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I materiali extraduri La durezza di una sostanza dipende dalla forza e dalla orientazione dei legami fra gli atomi. I legami simmetrici più forti si riscontrano nel diamante e in un materiale sintetico, il nitruro di boro cubico di Francis P. Bundy F , noto a tutti che il diamante è la sostanza più dura che esista, ma quasi nessuno ha un'idea di quanto esso sia più duro di ogni al- tra sostanza. Il corindone, quel mine- rale cioè che sta al primo posto do- po il diamante nella scala di durez- za stabilita da Friedrich Mohs, pre- senta una durezza pari appena a un quinto di quella del diamante. Il ni- truro di boro cubico, un materiale sin- tetico che risulta per lo meno due vol- te più duro del corindone e che occu- pa il secondo posto nella graduatoria dei materiali più duri, ha una durez- za che può essere appena la metà di quella del diamante. Tuttavia, se si vuole comprendere il significato di queste relazioni, è neces- sario sapere esattamente che cosa si in- tenda propriamente con il concetto di durezza. Per molti anni il termine fu definito in modo esclusivamente empirico: una sostanza veniva conside- rata più dura di un'altra se riusciva a scalfire, a bradere, o comunque a defor- mare quest'ultima senza restare a sua volta segnata. Provando con questo metodo parecchi materiali si può sta- bilire una sorta di gerarchia di durez- za; questa specie di « ordine di scal- fittura » è la base della scala di Mohs. Questa definizione rimane tuttora va- lida, e infatti essa presenta un consi- derevole interesse pratico. L'inaltera- bilità delle gemme, per esempio, è do- vuta all'eccezionale resistenza all'abra- sione da sabbia o polvere. Un diaman- te può essere effettivamente intaccato solo da altri diamanti e, poiché le par- ticelle di diamante sono assai rare nel- l'ambiente terrestre, il diamante è veramente « eterno », come afferma la pubblicità. E, fatto forse più importan- te, per le loro proprietà abrasive e per la capacità di incidere qualunque altro materiale, queste sostanze extradure so- no diventate ormai assolutamente es- senziali per l'industria moderna. Una più profonda definizione della durezza fa riferimento alla struttura chimica e geometrica del cristallo. La resistenza alla deformazione di una sostanza dura dipende essenzialmente dalla tenacità con cui i suoi atomi so- no in grado di resistere a eventuali spo- stamenti relativi; questa tenacità di- pende a sua volta dalla intensità e dal- la distribuzione spaziale delle forze che mantengono gli atomi al loro posto nel- la struttura cristallina. Lo studio di queste forze interatomiche può spie- garci perché una sostanza sia più du- ra di un'altra, e in particdlare può aiutarci a capire le peculiari proprie- tà dei materiali « extraduri », come il diamante e il nitruro di boro cubico. Fino a pochi anni fa, tutti i materia- li più duri erano prodotti naturali e si potevano ottenere soltanto dagli scavi minerari. Al giorno d'oggi sia- mo in grado di ottenere artificialmente la maggior parte di essi, compreso il diamante. Il nitruro di boro cubico ovviamente esiste solo sotto forma di prodotto artificiale. La prima sintesi del diamante in la- boratorio di cui si abbia notizia certa risale al 1954 per opera di H. Tracy Hall, Herbert M. Strong, Robert H. Wentorf, Jr., e mia, presso il Generai Electric Research and Development Center. Il procedimento grazie al qua- le si ottiene il diamante sintetico consi- ste essenzialmente nella conversione del carbonio da una forma cristallina a un'altra. La materia prima è la gra- fite, che viene sottoposta a una pres- sione elevatissima (più di 50 000 atmo- sfere) e a una temperatura notevole (circa 1300 gradi centigradi). Per otte- nere il diamante è necessaria anche la presenza, allo stato fuso, di un metallo facente parte di un dato gruppo, co- me per esempio ferro, nichel o cobal- to; l'esatta funzione di questi metalli non è del tutto chiara, tuttavia pare che essi servano come catalizzatori e come solventi. Partendo dalla sintesi da noi ottenu- ta in laboratorio, si sviluppò ben presto un procedimento commerciale, e attual- mente diverse fabbriche in Sud Africa. Irlanda, Svezia, Giappone e URSS, co- me pure negli Stati Uniti, producono polvere di diamante e piccoli cristal- li che vengono impiegati nell'industria per gli utensili da taglio e per le mole. Negli Stati Uniti probabilmente più della metà della polvere di diamante impiegata nell'industria è di prove- nienza artificiale. La sintesi del nitruro di boro cubico è del tutto simile a quella del diaman- te. La materia prima è una forma al- lotropica del nitruro di boro la cui struttura è molto simile a quella del- la grafite, e le condizioni di pressio- ne e di temperatura necessarie per la sintesi sono praticamente le stesse. Un gruppo diverso di catalizzatori-solventi è necessario tuttavia per questa con- versione; essi comprendono, insieme a molti altri, i metalli alcalini e i loro nitruri. Il nitruro di boro cubico fu ottenuto per la prima volta da Wentorf nel 1956; anch'esso naturalmente ha importantissime applicazioni industriali. A llo scopo di studiare le proprietà e le caratteristiche dei diamanti (sia- no essi naturali o sintetici) e del ni- truro di boro cubico, bisogna in pri- mo luogo avere a disposizione una mi- sura quantitativa del grado di durez- za; la scala di Mohs risulta del tutto Il reticolo cristallino del diamante è costituito da atomi di carbonio distribuiti in una struttura che si ripete all'infinito. Ogni atomo occupa il centro di un tetraedro regola. re i cui vertici coincidono con i quattro atomi più vicini al primo. I legami che con- nettono gli atomi fra loro sono covalenti; e sono proprio la forza e la natura sim- metrica di questi legami i responsabili dell'estrema durezza del diamante. Il cubo interno al reticolo (in colore) è una cella unitaria del cristallo. In questo disegno la vista del reticolo è quasi parallela a uno dei piani chiamati piani del dodecaedro. r07 / A NAs i r \4 • lkii, , " : 4 0 / \ 11 1 : . ': i r, gt. 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I materiali extraduriLa durezza di una sostanza dipende dalla forza e dalla orientazionedei legami fra gli atomi. I legami simmetrici più forti si riscontranonel diamante e in un materiale sintetico, il nitruro di boro cubico

di Francis P. Bundy

F

, noto a tutti che il diamante èla sostanza più dura che esista, ma quasi nessuno ha un'idea diquanto esso sia più duro di ogni al-tra sostanza. Il corindone, quel mine-rale cioè che sta al primo posto do-po il diamante nella scala di durez-za stabilita da Friedrich Mohs, pre-senta una durezza pari appena a unquinto di quella del diamante. Il ni-truro di boro cubico, un materiale sin-tetico che risulta per lo meno due vol-te più duro del corindone e che occu-pa il secondo posto nella graduatoriadei materiali più duri, ha una durez-za che può essere appena la metà diquella del diamante.

