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GIORGIO CHIOSSO PEDAGOGIA DALL’ANTICHITà ALL’ALTO MEDIOEVO PER IL PRIMO BIENNIO DEL LICEO DELLE SCIENZE UMANE

a 1 pedagogialsu.altervista.org/chiosso_pedagogia.pdfVI indice 3 Eloquenza e moralità: Quintiliano 146 1 Il sistema scolastico romano 146 Le lezioni della storia: L’età imperiale

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Prezzo al pubblico

Euro 13,80

Questo volume, sprovvisto del talloncino a fronte (o opportunamente punzonato o altrimenti con-trassegnato), è da considerarsi copia di SAGGIO-CAMPIONE GRATUITO, fuori commercio (vendita e altri atti di disposizione vietati: art. 17, c. 2 l. 633/1941). Esente da I.V.A. (D.P.R. 26-10-1972, n. 633, art. 2, lett. d).

giorgio chiosso

pedagogiadall’antichità all’alto medioevo

per il primo biennio del liceo delle scienze umane

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pedagogiadall’antichità all’alto medioevo

il volume è diviso in 5 sezioni, tutte corredate da un’ampia antologia:1. la preistoria e l’oriente antico2. la paideia greca3. l’humanitas romana4. un nuovo paradigma: l’educazione cristiana5. monaci e cavalieri: l’educazione nell’alto medioevo

rubriche• Lelezionidellastoria: per fare il punto sul contesto

storico• Ledomandedelpresente: per stimolare la riflessione

sulla realtà di tutti i giorni• Cinemaeletteratura: schede film e schede libro per

suggerire un diverso punto di vista

guida per l’insegnante + isbn 978-88-286-1045-8 cd-rom “le scienze umane e il cinema” Il CD-ROM contiene sequenze commentate dei film presentati nel volume.

configurazioni dell’operaG. Chiosso, Pedagogia ISBN 978-88-286-1044-1G. Chiosso, Pedagogia + P. Crepet, Psicologia ISBN 978-88-286-1061-8

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CONTENUTI MULTIMEDIALI

• antologiaonline antologia organizzata per temi e problemi• testonline esercizi autocorrettivi• verificheonline verifiche per la classe virtuale

Einaudi-Pedagogia-BIENNIO-195x260.indd 1 31/01/11 18:16

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Che cosa sono i processi cognitivi

1 La Preistoria e l’Oriente Antico 1

1 dalla preistoria alla storia: la nascita della scrittura 2 1 Evoluzioneededucazione 2 Le lezioni della storia:Lanascitadellaspecieumana 3 Cinema e letteratura:2001: Odissea nello spazio 4 2 Storia,scrittura,educazione 7

Mappa concettuale e verifi che 10

2 Le civiltà della Mesopotamia: la nascita della scuola 12 1 Scuolaesocietà 12 Le lezioni della storia:Laciviltàmesopotamica 13 Le domande del presente:IlmitodiBabilonia 14 2 Iprincipidell’educazione 15

Mappa concettuale e verifi che 16

3 La civiltà egizia: l’elogio del silenzio 18 1 Fondamentieducativi 18 Le lezioni della storia:Laciviltàegizia 19 2 GliInsegnamentielaCasadell’istruzione 20 Le lezioni della storia:Loscribaseduto 20

Mappa concettuale e verifi che 22

4 Cina e India tra guerre e fi losofi a 24 1 LaCinadellescuolefilosofiche 24 Le lezioni della storia:LaCinaarcaica 25 Cinema e letteratura:GoreVidal,Creazione 26 2 L’Indiadellereligioni 28 Le lezioni della storia:L’Indiaantica 28 Cinema e letteratura:Piccolo Buddha 30

Mappa concettuale e verifi che 32

Che cosa sono i processi cognitivi

Indice

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IV indice

5 Gli Ebrei e il Regno d’Israele: scuola e religione 34 1 L’istruzionecomeeducazionemoraleereligiosa 34 Le lezioni della storia:LaciviltàebraicaeilRegnod’Israele 35 2 Gliscribieilruolodellareligione 36 Le domande del presente:Lescuoleebraichenell’Italiadioggi 36 Cinema e letteratura:A serious man 37

Mappa concettuale e verifiche 38

1 LEGGERE La pEdaGoGIa 1 Funzioni e significati dei graffiti preistoricidiLeonardoR.Patanè 40 2 Le origini antropologiche della scrittura diStevenMithen 44 3 Scrittura e calcolo: le origini della matematicadiAnaMillánGasca 46 4 L’educazione degli scribi in Mesopotamia tra fatica e gloriadiSabatinoMoscati

ediGiovanniPettinato 48 5 L’istruzione in Assiria-BabiloniadiGastonMialaret 50 6 Gli scribi: una élite intellettuale e socialediEddaBresciani 52 7 La matematica cinese classicadiAnaMillánGasca 53 8 L’educazione monastica buddhistadiLêThànhKhôi 56 9 Sapienza ed educazione presso il popolo ebraico 59

2 La “paidèia” greca 63

1 La civiltà greca 64 1 Unaculturaall’insegnadellavirtùedellasaggezza 64 Le lezioni della storia:L’etàarcaica 65 2 “Aretè-Virtù”:l’evoluzionestoricadiun’ideafondamentale 66 Cinema e letteratura:Troy 67 Cinema e letteratura:The company 68

Mappa concettuale e verifiche 70

2 La forza della parola: i Sofisti e Socrate 72 1 ISofisti 72 Le lezioni della storia:L’etàclassica 73 2 Socrate 74 Le domande del presente:Ilrelativismooggi 74

Mappa concettuale e verifiche 76

3 Filosofia contro retorica: platone e Isocrate 78 1 Platone:l’educazionetrapoliticaepedagogia 78 Le lezioni della storia:LaguerradelPeloponnesoelafinedell’etàclassica 79 Cinema e letteratura:HermannHesse,Il gioco delle perle di vetro 80 2 Isocrate:ilmodelloretorico-oratorio 81

Mappa concettuale e verifiche 84

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Vindice

4 Il sapere universale: aristotele e l’ellenismo 86 1 Aristotele 86 Cinema e letteratura:A beautiful mind 89 2 Lasvoltadellaculturaellenistica 91 Le lezioni della storia:L’etàellenisticaelafinedell’indipendenzagreca 92

Mappa concettuale e verifiche 94

5 Luoghi e forme dell’educazione 96 1 GlistudinellaGreciaclassica 96 Le lezioni della storia:LapoetessaSaffo 96 2 L’organizzazionedellavitascolastica 98 Le lezioni della storia:IlsistemascolasticonellaGreciaantica 98 Le domande del presente:Lafunzionedelmitonellasocietàattuale 100

Mappa concettuale e verifiche 104

2 LEGGERE La pEdaGoGIa 1 Il discorso di Fenice diOmero 106 2 I Sofisti e la trasformazione della cultura greca nel VI-V secolo a.C. diAristofane 107 3 Una prospettiva alternativa alla filosofia. L’arte dell’eloquenza diIsocrate 110 4 Il mito della caverna diPlatone 112 5 Morale, politica, educazionediAristotele 115 6 La saggezza pratica dell’educarediPlutarco 120

3 L’“humanitas” romana 127

1 La civiltà romana 128 1 Res publicaedirittodicittadinanza 128 Le lezioni della storia:Dall’etàmonarchicaallarepubblicaromana 129 2 Laculturadelleorigini.Ilmos maiorum 131 Cinema e letteratura:La classe 132 3 L’incontroconlaculturagrecaeletrasformazionidellasocietàromana

nelperiodoellenistico 133

Mappa concettuale e verifiche 136

2 politica e saggezza: Cicerone e Seneca 138 1 Ciceroneelaformazionedell’oratore 138 Le lezioni della storia:Dall’etàrepubblicanaaquellaimperiale 139 Cinema e letteratura:Enrico V 140 2 Senecael’educazioneallasaggezza 141 Le domande del presente:LescuolezeninItalia 142

Mappa concettuale e verifiche 144

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VI indice

3 Eloquenza e moralità: Quintiliano 146 1 Ilsistemascolasticoromano 146 Le lezioni della storia:L’etàimperialeelasuacrisi 147 2 Quintilianoelasuaepoca 148 Cinema e letteratura:Non uno di meno 148

Mappa concettuale e verifiche 150

4 Luoghi e forme dell’educazione 152 1 LavitascolasticaaRoma 152 2 L’educazionefemminile 154 Le lezioni della storia:Ladonnanelmondoromano 155

Mappa concettuale e verifiche 156

3 LEGGERE La pEdaGoGIa 1 Una “teoria” dell’elogiodiHenri-IrenéeMarrou 158 2 L’uomo e i suoi doveridiCicerone 159 3 L’amicizia e la formazione personalediSeneca 162 4 L’oratore: “Vir bonus, dicendi peritus”diQuintiliano 167 5 Le pratiche dell’insegnamentodiQuintiliano 170 6 La coscienza critica della civiltà imperialediOrazio 172

4 Un nuovo paradigma: l’educazione cristiana 177

1 pagani e cristiani a confronto: l’età tardoantica 178 1 Renovatio mundi:l’umanesimocristiano 178 Le lezioni della storia:L’etàtardoantica 180 2 Ladiffusioneeladifesadelmessaggiocristiano 181 Cinema e letteratura:Quo vadis 182

Mappa concettuale e verifiche 186

2 alla ricerca di dio e di se stessi: agostino 188 1 Ilpercorsodipreparazione 188 Le lezioni della storia:LacristianitàneisecoliIVeV 188 Le lezioni della storia:Culturapaganaecristianità:il“sacrofurto” 190 2 L’attivitàpastorale 192 Cinema e letteratura:Agostino di Ippona 193 Le lezioni della storia:Icristianiascuoladaipagani 195

Mappa concettuale e verifiche 196

3 Luoghi e forme dell’educazione 198 1 Lafamigliaeilcatecumenato 198 Cinema e letteratura:La settima stanza 200 2 Donneebambineneiprimisecolicristiani 203 Le lezioni della storia:L’educazionedellaVerginenellastoriadell’arte 204

Mappa concettuale e verifiche 206

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VIIindice

4 LEGGERE La pEdaGoGIa 1 I significati del termine “pedagogia”diClementediAlessandria 208 2 I costumi del cristianodiClementediAlessandria 209 3 Educare alla preghieradiOrigene 211 4 L’educazione al matrimoniodiTertulliano 212 5 L’educazione dei figlidiGiovanniCrisostomo 213 6 La formazione morale e culturale dei giovanidiBasilioilGrande 215 7 Sulla felicità: la ricerca di DiodiAgostinodiIppona 217 8 Il maestrodiAgostinodiIppona 219

5 Monaci e cavalieri: l’educazione nell’Alto Medioevo 221

1 Tra classicità e invasioni barbariche: Boezio e Cassiodoro 222 1 L’etàdiTeodorico(V-VIsecolo) 222 Le lezioni della storia:Teodorico(454-526) 222 2 ImodellieducatividiBoezioeCassiodoro 223 Le domande del presente:Descolarizzazione 226 3 Leartiliberali:MarzianoCapella 227

Mappa concettuale e verifiche 230

2 Monaci e dotti: Benedetto da Norcia e Isidoro di Siviglia 232 1 Leoriginidelmonachesimo:BenedettodaNorcia 232 Cinema e letteratura:HermannHesse,Narciso e Boccadoro 233 2 IldominiodeiLongobardieGregorioMagno 234 Le lezioni della storia:Imonaciirlandesi 234 3 IsidorodiSiviglia 235 4 Leoperestoriche 236

Mappa concettuale e verifiche 238

3 La rinascita carolingia: tra VIII e IX secolo 240 1 Larinascitacarolingia 240 Le lezioni della storia:Laminuscolacarolina 240 2 Gliintellettualipalatini 241 Le domande del presente:Leenciclopediemedievalielerisorseinrete 244

Mappa concettuale e verifiche 246

4 L’educazione cavalleresca: X e XI secolo 248 1 Ilperiodopostcarolingio 248 Le lezioni della storia:IgiuramentidiStrasburgo 248 Cinema e letteratura:Il destino 250 2 IlsecoloXI:lanascitadell’idealecavallerescoelariformareligiosa 251 Cinema e letteratura:I sette samurai 252

Mappa concettuale e verifiche 254

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VIII indice

5 Luoghi e forme dell’educazione 256 1 Bambiniedonnenell’AltoMedioevo 256 Cinema e letteratura:La papessa Giovanna 257 2 Laformazionedeilaici:gliSpecula principis 258 Le lezioni della storia:L’educazionefemminilenelmonastero.

IlcasodiIldegardadiBingen 259

Mappa concettuale e verifiche 260

5 LEGGERE La pEdaGoGIa 1 La consolazione della filosofiadiSeverinoBoezio 262 2 Le opere dei pagani nelle “Istituzioni” diCassiodoro 262 3 Lo scontro tra umane lettere ed educazione militarediProcopiodiCesarea 263 4 La GrammaticadiMarzianoCapella 264 5 La Retorica diMarzianoCapella 265 6 L’abate, un educatore di monacidiBenedettodaNorcia 265 7 Lo studio della grammatica allontana dallo studio della parola di Dio

diGregorioMagno 267 8 La trasmissione dei testi diGregoriodiTours 267 9 Un modello di formazione per i sudditi del Sacro Romano Impero

diCarloMagno 268 10 Lettera a Carlo Magno diAlcuinodiYork 269 11 Lettera a Ricbodo diAlcuinodiYork 269 12 La formazione del cristiano diRabanoMauro 270 13 La formazione del figliodiDhuodadiSettimania 271 14 L’educazione dei principi e dei nobili diGionad’OrléansediSmaragdo 273 15 L’educazione militare diBernardodiChiaravalle 274

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Antologia on line

ILeteoriedell’educazione

I.1BenjaminSamuelBloom,Il maste-rylearning

I.2Howard Gardner, Le intelligenze multiple, premessa per una persona-lizzazione della scuola

I.3ErnestvonGlasersfled,Il costrutti-vismo

I.4David P. Ausebel, L’importanza dell’interesse

I.5NorbertoBottani, Nuove scienza, nuova scuola?

IIEducazionedellapersona

II.1JacquesMaritain,La realizzazione dell’uomo come essere razionale

II.2Luigi Giussani, Educare il cuore dell’uomo

II.3RomanoGuardini,L’incontro con la realtà come compito dell’educazione

II.4LorenzoMilani,«Una parola da nul-la diventava un mondo…»

II.5AlainTouraine,La scuola del Soggetto

IIIEducazioneefamiglia

III.1MariaMontessori,I principi dell’edu-cazione del bambino

III.2AdaMarchesiniGobetti,La collabo-razione tra genitori e scuola

III.3DiegaOrlandoCian,Educazione fa-miliare e pedagogia

III.4FrançoiseDolto,Consigli per educare un bambino

IVEducazioneeistituzioni

IV.1ÉdithCresson,L’importanza del-la conoscenza nella società presente e futura

IV.2PhilippePerrenoud,Scuola dei saperi o scuola delle competenze?

IV.3RomualdNormand,La scuola effi -cace e i suoi limiti

IV.4TomBentley–RielMiller,La scuola della personalizzazione

VNoieglialtri

V.1Bibbia,L’attenzione per lo straniero

V.2Odissea,Lavare lo straniero

V.3PeterFigueroa,L’educazione multietnica

V.4RobertoAlbano,Il gruppo degli amici

V.5MarcellaRavenna–MonicaRubi-ni,Un «laboratorio sociale» fatto di coetanei

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Che cosa sono i processi cognitivi

È l’educazione che rende gli uomini diversi. Tutte le fi abe su Aladino o l’invisibilità di Gige o le grotte in-cantate nel cuore delle montagne e negli abissi mari-ni sono fi nzioni che raccontano il vero miracolo che è l’arricchimento intellettuale.

RalphWaldoEmerson

Oggicomeinpassato,ilnostroconcettoeducativoècondizionatodaicontinuimutamentiinattonella società,ma soprattutto è intimamentecongiuntoall’idea cheabbiamodell’uomo,dellerelazionichecostruisceconglialtriuomini,delmodoincuiattribuiamounsignificatoallasuaesistenza.Èsullabasediquestaconsapevolezzacheabbiamocercatodiscrivereunmanualedipedagogiachenonprescindesse,cometroppospessoaccade,daunastoriadellacultura,in-tesanelsensopiùampiodeltermine.Perquestomotivo, l’illustrazionedellepiùimportantiteoriepedagogicheelaboratedall’anti-chitàfinoall’AltoMedioevo–dagliinsegnamentideifilosofigreciall’eloquenzadeglioratoriromani,dalnuovoumanesimocristianoallaricchezzadeimodellieducativipropridell’etàme-dievale–ècostantementeinseritaemessainrelazioneconunapiùampiaprospettivastorica,alfinedifornireallostudenteunavisioned’insiemeedirenderlocapacedistabilirecriticamentedeinessitraidiversisistemieducativiel’evoluzionedeivaloriedeicomportamentiumani.Perlastessaragione,iltestoèaffiancatodarubrichechealcontempoapprofondisconoevo-glionooffrirespuntidiriflessione:Le lezioni della storia fornisconounquadrodettagliatodiun’epocaodieventidiparticolarerilevanza;Le domande del presentemostranoconchiarezzaillegameinscindibiletrailpassatoel’attualità;inCinema e letteratura,infine, sonocontenutepropostediletturaecinematograficheattinentiagliargomentitrattatima,anch’esse,scelteperstimolarelecapacitàcritichedeiragazzi.Ciascuncapitoloèaltresìcorredatodaunasceltadibraniantologici,seguitidaunapprofonditocommentoedaverifichesullacomprensione:inpartesitrattadifontieinparteditestisaggi-stici,cheprendonoinconsiderazionequestionirelativealperiodostoricotrattato.Ilnostroaugurioèchelostudiodellapedagogiaedeisistemieducatividelpassatopossarender-cipiùconsapevolieaccortinelcostruireevalutareinostrisistemieducativipoiché,comescrisselostudiosofranceseLucienLaberthonnière,«imetodichesiapplicanopereducareifanciulli,l’orientamentochesidàloro,imotiviaiqualicisiispiracontengonosempre,almenoimplici-tamente,unaconcezionedell’uomoedelsuodestino».

