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8. LA SCELTA DELLE PAROLE E DELLE LORO COMBINAZIONI
I poeti, come abbiamo già visto, dedicano molta attenzione all’uso delle parole, le scelgono con estrema cura
e si servono di diversi accorgimenti per sviluppare tutte le possibilità che la lingua offre.
La scelta delle parole e l’uso di accorgimenti non si limita però all’aspetto formale del testo poetico (il
metro, il ritmo, il suono), ma riguarda anche il significato delle parole e quello che può scaturire dalle loro
possibili combinazioni. Il poeta opera cioè scelte personali anche sul piano del lessico (sceglie determinate
parole per il loro significato) e sul piano della sintassi (delle possibili combinazioni tra parole).
7.1. Linguaggio denotativo e connotativo
Tutti noi usiamo le parole dando ad esse lo stesso significato: questo è necessario, altrimenti non ci
capiremmo.
Quando, ad esempio, diciamo “notte” , pensiamo a un determinato periodo della giornata, dopo il tramonto
del sole; quando diciamo “mare”, pensiamo all’insieme delle acque salate che ricoprono la Terra.
In questo caso, usiamo le parole nel loro significato letterale e primario o denotativo (e dunque oggettivo,
condiviso da tutti i parlanti di una medesima lingua).
Ma una stessa parola può acquistare sfumatura particolare ed avere altri significati, che si aggiungono al suo
significato letterale.
Così, ad esempio, la parola “notte” può evocare la paura, il senso di abbandono, la solitudine ecc; la parola
“mare” può evocare l’immensità, la profondità, la libertà, le vacanze ecc.
In questo caso usiamo le parole nel loro significato connotativo.
Sono proprio i poeti che, in particolare, scelgono le parole anche per il loro significato connotativo, in modo
da arricchire di senso il messaggio che ci vogliono inviare.
7.2. Il gioco della combinazione
Abbiamo detto che in genere noi usiamo le parole nel loro significato letterale (o denotativo), quello cioè
condiviso da tutti i membri di una comunità linguistica.
Ma c’è di più: spesso nel linguaggio di tutti i giorni noi troviamo delle parole unite tra di loro.
Se vogliamo farci intendere correttamente, infatti, dobbiamo rispettare alcune regole anche riguardo la
combinazione delle parole. Posso ad esempio dire ho udito un rumore, ma non ho udito un dolore.
Tutti noi, quindi, tendiamo ad associare tra loro le parole in modi fissi, facilmente prevedibili. Se qualcuno ci
propone la parola “sereno” molto probabilmente noi rispondiamo “cielo”; alla parola “giovane” rispondiamo
“ragazzo” o “ragazza”.
Il poeta invece è uno che non segue queste abitudini associative: egli combina tra loro parole che noi
normalmente non troviamo unite. Attraverso tali combinazioni insolite, egli dà alle parole stesse un
significato un po’ diverso da quello normale, creando immagini che noi riusciamo ancora a capire, ma che
nello stesso tempo sono nuove, mai sentite prima e perciò particolarmente suggestive (e significative).
Prendiamo ad esempio la poesia Aria di primavera di Mario Novaro
Giovine luce,
aria di primavera!
soff ici nuvole bianche
ragnano i l cielo puro:
chiama
la numerosa alterna
voce del mare.
Nel primo verso di questa poesia la luce viene definita giovine: che cosa significa? Forse che è
chiara, limpida, pura (tutte caratteristiche che noi tendiamo ad associare all’infanzia e alla
giovinezza), ma anche che è appena sorta, dopo le giornate buie e cupe dell’inverno; ancora, può
indicare che dà allegria, felicità: il poeta riesce a riassumere tutte queste caratteristiche in una sola
immagine che, proprio perché insolita, ha un valore, un significato ampio, non ristretto e univoco.
Nel secondo verso, la luce è accostata e quasi identificata con l’aria di primavera. E’ evidente che
luce ed aria sono due realtà fisiche diverse, ma l’immagine “giovine luce / aria di primavera” ci fa
pensare insieme a un’aria leggera e gradevole, a un cielo limpido e luminoso.
Il poeta dunque, accostando e combinando in modo diverso le parole, dà ad esse non solo il loro
significato comune (o denotativo, quello che si può trovare definito nel vocabolario, per cui
l’aggettivo “giovine” indica “qualità di persona che è tra l’adolescenza e la maturità), ma carica le
parole di nuovi significati, che parlano alla nostra sensibilità e alla nostra fantasia (significato
connotativo).
Esercizio
Prova ad analizzare il significato connotativo (cioè il significato più ampio, che scaturisce dal
particolare modo del poeta di associare tra loro le parole) delle combinazioni della poesia
Stasera di Giuseppe Ungaretti
Balaustrata di brezza
per appoggiare stasera
la mia malinconia
Analizza le espressioni balaustrata di brezza, appoggiare la mia malinconia¸noterai che la
seconda espressione in cero modo spiega la prima: infatti la malinconia non si può appoggiare
come un oggetto su un parapetto, su una balaustrata; però la balaustrata di cui parla il poeta non
è reale, infatti
..........................................................................................................................................................
