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PROVINCIA DI FIRENZE Pubblicazione Presidenza del Consiglio 30 NOVEMBRE 1786 ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE IN TOSCANA 30 NOVEMBRE 2000 SEDUTA STRAORDINARIA DEL CONSIGLIO PROVINCIALE Sala Quattro Stagioni Palazzo Medici Riccardi - Firenze 30 NOVEMBRE 2000 FESTA DELLA TOSCANA ATTI DELLA SEDUTA STRAORDINARIA DEL CONSIGLIO NELLA RICORRENZA DEL 30 NOVEMBRE 1786 DATA DELL’ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE NEL GRANDUCATO DI TOSCANA Sala Quattro Stagioni Palazzo Medici Riccardi – Firenze Indice INDICE p. 3 Dichiarazione dei Presidenti Martini e Nencini p. 5 Proemio e art. LI Legge n. LIX del 30.11.1786 p. 7 Eugenio Scalise p. 11 Alessio Pancani p. 16 Sergio Gatteschi p. 20 Giovanni Vignoli p. 23 Pasquale De Luca p. 25 Eugenio D’Amico p. 28 Alessandro Giorgetti p. 34 Gianni Gianassi p. 38 Riccardo Gori p. 46

Abolizione della Pena di Morte in Toscana

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Page 1: Abolizione della Pena di Morte in Toscana

PROVINCIA DI FIRENZE Pubblicazione Presidenza del Consiglio

30 NOVEMBRE 1786 ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE IN TOSCANA

30 NOVEMBRE 2000 SEDUTA STRAORDINARIA DEL CONSIGLIO PROVINCIALE

Sala Quattro Stagioni Palazzo Medici Riccardi - Firenze

30 NOVEMBRE 2000 FESTA DELLA TOSCANA ATTI DELLA SEDUTA STRAORDINARIA DEL CONSIGLIO NELLA RICORRENZA DEL 30 NOVEMBRE 1786 DATA DELL’ABOLIZIONE DELLA PENA DI MORTE NEL GRANDUCATO DI TOSCANA Sala Quattro Stagioni Palazzo Medici Riccardi – Firenze

Indice INDICE p. 3 Dichiarazione dei Presidenti Martini e Nencini p. 5 Proemio e art. LI Legge n. LIX del 30.11.1786 p. 7 Eugenio Scalise p. 11 Alessio Pancani p. 16 Sergio Gatteschi p. 20 Giovanni Vignoli p. 23 Pasquale De Luca p. 25 Eugenio D’Amico p. 28 Alessandro Giorgetti p. 34 Gianni Gianassi p. 38 Riccardo Gori p. 46

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Alessandro Corsinovi p. 51 Carlo Bevilacqua p. 56 Enrico Nistri p. 60 Andrea Cantini p. 66 Risoluzione p. 69 Appendice

- ODG del 31.7.1995 p. 75 - ODG del 13.9.1999 p. 78 - ODG dell’8.11.1999 p. 80 - ODG del 5.6.2000 p. 82 - Mozione dell’11.9.2000 p. 84 - Intervento del Presidente della Provincia p. 87

Dichiarazione Il 30 novembre 1786 il granduca Pietro Leopoldo promulga il nuovo Codice Penale che abolisce la tortura e la pena di morte. È la prima volta che viene fatta una scelta così civile e radicale.

Per ricordare questo straordinario evento si celebrerà, a partire dal 30 novembre 2000, la Festa della Toscana.

L'impegno della Toscana per la promozione dei diritti umani e della pace risiede dunque nella sua storia ed appartiene alla sua cultura. Nel corso dei secoli la Toscana è stata punto di incontro e di dialogo tra Oriente e Occidente, tra Europa e Mediterraneo.

La Toscana è stata protagonista di uno straordinario viaggio che va dall'abolizione della pena di morte, alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, alla nostra Costituzione repubblicana e si compirà con la futura Carta dei diritti dell'Europa. Durante questo viaggio sono maturate una comprensione nuova e più alta della dignità della persona, l'affermazione del diritto alla vita e dunque al rifiuto della pena di morte; si è conquistato il rispetto dell'integrità di ciascuno. In questo viaggio si sono riconosciuti non soltanto i diritti dell'uomo, ma anche della donna e dei bambini e di tutte quelle persone, che si trovano in condizioni di difficoltà e di minorità. Si sono rese certe le libertà fondamentali: di pensiero, di coscienza, di culto, di espressione, di informazione, di associazione, di riunione.

Anche quando, nella seconda metà del XX secolo, la storia si è incamminata lungo pericolosi crinali e ovunque si sono costruiti muri, la Toscana è stata fedele ai suoi principi originari e con creatività è stata capace di gettare ponti tra civiltà e culture diverse, di costruire rapporti di amicizia tra l'Est e l'Ovest, tra le due rive del Mediterraneo, tra le grandi religioni.

Questo patrimonio di valori civili e spirituali rappresenta l'identità più profonda e autentica della Toscana e indica la sua vocazione a contrastare ogni localismo settario, ogni nazionalismo egoista, la xenofobia e qualsiasi forma di razzismo: in Italia, in Europa, nel mondo. Questa identità e questa vocazione devono essere consegnate ai giovani come seme di speranza e di futuro.

La Festa della Toscana deve essere l'occasione per meditare insieme sulle nostre radici di pace e di giustizia, per coltivare la memoria della nostra storia, per attingere con rinnovato entusiasmo alla tradizione di diritti e di civiltà che si è radicata nella coscienza stessa dei cittadini, prima ancora che nelle leggi e senza la quale rischiamo solo di perderci.

Nel tempo del federalismo, questa è l'originale identità che la Toscana mette in comune con le altre regioni dell'Italia e dell'Europa; una identità per unire e non per dividere, per accogliere e non per escludere, secondo uno stile di vita che da sempre caratterizza i cittadini di questa terra. Claudio Martini Riccardo Nencini

Presidente della Regione Toscana Presidente del Consiglio della Regione Toscana

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Trascrizione del Proemio e dell’articolo LI (Abolizione della pena di morte) della Legge di riforma criminale del 30 novembre 1786, n. LIX.

PIETRO LEOPOLDO PER GRAZIA DI DIO PRINCIPE REALE D’UNGHERIA E DI BOEMIA ARCIDUCA D’AUSTRIA GRANDUCA DI TOSCANA &c. &c. &c. Fino dal Nostro avvenimento al Trono di Toscana riguardammo come uno dei Nostri principali doveri l’esame, e riforma della Legislazione Criminale, ed avendola ben presto riconosciuta troppo severa, e derivata da massime stabilite nei tempi meno felici dell’Impero Romano, o nelle turbolenze dell’Anarchia dei bassi tempi, e specialmente non adattata al dolce, e mansueto carattere della Nazione, procurammo provvisionalmente temperarne il rigore con Istruzioni, ed Ordini ai Nostri Tribunali, e con particolari Editti, con i quali vennero abolite le pene di Morte, la Tortura, e le pene immoderate, e non proporzionate alle trasgressioni, ed alle contravvenzioni alle Leggi Fiscali, finché non ci fossimo posti in grado mediante un serio, e maturo esame, e col soccorso dell’esperimento di tali nuove disposizioni di riformare intieramente la detta Legislazione. Con la più grande soddisfazione del Nostro paterno cuore Abbiamo finalmente riconosciuto che la mitigazione delle pene congiunta con la più esatta vigilanza per prevenire le reazioni, e mediante la celere spedizione dei Processi, e la prontezza, e sicurezza della pena dei veri Delinquenti, invece di accrescere il numero dei Delitti ha considerabilmente diminuiti i più comuni, e resi quasi inauditi gli atroci, e quindi Siamo venuti nella determinazione di non più lungamente differire la riforma della Legislazione Criminale, con la quale abolita per massima costante la pena di Morte, come non necessaria per il fine propostosi dalla Società nella punizione dei Rei, eliminato affatto l’uso della Tortura, la Confiscazione dei beni dei Delinquenti, come tendente per la massima parte al danno delle loro innocenti famiglie che non hanno complicità nel delitto, e sbandita dalla Legislazione la moltiplicazione dei delitti impropriamente detti di Lesa Maestà con raffinamento di crudeltà inventati in tempi perversi, e fissando le pene proporzionate ai Delitti, ma inevitabili nei respettivi casi, ci Siamo determinati a ordinare con la pienezza della Nostra Suprema Autorità quanto appresso. (…omissis…) LI. Abbiamo veduto con orrore con quanta facilità nella passata Legislazione era decretata la pena di Morte per Delitti anco non gravi, ed avendo considerato che l’oggetto della Pena deve essere la soddisfazione al privato, ed al pubblico danno, la correzione del Reo figlio anche esso della Società e dello Stato, della di cui emenda non può mai disperarsi, la sicurezza nei Rei dei più gravi ed atroci Delitti che non restino in libertà di commetterne altri, e finalmente il Pubblico esempio, che il Governo nella punizione dei Delitti, e nel servire agli oggetti, ai quali questa unicamente è diretta, è tenuto sempre a valersi dei mezzi più efficaci col minor male possibile al Reo; che tale efficacia, e moderazione insieme si ottiene più che con la Pena di Morte, con la Pena dei Lavori Pubblici, i quali servono di un esempio continuato, e non di un momentaneo terrore, che spesso degenera in compassione, e tolgono la possibilità di commettere nuovi Delitti, e non la possibile speranza di veder tornare alla Società un Cittadino utile, e corretto; avendo altresì considerato, che una ben diversa Legislazione potesse più convenire alla maggior dolcezza, e docilità di costumi del presente secolo, e specialmente nel popolo Toscano, Siamo venuti nella determinazione di abolire come Abbiamo abolito con la presente Legge per sempre la Pena di Morte contro qualunque Reo, sia presente, sia contumace, ed ancorché confesso, e convinto di qualsivoglia Delitto dichiarato Capitale dalle Leggi fin qui promulgate, le quali tutte Vogliamo in questa parte cessate, ed abolite. (…omissis…) Tale è la Nostra volontà, alla quale Comandiamo che sia data piena Esecuzione in tutto il nostro Gran-Ducato, non ostante qualunque Legge, Statuto, Ordine, o Consuetudine in contrario.

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Dato in Pisa li 30. Novembre 1786. PIETRO LEOPOLDO . V. ALBERTI . CARLO BONSI . In Firenze l’Anno 1786. Per Gaetano Cambiagi Stampator Granducale. Eugenio Scalise Presidente del Consiglio provinciale Colleghi, l'Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale della Toscana ha stabilito di celebrare in maniera ufficiale la scadenza del 30 novembre, data nella quale nel 1786 la Toscana abolì la pena di morte e la tortura. È stato chiesto ai Comuni e alle Province di aderire alla Festa della Toscana, convocando contemporaneamente tutte le assemblee elettive. In questo momento quindi tutti i Consigli comunali e provinciali della Toscana sono riuniti. La nostra conferenza dei Capigruppo ha aderito con convinzione all'invito, perché ha ritenuto che questa fosse l'occasione per fare partire un messaggio forte dalla Toscana per l'abolizione della pena di morte e per rendere chiaro il ruolo che la Toscana e l'Italia hanno giocato nel passato e vogliono mantenere nel presente e nel futuro contro la pena di morte. Le moltissime adesioni venute da tante personalità alla Festa della Toscana dimostrano che l'iniziativa è giusta ed opportuna. L'enorme mobilitazione che dalla Toscana è partita contro l'esecuzione di Rocco Derek Barnabei ha messo in evidenza quanta sensibilità è presente nei cittadini su questo tema e una grande aspettativa per giungere ad un risultato positivo. Purtroppo la generosa mobilitazione in favore di Rocco Derek Barnabei non è stata sufficiente a fermare l'esecuzione, ciò dimostra quanto difficile e irta di ostacoli è ancora la strada che rimane da fare. Si tratta di una battaglia lunga, che incontra oppositori decisi ed altrettanto convinti della giustezza della loro posizione quanto noi siamo convinti della nostra. La nostra è una battaglia nella quale vale la pena impegnare tutte le nostre energie, perché siamo convinti di lottare per una battaglia di civiltà, che vuole affermare il principio del diritto degli uomini, del primo diritto degli uomini, il diritto alla vita. La lotta contro la pena di morte ha trovato nel passato in Toscana e in Italia, più che in altre parti del mondo, sostenitori ed anche un terreno più fertile che altrove. È in Toscana infatti che accadde quell'evento di straordinaria importanza che fu l'emanazione della riforma della legislazione criminale toscana, il 30 novembre 1786, ad opera del granduca Pietro Leopoldo, con la quale per la prima volta nel mondo si aboliva la tortura e la pena di morte dal Codice Penale. Le idee illuministiche del ’700 che cercavano di dare risposta ai problemi della società, facendo ricorso alla ragione anziché alle verità rivelate, trovavano su questo argomento uno sbocco concreto, importante, e ciò avveniva in Toscana prima che in ogni altra parte d'Europa. Prima che in Francia, dove l'illuminismo con Voltaire, Montesquieu, Rousseau, Diderot, era nato e si era affermato, senza però riuscire a mettere in moto nella società francese alcun processo riformatore. Come sappiamo questo processo non si avviò, se non qualche anno più tardi, ma fragorosamente, con lo scoppio della Rivoluzione. L'abolizione della pena di morte e della tortura in Toscana è il risultato del clima culturale che negli stati italiani si viveva in quello scorcio di ’700. Si pensi all'importanza degli illuministi napoletani: Genovesi, Pagano, Filangieri e milanesi: i fratelli Verri e Beccaria. La riforma di Pietro Leopoldo nasce in questo clima e si richiama direttamente al pensiero di Cesare Beccaria. Cesare Beccaria pubblica a Livorno nel 1764, all'età di 25 anni, la sua opera più importante: "Dei delitti e delle pene". L'opera ebbe un successo straordinario, fu subito ristampata nel 1766 ed ebbe un'eco immediata in tutta Europa. Nel giro di pochi anni è pubblicata in Francia, dove è particolarmente apprezzata da Voltaire e Diderot, e in tutti i paesi europei. Caterina II di

