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131IL GIUDIzIO DI APPELLO: FASE DI TRATTAzIONE
3. Divieto di domande ed eccezioni nuove
L’estensore della norma processuale di cui all’art. 345 c.p.c. ha previsto il divieto di introduzione in grado di appello di domande nuove.
STRUTTURA RAGIONATA DELLA NORMA
In grado di appello è consentito proporre domande nuove?
No. In ambito di secondo grado di me-rito non rimane consentito dalla norma processuale di cui all’art. 345 introdurre domande nuove.
Cosa si prevede in caso di violazione della norma?
Qualora, nonostante il divieto espresso della norma, siano proposte doman-de nuove in appello, si prevede che le stesse restino dichiarate inammissibili d’ufficio.
Si prevede un regime derogatorio ri-spetto alla regola generale stabilita con il comma 1 dell’art. 345?
Sì. Ai sensi della cit. disposizione del rito civile, rimane stabilito che possono domandarsi:- interessi;- frutti;- accessori maturati dopo la sentenza impugnata.
Si può eventualmente anche domandare risarcimento di danni sofferti?
Sì. L’istanza deve riguardare, tuttavia, la materia risarcitoria relativa ai danni patiti dalla parte dopo la sentenza in questione.
Altre esclusioni riguardano anche il tema delle eccezioni?
Sì. Resta previsto dal dato positivo come non possano essere proposte eccezioni nuove, le quali non siano rilevabili anche d’ufficio.
Sul versante della prova, invece, che cosa detta la regola processuale?
La norma esclude l’ammissibilità di nuovi mezzi di prova. Esclusa altresì la produzione di nuovi documenti, salvo che la parte non dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non im-putabile. Resta, quindi, sempre possibile il deferimento del giuramento decisorio.
CAPITOLO IV132
Pertanto, rimane stabilito dalla norma anzidetta come per il caso di pro-posizione di domande nuove le stesse debbano essere concluse come inam-missibili d’ufficio.
• Il Punto
È posto divieto dalla norma processuale di introduzione in grado d’appello di domande nuove. La violazione del divieto importa l’inammissibilità d’ufficio di domande nuove proposte per la prima volta in tale grado di giudizio.
Ammessa, invece, la formulazione della domanda in grado di appello riguardante: interessi, frutti ed accessori, la cui maturazione abbia fatto se-guito alla stessa pronuncia della sentenza assoggettata all’esercizio dell’azione rimediale dell’impugnazione.
Alle situazioni delle quali in ultimo resta poi aggiunto, dalla stessa previsio-ne normativa qui all’esame il tema relativo al risarcimento del danno sofferto in momento successivo alla sentenza alla quale si è dinanzi fatto cenno.
• Il Punto
La norma di rito dispone in senso opposto per il tema di interessi, frutti, ac-cessori e risarcimento danni conseguenti alla sentenza appellata. Il comma 2 della previsione di cui all’art. 345 ammette l’articolazione in sede d’appello della domanda il cui oggetto resti qualificato dagli ambiti dinanzi richiamati.
La norma ha posto divieto in ordine alla proposizione di nuove eccezioni, le quali non siano anche rilevabili d’ufficio e resta altresì escluso che possa accedersi all’introduzione di nuovi mezzi di prova. Non possono essere in-trodotti nel grado del giudizio di appello nuovi documenti, salvo il caso in cui la parte dimostri di non averli potuti introdurre nell’ambito del giudizio di prima istanza, per causa ad essa non imputabile.
• Il Punto
Resta escluso che possa accedersi all’introduzione in grado d’appello di:- eccezioni nuove;- prove nuove;- documenti, salvo casi particolari.
133IL GIUDIzIO DI APPELLO: FASE DI TRATTAzIONE
Resta peraltro disposto dal dato positivo in considerazione come possa sempre deferirsi il giuramento decisorio.
Con riguardo al regime definito dalla norma per la materia degli interessi, si osserva che, diversamente dal predetto ambito per cui resta prevista dichia-razione di inammissibilità d’ufficio della domanda nuova, rimane previsto come il codificatore abbia stabilito dovessero farsi salvi: interessi, frutti ed accessori, la cui maturazione abbia così avuto luogo successivamente alla sentenza sottoposta ad esercizio di attività impugnatoria.
La conclusione alla quale sembra potersi giungere, pertanto, rileva come, in ragione del dettato in considerazione, al creditore resti consentito di evitare la stessa instaurazione di un nuovo giudizio fondato sulla pretesa di interessi, la cui maturazione sia occorsa in un momento successivo rispetto alla pro-nuncia resa oggetto del rimedio impugnatorio.
Tale considerazione è fondata sul rilievo che la predetta domanda resta data alla parte introdurre già nella sede del giudizio di seconde cure.
4. Il divieto di nuovi temi di indagine in sede di seconde cure
Nella giurisprudenza di legittimità si è concluso negativamente rispetto alla proponibilità per la prima volta in grado di appello della domanda finalizzata all’accertamento del diritto del condividente ed al conseguente ampliamento della quota a questi spettante.
La conclusione è, quindi, rimasta argomentata sul fondamento del divieto di novum imposto dalla norma di cui all’art. 345 c.p.c.
Nella specie il principio del quale si è dinanzi conclusa sintesi ha riguardato il caso del soggetto che, nella sua veste di condividente, evocava la previsione di cui all’art. 1115, comma 3, c.c. per aver assolto al pagamento di un debito solidale e, per gli effetti, la medesima parte interessata riteneva di conseguire incremento della quota del bene oggetto della relativa divisione a lui spettante, quale corrispondente al suo diritto verso gli altri condividenti.
