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Il seme e il polline sono alcuni dei fattori di successo delle piante con semi. Il seme (figura 26 ) è una struttura specializzata costituita da un embrione racchiuso all’interno di un rivestimento protettivo e corredato di una riserva nutritiva che permetterà lo sviluppo della nuova piantina. Nelle gimnosperme come nelle angiosperme, il seme rappresenta dunque uno stadio di sopravvivenza ben protetto. Alcune specie di piante producono semi che possono restare vitali per molti anni (anche migliaia) germinando soltanto in condizioni ambientali propizie. Inoltre, molti semi hanno adattamenti strutturali che favoriscono la disseminazione per mezzo del vento o, più spesso, per mezzo di animali. Figura 26. Il seme è un adattamento alla vita sulla terraferma. (A) I semi del soffione, sono piccoli e leggeri, e possono facilmente essere dispersi dal vento. (B) Questi pinoli sono i semi di una pianta di pino: la parte interna commestibile è la riserva nutritiva dell’embrione; il rivestimento legnoso protegge l’embrione dalla disidratazione. Questi semi sono adatti per resistere a lungo nel terreno. Tra le piante con semi, solo i gruppi più antichi possiedono gameti maschili natanti; tutte le altre utilizzano il polline per trasferire sulle parti femminili le cellule che daranno origine ai gameti maschili. Solo dopo che il polline trasportato dal vento o dagli animali ha raggiunto le strutture femminili (impollinazione) ha luogo la fecondazione (figura 27 ). Il punto di arrivo di questa straordinaria tendenza evolutiva è costituito dalla completa indipendenza della riproduzione rispetto all’acqua, che ha rappresentato un enorme vantaggio evolutivo per la diffusione nell’ambiente terrestre delle piante con semi. Figura 27. I granuli pollinici sono i gametofiti maschili delle piante a seme. (A) Il polline di questa betulla si diffonde per mezzo del vento e i granuli pollinici possono cadere in prossimità di un gametofito femminile appartenente allo stesso albero o ad alberi diversi. (B) Il polline di ogni specie differisce per forma e dimensione (questa fotografia al microscopio elettronico è stata colorata artificialmente). Le piante con semi comprendono le gimnosperme e le angiosperme. Le piante con semi, comparse nel tardo periodo Devoniano circa 360 milioni di anni fa, derivarono probabilmente da antiche felci legnose con semi e oggi comprendono due grandi sottodivisioni: le gimnosperme e le angiosperme. Le gimnosperme (figura 28 ) sono le piante il cui seme non è racchiuso in un frutto. Insieme alle felci e ad altre piante senza semi, le gimnosperme formarono le grandi foreste che hanno dominato il paesaggio per più di 200 milioni di anni durante il Mesozoico, contemporaneamente ai dinosauri. Attualmente, il gruppo più vasto delle gimnosperme è costituito dalle conifere, che comprendono pini, abeti, sequoie e molte altre specie con foglie aghiformi e strutture contenenti i semi chiamate coni. Le angiosperme presentano semi contenuti all’interno di un frutto (figura 29 ). I semi delle angiosperme si sviluppano a partire da strutture riproduttive molto complesse, i fiori; per questo motivo esse sono chiamate «piante con fiori». Le angiosperme comparvero circa 140 milioni di anni fa e oggi costituiscono la maggior parte delle piante moderne, con 250000 specie sia arboree sia erbacee (figura 30 ). 5. Le Spermatofite sono piante vascolari dotate di semi. Durante il Devoniano, quando erano già comparsi insetti, ragni, centopiedi e anfibi primitivi, alcune piante cominciarono a proteggere i loro semi entro un involucro e a sviluppare fusti legnosi inspessiti, conquistando così grandi altezze e favorendo la riproduzione. Insieme alla dominanza dello sporofito sul gametofito, queste due novità evolutive si rivelarono vincenti nella conquista degli ambienti terrestri, oggi dominati proprio dalle piante con semi: le gimnosperme e le angiosperme.

5. Le Spermatofite sono piante vascolari dotate di semi. · Il ciclo vitale delle gimnosperme. ... del legno è adibita al trasporto di acqua, mentre il legno più vecchio si irrobustisce

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Il seme e il polline sono alcuni dei fattori di successo delle piante con semi.

Il seme (▶figura 26) è una struttura specializzata

costituita da un embrione racchiuso all’interno di un

rivestimento protettivo e corredato di una riserva

nutritiva che permetterà lo sviluppo della nuova

piantina. Nelle gimnosperme come nelle angiosperme, il

seme rappresenta dunque uno stadio di sopravvivenza

ben protetto. Alcune specie di piante producono semi

che possono restare vitali per molti anni (anche

migliaia) germinando soltanto in condizioni ambientali

propizie. Inoltre, molti semi hanno adattamenti

strutturali che favoriscono la disseminazione per mezzo

del vento o, più spesso, per mezzo di animali.

Figura 26. Il seme è un adattamento alla vita sulla terraferma.

(A) I semi del soffione, sono piccoli e leggeri, e possono

facilmente essere dispersi dal vento.

(B) Questi pinoli sono i semi di una pianta di pino: la parte

interna commestibile è la riserva nutritiva dell’embrione; il

rivestimento legnoso protegge l’embrione dalla disidratazione.

Questi semi sono adatti per resistere a lungo nel terreno.

Tra le piante con semi, solo i gruppi più antichi

possiedono gameti maschili natanti; tutte le altre

utilizzano il polline per trasferire sulle parti femminili

le cellule che daranno origine ai gameti maschili. Solo

dopo che il polline trasportato dal vento o dagli animali

ha raggiunto le strutture femminili (impollinazione) ha

luogo la fecondazione (▶figura 27).

Il punto di arrivo di questa straordinaria tendenza

evolutiva è costituito dalla completa indipendenza della

riproduzione rispetto all’acqua, che ha rappresentato un

enorme vantaggio evolutivo per la diffusione

nell’ambiente terrestre delle piante con semi.

Figura 27. I granuli pollinici sono i gametofiti maschili delle

piante a seme.

(A) Il polline di questa betulla si diffonde per mezzo del vento e

i granuli pollinici possono cadere in prossimità di un gametofito

femminile appartenente allo stesso albero o ad alberi diversi. (B)

Il polline di ogni specie differisce per forma e dimensione

(questa fotografia al microscopio elettronico è stata colorata

artificialmente).

