quindi fuori dall’ambiente Sky Q) e vedere in HDR nello standard permesso dal proprio TV.

di Gianfranco GIARDINA

Se ne parla da molto ma non era mai accaduto. E invece ora è uffi-ciale (ne ha parlato Giorgio Fatale

di RAI al convegno di Bologna di ieri) che dal prossimo aprile tutti e 22 i cana-li regionali RAI (praticamente le diverse “versioni” di RAI3) saranno contempo-raneamente visibili sulla piattaforma Ti-vusat. Questo significa che un cittadino, anche se fuori sede, potrà scegliere di vedere in diretta il notiziario della pro-

pria regione di provenienza.Un servizio simile (ma non in diretta) può essere perseguito attraverso In-ternet, sul sito della testata regionale RAI, o in streaming attraverso le appli-cazioni mhp in onda sui canali RAI. Ma certamente la facilità e l’immediatezza di utilizzo di un semplice canale, è im-pagabile.Insieme a questa iniziativa, arriverà una sorta di riorganizzazione della presenza su satellite di RAI, con l’aggiunta di un

multiplex, rispetto a quelli utilizzati oggi, che comprenderà appunto tutti i canali regionali e il canale in 4K, emesso a 25 Mbit/sec. I ca-nali regionali, invece, saranno in SD con codifica MPEG4. L’invio in diretta su satellite di tutti i canali regionali ha comportato diverso tempo perché, per farlo, deve cambiare completamente tutta

ENTERTAINMENT Le edizioni regionali dei TG RAI e gli altri programmi “localizzati” saranno finalmente visibili in diretta in tutta Italia

Da aprile 2020 tutti i canali regionali di RAI 3 visibili su TivusatInsieme a questa iniziativa, arriverà una sorta di riorganizzazione della presenza su satellite di RAI, con l’aggiunta di un multiplex

l’architettura produttiva. Oggi sono le sedi regionali che prelevano in segna-le nazionale e “montano” su di esso gli inserti regionali. Dalla sede regionale, poi, il segnale viene inviato agli impianti di trasmissione interessati. Ora, invece, il segnale modificato dalle sedi regio-nali deve poter percorrere la tratta al-l’indietro fino a Roma per essere inviato al satellite da un punto centralizzato.

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Sergio DONATO

Sony ha aperto le porte commer-ciali del nuovo formato audio pre-sentato al CES 2019. Il 360 Reality

Audio si renderà disponibile alla fine dell’autunno anche in Europa e riguar-derà immediatamente 1.000 canzoni di artisti come Pharrell Williams, Billy Joel, Bob Dylan e le piattaforme di streaming Amazon Music HD, Deezer e Tidal. Il formato 360 Reality Audio è una tecno-logia audio spaziale basata su oggetti che riesce a mappare le fonti sonore di un brano, come voce, coro, strumenti, ma anche le informazioni di posizione, collocandole in uno spazio sferico.Per godere del 360 Reality Audio, i brani devono essere codificati appositamente, quindi Sony sta chiamando a raccolta le etichette musicali, quali Sony Music, Universal Music Warner Music e Live Nation, e le piatta-forme di streaming per la costru-zione di un ecosistema che ruoti attorno al nuovo formato. Quindi sarà necessaria una creazione, una distribuzione e anche la riproduzione su dispositivi com-patibili con il 360 Reality Audio, ma non solo.Il compito è arduo ma è sempli-ficato dalla decisione di Sony di renderlo un formato aperto, grazie anche alla scelta della codifica in MPEG-H 3D Audio. Aziende terze possono avere accesso a tutti i dati e agli strumenti di sviluppo, e Sony sarà aiutata da Fraunhofer IIS (l’organizzazione tedesca che raccoglie 60 istituti di ricerca applicata e che ha sviluppato l’MP3) per fornire le varie spe-cifiche tecniche.

ENTERTAINMENT Arriva a fine autunno il nuovo formato audio spaziale di Sony, il 360 Reality Audio

L’audio a 360 gradi Sony è realtà: formato aperto e compatibile con qualsiasi cuffiaSi può ascoltare con ogni cuffia, ma c’è anche la mappatura 3D dell’orecchio per le cuffie Sony

Cosa serve per ascoltare i brani in 360 Reality AudioPoiché, al momento, 360 Reality Audio è strettamente legato alle piattaforme di streaming, per ascoltare il nuovo for-

mato Sony dice che sarà necessario uno smartphone Android o iOS sul quale dovranno essere installate le app dei servizi compatibili al lancio, ovvero Tidal e Deezer.Sony dichiara che 360 Reality Audio può essere ascoltato attraverso le cuf-

fie della maggior parte dei produttori, ma precisa che per godere di un cam-po musicale personalizzato è preferibile affidarsi a cuffie Sony selezionate (ov-viamente). Sono elencate sulla pagina

ufficiale di 360 Reality Audio. Tra queste troviamo le intra-au-rali WF-1000XM3 e le sovra-au-rali WH-1000XM3, entrambe re-censite da DDay.it. Al di là dello sviluppo interno di software e hardware e semplici questioni di mercato, Sony consiglia le pro-prie cuffie anche perché trarran-no vantaggio dall’app Headpho-nes Connect, che attraverso la fotocamera dello smartphone riesce a creare una mappa 3D del canale uditivo dell’utente al fine di adattarla all’audio co-dificato in 360 Reality Audio.

Questa combinazione darà all’ascolto in cuffia l’impressione di “non ascoltare in cuffia”. Lo abbiamo provato anche noi, al CES, con sensazioni sorpren-denti. Il 360 Reality Audio non rinuncia nemmeno all’ascolto attraverso i diffu-sori compatibili,. Il nuovo altoparlante intelligente Echo Studio, presentato qualche settimana fa da Amazon, nasce già compatibile con il formato spaziale di Sony ed è l’unico che può riprodurre i contenuti di Amazon Music HD e quindi in 360 Reality Studio. Tuttavia, Sony sta collaborando con i prodotturi di chip-set Media Tek, NXP Semiconductors e Qualcomm e inoltre con Amazon e Goo-gle per allargare la compatibilità ad altri dispositivi Alexa e anche al Chromecast. Fermo restando che ogni dispositivo do-vrà integrare un decoder.

Film gratis, ma con la pubblicità, così Rakuten rivoluziona lo streamingRakuten ha lanciato anche in Italia la sua offerta Advertising Video on Demand: contenuti in streaming, anche esclusivi, ma con la pubblicità. Ecco i titoli di Roberto PEZZALIRakuten TV, la nota applicazione di video on demand presente ormai sulla quasi totalità delle smart TV, anche in Italia, arricchisce la sua piattaforma con un il nuovo servizio AVOD. Avod, ovvero Advertising Video on Demand: non si paga nulla per vedere i film, perché c’è la pubblicità.Un modello di business innovativo, già sperimentato in altre parti del mondo con successo, una ventata di aria fresca (e gratis) in un pe-riodo dove la TV tradizionale è in crisi e dove gli abbonamenti da pagare per i servizi di streaming iniziano a diventare un po’ troppi. L’app di Rakuten, che continuerà ad includere la corposa sezione di film da noleggiare, offrirà in beta anche una sezione “gratuita” con una offerta mista che comprende-rà sia contenuti di repertorio sia contenuti originali. Ci dice Jacinto Roca, fondatore e CEO di Rakuten TV, “oltre a contenuti già visti in TV, ma comunque di successo ci saranno anche prodotti esclusivi di Rakuten come serie TV, se-rie-documentario, news e canali sportivi” e tra i contenuti esclusivi non mancherà Matchday - Inside FC Barcelona, la nuova serie-do-cumentario sulla storia del Barcel-lona Football Club narrata da John Malkovich. I contenuti saranno in Full HD e, dove presente, in Dolby Digital 5.1 e la pubblicità sarà di 14 minuti per ogni ora di visione. Il servizio sarà disponibile su tutte le Smart TV con l’app di Rakuten fin da subito in versione beta, e verrà progressivamente implementato su altre piattaforme tra cui mobile e desktop.

Amazon Echo Studio è già compatibile con 360 Reality Audio.

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Sergio DONATO

Google Home Mini raggiunge la seconda generazione prendendo il nome di Nest Mini e mettendo

nel suo piccolo carapace un altoparlante più potente e più attento alle basse fre-quenze.Google promette che il Nest Mini è sta-to coccolato dai suoi ingegneri per fargli raggiungere bassi “due volte più potenti”. Detta così, l’affermazione non offre molti spunti tecnici, ma Google fa uno sforzo in più rivelando che il suono è stato misu-rato a volume massimo considerando le frequenze tra i 60 Hz e i 100 Hz. I quattro LED al di sotto del tessuto, in cima al Nest Mini, ora hanno un sensore di prossimi-tà. Avvicinando la mano al dispositivo, le quattro luci si accenderanno indicando dove toccare il Nest Mini per la regolazio-ne del volume. Con la precedente gene-

razione capitava infatti che, ruotando leg-germente sul mobile a causa di un colpo o di uno spostamento involontario, non fosse sempre possibile capire dove toc-care l’altoparlante per poterne regolare il volume. Nel caso, ora è possibile anche appendere il Nest Mini al muro usando il foro apposito sulla base. Google ha mi-gliorato anche la capacità del Nest Mini

di recepire i comandi vocali in ambienti rumorosi. Inoltre, l’altoparlante regole-rà automaticamente il proprio volume a seconda del rumore ambientale, così da poter ascoltare le risposte, per esempio, in caso di un elettrodomestico rumoroso entrato in funzione nel mentre.

Comandi eseguiti in locale da un chip da 1 TeraOPSÈ migliorata anche la velocità di esecuzio-ne dei comandi perché Google ha inte-grato nel Nest Mini un chip progettato per il machine learning da 1 TeraOPS, capace quindi di processare 1 bilione di operazio-ni al secondo. In questo modo, una parte dei comandi impartiti non ha più bisogno di andare e venire dai server Google, ma viene elaborata nel Nest Mini. Il Nest Mini può anche fare “squadra” e collegarsi ad altri speaker Nest attraverso l’app Google Home, che si aggiornerà nelle prossime settimane. Non sarà possibile solo am-pliare l’ascolto e la visione dei contenuti in più stanze, ma anche fare una chiamata intercom tra stanze diverse in cui c’è un altoparlante Nest. Oppure potrà rivelare chi è alla porta grazie alla comunicazio-ne con le camere di sorveglianza Nest. E potrà effettura chiamate audio usando Google Duo. Un occhio anche alle tema-tiche ambientali. Se l’involucro esterno ha il 35% di plastica riciclata, il rivestimento in tessuto del Nest Mini è stato realizzato al 100% con bottiglie di plastica riciclate. Con una singola bottiglia, Google afferma che si riescono a produrre i rivestimenti di più di due Nest Mini. Il Nest Mini è già in preordine sul Google Store al prezzo di 59 euro, e sarà disponibile dal 22 ottobre, nei colori grigio chiaro e grigio antracite, anche presso i punti vendita Unieuro e MediaWorld .

SMARTHOME Seconda generazione per l’Home Mini di Google. Ora si chiama Google Nest Mini

Home Mini diventa Nest Mini. Più potente e suona meglio, ma il prezzo non cambiaHa un altoparlante più potente, autoregola il volume in base al rumore. Il prezzo resta di 59 €

Stampato l’oggetto 3D più grande al mondo Una barca da 2 tonnellateLa stampante 3D più grande del mondo per l’oggetto stampato più grande del mondo. L’università del Maine è riuscita a stampare una barca di 7,5 metri per 2 tonnellate in 72 ore di Sergio DONATO

Una barca di 7,5 metri da 2 ton-nellate è stata realizzata dall’Uni-versità del Maine. In uno Stato con 5.000 chilometri di costa la cosa non farebbe notizia, se non fos-se per il fatto che la barca è stata stampata in 3D e risulta anche es-sere l’oggetto più grande che sia mai stato stampato al mondo.L’impresa è entrata nel Guinness dei primati. La barca è stata bat-tezzata col nome di 3Dirigo ed è in fase di test presso l’Alfond W2 Ocean Engineering Laboratory, un impianto di prova di modelli offsho-re dotato di una macchina eolica ad alte prestazioni su un bacino d’onda multidirezionale. La 3Dirigo è stata stampata in 72 ore dalla più grande stampante 3D del mondo in grado realizzare oggetti lunghi fino a 30 metri, larghi 7 e alti 3, con una capacità di 227 chilogrammi all’ora. L’idea alla base è quella di commercializzare questo tipo di stampa 3D su larga scala a bene-ficio dei costruttori di imbarcazioni, utilizzando plastiche di stampa 3D miscelate con il 50% di legno.Infatti, l’Università del Maine sta collaborando con l’Oak Ridge Na-tional Laboratory per la realizzazio-ne in stampa 3D di materie prime biologiche a base di cellulosa deri-vata da risorse legnose, che servi-ranno per produrre prototipazioni rapide a uso civile e militare.

di Franco AQUINI

P er chi non si accontenta del-la sola cottura tradizionale, quella al vapore è ormai im-

prescindibile. Il forno ActiveSteam 100 di Hotpoint è proprio questo: un moderno forno tradizionale che inserisce il vapore all’interno delle possibilità di cottura, in modo da consentire una flessibilità totale nelle abitudini alimentari e negli stili di cottura. ActiveSteam 100 offre quattro livelli differenti di vapore, selezionabili tramite i coman-di touch posti a lato del display. Una volta versata l’acqua nel cassetto, il forno utilizze-rà il 25% di vapore per la cottura del pane, il 50% per la cottura della carne, il 75% per il pesce e il 100% per i cibi più delicati. A tutto questo vanno aggiunte poi le funzioni speciali, come la Multiflow Technology, cioè un sistema particolare di ventilazione che ottimizza la distribuzione del calore all’interno del forno senza aree di ricircolo, per ottenere una cottura omogenea su ogni lato. Oppure il controllo elettronico della temperatura, che interviene riducendo al minimo le oscillazioni della temperatura du-rante la cottura. Infine, oltre alla cottura, il vapore è utilizzato anche nella pulizia del forno stesso. Con la funzione Diamond Clean, la potenza del vapore viene utilizzato per pulire l’interno del forno senza l’utilizzo di detergenti. Il forno ActiveSteam 100 di Hotpoint è già disponibile (il codice del prodotto è FI9 P8P2 SH IX HA) presso negozi fisici e online al prezzo di 600 euro circa.

SMARTHOME Il vapore è utilizzato anche per pulire il forno

Hotpoint ActiveSteam100 cuoce con 4 livelli differenti di vapore

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Neri profondi, infinita varietà di colori

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Franco AQUINI

Google conferma ufficialmente l’uscita di Stadia: 19 novembre, an-che in Europa e, di conseguenza,

in Italia. Ad avere accesso per primi alla piattaforma di gioco in streaming saran-no innanzi tutto gli acquirenti della Foun-der’s e della Premiere Edition. Ovvero della versione a pagamento di Stadia Pro, che comprende la risoluzione fino a 4K, 60FPS al secondo, Audio Surround 5.1 e una selezione di giochi disponibili gratuitamente e “periodicamente” (non è scontato che siano disponibili nuovi giochi ogni mese). Si inizierà con il già annunciato Destiny 2 per poi proseguire con altri titoli. Ci saranno inoltre, sempre compresi nell’abbonamento a Stadia Pro, sconti esclusivi per l’acquisto di altri giochi dal catalogo di Google Stadia.La versione più attesa, in ogni caso, è la Stadia Base che arriverà nella prima metà del prossimo anno. La versione “li-scia” di Stadia sarà completamente gra-

GAMING Google ha reso finalmente ufficiale la data di lancio per l’Europa e quindi anche per l’Italia

Google Stadia il 19 novembre anche in Italia La versione gratuita rimandata al 2020Il lancio di Stadia, tuttavia, sarà limitato ai soli utenti della Founder’s e della Premiere Edition

tuita e consentirà di giocare al massimo in FullHD, sempre a 60 FPS, con l’audio Stereo. In questa versione non saranno compresi né giochi gratuiti, né sconti esclusivi. In ogni caso potrebbe esse-re la versione obbligatoria per chi non dispone di connessioni molto potenti. Google infatti ha reso disponibile uno strumento specifico per misurare la propria connessione e decidere quale pacchetto di Stadia sottoscrivere, spe-cificando che per risoluzioni superiori alla 720p è necessaria una connessione

di almeno 10 Mbps (con un massimo di 35 Mbps per la risoluzione 5K). Per tutti coloro i quali temono che la latenza dei giochi in streaming possa compromet-tere l’esperienza di gioco, Google ha risposto recentemente tramite uno degli ingegneri a capo del progetto, parlando di una tecnologia predittiva capace addirittura, stando alle dichiarazioni, di portare a una latenza inferiore persino a quella di un computer o di una console domestica. Follia o realtà? Per giudicarlo manca davvero poco.

di Riccardo DANZO

D aydream, il visore di realtà aumen-tata di Google lanciato nel 2016, non è più in vendita sul negozio

online ufficiale dell’azienda. Non solo, l’intero progetto Daydream è stato can-cellato e non sarà più portato avanti dal-l’azienda. La decisione di interrompere lo sviluppo di Daydream, probabilmente, è stata presa da tempo. Già i Pixel 3a an-nunciati prima dell’estate non supporta-vano più la piattaforma Daydream. Anche i nuovi Pixel 4 non sono compatibili con il visore di Google. Un portavoce di Goo-gle, in merito alla questione Daydream, ha dichiarato alla rivista Variety: “Non c’è stata l’adozione che speravamo da parte dei consumatori e degli sviluppa-tori e abbiamo visto diminuire l’utilizzo

GAMING La decisione di interrompere lo sviluppo di Daydream, forse, è stata presa da tempo

Google rinuncia al visore VR Daydream Stop alla vendita e allo sviluppo del progettoIl visore VR di Google basato sullo smartphone, Daydream, non ha ottenuto il successo sperato

nel tempo dei visori Daydream View”. Secondo Google, inoltre, “alcune chiare limitazioni” impediscono alla realtà virtuale per smartphone “di es-sere una soluzione praticabile a lungo termine“. La piattaforma è stata gradual-mente abbandonata dagli sviluppatori e anche Google stessa ha smesso di for-nire aggiornamenti all’applicazione Play Movie per Daydream. Allo stesso tempo, Google ha voluto sottolineare: “stiamo investendo fortemente in esperienze AR con Google Lens, Google Maps e Goo-gle Search che utilizzano la fotocamera

dello smartphone per unire il mondo di-gitale a quello fisico”. Alcune tecnologie di Daydream, quindi, verranno riutilizzate dall’azienda in altri settori. Chi ha ac-quistato Daydream, tuttavia, non verrà completamente abbandonato. Google, infatti, ha assicurato che le applicazioni e lo store resteranno disponibili per gli utenti che possiedono il visore.

