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3. La poltrona del dentista. La relazione medico-paziente nel "riunito" contemporaneo di Francesco Marsciani
Oggi la poltrona del dentista si chiana "riunito". Già nell'uso di un tale termine si
rende evidente l'aspetto complesso, composito, di questo oggetto.
L'evoluzione della poltrona del dentista è stata rapida e decisiva negli ultimi 50
anni. Fondamentale per la sua definizione è l'idea di "riunire" in un unico attrezzo
funzionale molteplici parti che corrispondono sostanzialmente a un elevato numero di
strumenti operatori. In questo modo tutto è a portata di mano, si limitano gli sposta-
menti, tutto è già pre-disposto in uno spazio prossimo e avvolgente.
Dunque relazioni tra le parti strumentali, da un lato, e configurazione della
spazialità della relazione medica, dall'altro, subiscono con lo sviluppo del riunito una
notevole trasformazione. I progressi compiuti nella progettazione del riunito vengono
così a coincidere con una trasformazione della stessa relazione intersoggettiva tra me-
dico e paziente. Tenteremo allora di seguire il senso di tali trasformazioni, facendo
attenzione, da un lato, al valore che possono assumere gli aspetti più propriamente
progettuali e tecnologici e, dall'altro, al tipo di investimento semantico che si viene a
determinare nel vissuto di una seduta dentistica, profittando, come si vedrà, di una
articolazione molto precisa della spazialità costruita.
1. I valori dei progetto: una tecnologia d'avanguardia
A mano a mano che si sviluppano i progetti di riuniti, in particolare negli ultimi
decenni, si assiste all'accentuazione degli aspetti più eminentemente tecnici legati alla
loro produzione e al loro utilizzo. I riuniti divengono un luogo di sperimentazione di
tecnologie avanzate sia sul piano strettamente costruttivo, con l'uso di materiali polimerici
di ultima generazione, sia dal punto di vista degli strumenti di controllo della
strumentazione, con ampio utilizzo di apparecchiature elettroniche.
Si tratta di macchinari sempre più complessi e raffinati, capaci, con la loro
configurazione tecnica molto articolata, di integrare al massimo grado una vasta serie di
funzioni specifiche. Questo aspetto dell'integrazione viene abbondantemente valorizzato
sia nella stampa specialistica, dedicata all'informazione professionale, sia come valore
scientifico-tecnologico di più generale apprezzamento, dovuto al valore che assume per
l'immaginario contemporaneo la densità o ricchezza tecnologica immessa in un pro-
dotto in genere. Un effetto importante di questo tipo di progresso consiste nella
occultazione sempre più accentuata delle componenti meccaniche all'interno di carrozzerie
sempre meno determinate, nel loro aspetto, dalla forma delle parti contenute e,
contemporaneamente, nella sempre maggiore importanza del design di interfaccia, con
un'attenzione molto spinta rivolta alla concezione delle consolle di controllo, tasti, leds,
simboli grafici ecc.
Nel suo insieme, questo tipo di orientamento fa sì che acquistino sempre maggiore
importanza le figure stesse dell'integrazione: si pensi al fatto che una consolle di
comando si presenta come un insieme integrato e omogeneo di possibilità per
l'espletamento di funzioni tra loro anche molto diverse; in altri termini, vi è una stessa lo-
gica astratta che presiede all'attivazione di meccanismi eterogenei, una stessa luminosità e
colorazione, per esempio, che rende visibili tasti differenti, una stessa scelta di stilemi
iconici che coinvolge il grafismo dei simboletti indicatori delle varie funzioni, una stessa
grana della superficie per qualunque tasto previsto, una stessa logica dell'operazione
(sfioramento o pressione di tasti, regolazione di manopole che offrono tutte una stessa
resistenza alla rotazione ecc.).
Tutto questo segna un evidente contrasto con quanto avveniva in un salone da
barbiere-cavadenti o in un ambulatorio dentistico d'altri tempi, in cui la scelta di uno
strumento e il suo utilizzo prevedevano una differenziazione marcata all'interno della
stessa sensorialità e capacità manuale dell'operatore. Trapanare comportava determinati
movimenti del braccio, del polso e della mano, estrarre comportava movimenti e tensioni
muscolari del tutto differenti, raschiare o iniettare o aspirare movimenti e posture ancora
diversi. Non che oggi tutte le operazioni possano considerarsi omologate ad uno stesso
gesto, ma certamente sembra essere questa la linea di tendenzamanifesta, tale per cui, nella
sostanza, si tratta di premere un pulsante per ottenere l'attivazione di una qualunque
funzione.
Tenendo presente l'aspetto diretto dell'operazione manuale e opponendola all'aspetto
mediato delle procedure operative mediante interfaccia tecnica, si potrebbe mostrare
graficamente la differenza tra le due modalità come nella fig. 2.