Le piante con semi comprendono le gimnosperme e le angiosperme.

Le piante con semi, comparse nel tardo periodo

Devoniano circa 360 milioni di anni fa, derivarono

probabilmente da antiche felci legnose con semi e oggi

comprendono due grandi sottodivisioni: le

gimnosperme e le angiosperme.

Le gimnosperme (▶figura 28) sono le piante il cui seme

non è racchiuso in un frutto. Insieme alle felci e ad altre

piante senza semi, le gimnosperme formarono le grandi

foreste che hanno dominato il paesaggio per più di 200

milioni di anni durante il Mesozoico,

contemporaneamente ai dinosauri. Attualmente, il

gruppo più vasto delle gimnosperme è costituito

dalle conifere, che comprendono pini, abeti, sequoie e

molte altre specie con foglie aghiformi e strutture

contenenti i semi chiamate coni.

Le angiosperme presentano semi contenuti all’interno di

un frutto (▶figura 29). I semi delle angiosperme si

sviluppano a partire da strutture riproduttive molto

complesse, i fiori; per questo motivo esse sono

chiamate «piante con fiori». Le angiosperme

comparvero circa 140 milioni di anni fa e oggi

costituiscono la maggior parte delle piante moderne,

con 250000 specie sia arboree sia erbacee (▶figura 30).

5. Le Spermatofite sono piante vascolari dotate di semi.

Durante il Devoniano, quando erano già comparsi insetti, ragni, centopiedi e anfibi primitivi, alcune piante cominciarono a

proteggere i loro semi entro un involucro e a sviluppare fusti legnosi inspessiti, conquistando così grandi altezze e favorendo

la riproduzione. Insieme alla dominanza dello sporofito sul gametofito, queste due novità evolutive si rivelarono vincenti

nella conquista degli ambienti terrestri, oggi dominati proprio dalle piante con semi: le gimnosperme e le angiosperme.

Figura 28. Le conifere sono le gimnosperme più diffuse.

Nei climi più freddi le conifere formano estese foreste, come

questa in Siberia.

Figura 29. I semi delle angiosperme.

Diversamente da quelli delle gimnosperme, che sono «nudi», i

semi delle angiosperme sono «protetti» all’interno di un frutto

(come questo avocado).

Figura 30. La diversità delle angiosperme.

Le piante con fiore sono le più diffuse sul pianeta Terra, e

comprendono sia specie erbacee (A) sia specie arboree (B).

Le parole:

Gimnosperma deriva dal greco gymnós, «nudo»,

e spérma, «seme», per indicare che le piante non hanno

i semi protetti da una struttura specifica.

Angiosperma deriva dai termini greci angêion, «vaso», e

da spérma, «seme», sottolineando che i semi delle

piante con fiori sono custoditi in una struttura specifica,

il frutto, che ha origine dall’ovario.

Nelle gimnosperme, i coni producono gli ovuli e gli strobili producono il polline.

Le distese di abeti e cedri dell’America del Nord e quelle

di pini e larici dell’Eurasia sono tra le più vaste

formazioni forestali del mondo. Tutti questi alberi sono

conifere, cioè «portatrici di coni». Un cono (quello che

comunemente chiami pigna, (▶figura 31 A) è un

breve fusto lungo il quale sono inserite fittamente delle

squame legnose, ciascuna delle quali contiene

due ovuli; ogni ovulo è costituito da uno sporangio e da

un rivestimento protettivo.

Uno strobilo è un altro tipo di struttura coniforme più

piccola con squame derivate da foglie modificate

inserite lungo l’asse (▶figura 31 B). Ciascuna squama di

uno strobilo produce numerosi sporangi, ognuno dei

quali origina per meiosi molte spore aploidi; i gametofiti

maschili, o granuli pollinici, si sviluppano dalle spore.

Figura 31. I coni e gli strobili.

(A) Le scaglie dei coni femminili corrispondono a rami

modificati. (B) Le strutture contenenti le spore all’interno degli

strobili (ovvero i coni maschili) corrispondono a foglie

modificate.

Quando gli strobili sono maturi, le squame si aprono e

liberano una nuvola di polline costituita da milioni di

microscopici granuli (a primavera ti sarà capitato di

vedere i parabrezza delle automobili ricoperti da una

polvere giallastra: è il polline delle conifere). La parete

dei granuli pollinici contiene sporopollenina, il

composto biologico chimicamente più resistente che si

conosca, che ha il compito di proteggere il polline dalla

disidratazione e da eventuali danni chimici.

Il ciclo vitale delle gimnosperme.

Per illustrare il ciclo vitale delle gimnosperme ci

riferiamo a un pino (▶figura 32): l’albero è lo sporofito,

mentre il gametofito è ridotto a uno stadio

microscopico che si sviluppa all’interno dei coni.

I granuli di polline, trasportati dal vento, contengono le

cellule da cui si svilupperanno i gameti maschili.

Quando un granulo pollinico raggiunge l’ovulo su un

albero della stessa specie avviene l’impollinazione.

Dopo l’impollinazione, l’ovulo si divide per meiosi e

ciascuna spora aploide incomincia a svilupparsi in un

gametofito femminile. Occorrono mesi perché nei

gametofiti femminili si sviluppino le cellule uovo e nei

granuli di polline si sviluppino le cellule spermatiche.

A questo punto il granulo di polline produce un tubetto

pollinico che si allunga fino a raggiungere la cellula

uovo; le cellule spermatiche percorrono il tubetto, e,

una volta a contatto con la cellula uovo, innescano

la fecondazione.

Il processo dell’impollinazione e della fecondazione

richiede in tutto più di un anno. Dopo la fecondazione,

dallo zigote si sviluppa l’embrione dello sporofito e

l’intero ovulo si trasforma in seme. Il seme (▶figura 26

B) ha un rivestimento legnoso (il tegumento) e contiene

la riserva di cibo per l’embrione (costituita dai resti del

gametofito femminile). I coni dei pini liberano i semi

circa due anni dopo l’impollinazione; i semi cadono a

terra oppure vengono dispersi dal vento o dagli animali

e, quando le condizioni sono favorevoli, germinano (ciò

significa che gli embrioni incominciano a crescere). Alla

fine, dagli embrioni si sviluppano nuovi alberi.

