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131 IL GIUDIzIO DI APPELLO: FASE DI TRATTAzIONE 3. Divieto di domande ed eccezioni nuove L’estensore della norma processuale di cui all’art. 345 c.p.c. ha previsto il  divieto di introduzione in grado di appello di domande nuove. STRUTTURA RAGIONATA DELLA NORMA In grado di appello è consentito proporre  domande nuove? No. In ambito di secondo grado di me- rito non rimane consentito dalla norma  processuale di cui all’art. 345 introdurre  domande nuove. Cosa  si  prevede  in  caso  di  violazione  della norma? Qualora, nonostante il divieto espresso  della  norma,  siano  proposte  doman- de  nuove  in  appello,  si  prevede  che  le  stesse  restino  dichiarate  inammissibili  d’ufficio. Si  prevede  un  regime  derogatorio  ri- spetto alla regola generale stabilita con  il comma 1 dell’art. 345? Sì.  Ai  sensi  della  cit.  disposizione  del  rito civile, rimane stabilito che possono  domandarsi: - interessi; - frutti; -  accessori  maturati  dopo  la  sentenza  impugnata. Si può eventualmente anche domandare  risarcimento di danni sofferti? Sì.  L’istanza  deve  riguardare,  tuttavia,  la materia risarcitoria relativa ai danni  patiti  dalla  parte  dopo  la  sentenza  in  questione. Altre  esclusioni  riguardano  anche  il  tema delle eccezioni? Sì. Resta previsto dal dato positivo come  non possano essere proposte eccezioni  nuove, le quali non siano rilevabili anche  d’ufficio. Sul versante della prova, invece, che cosa  detta la regola processuale? La  norma  esclude  l’ammissibilità  di  nuovi mezzi di prova. Esclusa altresì la  produzione  di  nuovi  documenti,  salvo  che  la  parte  non  dimostri  di  non  aver  potuto proporli o produrli nel giudizio di  primo grado per causa ad essa non im- putabile. Resta, quindi, sempre possibile  il deferimento del giuramento decisorio.

3. Divieto di domande ed eccezioni nuove STRUTTURA ...€¦ · L’estensore della norma processuale di cui all’art. 345 c.p.c. ha previsto il divieto di introduzione in grado di

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  • 131IL GIUDIzIO DI APPELLO: FASE DI TRATTAzIONE

    3. Divieto di domande ed eccezioni nuove

    L’estensore della norma processuale di cui all’art. 345 c.p.c. ha previsto il divieto di introduzione in grado di appello di domande nuove.

    STRUTTURA RAGIONATA DELLA NORMA

    In grado di appello è consentito proporre domande nuove?

    No. In ambito di secondo grado di me-rito non rimane consentito dalla norma processuale di cui all’art. 345 introdurre domande nuove.

    Cosa  si  prevede  in  caso  di  violazione della norma?

    Qualora, nonostante il divieto espresso della  norma,  siano  proposte  doman-de nuove  in  appello,  si  prevede  che  le stesse  restino dichiarate  inammissibili d’ufficio.

    Si  prevede  un  regime  derogatorio  ri-spetto alla regola generale stabilita con il comma 1 dell’art. 345?

    Sì.  Ai  sensi  della  cit.  disposizione  del rito civile, rimane stabilito che possono domandarsi:- interessi;- frutti;-  accessori  maturati  dopo  la  sentenza impugnata.

    Si può eventualmente anche domandare risarcimento di danni sofferti?

    Sì.  L’istanza  deve  riguardare,  tuttavia, la materia risarcitoria relativa ai danni patiti  dalla  parte  dopo  la  sentenza  in questione.

    Altre  esclusioni  riguardano  anche  il tema delle eccezioni?

    Sì. Resta previsto dal dato positivo come non possano essere proposte eccezioni nuove, le quali non siano rilevabili anche d’ufficio.

    Sul versante della prova, invece, che cosa detta la regola processuale?

    La  norma  esclude  l’ammissibilità  di nuovi mezzi di prova. Esclusa altresì la produzione  di  nuovi  documenti,  salvo che  la parte non dimostri  di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non im-putabile. Resta, quindi, sempre possibile il deferimento del giuramento decisorio.

  • CAPITOLO IV132

    Pertanto, rimane stabilito dalla norma anzidetta come per il caso di pro-posizione di domande nuove le stesse debbano essere concluse come inam-missibili d’ufficio. 

    •  Il Punto

    È posto divieto dalla norma processuale di introduzione in grado d’appello di domande nuove. La violazione del divieto importa l’inammissibilità d’ufficio di domande nuove proposte per la prima volta in tale grado di giudizio.

    Ammessa,  invece,  la  formulazione  della  domanda  in  grado  di  appello riguardante: interessi, frutti ed accessori, la cui maturazione abbia fatto se-guito alla stessa pronuncia della sentenza assoggettata all’esercizio dell’azione rimediale dell’impugnazione. 

    Alle situazioni delle quali in ultimo resta poi aggiunto, dalla stessa previsio-ne normativa qui all’esame il tema relativo al risarcimento del danno sofferto in momento successivo alla sentenza alla quale si è dinanzi fatto cenno. 

    •  Il Punto

    La norma di rito dispone in senso opposto per il tema di interessi, frutti, ac-cessori e risarcimento danni conseguenti alla sentenza appellata. Il comma 2 della previsione di cui all’art. 345 ammette l’articolazione in sede d’appello della domanda il cui oggetto resti qualificato dagli ambiti dinanzi richiamati.

    La norma ha posto divieto in ordine alla proposizione di nuove eccezioni, le quali non siano anche rilevabili d’ufficio e resta altresì escluso che possa accedersi all’introduzione di nuovi mezzi di prova. Non possono essere in-trodotti nel grado del giudizio di appello nuovi documenti, salvo il caso in cui la parte dimostri di non averli potuti introdurre nell’ambito del giudizio di prima istanza, per causa ad essa non imputabile. 

    •  Il Punto

    Resta escluso che possa accedersi all’introduzione in grado d’appello di:- eccezioni nuove;- prove nuove;- documenti, salvo casi particolari.