Tuttavia, se si vuole comprendere ilsignificato di queste relazioni, è neces-sario sapere esattamente che cosa si in-tenda propriamente con il concetto didurezza. Per molti anni il terminefu definito in modo esclusivamenteempirico: una sostanza veniva conside-rata più dura di un'altra se riusciva ascalfire, a bradere, o comunque a defor-mare quest'ultima senza restare a suavolta segnata. Provando con questometodo parecchi materiali si può sta-bilire una sorta di gerarchia di durez-za; questa specie di « ordine di scal-fittura » è la base della scala di Mohs.Questa definizione rimane tuttora va-lida, e infatti essa presenta un consi-derevole interesse pratico. L'inaltera-bilità delle gemme, per esempio, è do-vuta all'eccezionale resistenza all'abra-sione da sabbia o polvere. Un diaman-te può essere effettivamente intaccatosolo da altri diamanti e, poiché le par-ticelle di diamante sono assai rare nel-l'ambiente terrestre, il diamante èveramente « eterno », come afferma lapubblicità. E, fatto forse più importan-te, per le loro proprietà abrasive e perla capacità di incidere qualunque altromateriale, queste sostanze extradure so-no diventate ormai assolutamente es-senziali per l'industria moderna.

Una più profonda definizione delladurezza fa riferimento alla struttura

chimica e geometrica del cristallo. Laresistenza alla deformazione di unasostanza dura dipende essenzialmentedalla tenacità con cui i suoi atomi so-no in grado di resistere a eventuali spo-stamenti relativi; questa tenacità di-pende a sua volta dalla intensità e dal-la distribuzione spaziale delle forze chemantengono gli atomi al loro posto nel-la struttura cristallina. Lo studio diqueste forze interatomiche può spie-garci perché una sostanza sia più du-ra di un'altra, e in particdlare puòaiutarci a capire le peculiari proprie-tà dei materiali « extraduri », comeil diamante e il nitruro di boro cubico.

Fino a pochi anni fa, tutti i materia-li più duri erano prodotti naturali

e si potevano ottenere soltanto dagliscavi minerari. Al giorno d'oggi sia-mo in grado di ottenere artificialmentela maggior parte di essi, compreso ildiamante. Il nitruro di boro cubicoovviamente esiste solo sotto forma diprodotto artificiale.

La prima sintesi del diamante in la-boratorio di cui si abbia notizia certarisale al 1954 per opera di H. TracyHall, Herbert M. Strong, Robert H.Wentorf, Jr., e mia, presso il GeneraiElectric Research and DevelopmentCenter. Il procedimento grazie al qua-le si ottiene il diamante sintetico consi-ste essenzialmente nella conversionedel carbonio da una forma cristallinaa un'altra. La materia prima è la gra-fite, che viene sottoposta a una pres-sione elevatissima (più di 50 000 atmo-sfere) e a una temperatura notevole(circa 1300 gradi centigradi). Per otte-nere il diamante è necessaria anche lapresenza, allo stato fuso, di un metallo

facente parte di un dato gruppo, co-me per esempio ferro, nichel o cobal-to; l'esatta funzione di questi metallinon è del tutto chiara, tuttavia pareche essi servano come catalizzatori ecome solventi.

Partendo dalla sintesi da noi ottenu-ta in laboratorio, si sviluppò ben prestoun procedimento commerciale, e attual-mente diverse fabbriche in Sud Africa.Irlanda, Svezia, Giappone e URSS, co-me pure negli Stati Uniti, produconopolvere di diamante e piccoli cristal-li che vengono impiegati nell'industriaper gli utensili da taglio e per le mole.Negli Stati Uniti probabilmente piùdella metà della polvere di diamanteimpiegata nell'industria è di prove-nienza artificiale.

La sintesi del nitruro di boro cubicoè del tutto simile a quella del diaman-te. La materia prima è una forma al-lotropica del nitruro di boro la cuistruttura è molto simile a quella del-la grafite, e le condizioni di pressio-ne e di temperatura necessarie per lasintesi sono praticamente le stesse. Ungruppo diverso di catalizzatori-solventiè necessario tuttavia per questa con-versione; essi comprendono, insiemea molti altri, i metalli alcalini e i loronitruri. Il nitruro di boro cubico fuottenuto per la prima volta da Wentorfnel 1956; anch'esso naturalmente haimportantissime applicazioni industriali.

Allo scopo di studiare le proprietà ele caratteristiche dei diamanti (sia-

no essi naturali o sintetici) e del ni-truro di boro cubico, bisogna in pri-mo luogo avere a disposizione una mi-sura quantitativa del grado di durez-za; la scala di Mohs risulta del tutto

Il reticolo cristallino del diamante è costituito da atomi di carbonio distribuiti in unastruttura che si ripete all'infinito. Ogni atomo occupa il centro di un tetraedro regola.re i cui vertici coincidono con i quattro atomi più vicini al primo. I legami che con-nettono gli atomi fra loro sono covalenti; e sono proprio la forza e la natura sim-metrica di questi legami i responsabili dell'estrema durezza del diamante. Il cubointerno al reticolo (in colore) è una cella unitaria del cristallo. In questo disegnola vista del reticolo è quasi parallela a uno dei piani chiamati piani del dodecaedro.