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Russia invita addirittura Beccaria a recarsi nel suo paese per aiutarla nell'opera di riforma che si apprestava a varare. Nel bel libro che abbiamo messo in cartella, curato da Franco Venturi, potete trovare le letture e i documenti, gli apprezzamenti e le critiche che accompagnarono l'opera di Beccaria. "Dei delitti e delle pene" fu messo all'indice nello Stato pontificio e fu condannato ovviamente dall'Inquisizione spagnola. Il libro di Venturi, oltre all'opera di Beccaria e agli altri documenti, riporta anche per intero il testo della riforma leopoldina. Tra l'opera di Beccaria e la riforma leopoldina vi è un legame strettissimo. “In ogni articolo e in ogni formulazione giuridica ritroveremo l'eco delle idee di Beccaria e del lungo travaglio attraverso il quale esse erano passate durante un ventennio”, scrive Venturi in questo libro. Chiudo questa breve introduzione al dibattito di oggi con la lettura di due brani dell'opera di Beccaria, uno relativo alla tortura, l'altro relativo alla pena di morte, che non hanno bisogno di nessun commento e che dopo quasi due secoli e mezzo sono ancora straordinariamente attuali. "Una crudeltà consacrata dall'uso nella maggior parte delle nazioni è la tortura del reo mentre si forma il processo, o per costringerlo a confessare un delitto o per le contraddizioni nelle quali incorre o per la scoperta dei complici, o per non so quale metafisica e incomprensibile purgazione di infamia o finalmente per altri delitti di cui potrebbe essere reo ma dei quali non è accusato. Un uomo non può chiamarsi reo prima della sentenza del giudice né la società può togliergli la pubblica protezione se non quando sia deciso che egli abbia violato i patti con i quali le fu accordata. Qual è dunque quel diritto, se non quello della forza, che dia la podestà ad un giudice di dare una pena ad un cittadino mentre si dubita se sia reo o innocente? Non è nuovo questo dilemma, o il delitto è certo o incerto, se certo non gli conviene altra pena che la stabilita dalle leggi, e inutili sono i tormenti perché inutile è la confessione del reo. Se è incerto non devesi tormentare un innocente, perché tale è secondo le leggi un uomo i cui delitti non sono provati. Ma io aggiungo di più, che egli è un voler confondere tutti i rapporti, l'esigere che un uomo sia nello stesso tempo accusatore ed accusato. Che il dolore divenga il crogiolo della verità, quasi che il criterio di essa risieda nei muscoli e nelle fibre di un miserabile. Questo è il mezzo sicuro di assolvere i robusti scellerati e di condannare i deboli innocenti. Ecco i fatali inconvenienti di questo preteso criterio di verità, ma criterio degno di un cannibale, che i romani - barbari anch'essi per più di un titolo - riserbavano ai soli schiavi, vittime di una feroce e troppo lodata virtù". E sulla pena di morte, questo brevissimo passaggio. "Non è utile la pena di morte per l'esempio di atrocità che dà agli uomini. Se le passioni o la necessità della guerra hanno insegnato a spargere il sangue umano, le leggi moderatrici della condotta degli uomini non dovrebbero aumentare il fiero esempio, tanto più funesto quanto la morte legale è data con istudio e con formalità. Parmi un assurdo che le leggi che sono l'espressione della pubblica volontà che detestano e puniscono l'omicidio, ne commettono uno esse medesime e per allontanare i cittadini dall'assassinio ordinino un pubblico assassinio".

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Alessio Pancani Capogruppo Comunisti Italiani Grazie Presidente. Assessori, colleghi, in questo Consiglio Provinciale siamo di nuovo ad occuparci della pena di morte, in questo Consiglio straordinario col quale vogliamo celebrare la Festa della Toscana. Nella scelta di un giorno che rappresenta la Regione Toscana, il Consiglio e la Giunta della nostra Regione hanno voluto che esso ricordasse un evento importante per l'identità della Regione stessa, un evento che ci ricordi anche per il futuro l'impegno nella difesa dei diritti umani. È stato scelto quindi il 30 novembre, giorno in cui nel 1786 nel Granducato di Toscana è stata abolita la pena di morte, a testimoniare appunto la vocazione della Toscana all'impegno per la difesa della pace, dei diritti umani, della dignità della persona. Impegno che da sempre appartiene al nostro territorio, alla nostra cultura, assieme a quello per il riconoscimento delle libertà fondamentali, di pensiero, di espressione, di culto, di informazione e di associazione. Questo patrimonio di valori civili e spirituali ai quali la Toscana è rimasta sempre fedele, contrastando ogni localismo, settarismo e razzismo, deve essere mantenuto vivo, e deve essere sviluppato sempre di più per riuscire ad unire culture e civiltà diverse che nello scambio possono arricchirsi a vicenda. Tra l'altro non possiamo non mettere in rilievo la contrapposizione dialettica tra una regione che festeggia la liberazione dalla pena di morte ed altre regioni in cui si cerca di introdurre forme di censura sui libri di testo.

Considero un merito del centrosinistra festeggiare il rogo dei patiboli di fronte a chi reintroduce il rogo dei libri. E mi sembra opportuno sottolineare il filo rosso che lega la liberazione dalla pena di morte con la lotta di liberazione svolta dalla Resistenza. Siamo quindi contenti che per la nostra regione si sia scelto un giorno che richiama alla memoria questa norma di civiltà che risale a più di due secoli fa; ci riconosciamo appieno in questa identità e in questo impegno per il futuro. Perché, come ben sappiamo, c'è ancora molto da lavorare per la difesa dei diritti umani, e c'è ancora molto da lavorare per eliminare la pena di morte dal nostro pianeta, perché essa è ancora presente perfino in paesi per il resto considerati civili. Noi siamo coscienti che la vita è il bene supremo dell'uomo e nessun altro uomo ha il diritto di toglierla. Tutte le legislazioni che gli uomini si sono dati nella costituzione delle società, al fine di costruire una convivenza civile, prevedono delle pene per i cittadini che non si attengono alle leggi e alle regole del vivere. In molti paesi del mondo fra queste pene c'è ancora l'istituto della pena di morte. La sua applicazione è tuttora in vigore in più di 80 stati, fra i quali spiccano gli Stati Uniti, la Cina, Cuba, moltissimi paesi del continente africano: Libia, Nigeria tanto per citarne qualcuno (e altrettanti paesi asiatici, vedi Giappone e Corea), ma anche nel nostro continente ci sono diversi paesi che mantengono questo odioso strumento, come la Russia e la Jugoslavia. In alcuni stati africani è applicata oltre che per reati giudiziari anche per reati politici, venendo ad essere quindi uno strumento contro gli avversari politici in mano a chi detiene il potere e usato per perpetuarlo. Nei paesi che hanno una cultura democratica più avanzata la pena di morte viene di solito contrastata e osteggiata, come accade appunto negli Stati Uniti dove puntualmente alla vigilia di ogni esecuzione è contestata da quella parte della società americana progressista, sia laica che cattolica, che le è contraria. E la diatriba fra favorevoli e contrari riporta puntualmente a galla il problema, come è accaduto anche di recente per il caso di Rocco Barnabei, per il quale la Toscana tutta, a livello istituzionale e a livello dei singoli cittadini, si è battuta, senza purtroppo riuscire ad evitarne l'esecuzione. Fra rinvii, battaglie legali e procedurali si arriva al paradosso dei detenuti che sono parcheggiati per anni nei cosiddetti bracci della morte e che potenzialmente vengono tra virgolette giustiziati più volte con un'agonia che non ha nulla di umano.

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Il vero obiettivo, anche secondo noi, deve essere quello dell'abolizione della pena di morte in tutto il mondo, la giustizia degli uomini deve comminare pene anche severe a chi compie dei reati contro altri uomini, ma ogni società civile che è improntata sui valori della convivenza e del reciproco rispetto non ha il diritto di togliere la vita a chicchessia, neanche a fronte dei reati più abbietti, perché farlo significa porsi sullo stesso piano di chi ha commesso quei reati. Il cammino che le umane genti devono proporsi di fare è in direzione di una crescita dello spirito della convivenza pacifica e del rispetto degli altri. In questo senso crediamo che la cultura debba giocare un ruolo decisivo; come espressione dei popoli essa si deve adoperare affinché questi riescano a produrre quei sentimenti di solidarietà, rispetto, stima reciproca per una convivenza che possa superare quello che oggi avviene in tante parti del mondo dove non esiste il rispetto della vita umana, le tensioni sociali saranno sempre all'ordine del giorno in una spirale che non avrà mai fine. Per questo siamo concordi con l'iniziativa del Consiglio e della Giunta Regione Toscana di privilegiare la nostra regione di una identità di cultura dei diritti umani e delle libertà fondamentali dell'uomo, per la quale l'abolizione della pena di morte è l'obiettivo più alto e quindi la prima battaglia da portare avanti, senza dimenticare gli aspetti universalistici, egualitari e antifascisti che fanno parte dell'identità e del carattere costitutivo della Toscana. Grazie.

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Sergio Gatteschi Capogruppo Verdi – Sole che ride Signor Presidente, colleghi. L'occasione è solenne, e credo che ci dobbiamo accostare a questa festa con animo umile; premesso che mi sono riconosciuto stamani nelle parole del Presidente della Giunta regionale, Martini, non credo che noi possiamo insegnare molto a tutti gli altri, non valuto in questo senso anche questa festa. La valuto come il contributo che la Regione Toscana porta all'Europa, all'Italia e all'Europa, in un cammino che ha visto il nostro continente, ma anche la nostra Regione, nei secoli scorsi, nel corso degli anni, affrontare questi problemi drammatici e cominciare adesso a dargli una soluzione. Ma non perché ci stiamo arrivando credo che noi ci possiamo ergere immediatamente a giudici di tutti gli altri, esistono dei percorsi lunghi e complessi di cui è necessario tenere conto. Credo che la cosa migliore da questo punto di vista per continuare a rimanere fermi ed umili nello stesso tempo sia quella di alzare gli occhi quando si entra nel salone dei 500, a Firenze, dove le glorie di Firenze sono effigiate su tutte le mura con le conquiste di Siena e di Pisa, battaglie, stragi, molto fraterne, tra persone che non distavano più di 50, 60, 80 chilometri. Noi abbiamo passato molti secoli a dibattere sulla pena di morte e siamo arrivati a una certa conclusione. Questa certa conclusione si inserisce in un continente che ha visto lotte terribili, che è stato l'epicentro della ferocia e delle invenzioni delle dittature più tremende che abbiano mai afflitto il nostro pianeta. Ma ora la situazione è diversa, ed è in questo senso che voglio spendere due parole. Vale a dire che dalla caduta del blocco sovietico, siccome la storia non ammette vuoti, l'Europa si è trovata a ricoprire un ruolo diverso, non più spartite tra due sfere opposte ma un ruolo autonomo che si cerca di costruire, prima con molta calma e quasi in modo sotterraneo, facendo forza sulle unioni economiche, sulle unioni monetarie, sul fatto che ci si spartivano quelle risorse che erano state indispensabili per avviare procedimenti di ricostruzione bellica, perché la prima delle unioni è stata quella del carbone e dell'acciaio che erano gli strumenti principi dell'industria pesante; di lì siamo partiti, con l'aiuto di alcuni legislatori europei particolarmente illuminati, verso la ricostruzione di un continente pacifico, un continente che prima nell'arco di questo secolo aveva scatenato due guerre mondiali, nemmeno circoscritte ai propri abitanti che ora si trovano invece in una Unione che si stringe ogni giorno di più. Non credo che si possa slegare l'affermazione di principio che la Regione Toscana fa oggi da quello che noi portiamo a Nizza; cioè è stato detto che l'Unione Europea sarebbe stata semplicemente un'Unione economica, senza anima e senza principi. In realtà nel breve volgere di tempo di questi ultimi anni abbiamo visto come esistano dei principi e come esista anche una concorrenza tra questi principi che improntano l'Unione Europea e gli altri paesi sviluppati e meno. Noi abbiamo visto che ci siamo distinti, non si tratta più soltanto di concorrenza economica ma anche di diversi modi di impostare la società. L'Europa si è distinta e si sta distinguendo da tutto il resto del mondo perché non concepisce soltanto il liberismo economico ma concepisce anche una forte assistenza sociale. L'Europa si distingue dal resto del mondo per quello che riguarda l'ambiente, perché la rottura è stata con gli Stati Uniti, a proposito dell'effetto serra. L'Europa si distingue dal resto del mondo anche sulle questioni di etica e di giustizia. Credo che siano questi quei principi fondamentali che cominceranno a prendere forma nella Costituzione europea, nascente, da Nizza in poi, e che danno l'idea di come l'Unione dei popoli europei, cioè la società più multietnica e multiculturale che ci sia mai stata nella storia dell'umanità, perché va praticamente dall'est europeo fino al Portogallo, dagli scandinavi fino alle nostre propaggini mediterranee, fitta di storie diverse, di tradizioni diverse, di campanili diversi, come tutto questo possa far tornare a essere l'Europa, senza la pretesa di giudicare gli altri ma credo che la cosa che funziona più di tutte in questo campo sia l’esempio, un faro di civiltà che può essere utile al mondo intero. Ed è in questo senso che oggi la Toscana porta un contributo che sono onorato nel mio piccolo di condividere. Grazie.

