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Numero 7 Dicembre 2003 responsabile di redazione Joe Fallisi pubblicazione semestrale riservata ai soci di Cielo e Terra, Associazione per lo studio dell'astrologia classica 1 A proposito del Centiloquium pseudo tolemaico Il Centiloquium o occupa un posto parti- colare tra i pseudepigrapha tolemaici. Di questi pseudepigrapha manca allo stato attuale non solo uno studio, ma anche una semplice catalogazione. Eppu- re sono numerosi e se ne trovano sia in lingua araba, basti pensare a quelli ricordati nel Fihrist di al-Nadîm, sia in latino: il solo Cecco d’Ascoli menziona un De circulo visuali, un De natura signorum e un De actibus separatis, quest’ultimo citato ben sei volte nel Commento all’Alcabizio e sette nel Commento alla Sphaera del Sacrobosco. Ma il pseudo- tolemaico ebbe una grande fortuna sia in Occidente che in Oriente. Questa operetta, che consiste di 100, laconicissimi, aforismi d’astrologia, fu veramente ritenuta, per secoli, il frutto delle riflessioni apotelesmatiche di Tolemeo. Illuminante è l’elogiativo giudizio che, a cavallo tra il X e l’XI secolo, ce ne dà : Quanto sono belle le parole di Tolemeo nel : esse sono come particelle d’oro scelto, perle preziose, oggetto di pregio: la gente le ha ono- rate, si è istruita in esse e ne ha tratto utilità; quanto bisogno abbiamo di immetterle nella filosofia teolo- gica e naturale, giacché esse si tengono nel cuore, si conservano, si tramandano, si pronunziano e diven- gono come i gioielli che convengono a chi accumula tesori, gli alberi che fruttificano in ogni momento favorevole e le sostanze fra cui l’uomo sceglie! In Occidente, il Centiloquium ebbe numerose tra- duzioni, dall’arabo, fra il XII e il XV secolo. E alla metà del XIV figura nel curriculum degli studenti di scienze matematiche e poi di scienze naturali e di medicina. Appare ufficialmente nel 1358 all’Univer- sità di Parigi, quando Roberto il Normanno viene incaricato di darne lettura nei giorni festivi, quindi all’Università di Bologna nel 1405. Non dubitarono della paternità tolemaica spiriti critici quali Pico della Mirandola (disp. iii, 14), né puristi della tradizione astrologica tolemaica come Agostino Nifo (dieb. decr.), e neppure nel circolo melantoniano di Wittenberg, ove veniva pur avviata, nella prima metà del XIV secolo, una renovatio del- l’astrologia in senso fisico-naturale (mi riferisco in particolare alla Vita Ptolemæi di M. Morshemius). Solo a partire dal Cardano, che pure si muoveva nel- lo spirito della riforma melantoniana dell’astrologia, vengno espressi i primi dubbi o, se vogliamo, le pri- me certezze riguardo al carattere spurio del Centiloquium. È interessante citare quanto scrive Gerolamo Vitali nel Lexicon mathematicum astronomicum sotto la voce Centiloquium: Molto si dibatte tra gli astronomi se il Centiloquium sia opera di Tolemeo o di Ermete. Ora, Ibn Ridwân afferma, nel suo commento al quadripartitum, che è di Ermete. E tuttavia, dopo aver riportato diverse opinioni, pro e contro l’attribuzione a Tolemeo, Vitali ricorda il passo ove san Tommaso, Contra Gentes iii, 84, cita l’aforisma del Centiloquium sulla costellazione si- gnificante la profondità dell’ingegno, e conclude: Noi, seguendo sempre san Tommaso, citeremo dun- que il Centiloquium sotto il nome di Tolemeo. L’editio princeps del testo greco del Centiloquium si deve a Gioacchino Camerario, che nel 1535 l’ag- giunse in calce a quella della tolemaica.

A Proposito Del Centiloqium Pseudo Tolemaico Giusepe Bezza

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Numero 7Dicembre 2003

responsabile di redazioneJoe Fallisi

pubblicazionesemestrale riservata

ai soci di Cielo e Terra,Associazione per lo studio

dell'astrologia classica

1

A proposito del Centiloquium pseudo tolemaico

Il Centiloquium o occupa un posto parti-colare tra i pseudepigrapha tolemaici. Di questipseudepigrapha manca allo stato attuale non solo unostudio, ma anche una semplice catalogazione. Eppu-re sono numerosi e se ne trovano sia in lingua araba,basti pensare a quelli ricordati nel Fihrist di al-Nadîm,sia in latino: il solo Cecco d’Ascoli menziona un Decirculo visuali, un De natura signorum e un Deactibus separatis, quest’ultimo citato ben sei voltenel Commento all’Alcabizio e sette nel Commentoalla Sphaera del Sacrobosco. Ma il pseudo-tolemaico ebbe una grande fortuna sia in Occidenteche in Oriente. Questa operetta, che consiste di 100,laconicissimi, aforismi d’astrologia, fu veramenteri tenuta, per secol i , i l f rutto del le ri f lessioniapotelesmati che di Tolemeo. I l luminante èl’elogiativo giudizio che, a cavallo tra il X e l’XIsecolo, ce ne dà :