  • 133IL GIUDIzIO DI APPELLO: FASE DI TRATTAzIONE

    Resta peraltro disposto dal dato positivo in considerazione come possa sempre deferirsi il giuramento decisorio.

    Con riguardo al regime definito dalla norma per la materia degli interessi, si osserva che, diversamente dal predetto ambito per cui resta prevista dichia-razione di  inammissibilità d’ufficio della domanda nuova, rimane previsto come il codificatore abbia stabilito dovessero farsi salvi: interessi, frutti ed accessori,  la cui maturazione abbia così avuto  luogo successivamente alla sentenza sottoposta ad esercizio di attività impugnatoria. 

    La conclusione alla quale sembra potersi giungere, pertanto, rileva come, in ragione del dettato in considerazione, al creditore resti consentito di evitare la stessa instaurazione di un nuovo giudizio fondato sulla pretesa di interessi, la cui maturazione sia occorsa in un momento successivo rispetto alla pro-nuncia resa oggetto del rimedio impugnatorio. 

    Tale considerazione è fondata sul rilievo che la predetta domanda resta data alla parte introdurre già nella sede del giudizio di seconde cure. 

    4. Il divieto di nuovi temi di indagine in sede di seconde cure

    Nella giurisprudenza di legittimità si è concluso negativamente rispetto alla proponibilità per la prima volta in grado di appello della domanda finalizzata all’accertamento del diritto del condividente ed al conseguente ampliamento della quota a questi spettante. 

    La conclusione è, quindi, rimasta argomentata sul fondamento del divieto di novum imposto dalla norma di cui all’art. 345 c.p.c.

    Nella specie il principio del quale si è dinanzi conclusa sintesi ha riguardato il caso del soggetto che, nella sua veste di condividente, evocava la previsione di cui all’art. 1115, comma 3, c.c. per aver assolto al pagamento di un debito solidale e, per gli effetti, la medesima parte interessata riteneva di conseguire incremento della quota del bene oggetto della relativa divisione a lui spettante, quale corrispondente al suo diritto verso gli altri condividenti. 

    Vale osservare sul tema come la norma richiamata del codice di rito preveda il divieto di jus novorum con riguardo al giudizio di appello. 

    Non sfugge, peraltro, all’ingresso del principio di cui innanzi, la materia delle controversie tributarie. 

    Con ciò si esclude che dinanzi alla Commissione tributaria regionale pos-sano essere introdotte domande nuove.

    Effetti neutri avrebbero poi i casi nei quali, a fronte del divieto imposto dalla legge, fossero ugualmente proposte domande nuove. 

    Ritenuta, ancora assistita dal carattere della novità, in quanto tale, perciò, non proponibile in sede di appello, in ragione della previsione positiva di cui all’art. 57, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, la domanda introduttiva dell’appello 

  • CAPITOLO IV134

    da parte del contribuente con la quale quegli presti una causa petendi diversa, il cui fondamento resti articolato sopra delle situazioni giuridiche non oggetto di definizione nel giudizio reso in primo grado. 

    La conclusione sul tema qui di interesse, quindi, sottolinea come, attra-verso il meccanismo dinanzi sintetizzato, trovi luogo l’ingresso di un nuovo tema di indagine. 

    Segmenti di diritto vivente

    1.  La norma processuale prevede divieto di novum in appello.2.  Tuttavia, essa, in deroga a tale divieto, consente in appello di chiedere il risar-

    cimento dei danni sofferti dopo la sentenza di primo grado. 3.  Anche l’ulteriore rivalutazione monetaria, secondo il giudicante, della somma 

    liquidata a tale titolo dal primo giudice, trattandosi di debito di valore, può essere liquidata dal giudice d’appello sino alla data di pubblicazione della sentenza di secondo grado.

    4.  Il divieto del novum in appello riguarda soltanto le domande e non le eccezioni. 5.  È pertanto consentita la deduzione, per la prima volta in secondo grado, dell’in-

    validità di un negozio, ove tale deduzione sia diretta al mero fine di conseguire il rigetto della domanda proposta dalla controparte in forza del medesimo negozio e non anche un’autonoma pronuncia giudiziale affermativa di quella invalidità.

    6.  Il divieto del novum opera anche nel contenzioso tributario.7.  È inammissibile, pertanto, l’appello proposto dall’ufficio sulla base di un’ecce-

    zione non dedotta nel giudizio di primo grado.

    In sede di gravame resta esclusa, pertanto, l’ammissibilità di domande le quali non siano anche state introdotte in sede di prima istanza. 

    All’uopo deve trattarsi di domande il cui esame conduca a modifiche dello stesso tema connesso alla relativa indagine. 

    Si ha  cura,  pertanto,  di  avere  riguardo  per una  categoria  di  domande, rispetto alle quali vige il vincolo della preclusione, in base a quanto previsto dalla norma del codice di rito di cui all’art. 345 c.p.c. 

    Altro ambito oggetto di preclusione, per opera della disposizione del codice di rito qui in esame, rimane quello previsto in relazione a nuove prove nella sede di seconde cure. 

    Trattasi  di  condizione  comune  alle  stesse  prove  documentali,  sì  come sottolineato dall’esame della materia condotto nella sede giurisprudenziale. 

    Il divieto, in ultimo considerato, resta desunto dalla preclusione, la quale consegue dalla mancata articolazione, oppure dalla intempestiva formulazione della richiesta istruttoria entro i termini stabiliti per il giudizio di prime cure. 

    Si deve anche agli stessi orientamenti maturati nel diritto vivente la deli-mitazione del limite del regime delle preclusioni, quale riferito non solamente 

  • 135IL GIUDIzIO DI APPELLO: FASE DI TRATTAzIONE

    al caso in cui sia provata l’intempestività di accedere alla formulazione della richiesta istruttoria, ma anche in ciò che si conclude per essere qualificata come indispensabilità della prova ai fini stessi della decisione. 

    Questioni giurisprudenziali

    3) Quando rimane dato originarsi la condizione della mutatio libelli?