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i valori di 7 e 9, corrispondenti a quel-li della scala di Mohs, e per questo mo-tivo la scala ha preso il nome di sca-la di Mohs-Wooddell. Essa prosegue li-nearmente oltre il valore 9 della scaladi Mohs in modo da piazzare il dia-mante e gli altri materiali molto durinelle giuste posizioni rispetto al restodella scala. La polvere scura di dia-mante sudamericano, una specie parti-colare di diamante, raggiunge così unvalore di durezza nella scala di Mohs--Wooddell pari a 42,5.

La scala di Knoop invece esprime ilgrado di durezza in termini di forza perunità di superficie; agli inizi degli annisessanta J.N. Plendl e Peter J.M. Gie-lisse, che allora lavoravano presso gliAir Force Cambridge Research Labo-ratories, diedero una interpretazionedella durezza in termini di energia dilegame per unità di volume. Per mez-zo degli spettri di assorbimento alla

lunghezza d'onda dell'infrarosso Plendlfu in grado di determinare l'energiadei legami interatomici e il tipo di le-game esistente in diversi materiali.

Plendl e Gielisse quindi si misero allavoro per studiare la relazione che in-tercorre fra l'energia di legame perunità di volume e la durezza così co-me viene misurata sulla scala di Mohs--Wooddell. Le sostanze che essi studia-rono si potevano suddividere in duegruppi principali. Il gruppo A, checomprende tutti i materiali più duri,è costituito fondamentalmente da cri-stalli i cui atomi sono legati l'uno al-l'altro per mezzo di legami covalenti.Le sostanze del gruppo B invece pre-sentano dei legami ionici; un esempiotipico è il cloruro di sodio, un cristal-lo relativamente tenero (durezza Mohspari a 2). Se tracciamo un grafico cheriporta in ascisse l'energia per unitàdi volume e in ordinate il valore del-

la durezza secondo la scala di Mohs--Wooddell, le sostanze dei due grup-pi appaiono disposte su delle linee cheindicano chiaramente quale relazioneesista fra le due grandezze. Nel grup-po A la durezza risulta grosso modoproporzionale all'energia di legame perunità di volume (si veda l'illustrazionein basso nella pagina a fronte).

L'energia di legame non è tuttavia ilsolo fattore determinante agli effettidella durezza; perché un materiale pos-sa essere molto duro i legami fra i suoiatomi non solo devono essere moltoforti ma devono anche possedere unadeguato grado di simmetria spaziale.L'effetto che può avere la mancanza disimmetria è illustrato in modo assaievidente dalle due forme cristalline delcarbonio: diamante e grafite. Nellagrafite gli atomi di carbonio sono di-sposti secondo esagoni che combacia-no formando dei piani di dimensioni

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La grafite, che è identica al diamante come composizione (en•trambi i materiali sono costituiti interamente di carbonio), hauna differente struttura cristallina. Nella grafite gli atomi sonolegati con forza l'uno all'altro soltanto su piani di forma esa-gonale; all'interno di questi piani, in effetti, la grafite risulta

più dura del diamante. I diversi piani sono solo debolmentelegati fra loro e, quindi, il materiale è debole in dimensionimacroscopiche. La grafite è la materia prima per la produzionedei diamanti artificiali e una forma del tutto analoga di nitrurodi boro viene impiegata per ottenere il nitruro di boro cubico.

MATERIALE FORMULA MOHS KNOOP MOHS-WOODDELL

TALCO Mg3S14010(OH)2 1 — 1

SALGEMMA NaCI 2 32 2

CALCITE CaCo3 3 135 3

FLUORITE CaF2 4 163 4

APATITE Ca5F(P0

4)3 5 430 5

FELDSPATO KA1Si308 6 560 6

QUARZO SiO2 7 820 7

TOPAZIO AI2SiO4 8 1340 8

CORINDONE Al20

3 9 2100 9

NITRURO DI BORO CUBICO BN 9+ 4500-4800 19

DIAMANTE C 10 7000 42,5

Le diverse scale della durezza impiegano tre diversi metodi di misurazione. La scaladi Mohs assegna un valore di durezza a ogni sostanza a seconda di dove questa si ponein una specie di •z ordine di scalfittura » legato a 10 minerali assunti come campioni.La scala di Knoop misura lo sforzo richiesto per incidere la sostanza; i valori indica.ti qui sono espressi in chilogrammi al millimetro quadrato. La scala di Mohs-Wooddellmisura la resistenza all'abrasione; nella porzione superiore della scala quest'ultimarisulta più precisa di quella di Mohs. Per quanto riguarda il nitruro di boro cu-bico regna ancora disaccordo fra gli studiosi sul grado di durezza da assegnargli.

/

DIAMANTE

NITRURO DI BORO CUBICO

Al20

3SIO, Mng

Ca5

CaSO4NaC1

250

500 750 1000 1250 1500ENERGIA DI LEGAME PER UNITA DI VOLUME (CHILOCALORIE AL CENTIMETRO CUBO)

La teoria chimica della durezza interpreta questa proprietà come una funzione del-l'energia per unità di volume congelata nei legami esistenti fra gli atomi del cristallo.Quando si traccia questa relazione in forma grafica, si può osservare che i diversi ma-teriali si scindono in due gruppi. I materiali del gruppo B (linea in colore), dei qualinessuno è particolarmente duro, sono caratterizzati dal possedere legami ionici fra iloro atomi. Le sostanze del gruppo A (linea in nero), che comprendono tutti i mate-riali più duri, sono caratterizzate da legami covalenti. All'interno del gruppo A larelazione esistente fra densità di energia di legame e durezza risulta quasi lineare.

inadeguata per compiere tali misure.Mohs era un mineralogista tedesco eintrodusse l'uso della sua scala circanel 1820. Egli impiegò 10 minerali co-me campioni, dopo averli ordinati inordine di durezza. Tutti gli altri ma-teriali possono essere provati sui 10campioni e, secondo l'esito della pro-va, si assegnano a essi le diverse posi-zioni intermedie nella tavola, ma que-sta scala non è in grado di indicarequanto sia dura ogni particolare so-stanza; tutte le misurazioni ottenutecon essa sono di tipo relativo (si vedal'illustrazione in alto a sinistra). Metodipiù moderni hanno rivelato che ognimateriale nella scala di Mohs, fino algrado di durezza 9 (corindone), risul-ta circa 1,2 volte più duro di quelloprecedente. Pertanto la scala risultagrosso modo logaritmica dal grado Ifino al grado 9 di Mohs, intervallo que-sto che comprende tutte le sostanze co-nosciute all'infuori di pochissime. L'in-tervallo compreso fra il grado 9 e ilgrado 10, tuttavia, ricopre un rappor-to di durezza pari circa a 5, il che si-gnifica che il diamante è circa 5 voltepiù duro del corindone.