Vale osservare sul tema come la norma richiamata del codice di rito preveda il divieto di jus novorum con riguardo al giudizio di appello.
Non sfugge, peraltro, all’ingresso del principio di cui innanzi, la materia delle controversie tributarie.
Con ciò si esclude che dinanzi alla Commissione tributaria regionale pos-sano essere introdotte domande nuove.
Effetti neutri avrebbero poi i casi nei quali, a fronte del divieto imposto dalla legge, fossero ugualmente proposte domande nuove.
Ritenuta, ancora assistita dal carattere della novità, in quanto tale, perciò, non proponibile in sede di appello, in ragione della previsione positiva di cui all’art. 57, comma 1, d.lgs. n. 546/1992, la domanda introduttiva dell’appello
CAPITOLO IV134
da parte del contribuente con la quale quegli presti una causa petendi diversa, il cui fondamento resti articolato sopra delle situazioni giuridiche non oggetto di definizione nel giudizio reso in primo grado.
La conclusione sul tema qui di interesse, quindi, sottolinea come, attra-verso il meccanismo dinanzi sintetizzato, trovi luogo l’ingresso di un nuovo tema di indagine.
Segmenti di diritto vivente
1. La norma processuale prevede divieto di novum in appello.2. Tuttavia, essa, in deroga a tale divieto, consente in appello di chiedere il risar-
cimento dei danni sofferti dopo la sentenza di primo grado. 3. Anche l’ulteriore rivalutazione monetaria, secondo il giudicante, della somma
liquidata a tale titolo dal primo giudice, trattandosi di debito di valore, può essere liquidata dal giudice d’appello sino alla data di pubblicazione della sentenza di secondo grado.
4. Il divieto del novum in appello riguarda soltanto le domande e non le eccezioni. 5. È pertanto consentita la deduzione, per la prima volta in secondo grado, dell’in-
validità di un negozio, ove tale deduzione sia diretta al mero fine di conseguire il rigetto della domanda proposta dalla controparte in forza del medesimo negozio e non anche un’autonoma pronuncia giudiziale affermativa di quella invalidità.
6. Il divieto del novum opera anche nel contenzioso tributario.7. È inammissibile, pertanto, l’appello proposto dall’ufficio sulla base di un’ecce-
zione non dedotta nel giudizio di primo grado.
In sede di gravame resta esclusa, pertanto, l’ammissibilità di domande le quali non siano anche state introdotte in sede di prima istanza.
All’uopo deve trattarsi di domande il cui esame conduca a modifiche dello stesso tema connesso alla relativa indagine.
Si ha cura, pertanto, di avere riguardo per una categoria di domande, rispetto alle quali vige il vincolo della preclusione, in base a quanto previsto dalla norma del codice di rito di cui all’art. 345 c.p.c.
Altro ambito oggetto di preclusione, per opera della disposizione del codice di rito qui in esame, rimane quello previsto in relazione a nuove prove nella sede di seconde cure.
Trattasi di condizione comune alle stesse prove documentali, sì come sottolineato dall’esame della materia condotto nella sede giurisprudenziale.
Il divieto, in ultimo considerato, resta desunto dalla preclusione, la quale consegue dalla mancata articolazione, oppure dalla intempestiva formulazione della richiesta istruttoria entro i termini stabiliti per il giudizio di prime cure.
Si deve anche agli stessi orientamenti maturati nel diritto vivente la deli-mitazione del limite del regime delle preclusioni, quale riferito non solamente
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al caso in cui sia provata l’intempestività di accedere alla formulazione della richiesta istruttoria, ma anche in ciò che si conclude per essere qualificata come indispensabilità della prova ai fini stessi della decisione.
Questioni giurisprudenziali
3) Quando rimane dato originarsi la condizione della mutatio libelli?
Cass. civile, sez. I, 19 settembre 2016, n. 18299
[…] È domanda nuova [mutatio libelli], non proponibile per la prima volta in appello ai sensi dell’art. 345 c.p.c., quella che alteri anche uno soltanto dei presupposti della domanda iniziale, introducendo un petitum diverso e più ampio, oppure una diversa causa petendi, fondata su situazioni giuridiche non prospettate in primo grado ed in particolare su un fatto giuridico costitutivo del diritto ori-ginariamente vantato, radicalmente diverso, sicché risulti inserito nel processo un nuovo tema d’indagine; ne consegue che la domanda
di risarcimento di danni per responsabilità contrattuale – essendo diversa da quella di risarcimento di danni per responsabilità ex-tracontrattuale perché dipende da elementi di fatto diversi non solo per quanto attiene all’accertamento della responsabilità ma anche per quanto riguarda la determinazione dei danni – non può essere proposta per la prima volta nel giudizio di appello per ampliare l’o-riginaria domanda di risarcimento di danni per responsabilità extracontrattuale (Cass. 14 febbraio 2001, n. 2080).
4) Quale rilevanza acquista l’autosufficienza del ricorso per cassazione ai fini della decisione dello stesso?
Cass. civile, sez. II, 30 aprile 2014, n. 9527
Il secondo motivo viene altresì censurata la “violazione o falsa applicazione del generale disposto dell’art. 345, comma 1, c.p.c., in terna di divieto dello jus novorum, applicabile al d.P.R. 636/1972”. 2.1. Lamenta la ricorrente che, a fronte di un thema decidendum incardinato in primo grado solo sulla “esistenza o meno del debito IVA per mancato riconoscimento dell’inesistente credito IVA di pari importo (L. 4.497.000)”, l’Agenzia delle entrate avrebbe mutato dap-prima il petitum dinanzi alla Commissione di secondo grado (dalle iniziali L. 4.497.000 alle ‘riconteggiate’ L. 2.887.000), e poi la causa petendi dinanzi alla Commissione centrale, eccependo “che il contribuente non avesse provato il pagamento di (presunti) altri debiti d’imposta sulle liquidazioni mensili IVA”.