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Giovanni Vignoli Capogruppo Partito Popolare Italiano Signor Presidente e colleghi. Intanto debbo ricordare ma non per spirito di rivendicazione, che anche la Provincia, anzi credo proprio la Provincia sia stata quella che ha anche aperto non in questi termini ma la giornata con l'urlo contro la pena di morte. E questo credo faccia molto piacere ricordarlo. Nei diversi interventi ascoltati questa mattina, tutti molto chiari e di alto profilo, nella seduta straordinaria del Consiglio regionale, mi ha particolarmente colpito il ricordo che nelle ultime esecuzioni capitale avvenute nella nostra Regione, già vi era allora un moto di ripulsa e di ribellione da parte della popolazione. E tutto ciò è molto significativo; ed è significativo in quanto, pur in presenza di quei bei periodi, in quanto allora la ribellione nasceva in un contesto di diritti, di libertà, di democrazia, credo anche assai importante. Pertanto se dobbiamo ricordare, e lo dobbiamo per davvero ricordare, come un avvenimento straordinario la data del 30 novembre 1786, ancora di più oggi dobbiamo essere convinti dell’inutilità sia sotto l'aspetto della prevenzione, dell'educazione, della pena di morte; ma soprattutto dobbiamo avere una repulsione, un rigetto totale e convinto di questo atto barbarico. Onestamente, e so di dire un paradosso, credo che non se ne dovrebbe nemmeno parlare più. Oggi, è già stato ricordato, vi sono ancora circa 80, 90 stati dove vige la pena di morte. Vige in un grande stato democratico come gli USA, ma non solo negli USA, è stato ricordato. Questi sono convinti che per i fatti di estrema gravità sia un deterrente, non lo è di certo; ma soprattutto da una parte una nazione con tanta cultura democratica deve capire che il patibolo non è un risarcimento né per l'offeso né per i parenti né per gli amici, ma è una catena allungata di odio. Proprio partendo da stati democratici, che con un errore di fondo perdurano con la pena di morte, per crimini comuni, penso cosa può accadere negli altri e tanti stati dove vige anche un regime totalitario che hanno ancora nel loro ordinamento la pena di morte ma non solo per crimini comuni ma lo hanno, e soprattutto credo, per rivendicazioni... per coloro che rivendicano la libertà di politica culturale e religiosa, usano cinicamente questo inumano strumento. Ecco perché salutiamo con piacere questa giornata, che deve essere di stimolo per un cammino ovunque verso l'abolizione della pena di morte. E chiudo dicendo ricordiamoci che dobbiamo essere convinti che pena di morte significa un no alla vita e questo non può essere accettato.

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Pasquale De Luca Capogruppo Democratici in Europa con Prodi Grazie Presidente. Questo è un momento importante per il Consiglio, per la Toscana, anche per me, perché se non ve lo ricordate io ho esordito in Consiglio Provinciale con citazione di Beccaria dei temi che... ve lo ricordate, mi fa piacere. È un orgoglio della storia italiana la vetta del pensiero dell'illuminismo, rispetto al quale sono stati fatti anche passi indietro, comunque ne è stato messo a frutto anche parecchio del portato. Io non voglio ripetere cose già dette egregiamente dai colleghi intervenuti, e che forse verranno sviluppate anche da altri, circa l'importanza di essere alla guida di un movimento ideale che veda la Toscana farsi vessillifera ancora oggi di questa necessaria battaglia. Io vorrei fare una sottolineatura sulla necessità di una consapevolezza che vada al di sotto di certe superfici, che tali rimangono, di analisi, che attengono solo all'ingiustizia, alla brutalità, alla mancanza del diritto di uccidere, alla vendetta dello Stato. Sono tutte cose giuste, però io vorrei che venisse fatta una riflessione su un livello rispetto al quale non ci siamo mossi dal 1786. Rileggendo il provvedimento del Granduca, che era la riforma del Codice di Procedura Penale dell'epoca in sostanza, e che in moltissimi aspetti assomiglia a quello nuovo che c'è in Italia da dieci anni e che è molto meglio di quello che c'era stato in precedenza, nelle valutazioni dell'inutilità, perché il Granduca fa riprendendo il pensiero illuminista anche di Cesare Beccaria, che non ne faceva tanto una questione di ingiustizia, ne faceva una questione di inutilità, una crudeltà inutile quindi doppiamente stupida, come riportato anche nella fotocopia estratto che ci viene dato; individuava la linea vincente, il segreto sostanziale per fare vincere la battaglia per l'abolizione della pena di morte, con una descrizione che è attuale come non mai, sono parole che quotidianamente si sentono dire da tutti, quando si parla dei problemi... di questi problemi, tuttora oggi con un'attualità che a distanza di più di due secoli io giudico raccapricciante; raccapricciante perché sono state scritte da un Granduca nel 1786, oggi siamo alla vigilia del 2001, oltre alla mitigazione della pena di morte... delle pene, di togliere la pena di morte e mitigare quelle inutilmente crudeli, lui ritiene che ci sia necessità di esatta vigilanza per prevenire spedizione celere dei processi, prontezza e sicurezza della pena. È la stessa ricetta che ad oggi tutti si invoca come indispensabile per poter risolvere i problemi che attengono in qualche maniera alla criminalità. Quindi io mi sono permesso di limitarmi a sottolineare questo aspetto, sono passati 214 anni e la ricetta è la stessa solo che ugualmente come all'epoca inattuata anche perché, non so, forse non tutti ci avevano fatto mente locale, ma il Granduca dopo qualche anno si pentì di questa cosa e dopo appena 4 anni la ripristinò anche rimettendola sugli stessi reati che lui nel toglierla aveva giudicato ridicolmente sanzionati con la pena di morte, quali quelli di lesa maestà etc. Quindi io vorrei che noi facessimo una riflessione sull'eccezionalità anticipatrice del pensiero illuminista e in quel momento anche del Granduca, però sul fatto che sarebbe anche ora che su questi binari risolutivi ci si avviasse con consapevolezza e con grande forza di incisione.

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Eugenio D'Amico Capogruppo Rifondazione Comunista Grazie Presidente. Credo di non deludere molti colleghi nel cercare di provare a dare un altro taglio alla discussione che oggi stiamo facendo, non uscendo dal tema. Cioè nel dire che noi abbiamo già discusso della pena di morte in questo Consiglio e credo che anche le iniziative sia della Giunta sia del Consiglio alcune cose le hanno fatte. Ma il problema principale è sulla necessità che oggi c'è di fare una festa sulla pena di morte. Faccio una battuta, per fortuna che oggi è Sant’Andrea che ad Empoli ed altri paesi si festeggia, proprio per la questione della festa. Perché qual è la necessità per un popolo come quello toscano che un organismo di governo, quello regionale da poco eletto, da poco riformato in materia di potere e di competenze, istituisca una festa. Questo è un punto importante, al di là dello spessore della pena di morte, ma già il collega De Luca ci ha detto che questo Granduca insomma poteva decidere di mettere e non mettere, insomma, o un valore è sempre oppure non c'è mai questo valore. Comunque ci ritornerò dopo su questo. Quindi è la necessità di riprendere un valore universale come il diritto alla vita, che non riguarda solo la Toscana, riguarda tutto il mondo, per farla diventare festa. In un percorso che i cittadini toscani non conoscono non so quanto coinvolgimento c'è stato dei cittadini stessi su questa festa affinché abbia uno spessore di questo tipo. Sono convinto che il problema della pena di morte sia sentito, ma non altrettanto la necessità di una Festa della Toscana. Questo è il punto che io volevo discutere. Perché questo è un punto politico, dove questa festa si celebra nei Consigli, provinciali e comunali, e come dicevo prima i Consigli comunali e provinciali su questo tema hanno dato il loro contributo e hanno dato la loro soluzione, contro la pena di morte. Ed allora perché una Festa della Toscana? Il Presidente del Consiglio della Regione Toscana dice che è il diritto di un popolo ad avere la propria identità, questo è scritto qui in questo libriccino, dove questa cosa viene affermata solennemente dal Presidente del Consiglio della Regione. Credo che il popolo toscano non può aspettare il 30 novembre del 2000 per avere un'identità. E certamente non gliela dà il neo Presidente del Consiglio della Regione Toscana un'identità. Perché altrimenti mi vengono i dubbi su tutto quello che io ho studiato, modestamente, oppure ha ragione il Presidente della Regione Lazio, Storace, a dire che in Italia i libri di testo non insegnano la storia. Ma non solo del 900 però, perché io credo che bisogna approfondire questo tema. E io credo che questa festa, impostata in questo modo, delegando alla figura di Pietro Leopoldo, offende il popolo toscano; perché io avrei capito se magari la festa fosse la nascita di Dante Alighieri, perché ha dato un segno in Italia, ha dato un segno alla lingua, in cui noi oggi ci riconosciamo, con un valore importante. Credo che sia importante questo. Però credo anche che questo principe non è illuminato, lo diceva prima anche il collega De Luca, perché non si può decidere con la solennità di togliere la pena di morte e poi quattro anni dopo sui delitti politici, guarda caso alla vigilia della Rivoluzione francese, mentre si stava generando la Rivoluzione della Repubblica partenopea, si istituisce di nuovo la pena di morte stando sull'onda anche populista, perché furono anche i moti di Prato che chiesero di istituire la pena di morte, quindi se il valore era universale, per il Principe illuminato, tanto per scomodare Machiavelli, il popolo doveva stare un passo indietro quindi avere questa grande intuizione, di reintrodurla. Ma comunque al di là di questo io non credo che Leopoldo della Toscana sia l'unico così tanto illuminato e tanto riformista. Anche perché in quel periodo, come altri colleghi hanno detto, era un secolo illuminista, c'era Cesare Beccaria, Giovanbattista Vico, alcuni autori li ha già citati il Presidente del Consiglio Scalise, c'era Francesco Mario Pagano, c'erano Vittorio Alfieri, Vincenzo Russo, ed altri e c'era già in atto la stampa clandestina di giornali e volantini. Ed erano tutti autori, era tutta stampa, che non facevano altro che propagare i diritti dell'uomo e i valori liberali; quindi per dirla con un autore che mi è molto caro, con Carlo Marx, era già la borghesia che stava iniziando a lottare per essere classe dirigente dopo l'aristocrazia; quindi eravamo alla vigilia della Rivoluzione francese.

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E quindi credo che Leopoldo non era tanto illuminato, c'erano già i moti che qualcuno portava avanti, che Firenze illuminata e i cittadini veri, già questi valori erano già nel popolo, non erano tanto nel “Principe Illuminato”. Però c'è un altro senso, ed allora perché questo senso di tornare ad un nuovo umanesimo per legittimare magari qualcosa che a qualcuno gli è scappato appena è stato eletto Presidente del Consiglio in Regione, di fare il Parlamento toscano. Quindi cominciare a creare quel seme per dire che noi abbiamo una diversità e quindi per scimmiottare qualche cosa che in altre Regioni hanno fatto, come ha fatto la Lega. E quindi per mettere per esempio nel nuovo statuto toscano il concetto di Parlamento, il concetto della separazione. E mi fa piacere che oggi c'è stata una distinzione nella cerimonia tenuta a Palazzo Pitti, tra il Presidente del Consiglio e il Presidente della Giunta Regionale, su questi temi, dove la distinzione è stata sottile ma si sentiva, su come si interpreta il federalismo, di come si interpreta il decentramento. E quindi credo che sia importante invece oggi, perché c'è bisogno di un nuovo vincolo che trova un nesso tra politica e cultura, dove il federalismo non si riconosca soltanto nella separazione culturale, ma nella ricchezza di un popolo, che ha una storia passata, che ha la capacità di valorizzare, di valorizzare la sua storia, contro questo oscurantismo culturale e sociale in cui noi viviamo. Quindi credo che sia importante valorizzare il segno della civiltà della cultura toscana che si muova per un nuovo statuto, che trovi il senso della solidarietà, il senso dell'integrazione delle differenze, il senso della giustizia sociale. Queste sono le differenze che noi come Rifondazione Comunista abbiamo cercato di sottolineare anche rispetto alla Carta dei diritti europei, quella che si voterà a Nizza, perché è importante questo concetto di come nasce il nuovo statuto. Perché guardate che sono dieci anni e più che il concetto della Lega della separazione, il concetto di valore locale, ha provocato quello che ha provocato, separazione tra comunità. Quindi prego il Consiglio Provinciale di Firenze di fare uno sforzo, di non vedere soltanto la festa in quanto festa, ma di vedere qualcosa che può essere di separazione rispetto al concetto unitario di stato solidare e di popolo. Ma soprattutto credo che il popolo della Toscana oltre che a condannare la pena di morte, come pena giudiziaria deve condannare la morte, per guerra, per sfruttamento, per il lavoro, per la fame nel mondo. Quindi credo che siano questi anche i temi per un nuovo statuto della Regione Toscana. E quindi crediamo che ci sono tutti i presupposti per cercare di rilanciare una Regione come la Regione Toscana, per rafforzare il suo ruolo rilevante che ha già avuto nella cultura italiana e nella cultura europea. Non c'è bisogno di dire che la Toscana ha bisogno di questa festa per avere un diritto all'identità. Se c'è una Regione in Italia che non ha bisogno di questo, credo che sia la Toscana. E io sono onorato di vivere in questa Regione anche se sono nato in un'altra Regione, la Calabria. Quindi credo che sia importante per esempio che la discussione sul nuovo statuto, non sia una questione che si risolva dentro le mura della Regione, che sia lo statuto che abbia un valore universale, che venga dai comuni, dalle province, una discussione che coinvolga e che non sia soltanto chiuso nelle stanze della Regione. Quindi noi siamo fermamente contrari alla pena di morte. E non vediamo l'utilità di una festa per dire questo. Vediamo la grande utilità di avere ripristinato il 2 di giugno come Festa della Repubblica italiana.