Le scale di durezza studiate più direcente rendono possibili delle misurequantitative e forniscono un'indicazio-ne più accurata del grado di durezzanei pressi dell'estremità superiore del-la scala di Mohs. La scala di Knoop,adottata nel 1939 dal Bureau of Stand-ards, misura la durezza di un materialepraticando un'incisione sulla sua su-perficie. Dei diamanti « incisori » diforma piramidale vengono pressati con-tro la superficie in prova con forza cre-scente; la durezza si calcola in terminidello sforzo, espresso in chilogrammial millimetro quadrato, richiesto perprodurre una deformazione permanen-te. Su questa scala la durezza delcorindone, per esempio, risulta paria 2100 kg/mm2.

Una scala di durezza relativa che eli-mina alcune delle incongruenze dellascala di Mohs venne ideata nel 1935da Charles E. Wooddell della Carbo-rundum Company. Secondo il meto-do Wooddell un piccolo campione delmateriale in prova viene immerso inun collante resinoso insieme a cam-pioni di altri materiali di durezza co-nosciuta. Tutti i campioni vengonofissati a una quota uniforme e poi ven-gono sottoposti all'azione abrasiva diuna mola per circa due minuti rispet-tando alcune condizioni standard pre-fissale. La perdita di materiale subitada ogni campione viene quindi misura-ta e da queste misure si ricava il rap-porto esistente fra le perdite. Wooddellha tarato la sua scala assegnando alquarzo e al corindone rispettivamente

22

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Le celle unitarie del diamante (a sinistra) e del nitruro di borocubico (a destra) presentano la stessa struttura. Ogni cella ècostituita da un cubo che contiene fino a 18 atomi: uno perogni vertice e uno al centro di ogni faccia e ancora quattro

all'interno. Nel diamante tutti gli atomi sono di carbonio, men-tre nel nitruro di boro cubico gli atomi sono di boro (sferein grigio) e di azoto (sfere in colore). La struttura dell'interocristallo risulta implicita nella struttura di una cella unitaria.

PIANO DEL CUBO

PIANO DELL'OlTAEDRO

PIANO DEL DODECAEDRO

Le facce che si presentano più di frequente su di un cristallodi diamante sono quelle che risultano parallele a uno dei tretipi di piano esistenti nella cella unitaria. I piani del cubo(a sinistra), di cui ne esistono sei, non sono altro che le faccestesse della cella unitaria. I piani dell'ottaedro (al centro n siestendono dalla diagonale di una faccia fino al vertice opposto;con opportune riflessioni speculari e rotazioni dell'immagine si

possono ottenere otto di questi piani. I piani del dodecaedro(a destra) sono i piani diagonali del cubo fondamentale; ce nesono 12. due per ogni possibile orientazione del cubo. Nellaparte inferiore della figura si possono vedere i solidi che siproducono quando il cristallo si sviluppa esclusivamente secondoun tipo di piano; i diamanti veri hanno spesso delle sfaccetta-ture che rappresentano la crescita in ciascuno dei diversi regimi.

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O

notevoli. All'interno di questi piani gliatomi sono legati fra loro con unaforza notevole, conservando una distan-za interatomica pari a 1,42 angstrom;i diversi piani, al contrario, sono ab-bastanza lontani uno dall'altro, man-tenendo una distanza interplanare pa-ri a 3,354 angstrom. (Un angstromequivale a 10 -8 centimetri.) Ogni ato-mo risulta così circondato dai tre ato-mi vicini sul suo piano, ai quali èquindi fortemente legato, mentre ri-sulta molto più debole il legame versogli atomi dei piani adiacenti che sonorelativamente distanti (si veda l'illu-strazione a pagina 23).

Nel diamante invece ogni atomo ècircondato da altri quattro disposti aivertici di un tetraedro regolare; gli ato-mi sono cioè disposti in modo del tut-to simmetrico e risultano perciò tuttiequidistanti, con una distanza nelladirezione del legame pari a 1,544 ang-strom. Nel diamante quindi la distanzainteratomica risulta in effetti lieve-mente maggiore di quella che si ri-scontra sui piani della grafite e l'ener-gia di legame lievemente inferiore;pertanto su questi piani la grafite puòessere considerata come il più durodi tutti i materiali. Tuttavia, per ilfatto che questi piani possono esserefacilmente separati e fatti scivolareuno sull'altro, la grafite presa in di-mensioni macroscopiche risulta piut-tosto tenera. La sua struttura lami-nare la rende particolarmente scivolo-sa e pertanto essa viene spesso im-piegata come lubrificante secco. Il ni-truro di boro in forma grafitica, chepure è costituito da piani debolmentelegati fra loro, presenta delle proprie-tà del tutto simili.

La struttura cristallina del diamanteviene chiamata cubica a diamante; lacella unitaria del cristallo è costituitada un cubo con un atomo in ogni ver-tice e uno al centro di ogni faccia, ein più ancora quattro atomi in quat-tro posizioni diverse all'interno delcubo. La struttura di un cristallo di ni-truro di boro cubico è esattamente lastessa, salvo per il fatto che gli atomidi boro e di azoto si alternano nel re-ticolo (si veda la illustrazione in altonella pagina a fianco). La struttura elet-tronica dei legami nei due cristalli ri-sulta anch'essa molto simile, dato che ilboro (valenza 3) e l'azoto (valenza 5)formano coppie di atomi che si scam-biano otto elettroni di valenza, pro-prio come le coppie di atomi di carbo-nio (valenza 4) nel diamante.