    Cass. civile, sez. I, 19 settembre 2016, n. 18299

    […] È domanda nuova [mutatio libelli], non proponibile  per  la  prima  volta  in  appello ai  sensi  dell’art.  345  c.p.c.,  quella  che  alteri anche  uno  soltanto  dei  presupposti  della domanda  iniziale,  introducendo  un  petitum diverso e più ampio, oppure una diversa causa petendi, fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado ed in particolare su un fatto giuridico costitutivo del diritto ori-ginariamente vantato,  radicalmente diverso, sicché risulti inserito nel processo un nuovo tema d’indagine; ne consegue che la domanda 

    di  risarcimento  di  danni  per  responsabilità contrattuale  –  essendo  diversa  da  quella  di risarcimento di danni per responsabilità ex-tracontrattuale  perché  dipende  da  elementi di  fatto  diversi  non  solo  per  quanto  attiene all’accertamento della responsabilità ma anche per  quanto  riguarda  la  determinazione  dei danni – non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello per ampliare l’o-riginaria domanda di  risarcimento di danni per responsabilità extracontrattuale (Cass. 14 febbraio 2001, n. 2080).

    4) Quale rilevanza acquista l’autosufficienza del ricorso per cassazione ai fini della decisione dello stesso?

    Cass. civile, sez. II, 30 aprile 2014, n. 9527

    Il secondo motivo viene altresì censurata la “violazione o falsa applicazione del generale disposto dell’art. 345, comma 1, c.p.c., in terna di  divieto  dello  jus novorum,  applicabile  al d.P.R. 636/1972”. 2.1. Lamenta la ricorrente che, a fronte di un thema decidendum incardinato in primo grado solo sulla “esistenza o meno del debito  IVA per mancato riconoscimento dell’inesistente credito IVA di pari  importo (L. 4.497.000)”, l’Agenzia delle entrate avrebbe mutato dap-prima il petitum dinanzi alla Commissione di secondo grado (dalle iniziali L. 4.497.000 alle ‘riconteggiate’  L.  2.887.000),  e  poi  la  causa petendi  dinanzi  alla  Commissione  centrale, eccependo  “che  il  contribuente  non  avesse provato il pagamento di (presunti) altri debiti d’imposta sulle liquidazioni mensili IVA”. 

    3. Preliminarmente, va dichiarata l’inammis-sibilità  del  ricorso  proposto  nei  confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, poiché l’art. 57, primo comma, d.lgs. n. 300 del 1999 ha trasferito alle agenzie fiscali tutti i “rapporti giuridici”, i “poteri” e le “competen-ze” già facenti capo al predetto Ministero, con la conseguenza che, a far data dall’1 gennaio 2001  (giorno  di  inizio  di  operatività  delle Agenzie fiscali in forza del d.m. 28 dicembre 2000, art. 1) la legittimazione sia attiva che passiva  spetta  esclusivamente  all’Agenzia delle  entrate  (ex plurimis:  Cass.  nn.  27182, 23551, 7300 e 6394 dei 2014; n. 6929 del 2013; nn. 22992 e 26321 del 2010; n. 1123 del 2009; n. 6591 del 2008; nn. 3116 e 3118 del 2006; n. 15021 del 2005; nn. 24245 e 15643 del 2004; n. 9538 del 2001). 

  • CAPITOLO IV136

    4.  Quanto  al  primo  motivo  di  ricorso,  esso è  inammissibile per varie  ragioni:  in primo luogo,  poiché  ragioni  logiche  impediscono di  censurare  contemporaneamente  la  man-canza,  l’insufficienza  e  la  contraddittorietà della  motivazione  (Cass.  n.  8203  del  2015; n.  5471  del  2008), non potendosi predicare l’insufficienza o la contraddittorietà di ciò che sia – in tesi – inesistente; in secondo luogo, per difetto di decisività, poiché esso coglie solo una delle rationes decidendi, dal momento che la Commissione  centrale,  accanto al  rilievo che  sarebbe  stato  lo  stesso contribuente ad aver ammesso il debito (con riferimento alla contestata frase “anziché a debito”), osserva comunque  che,  a  fronte  della  deduzione dell’ufficio  per  cui  “la  contribuente  non  ha provato il versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione IVA per l’anno 1989”, non “risultano prodotte prove del pagamento di quanto dovuto, sicché la contestata iscrizione a ruolo non può dirsi illegittima”. 5. Anche il secondo motivo risulta affetto da profili di inammissibilità, non tanto per l’im-propria deduzione di un error in iudicando, piuttosto che del segnalato error in proceden-

    do  (violazione  del  divieto  di  jus novorum), quanto  per  l’evidente  difetto  di  autosuffi-cienza, poiché, per corroborare le contestate modifiche di petitum e causa petendi nei vari gradi di giudizio, esso fa riferimento ad atti che non sono né trascritti, né specificamente indicati in ricorso. In  ogni  caso  entrambi  i  motivi,  invero  non connotati da particolare chiarezza, finiscono per snaturare il giudizio di legittimità, che non consiste  in un ulteriore grado di merito, nel quale sottoporre a rivisitazione le valutazioni del giudice a quo “non condivise, e per ciò solo censurate, al fine di ottenerne la sostituzione con  altre  più  consone  ai  propri  desiderata, quasi  che  nuove  istanze  di  fungibilità  nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di  legittimità”  (Cass.  sez.  un.  n.  7931/2013; conf. Cass. n. 3396/2015 e n. 12264/2014). 7. In conclusione, il ricorso va respinto, senza necessità  di  statuizione  sulle  spese  del  giu-dizio di legittimità, le quali, in ragione della mancata  costituzione  delle  parti  intimate, restano a carico della parte soccombente che le ha anticipate. 