Il pad wireless di Google Stadia? Al lancio funzionerà su smartphone solo via cavoGoogle ha chiarito che il controller di Stadia funzionerà senza fili, ma solo in caso di Chromecast Ultra collegata a un TV. Chi lo usa tramite PC o smartphone dovrà usare il cavo di Pasquale AGIZZA

Parlando di Stadia, Google ha sempre sottolineato il passaggio fluido dell’esperienza di gioco. Dal PC allo smartphone di nuovo al PC, grazie allo streaming, an-che grazie alla connettività wire-less del controller ufficiale. Non sarà così, però, almeno al lancio del servizio. C’’è da registrare una parziale marcia indietro del gigante californiano. Google chia-risce, infatti, che il collegamento senza fili del gamepad funzione-rà solo quando utilizzeremo una Chromecast Ultra. In tutti gli altri casi, compreso quando eseguia-mo Stadia da PC, bisognerà colle-gare il controller tramite un cavo USB-C. Uno degli ultimi video pro-mozionali mostra proprio come il gamepad debba essere necessa-riamente collegato con filo al PC e allo smartphone.Google ha dichiarato di avere come priorità la migliore espe-rienza possibile sui TV di casa, vedendo di fatto Stadia come un concorrente di PlayStation 4 e Xbox One. Per questo motivo, l’utilizzo del controller senza fili sarà relegato solo agli utenti che accedono a Stadia su televisore via Chromecast Ultra. Ricordiamo, inoltre, che Stadia non sarà com-patibile con la rete 4G.

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Massimiliano DI MARCO

F are videogiochi è complicato. Crea-re una nuova piattaforma basata su una tecnologia che ha ancora tutto

da dimostrare è al limite del possibile. Se poi il tuo nome è associato a un’enor-mità di servizi aperti e chiusi dopo poco tempo, allora la missione assume con-torni prossimi all’impossibilità. Come ci si può fidare di Google Stadia quando con preoccupante regolarità la società continua a bloccare progetti, lanciati con grande convinzione e poi dimenticati?Google ha annunciato la cessazione della vendita dei visori per la realtà virtuale Daydream (colpa della scarsa popolarità tra pubblico e sviluppatori) e anche del-la videocamera Clips ba-sata sull’intelligenza arti-ficiale. Ma basta andare sul “cimitero di Google”, un sito creato apposita-mente per evidenziare i tantissimi progetti di Big G messi nel dimentica-toio, per capire la portata dei cambi di idea del-l’azienda. Google+ è sta-to uno dei più clamorosi progetti abbandonati, ma ce ne sono parecchi: Google Reader, Inbox, Allo e Chromecast Audio, solo per citarne qualcuno.Google sta ora chiedendo agli utenti e, soprattutto, agli sviluppatori di sposare Stadia ritenendo che sarà lo streaming di videogiochi il futuro del medium. Come fidarsi? La verità è brutale: non si

GAMING Daydream e Clips sono gli ultimi due prodotti “uccisi” da Google. Un cimitero che si allarga...

Il cimitero di Google si allarga. Come ci si può fidare della “rivoluzione” di Stadia?Ora con Stadia la società vuole rivoluzionare il mondo dei videogiochi. C’è da crederle?

può. Se già la storia videoludica ha mo-strato quanto il fallimento sia tristemente popolare (pensiamo a SEGA, uscita dal mxercato hardware dopo il Dreamcast),

Google ha una spada di Damocle gigan-tesca sulla sua testa. Una spada sulla cui lama si legge a caratteri cubitali la flessi-bilità del giro d’affari di Google e la sua costante abitudine a snellire il portafo-glio di servizi attivi. Cambiano le priorità,

lo scenario competitivo si fa più rigido. Così, servizi ritenuti un tempo innovativi passando in secondo piano.

Al lancio, di rivoluzionario ci sarà molto meno del previstoGià al lancio Stadia avrà diverse man-canze se pensiamo a come il servizio era stato presentato a inizio anno: gli smar-tphone compatibili sono soltanto i Pixel; non funzionerà sotto rete 4G e, inoltre, il pad wireless ufficiale non è in realtà molto wireless. Insomma: Stadia sarà poco più di un’esperienza casalinga da TV al momento del lancio, programma-to il 19 novembre anche in Italia; siamo ben lontani dalla rivoluzione promessa lo scorso marzo alla presentazione del servizio. La scommessa di Google è al-tissima: puntare su una tecnologia molto complessa per i videogiochi, a causa di un’esperienza d’uso molto più delicata, e farne la piattaforma del futuro.La latenza, in particolare, è un elemento che deve essere tarato incredibilmen-te bene affinché la giocabilità non ne risenta negativamente. Google ha co-municato di avere la soluzione: “indovi-nare” cosa farà l’utente per anticiparne le mosse e preparare, in un certo senso, la connessione. Al punto che, secondo i suoi ingegneri, entro pochi anni giocare con Stadia sarà più reattivo dell’espe-rienza in locale. Più che i limiti tecnolo-gici intrinsechi nello streaming di video-giochi, però, fa paura la storica capacità di Google di cambiare repentinamente idea. Così se pare difficile che, a meno di roboanti ribaltamenti di mercato, Sony, Microsoft o Nintendo possano staccarsi dal mercato videoludico, l’idea che Google Stadia ci sia ancora fra 5 o 10 anni è tutt’altro che una certezza.

Alcuni dei servizi e dei prodotti che, nel corso degli ultimi mesi, Google ha “ucciso”

PlayStation 5 è ufficiale: uscirà a fine 2020. Il pad avrà feedback aptico e grilletti adattiviPlayStation 5 arriverà in tempo per le feste natalizie del 2020. Confermate novità per il pad: la vibrazione viene sostituita da un sistema di feedback aptico di Pasqale AGIZZASi chiamerà PlayStation 5 e arrive-rà nei negozi “in tempo per le fe-stività natalizie del 2020”. A darne conferma è Jim Ryan, presidente di Sony Interactive Entertainment, che ha svelat alcune caratteristi-che. A differenza della console, il nuovo pad non ha ancora un nome, ma quello che è importante è che cambierà totalmente l’effet-to della vibrazione. Il nuovo con-troller sfrutterà, infatti, la vibrazio-ne aptica che permette di ricevere vibrazioni molto diverse, in termini di forza e durata, a seconda delle situazioni che si creano nel gioco. Oltre al rinnovato sistema di vibra-zione, il nuovo joypad adotterà dei pulsanti dorsali molto diversi da quelli a cui siamo abituati. Con una soluzione che avvicina molto il joypad di Sony a quello di Micro-soft, i tasti L2 e R2 diventeranno grilletti adattivi. Gli sviluppatori potranno scegliere il grado di re-sistenza da dare ai tasti, per simu-lare al meglio l’azione del gioco. Le novità confermate da Jim Ryan seguono la quantità industriale di indiscrezioni che si è sviluppata intorno al nuovo progetto Sony. Quello che è sicuro, è che PlaySta-tion 5 sarà retrocompatibile con i giochi di questa generazione e supporterà il formato fisico.Sicuro l’utilizzo di un disco SSD che promette prestazioni da favola nel caricamento dei titoli. PlayStation 5 dovrebbe, inoltre, supportare la risoluzione 4K con frequenza di aggiornamento di 120 Hz e la tec-nologia ray tracing. Previsto anche il supporto a monitor 8K.

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Massimiliano DI MARCO

L a moderna industria dei videogiochi - al di là di ricavi record a livello mondiale - sta affrontando una serie di situazioni controverse. Tante produzioni vengono

lanciate sul mercato nello stesso giorno, in una lotta com-merciale che può vedere solo un vincitore. Gli episodi di crunch (lunghe sessioni di lavoro, anche 7 giorni alla set-timana, a cui vengono costretti programmatori, disegna-tori e grafici) per rispettare le scadenze sono sempre più frequenti. I costi di produzione, specialmente per i titoli AAA, sono sempre più alti e il costante abbassamento del prezzo medio di vendita dei videogiochi rischia di svalutare il valore percepito del singolo prodotto.Situazioni che al momento sembrano far parte dell’es-senza stessa dell’industria videoludica e che riportano alla mente lo spettro della crisi che ha colpito il settore del 1983. Altri tempi, altro mercato e altri prodotti: fare un confronto diretto non è corretto e sarebbe, anzi, fuor-viante. Per esempio, una delle ragioni che portò alla crisi del 1983 fu un prezzo medio estremamente basso, sì, ma che veniva affiancato anche da una qualità spesso infima dei giochi oltre a un abbondanza esagerata di console e computer da gioco.Eppure, viene da pensare che l’industria videoludica moderna stia andando in una direzione sempre più diffi-cile da sostenere e non soltanto sotto l’aspetto commer-ciale. È davvero così? “Non prevedo crisi paragonabili a quella del 1983, ma un terraforming del sistema. Specie dopo l’ingresso di Google (Stadia) e Apple (Apple Ar-cade), è inevitabile” spiega Matteo Bittanti, professore associato alla IULM, direttore del Master of Arts in Game Design e autore di molti libri sui videogiochi, ultimo dei quali, curato insieme con Enrico Gandolfi, “Giochi video. Performance, spettacolo, streaming”, edito da Mimesis Edizioni.Per una serie di motivi, tra cui la curatela umana della se-lezione di alcuni servizi su abbonamento, anche se ven-duti a pochi euro al mese. “Con Apple Arcade, l’utente - fa notare Bittanti - può accedere, a costi irrisori, a un centinaio di prodotti di alta qualità, selezionati attraver-so una curatela intelligente (umana e non algoritmica), dove il singolo prodotto non rischia di affogare nel mare

GAMING L’industria del gaming sta vivendo situazioni controverse, tra cui frequenti episodi di crunch e la vastità di prodotti sul mercato

I videogiochi vanno verso un’altra grande crisi? Forse no, ma ci sono segnali preooccupanti Primi spettri di una crisi come nel 1983? No, il mercato ormai è immenso. Ma alcune tendenze negative vanno affrontate

magnum di un’offerta strabordante”. Un approccio mol-to diverso, secondo Bittanti, rispetto a Steam, per esem-pio, dove la quantità di contenuti continua a crescere ed è sempre più difficile per un nuovo gioco farsi notare, specialmente per le case di sviluppo più piccole.Bittanti vede anche nelle formule free-to-play (che han-no portato a casi di successo come Fortnite di Epic Ga-mes) qualcosa di positivo definendo il retail tradizionale “anacronistico”. “Possiamo certamente discutere”, va avanti Bittanti, “sulla moralità o legalità del fenomeno [delle microtransazioni] - in alcuni Paesi europei esca-motage che debordano nel gioco d’azzardo, come le loot boxes, sono stati vietati - ma il punto è che il model-lo della vendita del prodotto è solo uno dei possibili ed è ormai in declino”.Anche Steven L. Kent, storico videoludico e autore di libri tematici come “The Ultimate History of Video Games” e “The First Quarter: A 25-Year History of Video Games”, lascia indietro lo spettro della crisi come avvenne del 1983. “L’industria videoludica - spiega - potrebbe fa-cilmente crollare, ma dubito sinceramente che sareb-be per le stesse ragioni che l’hanno fatta crollare nel 1983”. Dello stesso avviso è Valerio Di Donato, CEO del-lo sviluppatore italiano 34BigThings (creatore di Redout e Goat of Duty), che definisce il mercato “inarrestabile”. “Non ci sono le condizioni necessarie per vederlo suc-cedere” spiega. “Dubito vedremo un crollo”. Di Donato parla però di un mercato che “non credo sia sostenibile,

ma è anche il motivo per cui cambia così rapidamente e profondamente”. È responsabilità degli sviluppatori, secondo Di Donato, “cambiare con il mercato il modo in cui affrontiamo lo sviluppo e la pubblicazione, in modo da creare aziende e ambienti sostenibili.” “Sicuramente - va avanti - come abbiamo vissuto la scorsa ‘indiepo-calypse’, qualcuno soffrirà e continuerà a soffrire del-l’andamento del mercato e relative flessioni”.

Tre tendenze dell’industria videoludica che vanno affrontateQuindi tutto in ordine? L’industria dei videogiochi non ha niente di cui preoccuparsi? Non è affatto così e devono essere riconosciute e affrontate una serie di tendenze. Bittanti ne identifica tre in particolare. La prima: i servizi su abbonamento (come Apple, Microsoft o Google) “de-vono migliorare la modalità di accesso ai prodotti, pun-tando sulla qualità e non sulla mera quantità”.La seconda: la forma stessa del videogioco sarà più flui-da. “Fenomeni di interactive fiction come Black Mirror: Bandersnatch diventeranno più frequenti” prevede Bit-tanti. “L’esperienza di gioco verrà declinata in molte più modalità rispetto a oggi. La figura del narrative designer acquisirà una sempre maggiore importanza nei proces-si di creazione dei contenuti.”Infine, la terza questione: ci sono tantissimi giochi sul

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

mercato, forse troppi. “L’offerta è straripante, ma come avviene per la televisione, oggi ci sono troppo recinti” sottolinea. Le esclusive resteranno fondamentali per le singole piattaforme, sostiene Bittanti, ma con l’affermar-si di nuovi modelli di distribuzione, come lo streaming, “quello che conterà maggiormente è l’aggregatore di contenuti che è in grado di offrire un catalogo diversifi-cato, che si rivolge a pubblici differenziati”. Servizi che si differenziano per la selezione tematica (sport, indie, blockbuster), come accade, per esempio, per le scelte musicali delle radio.Un filtro di qualche genere per arginare l’enorme flusso di prodotti nei negozi, invece, non è nei pensieri di Di Donato. “È ironico - sostiene - pensare ora a sistemi di filtraggio, dopo decenni di lotte per decentralizzare e liberalizzare la produzione e pubblicazione del me-dium.” Anzi, per il CEO di 34BigThings il nocciolo della questione non è la quantità del contenuto. “Il problema sta lentamente spostandosi - spiega - verso ‘c’è troppo contenuto di qualità’ e quindi anche il nostro medium in realtà scende a combattere due battaglie: quella del tempo (o dell’attenzione) e quella della visibilità”.“Il mercato si bilancerà da solo” ritiene Kent, che porta

l’esempio di Goldeneye 007, gioco per Nintendo 64 lanciato sul mercato nel 1995. “Il periodo natalizio e l’inizio dell’estate erano le uniche volte in cui usciva-no i titoli AAA. Fino a che non sono diventati troppi. Allora Nintendo ha scommesso su un lancio fuori sta-gione con Goldeneye, anziché provare a competere in questo chiasso. Ora i titoli AAA escono anche fuori stagione”. I crunch fanno solo male: “Modalità di lavoro brutali, livelli di stress altissimi”Ci sono, poi, un’altra serie di tendenze non commercia-li, ma legate al mondo dei videogiochi sotto l’aspetto sociale e lavorativo. Per esempio, la disparità di gene-re, l’ostacolo alla formazione di sindacati (ultimo in or-dine cronologico, il caso di ustwo games, creatori di Monument Valley) e i ritmi e le modalità di lavoro, che secondo Bittanti oggi “restano brutali, con un turnover e livelli di stress altissimi”.Una visione negativa con cui concorda Di Donato, se-condo cui il crunch è “probabilmente il primo nemico comune”. “Il videogioco, come medium culturale, ha bi-sogno di essere liberato da alcune catene ideologiche. Il crunch, inteso come standard di ultra lavoro, lungo anni, in aziende troppo grandi per capire il problema, deve essere debellato”. “L’industria videoludica, come Hollywood, è diventata troppo aziendale” secondo Kent. “Troppi colletti bianchi hanno troppo controllo

di Sergio DONATO

R azer ha annunciato la prima tastiera ottica per laptop, che si preannuncia veloce e durevole, dimostrandosi

quindi il complemento adatto per un com-puter dedicato ai videogiochi, ma non solo. L’azienda californiana si fa forte del suo annuncio, dichiarando che la tastiera ad azionamento ottico del suo Razer Bla-de 15 (nella versione “Advanced Model” con scheda grafica GeForce GTX 2070), è la prima al mondo che usa la luce come metodo di azionamento su un laptop.Una tastiera meccanica tradizionale uti-lizza l’elettricità per capire quando un tasto viene premuto e per farlo si serve del metallo per chiudere o aprire il cir-cuito che viene interpretato come “pres-sione sì” o “pressione no”. Una tastiera ad azionamento ottico utilizza invece la luce come metodo di azionamento. Per la precisione, un fascio di luce infraros-sa che, se interrotto dalla pressione del tasto, determina la chiusura del circuito dando vita alla lettera premuta. L’uso del-l’infrarosso è essenziale se si vuole man-

tenere anche l’illuminazione RGB dei tasti, dato che la luce RGB e l’infrarosso hanno frequenze che non si disturbano vicendevolmente. La tecnologia ad azio-namento ottico è in vita da circa due anni, e lo scorso anno Razer aveva già realiz-zato una tastiera ottico-meccanica per PC desktop, la Huntsman Elite. Le man-cava però una tastiera per la sua linea di PC portatili affini al gaming. Il principio di funzionamento è esattamente lo stesso ma riprogettato e sviluppato per uno spessore decisamente più ridotto, come quello di una tastiera che deve ritagliar-si uno spazio nel corpo di un computer portatile. Abbiamo indicato la tastiera di Razer come “ottico-meccanica” proprio perché non vuole rinunciare alla sensa-zione tattile e sonora del tasto premuto. Infatti, è comunque dotata di una strut-tura meccanica che permette all’utente di sentire sotto i polpastrelli e ascoltare il suono del “clic” dei tasti premuti, al fine di restituire quella esperienza di digita-zione tipica delle tastiere meccaniche, così diversa da quelle a membrana.