GiorgioChiosso

Che cosa sono i processi cognitivi

Premessa

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2 La “paidèia” greca

1 La civiltà greca

2 La forza della parola: i Sofi sti e Socrate

3 Filosofi a contro retorica: Platone e Isocrate

4 Il sapere universale: aristotele e l’ellenismo

5 Luoghi e forme dell’educazione

1 Il discorso di Fenice di Omero

2 I Sofi sti e la trasformazione della cultura greca nel VI-V secolo a.C. di Aristofane

3 Una prospettiva alternativa alla fi losofi a. L’arte dell’eloquenza di Isocrate

4 Il mito della caverna di Platone

5 Morale, politica, educazione di Aristotele

6 La saggezza pratica dell’educare di Plutarco

LeGGere La PedaGoGIa

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Che cosa sono i processi cognitivi

Che cosa sono Che cosa sono i processi cognitivii processi cognitivi

41 aristotele

La vita Aristotele, di poco posteriore a Platone, fu di-scepolo dell’Accademia platonica, da cui si staccò per perseguire un orientamento autonomo, destinato ad avere un’infl uenza decisiva nella storia della cultura oc-cidentale. In particolare nel Medioevo, infatti, la fi lo-sofi a aristotelica divenne il sistema fondamentale del sapere, tanto che Aristotele stesso veniva citato come “il fi losofo” per antonomasia, la cui autorità fonda-mentale non poteva essere messa in dubbio. Aristotele visse in un periodo in cui la Grecia era insidiata dalle mire espansionistiche della Persia e della Macedonia.

Nato nel 384 a.C. in una colonia ionica, Stagira, era fi glio del medico del re macedone Aminta e probabil-mente trascorse gli anni della formazione a Pella, la ca-pitale del regno macedone. Rimasto orfano, si trasferì ad Atene per completare gli studi, entrando nell’Acca-demia di Platone nel 366 a.C. e rimanendovi per cir-ca un ventennio. Si spostò quindi in varie città, fondò scuole ad Asso e a Mitilene fi nché, nel 343 a.C. circa, fu chiamato alla corte macedone da Filippo II, suc-ceduto al padre Aminta, per educare il fi glio Alessan-dro (il futuro Alessandro Magno), di cui Aristotele fu il precettore e il consigliere fi no all’ascesa al trono nel 336 a.C. Tornato ad Atene, aprì il Liceo (il nome deri-va dal tempio dedicato ad Apollo Licio, presso il quale la scuola di Aristotele aveva sede); le vicende politiche lo costrinsero ad abbandonare Atene nel 323 a.C. e a ritirarsi nell’Eubea, dove restò fi no alla morte avvenu-ta nel 322 a.C.

Il rapporto con la fi losofi a platonica Nonostante l’ab-bandono dell’Accademia, il rapporto di Aristotele con l’ambiente e il pensiero platonici non va concepito nei termini di una drastica contrapposizione. A lungo si è pensato che in molti punti il sistema aristotelico rap-presentasse una sorta di confutazione di quello plato-nico, mentre oggi le soluzioni aristoteliche sono rite-nute approfondimenti delle tesi platoniche che aveva-no suscitato i maggiori dibattiti. Così, ad esempio, se la metafi sica platonica tratteg-giò un dualismo tra il mondo delle essenze (le idee) e quello della materia, Aristotele tentò di ricondur-re all’unità la percezione del senso comune e quella fi losofi ca, collocando il dualismo di materia e forma all’interno della realtà stessa, della quale materia e for-ma sono entrambe aspetti essenziali. Questa tendenza risolutiva dei contrasti appare come una costante in grado di giustifi care il valore storico del sistema e del-lo spirito aristotelico, la durata più che millenaria della sua infl uenza (se non altro come punto di riferimento polemico) sul sapere medievale e moderno.

Il sapere universale: Aristotele e l’ellenismo

Alessandro e Aristotele nel fi lm Alexander di Oliver Stone, 2004.

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87874 Il sapere universale: Aristotele e l’ellenismo

Il pensiero In estrema sintesi, si possono riassumere come segue le posizioni che hanno maggiormente ca-ratterizzato la fi losofi a aristotelica e la sua fortuna:

• il mondo è costituito, al di là della varietà estre-ma dei fenomeni e delle cose contingenti, da due principi, la materia e la forma. Insieme, questi due principi rappresentano le principali caratteristiche di ogni essere, di cui la speculazione fi losofi ca coglie l’essenza al di là dell’apparenza e del cambiamento;

• ogni ente, vale a dire tutto ciò che esiste, salvo Dio, è soggetto al divenire ovvero, in termini aristoteli-ci, è compiutamente se stesso ma può mutare nel tempo;

• a questa legge fondamentale non soggiace Dio, che è l’unico essere completamente e radicalmen-te uguale a se stesso (la sua essenza coincide sempre perfettamente con ciò che Dio è), ed è alla base di tutto ciò che esiste. Egli è il primo motore immo-bile dell’universo: ciò signifi ca che da lui ha origine ogni cosa, salvo Dio stesso, il quale non ha origine (in quanto è eterno);

• in questo continuo mutamento degli esseri si pos-sono distinguere varie caratteristiche, sia sul piano dell’analisi razionale (ogni essere ha determinati at-tributi che il pensiero può scoprire tanto con l’os-servazione quanto con il ragionamento deduttivo, traendo conseguenze da premesse evidenti), sia sul piano della verifi ca empirica, che mette in evidenza i caratteri propri di ciascun essere;

• esiste una gerarchia degli esseri, caratterizzata da una crescente complessità, al cui vertice sta l’uomo. La caratteristica distintiva dell’uomo, la raziona-lità, gli consente di perseguire un fi ne esistenziale più elevato di quello di qualsiasi altro essere viven-te, rispetto al quale viene ad articolarsi tutta la vita morale e politica: il concetto aristotelico di saggezza (phrònesis), quasi un punto culminante della lunga parabola dell’idea di virtù tipica della Grecia clas-sica, era centrale per defi nire i contenuti della vita buona, cioè meritevole di essere vissuta perché ade-guata all’umano e portatrice della vera felicità.

Le opere Sulla base di queste affermazioni, il corpus delle opere di Aristotele fi nì per assumere la fi siono-mia e il ruolo storico di un vero e proprio compendio di tutte le conoscenze scientifi che del suo tempo, comprendente i testi rivolti sia ai suoi allievi sia ai let-

tori comuni, appartenenti alle classi colte e agiate del suo tempo. Il fi losofo trattò tutti i principali rami del-lo scibile, dedicando scritti di varia mole alla discussio-ne delle maggiori questioni riguardanti la natura del mondo, della vita e dell’uomo. Nel loro insieme, que-ste opere furono ordinate dagli allievi secondo una se-quenza che procedeva dalla natura materiale delle cose alla metafi sica, disciplina fi losofi ca il cui nome indi-ca la natura del reale “al di là” (metà in greco signifi -ca “dopo” e quindi anche “oltre”, “al di là”) della fi si-ca, ma il riferimento è anche ai libri aristotelici posti “dopo”.

La metafi sica La metafi sica è, probabilmente, la parte più rilevante del sistema aristotelico, quella che ha eser-citato l’infl uenza più duratura sulla cultura occidenta-le. In essa, Aristotele descrive la consistenza di tutti gli esseri come combinazione di materia e forma, atto e potenza. Attraverso questi quattro principi, il fi losofo riesce a spiegare la natura di ciascun essere, animato e non: ogni cosa, ogni animale, l’uomo stesso sono un composto di materia dotata di una certa forma. L’es-sere è ciò che è “attualmente” (cioè “in atto”) e ciò che è propedeutico a ciò che sarà (“in potenza”) e vicever-sa. Alcuni esseri in particolare (ad esempio quelli che hanno una vita e una storia, come l’uomo), sono ini-zialmente in potenza ciò che saranno “in atto” soltanto in futuro: il bambino è “in potenza” l’adulto che più tardi sarà. Queste coordinate metafi siche hanno avuto conseguenze incalcolabili nel modo in cui l’Occidente ha concepito per secoli la realtà e la consistenza delle cose, con evidenti ricadute direttamente sul modo di concepire l’uomo e la sua educazione.

Il concetto di anima La psicologia aristotelica ha co-stituito a lungo la base della concezione della vita ani-male e umana tipica delle età pre-moderne. Aristotele individua tre principi che caratterizzano gli esseri ani-mati, vale a dire dotati di anima: l’anima vegetativa, tipica delle piante e preposta alle funzioni vitali degli organismi, l’anima motiva, tipica degli esseri in gra-do di spostarsi (gli animali in genere, i quali sono do-tati anche di quella vegetativa) e l’anima razionale, propria soltanto dell’uomo. Questi è dotato anche di quella motiva e di quella vegetativa, secondo un prin-cipio di crescente complessità che attribuisce all’esse-re più in alto nella gerarchia della realtà tutto ciò che è proprio degli esseri inferiori. Secondo la rifl essione

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88 2 La “paidèia” greca

scientifica aristotelica, basata sull’osservazione empiri-ca e sul ragionamento deduttivo, gli esseri si differen-ziano per genere prossimo e differenza specifica: ad esempio, l’uomo è un animale (appartiene, cioè, al ge-nere degli animali), ma se ne differenza per la specifi-cità della ragione; di qui la celebre definizione dell’es-sere umano come «animale razionale», che ha avuto per secoli enormi conseguenze sul piano scientifico e morale.L’agire dell’uomo, infatti, è adeguato alla sua natu-ra soltanto allorché egli si comporta secondo i detta-mi della sua ragione; diversamente, finisce per cadere nell’animalità che lo abbassa al livello degli esseri bru-ti. Questo principio è fondamentale nella psicologia e nell’etica aristotelica, insieme a quello di virtù.

Il concetto di virtù La virtù è ciò che specifica l’agire dell’uomo secondo la sua ragione. Il virtuoso è l’uo-mo che agisce secondo ragione e che trova la vera felicità nel vivere in maniera adeguata alla propria na-tura. Seguire le passioni, vale a dire gli impulsi e tutto ciò che deriva dalla costituzione animale dell’uomo, comporta una degenerazione immorale. L’etica aristo-

telica si caratterizza per la celebre definizione della vi-ta buona come equilibrio ordinato tra le virtù (la giustizia, la fortezza, la temperanza ecc.) e come resi-stenza al pungolo del vizio, individuato sempre co-me eccesso passionale non adeguatamente controllato da una ragione debole. Queste vedute influenzarono anche la visione aristotelica della politica: Aristotele, come Platone, stabilisce un parallelismo tra il gover-no di se stessi e quello dello Stato. Di conseguenza, lo Stato ben governato deve reggersi su un equilibrio interno analogo a quello che deve scoprire in sé il sin-golo uomo.

L’ideale educativo Le conseguenze di carattere peda-gogico sono facilmente intuibili: l’educazione è in-tesa come formazione delle virtù e come loro eser-cizio sempre più saldo, finalizzato al raggiungimento dell’equilibrio in cui risiede la vera felicità. Se il fine dell’uomo è il godimento del bene intellettuale, vale a dire la contemplazione, quello di Aristotele è un ide-ale di cultura che privilegia le attività teoretiche (la co-noscenza fine a se stessa e disinteressata, la contem-plazione dell’esistente ecc.), relegando in una posizio-ne secondaria gli aspetti tecnici e utilitari del sapere, con evidenti conseguenze anche sul piano strettamen-te educativo. Inoltre, il sistema aristotelico descrive un sapere funzionale a una società ordinata secondo il principio della vita razionale e delle virtù, elenca-te scrupolosamente nell’Etica a Nicomaco. Allo svilup-po dell’essere umano Aristotele dedica anche la scuo-la d’insegnamento e ricerca da lui fondata, il Liceo o Peripato, così chiamata per l’abitudine del filosofo di svolgere le lezioni passeggiando insieme agli allievi in giardino.

La “Politica” Le considerazioni più specifiche sui pro-blemi dell’educazione si trovano nella Politica, a testi-monianza che una delle costanti della pedagogia gre-co-classica concerne la dimensione politica dell’edu-cazione. In Aristotele il problema della formazione non si pone, almeno esplicitamente, al di fuori di un contesto sociale concreto; è il tipo di governo che gui-da, in un’ottica di estremo realismo, le scelte formati-ve. Ciò conduce Aristotele a rinunciare alla riflessione sullo Stato ideale e ad attenersi all’analisi descritti-va e alla comprensione dell’essenza delle varie for-me di governo di fatto esistenti. Sul piano dell’orga-nizzazione delle attività educative bisogna richiamare

Paolo Veronese, Aristotele, 1560.

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894 Il sapere universale: Aristotele e l’ellenismo

Cinema e letteraturaA beautiful mind

za a Princeton cambia il suo atteggia-mento rigidamente razionale e solitario. Memorabile è una battuta del fi lm che ne descrive il senso di impotenza e di frustrazione di fronte all’aula gremita di studenti, il primo giorno di lezione: «Per-sonalmente ritengo che questo corso sarà una totale perdita del vostro tem-po e, cosa decisamente più grave, del mio. Tuttavia siamo qui, quindi potete frequentare o no, potete pensare o no, potete completare il compito a vostro piacimento. Abbiamo concluso».La storia si colora di elementi intrigan-ti e si trasforma in una vicenda di spio-naggio internazionale, di cui Nash è il protagonista. Dalla descrizione oggetti-va degli eventi, lo spettatore comincerà ad adottare la prospettiva sempre più delirante di Nash, a cui verrà diagnosti-cata una forma grave di schizofrenia e

Di formazione naturalistica, Aristote-le delineò un ideale umano armonico: un buon equilibrio tra le diverse facoltà umane è senza dubbio il primo passo per vivere una vita felice. Nel coltivare la sua parte più nobile, la ragione, l’uomo non deve infatti perdere di vista gli altri aspetti importanti della vita, primo tra tutti quello sociale. Del tutto in contrasto con questa immagine di essere umano è la storia raccontata nel fi lm A beautiful mind, dedicato alla vita del matematico statunitense John Forbes Nash, premio Nobel per l’economia nel 1944.Nel fi lm sono raccontate in modo ro-manzato la passione unilaterale e to-talizzante del giovane Nash per la ma-tematica e la genialità con cui ha for-mulato una teoria che ha trasformato il pensiero economico del Novecento. Neppure il prestigioso incarico di docen-

che verrà travolto da questa dolorosa e sconcertante verità.Dopo una cura mirata, Nash ritroverà, almeno in parte, l’equilibrio perduto, grazie anche alla dedizione della mo-glie, che saprà stargli accanto con aff et-to e sacrifi ci per consentirgli di tornare al lavoro.Sembra così avere ragione Aristotele, che nella Politica scrive: «Chi non è in grado di entrare nella comunità o per la sua autosuffi cienza non ne sente il biso-gno, non è parte dello Stato, e di conse-guenza è o bestia o dio».

Titolo originale: A beautiful mindRegia: Ron HowardUsa, 2001, 128’, colore

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l’importanza della polarità di potenza e atto, da un lato, e di materia e forma, dall’altro. Esse favoriscono una concezione dinamica dell’essere umano e del-la sua formazione. L’identità dell’individuo, come quella di qualsiasi organismo, si dispiega nel tempo, subisce trasformazioni, assimila dall’esterno i materia-li per la propria crescita, rielaborandoli e adattandoli ai propri bisogni e alla propria sensibilità. Ciò vale sia per gli aspetti corporei della vita umana, sia per quelli propriamente spirituali e implica una visione del pro-cesso formativo come un divenire continuo. Questa visione avrebbe potuto sortire l’esito di un interesse specifi co nei confronti dell’infanzia, ma l’attenzione di Aristotele – secondo una tendenza del resto comu-ne ai suoi tempi – si orientò piuttosto verso l’uomo in atto, sulla scia della teoria aristotelica delle cause, per cui il fi ne (in greco, tèlos) del percorso formativo as-sumeva un’importanza prevalente. La conseguenza fu quella di un “adultismo” diffuso in ogni genere di rap-porto educativo. In sostanza, la prospettiva aristoteli-ca fi nì per giustifi care un atteggiamento negativamen-te preconcetto nei confronti dell’infanzia durato mol-ti secoli, che vedeva nel bambino un essere imperfet-to, bisognoso di cure ma anche di fermezza e severità da parte degli adulti, depositari di quella compiutezza a cui ciascun bambino avrebbe dovuto fare riferimen-to come a un modello cui guardare nel corso della propria maturazione.