Una tale rappresentazione è evidentemente grossolana, ma serve per indicare la
omologazione, nella colonna di destra, delle varie attività operative richieste all'operatore
in tutti quei casi in cui vi è un apparato tecnico che si fa carico delle specificazioni -
.necessarie per attivare alternativamente diverse funzioni. Non si vuole dire che il dentista
oggi compia esattamente la medesima operazione quando preme uno o l'altro pulsante,
ché tra i due_ dovrà pur scegliere, ma che la qualità del suo gesto, la tensione corporea e la
differenziazione manuale-richiesta tende a diventare una stessa qualità e -una stessa
tensione corporea per quasi qualunque funzione egli voglia esercitare; che, in altre parole,
si tratta semplicemente di "premere un tasto".
1.1. Tattilità elettronica
Com'è noto, le nuove interfacce di controllo delle apparecchiature elettroniche
pongono, in generale, un problema di trasformazione della tattilità. Vi è una profonda
mutazione delle qualità sensibili implicate nel contatto uomo-macchina, mutazione
di cui non si può non tener conto. Sono temi che possono essere sviluppati nel senso,
certo, di una progressiva "virtualizzazione" della nostra esperienza sensibile, ma che
andrebbero descritti in maniera più precisa analizzando quali sono quei ti-atti che vengono
coinvolti nella trasformazione. Si ha, ad esempio, un notevole decremento della presa
manuale, come modalità di presa di possesso dello strumento: si simula--in- sostanza una
vera e propria interazione di tipo intersoggettivo tra strumento e operatore, nella misura
in cui, anziché proporsi come protési, lo strumento stesso "si lascia sollecitare", si--lascia
cioè_-destinare- ad una qualche performance. Si assiste in questo modo ad una forte
accentuazione-della mediazione pseudo-simbolica tra Destinante-professionista, ma più in
generale qualunque tecnico alla guida di un aereo o alla tastiera del suo terminale, e
Soggetto-esecutore, la macchina appunto, dotata di proprie competenze implicite e
presupposte, incorporate di fatto nei programmi elettronici di attività.
Questo significa che la selezione delle opzioni viene sempre meno affidata ad una
competenza sensibile e sempre più ad una competenza di ordine cognitivo, ad una
competenza all'interno della quale la componente (forse peraltro ineliminabile) legata alla
percezione e alla manipolazione diretta del mondo, si vede progressivamente sostituire da
una competenza legata alle relazioni di /sapere/, o, più precisamente, che un /saper-fare/
incorporato si vede soppiantare da un /saper-essere/ riflessivo.
Tutto questo può essere interpretato come un effetto necessario dello sviluppo
della tecnologia, nel senso che le attuali macchine portano ad un loro limite le
tendenze alla desensibilizzazione dei soggetti e nel senso che, per la loro gestione, si
richiede una trasformazione rilevante della competenza degli operatori.
1.2. Competenze tecnico-professionali
Questo secondo aspetto comporta, da parte del costruttore, un'attribuzione di
competenza tecnico-scientifica all'operatore, al professionista, che tende ad accentuarne le
caratteristiche prettamente cognitive e, per converso, a diminuire l'importanza delle sue
abilità manuali, della coordinazione prettamente muscolare dei movimenti. In questo
modo il dentista si vede trasformare d _professionista "chirurgico" in operatore-
tecnico;-in-qualcuno cioè che detiene la conoscenza' dei--- presupposti tecnologici delle
sue operazioni, molto meno "praticante" quanto piuttosto "esperto". Potrebbe venire utile la
distinzione lévi-straussiana, ripresa in questo senso da Flock (1995), tra bricoleur e
ingénieur: il bricoleur interagisce con i materiali e con le qualità sensibili di cui dispone,
mentre l'ingénieur utilizza consapevolmente i nessi logico-funzionali tra strumento e ope-
razione stabiliti preventivamente sulla base di un progetto. In realtà non è necessario che il
dentista conosca i modi di funzionamento de suo riunito, la tecnologia che controlla la
rotazione del motore o h pressione delle pompe di igienizzazione, ma diventa molto impor-
tante che sappia apprezzare (che sia competente per questo) le qualità tecniche che ne
risultano, che sappia apprezzare il grado di precisione, l'ampiezza delle opzioni, la
versatilità e la potenza esecutiva della macchina che ha acquistato o che si accinge ad
acquistare Occorre che per questo egli sia aggiornato sull'evoluzione tecnologica del suo
mestiere, sulla quantità disponibile di differenti misure di punta di trapano, sull'importanza
di un sistema igienizzante efficiente, sulle possibilità di impostazione di una memoria
elettronica, relativa alle posizioni operatorie ecc.
1.3. La distanza insensibile
Si crea in questo modo un forte velo di mediazione tra dentista e insieme della sua
strumentazione. L'enfasi che viene posta sugli aspetti prevalentemente cognitivi della sua
competenza costituisce uno strato di mediazione nel rapporto tra mano e strumento, une
strato tale da istituire una vera e propria distanza di insensibilità complessiva. Qui si apre
un'interessante questione che riguarda più in generale il nostro rapporto con le interfacce
tecnologiche. Si potrebbe dire che la sensibilità, nella forma dell'estesia, necessita (li una
sorta di compensazione, e che una tale compensazione regola al giorno d'oggi un aspetto
importante della progettazione degli oggetti di design. Questo potrebbe spiegare
l'estendersi, nei nostri oggetti quotidiani, di un'estetica delle superfici eudermiche, delle
superfici calde, moderatamente ruvide, preferibilmente non riflettenti. E evidente che una
tale estetica si va sostituendo progressivamente quella delle superfici metalliche, nella
misura in cui, da un lato, nor è più necessario testualizzare la tecnologia, tramite artifici
materici e luministici che segnalino la robustezza, la perfetta quadratura, la precisione, la
durevolezza, l'assenza di sbavature, la pulizia, e dall'altro, si fanno sempre meno
visibili, accessibili, sempre più aleatorie e virtuali le cosiddette "componenti", le parti
interne, i meccanismi, sempre più miniaturizzati e ridotti in gran parte a puri circuiti di
informazione.