Nessuna ossidazione, ma la polvere?Grazie alla tecnologia ottica, il punto di azionamento è di un solo millimetro, mentre la struttura meccanica richiede solo 55 grammi di pressione. Razer ab-bina queste caratteristiche alla velocità di esecuzione dei comandi e all’utilizzo del laptop Blade 15 con i videogiochi, che chiedono rapidità all’esecuzione dei comandi da tastiera. Tuttavia, la tecnolo-gia ottico-meccanica per le tastiere può trovare altri usi e offrire nuove garanzie. Pensiamo per esempio alla velocità di di-gitazione promessa dalla tecnologia che

GAMING Dopo la tastiera ottico-meccanica per desktop, Razer usa la luce anche nei tasti del laptop Blade 15, ma per farli funzionare

Razer annuncia la prima tastiera ottica su laptopL’azionamento dei tasti avviene grazie all’interruzione di un fascio di luce infrarossa. Il complemento adatto per un pc gaming

GAMING

I videogiochi verso un’altra crisi?segue Da pagina 21

sui creativi. Non è per forza un male: SEGA si circondò di creativi e non è finita bene. Serve un bilanciamento, ma i burocrati tendono a radunarsi con altri burocra-ti”. Il risultato è che “grosse aziende come Activision ed EA pubblicano montagne di giochi troppo simili ad altri: Rock Band e Guitar Hero; Skate e Tony Hawk; Go-dfather e GTA”. Kent parla poi del fenomeno “loot box” e microtransazioni. “Non sono l’invenzione di game designer e sono un cancro per l’industria” dice.In futuro gli smartphone sostituiranno le console, pre-vede Kent. “È praticamente inevitabile, man mano che gli smartphone diventeranno sempre più potenti”, commenta. “Arriverà un giorno in cui puoi usare il tuo smartphone come una console collegandolo alla tua smart TV. Detto ciò - conclude - non sarebbe un collas-so dell’industria videoludica. Sarebbe soltanto un’altra evoluzione”.

può non essere ricercata solo dai video-giocatori. Ma, soprattutto, una tastiera senza parti metalliche negli interruttori dei suoi tasti equivale a una tastiera che non accuserà mai alcuna ossidazione delle stesse. Significa avere una tastiera, sulla carta, più resistente, almeno al pas-sare del tempo. Di contro, se escludiamo la parte meccanica, una tastiera ottico-meccanica potrebbe incontrare una diffi-coltà maggiore nella riparazione in caso di guasto degli emettitori del fascio di luce infrarossa, o potrebbe dimostrare di essere sensibile ai detriti che potrebbe-ro interrompere il segnale di luce.

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Roberto PEZZALI

S i chiama Canon Visions from Europe ed è un pro-getto che ha portato 28 studenti di fotografia da 28 Paesi diversi per raccontare Matera, Capitale

della Cultura Europea 2019, sotto occhi diversi. Non la classica foto ai “Sassi”, la Matera che tutti conosciamo, ma un racconto inedito.Per farlo i 28 fotografi si sono serviti di una serie di ca-mere mirrorless Canon EOS R e le 250 fotografie che hanno scattato, al termine della mostra visitabile gratui-tamente presso il Museo della Fotografia Pino Settanni fino al 22 ottobre di quest’anno, saranno donate all’Ar-chivio della Città di Matera.Anche noi ne abbiamo approfittato per guardare Ma-tera con un occhio diverso, quello della nuova mirror-less Canon EOS M6 Mark II. Canon ci ha lasciato per un giorno la nuova fotocamera annunciata di recente e nel tempo che abbiamo avuto ci siamo concentrati nel capire come si comporta il nuovo sensore da 32 mega-pixel che Canon ha usato su questa mirrorless e sulla 90D. La M6 Mark II, se guardiamo al design, è molto simile al modello precedente: compatta, pesa poco, ha un ottimo grip e sicuramente non è una fotocamera che disturba.La scusa “uso lo smartphone perché la fotocamera è ingombrante” con la M6 non regge. Come per tutte le altre mirrorless, tuttavia, l’ingombro è legato esclusiva-mente all’obiettivo che si vuole utilizzare: noi abbiamo usato l’ottica in kit, il compatto e retrattile 11-22, ma i migliori risultati anche in termini di risoluzione si otten-gono usando ottiche di ben altro livello e l’ingombro inevitabilmente sale.Rispetto a molte altre fotocamere Canon, in termini di mobilità, abbiamo apprezzato una cosa soprattutto: la presenza di una USB Type C che può essere usata an-che per ricaricare la fotocamera con il caricatore di uno smartphone compatibile. Comodo quando si va in giro, soprattutto con una mirrorless che consuma inevitabil-mente di più di una reflex. L’abbiamo ricaricata in pausa pranzo, senza problemi, usando lo stesso caricatore

FOTOGRAFIA Abbiamo scattato qualche foto con la nuova compatta mirrorless Canon EOS M6 Mark II da 32 megapixel

Canon EOS M6 Mark II, ecco come scatta le foto L’abbiamo messa alla prova tra le vie di MateraCompatta, ottima qualità e grande autofocus, con un occhio ai vlogger: la ripresa senza crop del sensore è una bella novità

dell’iPad Pro. Il sensore da 32 megapixel su un APS-C poteva lasciar pensare ad una resa penalizzante ad alti iso; invece si tratta di un dual pixel che si comporta esattamente come quello da 24 megapixel in termini di rumore sopra i 1600 iso. Ovviamente c’è il beneficio e vantaggio della maggiore risoluzione di partenza.In termini fotografici la qualità che più abbiamo apprez-zato della M6 Mark II è la velocità di scatto: 14 fps con autofocus continuo e ci sono serviti per scattare la foto delle frecce tricolori che hanno fatto un passaggio su Matera per festeggiare la liberazione della città il 21 set-tembre 1943.Come sulla G7X Mark III c’è anche una opzione “RAW burst” che arriva a 30 fps e ha un pre-buffer: la mac-china inizia a memorizzare fotogrammi non appena si sfiora l’otturatore e questo aiuta a non perdere l’attimo durante lo scatto sportivo.L’autofocus ci è sembrato molto buono, non perfetto in tutte le occasioni ma sicuramente al livello della concor-renza. L’utilizzo di un sensore dual pixel ha un vantaggio notevole: il sistema autofocus lavora in modo simile a quello delle reflex, dove c’è un sensore di fase dedica-to, e sulla nuova EOS M6 Mark II per la prima volta ha una copertura del 100% verticale e dell’88% orizzonta-le usando determinati obiettivi. Un sistema di messa a fuoco che ha funzionato perfettamente anche quando

abbiamo cercato di mettere a fuoco un gatto la sera, sotto la luce di un lampione, o un soggetto in penom-bra agganciando il volto: arriva fino a -5EV. C’è anche il rilevamento dell’occhio basato sul machine learning, che funziona anche con un soggetto in movimento e in modalità Servo AF mentre teniamo la raffica a 14 fps. Matera, con i suoi ritmi piuttosto lenti, non era forse il posto ideale per provare la messa a fuoco continua con rilevamento degli occhi e del volto ma un’idea, in molti casi, ce la siamo comunque fatta. Crediamo di essere davanti ad un eccellente sistema AF per una macchina così compatta.

La Canon EOS M6 Mark II strizza l’occhio ai vloggerLa M6 Mark II, per le sue dimensioni e la sua particolare ergonomia, diventa però una soluzione interessante an-che per chi deve registrare video. Il sensore con messa a fuoco dual pixel è una scelta affidabile per i vlogger e la stessa cosa si può dire per lo schermo orientabile, che si gira di 180° direttamente verso il soggetto che si auto-riprende. Purtroppo, se si utilizza il mirino ocula-re esterno (o un microfono) da agganciare nella parte superiore, il monitor perde questa possibilità quindi si deve fare una scelta, o uno o l’altro. Per i video la novità principale è l’arrivo di una modalità di ripresa 4K senza crop da parte del sensore, che lavora a 24-25 o 30p, e la stessa cosa vale anche per il 1080p a 60 fps. Seb-bene il 4K non sia ancora il formato preferito dai Vlog-ger, troppo il tempo richiesto per editing ed encoding, il 1080p a 60 fps usando il piano sensore, quindi con la possibilità di sfruttare al meglio l’obiettivo montato, è un vantaggio non da poco. Manca tuttavia la presa per le cuffie, e sarebbe stato bello poter usare un adattatore da USB Type C a cuffie per avere un sistema comple-to, almeno in ambito video. Nel complesso la EOS M6 Mark II è un bel giocattolo, passateci il termine. Una macchina piccola e affidabile capace di destreggiarsi tra video e foto, anche quando serve rapidità di scatto e risoluzione.

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Sergio DONATO

N ikon ha annunciato la Z50, la prima mirrorless compatta della casa nip-ponica in formato DX, quindi con

sensore APS-C da 20 MP, che però è in grado di accogliere gli obiettivi con il nuo-vo attacco Z. Il sensore ha assorbito gli in-segnamenti di quello della D500 dal qua-le sembra derivare con le ovvie migliorie. Si tratta di un CMOS retroilluminato da 20,9 megapixel che lavora insieme al pro-cessore d’immagine EXPEED 6 riuscendo a spingere la sensibilità della macchina fino a 51.200 ISO. Il sistema Hybrid-AF dispone di 209 punti che coprono circa l’87% del sensore in orizzontale e l’85% in verticale. La Z50, inoltre, è la prima came-ra DX a servirsi dell’Eye-Detection AF che è in grado di mettere a fuoco gli occhi del soggetto anche in mezzo a una folla.La Z50 è capace di una raffica di 11 fps con AF continuo ed esposizione automa-tica AE, che scende a 5 fps in modalità live view. L’acquisizione video compren-de il 4K a 25/30p con crop a 1,5 e senza crop per il FullHD che arriva anche a 120p

per le riprese rallentate. La Z50 non dispone di uno stabilizzatore interno. Il mirino ottico è un OLED da 2,36 milioni di punti e l’LCD posteriore, da 3,2” e 1,04 milioni di punti, può essere inclinato di 90° verso l’alto e di 180° solo verso il basso: ciò potrebbe rendere gli scatti e le riprese selfie un po’ complicate con un cavalletto. Ha una singola porta per la SD, compatibile con schede UHS-II, mentre la ricarica è affidata a una Micro USB. La batteria è una EN-EL25 che do-vrebbe garantire una vita stimata di 300 scatti per ricarica. Il corpo è piccolo, ma ha una maniglia pronunciata, e pesa 397 grammi con la batteria. Molto apprezzata la presenza dell’ingresso jack da 3,5mm per un microfono esterno. Non c’è però un’uscita cuffia, ma c’è la micro HDMI. Le connessioni wireless prevedono Wi-Fi e Bluetooth, che trovano la sponda ell’app Nikon SnapBridge. Affidandosi all’attacco a baionetta Z che ha prodotto finora obiet-

tivi full frame, Nikon ha pensato bene di lanciare anche nuove lenti NIKKOR Z DX, che si adattano al sensore APS-C. Si tratta dello zoom NIKKOR Z DX 16-50 mm f/3.5-6.3 VR con distanza minima di messa a fuoco di 20 cm e con la stabilizzazione ottica VR integrata. C’è poi il teleobietti-vo zoom compatto NIKKOR Z DX 50-250 mm f/4.5-6.3 VR, sempre stabilizzato e con messa a fuoco minima di 50 cm.La presentazione della Nikon Z50 è previ-sta per il 25 ottobre, mentre per la dispo-nibilità (dati italiani non ufficiali) potrebbe essere necessario attendere novembre. Il prezzo, anch’esso non ufficiale, della Nikon Z50 con l’obiettivo 16-50mm do-vrebbe aggirarsi intorno ai 1.000 euro.

FOTOGRAFIA Primo viaggio nel mondo APS-C per Nikon con la Z50. Presentazione il 25 ottobre

Nasce la prima piccola mirrorless Nikon in formato DX: attacco Z e registrazione in 4KLa sfida è con Canon, Sony e Fujifilm nel settore delle piccole ma prestanti mirrorless

La mirrorless Olympus OM-D E-M5 Mark III è la Micro 4:3 più vicina al professionismoLa E-M5 Mark III prende sensore, AF e video della E-M1 Mark II, diminuendo la distanza dalla fotografia professionistica di Sergio DONATO

Olympus presenta la OM-D E-M5 Mark III, che condivide il sensore da 20 MP, il sistema di messa a fuoco automatico e l’acquisizione 4K dell’ammiraglia E-M1 II. Olympus si affida a un sensore Mi-cro 4:3, ma se la E-M5 II ne monta-va uno da 16 MP, la E-M5 III passa a un Live MOS da 20,4 MP accom-pagnato dal processore TruePic VIII già visto sulla E-M1 II. Anche l’AF della E-M5 III utilizza un autofo-cus a rilevamento di fase integrato con 121 punti a croce. Inoltre, l’au-tofocus “collabora” con la raffica di scatti di 10 fps in modalità AF/AE (30 fps senza AF continuo). E-M5 III è dotata anche di funzio-ni di scatto quali il Live Composite e il Pro Capture. Infine, Olympus presenta una versione aggiornata del Tripod High Res Shot, cioè la tecnologia di Pixel Shift che sposta il sensore con incrementi di 0,5 pixel mentre effettua 8 scatti in se-quenza, e che vengono poi riuniti in un’unica fotografia ad alta risolu-zione equivalente a 50 megapixel (solo con uno stativo). L’acquisizio-ne video è la stessa della E-M1 II o della E-M1X, quindi filmati stabiliz-zati su 5 assi in 4K/30 fps. Sarà di-sponibile da metà novembre a un prezzo di listino per il solo corpo in 1.199 euro. Previsto già un kit con l’obiettivo M. Zuiko Digital ED 12-40 F2.8 PRO a 1.899 euro.

di Sergio DONATO

Sony sta per presentare due nuovi sensori d’immagine che potreb-bero dare una scossa al settore.

Si tratta di un sensore dotato di 3 strati organici fotoconduttivi che non avrà biso-gno di demosaicizzazione dell’immagine e di un sensore da 48 MP che, secondo Sony, sarà il “primo CMOS al mondo” che dedicherà tutta la superficie del sensore al rilevamento di fase. Il vantaggio di ave-re più strati fotoconduttivi organici si tra-muta nella possibilità di avere un’ampia gamma dinamica dell’intensità della luce. L’anno scorso, Panasonic ha presentato un prototipo di camera professionale 8K con un sensore organico che raggiunge i 16 stop di gamma dinamica. I nuovi sen-

FOTOGRAFIA Sony sta per presentare due nuovi sensori d’immagine.In arrivo una scossa al settore?

Sensore con tre strati organici e uno con tutti i pixel a rilevamento di fase: così Sony cambierà la fotografiaAnticipazioni di un sensore con tre strati fotoconduttivi, uno per colore e senza demosaicizzazione

sori Sony non dovranno neppure demo-saicizzare l’immagine nei tre colori rosso, verde e blu, perché i tre strati organici so-vrapposti avranno ognuno un colore de-dicato. Uno strato per il rosso, uno per il verde e uno per il blu. Oggi i sensori sono coperti da un filtro chiamato “bayer” fisi-co che copre ogni singolo pixel con un singolo colore ed è solo nella fase chia-mata demosaicizzazione, che tramite un calcolo matematico viene assegnato ad ogni singolo pixel il suo valore cromatico usando anche i pixel circostanti. Sony ha in cantiere anche un CMOS Quad-Bayer da mezzo pollice e 48 MP da 0,8µm all-PDAF, nel quale tutti i pixel dedicati al ri-levamento di fase dovrebbero coprire il 100% del sensore. Il rilevamento di fase

(PDAF) è un sistema passivo di messa a fuoco automatica che soffre in modo particolare della mancanza di luce della scena. La tecnologia di Sony promette di avere raggiunto un livello minimo di lumi-nosità catturata di 1 lux per ogni pixel. Il sensore a tre strati organici e quello “all-PDAF”, potrebbero confluire anche nel mercato consumer, magari fondendosi in un’unica soluzione.

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di R. PEZZALI, V.R. BARASSI

Con il solito appuntamento estivo, anche quest’an-no Samsung ha lanciato sui mercati la nuova ge-nerazione di smartphone Galaxy Note, disponibi-

le nelle due varianti Note 10 (anche 5G) e Note 10+; a cavallo della presentazione ufficiale vi abbiamo parlato delle impressioni a caldo, ma solo dopo un mese di prova possiamo effettivamente esprimere un giudizio completo. Abbiamo deciso di concentrare le nostre at-tenzioni sul Galaxy Note 10+, ossia il dispositivo che più incarna la “filosofia Note”. A margine troverete anche un box che parla della versione più piccola, comunque molto simile nel concetto: cambiano ovviamente alcune caratteristiche e andremo ad analizzare le differenza. La confezione di ve ndita è minimal ma allo stesso tempo abbastanza elegante; oltre al dispositivo, vi sono il cari-catore rapido da 45W, cavo USB-C / USB-C e un paio di cuffie AKG con filo anti-groviglio che suonano in manie-ra decisamente egregia. Le cuffie si collegano tramite il connettore USB-C poiché lo smartphone non presenta il jack da 3,5mm; manca in confezione l’adattatore tra i due formati, mancanza a cui in futuro - nel settore in questione - sarà sempre più facile abituarsi.