6. Le gimnosperme sono le più antiche piante con semi.

La sottodivisione delle gimnosperme comprende le piante con semi che non producono fiori. Queste piante devono il nome

(che come abbiamo visto significa «a seme nudo») al fatto che i loro semi non sono protetti dal tessuto del frutto.

Attualmente esistono probabilmente meno di 850 specie di gimnosperme, in gran parte conifere; per quanto riguarda la loro

predominanza nell’ambiente terrestre, queste piante sono seconde soltanto alle angiosperme.

Le produzione dei gametofiti maschili sotto forma di

granuli di polline affranca completamente la pianta dalla

presenza di acqua per la riproduzione. L’ovulo è un

adattamento chiave che rappresenta uno strumento di

protezione per tutti gli stadi femminili del ciclo vitale; al

suo interno avvengono l’impollinazione, la

fecondazione e lo sviluppo dell’embrione. L’ovulo che si

trasforma in seme costituisce pertanto uno degli eventi

fondamentali a cui le gimnosperme e le angiosperme

devono il loro successo nella conquista della terraferma.

Nella maggior parte delle conifere l’unico tipo di

protezione dell’ovulo è fornito dalle squame, che sono

fittamente ammassate l’una contro l’altra e inserite

nell’asse del cono; alcune pigne hanno squame così

fitte e dure che soltanto il fuoco è in grado di aprirle e

indurre il rilascio dei semi.

Figura 32. Il ciclo vitale di una conifera.

Nelle conifere come il pino, ma anche in altre gimnosperme, i gametofiti hanno dimensioni microscopiche e dipendono completamente per il

nutrimento dallo sporofito. Nel seme di una gimnosperma sono presenti tessuti di 3 individui appartenenti a 3 diverse generazioni.

Alcune specie di conifere possiedono tessuti morbidi e

carnosi, simili a frutti, che circondano i semi, come le

«bacche» del tasso e del ginepro (▶figura 33); gli

animali possono cibarsi di questi tessuti e quindi

disperdere i semi attraverso le feci, spesso a grandi

distanze dalle piante di origine. Ma le «bacche» del

ginepro e del tasso non sono frutti veri e propri, che

invece sono strutture caratteristiche delle angiosperme.

Si tratta di un caso di analogia nel quale alcune

gimnosperme hanno evoluto una struttura che

superficialmente assomiglia a un frutto e svolge la

stessa funzione, ma che, studiata con attenzione, rivela

un’origine del tutto differente e indipendente.

Figura 33. Alcune gimnosperme possiedono strutture simili a

frutti.

Le bacche del ginepro rivestono i semi e servono a favorire la

loro dispersione, attirando gli animali che se ne nutrono. Queste

«pseudobacche», che si formano a partire da quattro squame

dello strobilo, non sono tuttavia veri frutti.

La presenza di tronchi legnosi ha permesso alle piante con semi di svilupparsi molto in altezza.

Le più antiche piante con semi producevano già il legno,

cioè unoxilema inspessito (▶figura 34), che permetteva

il sostegno per uno sviluppo in altezza maggiore

rispetto a quello di altre piante. La porzione più recente

del legno è adibita al trasporto di acqua, mentre il legno

più vecchio si irrobustisce con resina e altri materiali

per il sostegno, anche se non è più funzionale per la

conduzione.

Tuttavia, non tutte le piante con semi

sono legnose (cioè dotate di xilema): nel corso

dell’evoluzione molte di esse, dette erbacee, hanno

«perso» questo genere di accrescimento e quindi non

possono crescere molto in altezza, ma nonostante

questo sono riuscite a conquistare una vastissima

gamma di ambienti.

Figura 34. Gli anelli del legno.

Quando un albero viene tagliato, osservando la sezione del

tronco si notano degli anelli concentrici, che rappresentano

degli indicatori dell’età della pianta: ogni anello corrisponde a

un anno di vita.

Le gimnosperme attuali sono classificate in quattro classi: cicadine, ginkgofite, gnetofite e coniferofite.

Nonostante si conoscano poco meno di 850 specie

viventi, ancora oggi il gruppo delle gimnosperme

domina in alcune fasce climatiche terrestri, secondo

solo alle angiosperme. I rappresentanti delle quattro

classi odierne di gimnosperme non si somigliano molto

nell’aspetto. Esse sono:

Le cicadine (Cycadophyta), di cui sono note 140 specie,

sono piante tropicali e subtropicali simili a palme, alte

fino 20 m (▶figura 35); probabilmente si tratta del

gruppo più antico tra le gimnosperme esistenti. I loro

tessuti sono spesso fortemente tossici per l’uomo.

Figura 35. Le cicadine.

Molte cicadine possiedono una forma simile a quella delle felci e

delle palme, sebbene non siano strettamente imparentate con

nessuno di questi due gruppi.

Le ginkgofite (Ginkgophyta), assai comuni nell’era

Mesozoica, sono oggi rappresentate da un

unico genere con una sola specie, Ginkgo biloba, detta

anche albero dei ventagli (▶figura 36). Questa specie è

a sessi separati, con alberi maschili e alberi femminili.

Figura 36. Le ginkgofite.

Il caratteristico aspetto della pianta di Ginkgo biloba, delle sue

larghe foglie bilobate e il rivestimento carnoso del seme.

Le gnetofite (Gnetophyta) comprendono circa 90 specie

raccolte in tre generi molto diversi tra loro e che

condividono alcune caratteristiche con le

angiosperme. Welwitschia (▶figura 37), una gnetofita, è

una longeva pianta del deserto con foglie sfilacciate che

si allungano sulla sabbia raggiungendo anche i 3 m.

Figura 37. Le gnetofite.

Una Welwitschia mirabilis che cresce nel deserto della Namibia,

in Africa; queste piante possono vivere fino a 2000 anni. Le

foglie nastriformi si accrescono per tutta la vita e le loro

estremità si lacerano e si rompono progressivamente.

Le conifere (Coniferophyta) sono di gran lunga le

gimnosperme più abbondanti e diffuse, con circa 600

specie di piante che comprendono pini, abeti, larici,

cedri, cipressi, ginepri, tassi e sequoie (▶figura 38).