    [...]  Quest’ultima  soluzione  è  stata  di  re-cente  condivisa  da  altra  pronuncia  (n. 23195/2010), la quale ne ha tratto il  logico corollario in base al quale, per il principio generale  dell’art.  345,  comma  1  c.p.c.,  la domanda diretta a  conseguire gli  interessi compensativi non può essere proposta per la prima volta nel giudizio d’appello. E tale ultimo orientamento questa Corte ri-tiene di condividere, non essendo revocabile in  dubbio  che  mentre  nell’ipotesi  di  risar-cimento del danno la corresponsione degli interessi  costituisce  una  tecnica,  neppure unica  ed  esaustiva,  di  tradurre  in  equiva-lente monetario un bene della vita diverso dal  denaro  e  non  reintegrabile  in  natura, 

    gli  interessi  compensativi  previsti  dell’art. 1499  c.c.  assolvono  la  funzione  di  ristabi-lire, nell’ambito del sinallagma funzionale, l’equilibrio  economico  delle  prestazioni  a rispettivo carico delle parti, ogni qual volta l’alterazione valoriale derivante dalla distan-za di  tempo  intercedente  tra  l’una e  l’altra prestazione non sia stata, espressamente o implicitamente,  (pre)negoziata  dalle  parti stesse. Pertanto,  gli  interessi  ex  art.  1499  c.c. operano  in  funzione perequativa  e  conser-vativa della corrispettività economica delle prestazioni e sul presupposto, quindi, della manutenzione del contratto, e non del suo scioglimento. 

    5) È proponibile in appello domanda nuova avente come oggetto interessi compensativi di cui all’art. 1499 c.c.?

    Cass. civile, sez. II, 31 luglio 2012, n. 13713

  • 137IL GIUDIzIO DI APPELLO: FASE DI TRATTAzIONE

    4.1.1.  –  Nella  fattispecie,  la  [...]  nella  pro-pria  comparsa  di  risposta  di  primo  grado aveva domandato, oltre alla risoluzione del contratto preliminare 29 maggio 1989 (“per volontà  della  società  convenuta”,  così  si legge nelle conclusioni riportate nell’epigrafe della sentenza di primo grado), la condanna della [...] al risarcimento dei darmi per aver usufruito dei locali e dell’immobile, “danni da quantificarsi nella misura degli interessi legali sulla somma di lire 245.000.000 dal 20 maggio 1989 al saldo”. Sebbene parametrata agli interessi legali e diret-ta a compensare il promittente venditore per il mancato godimento del bene anticipatamente consegnato al promissario acquirente,  la do-manda proposta dalla [...] si basa su di una causa

    petendi – la risoluzione del contratto – antitetica rispetto a quella che di necessità presuppone la domanda di pagamento degli interessi previsti dall’art. 1499 c.c., di guisa che tale pretesa non è accoglibile su di un presupposto diverso, pena l’immutazione della causa petendi. La Corte d’appello si è pronunciata, pertan-to, su di una domanda in realtà diversa da quella proposta, la cui corretta interpreta-zione,  nei  sensi  anzi  detti,  è  consentita  a questa Corte in quanto la censura proposta è diretta a far valere un error in procedendo, che abilita il giudice di legittimità all’esame del  fatto  processuale  (giurisprudenza  co-stante di questa Corte: cfr. ex multis, Cass. nn.  12909/2004,  1101/2006,  1221/2006  e 539/2012). 

    5. Il divieto generale di domande ed eccezioni nuove e la deroga

    In ragione del dato dispositivo dettato dall’art. 345 del codice di rito civile, rimane imposto divieto di introduzione dello jus novorum in sede di appello. 

    DOMANDE ED ECCEZIONI NUOVE

    In  appello  non  possono proporsi domande nuove.È prevista, per la violazio-ne del divieto, l’irrogazio-ne  della  inammissibilità della  domanda,  anche d’ufficio.

    In  appello  possono  do-mandarsi: interessi, frutti, accessori  la  cui  matura-zione sia intervenuta dopo la  sentenza  impugnata, nonché  il  risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa.

    In  appello  non  possono proporsi nuove eccezioni, che  non  siano  rilevabili anche d’ufficio.Infine,  in  appello  non sono ammessi nuovi mez-zi  di  prova  e  non  posso-no  essere  prodotti  nuovi documenti,  salvo  prova della parte che dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.Può sempre deferirsi giu-ramento decisorio.

  • CAPITOLO IV138

    La norma processuale ripetuta in queste pagine ex art. 345 cit. introduce divieto generale di proposizione in grado di appello di domande nuove. 

    Tale divieto, tuttavia, resta assoggettato a deroga dalla disposizione della quale la stessa previsione in esame resta custode.

    A fondamento della deroga sembrano porsi delle ragioni, le quali ricevono essenziale apprezzamento sotto il distinto profilo dell’economia processuale. 

    In concreto, la condizione di deroga alla quale rinvia la norma impegna il terreno specifico di interessi, frutti ed accessori cui si aggiungono danni maturati e sofferti  in tempo successivo alla sentenza oggetto dell’esercizio dell’azione rimediale dell’impugnazione in appello.

    •  Il Punto

    La norma processuale introduce divieto di jus novorum.Si tratta di regola generale, la quale conosce deroghe per stessa previsione dell’art. 345 c.p.c.Così, in seconde cure, resta dato introdurre domanda volta al conseguimento di interessi, frutti, accessori e risarcimento danni sofferti in tempo successivo alla sentenza impugnata.

    Si è così definito, per opera del legislatore processuale, il quadro nel quale si va a collocare il tema derogatorio, cui si è fatto cenno, come individuato, cioè, negli interessi, frutti, accessori e danni la sofferenza dei quali sia suc-cessiva alla pronuncia resa terreno di impugnazione. 

    Il limite al dato positivo, si rinviene nella natura degli accessori. Questi debbono riguardare una domanda, la cui articolazione sia già stata prestata in sede di prima istanza. Con ciò si deve escludere come possa anche trattarsi di domande la cui proposizione abbia avuto luogo per la prima volta in sede di appello. 

    Sul versante specifico degli interessi si è esaminato, in sede giurispruden-ziale, il caso del giudicante che, in sede di prima istanza, abbia mancato di considerare la domanda di condanna al pagamento degli interessi legali, la proposizione della quale sia occorsa per opera di una delle parti. Eventuali-tà, questa dinanzi descritta, rispetto alla quale non abbia poi fatto seguito la proposizione dell’appello. 