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Alessandro Giorgetti Consigliere AN - Vice Presidente del Consiglio provinciale Grazie signor Presidente. Signori Assessori, colleghi Consiglieri. Mi sia consentito oggi di levare alta una voce per così dire fuori dal coro. Oggi 30 novembre si celebra la Festa della Toscana. Io non ho nulla in contrario ad una Festa della Toscana, paradossalmente sono abbastanza vicino ad alcune delle posizioni espresse poco fa dal Consigliere D'Amico. Abbiamo la festa del tortello, la sagra dei fagioli all'uccelletto, la festa dei carciofi sott'olio e dei cardoni rifatti, va bene anche la Festa della Toscana. Come dicevano i Romani: “panem et circenses”. Ci vuole anche questo per il popolo, per distrarlo un po' da problemi molto gravi che attanagliano la nostra e le altre società europee ed occidentali. Il fatto negativo, e che vede la mia contrarietà più totale, è che si celebra oggi la Festa della Toscana, 30 novembre, perché 214 anni fa il Granduca Pietro Leopoldo abolì la pena di morte e la tortura. Le malelingue dicono che quel decreto fu firmato dopo una serie di abbondanti libagioni da parte del Granduca. Gli storici più seri, ma attenzione a volte anche le malelingue hanno ragione, gli storici più seri dicono invece che il Granduca firmò quel decreto in risposta alle idee emergenti, illuministe, di una crassa borghesia, ricca, sfruttatrice, spesso schiavista, di formazione tutta illuminista; i cui risultati si sarebbero visti di lì a poco, con il terrore e l'orrore della Rivoluzione francese e di tutte le nefandezze da questa derivate. Fatto sta comunque che le libagioni finirono, il Granduca stesso - come è stato oggi qui ricordato - disconobbe quattro anni dopo questa firma e reintrodusse, ritornando savio di mente, uno strumento che probabilmente non era tanto indispensabile nella Toscana di 200 e passa anni fa; perché la situazione della Toscana, la situazione dell'Italia, la situazione dell'Europa, in termini di delinquenza e di nefandezze era di gran lunga migliore rispetto alla Toscana, all'Italia, all'Europa, all'Occidente di oggi. Però la reintrodusse. E allora è una festa... che festa è questa? Una festa a termine? Una festa a tempo? A me pare piuttosto un coitus interruptus, che dà le dimensioni al significato di questa festa. Io in questa giornata comunque di festa, imposta, colgo l'occasione per formulare, per esprimere, un ricordo deferente, affettuoso, a tutti gli Abele, a tutte le vittime di quei delinquenti che l'abolizione della pena di morte ha reso e rende e renderà liberi di continuare a perpetrare i propri misfatti. Alle vittime del terrorismo, alle vittime della mafia, e soprattutto, soprattutto alle vittime dei pedofili e dei loro manutengoli; pedofili per i quali non solo ritengo giusta l'applicazione della pena di morte ma ritengo sacrosanto che la pena di morte venga eseguita dopo un'adeguata, oculata, permanenza in luoghi di tortura. La festa ufficiale invece è qui, nei luoghi istituzionali. È una festa che in realtà celebra lo scampato pericolo, l'impunità per i carnefici, è una festa che in realtà ha tutti i crismi per apparire come un inno a Satana. È una gigantesca messa nera dove le vittime vengono massacrate una seconda volta dai carnefici, qui beificati ed onorati. Ed allora che posso dire? Cosa si può dire? Che dire soprattutto di fronte allo sbracamento generale, istituzionale contro il crimine. Alla latitanza delle istituzioni sia di quelle di carattere legislativo sia di quelle giudiziarie. Latitanza che il più delle volte appare essere come una connivenza, addirittura come una sorta di vera e propria complicità. Mi riferisco a governanti di paesi a noi vicini, come il Belgio, di paesi a noi più distanti come la Russia, dove addirittura esponenti di partiti politici di destra e di sinistra, vivono impuniti nonostante che da più parti si levino alte le voci di una loro colpevolezza proprio nei confronti dei crimini più atroci, più nefandi, più schifosi, come quelli di pedofilia. Che dire allora? Io mi posso esprimere soltanto con due dichiarazioni. La prima è di tipo religioso, ed oggi io da cristiano lancio la maledizione affinché le vittime che dovrebbero essere sul rogo oggi, garrotate, impiccate, fucilate, beh, abbiano un residuo di vita il più doloroso possibile nel corpo e nella mente. La seconda è di tipo laico, e riguarda due auspici o auguri che io mi faccio: il primo riguarda l'Islam, e chi mi conosce anche superficialmente sa quanto sia grande la mia

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avversione all'Islam. Ebbene nonostante questo, nonostante che io consideri l'Islam il nemico mortale della civiltà occidentale, mi trovo ad auspicare oggi, in questo giorno di festa contro la pena di morte, che il fiume di invasione islamica in Italia e in Europa diventi un fiume in piena e che l'Italia e l'Europa si trovino costrette, come già successo altrove, in altri tempi e in altri luoghi, ad adottare il Corano come legge. Affinché finalmente gli assassini, i terroristi, i mafiosi, i pedofili, vengano trattati come natura comanda. La seconda, in attesa che questo avvenga, beh io mi auguro che gli Abele, gli uomini pii, gli uomini di buona volontà, gli assetati di giustizia, sappiano, abbiano voglia, abbiano la forza, siano stimolati a questo, abbiano la forza di fare giustizia. Grazie. Gianni Gianassi Consigliere Democratici di Sinistra Signor Presidente, signori Consiglieri, oggi festeggiamo la Toscana, con una festa nuova, questa novità avrà un significato e quindi anche un futuro, se a partire da un simbolo saprà diventare un momento della riflessione sulle nostre radici, sulle nostre storie e sulle nostre culture. Ma anche sul contributo che di anno in anno, di epoca in epoca queste hanno dato e potranno dare alla crescita della nostra gente e dell'intero paese. Sono quindi almeno due le ragioni per esprimere un giudizio positivo sull'iniziativa della Regione Toscana che ha stabilito questa ricorrenza. La prima ragione è quella che guarda al passato e che dalla valorizzazione simbolica di un provvedimento, un atto di governo che isolato nel suo tempo e minoritario nelle culture e nell'etica di quegli anni, seppe cogliere quanto di meglio veniva da una cultura che cominciava a guardare anche ai diritti del cittadino. Con i fermenti che animavano una nascente borghesia ed alcune importanti istituzioni culturali, quali per esempio nella nostra regione, l'Università di Pisa, dove si erano formati molti dei Consiglieri di Leopoldo. Luogo impregnato dalla tradizione galileiana del 600. Venivano poste le basi per una cultura moderna della convivenza civile e un allargamento, almeno nelle intenzioni, della base sociale di riferimento. Potremmo discutere a lungo, e le mie conoscenze sono e rimarranno sicuramente insufficienti, di un'epoca che ha segnato l'organizzazione dello stato, del lavoro, delle classi sociali e anche del territorio in Toscana; e che ha contribuito insieme alle trasformazioni della fine dell'800 e dell'inizio del 900, dall'assunzione di responsabilità di governo da parte delle classi subalterne così come ha ben studiato Ernesto Ragionieri, al tributo dato nella lotta di liberazione nazionale, a consegnarci in eredità un patrimonio imponente. La Toscana del 700 in seguito alla crisi italiana iniziata alla fine del 400, era divenuta un paese prevalentemente agricolo, basta ricordare che agli inizi di quel secolo Firenze contava 72 mila abitanti. Con attività industriali ed artigianali assolutamente ridotte, ed era dominata da una classe bancaria e mercantile e soprattutto da un patriziato di proprietari terrieri. Fortissimi erano i privilegi degli enti ecclesiastici e degli ordini cavallereschi. La forma tipica di conduzione agraria era la mezzadria, tipica di epoche in cui le classi dominanti avevano riversato in misura crescente i propri capitale nell'agricoltura; devo dire da ciò ha tratto vantaggio la nostra regione nella creazione di quello straordinario paesaggio seicentesco e settecentesco fatto di ville padronali, case coloniche e quant'altro. Pietro Leopoldo ha un progetto organico di riforme, ed in questo tessuto economico e sociale lo inserisce. Molte di queste non vedranno la luce ed alcune non si realizzeranno come i più illuminati dei suoi Consiglieri desideravano. Nel 1788 tre quinti delle proprietà granducali vennero alienate, oggi si direbbe una prima grande privatizzazione. L'intento originario era quello di porre al centro di questa operazione gli agricoltori ma fu un intento frustrato dall'intervento dei grandi ceti mercantili e professionali. Fortunatamente questa fu un'operazione accompagnata da un'intensa opera di bonifica. Nel 1767 fu varata la legge sulla libera contrattazione dei prodotti agricoli, e successivamente, oggi si direbbe così, la libertà di import export, la soppressione dei pedaggi e delle

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dogane, introducendo una vera libertà di commercio e di circolazione delle merci. Furono abolite le corporazioni e a Firenze - la prima città italiana - le Arti. Ciò contribuì a eliminare molti dei privilegi così come chiedevano gli illuministi. Nel 1774 fu varata la riforma municipale. Insomma nacquero una cosa simile ai Comuni allargando la base di partecipazione al governo della cosa pubblica. Alle amministrazioni fu data ampia autonomia anche imponendo un'imposta fondiaria su tutti i proprietari sgravando sensibilmente di questa i contadini. Fu abolita l'immunità fiscale degli enti ecclesiastici e di altri corpi privilegiati. In questo clima nacque la riforma del Diritto penale. La pena di morte fu abolita, così come la tortura ed i suoi strumenti pubblicamente bruciati nel cortile del Palazzo del Bargello. Io credo sia inutile una discussione che riflette se i governanti dei tempi passati furono o meno despoti o se hanno dato un taglio invece che un altro. Per far ciò sarà importante la ricerca storica. Chi di noi potrebbe discutere di quanto ha fatto Alessandro Magno, Carlo Magno, Napoleone, Caterina di Russia, e lo stesso Robespierre e i rivoluzionari francesi senza pensare, insieme alle grandi innovazioni per il loro tempo, che essi hanno anche dominato con un pugno di ferro e con violenza. Molto ovviamente e con dettaglio storico e storiografico, dovremmo dire, senza santificare epoche e personaggi, ma con l'umiltà di fare la nostra storia, di essere orgogliosi di ciò che di buono è stato prodotto. Sarebbe giusto su quell'epoca, come su altre determinanti nella costruzione delle Toscana e dell’Italia moderna, dare spazio agli storici, alla ricerca, all'approfondimento, più che alla politica in carica. D'altra parte molte cose sono state dette anche dai Presidenti, Nencini, Martini e Amato, nella seduta straordinaria del Consiglio Regionale Toscano, collocando meglio di me storicamente l'evento che è la ragione per cui si è innescato la proclamazione di questa festa e confrontandolo con le politiche odierne della Regione, del Paese e dell'Europa. I Consiglieri mi scuseranno se non approfondirò di nuovo neppure ciò che da questi banchi, da tutti i gruppi politici, è stato detto e votato affinché cessi la barbarie della morte inflitta dallo Stato. Fa onore a questo Consiglio non essere stato secondo a nessuno nell'impegno lungimirante per l'abolizione della pena capitale da tutti gli ordinamenti del mondo. Vorrei essere anche esentato dal guardare al presente, perché ciò implicherebbe, per forza e per convinzione, un ragionamento tutto legato all'attualità politica e lo ritengo altamente inopportuno nella celebrazione di una festa che ricorda un evento del passato per guardare al futuro. Pensate che oggi, convocando tutti i Consigli comunali e tutti i Consigli provinciali, diverse migliaia di amministratori, cittadini che ricoprono cariche politiche pubbliche, di questo stanno discutendo. Dovrei per forza altrimenti parlare dei risultati del governo regionale e nazionale, ma qualcun altro lo farà fra poco parlando della legge finanziaria per il 2001. Perciò la seconda buona ragione per festeggiare il 30 novembre è invece guardare al futuro. Guardare al futuro per parlare alle nostre ragazze ed ai nostri ragazzi, a coloro che sono nati fiorentini, senesi, lucchesi o pisani o in qualche altra regione o paese, e che saranno senza dubbio cittadini d'Europa e del mondo. Parlare al futuro perché in un mondo che si allarga, anche in maniera inquietante, prende forza, più forza, la necessità di agire e pensare globalmente e localmente. Il valore aggiunto che può rappresentare non solo in Italia, ma anche nel mondo, essere toscani, essere cittadini di una delle regioni che ha ereditato da nonni e padri uno straordinario patrimonio storico, artistico ed ambientale, che ha sviluppato con ingegno ed ardimento mestieri e professioni che dalle arti ha portato all'eccellenza nell'high tech o nel designer, e che ha dato impulso forte alla ricerca ed al prestigio dei suoi istituti scientifici e culturali. Una Toscana che vuole portare nel futuro almeno tre valori fondanti, innovandoli, per renderli attuali e vicini ai cittadini: Libertà, Solidarietà, Autonomia.