Quanto sono belle le parole di Tolemeo nel : esse sono come particelle d’oro scelto,

perle preziose, oggetto di pregio: la gente le ha ono-rate, si è istruita in esse e ne ha tratto utilità; quantobisogno abbiamo di immetterle nella filosofia teolo-gica e naturale, giacché esse si tengono nel cuore, siconservano, si tramandano, si pronunziano e diven-gono come i gioielli che convengono a chi accumulatesori, gli alberi che fruttificano in ogni momentofavorevole e le sostanze fra cui l’uomo sceglie!

In Occidente, il Centiloquium ebbe numerose tra-duzioni, dall’arabo, fra il XII e il XV secolo. E allametà del XIV figura nel curriculum degli studenti discienze matematiche e poi di scienze naturali e dimedicina. Appare ufficialmente nel 1358 all’Univer-sità di Parigi, quando Roberto il Normanno viene

incaricato di darne lettura nei giorni festivi, quindiall’Università di Bologna nel 1405.

Non dubitarono della paternità tolemaica spiriticritici quali Pico della Mirandola (disp. iii, 14), népuristi della tradizione astrologica tolemaica comeAgostino Nifo (dieb. decr.), e neppure nel circolomelantoniano di Wittenberg, ove veniva pur avviata,nella prima metà del XIV secolo, una renovatio del-l’astrologia in senso fisico-naturale (mi riferisco inparticolare alla Vita Ptolemæi di M. Morshemius).Solo a partire dal Cardano, che pure si muoveva nel-lo spirito della riforma melantoniana dell’astrologia,vengno espressi i primi dubbi o, se vogliamo, le pri-me certezze riguardo al carattere spurio delCentiloquium. È interessante citare quanto scriveGerolamo Vi tal i nel Lexicon mathematicumastronomicum sotto la voce Centiloquium:

Molto si dibatte tra gli astronomi se il Centiloquiumsia opera di Tolemeo o di Ermete. Ora, Ibn Ridwânafferma, nel suo commento al quadripartitum, che èdi Ermete.

E tuttavia, dopo aver riportato diverse opinioni, proe contro l’attribuzione a Tolemeo, Vitali ricorda ilpasso ove san Tommaso, Contra Gentes iii, 84, cital’aforisma del Centiloquium sulla costellazione si-gnificante la profondità dell’ ingegno, e conclude:

Noi, seguendo sempre san Tommaso, citeremo dun-que il Centiloquium sotto il nome di Tolemeo.

L’editio princeps del testo greco del Centiloquiumsi deve a Gioacchino Camerario, che nel 1535 l’ag-giunse in calce a quella della tolemaica.

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Veniva in tal modo sanci ta la genuini tà delCentiloquium. Potremmo nondimeno propendere peruna medesima conclusione da una prima osservazio-ne dei manoscritti greci. Infatti, dei 51 manoscritti1

che recano il testo del , ve ne sono ben 21che recano altresì la , e fra questi figu-rano i quattro manoscritti (Vaticanus græcus 208,Laurentianus Pl. 28,16, Marcianus gr. 324, Angelicus29) che Boll e Cumont, e Pingree dopo di loro, han-no riconosciuto essere l’opera della scuola di Gio-vanni Abramio, medico, astrologo e consigliere diAndronico IV. Ve ne sono poi altri sette ove il testodel segue direttamente la parafrasi di Proclodel quadripartitum. In altri quattro manoscritti il

accompagna il commento anonimo greco alquadr.2 Infine, in tre manoscritti, il apparedi segui to ad opere tolemaiche di contenutoprettamente astronomico: l’Almagesto, le Ipotesi deipianeti, le Tavole manuali. Rimangono 16 manoscrit-ti, che riportano il testo del in forma isolata,per intero o solo degli excerpta, senza contenere al-cuna altra opera tolemaica.