3. Preliminarmente, va dichiarata l’inammis-sibilità del ricorso proposto nei confronti del Ministero dell’economia e delle finanze, poiché l’art. 57, primo comma, d.lgs. n. 300 del 1999 ha trasferito alle agenzie fiscali tutti i “rapporti giuridici”, i “poteri” e le “competen-ze” già facenti capo al predetto Ministero, con la conseguenza che, a far data dall’1 gennaio 2001 (giorno di inizio di operatività delle Agenzie fiscali in forza del d.m. 28 dicembre 2000, art. 1) la legittimazione sia attiva che passiva spetta esclusivamente all’Agenzia delle entrate (ex plurimis: Cass. nn. 27182, 23551, 7300 e 6394 dei 2014; n. 6929 del 2013; nn. 22992 e 26321 del 2010; n. 1123 del 2009; n. 6591 del 2008; nn. 3116 e 3118 del 2006; n. 15021 del 2005; nn. 24245 e 15643 del 2004; n. 9538 del 2001).
CAPITOLO IV136
4. Quanto al primo motivo di ricorso, esso è inammissibile per varie ragioni: in primo luogo, poiché ragioni logiche impediscono di censurare contemporaneamente la man-canza, l’insufficienza e la contraddittorietà della motivazione (Cass. n. 8203 del 2015; n. 5471 del 2008), non potendosi predicare l’insufficienza o la contraddittorietà di ciò che sia – in tesi – inesistente; in secondo luogo, per difetto di decisività, poiché esso coglie solo una delle rationes decidendi, dal momento che la Commissione centrale, accanto al rilievo che sarebbe stato lo stesso contribuente ad aver ammesso il debito (con riferimento alla contestata frase “anziché a debito”), osserva comunque che, a fronte della deduzione dell’ufficio per cui “la contribuente non ha provato il versamento dell’IVA dovuta in base alla dichiarazione IVA per l’anno 1989”, non “risultano prodotte prove del pagamento di quanto dovuto, sicché la contestata iscrizione a ruolo non può dirsi illegittima”. 5. Anche il secondo motivo risulta affetto da profili di inammissibilità, non tanto per l’im-propria deduzione di un error in iudicando, piuttosto che del segnalato error in proceden-
do (violazione del divieto di jus novorum), quanto per l’evidente difetto di autosuffi-cienza, poiché, per corroborare le contestate modifiche di petitum e causa petendi nei vari gradi di giudizio, esso fa riferimento ad atti che non sono né trascritti, né specificamente indicati in ricorso. In ogni caso entrambi i motivi, invero non connotati da particolare chiarezza, finiscono per snaturare il giudizio di legittimità, che non consiste in un ulteriore grado di merito, nel quale sottoporre a rivisitazione le valutazioni del giudice a quo “non condivise, e per ciò solo censurate, al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata, quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità” (Cass. sez. un. n. 7931/2013; conf. Cass. n. 3396/2015 e n. 12264/2014). 7. In conclusione, il ricorso va respinto, senza necessità di statuizione sulle spese del giu-dizio di legittimità, le quali, in ragione della mancata costituzione delle parti intimate, restano a carico della parte soccombente che le ha anticipate.
[...] Quest’ultima soluzione è stata di re-cente condivisa da altra pronuncia (n. 23195/2010), la quale ne ha tratto il logico corollario in base al quale, per il principio generale dell’art. 345, comma 1 c.p.c., la domanda diretta a conseguire gli interessi compensativi non può essere proposta per la prima volta nel giudizio d’appello. E tale ultimo orientamento questa Corte ri-tiene di condividere, non essendo revocabile in dubbio che mentre nell’ipotesi di risar-cimento del danno la corresponsione degli interessi costituisce una tecnica, neppure unica ed esaustiva, di tradurre in equiva-lente monetario un bene della vita diverso dal denaro e non reintegrabile in natura,
gli interessi compensativi previsti dell’art. 1499 c.c. assolvono la funzione di ristabi-lire, nell’ambito del sinallagma funzionale, l’equilibrio economico delle prestazioni a rispettivo carico delle parti, ogni qual volta l’alterazione valoriale derivante dalla distan-za di tempo intercedente tra l’una e l’altra prestazione non sia stata, espressamente o implicitamente, (pre)negoziata dalle parti stesse. Pertanto, gli interessi ex art. 1499 c.c. operano in funzione perequativa e conser-vativa della corrispettività economica delle prestazioni e sul presupposto, quindi, della manutenzione del contratto, e non del suo scioglimento.
5) È proponibile in appello domanda nuova avente come oggetto interessi compensativi di cui all’art. 1499 c.c.?