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7.3 Il linguaggio figurato
Quando i poeti vogliono ottenere effetti suggestivi che colpiscano la fantasia, suggeriscano immagini,
trasmettano sensazioni e stati d’animo, ricorrono al linguaggio figurato. Il linguaggio figurato si ha nel
momento in cui una parola perde il significato letterale (denotativo) e ne assume uno diverso secondo il
contesto in cui è usata (ossia in combinazione con altre parole). Ad esempio nella frase “Hai la testa fra le
nuvole!”, l’espressione tra le nuvole non è usata in senso letterale denotativo, ma in senso figurato, cioè ci
dice in modo allusivo che la persona non sta seguendo ciò che accade, ha il pensiero altrove, lontano,
appunto “tra le nuvole”.
Il linguaggio figurato si realizza attraverso tecniche particolari che prendono il nome di figure retoriche. La
poesia è ricca di questi particolari modi di esprimersi che, fin dall’antichità, venivano usati per abbellire il
discorso (il retore, nel mondo classico, era colui che usava elegantemente le parole).
Ognuno di noi usa continuamente e inconsapevolmente delle figure retoriche che fanno ormai parte del modo
di esprimersi quotidiano: fare la coda, testa del corteo, farcela per un pelo, morire di paura, perdere il treno
ecc. Alcune espressioni hanno addirittura perso il loro valore figurato e stanno semplicemente a denominare
qualcosa che non si può dire in altro modo, che non ha altro nome, come i denti della sega, il collo della
bottiglia, le gambe del tavolo, la bocca dello stomaco ecc.
Ma tutti noi usiamo generalmente queste figure in modo automatico, senza essere consapevoli del loro
valore; perciò è anche piuttosto raro che ne inventiamo delle nuove.
Per il poeta invece l’uso figurato delle parole è intenzionale e altamente consapevole e per questo motivo egli
non si accontenta di prelevare figure retoriche contenute già nel patrimonio linguistico comune, ma tende
soprattutto a produrne di nuove, con effetti di notevole rilievo poetico.
Prendiamo ad esempio il bellissimo inizio de La sera del dì di festa di Leopardi:
Dolce e chiara è la notte e senza vento,
e queta sovra i tetti e in mezzo agli orti
posa la luna, e di lontan rivela
serena ogni montagna. O donna mia,
già tace ogni sentiero...
O, sempre di Leopardi, la rappresentazione degli occhi di Silvia
quando beltà splendea
negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi!
Il poeta non inventa e usa le figure retoriche semplicemente per abbellire il suo discorso: esiste un rapporto
assai stretto tra ciò che il poeta vuole esprimere e il tipo di figure che sceglie per esprimerlo. Il testo in poesia
è così diverso da quello in prosa non solo perché la poesia è scritta in versi, ma anche perché il poeta ha un
modo diverso di guardare le cose, di coglierne aspetti che restano sconosciuti alla maggior parte delle
persone. Il poeta utilizza dunque associazioni insolite, fa paragoni nuovi e sorprendenti, che il lettore trova
spesso molto interessanti e significativi, proprio perché in un certo senso gli fanno vedere oggetti, ambienti,
situazioni in una prospettiva diversa e inaspettata.
Vediamo due esempi:
Pascoli mira a riunificare una serie di sensazioni provenienti da sfere sensoriali diverse: suoni, luci, colori.
Per far ciò usa la sinestesia, una figura retorica volta proprio a dare quell’unità. Osserva ne La mia sera il
verso
. . . voci di tenebra azzurra . . .
o, nel Gelsomino notturno, i versi
La Chioccetta per l’aia azzurra
va col suo pigolio di s tel le.
Montale, dà particolare rilievo agli oggetti presi come emblemi, cioè simboli di sentimenti e situazioni
umane. Questi oggetti sostituiscono dunque una riflessione o una descrizione e la rappresentano in modo
traslato, ne diventano metafore. E’ appunto una metafora l’osso di seppia che dà il titolo a una sua raccolta
di poesie, o la fine di Meriggiare pallido e assorto
E andando nel sole che abbaglia
sentire con triste meraviglia
com’è tutta la vita e i l suo travaglio
in questo seguitare una muraglia
che ha in cima cocci aguzzi di bott iglia .
O, ancora, l’intera poesia Spesso il male di vivere ho incontrato
Spesso i l male di vivere ho incontrato:
era i l rivo strozzato che gorgoglia,
era l’ incartocciarsi della foglia
riarsa, era i l cavallo s tramazzato.
Bene non seppi, fuori del prodigio
che schiude la divina Indif ferenza:
era la statua nella sonnolenza
del meriggio, e la nuvola, e i l falco alto levato.
7.4. La similitudine, la metafora e la sinestesia
Le figure retoriche della similitudine e della metafora sono legate alla poesia fin dalla sua nascita. Già
Omero faceva uso di molti paragoni e similitudini, cioè descriveva qualcosa attraverso qualcos’altro che lo
ricorda.