La fortuna di aristotele L’Accademia platonica e il Liceo aristotelico, nella loro plurisecolare esistenza, furono i luoghi principali della formazione fi losofi ca in Grecia e nel mondo ellenistico. A prescindere dalla storia di queste istituzioni, è signifi cativo il fatto che, non solo in omaggio e in memoria dei due fi losofi , le istituzioni di studi superiori in Occidente siano sem-pre state battezzate con questi due nomi, “liceo” e “accademia”, a indicare il persistere di un modello formativo caratterizzato dall’impegno totale di inse-gnanti e allievi nel percorso di formazione e di ricerca.L’importanza storica di Aristotele è legata, d’altra par-te, alla perfetta assimilazione che il suo pensiero subì nel corso del Medioevo a contatto con quello cristia-no: il merito della longevità della fi losofi a e della pe-dagogia aristotelica è dato dalla viva connessione che la scolastica medievale riuscì a stabilire tra queste e la teologia cristiana.Tuttavia, la speculazione aristotelica ha inciso profon-

damente nella storia della pedagogia anche in senso negativo giacché, a partire dal Medioevo, l’aristote-lismo divenne un sistema di pensiero con cui dove-va identifi carsi ogni forma di conoscenza e d’indagi-ne scientifi ca, pena la condanna sociale e religiosa. Di fatto, la sua fi losofi a divenne un ostacolo insormonta-bile contro qualsiasi corrente di pensiero e d’indagine innovativi, sinonimo di opposizione al nuovo, di con-servazione in ogni ambito, da quello teologico a quello artistico; si pensi che le nuove scienze sperimentali e il metodo galileiano dovettero combattere proprio con-tro l’aristotelismo stesso.Il metodo di ragionamento aristotelico, essenzialmen-te deduttivo, contribuì in parte a rallentare lo sviluppo della sperimentazione scientifi ca (che invece si fonda su una metodologia di ricerca prevalentemente indut-tiva) e la diffusione, nell’ambito delle idee e delle pra-tiche educative, di un atteggiamento didattico orien-tato alla scoperta libera del discente, costretto invece a seguire principi considerati intoccabili, senza alcuna possibilità di verifi ca critica.Non si può mancare, infi ne, di sottolineare anche i li-miti più vistosi del grande fi losofo greco, ricordando come l’antropologia aristotelica presenti una visione non positiva delle donne, anche se si tratta di un ele-mento comune alla cultura greca classica ed ellenisti-ca. Tuttavia, Aristotele fu il fi losofo che giustifi cò la subordinazione delle donne agli uomini, limitando la loro attività alla sfera domestica, come pure, per al-tri versi, la pratica sociale della riduzione in schiavitù.

Qualche domandaÜ Che cos’è la metafi sica?

Ü Quali sono i tre tipi di anima distinti da Aristotele?

Ü In che modo l’uomo può raggiungere la virtù?

Ü Quali sono i principi espressi nella Politica?

Luca della Robbia, Platone e Aristotele o la fi losofi a (formella proveniente dal lato nord del campanile di Giotto, a Firenze, basamento inferiore. Museo dell’Opera del Duomo).

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914 Il sapere universale: Aristotele e l’ellenismo

2 La svolta della cultura ellenistica

La fine di un’epoca Con la fine dell’età classica, già preannunciata nell’opera di Aristotele, si verificò una svolta anche nella riflessione filosofica e culturale. I pensatori che raccolsero la tradizione di Platone e di Aristotele abbandonarono la prospettiva sistemati-ca propria dei loro predecessori e si orientarono ver-so un’indagine che poneva al centro un ideale di vita pratica. Rispetto ad esso la filosofia doveva porsi come una sorta di terapia, volta a guidare l’individuo nel ca-os della vita e a dargli le indicazioni necessarie per vive-re serenamente di fronte a una prospettiva esistenziale segnata dal senso tragico della fragilità dell’uomo. Ciò accadde nella filosofia, ma è testimoniato anche nella letteratura.

Il modello plutarcheo Un autore come Plutarco (46-127 d.C.) è rappresentativo di questa svolta e i suoi scritti di carattere educativo, per quanto secondari all’interno della sua vasta produzione, lo dimostrano efficacemente, grazie ai consigli pratici ad uso dei pa-dri di famiglia e di coloro che hanno a che fare con la gioventù. Di famiglia ricca, Plutarco trascorse gran parte della propria vita in Grecia, precisamente a Che-ronea, la sua città natale; compì alcuni lunghi viaggi che lo portarono nelle principali città greche, ad Ales-sandria e due volte a Roma, dove ottenne anche la cit-tadinanza romana, grazie alla vasta fama raggiunta in tutto l’Impero. I due anni di studio presso l’Accademia platonica furono una delle maggiori fonti d’ispirazio-ne della sua attività intellettuale. Un aspetto partico-lare della sua fisionomia di uomo e di pensatore è il fatto che ricoprì l’incarico di sacerdote del dio Apollo nel santuario di Delfi. Nella sua produzione letteraria alcuni interpreti hanno messo in evidenza il legame tra religione e morale che sembra pervadere la sua posizio-ne culturale.Il suo valore di intellettuale e pensatore è dimostrato dalla poderosa mole di scritti tratti dalle discussioni che tenne con interlocutori di fama, raccolti sotto il nome di Moralia. Sebbene all’interno di questa raccol-ta compaiano opere di argomento pedagogico, la loro autenticità è dubbia; e tuttavia, l’esistenza di numerosi testi spuri dimostra l’autorevolezza di cui godette Plu-tarco al suo tempo e che lo seguì per secoli. L’altra fon-damentale raccolta di scritti di Plutarco è quella delle Vite parallele, nella quale si manifesta il principale ca-

rattere del pensiero di questo singolare autore, vale a dire la scelta di un genere letterario particolare come la biografia per illustrare modelli di umanità che i let-tori potessero studiare per apprendere l’arte del vivere. Non si tratta, ovviamente, di una forma di biografia oggettiva, ma, come sempre nel caso di scrittori e sto-rici antichi, di una selezione accurata di elementi che mettono in rilievo il carattere, le aspirazioni, i pregi, i vizi e i limiti dei modelli analizzati. Del tutto evidente risulta l’intento pedagogico, a dimostrazione della cen-tralità del tema dell’educazione nell’opera plutarchea.Il tema fondamentale della virtù viene sottratto al-la sistematicità dell’impostazione classica e trasposto da Plutarco in chiave biografica, evidenziando co-me le vicende della vita si innestino sulle doti natura-li dell’individuo fino al compiuto prender forma del-la sua personalità, sullo sfondo del contrasto tra be-ne e male che pervade la visione del mondo e dell’uo-mo propria di Plutarco. Inoltre, la scelta di trattare le vicende biografiche di personaggi paragonati fra loro soprattutto sulla base della differenza d’origine (il pa-rallelismo fondamentale è quello tra Greci e Romani) mostra anche la consapevolezza di un confronto pro-prio di tutto l’ellenismo.

Le scuole filosofiche ellenistiche Le principali scuole filosofiche ellenistiche, lo Stoicismo e l’Epicureismo innanzitutto, pur nella diversità degli approcci e del-le conclusioni a cui giungevano, fecero propria que-sta impostazione e si proposero il perseguimento di un ideale di saggezza pratica: l’uomo saggio è quello che è in grado di affrontare la vita, anche nelle avversità più negative, senza perdere la propria serenità e sen-za cedere agli impulsi, né farsi guidare dalle passioni. Questi esiti della ricerca filosofica si possono leggere alla luce della profonda crisi dell’identità politica e cul-turale ellenica in un’epoca (assai lunga se si considera che convenzionalmente può essere datata dalla morte di Alessandro Magno fino all’affermarsi del cristiane-simo sul piano culturale e politico) in cui l’individuo percepiva se stesso come privo di legami significativi con la terra natia, la quale non godeva più di alcuna identità politica definita. In questo stesso periodo del-la storia antica si accentuò ulteriormente, anche al di là della ricerca filosofica propriamente detta, il ruolo educativo dei “circoli” intellettuali. Tanto gli Stoici quanto gli Epicurei, non meno dei Platonici, dei Pe-ripatetici e dei seguaci delle scuole “minori”, in cui si

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92 2 La “paidèia” greca

Le lezioni della storia

L’età ellenistica e la fine dell’indipendenza greca

ad esempio il culto della persona del sovrano, spintosi fino alla sua diviniz-zazione. Avveniva così per il singolo in-dividuo il passaggio dalla condizione di cittadino libero di una polis a quella di suddito di un re. Da queste trasforma-zioni e dalle loro conseguenze sul piano culturale e morale, oltre che politico, eb-be origine la civiltà ellenistica. Il primo dei caratteri di questa civiltà fu la diffu-sione della lingua e della cultura gre-ca in tutto il bacino del Mediterraneo: una forma “standard” di greco antico, la cosiddetta koinè, una sorta di lingua uni-versale, valida per tutti gli usi, da quelli commerciali a quelli letterari. Il secon-do carattere principale era rappresenta-

to dal cosmopolitismo, che concepiva l’individuo non più legato alla singola città di provenienza (la polis), ma come cittadino del mondo. Il terzo carattere riguardava l’aspetto politico, ossia l’af-fermazione di regimi monarchici su modello orientale.A partire dal III secolo a.C. ebbe inizio il lungo scontro con la potenza roma-na, che pose fine all’indipendenza della Grecia nel 146 a.C.La conquista romana, tuttavia, ebbe l’ef-fetto di amplificare l’influenza della Gre-cia sul mondo antico. I Romani, infatti, affascinati dalla raffinatezza e dai capo-lavori di tale cultura, nonostante alcune resistenze, ne adottarono forme e con-tenuti. Anche la tendenza accentratrice assunta dai sovrani nella Roma imperia-le derivava, in fin dei conti, dall’adozio-ne degli usi e della cultura greco-elleni-stici. Fu proprio sotto il dominio di Roma che uno degli intellettuali più prolifici del mondo greco, Plutarco, scrisse le Vi-te parallele, opera che tramanda le bio-grafie dei più illustri personaggi dell’età antica accostando, in un continuo con-fronto, i valori della patria greca a quelli della nuova potenza del Mediterraneo.

Della crisi delle città-stato elleniche si avvantaggiò il regno macedone, guida-to prima da Filippo II e poi da Alessandro Magno. Intorno alla metà del IV secolo a.C., Filippo penetrò in Grecia e ne assun-se il controllo, affidando ad Aristotele il compito di curare l’educazione del gio-vane figlio. La figura di Alessandro Ma-gno esercitò un influsso che oltrepas-sava l’importanza delle sue conquiste militari: egli diede vita a un vastissimo Impero che, però, non resistette alla sua morte prematura, avvenuta nel 323 a.C. Ciononostante, la politica alessandrina rivoluzionò il mondo antico, soprattut-to con l’introduzione nella pratica del governo di forme tipiche dell’Oriente,

Alessandro, in trono, riceve l’omaggio dei Persiani (miniatura del XV secolo).

L’estensione dell’Impero di Alessandro a confronto con la situazione odierna.

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934 Il sapere universale: Aristotele e l’ellenismo

era articolato il panorama della fi losofi a antica a par-tire dal V-IV secolo a.C. (si possono ricordare, tra gli altri, i Pitagorici, gli Scettici e i Cinici), si dedicarono a un impegnativo apostolato che spesso ricorreva alla forma del cenacolo comunitario per la preparazione degli adepti e per la diffusione delle idee proprie della scuola di appartenenza.

religione e fi losofi a Se al popolo greco si può attri-buire l’idea di una paidèia organica, intesa come svi-luppo dell’uomo in tutto ciò che di più nobile lo con-traddistingue, tale prospettiva pedagogica si muove tra religione, ricerca fi losofi ca e vita politica: tre facce di-stinte, ma non contraddittorie, della visione dell’uomo tipica del mondo greco. In Grecia si sviluppò una ser-rata rifl essione sulla natura della divinità, a partire dal dato mitologico tradizionale, che giunse a concepire

il divino come l’essere per eccellenza, come colui che dà l’essere agli altri esseri. Questa consapevolezza ebbe una portata storica enorme allorché si incontrò con la rifl essione cristiana, dando vita a una nuova epoca del pensiero occidentale. Religiosità e ricerca fi losofi ca in sostanza si conciliarono sulla medesima concezio-ne del divino e trovarono la strada di una equilibrata, anche se mai compiuta, convivenza, nella consapevo-lezza che il destino umano non è un affare privato ma richiede un impegno comune, “politico” in senso lato, anche se gli spazi effettivi sono limitati e non rimane che la strada di una saggezza pratica.

Qualche domandaÜ Qual è il portato fi losofi co principale dell’età ellenistica?

Ü Qual è la caratteristica delle Vite parallele di Plutarco?

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94 2 La “paidèia” greca

mappa concettuale

verifi che test online

I concetti1 Scegli la risposta corretta tra quelle propo-

ste.

1 Secondo Aristotele, gli esseri si collocano in una gerarchia:a nella quale al vertice vi è l’uomo;b nella quale al vertice vi è Dio;c nella quale l’uomo è in posizione mediana

tra Dio e gli animali;d nella quale l’uomo è il motore immobile.

2 Nella fi losofi a di Aristotele l’uomo virtuoso è quello che agisce:a in base all’illuminazione fi losofi ca; b in base alla legge di Dio;c in base al suo cuore;d secondo ragione.

3 La scuola di Aristotele si chiamava:a Accademia;b Scuola dei fi losofi ;c Liceo o Peripato;d Liceo di Atene.

4 La fi losofi a dell’età ellenistica si propone come:a riscatto degli umili;b ideale educativo;c ideale politico;d terapia.

5 Per i fi losofi dell’ellenismo l’uomo saggio:a interviene per migliorare il mondo attorno a

sé;b non si fa guidare dalle passioni e non perde

la serenità;c conosce le scienze mediche;d studia i fi losofi del passato.

Eccetto Dio, tutto è soggetto al divenire: principi della realtà sono materia, forma, atto e potenza

Plutarco, Vite parallele: intento pedagogico sotteso al genere biografi co

La razionalità distingue l’uomo dagli altri esseriVirtuoso è l’uomo che agisce secondo ragione

Epicureismo e StoicismoSviluppo di “circoli” intellettuali

per la diff usione di dottrine fi losofi che

Il fi ne dell’educazione sono la conoscenza, la formazione e l’esercizio delle virtù; non c’è una fi nalità concretaProcesso formativo inteso come divenire continuo

Aristotele

Età ellenistica Ideale pratico

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95Unità 4 Il sapere universale: Aristotele e l’ellenismo

Il lessico2 Defi nisci i seguenti concetti.

• phrònesis ........................................................................................

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.................................................................................................................

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.................................................................................................................

.................................................................................................................

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• genere prossimo e diff erenza specifi ca .................

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• “circolo” intellettuale .............................................................

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I problemi3 Rispondi alle seguenti domande in massi-

mo 5 righe.

1 Come è costituita l’anima secondo Aristotele?

2 Quali sono le caratteristiche dell’uomo virtuoso per Aristotele?

3 Quale atteggiamento nei confronti del bambino derivò dalla fi losofi a di Aristotele?

4 La fi losofi a di Aristotele aiutò l’innovazione?

5 Quale fu il rapporto tra religiosità e fi losofi a in età ellenistica?

Per approfondire4 Leggi il brano e rispondi alle domande che

seguono.

Dei desideri alcuni sono naturali, altri vani; e di quelli naturali alcuni necessari, altri solo naturali; e di quelli ne-cessari alcuni lo sono per la felicità, altri per il benessere del corpo, altri per la vita stessa. Infatti una giusta cono-scenza di essi sa riferire ogni atto di scelta e di rifi uto al-la salute del corpo e alla tranquillità dell’anima, perché questo è il termine entro cui la vita è beata. Perché è in vista di questo che compiamo tutte le nostre azioni, per non soffrire né aver turbamento.

Epicuro, Epistola a Meneceo, in Opere, a cura di G. Arrighetti, Torino 1970

1 Quali tipi di desideri sono indicati nel brano?

2 In che cosa consiste la felicità secondo Epicuro?

3 A quale scopo agiamo secondo la dottrina di Epicuro?

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2 La “paidèia” greca106 2 LeGGere La PedaGoGIa1 Il discorso di Fenice di Omero

Tra le possibili citazioni, è stato scelto il famoso discorso del “maestro” di Achille, Fenice. Achille, il guerriero più valoroso fra i Greci, è irato per le offese ricevute da Agamennone e ha deciso di abban-donare la guerra contro i Troiani. Questa

decisione può far fallire l’intera impresa. Un gruppo di eroi si reca allora da lui per convincerlo a cambiare opinione. Si ripor-ta di seguito l’appassionato discorso che gli rivolge il vecchio Fenice.

L’autore e il libro I poemi omerici (Iliade e Odissea) sono i testi più importanti di tutta la cultura greca. In essi si trovano numerosi spunti pedagogici, ancora oggi assai validi, che testimoniano l’interesse per l’educa-zione da sempre coltivato dai Greci.

Finalmente Fenice parlò, il vecchio guidatore di carri,scoppiando in lacrime; troppo temeva per le navi achee1.«Achille glorioso, se il ritorno davvero ti sei messo nel cuore,e dalle rapide navi non vuoi tener lontanoil fuoco distruttore, perché l’ira ti cadde nell’animo,come senza di te, caro figlio, potrò rimanereabbandonato? Peleo2, il vecchio guidatore di carri, con te mi mandòil giorno che da Ftia3 t’inviò in aiuto a Agamennone4,fanciullo, che non sapevi ancora la guerra crudele,non i consigli, dove gli uomini nobilmente si affermano.E mi mandò per questo, perché te li apprendessi,e buon parlatore tu fossi e operatore di opere.Così, figlio caro, senza te certo io non vorreirimanere, neppure se il dio di sua bocca mi promettesse,spogliata la vecchiaia, di farmi giovinetto,come allora che prima lasciai l’Ellade belle donne5,fuggendo la lotta col padre, Amintore Ormenìde,che s’adirò con me per l’amante capelli leggiadri6.Egli amava costei e trascurava la sposa,la madre mia. E questa sempre a supplicarmi in ginocchiod’unirmi prima all’amante, perch’ella odiasse il vecchio.E obbedii, così feci; ma il padre mio capì subito,molto mi maledisse, l’Erinni7 odiose invocò:mai sulle sue ginocchia dovesse posare un bambinonato da me! Compirono quella maledizione gli dei,Zeus8 infero e la tremenda Persefone9.(Allora col bronzo acuto volli ammazzarlo,ma un qualche dio calmò la mia collera e in cuoremi pose la voce del popolo, il grave disprezzo degli uo-mini,non mi facesse chiamare in mezzo agli Achei10 parricida).Però il cuore in petto non poté più sopportaredi vivere nel palazzo del padre mio corrucciato.Pure i parenti, e i compagni, standomi molto intornocon preghiere cercavano di trattenermi a casa;e molti forti montoni e buoi zampe curve, corna ritorteuccidevano, e molti porci fiorenti di grassoarrostivano stesi nella fiamma d’Efesto11,molto vino bevuto dagli otri del vecchio.Nove notti dormirono stesi intorno a me, a circondarmi,

a turno facevan la guardia, mai si spegnevail fuoco, uno sotto il portico del cortile ben chiuso,un altro nel vestibolo12, davanti alle porte del talamo13.Quando però la decima notte scese a me tenebrosa,io allora, le porte del talamo, chiuse e sicure,spezzai, venni fuori, saltai la cinta del cortilefacilmente, sfuggendo ai custodi e alle schiave.E poi fuggii lontano, per l’Ellade vasta contrada,e venni a Ftia fertile zolla, madre di greggi,presso il sire Peleo; ed egli m’accolse benigno, m’amò, così come un padre amerebbe un suo figlio,l’unico, sua tenerezza, erede di molte dovizie14.Egli mi fece ricco, mi diede molte genti;vivevo in fondo alla Ftia, regnando sui Dolopi15.Io ti ho fatto quale tu sei, Achille simile ai numi16,ché t’amavo di cuore; e tu non volevi con altriné andare ai banchetti né mangiar nella casa,senza ch’io ti ponessi sopra le mie ginocchiae ti nutrissi di carne, tagliandola, ti dessi del vino.E tu spesso la tunica mi bagnasti sul petto,risputandolo, il vino, nell’infanzia difficile!Così ho sofferto per te molte cose, molto ho penato,pensando questo, che i numi non davano vita a mio seme nato da me17; di te, Achille simile ai numi, un figlio fa-cevo,perché tu un giorno tenessi lontano da me l’oltraggio-sa sventura.Ma doma, Achille, il cuore magnanimo; non ti convieneaver petto spietato; si piegano anche gli dèi,dei quali, certo, maggiore è la forza e l’onore e il potere.Eppure con sacrifici, con amabili suppliche,con libagioni18, con fumo, li piegano gli uomini,scongiurandoli, se mai qualcuno sbaglia o devia».