Cass. civile, sez. II, 31 luglio 2012, n. 13713
137IL GIUDIzIO DI APPELLO: FASE DI TRATTAzIONE
4.1.1. – Nella fattispecie, la [...] nella pro-pria comparsa di risposta di primo grado aveva domandato, oltre alla risoluzione del contratto preliminare 29 maggio 1989 (“per volontà della società convenuta”, così si legge nelle conclusioni riportate nell’epigrafe della sentenza di primo grado), la condanna della [...] al risarcimento dei darmi per aver usufruito dei locali e dell’immobile, “danni da quantificarsi nella misura degli interessi legali sulla somma di lire 245.000.000 dal 20 maggio 1989 al saldo”. Sebbene parametrata agli interessi legali e diret-ta a compensare il promittente venditore per il mancato godimento del bene anticipatamente consegnato al promissario acquirente, la do-manda proposta dalla [...] si basa su di una causa
petendi – la risoluzione del contratto – antitetica rispetto a quella che di necessità presuppone la domanda di pagamento degli interessi previsti dall’art. 1499 c.c., di guisa che tale pretesa non è accoglibile su di un presupposto diverso, pena l’immutazione della causa petendi. La Corte d’appello si è pronunciata, pertan-to, su di una domanda in realtà diversa da quella proposta, la cui corretta interpreta-zione, nei sensi anzi detti, è consentita a questa Corte in quanto la censura proposta è diretta a far valere un error in procedendo, che abilita il giudice di legittimità all’esame del fatto processuale (giurisprudenza co-stante di questa Corte: cfr. ex multis, Cass. nn. 12909/2004, 1101/2006, 1221/2006 e 539/2012).
5. Il divieto generale di domande ed eccezioni nuove e la deroga
In ragione del dato dispositivo dettato dall’art. 345 del codice di rito civile, rimane imposto divieto di introduzione dello jus novorum in sede di appello.
DOMANDE ED ECCEZIONI NUOVE
In appello non possono proporsi domande nuove.È prevista, per la violazio-ne del divieto, l’irrogazio-ne della inammissibilità della domanda, anche d’ufficio.
In appello possono do-mandarsi: interessi, frutti, accessori la cui matura-zione sia intervenuta dopo la sentenza impugnata, nonché il risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza stessa.
In appello non possono proporsi nuove eccezioni, che non siano rilevabili anche d’ufficio.Infine, in appello non sono ammessi nuovi mez-zi di prova e non posso-no essere prodotti nuovi documenti, salvo prova della parte che dimostri di non aver potuto proporli o produrli nel giudizio di primo grado per causa ad essa non imputabile.Può sempre deferirsi giu-ramento decisorio.
CAPITOLO IV138
La norma processuale ripetuta in queste pagine ex art. 345 cit. introduce divieto generale di proposizione in grado di appello di domande nuove.
Tale divieto, tuttavia, resta assoggettato a deroga dalla disposizione della quale la stessa previsione in esame resta custode.
A fondamento della deroga sembrano porsi delle ragioni, le quali ricevono essenziale apprezzamento sotto il distinto profilo dell’economia processuale.
In concreto, la condizione di deroga alla quale rinvia la norma impegna il terreno specifico di interessi, frutti ed accessori cui si aggiungono danni maturati e sofferti in tempo successivo alla sentenza oggetto dell’esercizio dell’azione rimediale dell’impugnazione in appello.
• Il Punto
La norma processuale introduce divieto di jus novorum.Si tratta di regola generale, la quale conosce deroghe per stessa previsione dell’art. 345 c.p.c.Così, in seconde cure, resta dato introdurre domanda volta al conseguimento di interessi, frutti, accessori e risarcimento danni sofferti in tempo successivo alla sentenza impugnata.
Si è così definito, per opera del legislatore processuale, il quadro nel quale si va a collocare il tema derogatorio, cui si è fatto cenno, come individuato, cioè, negli interessi, frutti, accessori e danni la sofferenza dei quali sia suc-cessiva alla pronuncia resa terreno di impugnazione.
Il limite al dato positivo, si rinviene nella natura degli accessori. Questi debbono riguardare una domanda, la cui articolazione sia già stata prestata in sede di prima istanza. Con ciò si deve escludere come possa anche trattarsi di domande la cui proposizione abbia avuto luogo per la prima volta in sede di appello.
Sul versante specifico degli interessi si è esaminato, in sede giurispruden-ziale, il caso del giudicante che, in sede di prima istanza, abbia mancato di considerare la domanda di condanna al pagamento degli interessi legali, la proposizione della quale sia occorsa per opera di una delle parti. Eventuali-tà, questa dinanzi descritta, rispetto alla quale non abbia poi fatto seguito la proposizione dell’appello.
La vicenda ha visto sposare la conclusione, la quale ha favorito l’esclusione della possibilità per il giudicante di seconde cure di attendere all’assunzione di una qualche decisione sul punto.
Una tale soluzione si è ritenuta doversi ampliare anche all’ambito costi-tuito dagli interessi maturati in tempo successivo alla decisione resa terreno di impugnazione.
139IL GIUDIzIO DI APPELLO: FASE DI TRATTAzIONE
Nel caso, poi, in cui in primo grado sia stata articolata domanda finalizzata al conseguimento dei frutti civili, in sede di appello resta consentito proce-dere alla formulazione della richiesta dei nuovi frutti, i quali siano maturati successivamente alla stessa emissione della pronuncia gravata.
Tra gli interessi i quali possono rimanere oggetto di apposita istanza nella sede di appello si pongono quelli composti.
Quindi, gli interessi che, ai sensi della norma di cui all’art. 345 codice di rito, possono costituire oggetto della relativa istanza sono quelli la matura-zione dei quali sia occorsa in un momento successivo all’impugnazione della pronuncia di prima istanza.
La pretesa articolata in appello, secondo non recente decisione di legitti-mità, di riconoscimento degli interessi composti, può essere consentita entro quei limiti nei quali la norma sostanziale di cui all’art. 1283 c.c. ammette la figura dell’anatocismo.
Questioni giurisprudenziali
6) Quando può dirsi preclusa un’eccezione?