La trasformazione cui facciamo riferimento si riferisce al fatto che, mentre si
rendono accessibili produttivamente materiali polimerici che hanno la pretesa di
presentarsi in quanto tali, negando il metallo dei loro predecessori, di essi si profitta per
ricreare una sorta - di simulacro del sensibile, del contatto, del cutaneo, al limite del
naturale. È sufficiente, per capirci, ed emblematico il caso dei telecomandi dei televisori o
degli apparecchi hi-fi, ma lo stesso vale per le carrozzerie sempre meno cromate delle
auto, così come per quei simulacri di analogismo presenti nei sistemi di regolazione
(ad esempio nei robot multifunzione delle cucine) che offrono una serie di posizioni, di
velocità, di variazioni per lo più esorbitanti rispetto alle funzioni che sono chiamati a
svolgere, introducendo in questo modo valori di "graduazione" mimetici rispetto al
continuum naturale del gesto idiosincratico dell'umano al lavoro.
1.4. Un'immagine del corpo (e del corpo malato)
Le considerazioni precedenti sarebbero generiche se non ci servissero per introdurre
una trasformazione che ci riguarda più da vicino. Riprendiamo il nostro discorso a partire
dal fatto che il riunito non è una macchina, o non soltanto una macchina, bensì una poltro-
na, un oggetto cioè che accoglie un corpo umano e che lo accoglie (quasi per definizione)
in maniera confortevole, adattandosi ad alcuni suoi riflessi posturali che sono o dovrebbero
essere quelli dei comfort, (lei riposo, del rilassamento'1. Da questo punto di vista non è
difficile leggere il corpo seduto, il corpo accolto, a partire dalla forma dell'oggetto di
seduta, come in un calco che virtualizza la sostanza che fungerà da complemento. Ci sono
sedili per piloti di Formula Uno, sedili per lettori da biblioteca, sgabelli per meditare, che
costruiscono un'immagine del corpo ogni volta specifica, e dotata di atteggiamenti, di
tensioni e detensioni, focalizzata su una determinata attenzione, orientata ad un
determinato programma. Non solo, ma in qualche modo è possibile giocare su una retorica
delle ridondanze, costruendo una poltrona da salotto con una tappezzeria di raso "XVIII
secolo", o al contrario rompere gli schemi proponendo contrasti tra registri e produrre
così, magari per il Moma, un seggiolino della metropolitana con tessuti di pizzo e ricami.
Ora, il riunito ha subito un'evoluzione stilistica e tecnologica che 'anche
un'evoluzione dell'immagine del corpo corrispondente, del corpo del paziente, e
questo almeno --setto-due 'aspetti-principali: da un lato il riunito si fa accogliente,
morbido, con una forma di contenimento tutt'altro che rigida, spesso senza braccioli
nella sue forme più evolute, precostruendo così nella sua stessa prima apparenza
l'idea di una corporeità ammorbidita, indotta al rilassamento, letteralmente "distesa" (e
questo risulta di enorme importanza relativamente alle teorie contemporanee del
dolore che ne attribuiscono grande parte alla rigidità con cui il corpo si atteggia
1 È questo un aspetto su cui insiste giustamente Lisa Serpelloni (1997) in un capitolo dedicato alla poltrona del
dentista.
difensivamente nei suoi confronti); dall'altro lato il riunito, grazie all'integrazione
tecnologica delle funzioni operative di cui dicevamo più sopra, offre una nuova_ idea di
corporeità, a sua volta ricomposta secondo un'accentuazione dell'integrazione tra le parti e
tra le sensibilità. Non solo, ma il corpo stesso si vede ricomprendere all'interno di una
totalità di cui esso risulta essere solo una parte, come se, e lo vedremo, lo spazio proprio
del riunito fosse uno spazio che integra il corpo del paziente in una nicchia
avvolgente che oltretutto_ gli è omogenea, nel senso che riunito e paziente vengono a
fare tutt'uno nei confronti dell'altro attore presente, il dentista. In questo la
trasformazione diventa una trasformazione complessiva che investe un'intera relazione e
che modifica lo statuto di tutti i termini in questione. Quella che chiamavamo la
competenza tecnica del dentista, fattasi piuttosto tecnologica e sistemica, ha nel dentista
stesso il proprio soggetto e nel complesso riunito-paziente un proprio oggetto adeguato.