(da Omero, Iliade, trad. it. R. Calzecchi, Onesti, Einaudi,Torino 2005, 9, vv. 432-501)

1. Sinonimo di greche. 2. Nel discorso sono evocati e menzionati dei, crea-ture mitologiche ed eroi coinvolti nella guerra di Troia. Peleo era il padre di Achille. 3. Patria di Peleo ed Achille, in Tessaglia. 4. Agamennone, mitico re di Argo e Micene e capo della spedizione greca contro Troia. 5. Ellade è sinonimo di Grecia; la Grecia è detta «Ellade belle donne», ossia “Ella-de dalle belle donne”, perché abitata da donne la cui bellezza era celebre. 6. «L’amante capelli leggiadri», ossia “l’amante dai bei capelli, dalle belle chio-me”. «Dai capelli leggiadri» è l’appellativo dell’amante del padre di Fenice.

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107Leggere la pedagogia

2 I Sofi sti e la trasformazione della cultura greca nel VI-V secolo a.C. di Aristofane

I contemporanei si sentirono spesso off esi dall’aggressività e dalla spregiudicatezza dei Sofi sti, che utilizzavano senza scrupoli la loro abilità retorica per vincere le cause giudiziarie e le dispute cittadine. Verso i Sofi sti si sviluppò pertanto una grande diffi denza. Aristofane dà voce a questo risentimento nella commedia Le nuvole (rappresentata per la prima volta nel 423 a.C.), sfruttando lo strumento dell’ironia. Nella commedia vengono messi in sce-na i contrasti tra le generazioni: da una parte c’è Strepsiade, un piccolo proprie-tario assillato dai debiti, dall’altra il fi glio fannullone Fidippide. Strepsiade ha una visione del mondo piuttosto tradiziona-lista, accompagnata da un buon senso un po’ gretto e limitato. Il fi glio incarna invece la nuova generazione, ormai lonta-na dalle convinzioni dei padri ma priva in fondo di idee proprie. La preoccupazione di Strepsiade è quella di dare una buona

educazione al fi glio: perciò Aristofane in-troduce le personifi cazioni del Discorso Giusto (DG)1 e del Discorso Ingiusto (DI)2. Il primo esprime i valori tradizionali, per certi versi moralisti e antiquati, il secondo rappresenta ironicamente la disinvoltura eccessiva dei Sofi sti. Alla fi ne il Discorso Giusto avrà la peggio e Strepsiade sce-glierà di mandare il fi glio alla scuola dei Sofi sti, nella speranza che lì apprenda il modo per evitare i creditori e per difen-dersi in tribunale se citato in giudizio per debiti. Ma le conseguenze saranno ben altre: il fi glio si rivolterà contro il padre fi no a percuoterlo duramente. La commedia è molto divertente ma in essa si intuisce chiaramente il pessimismo dell’autore: Aristofane è convinto che le trasformazioni del suo tempo porteran-no conseguenze negative in ogni cam-po, compreso quello dell’educazione dei giovani.

L’autore e il libro Il movimento sofi stico rappresentò una vera e propria rivoluzio-ne nella cultura greca, specialmente ad Atene. I Sofi sti non credevano alla possi-bilità di stabilire verità certe e valide per tutti nei vari campi del sapere e di conse-guenza attribuivano molto valore ai di-versi punti di vista individuali. Erano cioè, per usare un termine moderno, relativisti. I Sofi sti misero pertanto in discussione le idee e i valori dell’epoca e alcuni di loro attaccarono le credenze tradizionali sugli , la fi ducia nella bontà delle leggi e delle usanze dei Greci. Il loro infl usso si fece sentire non soltanto in campo fi losofi co, ma in tutti i settori della vita sociale.Non si trattò certamente di un fenome-no culturale sorto dal nulla; è possibile individuare alcune sue anticipazioni, per esempio, nel diverso modo di giudicare i racconti mitici nei tre massimi autori tragici, ossia Eschilo, Sofocle ed Euripide.

7. Divinità mostruose che punivano coloro che si macchiavano di colpe gra-vi verso familiari. 8. Il latino Giove, signore dell’Olimpo e degli dei. 9. Dea regina degli inferi, chiamata Proserpina dai Latini. 10. Anche qui sinonimo di Greci. 11. Dio del fuoco, chiamato Vulcano dai Latini. 12. Atrio o ingres-so. 13. Letto o camera nuziale. 14. Ricchezze. 15. I Dolopi sono un popolo che abitava una regione montuosa della Grecia centrale. 16. Dèi. 17. Non mi davano fi gli, discendenza. 18. Spargimenti di vino in onore degli dei.

Commento Fenice ricorda dapprima la sua vicenda perso-nale, e in particolare i fatti che gli costarono la

maledizione di non poter generare fi gli: spinto dalla propria madre, si unì all’amante di suo padre Amintore. Egli, infuriato, invocò sul fi glio la punizione divina. Lo scontro con il padre fu talmente violento che Fenice rischiò di ucciderlo; l’aiuto degli dèi gli permise di non macchiarsi dell’odioso delitto del parri-cidio. Nonostante i tentativi dei parenti di trattenerlo presso la casa paterna con ricchi banchetti, Fenice non sopportava più di stare vicino al padre. Così sfuggì durante la notte alla sorve-glianza degli schiavi e si rifugiò a Ftia, da Peleo, padre di Achil-le. Fenice racconta con gratitudine l’accoglienza che Peleo gli riservò: fu per lui come un padre, lo rese ricco e lo mise a capo del popolo dei Dolopi. Dalle parole di Fenice capiamo anche che egli gli affi dò l’educazione di Achille ancora bambino: lui, che non poteva avere fi gli a causa della maledizione paterna, si ritrovò a essere il prediletto del piccolo. Il bambino lo cerca-va ovunque e in sua assenza rifi utava di partecipare ai banchet-ti. Si mette qui in evidenza un’educazione basata sulla vita comune, l’aff etto e la familiarità: Achille «simile ai numi», perché fi glio di Teti, una dea minore, e di un uomo, Peleo, scelse proprio

Fenice come padre putativo (ossia colui che si comporta come un padre pur non essendolo). Questo spiega l’aff etto paterno che il vecchio nutre per Achille e la rievocazione di episodi vi-vidi e teneri, come quello di Fenice che taglia la carne per il bimbo seduto sulle sue ginocchia, o si ritrova la tunica mac-chiata dai suoi spruzzi di vino (in realtà una miscela di acqua, miele e vino). I precettori, educatori dei bambini nelle case nobiliari, trascorrevano infatti con i fanciulli molto più tempo di quanto ne trascorressero i loro genitori e il rapporto poteva essere dunque molto intimo. Bisogna pensare che le parole di Fenice sono ancora più impressionanti, perché egli rievoca con parole dolci l’infanzia di quello che è il guerriero più valoroso e spietato di tutto il popolo greco.Prima di imparare a saper parlare nelle assemblee e comportarsi in ogni occasione come conviene a un guerriero e al capo di un popolo, Achille è stato un bambino come gli altri. Con queste parole Fenice tenta di convincere Achille a non abbandonare il campo di battaglia: alla fi ne sappiamo che egli rimarrà a com-battere fi no alla morte, sotto le mura di Troia.

Qualche domandaÜ Chi aveva affi dato Achille bambino a Fenice?

Ü Quale tipo di rapporto esisteva tra l’educatore e il fanciullo secondo le informazioni contenute nel brano dell’Iliade?

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Coro: Ora si esibiranno in discorsi abilissimi, in pensieri e riflessioni. Chi sarà il migliore dei due? È bandita una prova di sapienza, una prova decisiva per i nostri amici. Tu che hai dato buoni costumi agli uomini di una vol-ta, parla di ciò che ti diletta, ed esprimi la tua natura.DG: Vi dirò qual era l’antica educazione; quando anda-vo di moda io che sostenevo la giustizia, e la temperan-za era norma. Per prima cosa, i ragazzi dovevano stare in silenzio, e camminavano per le strade in ordine, tutti quelli di un quartiere, dirigendosi alla casa del maestro; e nudi, anche se nevicava fitto. Il maestro gli insegna-va – e dovevano stare fermi, senza accavallare le cosce – canti come «Atena3 terribile, che distruggi le città» o «un grido di lontano», mantenendo l’armonia ereditata dai loro padri. E se qualcuno per fare lo spiritoso intro-duceva qualche gorgheggio, come ora fanno gli allievi di Frinide4, si prendeva un sacco di botte per oltraggio al-le Muse5. Nell’ora di ginnastica dovevano sedere con le gambe distese, in modo da non mostrare le loro vergogne agli estranei. Poi, una volta alzati, dovevano aggiustare la sabbia e badare a non lasciare agli ammiratori tracce della loro giovane bellezza. A quei tempi nessun ragaz-zo si ungeva al di sotto dell’ombelico, cosicché i genita-li fiorivano di morbida lanugine come mele cotogne. E nessuno, modulando languidamente la voce, si permet-teva di fare gli occhi dolci all’amante, facendo il ruffiano di se stesso. Nei banchetti non ci si poteva accaparrare la testa del ravanello, né portar via ai vecchi l’aneto o il sellino6, né essere ingordi, né sghignazzare, tenendo le gambe incrociate.DI: Roba vecchia, come le Dipolie, ricordo dei tempi delle cicale e delle Bufonie!7

DG: Eppure fu proprio questa l’educazione che ho dato agli eroi di Maratona8. Tu, a quelli d’ora gl’insegni ad avvolgersi nel mantello. Mi fa una rabbia quando li ve-do ballare alle Panatenee9, che, senza riguardo per Atena, agitano lo scudo davanti ai genitali. Per questo, ragazzo mio, scegli me, il discorso maggiore; imparerai a odiare la piazza, a tenerti lontano dai bagni, a vergognarti di ciò di cui è giusto vergognarsi, a infuriarti se qualcuno ti prende in giro, a cedere il posto ai vecchi, a non trattare male i genitori; insomma, a non fare niente di male. Sa-rai il pudore fatto persona. Non correrai dalle ballerine che, mentre stai a guardarle a bocca aperta, ti buttano una mela e ti rovinano la reputazione10. Non risponderai a tuo padre chiamandolo Giapeto11, e rinfacciandogli la tarda età, che ha speso per allevare te!DI: Se dai retta a questo qui, ragazzo mio, sarai tale e quale i figli di Ippocrate12, e ti chiameranno «cocco di mamma».DG: Sarai splendido e fiorente, e frequenterai le pale-stre. Non passerai il tempo chiacchierando di sciocchezze

in piazza, come ora si usa, né ad occuparti di questioni fasulle. Invece correrai all’Accademia sotto gli olivi, co-ronato di verdi canne, insieme a compagni perbene, co-me te, odorando di smilace13, di tranquillità, di pioppo bianco: godrai la primavera e i sussurri del platano con l’olmo. Se fai quel che ti dico, e a questo rivolgi la tua attenzione, avrai petto forte, colorito sano, spalle larghe, lingua corta, glutei forti e membro breve. Che se invece fai come ora si usa, avrai colorito pallido, spalle misere, petto gracile, lingua lunga, natiche piccole e membro spropositato, e lunga dichiarazione di voto14; ti persua-derà che è bello ciò che è turpe e turpe ciò che è bello; e ti attaccherà per giunta i vizi di Antimaco15.Coro: O tu che coltivi un’illustre e salda saggezza, com’è dolce e casto il fiore delle tue parole! Beato chi viveva ai tempi antichi! E tu che possiedi un’arte sottile, trova ar-gomenti nuovi contro i suoi, che sono stati gloriosi. Sì, ti occorrono dimostrazioni fortissime se vuoi vincere, e non farti prendere in giro.DI: Da tempo mi divora la voglia di parlare e di mandare all’aria questa bella costruzione con argomenti contrari. I filosofi mi chiamano «discorso minore» perché primo fra tutti ho trovato argomenti contrari alla legge e alla giustizia. Vale più di ogni tesoro saper vincere una cau-sa sbagliata. Ora guardate come confuterò l’educazione che lui ha vantata. Per prima cosa, tu non permetti bagni caldi. Dimmi, per quale ragione biasimi i bagni caldi?DG: Sono una pessima cosa; infiacchiscono l’uomo.DI: Ora ti ho beccato, e non mi sfuggi. Dimmi, secon-do te, chi è l’eroe più grande tra i figli di Zeus, e quello che ha affrontato più dure fatiche?DG: Nessuno fu più valoroso di Eracle16, io penso.DI: E dove mai si son viste «terme di Eracle» fredde? Ep-pure, chi più valoroso di lui?17

DG: Già, ma con questa scusa i bagni sono presi d’as-salto da ragazzi che chiacchierano tutto il giorno, e le palestre sono vuote.DI: Già, tu biasimi anche chi chiacchiera in piazza; e io lo approvo, invece. Se fosse una cosa biasimevole, Omero non avrebbe fatto parlare in piazza Nestore18, né gli altri saggi. E ora vengo alla lingua; lui dice che i giovani non la devono esercitare, io invece sì. Inoltre raccomanda di essere temperanti. Due grossi guai. Vedesti mai la tem-peranza offrire qualche vantaggio? Dillo, ribatti se puoi.DG: Molte volte: Peleo, per esempio, ebbe in premio la spada19.DI: La spada? Un bel guadagno ci ha fatto il poveraccio; ma con la bricconeria Iperbolo, quello delle lanterne, ha guadagnato un mucchio di talenti, altro che spada!DG: Peleo, però, sempre grazie alla temperanza, otten-ne in moglie Teti20.DI: Che poi lo piantò in asso, perché non era focoso, e

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non era un buon compagno di letto. La donna prova pia-cere a farsi sbattere; ma già, tu sei un vecchio rimbambi-to. [Rivolgendosi a Fidippide:] Pensa, ragazzo, quali so-no le conseguenze della temperanza, a quanti piaceri devi rinunciare; fanciulli, donne, còttabo21, leccornie, bevute, divertimenti. Vale la pena di vivere a questo modo? Ora consideriamo la necessità della natura. Poniamo che tu ti sia innamorato della moglie di un altro, e che ti colgano in flagrante. Sei morto, se non sei capace di parlare. Ma se appartieni al mio circolo, puoi sfruttare la natura, ridere, impazzare, non avere tabù. Se anche ti beccano in flagrante adulterio basta dire che non hai colpa di nulla, e rovescia-re il tutto su Zeus: anche lui cede all’amore e alle donne. Tu che sei uomo mica puoi essere più forte di un dio, no?DG: E se per averti dato retta, gli cacciano un ravanello nel culo e lo depilano con la lisciva calda22, potrà negare d’essere un rottinculo?23

DI: E anche fosse, che c’è di male?DG: Ma c’è qualcosa di peggio, dico io?DI: Che dici, se ancora una volta ti dimostro che hai torto?DG: Starò zitto; che altro posso farci?DI: Allora dimmi; gli avvocati, che gente sono?DG: Rottinculo.DI: D’accordo. E i poeti tragici?DG: Rottinculo.DI: Benissimo. E i politici?DG: Rottinculo.DI: E allora; lo vedi che dicevi una sciocchezza? E gli spettatori, per la maggior parte, chi sono?DG: Sto guardando.DI: E che vedi?DG: Per gli dèi; la maggior parte sono rottinculo. Que-sto lo conosco, e anche questo, e quell’altro coi capel-li lunghi.DI: E allora, che ne dici?DG: Ho perso, rottinculo maledetti24. Tenete il mio man-tello, che passo anch’io dalla vostra parte.DI [A Strepsiade]: Dunque; vuoi riportarti via tuo figlio, o vuoi che gli insegni a parlare?Strepsiade: Istruiscilo, puniscilo, affilalo come una la-ma a due tagli, per le cause di poco conto, e per quelle più importanti.DI: Sta tranquillo; ne faremo un sofista.