Durante il processo di accrescimentodi un cristallo di diamante o di nitrurodi boro cubico, le facce che si svilup-pano con maggior facilità sono quelledel cubo, cioè quelle che risultano pa-

eN-01

0,2

03

0,4

Una microscopica lesione sulla superficie di un diamante è stata ottenuta intaccandoil cristallo per mezzo di una punta conica pure di diamante che esercitava una pres-sione di circa 140 000 atmosfere. La lesione è stata fatta su una faccia dell'ottaedroe consiste di un singolo perimetro di frattura a forma esagonale. Poiché l'area all'in-terno del perimetro di frattura è ritornata al suo livello originario, dobbiamo ritenereche la lesione sia limitata alla periferia della zona colpita. Per entrambe le figurequi riportate la scala verticale è ingrandita 1000 volte rispetto a quella orizzontale.

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La lesione su una faccia del cubo è costituita da diversi perimetri di fratture ap-prossimativamente quadrati. La pressione necessaria per lesionare questa faccia, circa330 000 atmosfere, è molto più elevata di quella richiesta per danneggiare una facciadell'ottaedro, e casi pure è molto maggiore l'estensione del danno. Si sviluppano in-fatti diversi ordini concentrici di fratture e la depressione della superficie all'interno èpermanente. La scala verticale anche in queste due figure è ingrandita 1000 volte.

24

25

*I', • 3.4.. ;

+4.*•

FACCIA DEL DODECAEDRO FACCIA DELL'OTTAEDRO

La resistenza all'abrasione del diamante dipende dalla facciache si intende attaccare e dalla direzione secondo cui si opera.

Nel gergo dei tagliatori di gemme, ogni faccia è caratterizzata dadirezioni € facili » (frecce in colore) e « dure » (frecce in nero).

Le linee di scorrimento, che sono una prova della deformazione plastica, risultanoben visibili in un campione lucidato di framesite, un tipo particolare di diamante na-turale. Le linee di scorrimento sono diritte, ben marcate e distribuite su tutta la metàdestra del diamante riprodotto in questa microfotografia. Si sono formate quando unaparte del cristallo si è spostata rispetto a un'altra senza tuttavia provocare una frat-tura. Esiste la prova che lo scorrimento plastico nel diamante può verificarsi solo sottosforzi meccanici estremamente elevati e ad alta temperatura; se è così, questo diamantedeve essere stato assoggettato a tali condizioni almeno una volta nel corso della sua storia.

Lo scorrimento plastico riprodotto in laboratorio ha causato le numerosissime lineedi scorrimento che si vedono in questa microfotografia di un piccolo diamante. Questocristallo faceva parte di un gruppo compresso a elevata pressione e a una temperaturadi circa 950 °C. Poiché questo aggregato di diamanti trasmetteva la pressione in mododifforme, in ogni cristallo sorgevano sforzi particolari; in queste condizioni di pres.sione e temperatura gli sforzi hanno prodotto scorrimento plastico piuttosto che rotture.

rallele alle facce della cella unitaria;poi le facce dell'ottaedro, cioè quelleparallele ai piani passanti per la diago-nale di una faccia e per il vertice op-posto della cella unitaria, e le facce deldodecaedro, cioè quelle parallele allediagonali delle facce della cella unitaria(si veda l'illustrazione in basso a pa-gina 24). Come risulta chiaro dal no-me stesso di queste facce, la formadel cristallo che si otterrebbe dalla cre-scita esclusiva in uno di questi tre tipisarebbe rispettivamente quella di uncubo, di un ottaedro e di un dodecae-dro. I diamanti naturali presentanospesso tutti e tre i tipi di facce con-temporaneamente.

Un diamante si spezza più facilmen-te lungo i piani dell'ottaedro. Quan-do un tagliatore di gemme si apprestaa dividere in due un grosso cristallo,deve prima determinare le direzioni deipiani cristallini, quindi posiziona l'u-tensile da taglio in modo che sia esat-tamente parallelo a un piano dell'ot-taedro. L'utensile non « taglia » la pie-tra nello stesso modo in cui un coltel-lo può tagliare il pane: quando vienecolpito con forza, esso provoca unafrattura del cristallo lungo il suo pia-no di minima resistenza.

utensile usato dal tagliatore di pie-tre, fatto di acciaio che a parago-

ne del diamante risulta addirittura te-nero, è in grado di spezzare la gem-ma perché i materiali più duri sonoinevitabilmente fragili. Essi resistonocon forza alle distorsioni, ma quandocedono lo fanno spezzandosi inveceche deformandosi plasticamente. Negliultimi anni molti scienziati si sonodedicati allo studio dei vari fenomeniconnessi con la frattura dei cristalli didiamante, allo scopo di determinare see quando questi ultimi possono defor-marsi plasticamente, nelle diverse cir-costanze.

Quando una punta conica di dia-mante viene premuta contro la super-ficie di un altro diamante, le forze dicompressione risultano più elevate nelpunto di contatto, mentre gli sforzi ditaglio e di tensione sono maggiori nel-l'area tutto intorno. Quando poi la su-perficie viene sollecitata oltre i suoilimiti di elasticità, essa di solito cedemanifestando delle fratture locali o ad-dirittura delle vere e proprie spaccatu-re lungo la traccia dei piani dell'ot-taedro disposti sul perimetro dell'areadi contatto. Le diverse forme assunteda queste lesioni dipendono essenzial-mente da quale faccia del cristallo vieneprovata, ma in ogni caso l'area interes-sata dalla lesione risulta molto picco-la tanto che potrebbe essere definitacome un'ammaccatura microscopica (si

FACCIA DEL CUBO

vedano le illustrazioni a pagina 25).V.R. Howes e il compianto Samuel

Tolansky del Royal Holloway Collegedella Università di Londra hanno pub-blicato i risultati di una vasta serie diesperimenti in tal senso nell'anno 1955.Quando si colpisce una faccia dell'ot-taedro, il perimetro delle fratture chene risultano è esagonale. Se la pressio-ne esercitata sulla punta è appena suf-ficiente a produrre una singola frattu-ra ad anello, l'area all'interno di que-sto perimetro torna elasticamente alsuo livello originario, e l'unico dannopermanente sulla superficie è costitui-to dal rilievo formato dalla frattura tut-to all'intorno. Per produrre questo ti-po di lesione è necessaria una pressio-ne di circa 140 000 atmosfere. Conpressioni più elevate cominciano a svi-lupparsi altri ordini di fratture tutt'in-torno alla prima e l'area di contattocon la punta dopo l'operazione rima-ne. per sempre al di sotto del suo livel-lo originario.