Esse sono tra le piante più grandi e longeve del pianeta

e formano foreste che coprono le regioni settentrionali e le

aree montane del pianeta e sono quindi fra le più imponenti

formazioni vegetali. Il loro nome significa portatrici di coni

(o strobili, cioè strutture assili recanti sporofilli). Tutte le

conifere sono eterosporee e gli sporofilli si trovano in coni

maschili e femminili separati e morfologicamente diversi,

che si formano all'apice dei rami. La maggior parte sono

piante sempreverdi, dotate di foglie aghiformi o ridotte a

piccole squame.

Figura 38. La diversità tra le gimnosperme.

Le conifere, come il pino (in alto) o il cedro in basso), sono le

piante dominanti in molte foreste attuali.

Il fiore è la caratteristica principale delle angiosperme.

I fiori delle angiosperme sono i loro organi sessuali.

Tutti i tipi di fiore, dal tulipano alla margherita, hanno

organi maschili e femminili, e sono il luogo in cui

avvengono l’impollinazione e la fecondazione; da questi

organi si originano i frutti che contengono i semi.

Tutte le parti che puoi osservare in un fiore sono di

fatto foglie modificate; la rappresentazione ideale di un

fiore (di cui non esiste in realtà l’esatta copia in natura)

è illustrata nella ▶figura 39.

Figura 39. Schema generale di un fiore.

Le strutture necessarie alle funzioni riproduttive delle

angiosperme sono gli stami e un pistillo; i fiori che possiedono

entrambe queste strutture vengono detti perfetti.

L'organo riproduttivo delle angiosperme è il fiore, una

particolare forma di strobilo. Esso è costituito da diversi

involucri fiorali i cui elementi sono disposti ad anello

intorno a un ricettacolo centrale (talamo) che nella

maggior parte dei casi sono:

K = CALICE (sepali)

C = COROLLA (petali)

A = ANDROCEO (stami)

G = GINECEO (carpelli)

Gli involucri più esterni formano il perianzio costituito

da un certo numero di foglie specializzate sterili, ovvero

non recanti spore. Il perianzio è spesso suddiviso in due

involucri: uno più esterno, il calice, formato da elementi

detti sepali ed uno più interno, la corolla, formata da

elementi detti petali. La corolla e il calice svolgono

spesso un ruolo fondamentale nell'attrarre verso il fiore

gli animali impollinatori.

In alcune piante il perianzio non è differenziato e gli

elementi che lo costituiscono sono definiti tepali. In altri

casi ancora, sia i petali che i sepali, oppure i tepali,

possono risultare completamente assenti. (▶figura 40).

Figura 40. I fiori hanno forme diverse.

(A) Il fiore di magnolia presenta numerosi tepali. (B) Nel fiore di

orchidea gli elementi si fondono formando una struttura

completamente diversa.

Gli involucri più interni sono invece formati da foglioline

modificate che portano gli sporangi e possono essere

quindi considerate sporofilli.

L’androceo è costituito da elementi detti stami, gli

sporofilli che portano i microsporangi.

Ogni stame è composto da un filamento che termina

con una duplice antera, ciascuna contenente

microsporangi nei quali viene prodotto il polline.

6. Le angiosperme sono le più piante più recenti.

Le più antiche testimonianze della presenza di angiosperme risalgono al periodo Cretaceo, circa 140 milioni di anni fa.

Questo gruppo di piante ha conosciuto una vera e propria radiazione adattativa di tipo esplosivo e, nel corso di «soli» 60

milioni di anni, è divenuto dominante tra tutte le forme di vegetazione terrestre, con oltre 250 000 specie odierne. Il

gametofito femminile delle angiosperme è ancora più ridotto di quello delle gimnosperme, tanto da essere costituito di solito

da sole sette cellule; il gametofito maschile, poi, è formato da due soli nuclei, all’interno di un’unica cellula.

Le piante con fiore rappresentano dunque l’estremo della tendenza evolutiva che ha caratterizzato le piante vascolari, con la

generazione sporofitica che diventa sempre più consistente e indipendente dal gametofito e la generazione gametofitica che

diventa sempre più piccola e più dipendente dallo sporofito.

Il gineceo è costituito da elementi detti carpelli, gli

sporofilli che recano i megasporangi. Dalla

trasformazione di uno o più carpelli si forma invece il

pistillo, nella cui parte basale, definita ovario, si trovano

gli ovuli. Nel pistillo si può inoltre riconoscere una parte

più allungata o stilo, la cui superficie distale, destinata a

ricevere il polline, prende il nome di stigma.

Un fiore che possiede tutti gli involucri fiorali è detto

completo, mentre uno che non li possiede tutti è detto

incompleto. Se un fiore produce sia megasporangi che

microsporangi, viene definito perfetto, viceversa, un

fiore che produce sporangi di un solo tipo è detto

imperfetto.

Molte angiosperme producono infatti due diversi tipi di

fiore, uno contenente soltanto megasporangi e l'altro

microsporangi. In questi fiori, di conseguenza, gli stami

o i carpelli non sono funzionanti, oppure mancano del

tutto.

Le specie in cui sono presenti sulla stessa pianta sia

fiori maschili che femminili vengono definite monoiche,

mentre quelle in cui i fiori maschili e femminili si

formano su piante diverse vengono dette dioiche; in

quest'ultimo caso esistono cioè piante femminili e

piante maschili.

Ogni specie è caratterizzata da una formula fiorale, la

quale indica quali sono gli involucri che costituiscono il

fiore e quanti sono gli elementi che li costituiscono.

Ad esempio, la formula fiorale K5C5A10G1, indica che il

fiore di una data specie è formato da un calice che

possiede 5 sepali, una corolla che possiede 5 petali, un

androceo che possiede 10 stami e un gineceo che

possiede un solo carpello.

Per quanto riguarda la disposizione, i fiori si possono

presentare singolarmente oppure essere raggruppati a

formare un’infiorescenza, per esempio l’ombrella delle

ombrellifere (la famiglia che comprende la carota e il

prezzemolo), i capolini delle asteracee (la famiglia

delle margherite e del girasole) e le spighe di molte

graminacee (▶figura 41).

Figura 41. Le infiorescenze.