Anche ,il corpo del paziente, infatti, così come avviene per il riunito, diventa un corpo
meno "meccanico", meno aggregato, meno articolabile per giunti e leve, ma assai più
informazionale, integrato e sollecitabile, dotato di connessioni interne delle quali la sua
forma esterna non manifesta le leggi, non mostra le proporzioni, non dichiara i
meccanismi. I denti del paziente oggi sono assai più luoghi dell'espressione del
corpo, da igienizzare, da desensibilizzare, dei quali restituire l'apparir-sani, piuttosto che
parti da cavare, da spostare, da riempire con amalgami metallici.
Da questo punto di vista diventano particolarmente eloquenti alcuni tratti che
vengono esaltati nella progettazione delle "punte" strumentali. Si assiste ad una
mimesi dello strumento operatorio nei confronti di determinate qualità della carne su cui
operare, mimesi al centro della quale si colloca una figura molto significativa, quella
dell'innesto, della parte dura, punta di trapano o punta dell'ago, che, come dente nella sua
gengiva, si inserisce in un supporto arrotondato, con zigrinature delicate, spesso con
anelli gommosi per una migliore presa. Ma ciò che più conta è il fatto che una tale
mimesi appare da subito come una trasformazione che lo strumento stesso induce
nell'immagine che i soggetti coinvolti (dentista e paziente) si fanno della parte malata, con
una riduzione relativa delle dimensioni delle parti rigide e dure, delle parti che potrebbero
evocare l'impatto strumentale come un urto, e favorendo al contrario l'estendersi di
un'isotopia della pressione elastica, del tocco, quasi una carezza, tra superfici cutanee,
quelle di un polpastrello e di una gengiva.
Considerazioni analoghe si possono fare per quel che riguarda l'altra grande
rappresentazione del corpo umano che si costruisce a partire dal disegno dell'intera
poltrona. Abbiamo detto come sulle sedute in generale si possano leggere le forme e le
qualità del corpo che esse prevedono di ospitare. Sul riunito del dentista, facendo attenzione
all'evoluzione che esso ha subìto, non è allora difficile rintracciare quei tratti che
corrispondono a una trasformazione decisiva dell'idea stessa di supporto: tendenzialmente
sempre meno marcati i tratti che separano le parti (poggi a--gambe, sedile; schienale;
poggiatesta), tendenzialmente sempre più valorizzati tutti i tratti di continuità che
manifestano il fluire dei collegamenti. Il corpo perde progressivamente quell'aspetto da
manichino che gli attribuivano le poltrone articolabili di una volta, quelle di diretta
derivazione dai cerusici, composte di parti articolate grazie a ingranaggi e ruote dentate,
perde cioè quell'aspetto da scheletro irrigidito in una posizione fissa, per acquistare
sempre più l'aspetto di un organismo adagiato su un palmo di mano, circondato da tubi
flessibili come dita;-l 'uno che "porge" l'acqua per i risciacqui, l'altro che "rende
disponibili" le punte e le cannule, l'altro ancora che fornisce l'illuminazione. La stessa
opposizione, dunque, tra "rigido" e "flessibile", tra duro e morbido che si carica di una
valorizzazione fondamentale per il trattamento terapeutico, perché non solo favorisce nel
paziente un atteggiamento che allevia tendenzialmente il dolore, ma perché, più
comessivamente, imposta una scena in cui è l'operazione stessa che si trasforma, che
prende una forma omologa con i valori della tecnologia. In un certo senso, così come,
dicevamo, il riunito in quanto macchina tecnologica tende progressivamente ad
assumere il ruolo di operatore in proprio, esercitando le proprie funzioni sulla base di
mandati selezionati dal Destinante-professionista, allo stesso modo il corpo del
paziente si viene delineando come il reagente, dotato di proprie logiche organiche, agli
stimoli del medico, che sempre meno sono o dovrebbero essere spinte ed urti, bensì
induzioni e suggerimenti, leggere, per quanto insistenti e autorevoli, pressioni.
È quanto si verifica nella vera e propria seduta in quanto sostegno fornito al
paziente da parte della poltrona. Nei modelli più recenti e raffinati le modificazioni della
postura non avvengono più per porzioni separate, obbligando il corpo del paziente a vere
riarticolazioni, ma suggeriscono piuttosto, attraverso inclinazioni più omogenee e continue,
angolazioni opportune che l'insieme oggettuale (poltrona-corpo) è invitato ad assumere,
come una "disposizione all'incontro". Così la stessa figura della "pressione" si fa
sensibile per il corpo intero, nell'esaltazione costruttiva di superfici moderatamente ce-
devoli, pronte ad adattarsi, ma non solo passivamente, alla distribuzione dei pesi e alle
differenze di consistenza proprie di ogni corpo.
È in questo modo che vanno compresi i problemi della cosiddetta ergonomia: non si
tratta mai di adattamento dello strumento, dell'oggetto, ad una configurazione del corpo
prestabilita in quanto ideale, ma della costruzione di una identità complessiva del corpo
stesso insieme alla costruzione del prodotto. Le vecchie poltrone del dentista, con le loro
cromature e con i loro braccioli verticali quali sbarre di contenzione, costruivano
adeguatamente un corpo sul quale operare trazioni e spinte, un corpo terrorizzato da
soggiogare, da trattenere; i riuniti contemporanei costruiscono al contrario uno scenario
di quiete e di distensione, uno scenario che peraltro non limita la propria portata entro i
limiti del riunito stesso, entro lo spazio che esso occupa e definisce, ma che investe dei
propri valori una spazialità più ampia e complessa.