(Aristofane, Le nuvole, in Tutte le commedie, trad. it. di G. Paduano, Newton Compton, Roma 1991, III, vv. 946-1112)

1. Riportato con la sigla «DG» nel testo. 2. «DI» nel testo. 3. La dea protet-trice di Atene. 4. Poeta e musicista di Mitilene, che introdusse molte novità nell’arte musicale. Aristofane considerava le modulazioni e variazioni nelle opere solenni, tradizionali, come il primo sintomo della corruzione cultu-rale. 5. Le divinità protettrici delle arti. 6. L’aneto e il sellino corrispondono rispettivamente all’anice e al sedano, spezie e ortaggi tipici della cucina gre-

ca. 7. Le Dipolie erano un’antichissima festività ateniese, che comprendeva la cerimonia delle Bufonie, in cui era prevista l’uccisione di un bue. Fissar-si i capelli con fermagli a forma di cicale era ad Atene una moda dei tempi antichi. 8. A Maratona, nel 490 a.C., i Greci sconfissero i Persiani di Da-rio. 9. Le principali festività religiose in Atene, celebrate in onore di Atena. 10. Tradizionale messaggio di seduzione nella cultura greca. 11. Giapeto apparteneva alla più antica generazione divina, quella dei Titani. Dare a qualcuno del «Giapeto» equivaleva a definirlo “vecchione” o “matusalem-me”. 12. Forse identificabile con un uomo politico di Atene, morto nella battaglia di Delio nel 424 a.C. 13. Pianta dai fiori molto odorosi, con la quale i Greci erano soliti fare ghirlande. 14. Polemica contro la tendenza dell’assemblea popolare a moltiplicare le votazioni dei decreti legge, che si sovrapponevano alla grandi leggi istituzionali. 15. Personaggio non identifi-cabile con sicurezza. 16. L’Ercole dei Latini. 17. Presso le Termopili c’erano delle fonti termali calde consacrate a Eracle. Il Discorso Ingiusto difende in questo modo tendenzioso la preferenza dei giovani per le terme calde, che il Discorso Giusto disapprova: solo le acque fredde temprano e irrobusti-scono il fisico. 18. Il più vecchio e il più saggio dei Greci che combatterono a Troia. 19. Narra il mito che Peleo, corteggiato dalla moglie del re Acasto, non cedette alle richieste della donna; questa, per vendetta, raccontò al ma-rito che Peleo aveva tentato di violentarla. Acasto si vendicò lasciando Peleo addormentato e privo della spada in un luogo infestato da belve feroci; ma il dio Ermes (il Mercurio dei Latini) gli procurò una spada fatata. 20. Peleo ebbe infatti in moglie la ninfa Teti, con la quale generò Achille. Si allude qui al fatto che il suo comportamento corretto lo avesse reso particolarmente caro agli dèi e degno dunque di unirsi ad essa. Il matrimonio che ne seguì non fu affatto felice: il Discorso Ingiusto allude a questo, per convincere lo spettatore di avere ragione. 21. Un gioco che consisteva nel lanciare il vino contro un bersaglio. 22. La liscivia è quella che noi chiamiamo abi-tualmente soda caustica, ottenuta con un misto di acqua e cenere. Queste le pene, che oggi troviamo indubbiamente barbare, previste ad Atene per gli adùlteri. 23. Incoraggiando i giovani a compiere atti sconsiderati, il Di-scorso Ingiusto non tiene conto delle pene che essi avrebbero dovuto subire. 24. Si sbeffeggia apertamente qui l’intera popolazione ateniese, categoria per categoria, pubblico compreso.

Commento Nel brano di Aristofane, come si è detto, è de-scritta l’accesa discussione tra due Discorsi: il

Discorso Giusto e il Discorso Ingiusto, con il Coro che fa da arbitro alla disputa. Il primo invoca le pratiche educative tradi-zionali con cui sono state allevate le generazioni precedenti: i giovani dovevano imparare molto presto il senso del pudore, della moderazione e il rispetto per gli anziani; nell’antichità non c’era spazio per l’ozio e le chiacchiere inutili, poiché si conosce-va il valore delle cose importanti. L’educazione del fisico era fondamentale: le palestre e i bagni freddi rendevano i ragazzi resistenti al freddo e alle fatiche, pronti quindi alla battaglia. Così sono stati cresciuti gli eroi greci di Maratona. Questi valo-ri, secondo il Discorso Giusto, sono sempre validi: rispettando-li, il giovane avrà fisico, mente e volontà pronti e saldi e sarà dunque un adulto modello.A questa lunga predica replica il Discorso Ingiusto, che Aristo-fane considera espressione della nuova mentalità sofistica. Il Discorso Ingiusto esorta i giovani a ogni forma di piacere: bere, mangiare, divertirsi e fare all’amore con ragazzi, ragazze e per-sino donne sposate, senza rispetto per niente e per nessuno e trascurando le regole, il senso della misura, la riconoscenza per i genitori, insomma, ogni criterio di giustizia. Quest’ultima, infatti, potrà sempre essere imbrogliata dal sofista con l’abilità della parola. Per dimostrare di avere ragione, il Discorso Ingiu-sto utilizza senza scrupoli fatti ed episodi tratti sia dal mito sia

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dalla vita quotidiana di Atene, interpretandoli in modo par-ziale e fazioso: come quando difende l’uso delle terme calde, aff ermando che anche il famoso eroe greco Eracle le avrebbe frequentate: altrimenti, come avrebbero potuto intitolare a lui le famose sorgenti presso le Termopili? Un altro esempio del rovesciamento del discorso si ha quando, nella parte fi nale, il Discorso Giusto off ende scriteriatamente tutti gli intellettuali ateniesi (avvocati, poeti tragici, politici), fi no al pubblico pre-sente a teatro, trattandoli alla stregua dei più corrotti soggetti della città. In questo il Discorso Giusto si comporta veramente come il peggiore dei Sofi sti. Alla fi ne il Discorso Giusto si arren-de: non c’è nulla da fare contro questa abile parlantina, bisogna cedere. Strepsiade dovrà fare educare il proprio fi glio da quegli ingannatori, sperando così che il ragazzo diventi ricco e po-

tente. Con un’ironia tagliente, Aristofane critica ferocemente i nuovi costumi degli ateniesi, che stanno perdendo il senso della tradizione e dell’onestà. A tal fi ne, lascia ai posteri un’immagine spassosissima e spietata di questo nuovo genere di educatori, descritti come dei fanfaroni e dei corrotti.

Qualche domandaÜ Quali erano, secondo Aristofane, gli aspetti positivi

dell’educazione tradizionale?

Ü Quali sono, secondo lui, i maggiori pericoli dell’educazione sofi stica?

3 Una prospettiva alternativa alla fi losofi a. L’arte dell’eloquenza di Isocrate

guito rifi utò molte delle loro posizioni. Nell’orazione Contro i sofi sti, di cui ripor-tiamo buona parte, Isocrate critica i suoi avversari e stabilisce i doveri del buon oratore: primo fra tutti quello di espri-mere sempre, attraverso le sue parole, la

verità. L’opera ebbe una fortuna immen-sa e accrebbe moltissimo l’importanza degli studi linguistici, retorici e letterari. Per molti secoli successivi, infatti, l’educa-zione si sarebbe fondata proprio su studi di questo tipo.

L’autore e il libro Isocrate visse ad Atene tra il V e il IV secolo a.C. e fu un celebre maestro di retorica e autore di discorsi, che spesso scriveva su commissione. Da giovane risentì profondamente dell’in-fl uenza dei Sofi sti e di Socrate, ma in se-

Se tutti coloro che si dedicano all’educazione volessero essere sinceri e non promettessero più di quanto posso-no guadagnare, non incorrerebbero nelle critiche della gente; ora, invece, coloro che osano troppo inconside-ratamente1 vantarsi, hanno fatto sì che meglio sembri-no deliberare quelli che preferiscono non occuparsi di nulla, di quelli che dedicano il loro tempo al sapere. Chi, infatti, non proverebbe antipatia e disprezzo, in pri-mo luogo, verso coloro che consumano il loro tempo in discussioni inconcludenti, i quali si danno l’aria di ricer-care la verità, ma subito, fi n dagli inizi del programma, cominciano a mentire? […]Costoro sono giunti a tal punto di impudenza, che ten-tano di convincere i giovani che, se li frequenteranno, sapranno ciò che si deve fare, e in virtù di questa scienza saranno felici. E pur facendosi maestri e arbitri di siffat-ti beni, non si vergognano di chiedere in cambio tre o quattro mine2 soltanto.Ma, se vendessero qualcun altro dei loro beni a una mi-nima parte del loro valore, non pretenderebbero di essere saggi; quando invece valutano così poco l’intera virtù e felicità, come se fossero intelligenti, credono giusto di-ventare maestri degli altri. E affermano che non hanno bisogno di averi, chiamando la ricchezza un pugno di argento e di oro; ma poi, in cerca di un piccolo guada-gno, per poco non promettono ai discepoli di renderli

immortali. Ma questa è davvero la cosa più ridicola: che a quelli, dai quali devono avere un compenso per le lezio-ni, negano fi ducia, pur essendo in procinto di trasmette-re loro la rettitudine; e proprio da quelli di cui mai sono stati maestri, si fanno garantire quanto devono ricevere dai loro discepoli, bene consigliandosi, in verità, per la propria sicurezza, ma comportandosi in pratica in modo contrario al loro programma. Certo, non è disdicevole che chi si dedica a qualche al-tro insegnamento, curi il proprio interesse. Niente in-fatti impedisce che chi abbia acquistato abilità in altri campi, violi i patti convenuti; ma, come non è illogico che quelli che inculcano la virtù e la saggezza, non ab-biano fi ducia soprattutto nei loro discepoli? Non infatti di certo, questi, se nei riguardi degli altri sono ottimi e giusti, saranno scorretti verso quelli, ad opera dei quali sono così diventati. Qualora dunque qualche profano, avendo considerato tutto questo, si accorga che coloro che insegnano la sa-pienza e trasmettono la felicità hanno essi stessi bisogno di molte cose e si fanno pagare piccole somme dai loro discepoli, e mentre vanno a caccia delle contraddizioni nelle parole non le scorgono nelle azioni, e ancora, pur vantandosi di conoscere le cose future, circa le presen-ti non sono capaci né di dire né di consigliare alcunché di conveniente, ma che sono più coerenti e più riescono

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quelli che seguono l’opinione di quelli che si vantano di possedere la scienza, bene a ragione, credo, disprezzino e giudichino ciarlataneria e meschinità questo genere di discussioni, e non educazione dell’anima. Non è giusto però criticare soltanto costoro, bensì anche quelli che promettono di insegnare l’eloquenza pubblica. Essi infatti non si danno pensiero della verità e pensano che l’abilità sia questa, se cioè attirano quanti più pos-sono con una modesta richiesta di denaro e con grandi promesse, e se possono ottenere da loro un qualche gua-dagno. Sono così insensati essi stessi e pensano che lo siano anche gli altri, che pur scrivendo discorsi in modo peggiore di quelli che alcuni inesperti improvvisano, ciò nonostante assicurano che renderanno chi li frequenta oratore sì abile che non gli sfuggirà nessuno aspetto pos-sibile delle questioni. […]Ecco la prova più evidente della diversità fra le due cose: non è possibile che i discorsi siano belli, se non si accor-dino alle circostanze, non siano aderenti al soggetto, non abbiano originalità; le lettere, invece, non abbisognano di nessuna di queste norme. Cosicché coloro i quali si ser-vono di simili esempi, sarebbe molto più giusto pagasse-ro piuttosto che ricevere denaro, poiché, pur avendo essi stessi bisogno di molto studio, vogliono educare gli altri. Se io devo non solo muovere accuse agli altri, ma anche manifestare il mio pensiero, ebbene, penso che tutte le persone assennate siano d’accordo con me nel dire che molti di quelli che si sono dedicati alla filosofia conti-nuano a essere degli sprovveduti; alcuni altri invece, che non hanno mai frequentato alcun sofista, sono diventa-ti capaci nel dire e nel trattare i pubblici affari. Infatti la capacità oratoria e la capacità di agire in ogni campo si trovano in chi ne è per natura dotato e in chi si sia eser-citato con l’esperienza. Ma è l’educazione che fa tali individui più abili e ricchi di risorse per le ricerche; infatti insegna loro a cogliere con più prontezza quegli elementi che ora trovano al-la cieca; ma non potrebbe rendere polemista valente o compositore di discorsi chi è meno dotato per natura; potrebbe tuttavia renderlo migliore di quello che è e far sì che sia più accorto riguardo a molte cose.Poiché sono giunto a questo punto, voglio parlare in modo ancora più chiaro su questo argomento. Io dico, infatti, che non è tra le cose molto difficili acquistare la conoscenza dei procedimenti retorici, coi quali pronun-ciamo e componiamo tutti i discorsi, qualora uno si affidi non a chi facilmente promette, ma a chi è esperto del-la materia; però scegliere tra questi procedimenti quelli che convengono a ciascun argomento, collegarli l’uno con l’altro, ordinarli convenientemente e, ancora, non sbagliarsi sul momento di usarli, variare con riflessioni in modo adatto, il complesso del discorso ed esprimersi

con armoniose e musicali espressioni, il tutto questo ri-chiede molta cura, ed è proprio di uno spirito vigoroso e sagace3; ed è necessario che il discepolo, oltre a posse-dere una natura adatta apprenda i procedimenti retorici e si eserciti nel loro uso, e che il maestro sia in grado di esporli così accuratamente, da non tralasciare nulla di ciò che si può insegnare; riguardo al resto, poi, offra sé stesso ad esempio, in modo che sia subito evidente che quelli su cui ha lasciato un’impronta e sono in grado di imitarlo, si esprimono con un linguaggio più fiorito ed elegante degli altri. Qualora si siano verificate tutte queste circostanze, chi si dedica all’oratoria raggiungerà la perfezione; ma se qualcuna delle suddette condizioni viene a mancare, necessariamente, sotto questo riguardo, i discepoli si trovano in difetto.Senza dubbio quei sofisti che sono venuti su da poco, e di recente si sono lasciati andare a millanterie4, anche se ora passano ogni limite, tutti, so bene, ripiegheranno su questi principi. Mi resta da parlare di quelli vissuti prima di me, che osarono scrivere i cosiddetti trattati di retori-ca; non bisogna lasciarli senza critiche. Essi promisero di insegnare a discutere le cause in tribunale, avendo scelto la più sgradita tra le espressioni, che avrebbe dovuto usa-re chi ha in odio l’eloquenza, e non chi è maestro di tale metodo di educazione: tanto più potendo l’arte oratoria giovare, per quanto è insegnabile, al genere giudiziario non più che a tutti gli altri. Tanto sono stati peggiori di quelli che si ingolfano in vane contese verbali, in quan-to questi, pure esponendo così futili opinioni, alle quali se uno si attenesse nella pratica, subito si troverebbe nei guai, ciò nonostante promettono, a questo proposito, la virtù e la saggezza; quelli invece, invitando all’orato-ria pubblica, messi da parte gli altri vantaggi presenti in questo genere di discorsi, si sono prestati a esser maestri di intrigo e di cupidigia5.

(Isocrate, Contro i sofisti,in Orazioni, a cura di M. Mazzi,2 voll., Utet, Torino 1996, pp. 1-20)

1. In modo sconsiderato, senza giudizio né misura. 2. La mina è una antica moneta greca di moderato valore rispetto al talento (un talento equivale-va approssimativamente a sessanta mine). Si tratta di un guadagno misero, di poco conto rispetto a quello che promettono di insegnare. 3. Di mente pronta, rapida. 4. Promesse esagerate, vanterie che non hanno corrispon-denza alcuna con la verità. 5. Avidità.

Commento Isocrate se la prende con varie categorie di persone che pretendono di educare i giovani:

i Sofisti, i maestri di retorica e i filosofi. Tutti promettono molto di più di quanto possono mantenere, si perdono in chiacchie-re inconcludenti e spesso sono interessati soltanto al denaro. I primi, infatti, sostengono di essere insegnanti di prim’ordine e di fare dei loro allievi uomini retti, saggi e colti: in cambio, chiedono una retribuzione assai misera, il che rende poco cre-dibili le loro promesse. In più, desta ancora maggiore sospetto

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il fatto che chiedano di essere pagati in anticipo: se voi preten-dete di rendere i vostri allievi giusti e virtuosi, sostiene Isocrate, come potrebbero rifi utarsi alla fi ne dei loro studi di pagare il prezzo stabilito? Nessun uomo corretto commetterebbe un’azione simile. Dunque, insinua Isocrate, i Sofi sti sono in ma-lafede e imbrogliano le persone ingenue con i loro ragiona-menti pretenziosi. Della stessa pasta, tuttavia, sembrano i ma-estri di retorica: anch’essi si propongono come insegnanti per cifre troppo modeste rispetto a quello che promettono di of-frire. In realtà secondo Isocrate sono spesso dei ciarlatani, che non possiedono neppure quell’arte che dicono di trasmettere. Anche i fi losofi non sono in grado di assicurare una prepara-zione decente: molto spesso chi li frequenta è e resta sprovve-duto, mentre altri sanno cavarsela benissimo da soli negli af-fari e nelle questioni pubbliche.Questo perché, aff erma Isocrate, molto dipende dalla natura della persona: perché l’educazione abbia il suo eff etto, c’è biso-gno di giovani che abbiano ottime inclinazioni naturali. Senza una buona propensione alla base, nessuno può fare miracoli e chi li promette è solo un imbroglione. Molti sono gli “ingre-dienti” necessari per formare un buon retore: il maestro deve esporre in modo accurato ogni aspetto della sua arte; il giovane deve essere particolarmente sveglio, capace di aff errare al volo un’idea o un suggerimento che gli giunga dall’esterno e utiliz-zarlo nel suo discorso; deve poi imparare attentamente tutte le regole e i trucchi del mestiere ed esercitarsi lungamente. Il maestro, se è bravo, si off rirà da subito come esempio per il giovane che imparerà a imitarlo e acquisirà così un linguaggio più raffi nato.I Sofi sti, che sono una nuova generazione di insegnanti, dopo

queste prime baldanzose proposte, ripiegheranno su questi criteri, com’è ovvio; anche i tradizionali manuali di retorica sono però inservibili per Isocrate. L’eloquenza era insegnata prevalentemente per avere la meglio nelle cause giudiziarie, in tribunale: con questo fi ne così basso e meschino non ci si deve meravigliare che una disciplina così importante abbia perso valore.Questo brano è dunque una lunga denuncia della scorrettezza dei metodi educativi contemporanei e precedenti, giudicati insuffi cienti e usati per procurarsi fonti di guadagno illecite. Bisogna però notare che proprio da queste righe emerge net-tamente il grande interesse degli antichi Greci per l’educazione: attorno a questa attività erano sorti inganni e truff e di ogni genere perché i Greci di buona famiglia erano disposti a pagare (e, in certi casi, a lasciarsi raggirare ingenuamente) pur di assi-curare ai loro fi gli una buona educazione. Questa era necessaria infatti ai cittadini che volevano prendere parte alla vita politica o semplicemente essere rispettati in caso di accuse ingiuste. Ma, commenta saggiamente Isocrate, per prima cosa bisogna rispettare le inclinazioni individuali, le attitudini di ciascuno.