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Libertà e responsabilità della persona che deve esplicarsi con una forte caratterizzazione di autonomia personale, familiare, associativa, imprenditoriale, per suffragare un concetto di sussidiarietà orizzontale fra pubblico e privato, verticale tra i diversi livelli di governo che non sia né sussistenza, né liberismo sfrenato, né assistenza, ma capacita di autorganizzazione sociale che assolve una funzione cooperativa e solidale dentro una società libera e solidale. Proprio perciò l'approccio della Toscana al federalismo è un approccio costruttivo e costruito in maniera tale da rendere la nostra terra protagonista per ciò che è, per ciò che fa e vuole fare per l'Italia ed in Europa. Da questo siamo confortati anche dai risultati della recente ricerca promossa sulla condizione giovanile in Toscana che nel registrare che vengono ampiamente combinate le identità locali con quella nazionale ed europea in una sorta di puzzle, prende atto come i giovani toscani si distanziano leggermente dal modello nazionale di appartenenza, mostrando una minore inclinazione verso i sentimenti nazionali e verso il municipalismo, per valorizzare di più i sentimenti regionalistici. Essi esprimono una più alta soddisfazione di vivere in Toscana rispetto ad altre aree del Paese. L'immagine che ne risulta infatti, è quella di una terra caratterizzata da un buon benessere economico, che offre possibilità di svago e divertimento ma anche sicurezza sociale e discrete opportunità di formazione. Non si tratta di mitizzare niente di tutto ciò, ma di sviluppare la convinzione che una società aperta, come è stata e vuole essere la nostra, può essere un bel contributo alla crescita di questi ragazzi. Una società aperta, con un forte senso della laicità dello Stato ma anche con un grande rispetto delle fedi, d'altra parte il campanilismo nasce sotto i campanili, ed un grande rispetto delle culture e delle esigenze personali. Con una forte tradizione del lavoro e dei lavori. Siamo in una società globale ed anche globalizzata, siamo in un'epoca di grandi e complessi cambiamenti, i nostri figli saranno figli del pianeta e dal pianeta si guarda alle sue regioni più ricche con la convinzione che esse possano contribuire a risolvere molti dei problemi vitali. E' perciò necessario in questo giorno di Festa rivendicare ed affermare l'orgoglio della storia e delle tradizioni, delle radici e della cultura popolare ma anche impegnarsi per garantire che la Toscana resterà una regione aperta e solidale, disponibile a crescere insieme ai suoi cittadini vecchi e nuovi, quelli che strascicano la "c" e quelli che ancora non parlano neppure l'italiano. La scelta simbolica di civiltà che è alla base di questa festa è stata fortemente sostanziata in questi secoli dalla società toscana. Quindi festeggiamo con orgoglio e con l'ottimismo di chi è convinto che ciò proseguirà con spirito innovativo, aperto e libero, dando anche con questo un simbolo all'Europa dei popoli.

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Riccardo Gori Assessore provinciale Avrei preferito un'altra collocazione, nell'organigramma degli interventi. Ma anche io sono convinto che oggi siamo di fronte a una festa e ad una festa che è destinata non a durare lo spazio di un mattino o essere diciamo agganciata, semplicemente, anche se nobilmente, ad un evento come quello della riforma del Codice Penale di Pietro Leopoldo: sarebbe riduttivo. Si chiedeva il consigliere D'Amico, perché si cerchi, citando il libro che ci è stato distribuito, di individuare un'identità della Toscana; ma in realtà questo libro si intitola "le riforme di Pietro Leopoldo e la nascita della Toscana moderna". Non quindi l'individuazione di una identità che sotto certi aspetti io posso condividere che oggi abbia un suono particolare: Identità etnica, identità culturale, identità religiosa; le identità in questo contesto non sono scevre da equivoci. Ed allora diciamo che oggi celebriamo le radici moderne della Toscana. E le celebriamo sia in termini di verità oggettiva sia in termini di simboli alti, a cui noi vogliamo fare riferimento perché anche questi sono stati elemento di verità vera. La verità obiettiva sta sotto i nostri occhi, basta pensare al paesaggio toscano, questo paesaggio, quello che abbiamo di fronte agli occhi, quello che fa bella la Toscana di fronte al mondo: esso nasce prevalentemente in epoca fisiocratica, nel 700. Quando un sovrano illuminato, ma anche una classe dirigente tecnica, un manipolo non molto numeroso ma agguerrito di fisiocrati, l'Accademia dei Georgofili, cominciano a lavorare sul territorio. Le bonifiche, le strade, le nuove configurazioni tecnologiche degli interventi nell'agricoltura. Quindi il paesaggio, ma anche un paesaggio come dire di ordine politico culturale. Se ci pensiamo bene rispetto a quando Dante definiva nel Purgatorio, i casentinesi “porci”, “cani ringhiosi” (gli aretini), “lupi” (i fiorentini), “volpi” (i pisani). Ecco da quando Dante scriveva questo fino al tempo di Pietro Leopoldo poco era cambiato. Cambiò con l'epoca Leopoldina: la Toscana diventò una realtà, in cui la riforma amministrativa fornì di identità locale tutta una serie di emergenze che erano legate al Medio Evo, forse anche prima alla storia romana. Sicuramente a una storia anche di carattere sacro, i santi detenevano sostanzialmente l'identità di un paese, di un borgo, o di che altro. È Pietro Leopoldo a fornire di un tessuto amministrativo e di una identità amministrativa la nostra realtà locale. È sostanzialmente una valorizzazione ma anche un disciplinamento dell'atavico pluralismo e, in modo più concreto, della competizione spesso feroce che aveva contraddistinto le città e i comuni della Toscana. Quando il “tiranno” diventava il meno tirannico possibile ecco che le realtà locali e localistiche si apprestavano a diventare un tessuto che si faceva più moderato, si faceva governare, si disponeva in un contesto di collaborazione e di rapporti che non erano più quelli di Dante. Quindi anche questo è un elemento di modernizzazione. Però ecco gli altri elementi, quelli che dicevo simbolici, che poi hanno avuto una breve stagione di applicazione (consigliere De Luca io ti correggo, non fu Pietro Leopoldo a ripristinare la pena di morte fu Ferdinando III, il suo successore, ma dopo la Rivoluzione francese, eravamo ormai nel 1790, l'aria era completamente cambiata). Ma in quello stretto giro di anni, dal 1765 al 1790, Pietro Leopoldo produsse, non con una mentalità da sovrano illuminato, che era la mentalità di colui che per concessione, illuminato dalla ragione, faceva il bene dei sudditi, in possesso di un vero e proprio progetto, progetto politico, da uomo politico, seppe intervenire, modernizzando le basi economiche, allargando quelle sociali e rifondando quelle culturali. Guardate che l'editto del 1786, il 30 novembre del 1786, non è altro che uno, anche in questo campo di riforme come dire di carta, ma lo vorrei dire anche ai colleghi di Rifondazione Comunista, nell'ottobre del 1781 c'è una legge sul contenimento del lusso, nell'agosto del 1778 la dichiarazione di neutralità perpetua della Toscana. Nel settembre dell'81 l'abolizione dell'esercito e la trasformazione in milizia civica. E poi lo diceva anche Gianassi nel suo pregevole intervento la riforma dell'assetto amministrativo, con un decentramento e un rinnovamento della rappresentatività locale, con una specie di federalismo fiscale in Toscana che dava, attribuiva agli Enti Locali, la possibilità di riscuotere alcuni tributi. Non è occasionale tutto questo, c'è un passaggio molto bello, che Pietro Leopoldo lascia nelle relazioni sul governo della Toscana, immediatamente prima di

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lasciare il trono per dirigersi in Austria, a Vienna, per assumerne uno più grande, in cui fa capire quale è stata l'intuizione di un rilievo formidabile per quanto riguarda la conduzione del suo modo di governare. Un'intuizione che quasi prefigura, forse qualcuno sorriderà ma lo voglio dire lo stesso, la concertazione. Dice Pietro Leopoldo: “chi governa la Toscana è essenziale che ascolti tutti. Riceva tutte le persone, di qualunque ceto e condizione, dando udienza a tutti, ascoltando tutti, con buona maniera e pazienza, in specie la gente di campagna”. Cioè quella gente che era fuori dalla storia, di quel tempo. E allora noi vediamo che il ricongiungersi a questa epoca e a questa data non è casuale e porta, almeno io sento questo, una certa fierezza nella nostra identità ed anche nel nostro sentimento di toscani. Non voglio dire altro, non... approfondisco anche l'analisi di ciò che nasce in termini di nuova classe dirigente, in quel periodo in Toscana, forse offuscata e obnubilata dai decenni successivi, ma che riemergerà poi: una borghesia nuova, basata sul commercio, su una agricoltura modernizzata, che fornirà classi dirigenti e burocrazia al Granducato toscano, fondata su una selezione per merito e non più legata alle attribuzioni di casta. E poi voglio dire un'altra cosa, per finire. La scelta di modificare il Codice Penale con l'abolizione della pena di morte e della tortura, con quel gesto altamente simbolico del rogo nella Corte del Bargello di tutti gli strumenti di tortura, ci deve insegnare qualcosa. Se Pietro Leopoldo avesse commissionato dei sondaggi di opinione non avrebbe fatto questa scelta, l'ha fatta perché ha avuto il coraggio e l'intrepidezza dell'intelligenza politica e del senso morale per fare questo.

E questo ci deve dire qualcosa a noi oggi. La politica con Pietro Leopoldo ha avuto questo coraggio.

E forse, lo diceva Gatteschi, con una certa umiltà noi possiamo imparare qualcosa anche da personaggi e da epoche come queste.

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Alessandro Corsinovi Capogruppo CCD Democratici di Centro Noi oggi celebriamo la Festa della Toscana in una ricorrenza che ci fa ritornare al passato, passato nel quale alcuni liberali - così si possono chiamare - di qualche secolo fa, avevano capito che forse non era la pena di morte lo strumento decisivo per risolvere i problemi drammatici anche di quegli anni e di quelle società. Ma ricordando quella data noi celebriamo la Festa di Toscana ed anche di questo dovremo parlare in futuro. Perché è vero che da oggi per gli anni a venire ogni anno celebreremo questa ricorrenza. Ma lo dovremo fare e lo faremo cercando - io spero - di non strumentalizzare, spettacolarizzare, il ricordo di quell'evento e la discussione che si fa ogni volta che si discute della pena di morte. Perché si rischia sempre strumentalizzazione anche a fini politici e di parte, eventi che tutt'oggi nel mondo si compiono, con numeri spaventosamente rilevanti: quasi duemila persone ogni anno vengono giustiziate nel mondo, in 37 paesi. L'80 % delle esecuzioni vengono fatte nella Cina comunista, nella Repubblica democratica nel Congo, negli Stati Uniti e in Iran; questi 4 paesi da soli rappresentano l'80 % delle esecuzioni capitali. E di questi oltre 1.100 solo nella Cina comunista. Questo non è più tollerabile, non dovrà essere più tollerabile. Io sono per mia natura contro la pena di morte, ma vorrei che ogni tanto insieme al no contro la pena di morte si ricordasse anche, per ovvie ragioni, che contro la pena di morte occorre esaltare la cultura della vita. E di questo, quando si parla di questa circostanza e di queste vicende, molte volte, anche nelle assemblee elettive, ci si dimentica troppo spesso. Ci si dimentica anche che se tutti dicono no alla pena di morte, qualcuno ieri, oggi e forse anche in futuro, rimane schierato per l'interruzione della vita ed allora c'è contraddizione e ci può essere anche strumentalizzazione su questi argomenti. Quella che oggi celebriamo dovrà essere per il futuro anche e non solo oggi, la Festa della Toscana. Terra di civiltà morali, di civiltà delle arti, di scienza, di cultura, di civiltà dei diritti umani, terra dove alto e forte è sempre stato l'anelito alla libertà, alla solidarietà, (lo dicevano i colleghi che mi hanno preceduto) alla giustizia ma anche all'autonomia e all'avanzamento sociale e culturale. Festa della Toscana dunque, terra di popoli tra loro diversi. Non esiste un unico popolo della Toscana. Diversi ma uniti nella fierezza di una tradizione secolare, fatta di difesa del proprio territorio, della natura, della bellezza dell'ambiente e del suo paesaggio, del lavoro e dell'impegno civico. Toscana terra di forti idealità, di passione e di scontro politico, di grande senso delle istituzioni, ma anche terra di grande spiritualità, di religiosità diffusa. Dove la storia della chiesa e dei credenti si è saldata con la storia civile delle più importanti battaglie di libertà e di giustizia. Celebriamo dunque tutti insieme, volentieri, la Festa di Toscana, terra anche di grande civiltà giuridica. Per questo trovo giusto abbinare la festa della Toscana con la ricorrenza dell'abolizione della pena di morte. Ma dal prossimo anno dovrà essere però anche la festa del popolo e della gente di Toscana, perché sarebbe misera cosa, cari colleghi, se a festeggiare fossero solo gli uomini del palazzo della politica e delle istituzioni. Dal prossimo anno, ogni anno, tutti gli anni, in occasione di questa ricorrenza, che coincide con la prima ufficiale ricorrenza della decisione per l'abolizione della pena di morte, per la verità durata molto poco, pochi anni, perché quella decisione fu abrogata dopo pochi anni. Dal prossimo anno dovranno festeggiare tutti i cittadini toscani. Dovrà essere fatta festa per tutti ad ogni effetto, anche per la gente quindi. E non solo per il Palazzo. Quella gente che chiede con forza nuovi segnali alla politica e alle istituzioni, che chiede di poter rinsaldare il legame tra paese reale e palazzi delle istituzioni. Quindi le feste dovranno essere di tutti e per tutti. Per gli uomini del potere, del potere di questa regione in Toscana, ma anche per i cittadini amministrati e governati.