    La vicenda ha visto sposare la conclusione, la quale ha favorito l’esclusione della possibilità per il giudicante di seconde cure di attendere all’assunzione di una qualche decisione sul punto. 

    Una tale soluzione si è ritenuta doversi ampliare anche all’ambito costi-tuito dagli interessi maturati in tempo successivo alla decisione resa terreno di impugnazione. 

  • 139IL GIUDIzIO DI APPELLO: FASE DI TRATTAzIONE

    Nel caso, poi, in cui in primo grado sia stata articolata domanda finalizzata al conseguimento dei frutti civili, in sede di appello resta consentito proce-dere alla formulazione della richiesta dei nuovi frutti, i quali siano maturati successivamente alla stessa emissione della pronuncia gravata. 

    Tra gli interessi i quali possono rimanere oggetto di apposita istanza nella sede di appello si pongono quelli composti. 

    Quindi, gli interessi che, ai sensi della norma di cui all’art. 345 codice di rito, possono costituire oggetto della relativa istanza sono quelli la matura-zione dei quali sia occorsa in un momento successivo all’impugnazione della pronuncia di prima istanza. 

    La pretesa articolata in appello, secondo non recente decisione di legitti-mità, di riconoscimento degli interessi composti, può essere consentita entro quei limiti nei quali la norma sostanziale di cui all’art. 1283 c.c. ammette la figura dell’anatocismo. 

    Questioni giurisprudenziali

    6) Quando può dirsi preclusa un’eccezione?

    Cass. civile, sez. V, 3 giugno 2015, n. 11442

    [...] Il motivo è fondato. Preliminarmente  va  considerato  che  l’art. 57, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 vieta  di  proporre  in  grado  d’appello  nuove eccezioni e salvo che le stesse siano tra quelle rilevabili ex officio. Si  tratta  pertanto  di  stabilire  se  costituisce o no eccezione nuova, aver dedotto davanti alla CTR che gli spazi occupati non poteva-no essere assoggettati a TOSAP perché non “appartenenti  al  demanio  o  al  patrimonio indisponibile dei comuni e delle province” ex art. 38 d.lgs. n. 507 cit. A riguardo, in via generale, questa Corte ha già in passato avuto occasione di affermare che  eccezione  nuova  vietata  dall’art.  57, comma 2, cit. è solo quella tecnica intesa a far “valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale” e che pertanto possono essere sempre dedotti davanti alla CTR “i fatti e le argomentazioni posti dalle parti medesime a fondamento della 

    domanda” (Cass. sez. trib. n. 7789 del 2006; Cass. sez. trib. n. 18519 del 2005). La soluzione è stata di recente convalidata, seppure con riferimento all’omologo art. 345, comma 2, c.p.c., dalle Sezioni Unite di questa Corte le quali hanno aderito all’orientamento secondo cui eccezione preclusa è solo quella che si fonda sull’esercizio di un diritto rivolto a costituire o modificare rapporti e non invece con riguardo alla contestazione di fatti costi-tutivi  della  domanda  come  quello  presente della  mancanza  della  natura  demaniale  del bene e che emergano ex actis (Cass. Sez. Un. n. 10531 del 2013). Con  riguardo  al  merito  dell’eccezione  va evidenziato  che,  contrariamente  a  quanto affermato  dalla  CTR  con  la  seconda  ratio decidendi,  l’occupazione cum vel sine titulo rilevante  ex  art.  38,  comma  1  e  5,  d.lgs.  n. 507  cit.  non  comprende  le  “aree  apparte-nenti al patrimonio disponibile” di comuni e province. 

  • CAPITOLO IV140

    7) Quando è ammissibile in appello l’eccezione?

    Cass. civile, sez. I, 20 maggio 2015, n. 10401

    [...] 2.1 – Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentan-do  l’omessa pronuncia  sulla  sua eccezione di inammissibilità del motivo d’appello della [...] s.p.a., con il quale era stata negata la tardività del pagamento delle somme ritenute in garanzia. Sostiene che, come tempestivamente eccepito, la  questione  prospettata  dalla  [...]  s.p.a.  era inammissibile a norma dell’art. 345, comma 2, c.p.c.,  in quanto nuova eccezione prospettata per la prima volta nel giudizio di secondo grado. 9 2.2 – Il motivo è infondato. Occorre premettere che nel giudizio di cassa-zione il difetto di corrispondenza tra domande e pronuncia rileva solo se riferibile a una delle questioni  di  diritto  sostanziale  controverse. Infatti,  quando  la  decisione  impugnata  per cassazione sia una pronuncia che abbia indebi-tamente affrontato il merito, anziché dichiarare un’invalidità  tempestivamente eccepita o  rile-vabile d’ufficio, non importa che tale decisione violi, per eccesso (extra o ultra petizione) o per difetto (omessa pronuncia),  la prescrizione di corrispondenza con la domanda. La Corte di Cassazione dovrà accertare e dichia-rare la preesistente invalidità, senza considerare il rapporto di corrispondenza tra la pronuncia e le domande delle parti, perché è quella invali-dità a costituire di per sé motivo di cassazione o  annullamento  della  decisione  impugnata (Cass., sez. III civ., 21 febbraio 2006, n. 3667, m. 588964). In particolare “il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di questioni di merito, e non già nel caso di mancato esame di eccezioni pregiudiziali di rito. Pertanto la sentenza che si assuma avere errone-

    amente rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello non è censurabile in sede di legitti-mità per violazione dell’art. 112 c.p.c.” (Cass., sez. III civ., 23 gennaio 2009, n. 1701, m. 606407). Ne consegue che in questa sede non rileva accer-tare se vi sia stata effettivamente un’omissione di pronuncia del giudice d’appello. Rileva accertare se il motivo d’appello proposto dalla  [...]  s.p.a.  fosse effettivamente  inammis-sibile. E a questa domanda non può che darsi risposta negativa. Secondo  la  giurisprudenza  di  questa  Corte, infatti,  “il  rilievo  d’ufficio  delle  eccezioni  in senso  lato non è subordinato alla  specifica e tempestiva  allegazione  della  parte  ed  è  am-missibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che re-sterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto” (Cass., sez. un., 7 maggio 2013, n. 10531, m. 626194). Ed è indiscusso che la mora del debitore “è un elemento costitutivo della  pretesa  avente  ad  oggetto  gli  interessi e  l’eventuale maggior danno da  svalutazione monetaria”  (Cass.,  sez.  I, 18 settembre 2013, n. 21340, m. 627738). Nel caso in esame dun-que l’esistenza del ritardo nel pagamento delle somme ritenute in garanzia era un elemento costitutivo della domanda proposta dalla Gar-boli s.p.a. per gli interessi. E la contestazione da parte della Aeroporti di Roma s.p.a. dell’e-sistenza di tale ritardo espresse una generica difesa, non un’eccezione preclusa dall’art. 345 comma 2 c.p.c.