Qualche domandaÜ Che cosa rimprovera Isocrate ai Sofi sti, ai maestri di

retorica e ai fi losofi ?

Ü Di che cosa c’è bisogno, secondo Isocrate, per realizzare un’effi cace azione educativa?

Ü Come deve essere insegnata l’eloquenza?

4 Il mito della caverna di Platone

del corpo; i guardiani o soldati, ossia gli uomini più coraggiosi; e infi ne i dirigenti dello Stato, coloro che sono in grado di dominare gli impulsi e le passioni grazie alla loro razionalità. Questi ultimi sono i fi losofi , ossia quegli uomini particolar-mente dotati in grado di conoscere la vera realtà e il Bene. Solo chi conosce il Bene, infatti, può attuarlo a vantaggio dell’intera comunità.Nel libro VII della Repubblica si trova il ce-lebre “mito della caverna”, in cui la condi-zione dell’essere umano è paragonata a quella di uno schiavo incatenato in una grotta. Lo schiavo, rivolto verso la parete della caverna, percepisce soltanto ombre imperfette delle vere realtà che stanno fuori. Secondo Platone, nella vita normale siamo legati alle esperienze dei sensi e ai bisogni del corpo e questo ci impedisce di conoscere la verità. La maggior parte

delle persone rimane sempre in questa condizione. Solo con grande fatica qual-che schiavo riesce a uscire dalla caverna e a conoscere, illuminate dal sole (che nel mito rappresenta il Bene), le realtà come veramente sono. Questi è il fi loso-fo. Il mito simboleggia dunque il faticoso processo di acquisizione del sapere, che culmina nella conoscenza delle vere real-tà, le idee, illuminate dal Bene.Il resto del VII libro descrive in dettaglio, e non più in forma di mito, le varie tappe del processo conoscitivo. È importante notare che il programma educativo pro-posto da Platone è rivolto esclusivamente ai guardiani e ai fi losofi , dato che per la terza classe di cittadini egli riteneva suf-fi ciente una formazione di carattere solo professionale. Il brano riportato è quello immediatamente successivo al mito, o «immagine», della caverna.

L’autore e il libro Il grande fi losofo Pla-tone (427-347 a.C.) era stato in gioventù allievo di Socrate (469-399 a.C.), dal quale aveva imparato l’amore per la virtù e l’esi-genza di superare il relativismo dei Sofi sti. Per Socrate e Platone, infatti, il compito fondamentale della fi losofi a era quello di cercare conoscenze e valori assoluti, cioè validi per tutti.La preoccupazione principale di Platone era la costruzione di uno Stato giusto; egli aff ronta questo tema soprattutto nella Repubblica, un lungo e importante dialogo che ha per protagonista Socrate. In questa opera Platone concepisce un ideale di società che sarà molto discusso in tutta la tradizione fi losofi ca occidenta-le. Egli è convinto che i cittadini debbano essere divisi in tre categorie, a seconda delle loro attitudini individuali: i lavorato-ri, legati alla vita materiale e agli impulsi

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Ebbene, diss’io, mio caro Glaucone1, questa immagi-ne bisogna applicarla tutta a ciò che si è detto dianzi: il mondo visibile2 somiglia a quel carcere3 e la luce di quel fuoco4 alla potenza del sole5; e se supponi che la salita verso l’alto e la contemplazione delle cose di lassù rap-presentino l’ascesa dell’anima al mondo intelligibile6, non t’ingannerai sulla mia opinione, perché è questa ap-punto che tu desideri di conoscere. Il dio sa se sono nel vero; ma io credo che sia così: che nel mondo intelligi-bile l’idea del bene sia la più alta e la più difficile a scor-gersi, ma che, quando si sia scorta, bisogna concludere che essa è per tutti la causa d’ogni cosa buona e bella7; poiché nel mondo visibile ha generato la luce e il signo-re di questa, e nel mondo intelligibile, dov’essa egual-mente signoreggia, ha prodotto la verità e l’intelligenza; e che questa idea è quella che deve conoscere chi voglia condursi saggiamente nella vita privata e nella pubblica8.Sono, disse, anch’io del tuo parere, a quanto posso giu-dicare.Orsù, continuai, sii del mio parere anche in questo, e non meravigliarti che coloro, i quali sono saliti a tanta altezza, non vogliano più occuparsi delle faccende uma-ne; ma che, invece, nella loro anima, aspirino senza po-sa a vivere lassù; giacché questo, credo, è perfettamente naturale, se, a sua volta, la realtà deve rispondere all’im-magine che ne ho tracciata9.Perfettamente naturale, disse.E che? soggiunsi; ti pare poi strano che uno, discenden-do da questa divina contemplazione alle miserie terrene, faccia una magra figura e sembri oltremodo ridicolo, se, mentre ha tuttora la vista abbagliata e prima d’assuefar-si abbastanza alle tenebre che lo circondano, si trovi co-stretto a contendere nei tribunali o altrove intorno alle ombre del giusto o ai simulacri che le ombre proiettano e a disputare intorno alle interpretazioni che di codeste cose danno quelli che non hanno mai veduto la giusti-zia in sé?10

Anche in ciò, disse, non c’è nulla di strano. […]Or dunque, ripresi, se tutto ciò è vero, dobbiamo con-cluderne quanto segue: che l’educazione non è tale qua-le certuni pretendono che sia. Questi, credo, affermano, che quand’anche in un’anima non ci sia la conoscenza, essi possono mettervela, come si metterebbe la vista in occhi ciechi11.Difatti lo affermano, disse.Mentre invece, diss’io, il nostro ragionamento ci significa che nell’anima di ognuno di noi c’è la facoltà di appren-dere e l’organo mediante il quale ciascuno apprende; e che, come un occhio che non sia capace di volgersi dalla oscurità alla luce, se non con tutto il corpo; così quest’or-gano dell’anima dev’essere stornato con tutta l’anima da ciò che è divenire, fino a che non si renda capace di con-

templare l’essere e contemplarlo nella sua parte più lumi-nosa che è, come affermiamo noi, il bene. O non ti pare?Ma sì.L’educazione, dunque, diss’io, è l’arte di produrre questo rivolgimento, e produrlo nel modo più facile e più pro-ficuo, non quella di mettere nell’uomo la facoltà visiva, ma di procurare a chi già possiede la vista, ma è volto male e non guarda dove dovrebbe, la possibilità di que-sta conversione.Difatti così pare, disse12.Ora si può ammettere che per altre qualità, che si dicono proprie dell’anima, avvenga suppergiù ciò che si verifi-ca per quelle del corpo: che in realtà, pur non essendoci prima, possano introdurvisi con l’abitudine e con l’eser-cizio. Ma la virtù dell’intendere è, mi pare, qualche cosa che, a preferenza d’ogni altra, partecipa del divino; essa non perde mai il suo potere, ma secondo che s’indirizza in un senso o in un altro, diventa utile e giovevole o, vi-ceversa, inutile e dannosa13.[…] Or dunque, diss’io, se l’anima dotata d’un tal po-tere [di un’intelligenza adeguata] fosse sin dalla fanciul-lezza liberata e ripulita intorno di quelle parti che, con-generi14 al divenire, connaturandosi con essa per eccesso di cibo, di piaceri e di ghiottonerie, le formano in giro quasi delle concrezioni plumbee15 che ne traggono in giù la vista; se, ripeto, liberata di questo peso, fosse volta al vero, anche l’anima di questi medesimi uomini vedreb-be la verità con altrettanta nettezza con quanta vede ora le cose a cui è volta.È probabile, disse. […]Ora spetta a noi, fondatori della repubblica, di costringe-re le nature meglio dotate ad elevarsi a quella disciplina16, che nel discorso precedente abbiamo definita la più alta, e vedere il bene e ascendere quella difficile via; e poiché, ascesi, abbiano visto sufficientemente il bene, non per-mettere ad essi ciò che ora si permette loro.E che è questo?Il rimanervi, diss’io, e non volerne ridiscendere presso quegli incatenati, né partecipare alle fatiche e alle di-gnità di laggiù, poco o molto che sia il conto che se ne debba fare.Sicché, disse, li tratteremo ingiustamente e li obblighe-remo a vivere peggio, quando potrebbero meglio17. […]Rifletti, dunque, Glaucone, che non faremo neanche torto a quelli che tra noi diverranno filosofi, ma addur-remo loro dei giusti motivi per costringerli ad aver cura degli altri e custodirli. Giacché diremo loro che quelli, i quali nelle altre città divengono filosofi, è ragionevole che non si mescolino alle beghe della vita politica, dac-ché essi si formano di loro iniziativa e malgrado il gover-no di ciascuna città; onde è giusto che chi è venuto su di per se stesso, e non è a nessuno in debito del proprio

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nutrimento, non sia neppur sollecito di pagarne il prez-zo a nessuno; ma voi altri, invece, noi v’abbiamo formati nell’interesse vostro e dello Stato, per essere, come negli sciami delle api, condottieri e re, e v’abbiamo educati meglio di quelli e più compiutamente, e resi più capaci d’occuparvi ad un tempo così di filosofia come di poli-tica18. Ciascuno di voi dunque deve a sua volta discen-dere nella dimora comune e assuefarcisi a contemplare gli oggetti nelle tenebre; perché assuefacendovi a questo, vedrete assai meglio che quelli di laggiù, e riconoscere-te ciascuna immagine, quale sia e di che, per aver visto i veri esemplari della bellezza, della giustizia e del bene. E così noi e voi costituiremo e governeremo la città vigi-lando e non sognando, come avviene ora nella maggior parte delle città, per colpa di costoro che combattono tra loro per delle ombre e si contendono accanitamente il potere come se fosse un gran bene19. Ma la verità, se io non erro, è questa: che quello Stato, nel quale coloro che son chiamati a reggerlo sono men d’ogni altro pre-murosi d’assumervi il potere; questo è necessariamente meglio governato e più tranquillo, mentre accade il con-trario in quegli stati i cui governanti facciano il contrario.Proprio così, disse.Ebbene, credi tu che i nostri alunni, udendo queste ra-gioni, ci disobbediranno e si rifiuteranno di collabora-re al governo ciascuno a sua volta, pur vivendo tra loro la maggior parte del tempo nella pura contemplazione del bene?Impossibile, rispose, giacché essi sono giusti e noi non prescriviamo loro se non delle cose giuste; ma è indiscu-tibile che ciascuno di loro si sobbarcherà al potere unica-mente come ad un dovere imprescindibile, al contrario di ciò che avviene per i governanti odierni in ogni città. […]Vuoi dunque che ora esaminiamo per prima cosa que-sto: in che modo si formino codesti caratteri e per qual via si possa innalzarli alla luce, come di alcuni si dice che dall’Ade20 fossero stati assunti tra gli dèi?E come non volerlo?, disse.E in ciò, a quanto pare, non si tratta del capovolgimen-to d’una piastrella, ma del rivolgimento dell’anima da un giorno tenebroso al giorno vero, ad un’ascesa, cioè, verso l’essere, che è, come lo definiamo, il compito del-la vera filosofia.21

(Platone, Repubblica, in Tutte le opere, trad. it. di G. Pugliese Carratelli, Sansoni, Firenze 1988, VII, 516b-520a)

1. È l’interlocutore principale di Socrate nel dialogo platonico. 2. Cioè la realtà che cade sotto i nostri sensi, fatta di materia. 3. La realtà materiale è come un carcere per la nostra anima, che non riesce a elevarsi e a contem-plare il Bene a causa delle molteplici occupazioni del corpo. 4. Il fuoco nel-la caverna rappresenta il sole, cioè il Bene, che è presente nel mondo intel-ligibile. 5. Il sole è il Bene, di cui noi percepiamo solo un vago riflesso nel mondo sensibile. 6. L’anima del filosofo è infatti quella che riesce a distac-carsi dalle cose materiali e a cogliere il Bene. 7. Il Bene è la causa di tutto

ciò che a noi appare bello e buono, anche se in modo parziale, imperfetto, perché legato alla materialità. Solo l’idea del Bene è perfetta e compiuta in sé. 8. La conoscenza del Bene è la condizione necessaria per la pratica della virtù, sia nella vita quotidiana sia nella vita politica. 9. Chi conosce il Be-ne è completamente appagato e non vorrebbe distaccarsene; per cui la vita quotidiana, materiale, gli sembra inutile e dannosa. 10. Platone allude qui al disagio di colui che conosce il Bene in sé e si trova a confrontarsi con la miseria delle ingiustizie della vita quotidiana: egli non riuscirà mai più ad ambientarsi. 11. Platone paragona la conoscenza alla vista: nessuno può far vedere qualcosa a qualcuno se questi non è dotato della vista. Allo stesso modo nessuno può infondere la conoscenza in un altro, come se travasasse qualcosa in un recipiente. 12. La conoscenza non si trasmette direttamente da un maestro a un allievo, come pensano alcuni; può essere solo suscitata nell’animo del discepolo. Questi è già provvisto della facoltà necessaria, de-ve solo rivolgersi verso il Bene, con tutta l’anima. L’educazione è appunto questo rivolgimento. 13. La facoltà razionale è di origine divina: secondo Platone l’anima umana è infatti immortale. Essa può dunque essere con-vertita al bene o al male, ma non c’è dubbio che ogni uomo sia natural-mente dotato di ragione. 14. Dello stesso genere, natura del divenire, cioè del mondo sensibile. 15. Prosegue la similitudine della conoscenza con la vista. La conoscenza è come la vista: come le «concrezioni plumbee» (mas-se oscure di piombo) che ricoprono gli occhi impedirebbero a chiunque di vedere, così i vizi dell’anima la appesantiscono impedendole di conoscere il Bene. 16. La dialettica. 17. Costringendo i filosofi a «tornare sulla ter-ra», cioè a occuparsi dell’amministrazione della repubblica, forse si fa loro torto, perché li si allontana dalla contemplazione del Bene, che per loro è il massimo desiderio. Il senso è che i migliori governanti sono coloro che non solo non si gloriano della loro posizione, ma addirittura non la desi-derano neppure: solo così si può avere un’amministrazione giusta ed equa. 18. Pur non desiderandolo, i filosofi dovranno occuparsi della cosa pubbli-ca, perché riconoscenti della formazione ricevuta, che è a carico dello Stato. 19. Coloro che “sognano” sono i governanti delle altre città, che corrono ingiustamente dietro alle ombre, alla brama di potere, perché non hanno visto il Bene. 20. Il regno degli inferi. 21. Il rivolgimento dell’anima verso la filosofia non è come il capovolgimento di una piastrella, scrive ironicamente Platone: è l’ascesa dell’anima verso l’essere, verso la vera realtà, che ha co-me suo compimento la conoscenza del Bene. La filosofia è ciò che permette questo percorso, mutando la condizione dell’anima dalla schiavitù della vita.

Commento Per capire il mito della caverna bisogna tener presente che Platone fa una distinzione fon-

damentale tra il mondo che percepiamo con i sensi (il mondo sensibile, che è solo ombra della vera realtà) e quello che co-nosciamo con l’intelligenza, ossia con l’anima (il mondo intel-ligibile, che è la vera realtà). Nel mito della caverna, al mondo sensibile corrispondono le ombre proiettate dal fuoco nella caverna, al mondo intelligibile la vera realtà, che è illuminata dal sole, cioè il Bene. Finché siamo legati al mondo materiale, siamo come schiavi incatenati che sono costretti a vedere solo ombre della vera realtà. L’educazione è quel percorso che ci libera, mostrandoci che la vera realtà non è quella che abbiamo tutti i giorni sotto gli occhi, ma ciò che possiamo conoscere attraverso l’anima. Solo nell’anima, infatti, possiamo scorgere il Bene. Chiunque voglia comportarsi con saggezza, sia nella vita privata sia in quella pubblica, deve appunto guardare al Bene.L’educazione è perciò il rivolgimento dell’anima al Bene tramite la conoscenza, e non è, scherza Platone, come capovolgere una piastrella.Non tutti infatti sono destinati a una simile educazione: solo quelli che sono naturalmente predisposti, dotati di carattere mi-

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gliore e di pronta intelligenza, che amano il sapere e non sono invece minimamente interessati al potere. La loro formazione sarà a spese dello Stato, che li chiamerà poi a occupare le più alte responsabilità. Essi non avranno alcun interesse nell’as-sumere la direzione dello Stato, ma rimpiangeranno senza sosta la loro formazione, gli anni in cui sono vissuti liberi dalle occupazioni materiali, dediti solo alla cura dell’anima e alla conoscenza. Chi coglie la vera natura del Bene, infatti, soff rirà nel distaccarsene e tornare alle beghe quotidiane, alle miserie cittadine, nel mondo delle ombre. Questi giovani saranno i reggenti dello Stato per ripagarlo del privilegio dell’educazione ricevuta; per giustizia e riconoscenza non potranno rifi utarsi senza approfi ttare del loro ruolo e della loro posizione.Per capire la teoria di Platone, bisogna pensare che egli era un aristocratico ateniese che avrebbe dovuto diventare un uomo politico, ma rimase profondamente deluso dai governi che si

susseguirono: quello oligarchico, detto “dei Trenta Tiranni”, e an-che dalla democrazia che si istituì successivamente. Fu proprio il regime democratico a condannare ingiustamente a morte Socrate, il suo maestro. Per questo Platone non abbandonò mai l’interesse politico, ma teorizzò uno Stato in cui i reggenti, i migliori tra gli uomini, fossero educati alla vera conoscenza del Bene e della virtù.