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Se la gente avrà la possibilità di ricostruire un rapporto saldo e diretto con le nostre libere istituzioni, certamente ci saranno nuove e migliori opportunità per far crescere la democrazia in terra di Toscana. Nuovi spazi di libertà, per uno stato moderno, europeo, socialmente avanzato, dove i diritti di tutti siano garantiti ma dove si riesca finalmente a ritrovare, come Aldo Moro ci ha personalmente insegnato, insieme ai diritti anche un nuovo senso del dovere. Perché questo paese non si salverà e la stagione dei diritti e delle libertà si potrebbe rivelare effimera, se in noi tutti, e anche in terra di Toscana, insieme alla continua esasperazione dei diritti non rinascerà anche un nuovo senso del dovere. Dovere per una cultura della vita contro le logiche e la cultura della morte. Troppe tentazioni, troppe demagogie, pervase da una cultura contraria di fatto alla vita, si rincorrono nella società contemporanea, ed anche e soprattutto qui nella nostra società toscana. Liberalizzazione delle droghe, esaltazione dell'antiproibizionismo, dell'eutanasia, dell'aborto, delle sperimentazioni e delle manipolazioni genetiche sulla razza umana, che ricordano l'orrore della più grande, di una tra le due più grandi culture dell'orrore, quella del nazismo. Ed allora se non è opportuno fare riferimenti alle ragioni per le quali Pietro Leopoldo non fece dei sondaggi (caro Assessore Gori) prima di promulgare quell'editto che riformava il sistema criminale abolendo la pena di morte, dovremmo forse ripensare che c'è anche una contraddizione quando si cerca di tirare da una parte e dall'altra questo evento, spiegandolo la mattina in un modo e la sera nell'altro. Questa mattina il Presidente della Regione Martini ci spiegava, con parole puntuali, che probabilmente quella decisione non era solo frutto di un sovrano illuminato ma era originata dai tumulti del popolo che a gran voce chiedeva e proclamava la fine delle torture pubbliche e delle uccisioni nelle pubbliche piazze. Questo contrasterebbe un po' con quanto ci voleva dire prima il collega Gori, ed allora dobbiamo trovarci d'accordo, non tanto sull'interpretazione a posteriori della storia a fini di parte o di partito, ma sul valore fondamentale di ciò che ci unisce intorno a questo problema; l'esaltazione dell'uomo e del suo diritto alla vita contro la cultura e la logica della morte. Se questa sarà (come io spero) oltre che una ragione naturale, fondamentale, che consente agli uomini della società e anche delle istituzioni, di poter trovare modi e forme per stare insieme e confrontarsi, un tentativo di costruire una società migliore, io credo che anche la Festa di Toscana potrà caratterizzarsi come un segnale importante. Una festa che ci deve far ricordare il passato ma che deve essere oggi, per domani, per noi e per i giovani, davvero una festa di tutti.

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Carlo Bevilacqua Capogruppo Forza Italia Grazie signor Presidente. Ma intanto intendo ringraziare il Presidente del Consiglio per l'omaggio che ha fatto a tutti i Consiglieri e devo esprimere compiacimento per l'iniziativa della Regione Toscana, e conseguentemente per l'adesione a questa iniziativa della nostra Provincia. Che per altro non affronta l'argomento della pena di morte per la prima volta, anzi, senza farne un vanto, come diceva poc'anzi il collega Gatteschi, ma devo esprimere un'intima e profonda soddisfazione per due motivi; il primo sicuramente predominante, e cioè quello di appartenere a una Regione, che come già detto da tutti gli intervenuti prima di me, ha scritto una storica pagina dei diritti dell'uomo, abolendo la pena di morte. In secondo luogo perché il nostro gruppo, di cui mi onoro di essere capogruppo, ha sollevato in questa istituzione, già nel luglio del 95, questo dibattito. Un dibattito che è stato subito raccolto da tutti i gruppi della Provincia, e dalla stessa Giunta, e da lì sviluppato, grazie anche ai lavori della Sesta commissione, già Settima, presieduta dall’attuale Assessore Gori. Non credo che si debba ancora sottolineare l'importanza di sviluppare la consapevolezza dei diritti umani, richiamando la dichiarazione universale dei diritti umani appunto, né tanto meno ricordando che a breve l'Unione Europea sarà protagonista di un ulteriore fondamentale passo avanti, rinnegando - con il trattato che andremo a firmare a Nizza - la pena di morte, per altro già messa al bando da numerose costituzioni degli stati europei. Ma vorrei portare il dibattito su questioni più terra terra, perché ho il timore che è stato manifestato anche dal collega Corsinovi, che alla fine le istituzioni di questa festa ne facciano una cosa propria, si parlino addosso, mentre invece dobbiamo far sì che questa celebrazione sia vissuta in prima persona dalla nostra gente. Ed allora se penso alla nostra gente, se penso al dibattito che si può sentire in tante occasioni, al solito bar, in occasione di delitti che fanno male, che fanno male ad ascoltarli non a subirli, immaginiamo a subirli, di fronte a questi delitti io sento persone anche a me vicine, a me care, come mia mamma, mia moglie, che mi dicono "a quello ci vorrebbe la pena di morte". E vi assicuro che né mia mamma né mia moglie sono particolarmente crudeli. Credo piuttosto che al di là delle celebrazioni si debba procedere pensando ai nostri ragazzi, lo ha detto il collega Gianassi prima, ha detto dobbiamo puntare sui nostri giovani. E io sono d'accordo, sono d'accordo ma per farlo non possiamo limitarci a una celebrazione istituzionale, dobbiamo creare un percorso didattico che in qualche misura renda ai giovani la possibilità di capire in cosa consistono i diritti umani. Io credo che non si possa superare un percorso storico, bello o brutto che sia, bruciando il passato, e mi riferisco a quello che diceva prima l'Assessore Gori. Anzi, credo proprio che per ricordarci di ciò che è stato fatto, di ciò che è stato commesso, si debba tutelare ogni bene, per far sì che resti la memoria di ciò che è accaduto. Il nostro dovere istituzionale è anche relativo alla istruzione, e in questo senso credo che la Provincia possa fare molto. Io credo che dovremmo prendere questa occasione, nata come una Festa della regione Toscana, per intraprendere un cammino, magari attraverso la Sesta commissione, che produca qualcosa di concreto, proprio per far sì che si vada a innestare nei nostri ragazzi la cultura dei diritti umani. Noi potremmo arrivare a creare degli obiettivi educativi, educare al rispetto della dignità umana, e alla comprensione delle nozioni di giustizia, uguaglianza, libertà, pace, diritti e democrazia. E rendere consapevoli dell'interdipendenza tra diritti umani, autodeterminazione dei popoli, sviluppo economico e pace. Credo che se noi riusciamo a portare nelle scuole, ai nostri ragazzi, questi messaggi, forse in un futuro non molto lontano, di fronte anche a crimini che fanno ribollire il sangue, e che possono fare esclamare che ancora ci vorrebbe la pena di morte, a volte anche la tortura, come diceva prima il collega Giorgetti, credo che se noi andiamo a iniziare un percorso di questo tipo,

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potremmo fra non molti anni, non sentire più, nei soliti bar di cui dicevo prima, che occorre la condanna a morte di fronte a certi crimini. E purtroppo invece oggi questo esiste. E se esiste non solo perché manca questa cultura, ma anche perché la gente non ha fiducia nelle nostre istituzioni giuridiche. I tribunali spesso non hanno quei tempi necessari, o meglio non sanno sfruttare quei tempi necessari per arrivare a condannare chi delinque. Ed allora si deve ricorrere, come avviene proprio in questi giorni ad un Decreto Legge antiscarcerazione. E sono tutte misure d'urgenza che non fanno stare tranquilli i cittadini. Ed allora vediamo ancora come criminali, che hanno già ucciso un bambino di tre anni, riescono dopo avere scontato una pena a uccidere un'altra bambina. È successo in provincia di Napoli qualche giorno fa. Quest'uomo ha sulla sua coscienza due vite, di due piccole bimbe. Di fronte a questi fatti ritorno a mia madre e mia moglie, dicono ci vuole la pena di morte. Quindi credo che sia necessario andare oltre il percorso istituzionale, e considerare seriamente la necessità di istituire un percorso didattico, che nelle scuole faccia arrivare il messaggio di quelli che sono i diritti umani e nello stesso tempo si debba procedere quanto prima non a provvedimenti tampone per ovviare ai problemi della giustizia ma a una riforma seria, concreta di tutto quello che è il procedimento penale. Io credo di poter concludere con un messaggio che viene riportato come promozione dall'O.N.U. per la tutela di tre generazioni dei diritti. E il messaggio è questo: libertà dallo stato, libertà dentro lo stato, libertà mediante lo stato. Grazie.

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Enrico Nistri Capogruppo Alleanza Nazionale Avevo un po' di imbarazzo prima di decidere il mio intervento perché temevo di aggiungere una lezione, naturalmente imperfetta, di storia alle altre che sono state legittimamente tenute in questa sala. Debbo ringraziare però il Presidente Scalise, che tra l'altro è un professore - ma nessuno di noi è perfetto, lo sono anche io - di avermi tolto di imbarazzo, in quanto alla fatica del tenere lezione, mi ha consentito di sostituire la semplice lettura di alcuni brani di quel libro molto citato, molto ricordato e magari non moltissimo letto che sono Dei delitti e delle pene di Cesare Beccaria, che ci ha voluto donare. Vorrei citarne uno che è tratto a pagina 47 dalla bella, economica ma completa, ed arricchita da un'ampia appendice documentaria, edizione del capolavoro di Cesare Beccaria. "Prontezza della pena. Quanto la pena sarà più pronta e più vicina al delitto commesso ella sarà tanto più giusta e tanto più utile. Dico più giusta perché risparmia al reo gli inutili e fieri tormenti dell'incertezza che crescono col vigore dell'immaginazione e col sentimento della propria debolezza. Più giusta perché la privazione della libertà essendo una pena, essa non può precedere la sentenza se non quando la necessità lo chiede. La carcere è dunque la semplice custodia di un cittadino finché sia giudicato reo; e questa custodia sostanzialmente penosa deve durare il minor tempo possibile, e deve essere meno dura che si possa. Il minor tempo deve essere misurato e dalla necessaria durazione del processo e dall'anzianità di chi prima ha un diritto di essere giudicato". Altro punto, della cattura. "Un errore non meno comune che è contrario al fine sociale, che è l'opinione della propria sicurezza, è lasciare arbitro il magistrato esecutore delle leggi di imprigionare un cittadino, di togliere la libertà ad un nemico per frivoli pretesti, e il lasciare impunito un amico ad onta degli indizi più forti di reità. La prigionia è una pena che per necessità deve - a differenza di ogni altra - precedere la dichiarazione del delitto, ma questo carattere distintivo non le toglie l'altro essenziale, cioè che la sola legge determini i casi nei quali un uomo è degno di pena. La legge dunque accennerà agli indizi di un delitto che meritano la custodia del reo, che lo assoggettano ad un esame, ad una pena, la pubblica fama, la fuga, la stragiudiziale confessione, quella di un compagno del delitto, le minacce, la costante inimicizia con l'offeso, il corpo del delitto è simili indizi sono prove bastanti per catturare un cittadino; ma queste prove devono stabilirsi dalla legge e non dai giudici, i decreti dei quali sono sempre opposti alla libertà politica, quando non siano proposizioni particolari di una massima generale esistente nel pubblico codice. A misura che le pene saranno moderate, che sarà tolto lo squallore e la fame dalle carceri, che la compassione e l'umanità penetreranno le porte ferrate e comanderanno agli inesorabili e induriti Ministri della giustizia, le leggi potranno contentarsi di indizi sempre più deboli per catturare. Un uomo accusato di un delitto, carcerato ed assolto - Beccaria dice assoluto - non dovrebbe portare seco alcuna nota di infamia. Quanti romani accusati di gravissimi delitti trovati poi innocenti furono dal popolo riveriti e di magistrature onorate. Conclusione, perché ogni pena non sia una violenza di uno o di molti contro un privato cittadino deve essere essenzialmente pubblica, pronta, necessaria, la minima delle possibili nelle date circostanze, proporzionata a delitti dettata dalla legge". Non ho scelto, signor Presidente, questa lettura per risparmiarmi la fatica di un intervento, ma perché il panorama della giustizia italiana oggi è l'opposto di quello che descriveva nel suo volume del 1764, scritto appena a 25 anni, Cesare Beccaria. La giustizia non è pronta, la pena non è pronta; come ricordava prima il collega Bevilacqua per more giudiziarie e per cavilli giuridici si lasciano impuniti o comunque in libertà assassini di bambini di tre anni; nel frattempo si applica la detenzione come tortura, come forma sottile di tortura giudiziaria, sovente per estorcere confessioni false o che comunque non sarebbero state rese.