(A) L’infiorescenza del dauco (un membro della famiglia delle

ombrellifere) è un’ombrella composta, formata da fiori sorretti

da steli che si originano in un punto centrale comune. (B) I

girasoli appartengono alla famiglia delle asteracee (o

composite). Nel capolino, ciascuna struttura allungata, simile a

un petalo, è in realtà un fiore, mentre la porzione centrale è

formata da dozzine o centinaia di altri fiori. (C) Le piante

erbacee come queste formano infiorescenze definite spighe.

Evoluzione del fiore.

I botanici manifestano tuttora opinioni contrastanti su

quale sia il tipo di fiore evolutivamente più primitivo. È

comunque ormai certo che i primi fiori possedevano

numerosi tepali (o sepali e petali), carpelli e stami, tutti

disposti a spirale intorno alla parte centrale.

Nel corso dell'evoluzione, questa struttura di base si è

poi modificata e a seconda dei casi si è verificata una

differenziazione dei petali dai sepali, la formazione di

un numero fisso di organi, la loro disposizione ad

anello o, infine, il passaggio da una simmetria radiale

(come quella dei gigli) in cui esistono molti piani di

simmetria che dividono il fiore in due parti equivalenti,

a una simmetria bilaterale (come quella dei fiori del

pisello o delle orchidee) in cui esiste un solo piano di

simmetria che divide il fiore in due parti che sono l’una

l’immagine speculare dell’altra. In molti casi la

simmetria bilaterale è accompagnata spesso da estese

fusioni fra le varie parti.

I primi carpelli rappresentavano sicuramente foglie

modificate e apparivano come sporofilli piegati ma non

completamente chiusi, di una forma intermedia tra

quella tipica delle gimnosperme e quella delle attuali

angiosperme. Successivamente, i carpelli si sono fusi e

sono stati progressivamente inglobati all'interno del

ricettacolo. Nei fiori delle angiosperme, evolutisi più

recentemente, le altre parti fiorali risultano disposte

all'estremo apicale dell'ovario piuttosto che alla base.

Anche gli stami dei primitivi fiori dovevano possedere

una struttura a forma di foglia, ed essere quindi

piuttosto diversi da quelli schematizzati in un ipotetico

fiore. In molti fiori attuali il pistillo presenta uno stilo di

forma allungata e anche le antere sono situate all'apice

di lunghi filamenti. L'allungamento di queste strutture è

stato probabilmente favorito dalla selezione naturale,

poiché esso aumenta la probabilità di impollinazione. La

presenza di lunghi peduncoli rende infatti più agevole il

contatto delle antere con il corpo degli insetti

impollinatori o, nel caso di impollinazione anemofila,

espone più efficacemente tali strutture all'azione del

vento. Argomentazioni simili valgono con ogni

probabilità anche per spiegare lo sviluppo di uno stilo di

forma allungata.

Recentemente, tuttavia, è stata proposta una teoria

alternativa, che interpreta l'allungamento dello stilo in

termini di selezione sessuale. Secondo quest'ipotesi,

l'allungamento dello stilo permetterebbe alla pianta

femminile di selezionare quei granuli pollinici in cui si è

realizzato un maggiore allungamento del tubetto

pollinico, e ciò come indizio di un patrimonio genetico

maschile con caratteristiche complessivamente

«migliori».

Le parole:

Petalo deriva dal greco petannýnai, «aprire»,

mentre sepalo è stato coniato sullo stesso modello,

derivandolo dal latino saepes, «recinto». Il senso è che i

sepali fanno da recinzione all’ingresso nel fiore,

segnato dai petali.

Monóico e dióico derivano dal greco oikós, «casa» (da

cui derivano anche ecologia ed economia), con i

suffissi mono- e di-, nel senso di fiori che ospitano uno

o due apparati sessuali.

Carpello deriva dal termine greco karpós, «frutto», e

infatti indica una o più foglie modificate che

proteggono il frutto.

Le angiosperme si sono coevolute con i loro impollinatori.

Mentre molte gimnosperme sono impollinate grazie al

vento (impollinazione anemofila), che trasporta

«nuvole» di granuli di polline, la maggior parte

delle angiosperme è impollinata da animali

(impollinazione zoofila). Moltissimi fiori favoriscono la

visita degli impollinatori offrendo loro del cibo,

il nettare zuccherino (ma anche i granuli di polline

stessi possono essere ricercati come nutrimento dagli

animali), spesso attirandoli con un particolare profumo.

Durante la visita, gli animali si imbrattano di polline,

che trasportano di fiore in fiore e di pianta in pianta,

favorendo in modo attivo l’aumento della varietà

genetica delle popolazioni vegetali. Gli animali

impollinatori più importanti sono senza dubbio gli

insetti, in particolare le api (▶figura 42 A); anche alcuni

uccelli, come i colibrì (▶figura 42 B) e certi pipistrelli

svolgono questo ruolo benefico.

Figura 42. L’impollinazione zoofila.

Molte specie di angiosperme si affidano agli animali per la

dispersione del polline.

Nell’ambiente terrestre le angiosperme e i loro

impollinatori si sono evoluti plasmandosi a vicenda per

oltre 130 milioni di anni, un processo

chiamato coevoluzione: gli animali hanno influenzato

l’evoluzione delle piante e le piante hanno influenzato

l’evoluzione dei loro impollinatori. Solo così, con questo

tipo di pressione adattativa reciproca, si può spiegare

l’incredibile diversità e specificità che si osserva tra fiori

e animali impollinatori. Per esempio, alcune specie

di Yucca (il genere cui appartiene il tronchetto della

felicità, comune pianta d’appartamento) in natura sono

impollinate da un’unica specie di falena (una farfalla

notturna). Un’impollinazione di questo tipo, affidata a

poche specie o addirittura soltanto a una specie

animale, fornisce alla pianta un meccanismo perfetto

per il trasferimento di polline da un individuo all’altro

(anche se la rende vulnerabile in caso di diminuzione o

scomparsa dei suoi impollinatori specialisti).

La maggior parte delle interazioni pianta-impollinatore

è tuttavia molto meno specifica: infatti la stessa specie

di angiosperma viene di solito impollinata da molte

specie animali, e lo stesso impollinatore funge da

veicolo di polline per molte piante diverse.

I fiori impollinati dagli uccelli sono spesso di colore

rosso e privi di odore, mentre quelli visitati da insetti

hanno odori caratteristici; addirittura, molti fiori

impollinati dalle api hanno disegni peculiari sui petali,

segnati da vere e proprie «piste di atterraggio», le

cosiddette «guide del nettare», che si rendono evidenti

solo nella regione ultravioletta dello spettro della luce,

proprio quella in cui le api vedono meglio.