2. La costruzione dello spazio. Una dialettica tra "chiuso" e "aperto"
2.1. Lo spazio dell'ambulatorio
Al riunito si accede dopo una serie importante di passaggi, che sono sia
passaggi nello spazio che passaggi nel tempo. Prima di riflettere sulla spazialità
dell'accesso al luogo topico della cura, può valere la pena spendere qualche parola sulle
articolazioni della temporalità. La visita dentistica manifesta alcune caratteristiche ricor-
renti, che costituiscono o identificano alcuni momenti essenziali: la visita di controllo, la
seduta di pulizia, gli appuntamenti (sempre con riserva e con larga pratica della disdetta e
del rimando), le cure parziali, i pagamenti con strutture varie di dilazione ecc. Si tratta,
come si può vedere, di una temporalità organizzata secondo un sistema di soglie e di
puntuazioni piuttosto complicato, ma che nell'insieme espone in maniera lampante una
caratteristica precisa, e cioè il fatto che tutte queste soglie ritmano una relazione tra
paziente e studio dentistico che non è mai definitiva, non è mai perfettamente collocata,
mai dei tutto esaurita, una temporalità fondamentalmente imperfettiva. Da un punto di vista
che profitti delle chiavi d'anàlisi della narrativita, e chiaro come un'organizzazione
temporale e aspettuale di questo tipo si inserisca in una rappresentazione - in un racconto -
della relazione dentista/paziente che tende ad esaltarne soltanto alcuni aspetti,
valorizzandoli come centrali e essenziali, e tende contemporaneamente ad occultarne
altri.
La caratteristica più evidente è quella che esalta l'aspetto contrattuale della
relazione, tale per cui si può dire che vi è una sensibilizzazione della libertà e della
responsabilità. Ogni contatto, ogni appuntamento, ogni impegno, si presenta come un
momento locale di una indefinita contrattazione, nella quale, oltretutto, i rispettivi ruoli del
medico e del paziente possono oscillare su parziali ridefinizioni delle competenze. Una
volta non vi era che una situazione canonica: qualcuno, soggiogato da un ascesso, si
rivolgeva a qualcun altro considerato capace di risolvere il problema. Oggi il dentista è
qualcuno che consiglia, che propone varie soluzioni possibili a problemi che non sono quasi
più urgenze, qualcuno che controlla, che segue l'andamento della crescita nella dentatura
infantile, che accompagna quasi amorevolmente. Dal canto suo il paziente è diventato
qualcuno che, in questo racconto di cui il riunito fa parte, valuta e decide, qualcuno che si
considera competente per valutare quanto e quando pagare, qualcuno che richiede
consapevolmente e liberamente le prestazioni dei professionista.
A questa organizzazione della temporalità della relazione corrisponde a modo suo
l'organizzazione spaziale, dello studio dentistico. Vi è una caratteristica essenziale a cui
bisogna fare attenzione: si tratta del fatto che i locali in cui si articola lo studio - lo
diciamo qui generalizzando una serie di osservazioni che non possono pretendere
all'esaustività - non sono locali chiusi, o meglio, sono locali che non vengono chiusi. Vi è,
soprattutto per gli studi di più recente costruzione, un abbondante uso delle superfici vetrate,
più o meno opacizzate, che consentono sempre di scorgere il passaggio di qualcuno oltre la
sala d'aspetto, o di intravedere la macchina per le analisi radiologiche dalla saletta
dell'igienista. Negli studi più datati, invece, clove si utilizzano di solito le strutture di
vecchi appartamenti, è regola che le porte non vengano chiuse del tutto, bensì solo accostate,
o, quando è chiusa quella che separa il vero e proprio ambulatorio dalla sala d'aspetto o
dall'ufficio, ve ne è sempre un'altra, affacciata su un secondo ambulatorio o su un
corridoio, che resta aperta, attraverso la quale il dentista stesso o il suo collega o
qualche infermiera possono transitare liberamente o agevolmente scambiarsi la voce. In
questo modo lo studio dentistico assume un aspetto di grande spazio articolato per
nicchie, porzioni dedicate in ragione delle funzioni che svolgono e che non marcano alcuna
cesura, alcuna separazione netta.
È ovvio che, con atteggiamento funzionalista, si possono fornire svariate ragioni per
cui questo è possibile: è vero che in uno studio dentistico ci sono meno cose da
proteggere dagli sguardi altrui che nell'ambulatorio di un ginecologo; ma questo non ci
dice nulla in positivo sul valore che una tale organizzazione spaziale può assumere
all'interno del racconto della seduta dentistica. L'essenziale per noi, invece, è proprio
questo: si tratta di comprendere come l'articolazione dello spazio manifesta la specificità
di una relazione tra attori, come la rende sensibile e, presumibilmente, efficace.