Cass. civile, sez. V, 3 giugno 2015, n. 11442
[...] Il motivo è fondato. Preliminarmente va considerato che l’art. 57, comma 2, d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546 vieta di proporre in grado d’appello nuove eccezioni e salvo che le stesse siano tra quelle rilevabili ex officio. Si tratta pertanto di stabilire se costituisce o no eccezione nuova, aver dedotto davanti alla CTR che gli spazi occupati non poteva-no essere assoggettati a TOSAP perché non “appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile dei comuni e delle province” ex art. 38 d.lgs. n. 507 cit. A riguardo, in via generale, questa Corte ha già in passato avuto occasione di affermare che eccezione nuova vietata dall’art. 57, comma 2, cit. è solo quella tecnica intesa a far “valere un fatto giuridico avente efficacia modificativa o estintiva della pretesa fiscale” e che pertanto possono essere sempre dedotti davanti alla CTR “i fatti e le argomentazioni posti dalle parti medesime a fondamento della
domanda” (Cass. sez. trib. n. 7789 del 2006; Cass. sez. trib. n. 18519 del 2005). La soluzione è stata di recente convalidata, seppure con riferimento all’omologo art. 345, comma 2, c.p.c., dalle Sezioni Unite di questa Corte le quali hanno aderito all’orientamento secondo cui eccezione preclusa è solo quella che si fonda sull’esercizio di un diritto rivolto a costituire o modificare rapporti e non invece con riguardo alla contestazione di fatti costi-tutivi della domanda come quello presente della mancanza della natura demaniale del bene e che emergano ex actis (Cass. Sez. Un. n. 10531 del 2013). Con riguardo al merito dell’eccezione va evidenziato che, contrariamente a quanto affermato dalla CTR con la seconda ratio decidendi, l’occupazione cum vel sine titulo rilevante ex art. 38, comma 1 e 5, d.lgs. n. 507 cit. non comprende le “aree apparte-nenti al patrimonio disponibile” di comuni e province.
CAPITOLO IV140
7) Quando è ammissibile in appello l’eccezione?
Cass. civile, sez. I, 20 maggio 2015, n. 10401
[...] 2.1 – Con il secondo motivo la ricorrente deduce violazione dell’art. 112 c.p.c., lamentan-do l’omessa pronuncia sulla sua eccezione di inammissibilità del motivo d’appello della [...] s.p.a., con il quale era stata negata la tardività del pagamento delle somme ritenute in garanzia. Sostiene che, come tempestivamente eccepito, la questione prospettata dalla [...] s.p.a. era inammissibile a norma dell’art. 345, comma 2, c.p.c., in quanto nuova eccezione prospettata per la prima volta nel giudizio di secondo grado. 9 2.2 – Il motivo è infondato. Occorre premettere che nel giudizio di cassa-zione il difetto di corrispondenza tra domande e pronuncia rileva solo se riferibile a una delle questioni di diritto sostanziale controverse. Infatti, quando la decisione impugnata per cassazione sia una pronuncia che abbia indebi-tamente affrontato il merito, anziché dichiarare un’invalidità tempestivamente eccepita o rile-vabile d’ufficio, non importa che tale decisione violi, per eccesso (extra o ultra petizione) o per difetto (omessa pronuncia), la prescrizione di corrispondenza con la domanda. La Corte di Cassazione dovrà accertare e dichia-rare la preesistente invalidità, senza considerare il rapporto di corrispondenza tra la pronuncia e le domande delle parti, perché è quella invali-dità a costituire di per sé motivo di cassazione o annullamento della decisione impugnata (Cass., sez. III civ., 21 febbraio 2006, n. 3667, m. 588964). In particolare “il vizio di omessa pronuncia è configurabile solo nel caso di mancato esame, da parte della sentenza impugnata, di questioni di merito, e non già nel caso di mancato esame di eccezioni pregiudiziali di rito. Pertanto la sentenza che si assuma avere errone-
amente rigettato l’eccezione di inammissibilità dell’appello non è censurabile in sede di legitti-mità per violazione dell’art. 112 c.p.c.” (Cass., sez. III civ., 23 gennaio 2009, n. 1701, m. 606407). Ne consegue che in questa sede non rileva accer-tare se vi sia stata effettivamente un’omissione di pronuncia del giudice d’appello. Rileva accertare se il motivo d’appello proposto dalla [...] s.p.a. fosse effettivamente inammis-sibile. E a questa domanda non può che darsi risposta negativa. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, “il rilievo d’ufficio delle eccezioni in senso lato non è subordinato alla specifica e tempestiva allegazione della parte ed è am-missibile anche in appello, dovendosi ritenere sufficiente che i fatti risultino documentati ex actis, in quanto il regime delle eccezioni si pone in funzione del valore primario del processo, costituito dalla giustizia della decisione, che re-sterebbe svisato ove anche le questioni rilevabili d’ufficio fossero subordinate ai limiti preclusivi di allegazione e prova previsti per le eccezioni in senso stretto” (Cass., sez. un., 7 maggio 2013, n. 10531, m. 626194). Ed è indiscusso che la mora del debitore “è un elemento costitutivo della pretesa avente ad oggetto gli interessi e l’eventuale maggior danno da svalutazione monetaria” (Cass., sez. I, 18 settembre 2013, n. 21340, m. 627738). Nel caso in esame dun-que l’esistenza del ritardo nel pagamento delle somme ritenute in garanzia era un elemento costitutivo della domanda proposta dalla Gar-boli s.p.a. per gli interessi. E la contestazione da parte della Aeroporti di Roma s.p.a. dell’e-sistenza di tale ritardo espresse una generica difesa, non un’eccezione preclusa dall’art. 345 comma 2 c.p.c.