Le caratteristiche del ciclo vitale delle angiosperme.

Come abbiamo appena visto, le principali caratteristiche

delle angiosperme si possono sintetizzare in cinque

punti principali:

1. doppia fecondazione;

2. produzione di endosperma;

3. ovuli e semi racchiusi in un carpello;

4. presenza di fiori;

5. presenza di frutti.

Nelle angiosperme, l’impollinazione consiste nell’arrivo

di un granulo di polline all’interno di un fiore; questo è

soltanto il primo dei tre eventi che porteranno alla

formazione di un seme. Seguono quindi la formazione

del tubetto pollinico (▶figura 43) la successiva

fecondazione, che ha la peculiarità di essere «doppia».

Figura 43. I tubetti pollinici iniziano a svilupparsi.

Questi granuli pollinici hanno raggiunto strutture a forma di

dito presenti sullo stigma di un fiore di Arabidopsis, e i loro

tubetti pollinici sono penetrati al suo interno.

Nella doppia fecondazione, infatti, sono coinvolti

ambedue i nuclei spermatici del granulo pollinico: uno

di essi si fonde con la cellula uovo, formando lo zigote

diploide (2n) (questa è una normale fusione tra due

nuclei n), mentre l’altro si fonde con due nuclei aploidi

del gametofito femminile, detti nuclei polari, formando

un nucleo triploide (3n) (questa è una fusione tripla tra

due nuclei n femminili ed un nucleo n maschile).

Lo zigote si divide mitoticamente per dare origine

all’embrione dello sporofito. Il nucleo triploide, invece,

dividendosi per mitosi dà origine a un tessuto a sua

volta triploide, l’endosperma, che ha il compito di

nutrire lo sporofito in embrione nel corso dei primi

stadi dello sviluppo (▶figura 44).

Figura 44. Il ciclo vitale di un’angiosperma.

La formazione di un endosperma triploide distingue il ciclo delle angiosperme da quello delle gimnosperme. Nel seme di una angiosperma sono

presenti tessuti di 4 individui appartenenti a 3 diverse generazioni.

Le angiosperme producono frutti, che contengono i semi.

Dopo la fecondazione, l’ovario di un fiore insieme

ai semi che contiene è destinato a trasformarsi in

un frutto. Questa struttura non soltanto protegge i semi

ma può anche favorirne la dispersione attirando animali

che se ne nutrono o su cui resta impigliata. Un frutto

può derivare soltanto dall’ovario maturo insieme ai suoi

semi oppure comprendere altre parti del fiore o

strutture associate ad esso.

Un frutto semplice, come per esempio una ciliegia

(▶figura 45 A), deriva da un carpello singolo o da

diversi carpelli riuniti; il lampone è invece un esempio

di frutto aggregato, o composto (▶figura 45 B), che si

sviluppa cioè da numerosi carpelli separati di un singolo

fiore; gli ananas e i fichi sono esempi di frutti

multipli (▶figura 45 C), formati a partire da

un’infiorescenza. I frutti derivati da parti diverse dal

carpello e dai semi sono chiamati falsi frutti (▶figura 45

D); sono esempi di questo tipo di frutto le mele, le pere

e le fragole.

Il processo mediante il quale i semi vengono dispersi,

fino a raggiungere un ambiente adatto alla

germinazione, è chiamato disseminazione.

In molte piante questo significa semplicemente la

caduta per gravità del frutto e la sua successiva

disgregazione, ma in altri casi può essere anche più

complessa. Come abbiamo già visto nel caso

dell’impollinazione, possono essere coinvolti agenti di

dispersione come il vento (chiamato

trasporto anemocoro), che porta il frutto lontano dalla

pianta madre grazie alle sue caratteristiche

aerodinamiche (vedi ▶figura 26 A).

Nel trasporto zoocoro invece vengono utilizzati gli

animali, come per esempio se i frutti sono spinosi e si

agganciano al pelo dei mammiferi, oppure se i frutti

sono carnosi e vengono ingeriti da animali che ne

disperdono i semi. Addirittura, i semi di alcune specie

per poter germinare devono prima entrare in contatto

con i succhi gastrici di un animale. Infine, quando il

mezzo di disseminazione è l’acqua si parla di

trasporto idrocoro; un esempio particolare è la noce di

cocco, che può galleggiare ed essere trasportata per

chilometri dalle correnti marine.

Le parole:

Frutto è un termine che in botanica indica tutto ciò che

deriva dai carpelli o, in senso più ampio, da una parte

del fiore. Pertanto sono frutti anche diversi ortaggi,

come i pomodori o i peperoni.

Figura 45. I frutti possiedono forme, colori, profumi e sapori diversi.

(A) La ciliega è un frutto semplice. (B) Il lampone è un frutto composto. (C) Un frutto multiplo, l’ananas, e (D) un falso frutto, la fragola.

Il successo evolutivo delle angiosperme.

Le angiosperme sono le piante più diffuse sulla Terra da

più di 100 milioni di anni. Attualmente se ne conoscono

circa 250 000 specie; la maggior parte del nostro cibo

deriva però dai prodotti di poche centinaia di specie: le

radici (carote e barbabietole), i frutti (mele, uva, noci,

lamponi e zucche), i semi delle leguminose (piselli e

fagioli), oppure i semi dei cereali come il riso, il grano e

il mais.

I botanici suddividono le angiosperme in due gruppi, le

monocotiledoni e le dicotiledoni (▶figura 46). I nomi

«monocotiledone» e «dicotiledone» si riferiscono alle

prime foglie che compaiono nell’embrione della pianta:

queste foglioline embrionali sono chiamate cotiledoni.

L’embrione delle monocotiledoni possiede una foglia

sola, mentre quello delle dicotiledoni ne ha due.

Le monocotiledoni comprendono circa 65 000 specie

tra cui le orchidee, i bambù, le palme, i gigli, ma anche i

cereali e altre piante erbacee (▶figura 47); il cotiledone

singolo è visibile all’interno del seme. Anche le foglie, i

fusti, i fiori e le radici delle monocotiledoni hanno delle

caratteristiche particolari: nella maggior parte delle

monocotiledoni, le foglie presentano nervature parallele

e i tessuti vascolari all’interno del fusto (che trasportano

l’acqua e le sostanze nutritive) sono organizzati in fasci

con una disposizione sparsa; i petali e gli altri elementi

del fiore sono tre o multipli di tre.