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Quindi festeggiamo bene la Festa della Toscana, ricordandoci però che quell'editto del 30 novembre 1786 ha le sue radici nell'aureo libello scritto nel 1764 che c'è stato regalato e che i principi di quel libro sono stati traditi; così come ricordiamoci che il Granducato di Toscana fu costretto, sia pure per opera di un altro Granduca, come è stato precisato dall'Assessore Gori, a rivedere l'abolizione della pena di morte, in quanto ci si rendeva conto che la Rivoluzione francese era alle soglie. E la Rivoluzione francese, espressione di quella rivoluzione borghese che ricordava il collega D'Amico, citando Carlo Marx, la pena di pena non l'abolì anzi la industrializzò, perché con il pretesto di eguagliare anche i plebei ai nobili, i quali avevano il privilegio di avere tagliata la testa invece che di essere impiccati o comunque uccisi con altre forme più crudeli e più infamanti di esecuzione, industrializzò le esecuzioni capitali, perché la ghigliottina nata con pretese umanitarie in realtà moltiplicò il numero non dei delitti ma senz'altro delle pene. E introdusse, come del resto aveva fatto il Granducato di Toscana, il reato politico, applicò la legge dei sospetti per cui poteva essere incarcerata una persona per il semplice fatto di essere sospetta, non per prove o per indizi sufficienti e organizzò il primo grande genocidio della storia, che fu lo sterminio sistematico della Vandea, e tra l'altro di parte della Bretagna, denunciato per altro da uno dei primi socialisti utopistici, quel Babeuf che parlò per primo dello sterminio di quanti in Vandea si opponevano alla coscrizione obbligatoria e alla persecuzione del Clero, e comunque non si riconoscevano nei principi della Francia repubblicana. Quindi come vedete quel pensiero illuminista ed utilitario e umanitario che generò l’abolizione della pena di morte nel Granducato di Toscana generò anche la generalizzazione della pena di morte. Perché purtroppo dalle idee si possono trarre conseguenze molto diverse. Cosa voglio dire? Festeggiamo pure la Toscana, festeggiamo la sua identità che non è legata soltanto all'editto concesso da un Granduca e poi ritirato da un altro, ma che affonda le sue radici nelle libertà comunali, sia pure con quelle guerre che ricordava il collega Gatteschi, nel Granducato mediceo, che anch'esso ebbe i suoi grandi meriti, ma lottiamo soprattutto per la vita. Per la vita e contro la morte in tutte le sue espressioni. Lottiamo contro la tortura che può essere anche la tortura psicologica della detenzione illegittima, legata come diceva Beccaria agli arbitri di un magistrato. Lottiamo per la vita in tutte le sue manifestazioni e lottiamo contro la morte; che non è soltanto la morte irrogata per pubblica sentenza, negli stati in cui esiste un'opinione pubblica che la può denunciare; è anche la pena di morte inflitta con il colpo alla nuca e la pallottola addebitata ai parenti nella Cina comunista o postcomunista o altrove. Lottiamo contro quella forma di violenza alla vita che è l'aborto, come è giusto ricordare. Lottiamo contro l'eutanasia, lottiamo anche contro le morti sul lavoro, omicidi colposi ma pur sempre omicidi perché conseguenza di una colpevole noncuranza. In questo modo io credo che la Toscana, una Toscana alla ricerca di un'identità, che più forte deve essere quando si profila la prospettiva di grandi migrazioni, e di una società multietnica, potrà rievocare se stessa. E a questo punto possiamo anche ringraziare il Presidente del Consiglio Regionale, Riccardo Nencini, che ha saputo in questa circostanza essere primo laddove suo zio, il ciclista caro ai ricordi della mia infanzia, era invece come corridore l'eterno amato secondo al giro di Francia.

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Andrea Cantini Capogruppo Insieme con Di Pietro Signor Presidente, signori colleghi. È stato già detto un po' di tutto sulla pena di morte su questa giornata solenne di proclamazione contro la pena di morte. Mi riferisco ai ragionamenti precedenti, in particolare al discorso del collega Gatteschi, che nel suo riferimento diceva che la Regione Toscana e la Provincia di Firenze devono dare un contributo su questo tema a tutta l'Europa. Sono stati gli apripista 200 e più anni fa però in questo momento è utile questo apporto alla risoluzione del problema. Molto valida anche l'interpretazione di Vignoli, il quale ricordava che nelle ultime esecuzioni capitali di allora nella nostra Regione veniva anche a quei tempi dalla popolazione ripudiata con varie manifestazioni. E ricordando... ha ricordato anche che la pena di morte significava un no alla vita e questo è molto importante. Interessante anche la riflessione del collega De Luca in cui diceva che nel 1786 l'illuminista Pietro Leopoldo vide nell'abolizione della pena di morte un'inutilità, inutilità proprio estrema, per poi a sua volta attivare però anche una stretta vigilanza per rispondere alle esigenze di giustizia dell'epoca. Mi sembra un attimino che il collega D'Amico sia uscito dal tema. E faccia un po' di confusione quando dice che non spetta al Presidente Martini fare delle proclamazioni, oppure che Pietro Leopoldo non era illuminato nella scelta di abolire la pena di morte. Poi che Storace nei libri di testo forse ha ragione e riferendosi poi ad un certo momento a Carlo Marx, sul ragionamento della borghesia, insomma un po' di insalata russa del collega D'Amico che non riesce a spiegare il senso del ragionamento o forse sono io che non capisco, mi scuso. Poi c'è stata la voce fuori dal coro del collega Giorgetti, una voce più che fuori dal coro, fuori dall'intera orchestra mi sembra, perché mi pare sia andato giù molto pesante, nella previsione che nei prossimi anni dopo essere stati invasi da milioni di cittadini islamici dovremmo essere costretti addirittura a rifarci alle leggi del Corano. Mi sembra sinceramente un catastrofismo devastante, cioè non essendo per l'altro a parer mio la pena di morte l’antidoto giusto per prevenire né i crimini più efferati e né tanto meno la piccola criminalità. D'altronde però dobbiamo dare anche un cerchio alla botte perché nella gente vi è un sentimento giustizialista verso i crimini più efferati e pertanto noi come politici e come personaggi delle istituzioni dobbiamo intervenire in proposito per evitare anche semplici strumentazioni della gente. In Italia, per esempio, facciamo forse troppo uso strumentale delle perizie psichiatriche volte ad evitare i processi e le responsabilità dell'imputato, molto spesso criminali assassini e pedofili stupratori di bambini. Il collega De Luca ci può insegnare su questo. Infatti per l'articolo 88 del Codice Penale non è imputabile chi nel momento in cui ha commesso un reato era per infermità in tale stato mentale da escludere la capacità di intendere e di volere. L'infermità totale o parziale la si ottiene attraverso una semplice perizia psichiatrica ordinata dalla magistratura. In sostanza per le leggi italiane un omicida o un pluriomicida cui venga riconosciuta l'infermità mentale viene applicata l'articolo 222 del Codice Penale, una misura di sicurezza detentiva pari a 10 anni in un ospedale psichiatrico giudiziario, evitando quindi il processo e la responsabilità dell'imputato stesso. Bisogna revisionare gli articoli 88 e 222 del Codice Penale, non si capisce perché in altri stati il malato di mente che compie un reato grave come omicidio, venga condannato proprio per la sua condizione, e perciò... per evitare che ciò lo porti a reiterare di nuovo il delitto. Mentre in Italia viene riconosciuto non imputabile evitando il dibattimento e la condanna. Comunque nel ragionamento generale mi associo all'assemblea, evidenziando in questa odierna grande solennità in questa giornata importantissima. Grazie. Risoluzione proposta dal Presidente Scalise, approvata dal Consiglio, a conclusione dell’iniziativa “Festa della Toscana in ricorrenza dell’abolizione della pena di morte”

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IL CONSIGLIO PROVINCIALE DI FIRENZE RIUNITO in seduta straordinaria il 30 novembre 2000 in adesione all’invito del Consiglio regionale di convocazione di tutti i Consigli comunali e provinciali della Toscana per celebrare in foma ufficiale la ricorrenza del 30 novembre 1786, data nella quale nel Granducato di Toscana venne abolita, per la prima volta nel mondo, la pena di morte; CONDIVIDE l’iniziativa del Consiglio regionale di celebrare d’ora in avanti la giornata del 30 novembre come Festa della Toscana in ricordo di un evento straordinariamente importante nella storia dell’umanità, qual è l’abolizione della pena di morte, maturato nella Toscana del Settecento, evento che dimostra che l’impegno della società toscana nell’affermazione dei diritti civili affonda le sue radici nel tempo; RICORDA le precedenti occasioni in cui ha affrontato il tema della pena di morte approvando documenti ai quali rinvia: • 31 luglio 1995 – adesione alla campagna internazionale “Nessuno tocchi Caino”; • 13 settembre 1999 – contro l’esecuzione della condanna a morte inflitta dalla Turchia a Ocalan; • 8 novembre 1999 – contro l’esecuzione della condanna a morte inflitta a Mumia Abu Jamal dallo Stato della Pennsylvania; • 5 giugno 2000 – condanna ferma e totale della pena di morte; • 11 settembre 2000 – adesione all’appello della Regione Toscana contro l’esecuzione della condanna a morte di Rocco Derek Barnabei; RICORDA inoltre l’iniziativa promossa dall’Amministrazione provinciale denominata “L’urlo – No alla pena di morte”, tenuta in Palazzo Medici-Riccardi dal 23 al 28 ottobre 2000; CONFERMA il proprio impegno per l’abolizione della pena di morte che a distanza di oltre due secoli da quando fu abolita in Toscana è ancora presente in 89 Stati del mondo, fermamente convinto che nessun individuo può essere privato della vita a causa dei reati commessi e che nessun reato può giustificare il ricorso ad atti barbarici come la tortura e l’esecuzione capitale; SI IMPEGNA, nella consapevolezza che la battaglia contro la pena di morte è parte di un’azione più generale in difesa del diritto alla vita e della dignità della persona umana, a sostenere e promuovere, come ha fatto per il passato, le iniziative che tutelino i diritti dei bambini, delle donne e degli uomini in tutti i luoghi dove questi non sono rispettati.

APPENDICE ORDINE DEL GIORNO APPROVATO IL 31 LUGLIO 1995 IL CONSIGLIO PROVINCIALE - Considerato che è in corso una campagna internazionale denominata "Nessuno tocchi Caino", condotta da cittadini e da parlamentari per l'abolizione della pena di morte nel mondo entro il 2000, a cui hanno aderito Premi Nobel, personalità della scienza, della cultura, numerose città, province e regioni italiane, e rappresentanti di tutte le regioni e di parlamentari di diversi paesi: - una tappa di questa campagna è stata la marcia delle Palme che si è svolta a Roma il 19 aprile scorso, che aveva per obiettivi la moratoria delle esecuzioni capitali e la costituzione del Tribunale penale internazionale per i crimini contro l'umanità; - il 5 ottobre scorso, l'Italia ha cancellato la pena di morte dai codici militari, e ha raggiunto gli otto Paesi nella Comunità Europea e i cinquantaquattro nel mondo che l'hanno totalmente abolita; - una risoluzione italiana per la moratoria delle esecuzioni capitali è stata battuta per pochi voti all'ONU e verrà riproposta, su iniziativa di Nessuno tocchi Caino, a partire anche da altri paesi e con l'apporto di forze diverse, nella prossima sessione dell'Assemblea Generale; - il diritto di ogni essere umano a non essere ucciso a seguito di una sentenza o misura giudiziaria va affermato come fondamentale e inviolabile diritto della persona, in ogni ordinamento giuridico, come è già sancito nello Statuto dei Tribunali Internazionali per i crimini commessi nella ex Jugoslavia e nel Ruanda istituiti dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, il quale esclude in ogni caso la pena di morte: CHIEDE

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Al Presidente della Repubblica, ai Presidenti di Camera e Senato, al Presidente del Consiglio dei Ministri e al Segretario Generale delle Nazioni Unite, ognuno secondo le proprie competenze di impegnarsi a: - fare propria la Risoluzione del Parlamento Europeo del 12 marzo 1992, laddove afferma che "nessuno Stato. e a maggior ragione nessuno Stato democratico, può disporre della vita dei propri cittadini prevedendo nel proprio ordinamento la pena di morte come conseguenza di reati; anche se gravissimi''; - a ripresentare nella prossima sessione della Assemblea Generale delle Nazioni Unite (settembre - dicembre 1995), la proposta di Risoluzione sulla moratoria universale delle esecuzioni capitali e a sostenere quella dell'istituzione del Tribunale internazionale permanente sui crimini contro l'umanità; - a perseguire nell'immediato l'obiettivo giuridico, politico e morale della moratoria delle esecuzioni in caso di colpi di stato, di guerre civili o altre situazioni analoghe, chiedendo che in tali casi, nei quali la pena capitale viene comminata in assenza di garanzie giuridiche e processuali e assume spesso connotati di vero e proprio sterminio, il Consiglio di Sicurezza imponga una sospensione delle condanne a morte, ricorra in caso di violazione degli Stati, a tutte le sanzioni previste dalla Carta delle Nazioni Unite; - attivare la procedura di "obiezioni alle riserve" e quella di "contenzioso internazionale" nei confronti degli Stati contraenti il Patto internazionale sui diritti civili e politici che applicano la pena di morte ai minori di diciotto anni; IMPEGNA LA GIUNTA - ad aderire a questa iniziativa partecipando ad un incontro pubblico il giorno 3 agosto p.v. con esponenti dell'Associazione Nessuno tocchi Caino di passaggio a Firenze; - a inviare la presente deliberazione al Presidente della Repubblica, al Presidente del Consiglio dei Ministri, ai Presidenti dei due rami del Parlamento, e dell'Associazione Nessuno tocchi Caino.