Maestoso e rifinito con cura: la qualità c’è tutta, si vede e si toccaChe Galaxy Note 10+ sia un dispositivo realizzato a regola d’arte lo si nota dal primo momento il cui lo si estrae dalla confezione di vendita: lo smartphone im-pressiona per solidità e finitura, la qualità dei materiali si percepisce sia alla vista che al tatto e difficilmente un utente potrebbe chiedere di più. È facile definire Gala-xy Note 10+ come un “grosso telefono di vetro” poiché proprio di questo si sta parlando: c’è Gorilla Glass 6 curvo sia davanti che dietro e tra i due grandi vetri è in-terposto un frame in alluminio. Il peso complessivo è di 196 grammi, che si sentono tutti ma che risultano egre-giamente distribuiti su tutta la scocca: le dimensioni di 162,3 x 77,2mm, nonostante un display da 6,8 pollici che copre il 91% del frontale, sono pressoché sovrapponibili

TEST Il più grande degli smartphone Samsung arriva sul nostro banco di prova e non fa sconti, nemmeno per il prezzo salato

Un mese insieme a Samsung Galaxy Note 10+ Un gioiello in doppio formato. Recensione completaGalaxy Note 10+ è un prodotto premium pensato per chi cerca il massimo in ogni situazione. I compromessi sono davvero pochi

a quelle di Galaxy Note 9 dello scorso anno (display da 6,4 pollici), con lo spessore di 7,9 mm che è addirittura inferiore di 0,9mm rispetto al predecessore. La nanoSIM si inserisce nel carrellino installato presente nella parte alta del dispositivo e, volendo ma sacrificando lo spazio per la microSD (fino a 1 TB), si può inserirne pure una se-conda (è un telefono dual-SIM). Lo smartphone è certifi-cato IP68 quindi non presenta problemi nell’immersione

fino a 1,5 metri di profondità per mezzora; in maniera tutt’altro che volontaria abbiamo anche potuto appurare le caratteristiche di resistenza del dispositivo: caduto da circa mezzo metro d’altezza, praticamente “di schermo”, è sopravvissuto e se l’è cavato solo con un paio di graffi sul metallo. Non fatelo a casa, potreste non essere così for-tunati. Samsung ha deciso di riproporre la fotoca-mera frontale incastonata nel display e la soluzione ci pare adeguata alla tipologia di dispositivo; può piacere o meno ma le alternative, al giorno d’oggi, non sono poi così tante. Molto bella invece la soluzione

adottata per nascondere la cuffia auricolare: ad occhio nudo, a distanze umane, non si vede ma possiamo as-sicurare che è presente una minuscola feritoia lunga un paio di centimetri e spessa (forse) mezzo millimetro proprio al confine tra schermo e scocca. Il bilanciere del volume e il tasto di blocco/sblocco/Bixby sono tutti sul lato sinistro e a questa caratteristica si fa un po’ più fati-ca ad abituarsi; di solito il tasto principale è posizionato sul lato destro e cercarlo sul lato opposto non è così immediato. Nella porzione inferiore dello smartphone, sulla destra, è presente l’alloggiamento per la nuova S Pen, vi è l’altoparlante principale e non manca la già ci-tata porta USB-C.

Display luminosissimo, ma non è perfettoLo schermo del Note 10+ è senza alcun dubbio uno dei migliori schermi che si possano desiderare su uno smartphone. L’OLED ha un contrasto eccezionale, ac-compagnato anche da una luminosità super. Probabil-

Samsung Galaxy Note 10+IL NOTE CHE PIÙ SI AVVICINA AL GALAXY S MENO MALE CHE S PEN RESISTE

1.129,00 €

Quelli che in origine dovevano essere prodotti destinati ad un pubblico molto diverso, con gli anni, si sono avvicinati sempre di più. I nuovi Galaxy Note ormai strizzano solo l’occhio ai professionisti e cercano di accaparrarsi il consumatore medio con scelte tecniche e di stile che potrebbero far storcere il naso ai primissimi estimatori della serie. Lo smartphone è al top per quanto concerne le specifiche, è indubbiamente molto bello alla vista (ma anche piacevole al tatto), ha una buonissima fotocamera (è la stessa del Galaxy S10) e la batteria fa sì che si riesca ad arrivare a sera. L’unico vero valore aggiunto resta S Pen che, per quanto leggermente migliorato (era già ottimo), sembra però sempre meno al centro dell’idea Note. Galaxy Note 10 Plus costa 1129 euro ma con 100 euro in più ci si può portare a casa la versione 5G, esclusiva TIM e Vodafone.

Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo

10 8 9 8 7 78.5COSA CI PIACE COSA NON CI PIACEQualità costruttiva al topS Pen può far ancora la differenzaInterfaccia grafica completa e personalizzabile

Sensore di impronte non eccellenteLa ricezione non ci ha convinto del tuttoPoteva essere 5G già nella versione “base”

lab

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

mente ci troviamo davanti all’OLED più luminoso sul mercato (1098 nits con finestra 1%), perfettamente visi-bile anche all’aria aperta e sotto il sole con un filtro che abbatte i riflessi molto efficace. Purtroppo, per quanto il materiale di partenza sia eccellente, la calibrazione non è impeccabile: la modalità “vivida” restituisce una gamma cromatica molto carica ma se si guarda oltre il puro impatto qualche cosa da correggere c’è. I colori sono saturi, troppo, anche a bassa luminosità e i neri a tratti sembrano mangiare qualche dettaglio, lo si può vedere soprattutto con i film a luci spente. Se si prende poi l’HDR, ad esempio da Netflix, la curva del gamma è gestita abbastanza male e chiude molto sugli scuri con la tendenza a sovraesporre le alte luci. Si tratta ovvia-mente di piccolezze, ma se siamo davanti a quello che è il miglior schermo mai fatto per uno smartphone ci sen-tiamo in dovere di essere un po’ più critici che con altri schermi. Dopo l’attenta analisi del pannello Dynamic AMOLED è giusto spendere qualche parola anche sul sensore di impronte digitali integrato nel display. Negli ultimi mesi abbiamo avuto la fortuna di provare diversi sistemi analoghi e quello di Samsung è forse quello che meno ci ha soddisfatto; sarebbe un’eresia affermare che funzioni male, ma ci sarebbe piaciuto apprezzare un piz-zico di reattività in più per quanto concerne lo sblocco dell’impronta principale, così come anche una maggiore precisione nello sblocco relativo alle dita “secondarie”. Insomma, per quello che costa il dispositivo, si poteva forse fare meglio.A causa della dimensione e della forma del display Samsung non ha previsto alcun LED di notifica, ma se questo può fa storcere il naso ad alcuni utenti è bene anche ricordare che lo smartphone dispone di un’otti-ma modalità Always-on-Display (display sempre attivo), altamente personalizzabile, che permette di sopperire egregiamente a questa mancanza. Da segnalare la grande rapidità con cui il dispositivo risponde all’estra-zione di S Pen: anche a schermo spento, tirando fuori il pennino, si è immediatamente pronti per prendere

qualsiasi tipologia di appunto; riponendo S Pen nel suo alloggiamento la nota vie-ne salvata e lo schermo si spegne (o torna alla modalità AOD).

L’Exynos va forte e non fa rimpiangere lo Snapdragon 855Anche con Galaxy Note 10+ Samsung ha deciso di proseguire con la sua politica di differenziazione in base ai mercati; in zona EMEA (Europa, Medio Oriente ed Africa) e nei Paesi dell’America Latina lo smartphone in questione viene commercializzato con il SoC Exynos 9825 fatto in casa (provvisto di CPU octa core) e realizzato con processo produttivo a 7nm, mentre nel resto del mondo è vendu-to con il SoC Snapdragon 855 di Qualcomm. La scelta sembra non svantaggiare né l’una né l’altra versione poiché i due chip hanno pressoché la stessa capacità di calcolo: Galaxy Note 10+ è uno smartphone velocis-simo, che si innalza di diritto ai vertici della categoria e che mai, in diverse settimane di utilizzo, ha mostrato in-certezze o instabilità di sorta. Installare 12 GB di RAM a bordo è stata probabilmente la scelta più azzeccata che Samsung potesse fare, soprattutto in un periodo in cui è tornato di moda parlare di “obsolescenza programma-ta”; altra scelta molto sensata è stata quella di dotare lo smartphone di una rapidissima memoria fisica UFS 3.0 da 256 GB totali (in commercio c’è anche la versione da 512 GB), capace di velocità in lettura e in scrittura davve-ro impressionanti (rispettivamente 1500 e 600 MB/s). La GPU Mali-G76 MP12, infine, dona tutte le soddisfazioni del caso quando si tratta di eseguire impegnativi gio-chi 3D. Volendo trovare il pelo nell’uovo crediamo che il dispositivo sarebbe stato davvero perfetto, parlando di prestazioni assolute, con un pannello da 90Hz; difficile che un utente “medio” si accorga dei sottili benefici do-nati da un refresh rate più alto, ma un occhio attento può notare questa “finezza”. Probabilmente con un display così risoluto sarebbe stato davvero difficile non andare ad impattare sui consumi

OneUI 1.5 completa, S Pen promossa come sempre (ma nessuna rivoluzione)Galaxy Note 10+ è uno smartphone basato su Android

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Un mese con Samsung Galaxy Note 10+segue Da pagina 25

9.0 Pie aggiornato con le patch di sicurezza rilasciate in questo settembre 2019; l’interfaccia grafica proprie-taria One UI 1.5, tra tutte quelle presenti sul mercato, è probabilmente quella che meglio si adatta alle esigenze degli utenti, risultando completa ma, allo stesso tempo, senza andare ad appesantire eccessivamente il sistema operativo alla base. L’utente medio ne sarà entusiasta, mentre quello un po’ più smaliziato potrebbe trovarla anche troppo eccessiva. Grazie al Galaxy Store è pos-sibile personalizzare con estrema semplicità il tema e le icone di sistema, sfruttando sia contenuti gratuiti che a pagamento, così come si può personalizzare il Launcher e la dimensione della griglia delle applicazioni; è possi-bile optare per temi scuri, i quali ben si sposano con le caratteristiche del display.Su un lato del display curvo, posizionabile a proprio pia-cimento, è previsto un pannello personalizzabile che si attiva con uno swipe verso il centro del display; effet-tuando questa operazione appare un menù con alcune funzioni utili e dal quale si può avere facile accesso ad applicazioni (anche per aprirne due contemporanea-mente a schermo diviso), contatti, social, meteo, funzioni di S Pen, appunti o strumenti vari. Non è una caratte-ristica che sconvolge l’esperienza d’uso ma a volte fa comodo. Interessanti ma, anche in questo caso, tutt’al-tro che emozionanti le Air Actions con cui Samsung ha voluto arricchire il bagaglio di possibilità d’uso della rinnovata S Pen: attivate dalle impostazioni è possibile

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

sfruttare semplici movimenti del pennino per effettuare operazioni come il cambio di fotocamera o l’aumento del volume, così come lo swipe tra le fotografie presenti nella galleria di sistema. Detto questo, S Pen rimane un valore aggiunto se inserito in questa tipologia di prodot-to: funziona benissimo, è pratico e facilita anche l’utilizzo della fotocamera. Poter scattare un selfie premendo il tastino su S Pen, per le nuove generazioni, può contare più di tutto il resto.Come di consueto, Samsung porta sui suoi smartpho-ne una vasta gamma di applicazioni proprietarie che arricchiscono l’esperienza d’uso e rendono più fruibile il dispositivo: Samsung, Health, Samsung Pay, Samsung Pass, Bixby, SmartThings, Galaxy Wearable, PenUp e Misurazione Rapida sono solo alcuni esempi. Presenti anche le applicazioni della suite Office. Anche in questo caso vale lo stesso discorso fatto in precedenza: nono-stante “l’abbondanza”, non si ha mai la sensazione di un dispositivo troppo carico. Da segnalare l’ottimo sistema di riconoscimento del volto: non è raffinato - e proba-bilmente anche neanche “sicuro” - come altri sistemi analoghi, ma lo sblocco con il viso avviene in maniera istantanea. Da utilizzare in combinazione con il sistema di riconoscimento delle impronte digitali. Sempre molto interessante, anche se senza novità significative, la mo-dalità Samsung DeX per trasformare lo smartphone in un PC desktop.

TEST

Un mese con Samsung Galaxy Note 10+segue Da pagina 26

La fotocamera era (e resta) un riferimentoLe fotocamere del Note 10 sono so-stanzialmente quelle del Galaxy S10 con due sole modifiche: la camera frontale ha una lente leggermente meno luminosa, f/2.2 contro gli f/1.9 di S10, mentre la lente tele è al con-trario più luminosa, f/2.1 al posto di f/2.4. Il vantaggio è un tempo di posa ridotto quando si usa la focale più spinta, e ne beneficiano soprattutto i ritratti interno. Come sono le fotoca-mere? Erano eccellenti su S10 e re-stano eccellenti su Note 10: Samsung non ha apportato alcuna modifica al comparto camera perché non ne aveva bisogno, resta al vertice della categoria. Il sensore principale con doppia apertura regala foto ben bi-lanciate in ogni condizione, e di notte la modalità dedicata allo scatto con poca luce si difende bene anche se non è al livello di quella dei Pixel di Google. Talvolta, quando ci si affida alla selezione scene automatica, l’im-magine perde un pizzico di naturalezza, ma è lo scotto da pagare quando si lascia fare tutto ad un sistema che è stato programmato per creare fotografie dove il colpo d’occhio è più importante dell’accuratezza. Insieme ai nuovi iPhone, al Pixel di Google e al P30 Pro di Huawei il Note 10 (e anche il Galaxy S10) compongono oggi l’olim-

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po delle smartphone-camere. Ognuna con i suoi pro e i suoi contro: il Note, volendo essere precisi, si pone a metà tra l’immediatezza e la semplicità dei Pixel e de-gli iPhone e la complessa versatilità di un Huawei P30. Samsung, oltretutto, dispone anche di un completissimo editor fotografico che permette di agire su ogni parame-tro e che permette di trasformare una foto rendendola davvero accattivante, ma bisogna saperlo usare perché le opzioni che si possono controllare sono tantissime.

Ricezione così così, autonomia più che sufficienteGalaxy Note 10+ è anche un buon telefono, anche se certamente c’è chi riesce a spiccare maggiormente sot-to il profilo prettamente telefonico. La ricezione, innanzi-tutto, non è eccezionale e lo smartphone soffre partico-larmente i cambi di celle: la chiamata difficilmente cade ma, nelle zone “critiche”, qualche istante di incertezza lo si può facilmente apprezzare. Fa da contraltare la qua-lità delle chiamate: la capsula auricolare, pur essendo decisamente striminzita, assicura un’ottima resa e an-che chi ascolta non rimarrà mai deluso. Tecnicamente lo smartphone è assolutamente completo: Wi-Fi 802.11 a/b/g/n/ac/ax dual-band (Wi-Fi 6), Wi-Fi Direct, Bluetooth 5.0 LE, aptX, NFC, GPS con GLONASS e supporto BDS/GALILEO. Manca la radio FM. Per quanto concerne l’autonomia, lo ammettiamo, ini-zialmente ci siamo un po’ spaventati: nei primi giorni di utilizzo lo smartphone ha sempre fatto molta fatica ad ar-rivare ad ora di cena ma con le settimane l’autonomia si è stabilizzata su un livello più che sufficiente. La batteria da 4300 mAh, considerando la potenza del dispositivo e le caratteristiche del display, sembra fare i miracoli, ma nelle situazioni disperate può contare sul caricatore ra-pido da 45W che assicura la carica completa in un’ora. Presente la ricarica wireless. Chiudiamo con l’audio: suf-ficiente e abbastanza potente quello proveniente dagli altoparlanti (Dolby Atmos), buono quello restituito dalle cuffie AKG in-ear presenti nella confezione di vendita.

NOTE 10, UN PICCOLO GIOIELLINO MA LA BATTERIA È POCO “NOTE”Mentre provavamo Note 10+, abbiamo tenuto un mese anche il

Note 10. La differenza principale, ma è anche normale, è sicura-

mente la durata della batteria. Infatti, se da un lato troviamo una

batteria da ben 4300mAh, sul Note 10 standard la capienza è ri-

dotta a 3500mAh. Questa differenza in termini numerici si tradu-

ce in una durata dell’autonomia decisamente minore sul Note 10

più piccolo. Con un uso piuttosto leggero del dispositivo si può

arrivare a sera, ma sotto stress è difficile portarlo dopo le 18.00.

Trattandosi di un telefono votato principalmente alla produttività

è sicuramente preferibile andare sul Note 10+, anche se con la

ricarica rapida l’autonomia non esagerata non è più un proble-

ma enorme. Sulla versione standard di Note 10 manca anche

l’espansione della memoria tramite microSD che invece c’è sulla

versione più grande, e la risoluzione dello schermo è leggermen-

te inferiore (401ppi contro 498ppi). Differenze che però si per-

cepiscono poco: lo schermo è più piccolo e l’immagine appare

compattissima, e la memoria storage è più che sufficiente.

Anche il quantitativo di memoria RAM è inferiore sulla versione

più piccola: si passa dai 12GB del Note 10+ a 8GB. Anche questa

a nostro avviso è una differenza minima: i due dispositivi si asso-

migliano molto di più di quanto invece differiscono.

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di Roberto PEZZALI

M atera, Basilicata. Mentre i campioni del mondo di parkour si allenano saltando tra gli antichi tetti dei Sassi per preparare la finale della Redbull

Art of Motion 2019, noi decidiamo di dedicarci a qual-cosa di più tranquillo e sicuro. Prendiamo così il nuovo Watch GT 2 di Huawei, lo allacciamo al polso sinistro, configuriamo l’applicazione e ci prepariamo ad un lun-go trekking di qualche ora. Salite e discese, un sentiero stretto, tanta fatica e tutti i dati che servono per capire se il nuovo smartwatch Huawei, giunto alla sua seconda generazione, è qualcosa in più di una smartband con il display grosso. Oggi il mondo dei wearable è dominato da una quantità tale di prodotti che si fatica spesso a capire perché si debba acquistare un orologio smart, con un vero quadrante, e non una smartband da poche decine di euro dotata delle stesse funzioni. Se si toglie Apple con il suo Watch, che ha saputo costruire attorno all’orologio un ecosistema invidiabile, tutti gli altri smar-twatch sembrano più o meno simili e non riescono ad offrire una versatilità a 360°.