    6. Domande ed eccezioni non riproposte: la presunzione di rinuncia

    La legge processuale prevede la presunzione di rinuncia delle domande e delle eccezioni le quali siano rimaste non accolte con la prima decisione di merito prestata dal giudicante. 

  • 141IL GIUDIzIO DI APPELLO: FASE DI TRATTAzIONE

    La presunzione di rinunzia ha quale terreno di riferimento  il maturare della condizione costituita dalla mancata riproposizione delle stesse in sede di secondo grado di merito. 

    DECADENZA DA DOMANDE ED ECCEZIONI NON RIPROPOSTE

    Devono  espressamente  riproporsi  in grado di appello domande ed eccezioni non accolte in primo grado.

    Diversamente, esse si intendono rinun-ciate.

    La previsione dispositiva qui in esame, art. 346 c.p.c., intende assolvere al compito precipuo di regolare la posizione della parte, che abbia conseguito esi-to di vittoria dalla conclusione del giudizio prestato in primo grado di merito. 

    Tale  parte,  deve  osservarsi,  rimane  sollevata  dall’onere  rappresentato dall’esperimento di azione rimediale avverso la pronuncia assunta in primo grado di merito dal relativo giudicante. 

    Il che si inscrive nel difetto di interesse del quale la parte, che sia prevalsa all’esito del grado di prime cure del relativo giudizio rimane caratterizzata rispetto all’eventualità di un’impugnazione della decisione favorevole. 

    Invece, rimane onere della parte vittoriosa nel grado di giudizio di prima lettura, attraverso l’atto con cui essa si presta alla costituzione in appello, di attendere rispettivamente: – alla riproposizione delle domande, le quali siano rimaste prive di accogli-

    mento dalla sentenza che abbia così provveduto ad assumere il giudice di prime cure;

    – alla riproposizione delle questioni le quali siano, nella sede cui si è fatto rinvio sin qui, ossia del primo grado di merito, rimaste sfornite di acco-glimento. Tra tali questioni, si pongono i fatti i quali, in ragione della rile-vanza giuridica da essi acquisita, abbiano avuto ruolo utile ai fini stessi del contrasto da rendere alla pretesa che parte avversa abbia inteso perorare ed affermare nella competente sede di merito. 

    •  Il Punto

    Le domande e le eccezioni rimaste non accolte in primo grado debbono essere riproposte in quello di appello.La parte vittoriosa in sede di prima lettura non ha interesse all’impugnazione della pronuncia, tuttavia ess,a costituendosi in grado di appello, è tenuta a riproporre domande e questioni eventualmente rimaste escluse dalla vittoria di causa, pena la presunzione di rinuncia relativa.

  • CAPITOLO IV142

    La presunzione in considerazione di rinuncia ex art. 346 cit., tuttavia, può costituire ambito di superamento mediante il mezzo costituito dalla reitera-zione di tutte le domande, le quali siano state proposte in sede di prime cure. 

    Le modalità alle quali attenersi ai fini della reiterazione in questione devono rimanere costituite da quella espressa. 

    La giurisprudenza ha ritenuto di puntualizzare come la reiterazione di cui si è detto dovesse rendersi entro l’udienza per la precisazione delle conclusio-ni che, in tal modo, viene a porsi anche come termine ultimo per adempiere utilmente. 

    Segmenti di diritto vivente

    1.  La parte concretamente vittoriosa nel merito non ha onere di proporre appello in-cidentale per richiamare eccezioni o questioni che risultano superate o assorbite. 

    2.  La parte  vittoriosa è,  tuttavia,  tenuta a  riproporre  le une e  le altre  in modo espresso fino alla precisazione delle conclusioni. 

    3.  Diversamente, opera la presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c. 4.  Segue, pertanto, la formazione di giudicato implicito.5.  Così, per il caso in cui il primo giudice accolga la domanda principale senza 

    esaminare quella subordinata, ritenendola assorbita, la parte vittoriosa non è tenuta a proporre impugnazione incidentale per ottenere l’esame di tale domanda dal giudice di appello. 

    6.  Essa deve semplicemente richiamare espressamente la domanda stessa in qual-siasi scritto del giudizio di secondo grado. 

    7.  In questo modo tale parte evita la presunzione di rinuncia.8.  La giurisprudenza ritiene che ciò debba farsi entro l’udienza di precisazione 

    delle conclusioni. 9.  Tanto, in quanto si ritiene che le successive difese abbiano funzione esclusiva-

    mente illustrativa delle conclusioni già prese. 

    La  legge  processuale  regola,  dunque,  la  fattispecie  della  decadenza  da domande ed eccezioni che non restino terreno di riproposizione in sede di appello avverso la sentenza pronunciata in prima lettura del giudizio. 

    La norma di  riferimento,  in modo particolare,  resta definita,  come  sin qui osservato, con l’art. 346 del codice di rito, con la cui lettera, dunque, si prevede che le eccezioni rispetto alle quali il giudicante di primo grado abbia mancato, mediante la relativa decisione, di prestare accoglimento, le quali manchino, in seguito, di essere riproposte in modo espresso nel successivo grado di appello, si considerano rinunciate. 