La maggior parte delle angiosperme è però costituita

da dicotiledoni. Sono dicotiledoni gran parte degli

arbusti e degli alberi, nonché la maggior parte delle

piante ornamentali e molte piante di uso alimentare

(▶figura 48). Le foglie delle dicotiledoni possiedono una

rete ramificata di nervature e gli steli presentano

dei fasci vascolari che, in sezione trasversale, sono

disposti a formare un anello periferico; i petali e le altre

parti del fiore di solito sono quattro o cinque, oppure

multipli di essi.

Figura 46. Monocotiledoni e dicotiledoni a confronto.

La presenza di un solo cotiledone è uno dei caratteri che distinguono le monocotiledoni dalle altre angiosperme.

Figura 47. Le monocotiledoni.

(A) Le palme sono fra le poche monocotiledoni arboree. (B) Molte piante erbacee, come il grano, sono monocotiledoni. (C) Le monocotiledoni

includono inoltre alcuni comuni fiori da giardino, come questi gigli.

Figura 48. Le dicotiledoni.

(A) La famiglia delle cactacee costituisce un grande gruppo di dicotiledoni, con circa 1500 specie soltanto nelle Americhe. (B) Le rose

rampicanti sono dicotiledoni che appartengono alla famiglia delle rosacee, così come le rose coltivate.

Gli organi delle angiosperme formano un sistema aereo e un sistema radicale

Le angiosperme possiedono tre tipi di

organi vegetativi (ossia non coinvolti nella

riproduzione): le radici, i fusti e le foglie. Tutti gli organi

sono organizzati a formare due apparati ben distinti:

il sistema aereo e il sistema radicale. I piani strutturali

fondamentali di una monocotiledone e di una

dicotiledone tipica sono illustrati nella ▶figura 49:

Il sistema aereo di una pianta è formato dai fusti,

dalle foglie e dai fiori. In linea generale,

le foglie costituiscono gli organi principali adibiti

alla fotosintesi. I fusti sostengono le foglie, le

espongono alla luce del Sole e forniscono le vie per

il trasporto dei materiali tra le radici e le foglie.

I nodi corrispondono ai punti di inserimento delle

foglie sul fusto, mentre le zone del fusto tra nodi

successivi vengono definite internodi.

Il sistema radicale àncora la pianta al terreno e

fornisce nutrimento al corpo vegetale. L’estrema

ramificazione delle radici e il loro elevato rapporto

superficie/volume permettono di assorbire l’acqua

e i nutrienti dal terreno.

Figura 49. Gli organi e gli apparati vegetativi.

La struttura corporea di base e i principali organi vegetativi

delle monocotiledoni e delle dicotiledoni.

Dal fusto hanno origine le gemme e i fiori.

La funzione principale del fusto è quella di portare in

alto gli organi riproduttivi (i fiori) e quelli fotosintetici

(foglie). A differenza delle radici, il fusto porta gemme

di vario tipo: una gemma è un germoglio allo stato

embrionale. In corrispondenza dei nodi si sviluppano le

foglie e dove la foglia si inserisce sul fusto si trova

una gemma ascellare (vedi ▶figura 49). Quando la

gemma si attiva, può svilupparsi in un nuovo ramo o in

un’estensione del sistema aereo.

All’apice di ogni fusto o ramo di trova una gemma

apicale, che produce le cellule responsabili

dell’accrescimento in altezza o in larghezza e dello

sviluppo del fusto.

Le angiosperme presentano sistemi conduttori articolati.

Un’altra caratteristica delle angiosperme è la presenza

di sistemi conduttori articolati: lo xilema infatti

possiede speciali cellule conduttrici

chiamate trachee o elementi dei vasi (▶figura 50 A), di

ampio diametro e connesse tra loro, che formano lunghi

condotti senza interruzioni; l’altra cellula tipica dello

xilema delle angiosperme è la fibra, che svolge un ruolo

fondamentale nel sostegno. Il floema delle piante con

fiori è costituito da particolari tipi di cellule

chiamate tubi cribrosi (▶figura 50 B).

Figura 50. La conduzione nelle angiosperme.

(A) Elementi tracheali nel fusto di una pianta di zucca: le pareti

sono colorate in rosso (si noti il diverso tipo di inspessimento

ad anello e spirale). (B) Elementi dei tubi cribrosi, adibiti alla

conduzione delle sostanze nutritive nel fusto di una pianta di

cetriolo. (C) Floema e xilema sono organizzati in fasci, come si

vede in questa sezione di fusto.

Le foglie sono gli organi specializzati nella fotosintesi.

Le foglie sono responsabili di quasi tutta la fotosintesi

effettuata dalla pianta, che produce molecole organiche

ricche di energia e libera ossigeno gassoso.

In quanto organi fotosintetici, le foglie sono molto

efficienti nel catturare la luce. La lamina fogliare è una

struttura sottile, che si inserisce sul fusto per mezzo di

un peduncolo definito picciolo; lungo i fusti, le foglie

sono orientate in modo da rendere massima la quantità

di luce assorbita per la fotosintesi.

La maggior parte delle foglie presenta due zone di

tessuto fotosintetico, indicate complessivamente

come mesofillo (▶figura 51 A).

All’interno del mesofillo si trovano inoltre ampi spazi

vuoti, attraverso i quali il diossido di carbonio può

diffondere per essere assorbito dalle cellule coinvolte

nella fotosintesi. A livello della foglia il tessuto

vascolare si ramifica notevolmente e forma una fitta rete

di nervature (▶figura 51 B), garantendo alle cellule del

mesofillo un continuo apporto di acqua e di minerali.

Attraverso le nervature, inoltre, i prodotti della

fotosintesi vengono immessi nel floema per essere

trasportati al resto della pianta.

L’intera foglia è rivestita, su entrambe le superfici, da

uno strato di cellule non coinvolte nei processi

fotosintetici e che costituiscono l’epidermide. Per

ridurre le perdite d’acqua, queste cellule sono rivestite

da una cuticola cerosa impermeabile all’acqua.

Figura 51. La struttura della foglia.