Nel suo complesso, lo studio dentistico è uno spazio in cui si convive, nel quale i
diversi attori presenti (personale tecnico e medico, impiegati, altri pazienti) hanno la
tendenza a fluttuare, si spostano con grande facilità e in modo tendenzialmente continuo,
uno spazio nel quale il traffico viene regolato sui momenti parziali di un rapporto
terapeutico per parte sua di tipo estensivo. Se non è il paziente che rientra nella sala
d'aspetto in attesa che l'anestesia faccia effetto, è il dentista stesso che esce e rientra a
più riprese nella saletta di cura, è l'infermiere che torna con lo sviluppo delle lastre
radiografiche, è l'impiegato che comunica che c'è stato uno spostamento negli
appuntamenti ecc. Tutto questo si svolge in una spazialità predisposta al flusso, che lascia
continuamente aperti varchi per superare le soglie, una spazialità che continuamente nega
le chiusure tra ambienti dei quali segnala pur sempre la specificità, una spazialità che
valorizza, vorremmo dire, I'anfratto, cioè la creazione di luoghi e momenti in cui, senza
vere soluzioni' di continuità, di volta in volta si creano situazioni di contatto diretto, intimo,
tra malato e terapeuta, tra segretaria e cliente pagante.
2.2. Lo spazio del riunito
All'interno dei locali di cui è costituito lo studio, in particolare all'interno delle salette
operatorie, fanno di solito bella mostra di sé, perché imponenti, perché collocati
abitualmente in posizione relativamente centrale e perché quasi esclusivi elementi
d'arredo, i riuniti. Ora, la prima caratteristica di questi oggetti è che essi, con la loro
presenza e grazie alla loro configurazione, riarticolano lo spazio di quella che abbiamo
indicato come una nicchia, la ricentrano intorno ad un luogo topico che è precisamente il
luogo che il corpo del paziente dovrà occupare. In qualche modo si può dire che il riunito,
prima di tutto sul piano visivo, si offre al paziente per accoglierlo.
Nel momento in cui il paziente si accomoda sulla poltrona, egli si trova ad inserirsi in
una nicchia di secondo grado, per così dire, una nicchia nella nicchia, che ripropone a suo
modo alcuni dei caratteri che abbiamo già visto a proposito dello studio. II riunito, in effetti,
costruisce uno spazio con forti tratti di chiusura, nel senso che si tratta di uno spazio
precisamente circoscritto, molto chiaramente delimitato, e con altrettanto forti caratteristiche
di spazio inglobante, ma che, al contempo, non occlude davvero, contiene senza trattenere,
non rinserra. Si tratta di uno spazio che evoca i suoi confini e che al contempo
segnala e anzi enfatizza i varchi per attraversare questi stessi confini. Gli elementi di
chiusura, infatti, sono elementi che, più che costituire, disegnano i bordi dello spazio, li
indicano e lo fanno in maniera tale da risultare una funzione secondaria rispetto a quella a
cui sono primariamente dedicati. Tali elementi, in effetti, sono soprattutto i bracci
flessibili e le consolle che circondano il corpo del paziente ma che dichiarano la loro
presenza per altre funzioni, che avvolgono sì di fatto, ma che sembra quasi condividano con
il paziente I'ineliminabile condizione di occupare uno spazio aperto, insieme al corpo prima
che intorno al corpo, cosicché tutti gli interstizi, i vuoti che restano tra l'uno e l'altro
elemento, pur omogenei al bordo immaginario, restano pur sempre spazi attraversabili dallo
sguardo, e al limite da un qualunque gesto del medico, dell'assistente o addirittura del
paziente stesso.
In questo, una funzione particolare svolge la lampada che sovrasta la poltrona. Nel
corso della seduta essa rappresenta uno dei maggiori elementi di contenimento, giacché è
proprio essa la cortina verso cui volge per lo più lo sguardo del paziente. Ora, trattandosi
di una lampada a illuminazione indiretta, si trova a far circolare, per così dire, lo
sguardo lungo la curvatura convessa che riflette la luce e dinamizza in questo modo, pur
a partire dalla sua dura consistenza di quinta, una spazialità che vede grazie a lei
esaltata la propria compiutezza, la propria totalità.
Ma c'è di più: il bordo che si disegna intorno al corpo seduto, bordo che
delimita uno spazio inglobante, non è rigido a sua volta, non è predeterminato e fisso,
ma può allargarsi o restringersi perché si tratta di bracci mobili che vengono abitualmente
spostati per rendere accessibile più luce o più prossimi gli strumenti, o per allontanare al
contrario le funzioni operatorie nei momenti di apertura o chiusura della relazione. Così lo
spazio all'interno del riunito è uno spazio con un suo qualche grado di animazione, con
una sua sorta di respirazione, sufficientemente regolata sui momenti significativi del
rapporto medico/paziente. Lo si vedrà a proposito della spazialità propria del corpo
disteso, ma è importante sottolineare questo aspetto che attribuisce alla poltrona stessa una
sua anima. In realtà il riunito tende ad incorporare alcune funzioni che sono specifiche
dell'assistente, come concentrare l'illuminazione, aspirare la saliva, fornire il necessario per i
risciacqui, e nel farlo si anima di movimento e, forse soprattutto, di presenza.-
:>L'integrazione tecnologica delle funzioni diventa nel vissuto della seduta di cura una
sorta di integrazione organica delle azioni, azioni che si colorano nel complesso dei
caratteri antropomorfi e intersoggettivi del servizio, dell'offerta.