    Si è fatto rilevare come il nostro ordinamento non contempli una disposi-zione positiva, piuttosto che un principio da cui concludere come una sorta di acquisizione per implicito al giudizio di appello delle istanze istruttorie 

  • 143IL GIUDIzIO DI APPELLO: FASE DI TRATTAzIONE

    la cui articolazione abbia conosciuto relativo terreno in sede di prime cure, senza peraltro essere successivamente riproposte in quello di appello. 

    A fondamento del rilievo al quale si è in ultimo fatto rinvio, si è portato il tema secondo cui non potesse porsi a base dell’argomento una considerazione a contrario ricavabile dalla norma di riferimento dinanzi richiamata.

    •  Il Punto

    Questione non del tutto secondaria è parsa quella della valutazione delle istanze istruttorie non riproposte in grado di appello, ossia se le stesse – alla medesima stregua di domande ed eccezioni non riproposte – dovessero con-cludersi come rinunciate in via presuntiva.La giurisprudenza sul punto sembra mantenere orientamento affermativo.

    In particolare si è sottolineato come la disposizione di cui all’art. 346 cit.  contempli una presunzione di rinunzia. Essa, in specie, impegna la peculiare sfera rappresentata da domande ed eccezioni, non trovando invece possibilità di ampliarsi anche alle istanze istruttorie. 

    Tuttavia, queste ultime, rispetto alle quali non si sia formato avviso favore-vole del primo giudicante di merito, rimanendo così inesitate positivamente, essendone mancato l’accoglimento, non possono anche ritenersi riproposte per le vie implicite in sede di appello, con le domande e le eccezioni per il cui sostegno esse avevano conosciuto motivo di articolazione. 

    Tali istanze istruttorie devono, in tale ambito, perciò, essere riproposte, là dove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, secondo forme e termini previsti per il giudizio dinanzi al primo giudice del merito, in ragione della previsione normativa di cui all’art. 359 dello stesso codice di rito. 

    Peraltro, non manca di osservarsi come l’ambito di riferimento della norma di cui all’art. 346 cit. impegni la sfera di riferimento occupata da domande ed eccezioni, senza venire a interessare il campo di riferimento costituito dalle istanze istruttorie. 

    Queste ultime, ove non abbiano conseguito esito di accoglimento in prima istanza, non possono anche ritenersi riproposte in sede di appello, seguendo-si delle modalità che possano concludersi come implicite, con quelle stesse domande ed eccezioni a supporto delle quali esse erano state articolate in prima istanza di merito. 

    Per le predette istanze istruttorie, quindi, la conclusione che si sposa milita in favore della  loro riproposizione in sede di appello, ove non sia previsto specifico mezzo di gravame, secondo forme e termini previsti per il giudizio di primo grado, in ragione della previsione contemplata dall’art. 359 cit. 

    L’onere  della  riproposizione  delle  istanze  istruttorie  impegna  in  modo particolare la parte che sia riuscita vittoriosa in prima istanza. Con ciò quindi 

  • CAPITOLO IV144

    non si è inclusa nello stesso ambito anche la parte che da quello stesso grado di giudizio abbia conosciuto esito di soccombenza 

    Quest’ultima, infatti, rimane onerata della proposizione dell’appello prin-cipale o di quello incidentale.

    Sul versante dell’inquadramento delle domande e delle eccezioni rimaste non accolte, si deve osservare come per tali debbano considerarsi sia quelle rispetto  alle  quali  sia maturata  condizione di  assorbimento  sia quelle nei riguardi delle quali l’esito della valutazione compiuta dal giudicante abbia condotto alla conclusione negativa del loro rigetto. 

    Sulla stessa applicazione della norma sino a questo punto considerata, ex art. 346 del codice di rito, si è posto in evidenza come esistano delle condi-zioni di interferenza con il campo applicativo occupato dell’art. 343 stesso codice, il quale rimane invece previsto per la ben diversa materia, relativa alla proposizione d’appello incidentale. 

    L’ambito della  interferenza di  tali norme resta definito dalla  situazione per la quale, ampliandosi la sfera dell’appello incidentale, di fatto si restrin-ge quella relativa alla sola riproposizione come prevista della norma di cui all’art. 343 stesso codice. 

    In ambito di sintetica considerazione della materia, vale pertanto osservare come la parte, la quale abbia conseguito esito di conclusivo favore dalla vi-cenda giudiziale nella quale sia rimasta interessata nel primo grado di merito, non resti anche tenuta a dare sfogo ad oneri quali costituiti dall’esercizio del potere impugnatorio della decisione di merito di prime cure, in via principale sì come in via incidentale. 

    Detta parte, infatti, rimane onerata della sola riproposizione in grado di appello di quelle eccezioni le quali abbiano conosciuto relativa articolazione già in sede di prima lettura di merito. 

    Istanze istruttorie

      Non possono ritenersi  Devono essere riproposte   Ove non necessario  implicitamente riproposte   in appello  specifico gravame

  • 145IL GIUDIzIO DI APPELLO: FASE DI TRATTAzIONE

    Questioni giurisprudenziali

    8) La presunzione di rinuncia si estende alle istanze istruttorie?

    Cass. civile, sez. I, 6 febbraio 2015, n. 2255

    [...] 2.1.- I due motivi di ricorso vanno valutati unitariamente  e  sono  da  ritenersi  in  parte inammissibili ed in parte infondati. Inammissibili sono i vizi di motivazione dedot-ti, in quanto privi del momento di sintesi, ex art. 366-bis c.p.c. ratione temporis appplicabile, omologo del quesito di diritto, che deve essere idoneo a  circoscrivere  i  limiti  della  censura (in  tale  senso,  tra  le  ultime,  le  pronunce 14355/2013 e 2219/2013). Ciò posto, va rilevata l’infondatezza del pro-spettato vizio ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione alla non necessarietà della riproposizione in appello delle prove dedotte e non ammesse in primo grado. Ed  infatti,  come  affermato  nella  pronun-cia  14135/2000,  seguita  dalle  successive 16573/2002,  5308/2003  e  17904/2003,  è  pur vero che la presunzione di rinunzia prevista dall’art. 346 c.p.c.  riguarda  le domande e  le 

    eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie, ma tuttavia,  le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono  ritenersi  implicitamente  riproposte in  appello  con  le  domande  e  le  eccezioni  a sostegno delle quali erano state formulate, ma devono essere riproposte, laddove non sia ne-cessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei termini previste per il giudizio di primo  grado,  in  virtù  del  richiamo  operato dall’art. 359 c.p.c. Detto orientamento è stato di recente ribadito nella pronuncia 9410/2011,  che, nel  ritenere rinunciate le istanze istruttorie non ribadite in sede di precisazione della conclusioni in appello, ha valorizzato anche  l’eccezionalità della  fase istruttoria in appello e l’esigenza di rispettare e rendere effettivo il principio costituzionale del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., inteso sotto il profilo della ragionevole durata. 