Uno smartwatch a 360°Ci sono smartwatch con dna sportivo, creati da aziende che nascono proprio per realizzare prodotti dedicati agli sport come Garmin, e quelli invece che nascono dai re-parti r&d di produttori, come Samsung e Huawei, azien-de legate più alla tecnologia che allo sport. Il Huawei Watch GT2 cerca di unire questi due aspetti: da una par-te quello di smartwatch classico con notifiche, compati-bilità Android e iOS, possibilità di fare e ricevere telefo-nate, musica a bordo, connessione ad auricolari esterni e alcune funzioni legate alla salute, come la misurazione del sonno, dall’altra una parte fitness che oltre al classi-co tracciamento delle attività prevede anche una serie di funzioni legate all’allenamento. Huawei parla di 15 attività tracciabili, ma molte sono doppie perché viene differenziato outdoor e indoor: da questo punto di vista molti orologi sportivi sono sicura-

TEST Abbiamo tenuto al polso Huawei Watch GT2 per un paio di giorni, provandolo in diverse attività, tra cui corsa e trekking

Tre giorni con lo smartwatch Huawei Watch GT2 GPS super preciso, l’autonomia è il punto di forzaDue sono i punti di forza ci hanno sorpreso: l’autonomia e la precisione del GPS, superiore anche a quella della concorrenza

mente più flessibili e gestiscono molto più attività. C’è una cosa che ci ha tuttavia sorpreso in modo piacevole: la precisione e l’accuratezza. Abbiamo fatto lo stesso percorso di trekking con Apple Watch da una parte e Watch GT dall’altro: se sovrapponiamo le tracce dei due GPS con la mappa di Google si può notare chiaramente come il Watch GT di Huawei sia decisamente più preci-so del prodotto Apple nel tracciare istante per istante la posizione, anche nelle viuzze strette di Matera dove la localizzazione satellitare viene messa in crisi da una scarsa visibilità. L’altro enorme vantaggio rispetto a pro-dotti concorrenti è l’autonomia: grazie ad un consumo ridotto del processore, ad un refresh bassissimo dello schermo e ad un uso intelligente dei sensori, il Watch GT dura fino a 15 giorni. Con un profilo di utilizzo un po’ più allegro, come quello che abbiamo fatto noi, l’auto-nomia è stimabile in una settimana buona: chi sceglie uno smartwatch con funzioni sportive in linea teorica lo usa per fare sport, non per stare seduto alla scrivania. E quando si usano le feature fitness, magari abbinate al-l’always on display, il consumo sale inevitabilmente. Per

chi è il Watch GT2? Sicuramente per un utente che vuole uno smartwatch dal design simile a quello di un orologio vero, con watch face intercambiabili, con una ottima au-tonomia e con qualche plus tecnologico rispetto ai com-petitor. Il supporto a bluetooth 5.1, ad esempio, assicura una connessione stabile anche con lo smartphone dalla parte opposta della casa. E la resistenza all’immersione fino a 5 atmosfere di pressione è una sicurezza in più per chi lo usa ad esempio in vasca, per far nuoto. Nono-stante le dimensioni, il 46mm non è proprio compatto, il Watch GT 2 di Huawei è comunque leggero.Ci sono alcuni aspetti che andrebbero tuttavia perfezio-nati: siamo davanti ad un prodotto fatto e finito, privo di un ecosistema: non esiste uno store di app, bisogna accontentarsi di quello che c’è.Huawei ha inserito anche una serie di watchface perso-nalizzabili, alcuni classici e altri un po’ più avveniristici: si poteva lavorare meglio, il design dei quadranti in al-cuni casi lascia un po’ a desiderare. E soprattutto se si usa l’always on display si può scegliere esclusivamente tra un quadrante analogico e un quadrante digitale che

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L’altoparlante integrato consente le chiamate vivavoce.

Lo schermo OLED è ben visibile sotto la luce del sole.

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TEST

Huawei Watch GT2 segue Da pagina 28

sostituisce quello scelto dall’utente a display spento. La gestione delle notifiche, granulare app per app, è ab-bastanza completa ma le notifiche sono solo testuali e non si può rispondere: niente foto, niente video, niente messaggi vocali. Le applicazioni su smartphone, inve-ce, sono davvero ben fatte sia come funzionalità sia dal punto di vista grafico, sia quella per Android sia quella per iOS. L’accoppiamento dell’orologio è immediato.Huawei ha investito tanto sulla parte sportiva, cercando di raggiungere prestazioni super in termini di precisione GPS e ottimizzazione della lettura del battito cardiaco, e proprio la precisione del GPS e la misura dello sforzo (e della pressione, intesa come stress) sono stati apprez-

zati anche da persone che mai avevano pensato di po-ter usare la tecnologia nei loro metodi di allenamento.Fausto Vicari, l’unico atleta italiano che ha partecipato alle finali dell’evento Redbull di Freerunning a Matera, ha avuto un Watch GT 2 nell’ambito della sponsorizza-zione Huawei dell’evento in veste di Official TimeKee-per. E ci ha raccontato di come il Watch si sia rivelato utile per la preparazione della gara. “Ho imparato a fare parkour da autodidatta, su Youtube. Non ho mai avuto un allenatore, non ho mai curato aspetti come l’alimen-tazione o l’allenamento specifico. Il freerunning nasce dalla passione e dal sacrificio, nasce in strada, non in pa-lestra. Nel mio essere atleta e allenatore di me stesso ho trovato utile avere un piccolo coach al polso che mi ha aiutato a capire dove e quando potevo spingere di più, quando riposarmi, quando c’era margine per migliorare

e quando invece ero talmente sottopressione che era meglio prendere una pausa e smettere di allenarmi”.Huawei propone il Watch GT2 come una sorta di ibri-do sport / lifestyle, e la presenza di un ampio OLED luminoso e ben visibile anche all’aria aperta restituisce un impatto sicuramente migliore di quello delle tante smartband presenti sul mercato, cinturini di plastica con schermo minuscolo ed esteticamente discutibili. Atten-zione però al modello da 42 mm: più piccolo e meno “mascolino” potrebbe essere la soluzione perfetta per chi non ama un look da orologio classico e trova la ver-sione da noi provata troppo evidente. I prezzi sono di 229 euro per il 46mm edizione Sport, 249 euro per l’edi-zione Classic Pebble Brown (quella in foto) che include anche un cinturino sport nella confezione e di 279 euro per la Titanium Gray con cinturino in maglia metallica. Le versioni da 42mm costeranno rispettivamente 199 euro, 219 euro e 249 euro.

di Sergio DONATO

D JI sta per uscire con un drone che dovrebbe entrare nella fetta di mercato consumer che ultima-

mente manca di novità di un certo peso. Si tratta del DJI Mavic Mini che forse si mostrerà già il 30 ottobre.DJI ha un catalogo di prodotti molto spostato vero la clientela professionale. Ciò riguarda soprattutto i droni, come abbiamo visto per esempio con il DJI Inspire 2, usato per filmare parte di un documentario sulla migrazione degli uccelli. Se il DJI ha un prezzo di listino nella versione base di più di 3.000 euro, per scendere a prezzi – e a prestazioni – più abbordabili bisogna guardare dalle parti del DJI Mavic Air, che costa comunque 849 euro. Il DJI Mavic Mini dovrebbe porsi quindi tra un Mavic Air e uno Spark, tanto che di fatto potrebbe

trattarsi proprio di uno “Spark 2”. Lo fa pensare non solo il peso presunto al di sotto dei 250 grammi, ma anche le foto e i video che circolano da un po’. Si no-

tano soprattutto le porte USB e SD non protette dalle intemperie da gomme di chiusura, tipiche più dello Spark che del Mavic Air.Il DJI Mavic Mini è stato registrato con questo nome presso la Federal Communications Commision (FCC), l’agenzia governativa che si occupa di

ENTERTAINMENT Sarà lanciato il 30 ottobre, ma si sa ancora poco. DJI Mavic Mini dovrebbe però avere un prezzo abbordabile

DJI Mavic Mini sarà il probabile successore del DJI SparkDJI Mavic Mini dovrebbe andare a coprire il settore consumer dei droni, ponendosi quindi tra un Mavic Air e uno Spark

Se si attiva l’always on display l’unico quadrante visibile ad orologio spento sarà questo.

Il sensore del battito cardiaco funziona anche in acqua.

regolamentare l’utilizzo dello spettro ra-dio negli Stati Uniti. Sebbene le foto e i video possano riferirsi a un prototipo di preproduzione, i colleghi DroneDJ han-no ricevuto una soffiata sul lancio del DJI Mavic Mini. Si parla del 30 ottobre, ma non si sa ancora se DJI abbia previ-sto anche un evento dedicato.

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di Massimiliano DI MARCO

O nePlus è ormai un marchio di garanzia. Già 7 Pro ci aveva convinto e il nuovo top di gamma, 7T Pro, prosegue sulla stessa strada: non innova

niente, ma resta un’ottima conferma del lungo percor-so di costante miglioramento fatto dalla società cinese. Il prezzo di listino dell’unica versione commercializzata (8 GB di RAM e 256 GB di spazio di archiviazione) è di 759 euro. Cioè dello stesso del modello equivalente di 7 Pro. Dopo una settimana passata con OnePlus 7T Pro possiamo serenamente constatare che siamo di fronte a un top di gamma ottimo e performante. Che, però, non va a coprire alcune delle pecche del prece-dente modello, soprattutto sulla qualità delle fotografie notturne e l’uso dell’HDR. Breve riassunto delle novità. Il reparto fotografico guadagna diverse funzioni: inte-grato lo Snapdragon 855+; viene introdotta una moda-lità macro e la modalità Nightscape è ora compatibile anche con l’obiettivo ultragrandangolare. Rispetto a 7 Pro, è stata migliorata leggermente anche la capacità della batteria (che passa a 4.085 mAh) e la velocità del-

TEST OnePlus 7T Pro propone poche novità rilevanti rispetto a 7 Pro, ma la casa cinese è ormai un marchio di garanzia

Smartphone OnePlus 7T Pro, la recensione Una bella conferma, ma con pochissime novitàPrestazioni al top e ottima autonomia, ma con pecche soprattutto sulla qualità delle fotografie notturne e l’uso dell’HDR

la ricarica rapida (il 25% più veloce). Novità piccole, ma più che sufficienti per giustificare, secondo l’azienda, un nuovo prodotto: c’era nuovo hardware in circolazio-ne (soprattutto lo Snapradragon 855+), senza dimenti-care il debutto di Android 10. Perché non lanciare uno smartphone?

Top di gamma ottimo: prestazioni fulmineeOnePlus 7T Pro è un valido top di gamma. Difficile tro-vare un particolare aspetto dell’esperienza d’uso quoti-diana in cui il nuovo smartphone lacuna in modo concla-

Fotografia ultrangran-dangolare in modalità standard.

Fotografia ultragrandangola-re scattata con Nightscape.

Le fotografie con la fotocamera frontale sono molto buone, sebbene di notte perdano qualche dettaglio e soffrano le luci molto forti. La modalità macro - che supporta tutti e tre gli obiettivi - funziona bene, ma senza brillare né in positivo né in negativo.

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Di giorno, la versatilità delle fotocamere si esprime al meglio (e ci manche-rebbe), ma la modalità HDR conferma quanto abbiamo detto per le fotografie in notturna: è implementato in modo aggressivo e, pur ampliando la gamma cromatica delle foto, “stende” le super-fici eliminando molti dettagli.

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TEST

OnePlus 7T Prosegue Da pagina 30

mato: l’autonomia è molto buona; lo schermo AMOLED (risoluzione 3120 x 1440, 516 ppi) è ottimo, con il valore aggiunto della frequenza di aggiornamento a 90 Hz (sebbene supportata principalmente dalle applicazioni di sistema) e il trittico di fotocamere è molto versatile. Ciò non significa che sia tutto perfetto. Dello schermo va lamentata, per esempio, una certa “tirchiaggine” del sensore di luminosità: lo schermo è spesso meno luminoso di quanto dovrebbe essere, costringendo a dover gestire manualmente la luminosità in condizioni di compromesso (come le luci soffuse). Il lettore d’im-pronte ottico, integrato sotto lo schermo, non è al top della categoria e il riconoscimento richiede talvolta un secondo tentativo, soprattutto se il dito non è perfetta-mente perpendicolare. Le dimensioni, poi, sono gene-rose, com’è naturale per poter ospitare uno schermo da 6,67”. Soprattutto per il peso, tra i più alti di questa fascia: 206 g (lo stesso di OnePlus 7 Pro). Meno di iPho-ne 11 Pro Max (che pesa 226 g), ma più di Samsung Galaxy Note 10+ (196 g) e Xiaomi Mi 9T Pro (191 g), per citarne un paio. Le prestazioni dello Snapdragon 855+ in accoppiata con 8 GB di RAM - e non poteva essere altrimenti - sono fulminee: mai un intoppo e nessuna in-certezza nell’uso quotidiano, anche durante l’esecuzio-ne di videogiochi recenti (abbiamo provato Call of Duty Mobile e Mario Kart Tour). A tale risultato contribuisce l’adozione, tipica dei prodotti OnePlus, della versione liscia di Android 10: nessuna personalizzazione dell’in-terfaccia. Inizia a fare “rumore”, invece, l’assenza della

compatibilità con Wi-Fi 6, che a questo punto bisogne-rà attendere fino a OnePlus 8. Anche l’autonomia, gal-vanizzata da un sistema di ricarica rapida potenziato rispetto a OnePlus 7 Pro, è convincente e permette di arrivare sempre a sera con un buon 15-20% di carica residua. In questo senso, sono molto buone le possi-bilità fornite dal software, che permettono al sistema di adattarsi all’uso dell’utente. Come? Per esempio, ri-ducendo lo scaricamento dei dati (e quindi il consumo della batteria) nelle ore notturne.

Fotocamera versatile, ma l’HDR non convincePer 7T Pro, OnePlus ha confermato i tre obiettivi: un grandangolare da 48 megapixel (f/1.6), un ultragrandan-golare da 16 megapixel (f/2.2) non stabilizzato e, infine, un teleobiettivo (3x) da 8 megapixel (f/2.4), supportati da un doppio flash LED e un sistema di messa a fuoco laser. La fotocamera frontale - con meccanismo a com-parsa - usa invece un sensore da 16 megapixel (f/2.0) con messa a fuoco fissa. OnePlus 7T Pro non riesce a migliorare il principale aspetto in cui 7 Pro era passi in-dietro rispetto alla concorrenza nella fascia alta: la qua-lità delle fotografie. La modalità Nightscape, special-mente nelle condizioni di luminosità più scarsa, sfrutta un sistema di riduzione del rumore molto aggressivo: l’immagine risultante è sì più luminosa con punti luce più dettagliati, ma dall’altra parte riduce i dettagli in al-tre porzioni della foto. Scattare in modalità normale, in-vece, produce più rumore e anche il bilanciamento del bianco viene spesso sbagliato, soprattutto per le luci molto forti, che tendono alle tonalità fredde anziché a quelle calde. Vengono rivelati alcuni dettagli, proprio in funzione della riduzione del rumore e dell’uso dell’H-

di Giuseppe RUSSO

I n Cina, la MIUI 11 di Xiaomi è stata mes-sa in beta chiusa dallo scorso mese su diversi dispositivi.

Ora l’azienda è pronta a distribuire la nuova versione software a livello globa-le. L’annuncio è arrivato tramite l’account Twitter di MIUI India che ha pubblicato un’animazione con la nuova interfaccia insieme alla data d’uscita: 16 ottobre. La nuova MIUI 11 porterà molte nuove funzionalità, oltre ad aggiornamenti del-l’interfaccia utente che riguardano un nuovo carattere tipografico e un nuovo design per le notifiche, è atteso il rilascio della nuova funzionalità di trasferimento dati che dovrebbe chiamarsi Mi Share,

simile al protocollo Airdrop disponibile su dispositivi Apple. Dovrebbero esserci migliorie riguardanti anche il cast di im-magini e video verso diversi modelli di TV, la stampa diretta dei documenti da smartphone e la gestione del risparmio energetico della batteria.Tra le funzionalità più interessanti che arri-veranno ci sono i messaggi di emergenza tramite 5 tocchi sul pulsante di accensio-ne, l’autocompletamento delle password e nuove impostazioni di sicurezza. Secon-do le indiscrezioni il protocollo Mi Share arriverà grazie alla collaborazione con Vivo e Oppo. Pertanto, ci aspettiamo che tale funzionalità possa arrivare anche sui futuri dispositivi di questi produttori. C’è

una forte possibilità che Xiaomi voglia abbinare il lancio della MIUI 11 all’evento di lancio di Redmi Note 8 Pro in India il 16 ottobre. Il rilascio della nuova MIUI non

MOBILE Tramite l’account ufficiale di Xiaomi India arriva la conferma che la MIUI 11 sarà rilasciato a livello globale a ottobre

Aggiornamento MIUI 11, annunciata data di uscita globale Trasferimento file come con AirDrop da ottobreSecondo le indiscrezioni, Mi Share arriverà grazie alla collaborazione con Vivo e Oppo. Il rilascio non è legato alle versioni Android

DR, ma altri invece vengono persi. Oppure vengono tolti proprio nell’operazione di riduzione del rumore. Un risultato misto che non convince appieno, special-mente considerata la fascia di mercato a cui OnePlus 7T Pro si rivolge, sebbene si possa ritenere tutto som-mato un modesto prodotto. La registrazione video (supportata fino a 4K a 60 fotogrammi al secondo) è modesta. I filmati sono di buona qualità, complice la presenza dello stabilizzatore ottico, ma non supporta-no né il teleobiettivo né l’ultragrandangolare.

OnePlus 7T Pro promosso: di meglio c’è ben pocoOnePlus 7T Pro soffre della sindrome della “genera-zione di mezzo”: poche evidenti migliorie rispetto a 7 Pro. Tanto vale, considerato il risparmio del prezzo, valutare l’acquisto del precedente top di gamma. A meno di non volere le ultimissime novità. E in questo senso, avere una velocissima ricarica rapida, un fluido schermo AMOLED a 1440p e il migliore processore Qualcomm sulla piazza sono elementi di eccellenza, che rappresentano il massimo della categoria.

è legato alle versioni Android, pertanto alcuni utenti potranno ottenerlo senza dover necessariamente attendere un ag-giornamento ad Android 10.