Così il riunito, con la sua mole considerevole e collocato più o meno al centro di
un ambiente cui si giunge dopo un'attesa spesso lunga, un ambiente per lo più candido,
asettico e in qualche modo sacralizzato dalla sua appartenenza elettiva alla figura del
medico, può irraggiare una sua aura totemica che investe direttamente il paziente che gli si
avvicina. Su questo sedile animato, dotato di strane braccia e di movimento e luce propria,
il paziente si accomoda e da esso si lascia sostenere.
2.3. Lo spazio del corpo
Il corpo del paziente non rimane lo stesso durante tutti i momenti della seduta di
cura. Anche i suoi confini, grazie alla configurazione del riunito, subiscono trasformazioni
significative. Intendiamo qui il _corpo, sensibilizzato d le pertinenze significanti della
relazione intersoggettiva, naturalmente, ma è proprio rispetto a queste ché ì1 riunito, che
pure resta una poltrona che sostiene l'intero corpo fisico durante tutto l'arco della
terapia, gioca un ruolo nient'affatto secondario. Innanzi tutto il riunito è dotato di
meccanismi che consentono, e impongono al corpo del paziente, varie inclinazioni e
varie altezze. Tali movimenti, resi possibili da una motorizzazione elettrica molto fluida e
silenziosa, producono nel paziente una forte sensazione di alleggerimento del proprio
corpo, dato che questi si sente letteralmente sollevare o inclinare da una forza che lo
sostiene. Questo è importante perché determina, fin dai primi momenti in cui si prende
posto sulla poltrona, una svalorizzazione di quelle ,parti, del corpo che sono legate alle
funzioni di sostegno: piedi e gambe, soprattutto, ma anche le braccia. E ben noto a tutti
noi, anche per esperienza diretta, quanto siano soprattutto le estremità a caricarsi di
tensione, a irrigidirsi, nei momenti di paura del dolore, quanto stringiamo i pugni,
quanto puntiamo i piedi. Ora, il riunito non impedisce che questo avvenga, soltanto
produce un disinvestimento di valore su queste reazioni di irrigidimento degli arti,
favorendo nei fatti un rilassamento indotto più efficace. Un tale disinvestimento, inoltre, è
progressivo, nel senso che si compie attraverso alcuni passaggi successivi: dapprima il
sostegno puro e semplice, poi l'elevazione in altezza, poi l'inclinazione all'indietro con
un aumento dell'appoggio delle spalle e della nuca, e infine il concentrarsi di più vettori
sulla sola zona della testa e della bocca (fondamentalmente l'illuminazione e l'attenzione
del dentista).
Ebbene, a poco a poco il corpo del paziente diventa la sua bocca; il resto si perde di
fatto nell'indistinto di tutto ciò che resta fuori dallo spazio topico. Gambe, braccia,
resto del corpo vanno a raggiungere l'evanescenza in cui cala lo spazio rimanente
della sala, e poi l'indifferenziato delle altre sale dello studio, in una progressiva
concentrazione sulla bocca che è un progressivo perdere valore di realtà di tutto il resto.
In questo modo si assiste ad una ulteriore costruzione di nicchia nella nicchia, ad un
ulteriore restringimento dello spazio valorizzato. La bocca, che è in effetti il ricettacolo
estremo dell'oggetto proprio della cura dentistica, condivide con i passaggi precedenti
alcuni caratteri dell'organizzazione spaziale: essa, che vive abitualmente di una dialettica
ravvicinata tra "chiuso" e "aperto" nell'atto di parola, nel sorriso, nella smorfia di dolore,
adotta in questo momento una condizione che è al contempo di massima apertura e di
ricettacolo profondo del proprio contenuto, espone e lascia vedere ma al contempo si
presenta come un luogo in cui entrare, in cui farsi spazio. Tutto si avvicina ad essa: la
grande lampada che tenta di iniettarvi i suoi raggi luminosi, il vassoio degli strumenti che
deve rendere le punte disponibili al massimo grado, e infine le mani e gli sguardi del
dentista e eventualmente dell'assistente, mani e sguardi entrambi protèsi e prolungati nelle
loro pròtesi, sguardi duplicati dallo specchietto e mani enfatizzate sia dagli strumenti che
dalle cannule di aspirazione.
Possiamo parlare del culmine di un lento e progressivo processo di avvicinamento, un
processo fatto di curve, di spazi privi di asperità o di ostacoli: così come siamo lentamente
entrati nell'incontro, tramite l'appuntamento e l'accesso allo studio, così come siamo entrati
nella saletta seguendo un flusso di movimenti spesso ondivaghi, così come ci siamo seduti
sul riunito, necessariamente con una sorta di lentezza per non-urtare nulla, così ora
lentamente si entra nella bocca, anfratto circolare anch'esso, inglobante e a suo modo
totalizzante. Ora, crediamo che sia precisamente quest'ultimo tratto, quello della
circolarità, che caratterizza nell'insieme il vissuto della seduta dentistica per conte le
pratiche contemporanee tentano di costruirla e raccontarla.