6. Domande ed eccezioni non riproposte: la presunzione di rinuncia
La legge processuale prevede la presunzione di rinuncia delle domande e delle eccezioni le quali siano rimaste non accolte con la prima decisione di merito prestata dal giudicante.
141IL GIUDIzIO DI APPELLO: FASE DI TRATTAzIONE
La presunzione di rinunzia ha quale terreno di riferimento il maturare della condizione costituita dalla mancata riproposizione delle stesse in sede di secondo grado di merito.
DECADENZA DA DOMANDE ED ECCEZIONI NON RIPROPOSTE
Devono espressamente riproporsi in grado di appello domande ed eccezioni non accolte in primo grado.
Diversamente, esse si intendono rinun-ciate.
La previsione dispositiva qui in esame, art. 346 c.p.c., intende assolvere al compito precipuo di regolare la posizione della parte, che abbia conseguito esi-to di vittoria dalla conclusione del giudizio prestato in primo grado di merito.
Tale parte, deve osservarsi, rimane sollevata dall’onere rappresentato dall’esperimento di azione rimediale avverso la pronuncia assunta in primo grado di merito dal relativo giudicante.
Il che si inscrive nel difetto di interesse del quale la parte, che sia prevalsa all’esito del grado di prime cure del relativo giudizio rimane caratterizzata rispetto all’eventualità di un’impugnazione della decisione favorevole.
Invece, rimane onere della parte vittoriosa nel grado di giudizio di prima lettura, attraverso l’atto con cui essa si presta alla costituzione in appello, di attendere rispettivamente: – alla riproposizione delle domande, le quali siano rimaste prive di accogli-
mento dalla sentenza che abbia così provveduto ad assumere il giudice di prime cure;
– alla riproposizione delle questioni le quali siano, nella sede cui si è fatto rinvio sin qui, ossia del primo grado di merito, rimaste sfornite di acco-glimento. Tra tali questioni, si pongono i fatti i quali, in ragione della rile-vanza giuridica da essi acquisita, abbiano avuto ruolo utile ai fini stessi del contrasto da rendere alla pretesa che parte avversa abbia inteso perorare ed affermare nella competente sede di merito.
• Il Punto
Le domande e le eccezioni rimaste non accolte in primo grado debbono essere riproposte in quello di appello.La parte vittoriosa in sede di prima lettura non ha interesse all’impugnazione della pronuncia, tuttavia ess,a costituendosi in grado di appello, è tenuta a riproporre domande e questioni eventualmente rimaste escluse dalla vittoria di causa, pena la presunzione di rinuncia relativa.
CAPITOLO IV142
La presunzione in considerazione di rinuncia ex art. 346 cit., tuttavia, può costituire ambito di superamento mediante il mezzo costituito dalla reitera-zione di tutte le domande, le quali siano state proposte in sede di prime cure.
Le modalità alle quali attenersi ai fini della reiterazione in questione devono rimanere costituite da quella espressa.
La giurisprudenza ha ritenuto di puntualizzare come la reiterazione di cui si è detto dovesse rendersi entro l’udienza per la precisazione delle conclusio-ni che, in tal modo, viene a porsi anche come termine ultimo per adempiere utilmente.
Segmenti di diritto vivente
1. La parte concretamente vittoriosa nel merito non ha onere di proporre appello in-cidentale per richiamare eccezioni o questioni che risultano superate o assorbite.
2. La parte vittoriosa è, tuttavia, tenuta a riproporre le une e le altre in modo espresso fino alla precisazione delle conclusioni.
3. Diversamente, opera la presunzione di rinuncia di cui all’art. 346 c.p.c. 4. Segue, pertanto, la formazione di giudicato implicito.5. Così, per il caso in cui il primo giudice accolga la domanda principale senza
esaminare quella subordinata, ritenendola assorbita, la parte vittoriosa non è tenuta a proporre impugnazione incidentale per ottenere l’esame di tale domanda dal giudice di appello.
6. Essa deve semplicemente richiamare espressamente la domanda stessa in qual-siasi scritto del giudizio di secondo grado.
7. In questo modo tale parte evita la presunzione di rinuncia.8. La giurisprudenza ritiene che ciò debba farsi entro l’udienza di precisazione
delle conclusioni. 9. Tanto, in quanto si ritiene che le successive difese abbiano funzione esclusiva-
mente illustrativa delle conclusioni già prese.
La legge processuale regola, dunque, la fattispecie della decadenza da domande ed eccezioni che non restino terreno di riproposizione in sede di appello avverso la sentenza pronunciata in prima lettura del giudizio.
La norma di riferimento, in modo particolare, resta definita, come sin qui osservato, con l’art. 346 del codice di rito, con la cui lettera, dunque, si prevede che le eccezioni rispetto alle quali il giudicante di primo grado abbia mancato, mediante la relativa decisione, di prestare accoglimento, le quali manchino, in seguito, di essere riproposte in modo espresso nel successivo grado di appello, si considerano rinunciate.
Si è fatto rilevare come il nostro ordinamento non contempli una disposi-zione positiva, piuttosto che un principio da cui concludere come una sorta di acquisizione per implicito al giudizio di appello delle istanze istruttorie
143IL GIUDIzIO DI APPELLO: FASE DI TRATTAzIONE
la cui articolazione abbia conosciuto relativo terreno in sede di prime cure, senza peraltro essere successivamente riproposte in quello di appello.