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di Roberto PEZZALI

P resentato a febbraio, il G8S è arrivato sul mercato in Italia solo a giugno. Il prezzo scelto da LG 769 euro, voleva essere un messaggio per chi non

vuole spendere 1000 euro per un top di gamma. LG ha scelto di portare la versione S del G8 nel nostro paese, scelta tutto sommato corretta: ha tre fotocamere al posto di due e deve rinunciare a schermo QuadHD e al DAC di qualità superiore per la riproduzione audio. L’utente più esigente vorrebbe ovviamente tutto, ma il pubblico che oggi sceglie uno smartphone sicuramente mette davan-ti a tutto il numero di fotocamere disponibili e solo Apple lo scorso anno è riuscita a vendere smartphone con due camere o una sola fotocamera, gli altri devono per forza piegarsi alle esigenze di mercato. Abbiamo aspettato a provare il G8S per due motivi: il primo è l’attesa per i classici aggiornamenti che rendono gli smartphone stabili e migliorano i peccati di gioventù, la seconda è proprio il prezzo. LG G8S si trova oggi a cir-ca 450 euro, e a questo prezzo riesce a competere con i cinesi e con il migliori prodotti sul mercato: si è sem-pre detto che gli LG vanno acquistati a qualche mese dal lancio e qualche mese ora è passato. Un prodotto, il G8S, che unisce innovazione e qualche retaggio del passato: il sensore d’impronte ad esempio è ancora sul retro, e non c’è dubbio che quello integrato sullo scher-mo è mille volte più comodo, ma allo stesso tempo è uno dei primi smartphone con sensore ToF integrato. Il piccolo sensore nascosto nel notch è capace di creare una mappa 3D del volto per lo sblocco sicuro, e questa possibilità mitiga il fastidio di avere sul retro il fingerprint. Il ToF non serve solo a quello: può sbloccare anche con la lettura delle vene del polso e può essere usato per interpretare gesture nell’aria. Come vedremo questi “giochi” dopo i primi secondi di wow si riveleranno le classiche feature che non userà praticamente nessuno.

La linea non è molto originale, ma la scocca è davvero solidaDue i tratti distintivi di questo G8S: un design che ricor-da molto quella degli iPhone, conseguenza dell’ampio notch nella parte frontale e del rapporto di aspetto non troppo spinto, e una solidità notevole. La percezione,

TEST Dopo qualche mese dall’uscita sul mercato abbiamo provato il G8S di LG: uno smartphone incredibilmente completo

LG G8S ad oggi è il miglior smartphone da 450 €Concreto e con un’ottima resa fotografica. È frenato da un prezzo che all’uscita era alto, ma oggi è decisamente competitivo

tenendolo tra le mani, è quello di un prodotto assolu-tamente robusto e al tempo stesso leggero. Dopo due mesi di utilizzo, senza custodia e nello zaino con le chia-vi, i vetri del G8S sembrano praticamente nuovi.L’unica segnalazione, comune a molti smartphone LG, è un leggerissimo gap tra lo schermo e la cornice all’in-terno del quale si può annidare un po’ di sporco. Non è voluto: serve per evitare che in caso di caduta di spigolo possa rompersi il vetro frontale.Ci è caduto una volta, e effettivamente a circa 60 cm da terra lo smartphone non ha subito alcun danno; sappia-mo, tuttavia, che anche da 15 centimetri la giusta caduta può danneggiare anche il più robusto dei vetri.La scocca è protetta contro polvere e acqua nonostan-te sia presente il jack audio, e sul retro dietro il vetro, è nascosta la bobina per la ricarica wireless. Buona la ma-neggevolezza per chi ha mani grande, ma chi ha le mani piccine potrebbe trovare i 6.2” di schermo eccessivi. In ogni caso il vetro posteriore offre un ottimo grip anche quando le mani sono un po’ secche; il rovescio della medaglia è un lato B che calamita le impronte in modo

impressionante, tanto che LG ha inserito nella scatola un panno per pulirlo.

Schermo da 6.2” OLED, luminoso e con la giusta risoluzioneLG ha sacrificato la risoluzione dello schermo passando dal quadHD+ del G8 al FullHD+ del G8S. Numeri è parte, anche se si tratta di un OLED e di un OLED non certo piccolo, i pixel che ci sono sembrano sufficienti a coprire lo schermo con un buon fattore di fill-in, la risoluzione in-feriore non si percepisce affatto nell’uso classico di tutti i giorni, si deve andare vicino e con fondo bianco per percepire una differenza che comunque solo un occhio attento può notare.o schermo è privo anche del sistema che tramite vi-brazione trasmette l’audio, ma questa non è neces-sariamente una critica: c’è il notch e quindi c’è anche spazio per la capsula auricolare. Avremmo apprezzato

LG G8s ThinQA 450 EURO È DAVVERO UN OTTIMO TELEFONO. E POTREBBE CALARE ANCORA DI PREZZO

769,00 €

Il G8S di LG è uno smartphone completo: la giusta potenza nel processore, una fotocamera che non viene mai citata tra le migliori che che a nostro avviso si difende davvero bene in ogni situazione, un buon bilanciamento tra autonomia e dimensioni, Android 9 a bordo e tanti altri piccoli dettagli che molti altri brand a questa cifra non garantiscono. Xiaomi fa ottimi smartphone, ma non ha ricarica wireless e waterproof e neppure la qualità fotografica di questo LG: ha solo un prezzo simile, ma tra i due modelli c’è un abisso, anche nella stabilità del software. Il G7 lo scorso anno ha toccato prezzi talmente bassi che sembrava quasi un delitto non prenderlo a 279 euro, quest’anno il G8S sembra percorrere la stessa strada. Ma senza aspettare troppo anche a 450 euro è difficile trovare oggi un prodotto migliore, con la stessa dotazione hardware, la stessa solidità e cura costruttiva e la stessa resa fotografica.

Qualità Longevità Design Semplicità D-Factor Prezzo

7 8 7 9 7 87.6COSA CI PIACE COSA NON CI PIACEQualità costruttiva eccellenteIl prezzo su strada è superQualità fotografica davvero eccellente

Il sensore ToF non viene sfruttato nel migliore dei modiDesign migliorabileSensore di impronte ancora sul retro

lab

video

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Recensione LG G8Ssegue Da pagina 32

magari un migliore bilanciamento nelle proporzioni della cornice, la parte bassa è un po’ troppo pronunciata e i puristi dell’estetica potrebbero avere qualcosa da dire a riguardo. La qualità dello schermo è decisamente buona, migliore degli altri P-OLED realizzati da LG negli scorsi anni: color shift decisamente più basso se si incli-na lo smartphone, bianco ben bilanciato e un picco di luminosità di 716 nits che garantisce una buona visibilità anche con tanta luce, sebbene qui sia più importante avere un ottimo filtro piuttosto che un display luminoso. Spesso si elogia la luminosità di un display per la visione all’aperto, ma la realtà non sempre restituisce quello che restituiscono i numeri: un iPhone, ad esempio, riesce ad offrire alla luce la stessa visibilità di questo LG con una luminosità leggermente inferiore, segno che il polariz-zatore e il filtro antiriflesso usati da Apple sono migliori. Tuttavia questo LG si difende benissimo, molto meglio di altri smartphone di fascia media che sotto il sole di-ventano pallidi anche con la luminosità al massimo. C’è il True View che bilancia il bianco a seconda della luce ambientale e ci sono diversi profili di calibrazioni, nes-suno a dire il vero accuratissimo ma nella media. C’è il notch, e nel notch c’è il sensore 3D ToF: tra tutte le cose che si possono fare con il sensore 3D l’unica utile, come abbiamo già detto, è lo sblocco.

Tre fotocamere per foto da grandeLG viene spesso dimenticata quando si tratta di fotogra-fie e smartphone eppure, e lo ha dimostrato anche il no-

stro Masterclick, i prodotti LG sotto il profilo fotografico si difendono bene. Sia per l’hardware, e le tre camere usate in questo caso sono davvero ben bilanciate, sia per il software, dove LG sacrifica un filo di naturalezza per fornire una foto che, a pancia, piace. E piace tanto. La fotocamera principale è la classica 12 megapixel f/1,8 con pixel da 1,4μm e 27 mm di grandangolo, una came-ra che non di discosta molto come resa da quella dei migliori top di gamma. C’è poi il super grandangolo, 13 megapixel f/2.4 con un obiettivo che corregge le aber-razioni e le distorsioni: LG è stata la prima a proporre il super wide, e la sua interpretazione del grandangolo spinto è una di quelle che apprezziamo di più. Infine il tele per ritratti e zoom, un 54 mm sempre da 12 mega-pixel f/2.6 che in digitale arriva fino a 10x.

Sensore 3D ad effetto wow Ma le funzioni speciali servono a pocoLG ha ottime potenzialità ma negli ultimi anni per cercare di differenziarsi ha fatto scelte abbastanza discutibili. A partire dagli smartphone modulari, progetto poi fallito, ha sempre cercato di inserire nei suoi smartphone qual-cosa che poi, all’uso pratico, si è rivelato davvero poco

utile. Sul G8S il dito lo puntiamo contro il sensore ToF, che riesce a fare bene solo una cosa: lo sblocco 3D tra-mite volto, che funziona ovviamente anche di notte.Le altre feature sono divertenti, ma servono a poco. Ci riferiamo ad esempio allo sblocco con le vene del polso, che sarà sicurissimo ma che richiede il polso fermo ad una distanza precisa dallo smartphone, come se stessi-mo facendo annusare al G8S il profumo. E poi ci sono le air gesture, dove sempre con la mano possiamo intera-gire con il telefono senza toccarlo: funzionano, ma sono quella tipica cosa che dopo due prove uno si dimentica che esistono. Purtroppo, ma questo vale per tutti e non solo per LG, funzioni come le Air Gesture richiedono supporta da parte degli sviluppatori software, e fino a quando certe caratteristiche hardware non saranno standard su tutti gli smartphone e inserite in Android re-steranno confinate nel piccolo orto del produttore.Nel caso di LG solo alcune app si possono usare con le mani, e qualche caso dove questa eventualità si rivela utile può capitare, ma si tratta di eccezioni.

Prestazioni eccellenti, autonomia molto buonaSnapdragon 855 e 6GB di RAM, quando basta per ave-re uno smartphone veloce, rapido e reattivo nell’aper-tura delle applicazioni. Ottimi anche i 128 GB di storage espandibili, per un prodotto simile sono il minimo sinda-cale e LG ha scelto il taglio giusto. Le prestazioni come abbiamo detto sono buone, e lo smartphone non ha mai dato segno di sofferenza e neppure di temperatura ele-vata nella zona del SoC. Si usa in modo piacevole, come è lecito aspettarsi da un prodotto di questa fascia.L’autonomia come sembra è un discorso molto partico-lare: dovremmo essere vicini al rilascio di un test di labo-ratorio standard e affidabile per confrontare l’autonomia degli smartphone android, ma fino ad allora dovremo basarci sulle sensazioni. Con il G8S e un uso abbastanza intenso una ricarica a metà giornata è necessaria, per-ché la sera a mezzanotte non ci arriva. Un uso moderato porta l’LG dopo le opportune ottimizzazioni a circa 5 ore di schermo acceso, e per una batteria da 3500 mAh è un risultato comunque buono. Forse si poteva fare qual-cosa in più, e forse ci stava una batteria leggermente più capiente vista la dimensione dello smartphone, ma sotto il profilo dei consumi resta un prodotto bilanciato. Ricezione nella media, sia la parte di rete sia la parte Wi-fi, buona la qualità audio delle chiamate, audio corposo e cancellazione del rumore ambientale efficiente.Il sistema operativo è Android 9 con la classica interfac-cia LG che va ad aggiungere un po’ di funzioni senza stravolgere troppo l’originale. Una interfaccia che qual-cuno non ama particolarmente, ma è stabile e priva di bug. Certo sarebbe apprezzata una maggiore velocità nel rilascio degli aggiornamenti.

I NOSTRI SCATTI DI PROVA clicca sulle immagini per l’ingrandimento

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

di Roberto PEZZALI

L ’iPhone XR è stato lo smartphone Apple più ven-duto lo scorso anno, nonostante molte persone lo considerino il modello “base”. L’iPhone 11, quest’an-

no, è destinato alla stessa sorte per un mix di fattori, dal prezzo assolutamente interessante se rapportato al “pro”, 839 euro, fino alla scocca colorata che piace, soprattutto ai più giovani. Eppure, quando qualcuno ci chiede un consiglio su quale iPhone comprare e sug-geriamo di scegliere il modello più “economico”, molti sono scettici. Dopo aver provato a fondo il modello di fascia alta, ci siamo dedicati all’iPhone 11 e in questa re-censione cercheremo di concentrarci soprattutto sulle differenze tra i due modelli, l’11 e l’11 Pro, per capire che peso possano avere nell’utilizzo di tutti i giorni.Il primo consiglio che diamo è di leggere la recensione dell’iPhone 11 Pro, insieme al nostro reportage fotogra-fico dal Marocco, per rendersi conto di cosa offrono quest’anno i nuovi smartphone Apple. Le differenze tra i due modelli non sono poi così tante: cambia lo scher-mo, cambia la batteria, cambia ovviamente il design e manca una fotocamera. Tutto qui. Cambiamenti marginali se guardiamo all’insieme, ma che permettono di risparmiare 350 euro sul modello base da 64 GB o, per chi vuole più memoria, di acquista-re la versione da 128 GB al posto dei 64 GB che Apple offre come taglio base risparmiando sempre qualcosa. Gli 889 euro richiesti per il modello da 128 GB sono sempre 300 euro in meno dei 1189 euro dell’iPhone 11 Pro. Per prestazioni, qualità delle chiamate e della rete e velocità l’iPhone 11 ha esattamente tutto quello che ha l’iPhone 11 Pro: iOS 13.1 è lo stesso (qui le novità), c’è la modalità notte, ci sarà Deep Fusion, c’è la ricarica wire-less, la ricarica rapida e anche la nuova camera frontale ad alta definizione con slow motion. In un puro confronto tra i due modelli ci sono anche elementi che pendono a favore dell’iPhone 11: la scoc-ca dell’iPhone 11 è ad esempio in alluminio riciclato al posto dell’acciaio inossidabile, e se quest’ultimo è più resistente ad una eventuale caduta il primo si segna si-curamente di meno con il passare del tempo. L’iPhone

TEST Si risparmiano 300 euro rispetto alla versione “pro” e si rinuncia solo a due aspetti che per molti utenti sono ininfluenti

iPhone 11 è la scelta migliore per chi vuole un iPhone senza spendere 1000 euro. La recensione completaNon ha lo schermo OLED né la fotocamera da 50mm, ma vi diciamo perché iPhone 11 è l’iPhone che tutti dovrebbero comprare

XS Max di redazione, dopo un anno, mostra tanti piccoli segni superficiali assenti sulla scocca dell’iPhone XR che sembra ancora nuovo. Cambia anche la resistenza all’immersione, ma è cosa da poco: il passaggio dai 30 minuti a 2 metri dell’iPhone 11 ai 30 minuti a 4 metri di profondità dell’iPhone 11 Pro è giusto una sicurezza in più. Il telefono non è utilizzabile, come tutti gli altri smar-tphone, per riprese subacquee senza una protezione adeguata. Molti useranno inoltre l’iPhone 11 con la cu-stodia, ma chi sceglie di usarlo come Apple lo ha fatto si troverà davanti ad un prodotto con un grip maggiore di quello offerto dall’iPhone 11 Pro, il retro lucido rispetto a quello satinato aiuta.

LCD contro OLED, la differenza non è solo nella risoluzioneApple ha migliorato drasticamente la qualità dell’OLED dell’iPhone 11 Pro: è più luminoso, anche all’aperto, ha una dinamica maggiore e una resa cromatica molto più incisiva. Lo schermo LCD dell’iPhone 11, che Ap-ple chiama Liquid Retina, è invece lo stesso identico schermo da 6.1” che viene montato su iPhone XR. Se lo scorso anno la differenza c’era, ovviamente a favo-re dell’OLED, quest’anno questa differenza è ancora più marcata. Qualcuno potrebbe dire che è assurdo trovarsi davanti ad uno schermo non full HD su uno smartphone top di gamma del 2019, ma l’immagine è talmente compatta che, su un display così piccolo, è davvero difficile parlare di mancanza di risoluzione. Non si percepisce, mai. Anzi, forse tra leggibilità sotto la luce del sole, dinamica contrasto e risoluzione la ri-soluzione è l’unico aspetto dove l’iPhone 11 non sfigura affatto rispetto al Pro. Per il resto basta guardare entrambi gli schermi sotto il sole, oppure godersi un film a luci spente in HDR da Netflix, o ancora rivedere le foto scattate per capire che tra i due display c’è un divario marcato anche se non enorme. Uno, quello dell’iPhone 11, è un buonissi-mo schermo con una resa cromatica calibrata, un buon contrasto e una buona luminosità di punta, l’altro è lo segue a pagina 35

schermo che tutti meriterebbero di avere sul proprio smartphone. Il Liquid Retina da 6.1” per accuratezza, leggibilità sotto la luce del sole e resa generale è in ogni caso comunque superiore, pur essendo LCD, a molti OLED che vengono montati su altri smartphone.L’unico punto a favore dello schermo dell’iPhone 11 ri-spetto all’OLED del Pro è la gestione della luminosità del display: ci sono persone particolarmente sensibili che potrebbero provare fastidio di fronte ad uno scher-mo con tecnologia organica (per la regolazione della luminosità in PWM), ma sono casi davvero rari.