Qualche domandaÜ Secondo Platone, possiamo conoscere la verità tramite

i sensi?

Ü Perché per Platone è importante l’educazione?

Ü Perché i fi losofi sono i migliori governanti?

Chi vuol fare una ricerca conveniente sulla costituzione migliore deve precisare dapprima qual è il modo di vita più desiderabile. Se questo rimane sconosciuto, di neces-sità rimane sconosciuta anche la costituzione migliore, perché è naturale che stiano nel modo migliore quelli che nelle loro reali condizioni si governano nel modo miglio-re, sempre che non capiti qualcosa di imprevisto. Per ciò bisogna dapprima accordarsi su questo: qual è il modo di vita più desiderabile per tutti, diciamo così, poi, se è lo stesso per la comunità e per gli individui presi singo-larmente o diverso1. […] In verità, riportandoci a una sola distinzione dei beni, dal momento che ce ne sono tre specie, quelli esterni, quelli del corpo e quelli dell’anima, nessuno può dubitare che chi è beato li deve possedere tutti quanti: e infatti nessu-no direbbe beato chi non ha neppure un po’ di coraggio, né di temperanza, né di giustizia, né di prudenza, ma sta in apprensione per le mosche ronzanti, non indietreg-gia di fronte a nessuna delle azioni peggiori, se ha bra-ma di mangiare o di bere, tradisce per un quarto d’obo-lo gli amici più cari e parimenti è così insensato e sviato nell’intelletto come un bambino o un folle. Ma queste cose, quando si dicono, le accetterebbero tutti, mentre

poi discordano riguardo alla quantità che desiderano di ogni bene e alla loro relativa superiorità. Così di virtù ritengono suffi ciente averne una quantità qualsiasi, di ricchezze, invece, di beni, di potenza, di fama e di tutte le altre cose simili cercano un accrescimento illimitato. Noi diremo a costoro che su tale questione è facile arri-vare a una convinzione, fondandosi sulla prova dei fatti, giacché si vede che gli uomini acquistano e mantengono non le virtù coi beni esterni ma questi con quelle, e che la vita felice, consista nel godere o nella virtù o in entram-bi, compete maggiormente a quelli che curano in som-mo grado il carattere e l’intelletto e hanno un possesso modesto di beni esterni anziché a coloro che possiedono di questi più di quanto non esiga il bisogno e mancano in quelli. Non solo, ma anche a chi lo considera alla lu-ce della ragione, il problema diventa ben comprensibi-le. I beni esterni hanno un limite, come uno strumento, e ogni cosa utile serve a una cosa determinata: ora una sovrabbondanza di questi necessariamente danneggia o non comporta utilità alcuna a chi li possiede, mentre ciascun bene dell’anima, quanto più è in sovrabbondan-za, tanto più è utile, se si deve attribuire a tali beni non solo la bellezza, ma anche l’utilità2. […] Inoltre in vista

5 Morale, politica, educazione di Aristotele

a un’idea trasmessagli dal suo maestro: la vita di studio, che coltiva la ragione tra-mite la conoscenza e l’anima attraverso la virtù, è superiore a ogni altro stile di vita.Questa convinzione è il presupposto delle sue rifl essioni sull’educazione, sviluppa-te nell’Etica Nicomachea e nella Politica, opera di cui riportiamo di seguito un bra-no. In questo testo Aristotele spiega che

l’educazione ha come scopo il bene e la felicità dell’individuo che viene educato, così come l’arte politica ha come scopo il bene e la felicità dei cittadini nel loro in-sieme. Per questo buon educatore è chi sa che cosa sia il vero bene per il singolo individuo, e buon politico chi sa quale co-stituzione si adatti meglio alle diverse co-munità di persone che formano uno Stato.

L’autore e il libro Aristotele (384-322 a.C.) fu, insieme a Platone, il più grande fi losofo dell’antichità. Allievo di Platone, Aristotele si discostò su alcuni punti fon-damentali dal maestro. Egli, per esempio, giudicava il mondo sensibile molto più positivamente di Platone e studiò con grande passione i più svariati fenomeni naturali. Aristotele rimase tuttavia legato

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dell’anima queste cose sono naturalmente desiderabili3 e tutte le persone assennate le devono desiderare, e non invece l’anima in vista di quelle4. […]Basti ora stabilire questo, che la vita migliore per ciascu-no, da un punto di vista individuale, e per gli stati, da un punto di vista collettivo, è quella vissuta con la vir-tù, provvista di mezzi adatti a compiere azioni virtuose5. A quanti poi muovono obiezioni, tralasciandoli per ora durante questa ricerca, s’ha da prenderli in considerazio-ne più avanti, se qualcuno per caso non rimane persuaso da quel che si dice. […]Che tutti desiderino il vivere bene e la felicità, è eviden-te: ma taluni hanno la possibilità di ottenerli, altri no, sia per circostanze fortuite o naturali […], altri, poi, pur avendone la possibilità, non cercano già in partenza co-me si deve la felicità. Ora poiché l’oggetto che ci propo-niamo è di scoprire la costituzione migliore, quella cioè sotto la quale uno stato può essere governato nel modo migliore, e poiché uno stato sarà governato nel modo migliore sotto la costituzione che gli garantisce di essere felice al massimo, è chiaro che non ci deve sfuggire che cos’è la felicità.Noi diciamo […] che [la felicità] è perfetta attività e pra-tica di virtù […]6.Ora gli uomini diventano buoni e virtuosi col concorso di tre fattori e questi tre fattori sono la natura, l’abitudine, la ragione. In primo luogo bisogna avere la natura qual è quella dell’uomo e non di uno degli altri animali, poi bisogna avere una certa qualità nel corpo e nell’anima. Ma con certe qualità non giova affatto nascerci, perché le abitudini le fanno mutare e in effetti talune qualità, che per natura tendono in entrambe le direzioni, sotto la spinta dell’abitudine vanno verso il peggio o verso il meglio. Ora gli altri animali vivono essenzialmente gui-dati da natura, taluni, ma entro limiti ristretti, anche dall’abitudine, e l’uomo pure dalla ragione perché egli solo possiede la ragione: di conseguenza in lui questi tre fattori devono consonare l’uno con l’altro7. Spesso gli uomini agiscono contro le abitudini e la natura proprio in forza della ragione, se sono convinti che sia preferibi-le agire diversamente. Abbiamo precisato in precedenza quale dev’essere la natura di coloro che vogliono riuscire maneggevoli al legislatore; il resto è ormai opera d’educa-zione, e, in effetti, essi apprendono talune cose mediante l’abitudine, altre mediante precetti8 orali. […]Di conseguenza, guardando a questi scopi, si devono educare gli uomini e quando sono ancora ragazzi e poi nelle altre età, quante han bisogno di educazione9. […]Abbiamo già in antecedenza stabilito che si richiede na-tura, abitudine e ragione; […] rimane da studiare se nell’opera educativa si deve cominciare con la ragione o con le abitudini. Queste devono essere armonizzate tra

loro nell’armonia più piena perché la ragione può fallire nel determinare il fine migliore e ugualmente essere tra-scinata dalle abitudini. Comunque è evidente in primo luogo che, come in ogni altra cosa, la generazione proce-de da un principio e che il fine raggiunto da un princi-pio è inizio di un altro fine; ora, la ragione e il pensiero sono per noi il fine della natura, sicché verso essi biso-gna orientare la formazione e l’esercizio delle abitudini10. Inoltre, come l’anima ed il corpo sono due, così vediamo che l’anima ha due parti, l’una irrazionale, l’altra fornita di ragione e che i loro stati sono due di numero: l’uno è l’appetito, l’altro l’intelletto. Ora, come il corpo precede nella generazione l’anima, così la parte irrazionale quel-la fornita di ragione. E pure questo è chiaro: impulso e volontà e anche desiderio si trovano nei bambini subi-to appena nati, ma il ragionamento e l’intelletto appa-iono per natura quando sono già cresciuti. Per questo è necessario prima di tutto che la cura del corpo preceda quella dell’anima e che poi venga quella degli appetiti, e la cura degli appetiti va fatta in funzione dell’intelletto, quella del corpo in funzione dell’anima11.Se, dunque, spetta al legislatore cercare fin dall’inizio che il fisico dei fanciulli allevati raggiunga le condizioni migliori, deve in primo luogo prestare attenzione al con-giungimento dei sessi, quando cioè e quali persone con-viene che abbiano tra loro rapporti matrimoniali. […] Le donne incinte devono prendersi cura del corpo, senza darsi all’inerzia12 né attenersi a una dieta scarsa: e questo il legislatore lo può facilmente ottenere ordinando di fare ogni giorno una passeggiata come atto di culto verso le dee che hanno avuto in sorte di presiedere alla nascita. Ma lo spirito conviene che, al contrario del corpo, se ne rimanga in completa rilassatezza, perché i bambini sono evidentemente influenzati dalla madre che li porta, come le piante dalla terra. Quanto all’esposizione e all’alleva-mento dei piccoli nati sia legge di non allevare nessun bimbo deforme, mentre le disposizioni consacrate dal costume impongono di non esporne13 nessuno, a causa dell’eccessivo numero dei figli: si deve fissare un limite alla procreazione e se alcune coppie sono feconde oltre tale limite, bisogna procurare l’aborto, prima che nel feto siano sviluppate la sensibilità e la vita […].Nati i fanciulli, si deve ritenere che ha grande importanza per la vigoria del corpo il particolare modo di nutrizio-ne. Dall’esame condotto sugli altri animali e sui popoli che si preoccupano di promuovere un fisico guerriero, appare che è quanto mai congeniale al corpo l’alimenta-zione ricca di latte e con poco vino, per le malattie che procura. Giova pure che si compiano tutti quei movi-menti che sono possibili con creature tanto piccine. E perché le loro membra, tenere come sono, non subiscano distorsioni, alcuni popoli ricorrono anche adesso a certi

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apparecchi meccanici che mantengono corpi così delicati in posizione rigida. Giova abituarli subito fin da piccoli al freddo: questo è quanto mai utile e per la salute e per imprese di guerra. Per ciò presso molti popoli barbari si usa da taluni immergere i neonati in un fiume gelato, da altri, per esempio i Celti14, avvolgerli in pochi panni. Perché con qualsiasi mezzo si possono abituare, è meglio abituarli subito, fin da principio, ma abituarli gradata-mente; e poi la costituzione del bambino, per il calore naturale, è ben disposta a tollerare il freddo.Nel primo periodo di vita conviene usare un trattamento di tal genere o uno simile a questo: in quello successivo, fino ai cinque anni, in cui non è ancora opportuno in-dirizzarli verso lo studio o le fatiche del lavoro per non pregiudicarne la crescita, si richiede quel tanto di attività per cui evitino l’inerzia del corpo – e ciò si deve ottenere con vari mezzi, pure col gioco. Ma anche i giochi non devono essere volgari né faticosi né rilassati. Quanto al genere di discorsi e di favole che devono ascoltare i ra-gazzi di tale età, stia a cuore ai magistrati che chiamano «pedonomi»15. In realtà tutte queste cose devono prepa-rare la via alla loro successiva attività e quindi i giochi devono essere per la maggior parte imitazioni delle loro successive occupazioni. C’è chi16 vieta nelle leggi i gridi e i pianti dei fanciulli: questa proibizione è un errore, perché giovano allo sviluppo, in quanto sono, in certo senso, ginnastica per il corpo – e, infatti, la ritenzione17 del fiato dà forza a chi fatica, ed è questo che accade ai bambini quando gridano.Spetta pure ai pedonomi sorvegliare la loro ricreazione e badare in particolare che rimangano il meno possibile cogli schiavi. Bimbi di quest’età, e fino a sette anni, so-no di necessità allevati in casa; è ben ragionevole, quin-di, che essendo così piccini, apprendano le volgarità da quanto sentono e vedono. Insomma il turpiloquio18, più di tutto, il legislatore deve bandirlo dallo stato (perché dal dire sconsideratamente qualsiasi sconcezza si passa ben presto al farle) e soprattutto dai giovani, onde non dicano né ascoltino niente di tal sorta: e se c’è chi aper-tamente dice o fa taluna di queste cose proibite, se è li-bero e non ha ancora privilegio di sedere ai sissizi19, deve colpirlo con punizioni disonorevoli e con pene corporali, se poi ha passato quest’età, con punizioni non degne di un libero, per il suo atteggiamento da schiavo. E poiché bandiamo ogni discorso di tal genere, è chiaro che proi-biamo pure di vedere quadri e rappresentazioni indecen-ti. Curino dunque i magistrati che non ci sia nulla, né statua né pittura, rappresentante siffatte azioni, se non nei templi di certe divinità a cui la legge permette anche la scurrilità20 […].Passati i cinque anni, per i due seguenti fino ai sette, bi-sogna che ormai assistano come spettatori agli insegna-

menti che dovranno apprendere. Ci sono due periodi in rapporto ai quali è necessario dividere l’educazione: dai sette anni alla pubertà e poi dalla pubertà ai ventu-no anni21. Quelli che dividono l’età per settenni22 ge-neralmente non dicono male: in realtà bisogna seguire la divisione della natura, perché ogni arte e educazione intende supplire le manchevolezze della natura. Bisogna quindi esaminare in primo luogo se si deve stabilire un regolamento nell’educazione dei ragazzi, poi, se è van-taggioso che la cura di loro sia pubblica o privata (come si fa ancor oggi in moltissimi stati), in terzo luogo di che tipo dev’essere. […]Che dunque il legislatore debba preoccuparsi soprattutto dell’educazione dei giovani nessuno può dubitarne: in realtà è questo che, negletto23 in uno stato, rovina la co-stituzione24. Bisogna che l’educazione si adatti a ciascuna costituzione, perché il costume proprio di ciascuna suole difendere la costituzione stessa e la pone in essere già in origine, ad esempio il costume democratico la democra-zia, quello oligarchico l’oligarchia e sempre il costume migliore promuove la costituzione migliore. Inoltre per ogni attività ed arte ci sono delle nozioni che bisogna in antecedenza imparare o rendere abituali in vista delle operazioni di ciascuna di esse; è chiaro di conseguenza, che questo vale anche per le azioni della virtù. E poiché lo stato nella sua totalità ha un unico fine, è evidente di necessità che anche l’educazione è unica e uguale e per tutti, che la cura di essa è pubblica e non privata, come adesso fa ognuno prendendosi cura in privato dei pro-pri figli e impartendo loro l’insegnamento che gli piace. Delle cose comuni comune dev’essere anche l’esercizio. Nello stesso tempo nessuno tra i cittadini deve ritenere di appartenere a se stesso, ma tutti allo stato, perché cia-scuno è parte dello stato e la cura di ciascuna parte deve naturalmente tener conto della cura del tutto. A questo proposito si potrebbero lodare gli Spartani: essi, infatti, prestano il più grande interesse all’educazione dei ragazzi e la perseguono in comune25. […]Quattro sono all’incirca le materie con cui si suole im-partire l’educazione, la grammatica, la ginnastica, la mu-sica e quarta, secondo alcuni, il disegno: grammatica e disegno si insegnano perché sono utili alla vita e di vasto impiego: la ginnastica in quanto concorre a sviluppare il coraggio: ma sulla musica potrebbe già sorgere qualche dubbio26. Adesso, è certo in vista del piacere che i più vi si dedicano, ma dapprincipio l’inclusero nell’educazione perché la natura stessa cerca, s’è già detto più volte, non solo di poter operare come si deve, ma anche di stare in ozio nobilmente: perché è questo il principio unico di ogni azione, ripetiamolo anche a questo proposito. E se entrambe le cose sono necessarie, ed è preferibile l’ozio all’azione, anzi ne è il fine, bisogna cercare di stare in ozio

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facendo quel che si deve. Non certo giocando, ché allo-ra di necessità il fine della vita sarebbe per noi il gioco: ma se questo è impossibile e si deve piuttosto ricorrere al gioco durante l’attività (perché chi lavora ha bisogno di riposo e il gioco è proprio in vista del riposo, men-tre l’attività va di pari passo con la fatica e la tensione) ne segue che bisogna introdurre i giochi badando bene all’opportunità del loro impiego, perché l’introduciamo a scopo di medicina. In effetti un siffatto movimento dell’anima è rilassamento e, mediante il piacere, riposo. Ma lo stare in ozio par che contenga da sé il piacere, la felicità, uno stato di vita beato27. […]I migliori, comunque, cercano il piacere migliore e che deriva dalle fonti più belle. Di conseguenza è chiaro che bisogna imparare ed essere educati in talune cose in vi-sta dell’ozio che c’è nello svago nobile, e che queste di-scipline e queste nozioni sono in funzione di se stesse, mentre quelle che servono alla attività pratica vanno ri-guardate come necessarie e in funzione di altro. Per ciò gli antenati inclusero la musica nell’educazione, non in quanto necessaria (perché non ha niente di necessario) né in quanto utile (come la grammatica lo è per gli af-fari e per reggere la casa e per acquistare il sapere e per molte attività della vita civile e pare che anche il disegno sia utile per dare un giudizio più preciso sulle opere de-gli artigiani) né al modo della ginnastica, in vista della salute e dell’ardore in battaglia (perché nessuno di que-sti due risultati vediamo prodotti dalla musica): rimane dunque ch’essa serve a ottenere lo svago nobile che c’è nell’ozio e per questo pare che l’abbiano introdotta. In realtà essi le danno un posto in quella forma di ricrea-zione che ritengono propria degli uomini liberi28. […]È chiaro perciò che esiste una forma di educazione nella quale bisogna educare i figli non perché utile, né perché necessaria, ma perché liberale29 e bella: se poi è unica o di più specie e in questo caso, quali sono e come, si de-ve dire in seguito. Per ora solo di tanto ci siamo spinti avanti nella questione perché abbiamo anche da parte degli antichi una conferma, derivata proprio dagli inse-gnamenti comunemente riconosciuti: ed è la musica che lo dimostra. È pure chiaro che talune delle materie utili non devono essere insegnate ai ragazzi solo per l’utile, come ad esempio lo studio della grammatica, ma anche perché per loro mezzo si possono apprendere molte altre conoscenze: allo stesso modo impareranno il disegno non per evitare errori nelle loro compere private e quindi non per non essere ingannati nella compera o nella vendita delle cose, bensì piuttosto perché rende osservatori del-la bellezza del corpo. Cercare da ogni parte l’utile non s’addice affatto a uomini magnanimi30 e liberi. E poiché è evidente che bisogna educare i ragazzi con le abitudi-ni prima che con la ragione, e nel corpo prima che nella

mente, è chiaro da ciò che si devono affidare i fanciulli agli esercizi ginnastici e pedotribici31, perché di questi gli uni conferiscono una certa qualità alla costituzione del corpo, gli altri insegnano gli esercizi32. […]