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ORDINE DEL GIORNO APPROVATO IL 13 SETTEMBRE 1999 IL CONSIGLIO PROVINCIALE - Considerato che il processo intentato dalle Autorità turche al leader del PKK A. Ocalan si è concluso con la sua condanna a morte e che in tale processo il diritto pieno e completo alla difesa dell’imputato è stato largamente disatteso - Ritenuto come politicamente rilevante l’appello che Ocalan ha lanciato al Governo turco per una sorta di “riconciliazione” fra le parti, basata sul superamento da un lato del terrorismo come metodo di lotta politica per l’indipendenza del popolo curdo e dall’altro della crudele logica negazione e repressione dei diritti di questo popolo perseguita da anni da parte dello Stato turco - Valutato inoltre che il riconoscimento del diritto all’autonomia culturale, linguistica e amministrativa dei kurdi è uno dei grandi problemi ancora aperti che non può essere semplicemente rimosso né dalla Turchia e dagli altri stati limitrofi che ospitano la popolazione curda (Iraq, Iran, Siria) né dalla Comunità internazionale - Giudicando moralmente ingiusta, politicamente miope e giuridicamente discutibile la condanna inflitta ad Ocalan CHIEDE Al nostro Ministro degli Esteri di adoperarsi con tutti i mezzi politico-diplomatici affinché le autorità turche e il parlamento di quel paese non ratifichino la condanna alla pena capitale di Ocalan, scongiurando in tal modo una ripresa su larga scala del terrorismo nella stessa Turchia e insieme l’inevitabile e decisivo contraccolpo alle aspirazioni di quel paese di far parte della Comunità Europea. INVITA Infine il nostro Presidente del Consiglio e il Presidente della Commissione Europea ad intraprendere una forte iniziativa politica per la convocazione sotto l’egida delle N.U., di una conferenza internazionale sulla questione Kurda come grande tema da avviare a soluzione nel prossimo futuro.

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ORDINE DEL GIORNO APPROVATO L’8 NOVEMBRE 1999 IL CONSIGLIO PROVINCIALE Considerato che per il prossimo 2 dicembre 1999, era stata fissata la condanna a morte - mediante iniezione letale – di MUMIA ABU JAMAL, detenuto nel braccio della morte del Carcere di Waynesburg per il reato di omicidio; Considerato la necessità di opporsi comunque alla pratica barbara delle condanne a morte e di conoscere le dimensioni di tale realtà a livello mondiale attraverso la denuncia e l’informazione costante; Considerato tra l’altro che i difensori di MUMIA ABU JAMAL hanno presentato ricorso alla Corte Federale Distrettuale per consentire la revisione del processo e poter così acquisire nuovi elementi emersi dopo la sentenza; Preso atto che, a seguito della decisione della Corte Suprema della Carolina del Sud che si è impegnata a esaminare l’eventuale possibilità di una revisione del processo entro il 10 novembre, il 29 ottobre u.s. è stata temporaneamente sospesa la condanna a morte del detenuto per il reato di omicidio plurimo Richard Johnson che doveva essere eseguita alle ore 18.00 dello stesso giorno; IL CONSIGLIO PROVINCIALE DI FIRENZE PRENDE ATTO con soddisfazione della sospensione della pena comminata a MUMIA ABU JAMAL, come già avvenuto nell’agosto 1995; Ribadisce con forza il rifiuto per ogni forma di condanna capitale, considerandola pena crudele e inumana ovunque venga praticata, frutto di una concezione vendicativa della Giustizia, che esclude qualsiasi possibile riabilitazione del condannato; Sostiene la Campagna per una Moratoria Internazionale immediata delle esecuzioni capitali in tutto il mondo in vista del 2000; Impegna il Presidente della Giunta e il Presidente del Consiglio, a far pervenire questo Ordine del Giorno al Consolato USA di Firenze, all’Ambasciatore USA a Roma, al Governatore della Pennsylvania Thomas Ridge, al Ministro della Giustizia USA Janet Reno.

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ORDINE DEL GIORNO APPROVATO IL 5 GIUGNO 2000 IL CONSIGLIO PROVINCIALE CONSIDERATO Il perdurare in molti stati del mondo della pena capitale; VALUTATO Che le esecuzioni capitali fanno registrare un progressivo aumento che porta la cifra conosciuta di coloro che vengono giustiziati a superare di gran lunga il migliaio di casi all’anno; APPREZZANDO L’azione di alcuni stati singoli o associati e la meritoria attività di alcune associazioni che, a più riprese, hanno condotto campagne di informazione per ottenere la sospensione di alcune condanne capitali, per l’abolizione della pena di morte dal Codice Penale di tutti gli Stati, nonché, recentemente, per determinare una moratoria internazionale; GIUDICANDO Necessario proseguire in questa attività di testimonianza e di proposta e che, in tale direzione, anche il ruolo delle amministrazioni pubbliche può essere di rilevante importanza; RIBADENDO La sua più ferma e totale condanna nei confronti della pena di morte; IL CONSIGLIO PROVINCIALE DI FIRENZE IMPEGNA IL PRESIDENTE E LA GIUNTA PROVINCIALI - a stabilire un rapporto permanente, attraverso la VII Commissione – con tutte quelle associazioni, organismi e istituzioni che operino a favore dell’abolizione e/o per una moratoria della pena di morte; - a promuovere, verificandone la fattibilità, insieme agli enti locali della Provincia di Firenze, al Comune di Firenze, alla Diocesi Fiorentina ed altre organizzazioni religiose, alle suddette associazioni, una giornata in cui, annualmente, si svolga una iniziativa di rilevante richiamo contro la pena di morte; - a contribuire a diffondere, coinvolgendo il Provveditorato agli Studi di Firenze, nelle scuole superiori una informazione capillare per studenti ed insegnanti sulla pena di morte, allestendo anche presso la Provincia una banca dati – pur incompleti che siano- che serva da riferimento a tutti quei soggetti singoli o associati che intendano operare in questo campo; - a stabilire un’azione propria, anche di forte impatto simbolico, che segni in modo netto ed inequivocabile la volontà di condanna per questa pratica disumana e barbara di concepire la giustizia; - ad attivarsi presso le città e le province gemellate allo scopo di promuovere pronunciamenti e iniziative comuni contro la pena di morte; - a divulgare il presente O.d.G. a tutte le associazioni operanti in questo campo nonché a tutti gli enti locali della provincia.

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MOZIONE APPROVATA L’11 SETTEMBRE 2000

IL CONSIGLIO PROVINCIALE ADERISCE - all'invito del Presidente della Repubblica, rivolto agli Enti Locali Nazionali, ad una

mobilitazione ai fini di ottenere almeno il rinvio dell'esecuzione di Rocco Derek, Barnabei; - all'appello, sempre contro l'esecuzione di Barnabei, lanciato dal Presidente della Regione

Toscana e sottoscritto in poco tempo da decine di migliaia di cittadini; RITIENE che la sospensione dell'esecuzione non attesti automaticamente l'innocenza dell'imputato RICHIEDE con forza la sospensione immediata della pena capitale, anche al fine di verificare tutti gli

aspetti processuali e consentire a Rocco Barnabei la possibilità di dimostrare la sua eventuale estraneità dal reato per il quale è stato condannato a morte;

IL CONSIGLIO PROVINCIALE DI FIRENZE Nel confermare la propria netta opposizione alla pena di morte ovunque nel mondo, come

espresso nell’Ordine del Giorno approvato in data 5 giugno 2000, RITIENE se possibile, ancor più inaccettabile e odiosa la pena di morte, atto estremo e irreversibile,

quando non si è nemmeno certi della colpevolezza dell’accusato; SOLLECITA la Giunta Provinciale ed il Presidente del Consiglio Provinciale ad inviare un urgente

messaggio al governatore della Virginia ed a mettere in atto tutte le iniziative volte ad ottenere la sospensione della condanna a morte per Rocco Derek Barnabei.

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Pena di morte, giustizia del nulla

Intervento del Presidente della Provincia Michele Gesualdi Registrare una sintonia forte sui diritti umani e sul rispetto della vita (di chiunque sia, dell'innocente come del condannato) è motivo di soddisfazione per il consiglio provinciale che rappresenta modi diversi di intendere il servizio al bene comune: riveliamo insieme qualcosa di non scontato, qualcosa che smentisce il luoghi comuni dello sfascio. C'è una sintonia e una prospettiva di lavoro che ci fa uscire da noi stessi e promuovere un'azione civile. Dire no alle pena di morte e dirlo di fronte alla condanna di Rocco Derek Barnabei è ribadire proprio questo, anche quando la tentazione di far vincere l'istinto è forte. Dove c'è la pena di morte, vince l'istinto e non vince la ragione. Qui c'è qualcosa che viene addirittura prima del cuore: i dati, infatti, dimostrano che non c'è alcun rapporto tra la pena di morte e la diminuzione della violenza e dei delitti; anzi gli studi dimostrano l'esatto contrario. Mi è dispiaciuto constatare che la posizione di un solo consigliere abbia tolto unanimità a questo nostro sforzo comune. Ogni vita è indispensabile, anche quella di un pedofilo. Ogni vita è necessaria, anche quella di un assassino colto in flagranza di reato. Quando un uomo è disarmato e incarcerato applicare la pena di morte è commettere un delitto. Il rispetto di quella vita che si è macchiata di tutto, rifiutare di applicare ad essa la pena capitale, non significa cancellare i delitti commessi da chi è nei bracci della morte, che devono essere anzi puniti con severità. Chi soffre avendo subito gli effetti di un delitto, deve vedere giustizia e trovare accanto gente che aiuta, che consola, che costruisce un mondo migliore. Ma questo mondo migliore non ci sarà se si inserisce la vendetta nella legge: "La legge - è stato osservato - non viene fatta per imitare la natura umana ma per correggerla e soprattutto per non trasformare, a loro volta, gli innocenti in assassini". Quando si uccide a freddo, come fa uno Stato quando applica la pena di morte, si ha sempre torto, si commette un delitto, chi tace ne è complice e, lo dico da cristiano, ci si sostituisce a Dio, quello stesso Dio che ha chiesto di perdonare dalla croce i suoi carnefici "perché non sanno quello che fanno". Francamente, a me la fede da davvero mille motivi per dire no alla pena di morte. E' inutile starci a giocare sopra: "Non uccidere" è un comandamento assoluto. Anche quando finiscono i regimi e ci si abbandona a una vendetta mortale si ha torto. L'uccisione non risarcisce, ma abbrutisce. Noi, poi, siamo troppo assorbiti di riferimenti americani e non ci vogliamo rendere conto che la pena di morte viene applicata, al di fuori degli Stati Uniti, per delitti che da noi o non sono ritenuti tali (come avere un'opinione) o sono punibili con ben altra pena. La pena di morte in alcuni paesi degli Stati Uniti - alcuni, non tutti gli stati degli Stati Uniti - rappresenta l'assurdo di una visione istintiva del diritto all'interno di una democrazia, forse imperfetta, ma democrazia. Questo sconcerta, perché gli Usa appartengono al nostro vissuto e condividono tanto della nostra cultura, ma non in toto il concetto europeo-cristiano dell' "habeas corpus". Bisogna fare cultura e aiutare il processo di dissociazione dalla violenza che le associazioni di volontariato e una cultura maiuscola (penso anche al film 'Dead man walking') stanno portando avanti. Negli Stati Uniti si registra un forte ripensamento, che è indice di democrazia. Ma noi sappiamo benissimo che nella grandissima parte dei Paesi che ammettono nel loro ordinamento la pena capitale, essa viene utilizzata per eliminare oppositori politici o per punire delitti come la bestemmia o, ancora, per furto, per traffico, anche minimo, di stupefacenti, per uccisione di animali protetti. Io trovo disarmante che Paesi ufficialmente distinti e distanti sullo scenario internazionale, ammettano la pena di morte, comminata a persone che hanno commesso delitti da minori: alcuni Stati degli Stati Uniti, l'Iraq, l'Arabia Saudita. Mi limito a un paio di considerazioni forse banali, ma decisive come le nozioni fondamentali che alimentano l'intelligenza. La pena di morte si è rivelata inefficace: l'alto numero di esecuzioni, in

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alcuni Paesi degli Usa come in Cina, rivela che tutte le condanne eseguite finora non sono servite a redimere, ma solo a fare crescere il numero dei morti. L'innocenza ma anche la colpevolezza, inoltre, ha in genere il volto dei poveri, che di solito non si possono permettere un buon avvocato per difendersi. Non è un caso che la maggior parte dei condannati a morte negli Usa sia formata da afroamericani: nel caso in cui la vittima è un bianco la pena capitale viene applicata nell'83 per cento dei casi. In Cina quando qualcuno viene eseguito, lo Stato presenta il conto ai familiari del condannato ad esecuzione avvenuta facendo pagare loro il costo del bossolo usato per eseguire la pena di morte: in genere i condannati sono persone che non hanno ucciso nessuno. Io non credo che si debbano fare crociate offensive contro i Paesi che hanno la pena di morte, ma credo che dobbiamo parlare con tutti usando la forza della persuasione e del confronto, la forza del travaso culturale. In questo senso propongo un confronto sulla pena di morte con i Paesi rappresentati da un consolato a Firenze, tra i quali, significativamente Stati Uniti e Repubblica popolare cinese. L'incontro potrebbe svolgersi al più presto a Villa Demidoff. Richiede una preparazione delicata ma io credo che i Paesi non rifiutano l'occasione di un incontro sereno che - garantiamo - non avrà i tratti di un processo. Per favorire ancora di più la crescita del grande movimento contro la pena capitale, la Provincia intende promuovere un'iniziativa a ottobre aperta a tutti in Palazzo Medici Riccardi: per 6 giorni, dal 23 al 28 ottobre, Palazzo Medici Riccardi sarà illuminato da un'immagine, ogni sera diversa, di una condanna, alla quale si affiancheranno altre iniziative e contributi di giovani per sottolineare cosa provoca nell'anima l'idea della morte. Il 23, invece, il Palazzo si aprirà a manifestazioni artistiche, fino a tarda sera, di gruppi giovanili che diranno anche così il loro no alla pena di morte. Redatto a cura dell’U.S. del Consiglio provinciale Stampato nella Tipografia Provinciale di Firenze nel mese di giugno 2001