Ora, la presenza, nella maggior parte dei mano-scritti, della o di altre opere tolemaiche,già sottolineata dai Gundel, (Astrologoumena 211),fa ritenere che il fosse considerata opera ge-nuinamente tolemaica. Mancano tuttavia elementiprobanti in tal senso, e molti ve ne sono che portanoa concludere ad un’opera di età più tarda. Questi ele-menti sono stati raggruppati in due classi:a. motivi di ordine stilistico e tratti linguistici difformidall’usus tolemaicob. motivi di ordine tecnico

Riguardo al primo punto non è qui il caso di sof-fermarsi, se non sulla denominazione dei pianeti, cheappaiono nel come identici alla divinità stes-sa: vige infatti l’uso di dire anziché

, e questo uso, osservò Boll, e dopo dilui Gundel nei Nachträge alla Sternglaube, ci fa ap-parire l’autore del un mistico. Riguardo alsecondo punto, è stato osservato che i vari aforismiche trattano delle interrogazioni ed elezioni o laddoveappaiono i loci, , della genitura, o i decani, sonoestranei al quadripartitum tolemaico. Vi è da notareche questo fatto non è parso, ai lettori del Medioevo,una contraddizione. Pietro d’Abano, nel Lucidatordubitalium astronomiæ (Vescovini 117), osserva chese Tolemeo, nel quadripartitum, non ha trattato del-le interrogazioni ed elezioni, è perché le ha conside-rate deboli, non già che le ha condannate o rifiutate.E questa è la medesima opinione di Ibn Ridwân nelsuo commento. D’altra parte, non di tutti gli astrolo-gi greci di cui conosciamo i nomi e le opere possia-mo dire che abbiano scritto di elezioni od interroga-zioni. È questo il caso di Vettio Valente, Retorio,Trasillo, eccetera. E non per questo possiamo direche Valente, Retorio, Trasillo condannassero o rifiu-tassero questo ramo della previsione. Conviene qui

ricordare un’osservazione di Germaine Aujac, ov-vero che in Tolemeo il non detto non ha minor signi-ficato di ciò che è detto.

Quasi consapevole di questa osservazione, vedia-mo Pietro d’Abano porre sempre a confronto gliaforsimi del Centiloquium con il quadripartitum, vuoiper verificarli, vuoi per immetterli in un contesto piùampio. Infine, possiamo osservare che, sebbene nelCentiloquium appaiano termini non presenti nelquadripartitum, questi costituiscono un’ infima mi-noranza. E, sebbene i manoscritti più antichi del

non risalgano al di là del XIV secolo, vi sinota l’assenza di contaminazione di termini tecnicidall’arabo. Contaminazione che è per contro frequen-tissima e pressoché usuale negli scritti astrologicibizantini coevi, ove sovente termini del lessico astro-logico greco ellenistico sono sostituiti da termini arabio persiani . È questo i l caso di o di

, che viene soti tui to con ,traslitterazione dell ’ arabo dalîl, significator , di

con , dall’ ar. tasîir, directio oprorogatio, così come di altri termini della bassagrecità, comuni nei trattati astrologici di EleuterioZebeleno, come nell’accezione di negotium,di in luogo di per significare un’af-flizione o un danno, e così via.

Fra i termini che sono assenti nel quadri-partitum tolemaico ve ne è tuttavia uno che è rivela-tore: nel la sentenza nona si parla degl i

:

Le forme che son proprie del mondo della genera-zione e della corruzione sono soggette alle formecelesti. Ed è per questo che gli siservono di esse quando osservano gli ingressi (

) degli astri nelle immagini celesti.

Questi sono quelli di cui parlaTeone di Alessandria nel commento all’Almagesto,e che sostengono la teoria della trepidazione dell’ot-tava sfera. Possiamo tradurre i l termine con“costruttori di talismani” , che devono conoscere conprecisione i limiti delle immagini ove si trovano icorpi celesti. È pertanto possibile supporre che il

rappresenti una collezione di aforismi cherispondono ad una situazione dell’arte apotelesmaticapropria dell’età tardo-antica. Possiamo quindi acco-gliere l’ ipotesi di Emilina Bœr, nella prefazione allasua edizione critica del testo greco, riguardo all’esi-stenza di un archetipo tardo-antico del testo, ora per-duto. Il non sarebbe quindi un’ imitazioneartefatta, in un’epoca posteriore al X secolo, di stilemie metodiche più antiche, ma l’opera di un astrologovissuto in un’età compresa fra il III e il VI secolo eche ha voluto raccogliere, in forma abbreviata, ciòche ha ritenuto essere implicito nel testo tolemaico.

È importante sottolineare che, fino a tutto il Me-dioevo, gli astrologi non hanno mai dubitato della

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paternità tolemaica del testo. Il Centiloquium è sem-pre stato ritenuto un testo incomprensibile in assen-za di un commento. Ed il commentatore egiziano IbnRidwân, nella sua prefazione, osserva che chi leggeil testo tolemaico senza soffermarsi sul significatorecondito delle sue sentenze, non avvertendo i nu-merosi corollari impliciti in ciascun teortema, è comecolui che passa accanto ad un albero ricco e pieno enon ne coglie i frutti. E Giorgio di Trebisonda, nel-l’ introduzione al suo commento al Centiloquium, allametà del XV secolo, dice che Tolemeo ha chiamatoquesto l ibro , f rutto, perché, dopo i lquadripartitum e gli altri trattati di astronomia, necostituisce l’esito naturale, così come i frutti seguo-no ai rami, alle foglie e ai fiori. Questo libro, conclu-de, è come il frutto: piccolo in quantità, grande inutilità.