C’è il super grandangolo, ma la terza fotocamera si rimpiangeQuando Apple ha deciso cosa mettere e cosa togliere su iPhone 11 per poter avere due modelli sul mercato destinati a due target differenti ha deciso, fortunata-mente, di non sacrificare la fotocamera super grandan-golare. Il 14 mm permetterà anche ai possessori del modello base di giocare con la prospettiva cercando

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MAGAZINEn.208 / 1921 OTTOBRE 2019

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iPhone 11, la recensionesegue Da pagina 34

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inquadrature particolari, e la presenza di questa fotoca-mera è sufficiente per non prendere in considerazione, nemmeno per un attimo, i modelli dello scorso anno. Tra iPhone XS e iPhone 11 tutta la vita il secondo: il super grandangolo fa davvero la differenza, permette di fare foto che chi ha avuto fino ad oggi un iPhone non ha mai potuto fare. Con un iPhone 11 si possono scattare (quasi) le stesse foto che abbiamo scattato in Marocco con il modello Pro, stessa resa e stessa qualità. Diciamo quasi, perché si deve rinunciare alla terza fo-tocamera, una focale a nostro avviso utilissima per de-terminate inquadrature: su iPhone XS la usavamo po-chissimo perché le prestazioni non erano eccezionali, ma su iPhone 11 Pro sta diventando per molte foto la nostra prima scelta. Non manca la modalità ritratto, e viene fatta usando il calcolo computazionale con una sola fotocamera: l’effetto è sicuramente molto buono, anche la gestione dello sfuocato, ma l’inquadratura non è assolutamente la stessa. Nelle foto 1 e 2, vediamo lo stesso ritratto, uno fatto con la camera dell’iPhone 11 e uno con il 50mm dell’iPhone 11 Pro: sebbene la gestio-ne del bokeh sia simile, e anche la qualità del ritaglio, la differenza di taglio lascia preferire la foto fatta con l’11 Pro. Usando lo zoom digitale per simulare i 50mm l’immagine subisce un leggero degrado qualitativo: non è come avere un obiettivo dedicato con zoom loseless. Per il resto, dalla modalità notte a Deep Fusion, in arrivo a breve con iOS 13.2, le funzionalità sono assolutamen-te identiche.

Autonomia super, ma il risparmio sul caricatore è incomprensibileAltro elemento di distinzione è la batteria: Apple par-la di un’ora di autonomia in più rispetto a XR, ma dalle prove che abbiamo fatto non sempre ci si accorge di avere questa riserva in più. Sotto il profilo del risparmio energetico l’iPhone 11, con il suo pannello LCD, non può trarre beneficio dall’utilizzo del tema scuro: anche quando lo schermo è nero il pannello e la retroillumi-nazione sono attivi, al contrario dell’OLED dove i pixel sono praticamente spenti.L’iPhone XR era già uno smartphone con una autono-mia eccezionale, merito anche dello schermo e della risoluzione non eccessiva, e l’iPhone 11 per le sue di-mensioni non è da meno, ha un’ottima autonomia. Come fatichiamo a digerire il taglio da 64 GB di memo-ria, più sull’iPhone 11 Pro che su questo a dire il vero, c’è un’altra cosa che non digeriamo, ovvero la scelta di non mettere il caricatore rapido da 18 watt nella confezione dell’iPhone 11. C’è ancora il vecchio modello, decisio-ne criticabile perché alla fine la differenza di costo è di pochi euro: sarebbe stato meglio venderlo senza cari-catore incluso, magari ad una decina di euro in meno. Chi ha in casa un caricatore di un altro iPhone può usa-re quello, chi deve comprarlo può prendere quello da 18 watt, lo stesso che viene dato con iPhone 11 Pro: un caricatore in meno, meno rifiuti elettronici e l’ambiente ringrazia.

Per chi scatta tanto iPhone 11 Pro, per tutti gli altri iPhone 11 è perfettoLo scorso anno era paradossalmente più semplice: le differenze tra iPhone XR e iPhone XS c’erano, ma era-no molto meno marcate. Sarà che abbiamo provato pri-ma il “Pro” e poi la versione standard, ma quella vocina che ci dice “consigliate il pro, consigliate il pro” ogni volta che ci viene chiesto un parere non riusciamo a togliercela dalla testa. Chi vede nell’iPhone uno smar-tphone per fare un po’ tutto, senza esigenze particola-ri, può tranquillamente comprare l’iPhone 11, risparmia 300 euro e può fare tutto quello farebbe con il Pro allo stesso modo e con la stessa velocità.Per chi invece vede nell’iPhone anche una fotocamera, quindi utenti che tengono in modo particolare al pro-prio profilo Instagram, che amano scattare e fotogra-fare, che necessitano di ottime foto anche per motivi professionali, il sacrificio necessario per la versione con tre fotocamere verrà sicuramente ripagato. La ter-za fotocamera dell’iPhone 11 Pro, come abbiamo scritto nel nostro foto-reportage, è un 50mm che rappresenta per molti fotografi la focale con la F maiuscola, al pari del 35mm. Rinunciarci, soprattutto ora che Apple ha montato un obiettivo più luminoso e la qualità è davve-ro ottima, non è cosa da poco. Si usa, si usa tanto. Non appena ci si toglie dalla testa quel “2x” e si ragiona in termini di inquadratura si inizia ad usare molto di più il 50mm del 27 grandangolare classico. Non averla è un peccato. A questo si unisce anche un display che è

decisamente migliore per gamma dinamica e resa cro-matica: le foto fatte, riviste sul display dell’11 Pro, esco-no dallo schermo con incisività e carica, cosa che non si può dire invece del display dell’iPhone 11. Calibrato, eccellente, ma non è lo stesso schermo.

iPhone 11 è un eccellente smartphone con un ottimo rapporto qualità prezzo: tra iPho-ne XR, iPhone XS e iPhone 11 per prestazio-ni, flessibilità e completezza il modello del 2019 è da preferire, senza pensarci troppo. Qualche ragionamento va fatto sul modello “pro”: si chiama così perché offre davvero qualcosa in più per chi crea contenuti, foto e video in questi casi. Non solo la camera aggiuntiva permette più flessibilità, ma la qualità maggiore del display permette di ri-vedere e valutare le foto fatte e i video regi-strati in condizioni migliori. Ma la differenza è solo in questo: per il 90% delle persone iPhone 11 non va bene, va benissimo.

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MAGAZINEn.41 / 1921 OTTOBRE 2019

di P. AGIZZA

D oppio motore elettrico da 408 CV, 400 chilometri di autonomia e tutta la sicurezza, la tecnologia

e la comodità a cui Volvo ci ha abituati da sempre. Sono queste le caratteristi-che salienti di XC40 Recharge, il primo veicolo completamente elettrico della casa svedese che fa da apripista alla svolta ecologista di Volvo. Partiamo pro-prio dal cuore della vettura, rappresenta-to da un doppio motore elettrico (uno per asse) capace di sviluppare la potenza di 408 cavalli. Riguardo alle altre prestazio-ni motoristiche, Volvo non è stata molto prodiga di dettagli nella sua presentazio-ne, ma ha parlato di trazione integrale ed accelerazione lineare ed uniforme a tutte le velocità. Conferma anche per quel che riguarda il One Pedal Drive. La batteria è da 78 kWh che secondo il produttore svedese dovrebbe garantire un’autono-

AUTO ELETTRICA Volvo SUV XC40 Recharge mostra grande attenzione a sicurezza e comodità

Ecco Volvo XC40 Recharge. La prima elettrica svedese è un SUV sicuro, comodo e potenteC’è anche un motore da più di 400 cavalli. E l’autonomia passa i 400 chilometri nel ciclo WLTP

mia di oltre 400 chilometri nel ciclo WLTP. Grazie alla ricarica veloce sarà possibile caricare XC40 Recharge dallo 0 all’80% in appena 40 minuti. Potenza di ricarica fino a 150 kW. Tutta la parte di intratte-nimento è sviluppata sulla piattaforma Android Auto. Presenti le più importanti applicazioni di casa Google come Maps e Assistant, ed inoltre sarà possibile ag-giornare le app con la stessa modalità

con cui si aggiornano sullo smartphone, grazie alla presenza del Play Store.

XC40 Recharge punta tutto su sicurezza e comoditàCome detto in apertura, per il suo SUV Volvo spinge molto su temi come sicu-rezza e comodità. L’elevato grado di sicu-rezza di XC40 Recharge è dato da un mix di accorgimenti costruttivi e software. Per quel che riguarda la costruzione, spicca la gabbia di sicurezza in acciaio intorno al pacco batteria, per evitare ogni pericolo legato all’elettricità in caso di incidente.Dal lato software, invece, Volvo ha pre-sentato quest’oggi Pilot Assist. Grazie a questa modalità l’auto può mantenere automaticamente velocità e distanza prestabilite rispetto ai veicoli che prece-dono, oppure controllare lo sterzo per mantenersi al centro della corsia. Pre-sente, inoltre, anche la funzione BLIS che si occupa di monitorare l’arrivo di altre auto nell’angolo cieco in caso di cambio corsia. Se BLIS si accorge di un pericolo avvisa il conducente e lo riporta al centro della corsia evitando i pericoli. Riguardo alla comodità, inve-ce, Volvo parla sul suo sito di soluzioni di stivaggio ingegnose. L’attenzione è posta sul vano posteriore molto ampio, ma sonopresenti anche un cestino per i rifiuti, una postazione di ricarica wire-less per il telefono, un gancio per borse pieghevoli e altro ancora. Ovviamente è sfruttabile anche il vano anteriore.Non sono stati divulgati né il prezzo né la data in cui Volvo XC40 Recharge arriverà sul mercato. Le uniche indi-screzioni, trapelate da una precedente intervista del CEO di Volvo Håkan Sa-muelsson, parlano di un prezzo intorno ai 50mila dollari.

DMOVE Arriverà sul mercato due anni prima del previsto

Renault accelera sull’elettrico Twingo Z.E. arriverà già nel 2020

di M. ZOCCHI

L a scorsa estate era trapelato in rete un calendario con le prossime tappe dei progetti Renault, in cui

figurava una versione elettrica della Twingo, ma non prima del 2022. Ora invece apprendiamo da fonte certa, Ali Kassaï Koupaï, EVP Product Planning di Renault, che i piani non andranno come previsto e la Twingo Z.E. arriverà già nel 2020.Non si tratta di una novità vera e propria, in quanto la Twingo Zero Emission è da sempre nei piani della casa francese, fin dal lancio della primissima Zoe. La difficoltà nell’imporre la motorizzazione elettrica però aveva fatto tirare il freno a mano, rinviando il progetto a data da destinarsi. Adesso assistiamo a una situazio-ne contraria, ovvero con Renault che ha lasciato all’improvviso il metaforico freno, decidendo di anticipare il lancio di ben due anni. Il perché di questa decisione non è ovviamente stato comunicato, ma è molto probabile che dipenda dalle scelte della concorrenza. L’arrivo della triplice proposta elettrica del Gruppo Volkswagen (con Skoda Citygo, Seat Mii e Volkswagen eUp!), oltre al cambio di rotta verso l’elettrico di Smart, potrebbero aver spinto Renault a bruciare le tappe, per paura di arrivare troppo tardi in un mercato interessante come quello delle citycar. Resta da vedere che impronta verrà data al progetto. Renault potrebbe anche giocarsi la carta del-l’auto elettrica da città super economica, sulla base di quella presentata in Cina poco tempo fa, dal prezzo di solo 8.000 euro.

Porsche svela l’ “economica” Taycan 4S Due tagli di batteria e meno potenzaDopo il lancio dell’elettrica Taycan in versione Turbo e Turbo S, arriva la 4S, con batteria più piccola e motore con meno potenza

di M. Zocchi

Dopo poche settimane dal lancio della Porsche Taycan, alla versio-ne Turbo e Turbo S si aggiunge la 4S, disponibile in due varianti. Ci sarà la possibilità di scegliere tra due tagli di batteria, una nuo-va, chiamata “a singolo strato” da 79.2 kWh, oppure come optional la stessa batteria delle sorelle mag-giori da 93.4 kWh. L’autonomia sarebbe rispettivamente di 407 e 463 km. Anche il motore è meno potente, nonostante resti comun-que tra i migliori della categoria. La potenza infatti sarà di 320 kW per la 4S base e 360 per quella con batteria maggiorata, il che si tradu-ce in una accelerazione da 0 a 100 km/h comunque entro i 4 secondi.Arriva anche qualche piccola dif-ferenza estetica, con le linea del paraurti leggermente diversificata, ma anche qualche cambiamento funzionale. Le ruote sono infatti più piccole, da 19”, con freni più sem-plici, con meno pistoncini e dischi più piccoli e più sottili. Il motore avrà mano potenza, pertanto una dimensione più compatta. Questo offrirà più spazio al vano di carico che passa da 365 litri a 404 litri. Si guadagna infine qualcosa anche in termini di peso, la 4S pesa infatti 2.166 kg, contro i 2.327 kg della Turbo. Cambia ovviamente il prez-zo, che per Taycan 4S parte da poco sopra i 109.000 euro. Una ci-fra notevole, ma sempre meno dei 156.000 euro del modello Turbo.

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MAGAZINEn.41 / 1921 OTTOBRE 2019

di Massimiliano ZOCCHI

Arrivano da più fonti conferme che Tesla sia intenzionata ad asse-condare le disposizioni previste

per ottenere l’incentivo che la Regione Lombardia ha dedicato al ricambio delle vetture circolanti. Secondo il bando da poco pubblicato, per ottenere il massimo dell’incentivo, riservato alle auto elettri-che, ovvero 8.000 euro, il venditore deve garantire almeno 2.000 euro di sconto. Il dubbio era proprio se Tesla, notoriamen-te restia a praticare sconti, avrebbe cedu-to su questo punto. Il cittadino residente in Lombardia dalla sua parte deve rot-tamare un vecchio veicolo fino a diesel Euro 5, oppure radiarlo per esportazione all’estero.Di conseguenza il bonus totale raggiun-gerebbe già i 10.000 euro. A questi è possibile sommare gli incentivi statali, già attivi da alcuni mesi, che offrono uno sconto di 4.000 euro, più altri 2.000 euro

AUTO ELETTRICA Tesla ha deciso di assecondare le regole degli incentivi della Lombardia

Tesla, fino a 16.000 € di bonus sulla Model 3Gli incentivi porterebbero lo sconto totale per la Model 3 a 16.000 euro. Ecco come

se si rottama un veicolo fino a diesel Euro 4 o benzina Euro 2. Supponendo quindi di dover rottamare un’auto che rientra in entrambi gli incentivi, il bonus totale sa-rebbe di 16.000 euro. Valido nel caso di Tesla solo per Model 3, in quanto l’eco-bonus statale ha anche il tetto massimo di spesa di 61.000 euro IVA inclusa. Que-sto significherebbe poter avere una Tesla Model 3 Standard Range Plus a poco più

di 33.000 euro. Attenzione però a un det-taglio: i due incentivi funzionano in modo diverso. Quello statale offre uno sconto immediato, mentre quello regionale of-fre subito solo lo sconto di 2.000 euro, mentre i restanti 8.000 euro vanno anti-cipati, e sarà poi la regione, a domanda accettata presso lo sportello telematico apposito, a restituire il dovuto con boni-fico bancario.

Kawasaki presenta già la nuova Ninja 650: più tecnologica con display, connessione Bluetooth e fari full LEDKawasaki non aspetta EICMA 2020, e presenta già la rinnovata Ninja 650. Nuovo design e dettagli hi-tech

di M. ZOCCHI

Arriverà nelle concessionarie a gennaio 2020 la nuova Kawasaki Ninja 650, che la casa giapponese ha deciso di svelare con un po’ di anticipo rispetto alla kermesse mi-lanese EICMA. Nonostante ci siano ormai voci insistenti sull’arrivo di una Ninja elettrica, per la motoriz-zazione non ci sono sorprese, con la conferma del motore bicilindrico da 649 cc, con potenza di 68 CV e coppia di 65 Nm (oppure 48 CV e 58 Nm per neopatentati).Quello che cambia è l’estetica, con un design rinnovato, soprattutto nella parte frontale che segna an-che l’arrivo della fanaleria Full LED. Il dettaglio più tecnologico però è la nuova strumentazione con display TFT a colori. Lo schermo ha una diagonale di 4.3” ed oltre a fornire tutte le informazioni utili è anche dotato di connettività Blue-tooth. È possibile quindi connet-tere lo smartphone alla Ninja 650 sfruttando l’app dedicata Rideolo-gy. In questo modo si riceveranno le notifiche delle chiamate e dei messaggi, oltre a informazioni sul percorso e reminder dei tagliandi.La nuova Ninja 650 arriverà a gen-naio 2020, nella colorazione che riprende quella della moto vincen-te in SBK, oltre al pearl flat stardust white e il metallic spark black, a poco più di 8.000 euro.

di Pasquale AGIZZA

U n momento storico nel campo del-le energie rinnovabili. Per la prima volta dal 1882, data di apertura

della prima centrale elettrica pubblica, il Regno Unito ha prodotto più energia da fonti rinnovabili che da fonti fossili. A darne notizia è un rapporto del sito Carbon Brief. Nello specifico, la produ-zione di energia elettrica da fonti rinno-vabili nel trimestre comprendente Luglio, Agosto e Settembre è stata di 29,5 TWh, un valore superiore ai 29,1 TWh ottenu-ti tramite fonti fossili. L’energia ottenuta tramite fattorie del vento, impianti sola-ri, impianti idroelettrici e a biomasse è stata quindi superiore a quella ottenuta tramite petrolio, gas e carbone. Questo ottimo risultato è dovuto, in gran parte, all’aumento esponenziale della pro-duzione da energia eolica. Secondo il rapporto, infatti, la creazione di un gran numero di fattorie del vento offshore è

FONTI RINNOVABILI La notizia diffusa dal rapporto trimestrale pubblicato sul sito Carbon Brief

Sorpasso storico nel Regno Unito: più energia elettrica prodotta da rinnovabili che da fossiliTraguardo storico per il Regno Unito dalla costruzione della prima centrale elettrica, nel 1882

la ragione principale di questo boom delle rinnovabili. E i piani di sviluppo per il futuro sembrano rosei. La produzione di energia eolica dovrebbe aumentare, infatti, dagli attuali 8.500 MW a 20.000 MW entro la fine del 2020, per assestarsi poi a 30.000 MW entro il 2030. Oltre che per questo storico sorpasso, il rapporto di Carbon Brief è importante anche per-ché segnala un drastico calo dell’energia ottenuta da fonti fossili negli ultimi nove

anni. Dal 2010 al 2019, infatti, si è passati da 288 TWh annui a 142 TWh. Anche se le energie rinnovabili sembra-no ormai destinate ad avere un ruolo sempre più centrale, c’è però da segna-lare che la fonte più utilizzata continua ad essere il gas. Oltre il 38% dell’energia prodotta in UK proviene, infatti, da que-sta fonte. L’eolico ha raggiunto una quo-ta del 20%, sopravanzando per la prima volta il nucleare fermo al 19%.