Quando si deforma una faccia delcubo la forma delle fratture risultaapprossimativamente quadrata mentrel'ordine di grandezza dei difetti super-ficiali così originati è notevolmentemaggiore che nel caso precedente. Ènecessaria, tuttavia, una pressione mol-to più elevata (circa 330 000 atmosfere)per arrivare a produrre la prima frat-tura. Pertanto appare evidente che unafaccia del cubo è in grado di resisterealle sollecitazioni esterne molto me-glio di una faccia dell'ottaedro, mentre,una volta che essa cede, i danni subitirisultano molto più gravi. A causa del-la maggiore resistenza che si rileva nel-le direzioni perpendicolari alla facciadel cubo, i cristalli utilizzati come pun-te d'attacco e come incudini vengonoorientati in questa maniera.

Nel 1965 Trevor Evans e R.K. Wilddel J.J. Thomson Physical Labo-

ratory dell'Università di Reading co-

municarono di essere riusciti a ottene-re uno scorrimento plastico all'inter-no di minuscole lastrine di diamante,ma soltanto a elevata temperatura. Lelastrine avevano lo spessore di mezzomillimetro ed eranc tagliate in mododa presentare la faccia del cubo incorrispondenza della superficie più este-sa. Le lastrine erano montate ai loroestremi su due utensili di tungsteno,mentre un terzo utensile, sempre ditungsteno, esercitava una pressionecontraria al centro, in modo da for-zare una flessione della lastrina. Tut-to il complesso veniva sistemato den-tro un forno e immerso in una atmo-sfera non ossidante, poiché alle altetemperature il diamante brucia egre-giamente se si trova in presenza di os-sigeno. La maggior parte dei campionisi spezzava secondo fratture irregolari,specialmente alle temperature più bas-se. A 1800 gradi centigradi, invece, al-cuni campioni si incurvarono in mododefinitivo; lo scorrimento plastico av-veniva lungo i piani dell'ottaedro.

Lo sforzo di taglio richiesto per ot-tenere lo scorrimento plastico dipende-va essenzialmente dalla concentrazionedelle impurità presenti nel cristallo edalla loro distribuzione spaziale. I dia-manti contaminati da una concentrazio-ne relativamente elevata di azoto ve-nivano classificati di tipo I; l'azoto ri-sulta distribuito in « laminette di azo-to » parallele alle facce del cubo. Idiamanti purissimi, con imperfezionistrutturali trascurabili, erano classifi-cati di tipo II. Evans e Wild scopri-rono che i cristalli del tipo II si defor-mavano con scorrimento plastico (nellecondizioni più favorevoli, naturalmen-te) con uno sforzo pari a 50 kg/mm2circa, mentre i diamanti del tipo Iavevano bisogno di uno sforzo pari a80-120 kg/mm2. Sembra assai verosi-mile che queste laminette di azoto pre-senti nei diamanti del tipo I opponga-no delle barriere allo scorrimento de-

gli strati del cristallo lungo i piani del-l'ottaedro.

Un altro tentativo di ottenere defor-mazioni plastiche nel diamante, que-sta volta a temperatura ambiente, fucompiuto nel 1969 da N. Gane e J.M.Cox del Cavendish Laboratory del-l'Università di Cambridge. Due sottiliutensili di diamante, con le rispettiveestremità perpendicolari una all'altra,venivano premuti uno contro l'altro al-l'interno di un microscopio elettronicoa scansione in modo da poter osserva-re con un fortissimo ingrandimento lazona di contatto. Sulle due punte glisforzi di taglio potevano quindi rag-giungere con facilità il limite di resi-stenza teorico del diamante, stimato in-torno ai 12 000 kg/mm2. Quando sipremevano insieme i due campioni, sipoteva osservare una soglia al di sot-to della quale non si rivelava alcuna le-sione nel diamante; quando invece sitentava di superare questa soglia, ilcedimento era improvviso, accompa-gnato dalla formazione di superfici ir-regolari. Gli sforzi di taglio indotti nelcampione a questa soglia da calcoli ese-guiti si sono rivelati dello stesso ordi-ne di grandezza del limite teorico pre-detto.

Gli esperimenti di Evans e Wild e diGane e Cox fanno pensare con un cer-to grado di sicurezza che lo scorrimen-to plastico nel diamante non sia pos-sibile a temperatura ambiente. Biso-gna ricordare, tuttavia, che alcuni ri-cercatori hanno reso noto di aver ot-tenuto dei solchi permanenti ed esentida fratture sulle superfici di un dia-mante, esercitando una certa pressioneper mezzo di un utensile di diamante aforma piramidale quadra. Questi pic-coli solchi, ammesso che vengano for-mati senza provocare fratture dellasuperficie, possono essere consideratiindicativi di un fenomeno di scorri-mento plastico avvenuto a temperatu-ra ambiente.

L

2627

4

10 40 100

400

1000TEMPERATURA (GRADI KELVIN)

La conducibilità termica del diamante è la più elevata fra tutti i materiali conosciutie la proprietà si conserva per un vasto intervallo di temperature. A differenza deiconduttori metallici, come per esempio il rame, il diamante conduce il calore trasmet-tendo il moto di eccitazione vibrazionale attraverso la successione di atomi fissi nellasua struttura cristallina; esso è un conduttore di fononi, i quanti di energia vibrazio-nale. I diamanti del tipo II e quelli sintetici sono migliori conduttori del calore rispet-to a quelli del tipo I, perché questi ultimi contengono impurità che provocano la diffra-zione dei fotoni. I diamanti differiscono dai metalli perché sono ottimi isolanti elettrici.