A fondamento del rilievo al quale si è in ultimo fatto rinvio, si è portato il tema secondo cui non potesse porsi a base dell’argomento una considerazione a contrario ricavabile dalla norma di riferimento dinanzi richiamata.
• Il Punto
Questione non del tutto secondaria è parsa quella della valutazione delle istanze istruttorie non riproposte in grado di appello, ossia se le stesse – alla medesima stregua di domande ed eccezioni non riproposte – dovessero con-cludersi come rinunciate in via presuntiva.La giurisprudenza sul punto sembra mantenere orientamento affermativo.
In particolare si è sottolineato come la disposizione di cui all’art. 346 cit. contempli una presunzione di rinunzia. Essa, in specie, impegna la peculiare sfera rappresentata da domande ed eccezioni, non trovando invece possibilità di ampliarsi anche alle istanze istruttorie.
Tuttavia, queste ultime, rispetto alle quali non si sia formato avviso favore-vole del primo giudicante di merito, rimanendo così inesitate positivamente, essendone mancato l’accoglimento, non possono anche ritenersi riproposte per le vie implicite in sede di appello, con le domande e le eccezioni per il cui sostegno esse avevano conosciuto motivo di articolazione.
Tali istanze istruttorie devono, in tale ambito, perciò, essere riproposte, là dove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, secondo forme e termini previsti per il giudizio dinanzi al primo giudice del merito, in ragione della previsione normativa di cui all’art. 359 dello stesso codice di rito.
Peraltro, non manca di osservarsi come l’ambito di riferimento della norma di cui all’art. 346 cit. impegni la sfera di riferimento occupata da domande ed eccezioni, senza venire a interessare il campo di riferimento costituito dalle istanze istruttorie.
Queste ultime, ove non abbiano conseguito esito di accoglimento in prima istanza, non possono anche ritenersi riproposte in sede di appello, seguendo-si delle modalità che possano concludersi come implicite, con quelle stesse domande ed eccezioni a supporto delle quali esse erano state articolate in prima istanza di merito.
Per le predette istanze istruttorie, quindi, la conclusione che si sposa milita in favore della loro riproposizione in sede di appello, ove non sia previsto specifico mezzo di gravame, secondo forme e termini previsti per il giudizio di primo grado, in ragione della previsione contemplata dall’art. 359 cit.
L’onere della riproposizione delle istanze istruttorie impegna in modo particolare la parte che sia riuscita vittoriosa in prima istanza. Con ciò quindi
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non si è inclusa nello stesso ambito anche la parte che da quello stesso grado di giudizio abbia conosciuto esito di soccombenza
Quest’ultima, infatti, rimane onerata della proposizione dell’appello prin-cipale o di quello incidentale.
Sul versante dell’inquadramento delle domande e delle eccezioni rimaste non accolte, si deve osservare come per tali debbano considerarsi sia quelle rispetto alle quali sia maturata condizione di assorbimento sia quelle nei riguardi delle quali l’esito della valutazione compiuta dal giudicante abbia condotto alla conclusione negativa del loro rigetto.
Sulla stessa applicazione della norma sino a questo punto considerata, ex art. 346 del codice di rito, si è posto in evidenza come esistano delle condi-zioni di interferenza con il campo applicativo occupato dell’art. 343 stesso codice, il quale rimane invece previsto per la ben diversa materia, relativa alla proposizione d’appello incidentale.
L’ambito della interferenza di tali norme resta definito dalla situazione per la quale, ampliandosi la sfera dell’appello incidentale, di fatto si restrin-ge quella relativa alla sola riproposizione come prevista della norma di cui all’art. 343 stesso codice.
In ambito di sintetica considerazione della materia, vale pertanto osservare come la parte, la quale abbia conseguito esito di conclusivo favore dalla vi-cenda giudiziale nella quale sia rimasta interessata nel primo grado di merito, non resti anche tenuta a dare sfogo ad oneri quali costituiti dall’esercizio del potere impugnatorio della decisione di merito di prime cure, in via principale sì come in via incidentale.
Detta parte, infatti, rimane onerata della sola riproposizione in grado di appello di quelle eccezioni le quali abbiano conosciuto relativa articolazione già in sede di prima lettura di merito.
Istanze istruttorie
Non possono ritenersi Devono essere riproposte Ove non necessario implicitamente riproposte in appello specifico gravame
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Questioni giurisprudenziali
8) La presunzione di rinuncia si estende alle istanze istruttorie?
Cass. civile, sez. I, 6 febbraio 2015, n. 2255
[...] 2.1.- I due motivi di ricorso vanno valutati unitariamente e sono da ritenersi in parte inammissibili ed in parte infondati. Inammissibili sono i vizi di motivazione dedot-ti, in quanto privi del momento di sintesi, ex art. 366-bis c.p.c. ratione temporis appplicabile, omologo del quesito di diritto, che deve essere idoneo a circoscrivere i limiti della censura (in tale senso, tra le ultime, le pronunce 14355/2013 e 2219/2013). Ciò posto, va rilevata l’infondatezza del pro-spettato vizio ex art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione alla non necessarietà della riproposizione in appello delle prove dedotte e non ammesse in primo grado. Ed infatti, come affermato nella pronun-cia 14135/2000, seguita dalle successive 16573/2002, 5308/2003 e 17904/2003, è pur vero che la presunzione di rinunzia prevista dall’art. 346 c.p.c. riguarda le domande e le
eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie, ma tuttavia, le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello con le domande e le eccezioni a sostegno delle quali erano state formulate, ma devono essere riproposte, laddove non sia ne-cessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei termini previste per il giudizio di primo grado, in virtù del richiamo operato dall’art. 359 c.p.c. Detto orientamento è stato di recente ribadito nella pronuncia 9410/2011, che, nel ritenere rinunciate le istanze istruttorie non ribadite in sede di precisazione della conclusioni in appello, ha valorizzato anche l’eccezionalità della fase istruttoria in appello e l’esigenza di rispettare e rendere effettivo il principio costituzionale del giusto processo di cui all’art. 111 Cost., inteso sotto il profilo della ragionevole durata.