2.4. Giochi di visibilità
La poltrona del dentista che abbiamo più sopra indicato come "meccanica",
quella di diretta derivazione dalla poltrona del barbiere, negava certamente la circolarità
della percezione spaziale. Ora, è evidente che per una tale semantica della spazialità
diventano decisivi i percorsi che in essa può compiere la visione. Sembra, nel nostro caso,
costituirsi una opposizione tra visibilità affermata e sua attenuazione, tra una visibilità
"netta", che si presta ai giochi dell'esposizione e del nascondimento, e una visibilità
articolata su percorsi arrotondati, circolari, una visibilità dell'intravisione e della traspa-
renza, una visibilità circoscritta e contemporaneamente praticabile, senza cesure definite.
Potremmo tentare di rappresentare secondo il sistema oppositivo di fig. 6 le relazioni
principali che oppongono una visibilità nettamente istituita ad una visibilità (non-
visibilità?) dell'intravisione:
All'interno di un tale schema, dovremmo allora collocare sull'asse superiore le
polarità proprie della spazialità tradizionale, per così dire, quella del trattamento
dentistico di una volta, e sull'asse inferiore l'articolazione del regime di visibilità
caratteristico degli studi odontoiatrici di moderna concezione.
Ma in realtà questa rappresentazione sembra non rispondere in maniera adeguata
alle dinamiche proprie della situazione. E come se dovessimo considerare la visibilità
non tanto una categorizzazione primaria delle relazioni spaziali che si stabiliscono sulla
poltrona del dentista, quanto piuttosto un effetto graduabile e articolabile di una più
fondamentale organizzazione dello spazio intersoggettivo. Il riunito di ultima generazione
porta ad uno stadio avanzato una trasformazione progressiva della spazialità che, a partire
da un valore di frontalità, anche se parziale, che caratterizzava la relazione medico-
paziente dell'ambulatorio tradizionale, conduce ad una accentuazione della lateralità e,
contemporaneamente, ad una progressiva localizzazione e concentrazione dei flussi di
attività e di visione. Si passa, in sostanza, da una spazialità polarizzata, in cui la visione
del paziente può estendersi prospetticamente su una scena che egli fronteggia, ma in
cui contemporaneamente gli sono negati gli spazi alle spalle, occupati da armadietti
presumibilmente ricolmi di strumenti ansiogeni, a una spazialità inglobata i cui limiti
sono percorribili da parte dello sguardo, senza impedimenti, e tuttavia senza che questo
sia esattamente libero, bensì sottoposto a una guida, secondo una dinamica
dell'accompagnamento. Lo sguardo del paziente si trova condotto a percorrere uno
spazio senza asperità che lo circonda, in cui si trova imnmerso. I bordi di una tale spazialità
possono ben essere considerati, da un altro punto di vista, delle sorte di quinte, dei pannelli
otturatori, ma, in virtù del processo di concentrazione e localizzazione, non è più l'esterno ciò
che conta, nel senso che quello che si viene così a istituire è lo spazio, tutto lo spazio, lo
spazio della relazione.
La logica di una tale percorribilità dello spazio da parte della visione verrebbe in tal
modo a corrispondere alla logica di costruzione della spazialità tutta intera della seduta di
cura, quella che abbiamo tentato più sopra di ricostruire. E in questo il riunito risulterebbe
un elemento davvero centrale, allora, per la comprensione della trasformazione, poiché
nel suo disegno, sulle sue superfici, nella tecnologia incamerata e nel tipo di spazio
che esso istituisce, si prefigura, nel momento stesso in cui si produce, un tentativo di
modificare la tonalità emotiva di una relazione da sempre vissuta come particolarmente
disforica. Vedere quel che è dato vedere e non vedere ciò che resta alle spalle instaura un
regime possibile del sospetto, dato che padrone della situazione resta l'altro, il medico; al
contrario, il riunito contemporaneo rende tutto più prossimo, più accessibile non solo per
le mani dell'operatore, ma contemporaneamente per lo sguardo del paziente, alle cui
spalle, oltretutto, sempre più spesso non vi è altro che pavimento.
Dovrebbe essere chiaro che qui non si sostiene che nei fatti non vi siano più zone
dell'ambulatorio inaccessibili allo sguardo: questo non è vero in generale, oltre che
nella miriade di casi specifici con tutte le loro possibili variazioni. Si sostiene però che
si tratta di una logica leggibile nelle configurazioni delle più avanzate poltrone da
dentista, così come nell'allestimento degli studi. La logica è quella di una
spazializzazione che consente allo sguardo di seguire percorsi continui, di avvicinarsi
progressivamente ad una totalità, ottenuta certo per lento restringimento dell'orizzonte, ma
che si dà in quanto tale, inglobando in se stessa, e così tentando di annullare, le polarità di
ogni conflitto.
Bibliografia
J.-M. Floch, Identités visuelles, Paris, Puf, 1995 (tr. it. Identità visive, Mi
lano, Angeli, 1997).
L. Serpelloni, L'umanizzazione del design: un'analisi semiotica, Tesi di
laurea, Milano, luhn, 1997.