-DIAMANTE SINTETICO

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RAME

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_DIAMANTE NATURALE

_ (TIPO II)

-DIAMANTE NATURALE

(TIPO I)

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400

04

Alcuni diamanti naturali contengo-no prove evidenti di essere stati, al-meno una volta nella loro esistenza,assoggettati a fenomeni di deforma-zione plastica senza frattura. L'eviden-za del fatto è dimostrata da linee sot-tili, o da irregolarità superficiali pre-senti dove due parti del cristallo sisono spostate una rispetto all'altra.Delle linee sottili si producono ancheogni volta che un insieme di piccolicristalli di diamante viene pressato aelevata temperatura; le pressioni as-sai diverse esercitate sui cristalli adia-centi che premono l'uno contro l'al-tro devono provocare evidentemen-te degli sforzi che, a temperature suf-ficientemente elevate, si esplicano confenomeni diversi di scorrimento pla-stico (si vedano le illustrazioni a pa-gina 26). Robert C. DeVries del Ge-neral Electric Research and Deve-lopment Center ha dimostrato chein queste circostanze la temperaturaminima per ottenere il processo risul-ta di circa 950 gradi centigradi.

Così come gli effetti della percussio-

ne con l'utensile risultano diversi perciascuna delle facce del cristallo di dia-mante, allo stesso modo gli effetti del-l'abrasione dipendono fortemente daquale faccia viene attaccata e inoltredalla direzione secondo la quale si ten-ta la lavorazione. Da lungo tempo itagliatori di diamanti sanno che vi so-no delle direzioni « facili » e delle di-rezioni più « dure »; il materiale puòessere asportato con maggiore facilitàseguendo una delle direzioni facili.E.M. Wilks e John Wilks dell'Univer-sità di Oxford condussero nel 1972una serie di esperimenti per indagaresulle proprietà di resistenza all'abra-sione del diamante nelle diverse orien-tazioni possibili. Essi trovarono che sul-la faccia del cubo le direzioni dure sonoquelle parallele alle diagonali mentrele direzioni facili sono quelle paralleleai lati. Sulla faccia del dodecaedro ledirezioni dure sono quelle parallele al-l'asse maggiore della faccia mentre ledirezioni facili sono quelle paralleleall'asse minore. Sulla faccia dell'ot-taedro le direzioni dure sono quelle pa-

rallele alle linee che congiungono ilcentro di ogni lato con il vertice op-posto, nel verso che va dal lato al ver-tice, mentre le direzioni facili sonoquelle parallele alle stesse linee ma nelverso opposto. Su ogni faccia dell'ot-taedro si trovano quindi tre direzionidure e tre direzioni facili. I due Wilksstudiarono poi anche i casi in cui ilpiano di abrasione era inclinato rispet-to a ciascuna delle facce principali delcristallo; in questi casi la resistenza al-l'abrasione risulta una funzione assaicomplessa legata all'angolo di inclina-zione e al fatto che la lavorazione ven-ga eseguita in un senso oppure nel-l'altro rispetto alla faccia di riferi-mento.

La durezza non è l'unica qualità su-perlativa del diamante; di tutti i

materiali conosciuti dall'uomo il dia-mante è anche il miglior conduttore dicalore. A temperatura ambiente un sin-golo cristallo perfetto di diamante èin grado di condurre il calore più dicinque volte meglio dell'argento o delrame, che sono i migliori conduttorifra i metalli.

Il meccanismo in virtù del quale ildiamante è in grado di condurre il ca-lore risulta affatto diverso da quelloche agisce nei metalli. In un metallo ilcalore viene condotto grazie all'azio-ne degli elettroni liberi che si pro-pagano attraverso il reticolo cristallino.Nel diamante e negli altri materialiextraduri non ci sono elettroni liberie pertanto il calore viene condotto nel-lo stesso modo in cui si propagano leonde sonore attraverso il trasferimen-to di un movimento vibrazionale dauna particella a quella successiva, ecosì via per tutto il cristallo. Questoprocesso risulta di grandissima efficien-za nel diamante per il fatto che le par-ticelle — atomi di carbonio — sono ca-ratterizzate da una massa piuttostomodesta, mentre le forze che leganogli atomi l'uno all'altro sono di note-vole entità, ed entrambi i fatti contri-buiscono a trasmettere il moto di vi-brazione con grande facilità. Si diceche il diamante conduce il calore for-nendo un supporto per i cosiddetti fo-noni, che sono poi i quanti di energiavibrazionale.

Allo scopo di condurre il calore inmodo efficiente con questo meccani-smo il diamante deve essere costituitoda un singolo cristallo, esente da im-perfezioni, discontinuità e variazionidella struttura; gli aggregati di diaman-ti policristallini presentano una con-ducibilità termica molto meno elevata.Fra i diamanti naturali i migliori con-duttori del calore sono i cristalli del ti-po II estremamente puri ma anche mol-

to rari; i diamanti del tipo I hanno unaconducibilità che è circa la metà dellaprecedente per il fatto che le laminettesubmicroscopiche di azoto che essi con-tengono provocano la diffrazione deifononi. L'ideale sarebbe rappresentatoda una struttura completamente re-golare e uniforme. Se solo l'uno percento degli atomi di carbonio presentinel reticolo cristallino sono isotopi dimassa 13 (mentre la maggioranza hamassa 12), la conducibilità si riduce acirca la metà del valore massimo teo-rico. Per la stessa ragione i cristalli co-stituiti da più di un tipo di atomi, co-me per esempio il nitruro di boro, pre-sentano una conducibilità termica mol-to più bassa.

La maggior parte dei buoni condut-tori di calore, come per esempio i me-talli, sono pure ottimi conduttori del-l'elettricità; il diamante si distingueda questi materiali, e dalle altre for-me allotropiche del carbonio, per ilfatto che è un ottimo isolante elettri-co. Questa peculiare combinazione diproprietà diverse ne fa un ottimo sub-strato per il montaggio dei dispositivia semiconduttore. Funzionando comedissipatore di calore il diamante per-mette a piccoli transistori e ad altricomponenti elettronici miniaturizzati difunzionare ad alti livelli di potenzasenza correre il rischio di un surriscal-damento.