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MAGAZINEn.41 / 1921 OTTOBRE 2019

di Pasquale AGIZZA

D ue scooter elettrici, una moto da trial, un mezzo a tre ruote e per-fino una sedia a rotelle di nuova

concezione. Yamaha fa all-in con l’elet-trico, e a due settimane dal Tokyo Motor Show rivela il design ed alcuni particolari dei prodotti che porterà in fiera. Partiamo dai due scooter elettrici. Si chiameranno Yamaha E01 ed E02. Il primo è più gran-de, e presenta la presa per la ricarica rapida. Lo spazio disponibile, accoppia-to al motore frizzante, strizza l’occhio al comfort e alla piacevolezza di guida. Completamente diverso, invece, lo E02, praticamente un cinquantino elettrico, punterà tutto su agilità e leggerezza. La velocità dovrebbe essere limitata a 50 chilometri orari, e la batteria sarà sosti-tuibile. Yamaha E02 è nato dalla collabo-razione fra la casa giapponese e Gogoro sul tema delle batterie sostituibili.

URBAN MOBILITY Yamaha svela il design ed alcuni particolari dei mezzi che presenterà a Tokyo

Yamaha, pronti due scooter, una moto da trial e perfino una sedia a rotelle elettricaC’è spazio anche per le sperimentazioni, ma per vedere tutto l’appuntamento è al 24 ottobre

La moto da trial seconda al mondialeSaliamo di categoria con la Yamaha TY-E, la proposta di Yamaha per gli amanti del trial. Questo sport consiste nel superare o aggirare grandi ostacoli senza mettere i piedi per terra, ed è uno dei campi di maggior utilizzo per dispositivi elettrici.A differenza di tutti gli altri mezzi che Yamaha presenterà, la TY-E ha già avuto

il suo battesimo del fuoco. La moto, infat-ti, è stata guidata dal pilota giapponese Kenichi Kuroyama in diverse prove della coppa del mondo di trial. Grazie alle doti della moto, oltre che ovviamente ala sua abilità, è riuscito a cogliere ottimi risultati, compreso un secondo posto.

Le sperimentazioni di Yamaha

Yamaha ha svelato anche alcune del-le sue sperimentazioni con mezzi non proprio convenzionali. Un esempio è il Yamaha Tritown, un mezzo a tre ruote simile ad un monopattino elettrico da gui-dare in posizione eretta. Tritown è ancora un prototipo, e Yamaha sta continuando a testare il prodotto in Giappone.Chiudiamo poi dando uno sguardo agli sforzi fatti da Yamaha nel settore delle sedie a rotelle elettriche. Yamaha JWX-1 PLUS+ è la carrozzina con cui il produt-tore giapponese vuole convincere gli utilizzatori di sedie a rotelle meccaniche ad abbracciare il settore dell’elettrico. Del dispositivo si sa che utilizzerà un sistema di controllo proprietario, chiamato JW Smart Core, che consentirà all’utilizzatore di controllare facilmente l’accelerazione, la velocità del mezzo e altri parametri di movimento. Le altre informazioni saranno svelate al Tokyo Motor Show dal 24 otto-bre nella capitale giapponese.

Design moderno e 160 km di autonomia Ecco lo scooter elettrico Model BDall’Olanda sta per arrivare sul mercato di tutta Europa un nuovo scooter elettrico. Telaio rivoluzionario, doppia batteria estraibile e connettività Bluetooth di M. ZOCCHI

L’olandese Brekr presenta in ante-prima il suo scooter elettrico Model B. Sarà disponibile in due versioni, una con velocità limitata a 25 km/h e una da 45 km/h. La caratteristica distintiva di Mo-del B è il design, per via del telaio tubolare e del motore posto nella ruota, con una parte posteriore in generale cortissima, con sospen-sioni trasversali. Tutta la parte centrale è occupata dalle batterie, cosa che garantisce a Model B una buona autonomia. C’è spazio infatti per uno o due moduli da 1.9 kWh, in grado di offrire fino a 80 o 160 km di autonomia. I modu-li sono realizzati con celle al litio 18650, dal peso di 10 kg. Possono essere estratti e trasportati tramite la maniglia, così da permettere la ricarica anche in casa o in ufficio. Il peso totale dello scooter invece, con una batteria, è di solo 62 kg.Brekr non ha rivelato per ora altre caratteristiche tecniche, ad ecce-zione della connettività per smar-tphone, presumibilmente tramite Bluetooth. Brekr sta accettando preordini a basso costo, solo 9 euro; le consegne inizieranno in primavera 2020, inizialmente in Olanda, Belgio e Germania per poi espandersi agli altri Paesi. Il prez-zo finale sarà di 3.890 euro, non poco ma in Italia per effetto degli incentivi dedicati a scooter e moto elettriche può essere competitivo, in virtù dell’ottima autonomia.

DMOVE L’azienda produttrice indiana la svelerà il 13 novembre

Presto scopriremo Ultraviolette F77 Una nuova super moto elettrica

di M. ZOCCHI

U na nuova moto elettrica sta per es-sere svelata. Si tratta di Ultraviolette F77, prodotta dall’omonima azienda

indiana, che vedremo per la prima volta il 13 novembre. L’unica foto diffusa, anche se schiarita digitalmente, mostra la linea della moto senza però svelare troppi dettagli.È fuori da ogni dubbio che il segmento è quello delle moto sportive, fatto confermato anche da alcune caratteristiche tecni-che diffuse in anteprima.Il motore elettrico sarà da 25 kW (34 CV) che garantirebbe una accelerazione da 0 a 60 km/h in 3 secondi. La coppia è da 450 Nm, con il motore in posizione centrale e trasmissione a catena. Non dei dati sbalorditivi, ma che le permetterebbero di riva-leggiare con moto da 250 cc. F77 avrà anche la ricarica fast DC, come si può intuire dall’immagine della presa Combo CCS, anche se Ultraviolette non ha dichiarato autonomia o potenza di ricarica. Uno spaccato della batteria invece mostra che le celle utilizzato sono di tipo cilindrico, a prima vista forse delle 18650.Le modalità di guida saranno tre, Eco, Sport e Insane. La moto potrà puntare anche su funzionalità smart come la telemetria o l’opzione “Find My Bike”. Il settore è sicura-mente difficile, visti i recenti guai di Harley-Davidson o il fallimento di Arc Vector, ma Ultraviolette potrebbe avere dalla sua la grande spinta che il Governo indiano sta dan-do alla mobilità elettrica, nell’estremo tentativo di arginare la piaga dell’inquinamento atmosferico nel loro Paese.

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MAGAZINEn.41 / 1921 OTTOBRE 2019

di Massimiliano ZOCCHI

P iù volte abbiamo parlato dell’au-to elettrica che Dyson stava svi-luppando, apparentemente con

risultati positivi e tabella di marcia fitta e rispettata in tutti i passaggi. Invece, è ar-rivata la doccia fredda, per mezzo di una lettera ai dipendenti dello stesso James Dyson, in cui si rende noto che il board ha deciso di abbandonare il progetto au-tomotive. A quanto traspare dalla parole di Dyson, nonostante i mille sforzi per concretizzare il progetto, non si è trovata la strada per renderlo commercialmente sostenibile. Ecco una parte della lettera:

“Il team Dyson Automotive ha svi-luppato un’auto fantastica; sono stati ingegnosi nel loro approccio pur rimanendo fedeli alla nostra filosofia. Nonostante sia stato fatto tutto il possibile durante il processo di sviluppo, riteniamo che ad oggi non sussistano le condizioni neces-sarie per rendere il progetto com-

AUTO ELETTRICA Il progetto dell’auto elettrica di Dyson si è chiuso inaspettatamente

Dyson rinuncia all’auto elettrica: “abbiamo fatto tutto il possibile, ma non è sostenibile”Lo stesso Dyson ha scritto ai dipendenti spiegando che comunque non è stato un fallimento

mercialmente praticabile. Abbiamo provato a percorrere ogni strada per salvare il progetto. Abbiamo tentato di trovare un acquirente o un partner idoneo ma, finora senza successo. Volevo quindi informarvi personalmente che il Dyson Board ha preso la difficile decisione di procedere con la chiusura del no-stro progetto Automotive”Per cercare di arrivare al traguardo dun-que Dyson ha cercato un partner, magari già presente sul mercato automotive,

probabilmente per sopperire alla parte di fornitura e assemblaggio, veramente dif-ficile per chi non è mai stato nell’industria delle auto (Tesla insegna), ma nessuno si è fatto avanti. James Dyson ci tiene an-che a sottolineare che la questione non va considerata come un fallimento e che la forza lavoro sarà quasi completamente ricollocata in altri team dell’azienda:

“Questo non è un fallimento del prodotto, o un fallimento del team, per il quale questa notizia sarà dif-ficile da ascoltare e digerire. I loro risultati sono stati immensi, data l’enormità e la complessità del pro-getto. Stiamo lavorando per tro-vare rapidamente ruoli alternativi all’interno di Dyson per il maggior numero possibile di team e ab-biamo posti vacanti sufficienti per assorbire la maggior parte delle persone nel nostro Home business. Per coloro che non possono o non desiderano trovare ruoli alternativi, li sosterremo in modo equo e con il dovuto rispetto. Questo è un mo-mento difficile per i nostri colleghi e apprezzo la vostra comprensione e sensibilità mentre ci confrontiamo con le persone interessate”La lettera si conclude con la rassicurazio-ne che l’azienda continuerà il programma di investimenti da 2.5 miliardi di sterline per lo sviluppo di nuove tecnologie, tra cui anche la creazione di batterie allo stato solido, tanto desiderate proprio dal mercato automotive. Altri ambiti in cui verrano ridirezionati gli sforzi sono le tec-nologie di rilevamento, sistemi di visione, robotica, apprendimento automatico e intelligenza artificiale.

L’Unione Petrolifera avverte: “in Italia ci sono 6.000 distributori di troppo”Secondo l’Unione Petrolifera le pompe di benzina e gasolio nel nostro Paese superano di gran lunga il numero ottimale di M. ZOCCHI

La ricerca commissionata dal-l’Unione Petrolifera non lascia scampo a interpretazioni: i 21.000 distributori di carburante presenti sul territorio italiano sono troppi. I consumi di benzina e gasolio, ad oggi ancora le motorizzazioni prin-cipali per autotrazione, sono calati continuamente dal 2007, fino a una diminuzione del 17%. Allo stesso tempo i distributori hanno iniziato a chiudere i battenti, ma diminuendo solo del 7%. Secondo le stime della ricerca, 15.000 punti vendita sarebbero sufficienti per l’Italia, il che significa che ce ne sono 6.000 di troppo. La quantità di carburante erogato dalle singo-le stazione è il fulcro del discorso. Una rete troppo frammentata, con più di 200 operatori, e mal dislo-cata sul territorio, non consente per molti esercizi un guadagno sufficiente a sostenere l’attività. L’erogazione media italiana infatti è tra le più basse d’Europa, appe-na sopra i 1.300 metri cubi all’anno per impianto. Per capire la diffe-renza basti pensare che nel Regno Unito questo numero va ben oltre i 4.000 metri cubi. Tuttavia, sembra-no lontani i tempi in cui le pompe di carburante possano essere so-stituite da colonnine per la ricarica elettrica, turnover che è già iniziato in Norvegia. E nel Regno Unito le colonnine di ricarica hanno recen-temente fatto registrare il sorpasso sulle pompe di benzina.

DMOVE Musk continua ad alimentare l’hype dietro il Tesla Pick-up

Tesla Pick-up, il nome è Cybertruck? Sarà simile a un mezzo corazzato

di M. ZOCCHI

S embra ormai certo che il Tesla Pick-up verrà svelato il mese prossimo, sen-za che sia apparsa finora nemmeno un’immagine rubata. Tesla, durante la presentazione di Model Y, ha mostrato solo un dettaglio, non sufficiente ad

interpretare il design che avrà il veicolo. Elon Musk è tornato sull’argomento, sem-pre tramite l’amato Twitter, regalando nuovi spunti ai più curiosi.Per la prima volta il CEO si sbilancia, e lo chiama Cybertruck, senza ovviamente specificare se si tratta di un nome ufficiale o solo di una sua idea. Inoltre, per spiaz-zare ulteriormente i rumor, ha dichiarato che non ha mai visto nulla di simile, riferen-dosi probabilmente a tutti i rendering pubblicati ad oggi. Secondo Musk, il mezzo sarà simile a quello che gli americani chiamano APC (armored person-nel carrier). una sorta di mezzo corazzato e armato, dai design spesso più militari che civili. Sarà davvero così o si tratta dell’ennesimo depistaggio?

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MAGAZINEn.41 / 1921 OTTOBRE 2019

di Massimiliano ZOCCHI

È rimbalzata in rete la notizia secondo cui Harley-Davidson sta faticando più del previsto nell’attirare nuovi

clienti con la sua prima moto elettrica. La LiveWire non si rivolge certo ai nostalgici degli scarichi rumorosi tipici di HD, ma piuttosto a una nuova clientela che cerca una moto affascinante, moderna, ma con il tocco classico delle moto americane.Tuttavia sembra che le cose non stiano andando in modo esaltante, il che ha costretto Harley-Davidson a spingere un po’ di più sull’acceleratore del marke-ting, nella speranza di ottenere maggiore visibilità. In realtà una moto che in Italia supererà abbondantemente i 30.000

MOBILITÀ SOSTENIBILE LiveWire è bella potente e rivoluzionaria, ma costosa e non per principianti

La LiveWire di HD non attira nuovi clienti? Forse ci riuscirà il resto della gamma elettricaAltri prodotti, più di LiveWire, possono attirare nuovi clienti, anche estranei al mondo HD

euro non è certo fatta per nuovi e giovani appassionati. Anche le prestazioni, piut-tosto elevate grazie al motore elettrico, non sono certo adatte a principianti. La LiveWire non è dunque la moto che può segnare un vero passaggio per lo stori-co costruttore, ma forse in molti si sono dimenticati che i nuovi piani di HD non terminano con la sua prima moto elet-trica. Negli scorsi mesi Harley-Davidson ha mostrato una intera gamma di veicoli elettrici, di ogni genere e per utilizzi di-versi. Si va da moto più leggere e urba-

ne, passando per uno scooter con telaio e design essenziale, per arrivare fino a eBike da adulto e addirittura da bambi-no. Sono questi i prodotti che molto più di LiveWire possono attirare nuove leve, nuovi clienti, anche del tutto estranei al mondo Harley-Davidson. Gli utilizzi sono più moderni, legati alle esigenze di mobi-lità attuali e, cosa fondamentale, i prezzi saranno certamente molto più accessi-bili. In definitiva, LiveWire segna un mo-mento di cambiamento per l’azienda, ma è solo un punto di inizio e non di arrivo.

Volkswagen ID.3 potrà “parlare” al conducente, come una moderna Knight RiderVolkswagen ha svelato anche la speciale funzione di luci intelligenti nell’abitacolo della ID.3. Con colori e intermittenze, possono comunicare con gli occupanti di M. Zocchi

Chi ha vissuto negli anni ‘80 si-curamente ricorderà la serie TV Supercar, il cui titolo originale era Knight Rider. Un’auto in grado di parlare col conducente, la cui voce era scandita da LED colorati a intermittenza. Forse è a questo che si è ispirata Volkswagen per la nuova funzione di ID.3. Il cruscotto di ID.3 avrà una striscia luminosa lungo tutta la sua lunghezza che non servirà solo come luce am-bientale, ma bensì sarà l’anima di ID.Light Concept. Per capire più o meno come funzionerà, Volkswa-gen ha rilasciato un’immagine dinamica. L’auto non avrà quindi solo controlli vocali, ma potrà an-che emettere dei feedback nelle varie situazioni. Secondo quanto dichiarato da VW, la striscia cam-bierà colore in base alle diverse funzioni, avvisando dell’attivazio-ne della vettura, della chiusura o apertura della vettura, o anche di situazioni di emergenza come l’entrata in funzione della frenata automatica. Lampeggiando potrà anche segnalare se l’auto non è nella corsia raccomandata dal si-stema di navigazione, suggeren-do un cambio corsia. La stessa striscia offrirà anche una risposta ai comandi vocali. Allo stesso modo fornirà anche indicazioni sullo stato della batteria, ovvia-mente verde a carica completa.

di M. ZOCCHI

P roprio nel bel mezzo delle prime consegne della moto elettrica di Harley-Davidson, è arrivata la deci-

sione di fermare la produzione. Secondo quanto comunicato, l’azienda aveva indi-viduato un non meglio specificato difetto di qualità, presumibilmente al caricatore di bordo necessario per la ricarica in cor-rente alternata.

“I clienti possono continuare a guidare la loro moto LiveWire e possono caricare la motociclet-ta con tutti i metodi. (...) Abbiamo confermato che si è trattato di un caso isolato su una motocicletta. La

MOBILITÀ SOSTENIBILE Harley-Davidson aveva scovato un difetto tramite i controlli qualità

Harley-Davidson, semaforo verde per la LiveWire Il problema al caricatore era un caso isolatoLa pausa della produzione è durata pochissimo, secondo i test non ci sono problemi di qualità

nostra rigorosa analisi ha dimostrato che le nostre forti misure di garanzia della qualità funzionano come pre-visto. I risultati hanno anche ribadito la forza della tecnologia e del design del prodotto di LiveWire. La produzio-ne è ripresa e stiamo consegnando ai rivenditori”La stessa Harley-Davidson aveva fatto sapere di essere al lavoro con ulteriori test per determinare la causa del proble-ma e ora scopriamo che le prove sono già terminate, chiarendo che il difetto era

solo un caso isolato. La casa aveva invita-to proprietari e concessionari a ricaricare la moto solo con colonnine DC, avverti-mento che aveva lasciato supporre che il difetto fosse localizzato in un componen-te necessario alla ricarica AC. Per questo motivo nel nuovo comunicato HD specifi-ca che ora i clienti possono tornare a cari-care la moto con qualsiasi metodo.