9) Quale l’orientamento maturato dalla giurisprudenza?
Cass. civile, sez. III, 27 aprile 2011, n. 9410
[...] 3.3.2.2. La giurisprudenza relativa alle istanze istruttorie si è arricchita, inoltre, in due direzioni. La prima direzione, ancora con riferimento al processo prima della riforma del 1990 (Cass. 26 ottobre 2000, n. 14135, seguita da confor-mi) è rilevante perché ha tenuto distinto il regime delle istanze istruttorie da quello delle domande e eccezioni a sostegno delle quali erano state formulate. Infatti, sulla base di una giurisprudenza conso-lidata, che non riferisce alle istanze istruttorie l’art. 346 c.p.c., secondo il quale debbono in-tendersi rinunciate le domande e le eccezioni non accolte nella sentenza di primo grado e non espressamente riproposte, si riteneva che le istanze istruttorie devono considerarsi
implicitamente richiamate con le domande e eccezioni riproposte. Invece, la decisione in argomento afferma che “La presunzione di rinunzia prevista dall’art. 346 c.p.c. riguarda le domande e le eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie. Tuttavia, le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello con le domande e le eccezioni a sostegno delle quali erano state formulate, ma devono essere ripro-poste, laddove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei termini previsti per il giudizio di primo grado, in virtù del richiamo operato dall’art. 359 c.p.c.”. La seconda (Cass. 14 ottobre 2008, n. 25157; Cass. 14 novembre 2007, n. 23574) rileva per-
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ché, rispetto al processo riformato nel 1990, afferma che, avverso le ordinanze emesse dal giudice, di ammissione o di rigetto delle prove, rispetto alle quali non è più previsto il reclamo, le richieste di modifica o di revoca
devono essere reiterate in sede di precisazione delle conclusioni definitive al momento della rimessione in decisione ed, in mancanza, le stesse non possono essere riproposte in sede di impugnazione.
10) Le istanze istruttorie devono riproporsi in grado d’appello anche nella materia del rito del lavoro?
Cass. civile, sez. I, 11 febbraio 2011, n. 3376
[...] Anche tale motivo è infondato. Come è stato affermato da questa Corte e va qui nuo-vamente enunciato, anche “nel rito di lavoro l’appellante che impugna in toto la sentenza di primo grado, insistendo per accoglimento delle domande, non ha l’onere di reiterare le istanze istruttorie pertinenti a dette domande, ritualmente proposte in primo grado, in quan-to detta riproposizione è insita nella istanza di accoglimento delle domande; diversamente, la parte appellata, vittoriosa in primo grado, poiché, ovviamente, non ripropone alcuna richiesta di riesame della sentenza ad essa favorevole, deve espressamente chiedere al giudice del gravame il riesame delle proprie istanze istruttorie” (v. Cass. 22 agosto 2003 n. 12366, cfr. Cass. 23 marzo 1999 n. 2756). Pertanto, seppure, anche nel rito del lavoro, la presunzione di rinunzia prevista dall’art. 346 c.p.c. riguarda le domande e le eccezioni e non si estende anche alle istanze istruttorie (v. fra le altre Cass. 28 agosto 2002 n. 12629), tuttavia, così come affermato ripetutamente riguardo al rito ordinario con riferimento al richiamo operato dall’art. 349 c.p.c. (v. Cass. 26 ottobre 2000 n. 14135, Cass. 15 novembre 2002 n. 16573, Cass. 4 aprile 2003 n. 5308, Cass.
25 novembre 2003 n. 17904), va, parimenti, enunciato che “nel rito del lavoro, le istanze istruttorie non accolte dal giudice di primo grado non possono ritenersi implicitamente riproposte in appello con le domande e le eccezioni a sostegno delle quali erano state formulate, ma devono essere riproposte, lad-dove non sia necessario uno specifico mezzo di gravame, nelle forme e nei termini previsti per il giudizio di primo grado, in virtù del richiamo operato dall’art. 436, ultimo comma c.p.c.”. In tale quadro, quindi, l’appellato ben può all’uopo anche richiamare le proprie difese di primo grado, ma tale richiamo deve essere specifico, in modo da far ritenere in modo ine-quivocabile che sia stata riproposta l’istanza di ammissione della prova de qua (cfr. Cass. 27 ottobre 2009 n. 22687). Nella fattispecie la Corte territoriale, atte-nendosi a tali principi, legittimamente, e con congrua motivazione, ha ritenuto che la riproposizione delle istanze istruttorie, seppure libera da forme, deve essere fatta in modo specifico, non essendo all’uopo suffi-ciente un generico richiamo “alle conclusioni e alle istanze tutte formulate in sede di difesa di primo grado”.
7. Sospensione dell’esecuzione della prima sentenza di merito appellata e del giudizio
Per la proposizione dell’azione rimediale avverso la pronuncia prestata dal primo giudice del merito, l’ordinamento non prevede la possibile sospensione dell’esecuzione della sentenza sottoposta a detta attività impugnatoria.
La norma di riferimento, l’art. 337, comma 1, codice di rito, rappresenta, in certo senso, la prosecuzione ed il completamento del percorso regolatore