Una estensione di questo concettopotrebbe essere quella di realizzare isemiconduttori stessi di diamante. Nelsuo stato naturale il diamante è un iso-lante elettrico per il fatto che tutti glielettroni di valenza sono bloccati dalegami estremamente forti; « drogan-do)> un cristallo di diamante con ato-mi dotati di un elettrone di valenza inpiù o in meno rispetto agli atomi cheessi vanno a sostituire nel reticolo cri-stallino, sarebbe possibile ottenere deidiamanti semiconduttori. Aggiungendouna piccola quantità di azoto, per esem-pio, con cinque elettroni di valenza siotterrebbe un semiconduttore di ti-po n, in cui i portatori di carica sonogli elettroni in eccesso. Il boro, al con-trario, con tre elettroni di valenza,condurrebbe alla formazione di un se-miconduttore di tipo p, in cui la cari-ca elettrica viene trasportata dai « bu-chi » che rappresentano la mancanzadi elettroni. I diamanti drogati col bo-ro sono in effetti dei semiconduttori ditipo p, mentre i diamanti drogati conl'azoto rimangono perfettamente iso-lanti a temperatura ambiente. Eviden-temente gli elettroni in soprannumerointrodotti nel diamante insieme agliatomi di azoto nel processo di droga-tura restano troppo strettamente legatial nucleo, almeno a temperature ordi-

narie, per poter supportare la correntedi conduzione.

Il nitruro di boro cubico può esseretrasformato sia in un semiconduttoredi tipo p sia in uno di tipo n, sempli-cemente facendo crescere il cristallocon un lieve eccesso di boro o di azo-to rispettivamente, oppure drogando ilcristallo già formato con gli elementidesiderati in un processo che si svol-ge a pressione e temperatura elevate.I transistori e gli altri dispositivi elet-tronici realizzati con questi materialidovrebbero funzionare a temperaturemolto più elevate di quelle raggiungi-bili dal germanio e dal silicio. Tutta-via, non si è ancora riusciti a costruir-li, per il fatto che non si riesce a otte-nere un cristallo abbastanza perfettoda poter essere impiegato in questafunzione.

Ano stato attuale delle cose l'appli-cazione potenziale dei materiali

extraduri alla tecnologia dei semicon-duttori riveste assai meno importanzache non l'impiego estremamente diffu-so che se ne fa nell'industria per mo-lare, tagliare, sagomare e lucidare ognisorta di oggetti. In alcuni casi questesostanze durissime sono le uniche ca-paci di eseguire determinate funzioni,come la lavorazione e l'affilatura degliutensili di carburo di tungsteno ce-mentato, esso stesso un materiale du-rissimo. In altri casi i cristalli di dia-mante e simili risultano semplicemen-te più efficienti e possono offrire per-tanto dei vantaggi di ordine economico.Il diamante viene usato assai spesso,per esempio, per tagliare o forare laroccia, il calcestruzzo, la ceramica e ilvetro; allo stesso modo gli utensili diacciaio rapido possono spesso venirlavorati in modo migliore facendo usodi mole contenenti una polvere abra-siva costituita da cristalli di nitruro diboro cubico.

Per operazioni anche diverse dallamolatura l'utilità di questi materiali siè ulteriormente accresciuta con il re-centissimo sviluppo di aggregati ce-mentati o sinterizzati ottenuti da polve-ri finissime di diamante o di nitruro diboro cubico. Tali aggregati presentanole stesse caratteristiche di durezza e diresistenza all'usura proprie del dia-mante ma sono molto più tenaci di unsingolo cristallo di diamante, cioè me-no suscettibili di rotture. Le applica-zioni comprendono utensili da taglioper ogni lavorazione, nuclei per lefiliere e bordi di attacco riportati sul-le punte e sulle seghe per rocce dure.

Durante la lavorazione, gli utensilirealizzati con i materiali extraduri spes-so funzionano meglio a elevate velocitàdi taglio, producendo in tal modo ele-

vate temperature e pressioni nel puntoin cui l'utensile deforma il pezzo inlavorazione. L'utensile taglia produ-cendo una temperatura che è abba-stanza elevata per ammorbidire il pez-zo ma che non ha effetto sull'utensilestesso. Per questo tipo di impiego il ni-truro di boro cubico risulta spesso su-periore al diamante stesso, poiché aelevata temperatura il diamante reagi-sce con l'aria e anche col ferro presen-te nei metalli ferrosi. Il nitruro di bo-ro cubico invece rimane duro e inertefino a circa 800-900 gradi centigradi,che è la temperatura richiesta nellamaggior parte delle lavorazioni.

Gli aggregati di diamante possonoanche essere impiegati negli apparec-chi di laboratorio progettati per pro-durre pressioni estremamente elevate.Per molti anni vennero impiegati deimonocristalli di diamante come incudi-ni di piccoli apparecchi capaci di gene-rare pressioni dell'ordine di 300 000atmosfere. La superficie di lavoro nonè altro che la faccia del cubo del cri-stallo; queste incudini sono dotate dieccellenti qualità di resistenza all'inci-sione, ma purtroppo manifestano unacerta tendenza a spaccarsi in seguito aviolente sollecitazioni. Un aggregato dimolte particelle minuscole di diaman-te orientate in modo casuale e legatefra loro non potrebbe avere piani dirottura preferenziali, e pertanto si po-trebbe pensare che sarebbe in gradodi resistere a degli sforzi medi piùelevati. Attualmente gli aggregati chepresentano le qualità richieste posso-no essere prodotti solo in dimensioniminuscole e solo con certe forme de-terminate, di modo che l'apparecchioche ne facesse uso dovrebbe esserepiuttosto piccolo. Anche con queste li-mitazioni, tuttavia, gli aggregati posso-no rendere possibili esperimenti in cuisi richiedono pressioni altrimenti irrag-giungibili.

Come considerazione finale, ci si po-trebbe domandare se esiste qual-

che possibilità di scoprire o di produr-re artificialmente una sostanza più du-ra del diamante. In linea di principiodobbiamo dire che ciò certamente nonè impossibile; bisogna soltanto trova-re una sostanza in cui gli atomi sianolegati l'un l'altro in modo simmetricocon un'energia di legame per unità divolume superiore a quella degli ato-mi di carbonio nel diamante. Basan-dosi sulle conoscenze attuali non sipuò predire l'esistenza di un materialedi questo tipo e, poiché tutti gli ele-menti della tavola periodica sono giàconosciuti abbastanza bene, la possibi-bilità di fare tale scoperta sembra es-sere in definitiva assai remota.

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