Siamo quindi di fronte all’allegoria del frutto di unvero e proprio arbor scientiarum. Questa allegoria èripresa nel titolo medesimo del commento di Nasiral-Din , dove si parla del frutto, thamara, de-gli alberi, shajarat, di Tolemeo, e ancora nel com-mento al verbum 72 di Ibn al-Daya: Tolemeo, leg-giamo, ha esposto le radici nell’Almagesto, i raminel quadripartitum, e questo libro ne costituisce ilfrutto.

Per lungo tempo l’opinione prevalente degli stori-ci ha posto come termine post quem della redazionedel il V secolo, in forza di un passo di Proclonel commento alla Repubblica di Platone, laddoveviene posto un rapporto matematico-astronomico trail concepimento , e la nascita, , diun essere umano. Proclo dice di riferire la sentenzadi coloro che seguono la dottrina di Zoroastro ePetosiride, con i quali, osserva, Tolemeo concorda.Ora, il verbum 51 del Centiloquium espone questadottrina. Se Bouché-Leclercq (L’astr. gr. 379,2) sti-mò che i l nome di Tolemeo fosse stato inseritoacriticamente da Proclo, in quanto né Porfirio (ochiunque sia l’autore dell’Introductio in Pto. quadr.),né Efestione menzionano Tolemeo, recentemnte R.

Lemay ha sostenuto che questo passo di Proclo nonha alcun valore per la datazione del Centiloquium,soprattutto se si considera che Tolemeo non ritienepossibile giungere alla conoscenza del momento delconcepimento. Avendo tolto valore di testimonianzaal passo di Proclo, Lemay è stato condotto a ritenereche l ’ autore del primo commento arabo alCentiloquium, Ahmad ibn Yûsuf ibn al-Daya, fossealtresì l’autore del testo, in quanto mai, prima di lui,il Kitâb al-thamara è citato nelle fonti arabe3. Di que-sto personaggio sappiamo che fu segretario privatodella famiglia tulunide, che regnò in Egitto tra l’868e il 905. Sono queste, oltre all’eccezionale sciamemeteorico del 922 ricordato nel commento alla sen-tenza 99, le sole date certe che possediamo riguardoalla vita di Ahmad.

Lemay concorda, senza saperlo, con Pontus deTyard che, nel XVI secolo ritenne lo pseudo-Halycommentatore del , il vero autore. Sia Pontus,sia Lemay convengono sull’estraneità di fondo delKitâb al-thamara rispetto al pensiero tolemaico, so-prattutto laddove, nelle prime kalimât, il commenta-tore arabo insiste nel legittimare il ruolo dell’ ispira-zione nella conoscenza, la funzione preponderantedelle facoltà psichiche in chi indaga la natura, facol-tà che gli consentono di avanzare più profondamen-te e con miglior vantaggio di colui che si appoggiasulle sole risorse dell’ intelletto.

Questa visione contraddice lo spirito scientifico diTolemeo, in particolare laddove, nel terzo libro delquadr ipar ti tum, si oppone al la di vinazionecleromantica, e tende a proporre un’ idea dell’occul-to, ghayb, in quanto occulto in sé, conoscibile soloper ispirazione divina. Per Ahmad, l’ ispirazione di-vina sarebbe una seconda natura che l’anima assu-me allorché viene disposta dagli astri a percepire ilsenso dei fenomeni. Si tratta quindi di stabilire il sen-so della nozione di occulto, ghayb, e se esso possaessere riconosciuto per induzione, istidlâl, secondoquanto è affermato, di norma, dai più noti rappre-sentanti dell’astrologia araba.

Giuseppe Bezza

NOTE

1. Di questi, otto riportano il commento di Achmetus alle prime 50 sentenze.

2. Questo commento, pubblicato da H. Wolf nel 1554 sotto il nome dubitativo di Proclo, appare verisimilmente l’operadi un glossatore dell’età tardo-antica, se è vero che la figura di esempio nel capitolo de vitæ spatio può essere datata allafine del V secolo della nostra era..

3. Opinione di Sezgin... questione del flusso di traduzioni sotto gli umayyadi, Khâlid b. Yâzid... Opinione di Gutas...non validità della testimonianza di al-Bîrûnî... In contrario : possibile conoscenza del testo da parte di al-Saymarî...