(Aristotele, Politica, a cura di L. Laurenti, Laterza, Roma-Bari 2002, VII, 1-VIII, 5)

1. Per comprendere qual è la migliore costituzione di uno Stato è necessario capire quale sia la forma migliore di vita. Se ci accordiamo su questo, secon-do Aristotele, ci chiariremo anche sul modo in cui debba essere organizzata la società. Una volta stabilito che cosa renda l’uomo felice, possiamo anche delineare un tipo di educazione che indirizzi i giovani verso la vita miglio-re e l’appagamento. 2. Questo lungo discorso vuole mostrare che non tutti quelli che noi giudichiamo beni sono ugualmente importanti: i beni este-riori, come le ricchezze, devono essere considerati un mezzo e non un fine. L’eccesso di beni materiali fa perdere infatti il senso della realtà e delle co-se importanti e finisce perciò per danneggiare la vita di chi li possiede. 3. I beni esterni. 4. Il fine è sempre la cura dell’anima, e i beni esteriori devono essere sempre usati come strumento. Se pieghiamo l’anima alla ricerca scri-teriata dei beni esteriori finiamo per perdere la libertà e la virtù, che sono i nostri beni più preziosi. 5. Per Aristotele la vita migliore è quella virtuosa; per praticare la virtù, però, c’è bisogno di mezzi adeguati (per esempio, per essere generoso devo disporre di beni), che non siano illimitati o spropor-zionati: l’eccesso di beni corrompe infatti l’animo. 6. Sia il discorso politico sia quello pedagogico, che vedremo tra breve, hanno come fine l’ottenimen-to della felicità. 7. Oltre alla natura, che deve essere predisposta, gli uomini possono acquisire la virtù (dunque anche la felicità) per mezzo dell’abitudine e dell’esercizio della ragione. 8. Comandi, insegnamenti. 9. La costituzione di uno Stato deve tener conto di questi fattori che abbiamo esaminato (che cosa sia la felicità, come sia composto l’animo umano), così come ogni te-oria educativa. 10. L’abitudine e la ragione rivestono un ruolo importante per l’uomo, perché tramite queste egli può ottenere la virtù e la felicità. Tra le due, però, la ragione è superiore, perché essa è l’elemento specifico della specie umana, che gli animali non hanno. È dunque in vista dello sviluppo della ragione che bisogna educare il fanciullo. 11. Aristotele qui stabilisce le linee generali dell’educazione del bambino: dato che la ragione si sviluppa nell’età matura, è necessario orientarsi in precedenza alla cura del corpo e degli appetiti, cioè dei desideri corporei; entrambi vanno sviluppati in modo corretto, tenendo cioè presenti il fine ultimo, la ragione e l’anima. 12. Im-mobilità, staticità. 13. «Esporre» significa qui abbandonare, condannando a morte certa il neonato. Era purtroppo una pratica tanto comune quanto barbara nelle società antiche, che riguardava per lo più i bambini con proble-mi fisici. 14. Popolazione del Nord Europa. 15. Magistrati che controllava-no il sistema educativo. 16. Platone. 17. L’atto del trattenere. 18. Discorso volgare e offensivo. 19. Pasti consumati in comunità. 20. Di nuovo, volga-rità, trivialità. 21. Queste sono le tappe dell’educazione secondo Aristotele: cinque, sette, quattordici circa (pubertà), ventuno anni. 22. Periodi di sette anni. 23. Trascurato, dimenticato. 24. La trascuratezza dell’educazione dei giovani, cioè delle generazioni future, porta secondo Aristotele alla deca-denza dello Stato. 25. L’educazione dei giovani è una responsabilità dello Stato, che promuoverà i valori e i costumi che più si addicono alla propria costituzione. 26. Mentre sull’utilità della grammatica, della ginnastica e del disegno non vi sono dubbi, qualcuno può mettere in discussione l’idea che la musica sia compresa nell’educazione. 27. Nell’educazione devono essere incluse delle attività che si compiono nell’ozio, per riposarsi, in modo che l’animo non venga corrotto da passatempi volgari e dannosi. 28. La musi-ca non è né utile, né necessaria: può però essere una piacevole occupazione che riempie i momenti di ozio, degna dell’uomo libero. 29. Ossia, propria dell’uomo libero, non dello schiavo. 30. Grandezza, nobiltà d’animo. 31. Ossia, propri dell’addestramento fisico. Raramente Aristotele distingue, come qui, i compiti del maestro di ginnastica da quelli del pedotriba: il primo cura che tutto il corpo dei ragazzi sia in buona condizione, il secondo fa svolgere agli allievi determinati esercizi. 32. Aristotele è convinto che l’utilità non

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debba essere l’unico criterio che guidi i diversi aspetti della vita umana: gli uomini di animo più elevato devono infatti poter accedere ad attività che non sono orientate alla vita pratica.

Commento Aristotele costruisce un discorso molto lungo e articolato, collegando l’indagine sulla vita

migliore per il singolo all’indagine sulla vita migliore per l’in-sieme dei cittadini di uno Stato. Egli si domanda in primo luo-go quali siano i beni più importanti per l’uomo: prima vengono i beni dell’anima, poi quelli del corpo e infi ne quelli esterni, come per esempio la ricchezza. I beni esterni vanno ricercati con moderazione e devono essere messi al servizio dell’anima. Essi sono un mezzo utile per ottenere un fi ne e mai un obiet-tivo da conseguire di per sé. Per raggiungere la felicità, infatti, c’è bisogno di possedere dei beni, ma solo in misura non ec-cessiva: perché la vera felicità si ottiene con la cura dell’anima, quindi con la pratica della virtù.Lo scopo dello Stato allora non sarà, come i tanti pensano, il dominio sugli altri popoli e la pratica della guerra; il vero com-pito dello Stato è invece orientare i cittadini alla felicità, che si ottiene con l’esercizio della virtù. Allo stesso modo, lo scopo dell’educazione sarà quello di guidare i giovani ad apprendere la virtù perché possano vivere nel modo migliore.Aristotele comincia allora a esaminare quali siano le condizioni che permettano la pratica della virtù: c’è bisogno di una natura adatta, dell’abitudine a comportarsi nel modo giusto e infi ne della ragione, che deve guidare tutte le azioni umane.La ragione, che è la specifi cità dell’essere umano, si divide a sua volta in due parti: teoretica e pratica. La prima è quella con cui ci dedichiamo alle attività puramente intellettuali, nel tempo libero, ossia il tempo dell’ozio; la seconda è quella che utilizziamo invece nelle attività che hanno uno scopo pratico immediato. Aristotele è convinto che la ragione teoretica sia superiore a quella pratica, cioè che le attività svolte per il puro piacere intellettuale o artistico procurino maggiore felicità delle altre. L’educazione della parte razionale dell’anima sarà dunque la più importante.Solo dopo questa lunga premessa, Aristotele inizia la tratta-zione dell’educazione.Bisogna prima di tutto tener conto delle tappe della crescita del bambino, che inizialmente non ha una ragione pienamente sviluppata: per questo è necessario prima occuparsi dell’edu-cazione del corpo e della parte irrazionale dell’anima, quella legata agli impulsi e ai desideri del corpo. In questo senso, è fondamentale insegnare ai bambini atteggiamenti corretti che devono diventare abitudini. Quando saranno adulti, capaci di riconoscere e apprezzare la virtù, non potranno che confermare con il ragionamento ciò che avranno appreso dapprima con la semplice abitudine.

Aristotele rispetta così le eff ettive fasi di sviluppo del bambino, e fornisce una serie di suggerimenti concreti per tutte le età e per tutte le esigenze dell’infanzia. Si comincia con la salute fi sica del bambino, che deve essere preparata fi n dal concepimento e dalla gravidanza della madre; molta importanza è poi attribuita alla nutrizione e all’irrobustimento fi sico. Aristotele descrive inoltre i tipi di gioco da preferire, e i discorsi e gli spettacoli da evitare in presenza dei bambini: essi non devono mai essere esposti a giochi, discorsi o rappresentazioni volgari.L’istruzione vera e propria può cominciare solo dopo i cinque anni (esattamente quello che succede ancora oggi). Essa do-vrebbe essere pubblica, e non privata come invece accade di solito; e ogni Stato dovrebbe impartire l’educazione più adatta al tipo di ordinamento generale, la costituzione, che si è dato. Ogni Stato, infatti, dovrà sviluppare valori e virtù che sono fondamentali per la sua conservazione e la sua crescita.Le discipline che vengono insegnate sono di solito la gramma-tica, la ginnastica, la musica e il disegno. Solo la musica non ha come scopo l’utilità pratica; essa non è cioè legata diretta-mente a un’attività lavorativa; ciononostante essa costituisce un ottimo esercizio per la mente e procura grande piacere. Aristotele considera infatti estremamente importante che an-che nell’ozio l’anima possa essere indotta a svolgere attività nobili ed elevate, il che la distoglierà dai passatempi bassi e indegni. È anche chiaro che alcune materie (come per esempio la grammatica) non devono essere insegnate ai ragazzi solo perché utili nell’immediato, ma anche perché tramite esse si possono apprendere molte altre conoscenze, che arricchisco-no l’individuo. Tutte queste attività devono essere svolte in modo misurato, affi nché il giovane cresca armoniosamente, senza eccessi. Anche la ginnastica, indispensabile per prepara-re, in caso di necessità, i cittadini alla guerra, non deve essere mai considerata fi ne a se stessa e proposta in modo esagerato. L’idea alla base del modello educativo proposto da Aristotele è infatti quella della misura e dell’armonia, che rispecchi la struttura e le caratteristiche proprie dell’essere umano e che lo conduca alla felicità e alla partecipazione fruttuosa alla vita dello Stato.

Qualche domandaÜ A quale età doveva cominciare, secondo Aristotele,

l’istruzione vera e propria? E chi la doveva impartire?

Ü Perché è importante che i bambini apprendano mediante l’abitudine dei costumi virtuosi?

Ü Quali erano le discipline comunemente insegnate al tempo di Aristotele?

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wLa civiltà greca Già in epoca omerica si manifestarono alcuni caratteri tipici della cul-tura greca: l’importanza della religione, la ricerca del bene pubblico rispetto a quello privato: in un primo tempo ad incarnare que-sto ideale fu l’eroe guerriero; in seguito di-venne il politico, che primeggiava per la sua capacità di parlare e discutere. Con l’avvento della filosofia, nacque la pedagogia classi-ca, che intendeva elevare l’uomo mediante il talento speculativo. Ma in età ellenistica, con la nascita di grandi imperi e la fine delle città stato tipiche del mondo greco, si svilup-pò una nuova pedagogia, che proponeva un modo di vivere adatto al singolo individuo. Nell’etica del mondo greco resta centrale il concetto di virtù (aretè), termine con il qua-le si indicano le doti ritenute importanti. Alla virtù militare degli eroi omerici, si affiancò quella del lavoro, proposta dal poeta Esio-do, e quella del controllo di sé, tipica di una società militare come quella di Sparta. Ad Atene invece nacque un modello educativo che aveva finalità di generare il senso del-la bellezza e della bontà propedeutico allo sviluppo morale.

wLa forza della parola: i Sofisti e Socra-te La prima riflessione pedagogica in Grecia compare con i Sofisti, intellettuali di profes-sione che insegnavano l’arte della dialetti-ca, necessaria a chi voleva intraprendere la carriera politica. I Sofisti erano sostenitori del relativismo, ossia negavano che si po-tesse conoscere la verità. Perciò l’educazione che essi fornivano aveva come scopo impa-rare a sostenere la propria opinione e con-vincere gli altri della sua validità attraverso la dialettica e la retorica.Contemporaneo ai Sofisti fu Socrate, che costituì un autentico spartiacque nella sto-ria della cultura e dell’educazione, ma che non fu compreso dai suoi concittadini e ven-ne condannato a morte. Egli mise al centro il problema delle vie adatte per la ricerca della verità. Socrate praticò il metodo dia-logico, ossia la discussione critica delle te-si degli interlocutori in vista del raggiungi-mento della verità. Mediante la maieutica, egli esercitava la funzione di “ostetrico”, ac-compagnando gli interlocutori a partorire la verità che era in loro. Egli smascherava in modo “ironico” le contraddizioni dei punti di vista deboli, affermava quello più forte e ve-rosimile o approdava alla consapevolezza di non sapere, la cosiddetta “dotta ignoranza”.

wFilosofia contro retorica: Platone e Isocrate Il pensiero di Platone ha degli im-portanti risvolti pedagogici. Egli fondò una scuola, l’Accademia, costituita come una comunità tra maestro e allievi, e fu autore di numerosi opere scritte in forma di dialo-go. Nell’uso del dialogo sta una prima indi-cazione pedagogica: il sapere e l’etica non sono frutto di ricerca individuale ma di un confronto tra maestro e allievo. Platone svi-luppò l’insegnamento socratico nella dire-zione della dottrina delle idee, che doveva permettere di raggiungere la verità. La stes-sa morale si configurava come una consa-pevolezza intellettuale del vero bene. Una seconda indicazione pedagogica tratta dal pensiero platonico è che lo scopo della sag-gezza consiste non solo nel liberarsi dalle catene dell’opinione erronea e della sensi-bilità, ma anche nel favorire la libertà degli altri. Da qui nasce l’ideale politico di uno Stato ben governato solo perché composto da cittadini che governano bene se stessi. Nella prospettiva platonica esistono specie diver-se di uomini a seconda della loro capacità di dominare la propria natura sensibile at-traverso la razionalità. Lo Stato deve quindi essere organizzato in tre classi (che rispec-chiano le tre parti dell’anima): i lavoratori, i custodi o guerrieri, e i filosofi, i saggi che con la loro razionalità possono governare per il bene comune. Ma poiché non tutti gli uomini sono uguali, occorre un rigoro-so sistema di selezione dei giovani. Ecco la terza parte della proposta pedagogica di Platone: un’educazione distinta a seconda dei compiti che gli uomini devono svolgere nella vita sociale e politica. A differenza di Platone, Isocrate offriva un ideale pratico di saggezza su cui si fon-dava anche la capacità espressiva, ovvero le competenze professionali necessarie per svolgere l’attività politica e l’avvocatura. Il modello educativo di Isocrate non ambiva a svelare l’essenza della realtà e a edificare una società nuova ma a sostenere con gli argomenti più forti posizioni e idee giuste.

w Il sapere universale: Aristotele e l’el-lenismo Aristotele, l’altro grande filosofo dell’antichità, considera come caratteristi-ca distintiva dell’uomo la razionalità, che gli consente di perseguire la saggezza (ph-rònesis). La virtù è ciò che specifica l’agire dell’uomo secondo la sua ragione; il virtuo-

so è l’uomo che agisce secondo ragione e che trova, perciò, la vera felicità, consistente nel vivere in maniera adeguata alla propria natura. L’educazione è intesa come forma-zione delle virtù e come loro esercizio sem-pre più saldo, finalizzato al raggiungimento dell’equilibrio in cui risiede la vera felicità. Se il fine dell’uomo è il godimento del bene intellettuale, vale a dire la contemplazione, quello di Aristotele è un ideale di cultura che privilegia le attività teoretiche (la co-noscenza fine a se stessa e disinteressata, la contemplazione dell’esistente ecc.).Con la fine dell’età classica i filosofi si orien-tarono verso un’indagine che poneva al cen-tro un ideale di vita pratica. Plutarco tratta-va la virtù in chiave biografica, evidenziando come le vicende della vita si innestino sulle doti naturali dell’individuo fino al compiu-to prender forma della sua personalità. Le principali scuole ellenistiche, lo Stoicismo e l’Epicureismo proponevano un ideale di saggezza pratica: l’uomo saggio è quello che è in grado di affrontare la vita, anche nelle avversità più negative, senza perdere la propria serenità e senza cedere agli im-pulsi o alle passioni. In questo stesso periodo della storia antica si accentuò il ruolo educativo dei “circoli” intellettuali.

wLuoghi e forme dell’educazione In Gre-cia non vi fu un vero e proprio sistema for-mativo, ma esistevano comunque la scuola e un curriculum di studi. Inoltre, a partire dall’importanza attribuita all’educazione del corpo, ebbe qui origine l’articolazione degli studi letterari e scientifici in un ciclo prima-rio e uno superiore. La scuola vera e propria iniziava a sette anni. Tra le figure educative vi era il pedagogo, uno schiavo con fun-zioni educative, e il didàskalos, il maestro elementare, scarsamente considerato. Si im-paravano la lettura, la scrittura, il computo numerico, lo studio a memoria di alcuni te-sti letterari. Nel grado ulteriore del sistema scolastico vi era una netta prevalenza della cultura letteraria. L’inizio del ciclo di studi se-condario avveniva all’età di quattordici an-ni, mentre l’ingresso nell’efebia (una sorta di periodo di addestramento paramilitare) ne fissava la conclusione. Gli studi superiori erano svolti per lo più attraverso le scuole di retorica aperte nelle principali città da insegnanti altamente qualificati.

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