    9) Quale l’orientamento maturato dalla giurisprudenza?

    Cass. civile, sez. III, 27 aprile 2011, n. 9410

    [...]  3.3.2.2.  La  giurisprudenza  relativa  alle istanze  istruttorie  si  è  arricchita,  inoltre,  in due direzioni. La prima direzione, ancora con riferimento al processo prima della riforma del 1990 (Cass. 26 ottobre 2000, n. 14135, seguita da confor-mi)  è  rilevante  perché  ha  tenuto  distinto  il regime delle istanze istruttorie da quello delle domande  e  eccezioni  a  sostegno  delle  quali erano state formulate. Infatti, sulla base di una giurisprudenza conso-lidata, che non riferisce alle istanze istruttorie l’art. 346 c.p.c., secondo il quale debbono in-tendersi rinunciate le domande e le eccezioni non  accolte  nella  sentenza  di  primo  grado e  non  espressamente  riproposte,  si  riteneva che le istanze istruttorie devono considerarsi 

    implicitamente richiamate con le domande e eccezioni riproposte. Invece, la decisione in argomento afferma che “La presunzione di rinunzia prevista dall’art. 346 c.p.c. riguarda le domande e le eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie. Tuttavia, le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente  riproposte  in  appello  con  le domande e le eccezioni a sostegno delle quali erano state formulate, ma devono essere ripro-poste, laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei termini previsti per il giudizio di primo grado, in virtù del richiamo operato dall’art. 359 c.p.c.”. La seconda  (Cass.  14  ottobre  2008,  n.  25157; Cass. 14 novembre 2007, n. 23574) rileva per-

  • CAPITOLO IV146

    ché, rispetto al processo riformato nel 1990, afferma  che,  avverso  le  ordinanze  emesse dal giudice, di ammissione o di rigetto delle prove, rispetto alle quali non è più previsto il reclamo, le richieste di modifica o di revoca 

    devono essere reiterate in sede di precisazione delle conclusioni definitive al momento della rimessione  in decisione ed,  in mancanza,  le stesse non possono essere riproposte in sede di impugnazione. 

    10) Le istanze istruttorie devono riproporsi in grado d’appello anche nella materia del rito del lavoro?

    Cass. civile, sez. I, 11 febbraio 2011, n. 3376

    [...]  Anche  tale  motivo  è  infondato.  Come  è stato affermato da questa Corte e va qui nuo-vamente enunciato, anche “nel rito di lavoro l’appellante che impugna in toto  la sentenza di primo grado, insistendo per accoglimento delle domande, non ha l’onere di reiterare le istanze istruttorie pertinenti a dette domande, ritualmente proposte in primo grado, in quan-to detta riproposizione è insita nella istanza di accoglimento delle domande; diversamente, la parte appellata, vittoriosa in primo grado, poiché,  ovviamente,  non  ripropone  alcuna richiesta  di  riesame  della  sentenza  ad  essa favorevole,  deve  espressamente  chiedere  al giudice del gravame il riesame delle proprie istanze  istruttorie”  (v.  Cass.  22  agosto  2003 n. 12366, cfr. Cass. 23 marzo 1999 n. 2756). Pertanto, seppure, anche nel rito del lavoro, la  presunzione  di  rinunzia  prevista  dall’art. 346 c.p.c. riguarda le domande e le eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie (v. fra le altre Cass. 28 agosto 2002 n. 12629), tuttavia, così come affermato ripetutamente riguardo al rito ordinario con riferimento al richiamo operato dall’art. 349 c.p.c. (v. Cass. 26 ottobre 2000 n. 14135, Cass. 15 novembre 2002 n. 16573, Cass. 4 aprile 2003 n. 5308, Cass. 

    25 novembre 2003 n. 17904), va, parimenti, enunciato che “nel rito del lavoro, le istanze istruttorie non accolte dal  giudice di  primo grado non possono  ritenersi  implicitamente riproposte  in  appello  con  le  domande  e  le eccezioni  a  sostegno  delle  quali  erano  state formulate, ma devono essere riproposte, lad-dove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei termini previsti per il giudizio di primo grado, in virtù del richiamo operato dall’art. 436, ultimo comma c.p.c.”. In  tale  quadro,  quindi,  l’appellato  ben  può all’uopo  anche  richiamare  le  proprie  difese di primo grado, ma tale richiamo deve essere specifico, in modo da far ritenere in modo ine-quivocabile che sia stata riproposta l’istanza di ammissione della prova de qua (cfr. Cass. 27 ottobre 2009 n. 22687). Nella  fattispecie  la  Corte  territoriale,  atte-nendosi  a  tali  principi,  legittimamente,  e con  congrua  motivazione,  ha  ritenuto  che la  riproposizione  delle  istanze  istruttorie, seppure libera da forme, deve essere fatta in modo  specifico, non essendo all’uopo  suffi-ciente un generico richiamo “alle conclusioni e alle istanze tutte formulate in sede di difesa di primo grado”. 

    7. Sospensione dell’esecuzione della prima sentenza di merito appellata e del giudizio

    Per la proposizione dell’azione rimediale avverso la pronuncia prestata dal primo giudice del merito, l’ordinamento non prevede la possibile sospensione dell’esecuzione della sentenza sottoposta a detta attività impugnatoria.

    La norma di riferimento, l’art. 337, comma 1, codice di rito, rappresenta, in certo senso, la prosecuzione ed il completamento del percorso regolatore