(A) Questa rappresentazione schematica tridimensionale

corrisponde a una sezione di una foglia. (B) Il reticolo di sottili

nervature in questa foglia di acero trasporta l’acqua al mesofillo

e i prodotti della fotosintesi dalla foglia alle altre parti della

pianta.

Gli stomi regolano gli scambi di gassosi tra la pianta e l’ambiente.

Le piante hanno evoluto un elegante compromesso tra

le opposte esigenze di trattenere acqua per prevenire la

disidratazione e di procurarsi il CO2 necessario alla

fotosintesi grazie agli stomi, pori presenti

sull’epidermide delle foglie.

Una coppia di cellule epidermiche specializzate,

chiamate cellule di guardia, controlla l’apertura e

chiusura di ogni stoma (▶figura 52). Quando gli stomi

sono aperti, il CO2 (reagente della fotosintesi) può

entrare nella cellula per diffusione, ma

contemporaneamente attraverso la stessa via viene

perso vapore acqueo. D’altra parte, la chiusura degli

stomi previene la perdita di acqua ma rende anche

impossibile l’ingresso di CO2 nella foglia.

La maggior parte delle piante apre gli stomi solo

quando l’intensità della luce è sufficiente a mantenere

un’adeguata velocità di fotosintesi. Di notte, quando

l’oscurità inibisce questo processo, gli stomi rimangono

quindi chiusi; in queste condizioni non c’è bisogno di

CO2 e quindi si conserva l’acqua. Anche durante il

giorno gli stomi si chiudono se la pianta sta perdendo

acqua a una velocità troppo elevata.

Figura 52. Gli stomi.

(A) Fotografia al microscopio elettronico a scansione di uno

stoma aperto delimitato da due cellule di guardia a forma di

salsiccia. (B) Meccanismo di apertura e chiusura degli stomi.

Le parole:

Stoma in greco significa «bocca», qui inteso nel senso

più ampio di «aperturta».

Le radici hanno funzione di ancoraggio al substrato e di assorbimento di acqua e minerali.

Nella maggior parte delle piante, l’acqua e i minerali

entrano attraverso ilsistema radicale, che è collocato nel

terreno (dove la luce non penetra); per questo motivo le

radici sono tipicamente prive di capacità fotosintetica.

Esistono principalmente due tipi di sistemi radicali.

Molte dicotiledoni possiedono un sistema radicale a

fittone: una singola grande radice primaria si accresce

in profondità nel terreno ed è accompagnata da radici

laterali meno pronunciate. Il fittone stesso svolge

spesso le funzioni di organo di riserva delle sostanze

nutritive, come accade nella carota (▶figura 53 A).

Le monocotiledoni e alcune dicotiledoni possiedono

invece un sistema radicale fascicolato, costituito da

filamenti che si propagano orizzontalmente

ramificandosi sotto la superficie del suolo (▶figura 53

B); poiché gran parte delle loro radici occupa i primi

centimetri del terreno, le monocotiledoni, in particolare

quelle erbacee, proteggono efficacemente il suolo

dall’erosione.

Figura 53. Due esempi di sistemi radicali.

Il sistema a fittone della carota (A) differisce dal sistema radicale

fibroso del porro (B).

Le piante utili per gli esseri umani.

Il ruolo svolto dalle piante nell’ambiente è fondamentale

e complesso, benefico anche per il mantenimento delle

risorse che ci sono utili. La vegetazione ha effetti

sostanziali sul suolo, sull’acqua, sull’atmosfera, sul

clima e sull’assetto idrogeologico.

I semi sono la nostra principale fonte nutritiva.

Tra le moltissime specie di piante con semi coltivate, ne

sono state individuate 12 che si ritengono basilari per la

nutrizione umana: riso, noce di cocco, frumento, mais,

patata, batata (o patata dolce), cassava (o tapioca o

manioca), canna da zucchero, barbabietola da zucchero,

soia, fagiolo e banana.

Oltre la metà della popolazione umana mondiale ottiene

gran parte delle calorie quotidiane dal prodotto di

un’unica pianta, il riso (Oryza sativa), particolarmente

importante nella dieta dei Paesi asiatici, dove è coltivato

da quasi 5000 anni. Le piante del riso sono usate in

molti modi, per esempio come rivestimento dei tetti,

come foraggio e lettiera per animali e anche per

confezionare abiti, e persino la lolla (il rivestimento del

seme scartato nella lavorazione) viene sfruttata in

diversi modi, da combustibile a fertilizzante.

In alcune popolazioni la noce di cocco (Cocos nucifera)

è chiamata «albero della vita», poiché, in effetti, tutte le

parti della pianta vengono in qualche modo utilizzate: il

tronco come materiale da costruzione, la linfa essiccata

come zucchero o fermentata come bevanda, le foglie

per rivestimenti di abitazioni, cestini e cappelli, i

germogli come verdura. Anche la noce di cocco, il

frutto, ha molti usi: il guscio duro si adopera come

contenitore o combustibile, lo strato fibroso mediano

per farne tappeti e imbottiture, mentre il seme,

costituito dal «latte» e dalla polpa, è usato come cibo e

bevanda (sterile).

Per milioni di persone la polpa del cocco è la principale

fonte di proteine; dalla polpa essiccata (commerciata

con il nome di copra) e pressata si ottiene l’olio di

cocco, l’olio vegetale più usato nel mondo nelle

industrie (lubrificanti, gomma sintetica) e, sebbene con

proprietà nutritive scarse, anche per l’alimentazione. La

copra si usa anche come fertilizzante e come mangime

per il bestiame.

Le piante sono usate come medicine

dall’antichità

Dalle piante si ricava una miriade di principi attivi che

permettono di curare dal semplice disturbo alla vera e

propria malattia. In passato, gli unici farmaci erano

quelli naturali e tra questi, i principali erano proprio

quelli estratti dalle piante. Una delle più antiche

«professioni» che si possono immaginare è quella del

cosiddetto «uomo della medicina» o sciamano (un ruolo

spesso ricoperto da donne), la persona che cura usando

rimedi derivati dalle piante. Oggi anche noi usiamo

molte medicine derivate da piante. Il campo della

ricerca di nuovi principi attivi di origine vegetale è

molto attivo e ha già permesso di scoprire farmaci

importanti nel trattamento di vari tipi di malattie.