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1 Bozza provvisoria 27 novembre 2008 Alberto Baffigi * - Marco Magnani * GIORGIO MORTARA 1. Durante il Risorgimento gli intellettuali di origine ebraica sono convinti patrioti. Dall’Unità partecipano laicamente alla vita della nazione in ogni suo aspetto; in una parola sono largamente “assimilati”. Nell’età giolittiana la classe politica conta non pochi ebrei in posizione di alta responsabilità, al governo o all’opposizione (Luzzatti, Nathan, Ottolenghi, Modigliani, Treves….). Giorgio Mortara (1885-1967) appartiene a pieno titolo a questa élite. Sebbene sia nipote del Rabbino maggiore di Mantova non è stato educato religiosamente: “La religione mi sembrava un residuo di antiche e stolte superstizioni; ne approvavo i precetti morali, ma ne consideravo in gran parte assurdi i dogmi” 1 . Il padre Lodovico è ministro della Giustizia e dei Culti nel governo Nitti (1919-’20), poi primo presidente di Cassazione, destituito dopo l’avvento del fascismo. 2. La carriera scientifica di Mortara è assai precoce. Si laurea in giurisprudenza a Napoli nel 1905 sviluppando i suoi interessi per gli studi quantitativi, in particolare quelli demografici. Su consiglio di Rodolfo Benini, statistico di fama internazionale, trascorre a Berlino l’anno accademico 1907-1908, dove studia con lo statistico ed economista di origine polacca, Ladislaus von Bortkiewicz (1868-1931) occupandosi del filone di ricerca inaugurato dal maestro, la "legge dei piccoli numeri" o "degli eventi rari". Bortkiewicz (1898) aveva notato che gli eventi a bassa frequenza riguardanti una popolazione numerosa seguono la distribuzione di Poisson; Mortara applica originalmente la legge all’omicidio e all'alcolismo 2 . Il suo lavoro è citato, insieme con quello di Bortkiewicz, da un autore del calibro di Karl Pearson nella sua rivista Biometrika. Al ritorno in Italia continua la sua collaborazione con Benini e, non ancora venticinquenne, inizia la sua carriera accademica, dapprima a Messina appena distrutta dal terremoto, poi dal 1914 a Roma. A metà degli anni venti ottiene una cattedra di statistica presso la neocostituita Università statale di Milano e un incarico di insegnamento nella stessa disciplina alla Bocconi. Una parte significativa della sua attività riguarda la predisposizione di indicatori statistici per la nascente analisi della * Area Ricerca economica e relazioni internazionali, Banca d’Italia. Le opinioni qui espresse non impegnano in alcun modo l’istituto di appartenenza. [email protected] ; [email protected] 1 Mortara (1985), p.23. 2 Mortara (1912), pp. 5 – 81.

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Bozza provvisoria

27 novembre 2008

Alberto Baffigi∗- Marco Magnani∗

GIORGIO MORTARA

1. Durante il Risorgimento gli intellettuali di origine ebraica sono convinti patrioti. Dall’Unità

partecipano laicamente alla vita della nazione in ogni suo aspetto; in una parola sono largamente

“assimilati”. Nell’età giolittiana la classe politica conta non pochi ebrei in posizione di alta

responsabilità, al governo o all’opposizione (Luzzatti, Nathan, Ottolenghi, Modigliani, Treves….).

Giorgio Mortara (1885-1967) appartiene a pieno titolo a questa élite. Sebbene sia nipote del

Rabbino maggiore di Mantova non è stato educato religiosamente: “La religione mi sembrava un

residuo di antiche e stolte superstizioni; ne approvavo i precetti morali, ma ne consideravo in gran

parte assurdi i dogmi”1. Il padre Lodovico è ministro della Giustizia e dei Culti nel governo Nitti

(1919-’20), poi primo presidente di Cassazione, destituito dopo l’avvento del fascismo.

2. La carriera scientifica di Mortara è assai precoce. Si laurea in giurisprudenza a Napoli nel

1905 sviluppando i suoi interessi per gli studi quantitativi, in particolare quelli demografici. Su

consiglio di Rodolfo Benini, statistico di fama internazionale, trascorre a Berlino l’anno accademico

1907-1908, dove studia con lo statistico ed economista di origine polacca, Ladislaus von

Bortkiewicz (1868-1931) occupandosi del filone di ricerca inaugurato dal maestro, la "legge dei

piccoli numeri" o "degli eventi rari". Bortkiewicz (1898) aveva notato che gli eventi a bassa

frequenza riguardanti una popolazione numerosa seguono la distribuzione di Poisson; Mortara

applica originalmente la legge all’omicidio e all'alcolismo2. Il suo lavoro è citato, insieme con

quello di Bortkiewicz, da un autore del calibro di Karl Pearson nella sua rivista Biometrika. Al

ritorno in Italia continua la sua collaborazione con Benini e, non ancora venticinquenne, inizia la

sua carriera accademica, dapprima a Messina appena distrutta dal terremoto, poi dal 1914 a Roma.

A metà degli anni venti ottiene una cattedra di statistica presso la neocostituita Università statale di

Milano e un incarico di insegnamento nella stessa disciplina alla Bocconi. Una parte significativa

della sua attività riguarda la predisposizione di indicatori statistici per la nascente analisi della ∗ Area Ricerca economica e relazioni internazionali, Banca d’Italia. Le opinioni qui espresse non impegnano in alcun modo l’istituto di appartenenza. [email protected]; [email protected] 1 Mortara (1985), p.23. 2 Mortara (1912), pp. 5 – 81.

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congiuntura, nella terminologia dell’epoca i “barometri economici”. È fra i primi ad occuparsene a

livello scientifico: un suo lavoro del 19133 verrà citato nel 1924 in una relazione dall'International

Labour Office come uno dei fondamentali contributi a questa disciplina4.

Giorgio Mortara

Ma il suo principale campo d’indagine in ambito statistico è la demografia. Treves (2001) definisce

il discorso inaugurale tenuto all'Università di Messina nel 1911 (L'incubo dello spopolamento) «una

delle analisi più interessanti e lucide che mai sia stata scritta sul declino delle nascite in Italia» (p.

191), sottolineando l'acume con cui Mortara coglie il nesso tra la minore natalità e la ridotta

mortalità che anticipava «elementi di quel complesso schema della transizione demografica che

sarebbe stato teorizzato vari anni più tardi e che tanta fortuna avrebbe avuto nel dopoguerra» (ivi, p.

210).

3 Mortara (1913). 4 Il lavoro di Mortara (1913) compariva insieme a quelli di Neumann Spallart, de Foville, Beveridge, Sorer e Julin. In realtà gli autori del rapporto avrebbero potuto citare anche un articolo, notato dallo stesso Karl Pearson, che Mortara aveva pubblicato nel 1914, nel quale lo statistico italiano faceva uso di strumenti allora alla frontiera della metodologia statistica come il coefficiente di correlazione.

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3. Mortara è figura di spicco non solo fra coloro che sono impegnati con l’animo del civil

servant nell’analisi economico-statistica, ma anche fra quanti lavorano alla costruzione di strutture

tecniche di elevato livello scientifico da porre al servizio della nazione. Si pensi all'impresa delle

Prospettive economiche, annuario che Mortara porta avanti per sedici anni fino al 19375; alla lunga

direzione al Giornale degli economisti (1910-1938)6; all'opera svolta alla Edison, conclusa nel

1934, con la pubblicazione di un'opera, commissionatagli in occasione del cinquantenario della

società, che descriveva «la storia tecnica ed economica dell'industria elettrica in Italia e nel

mondo»7. Nel 1938 vedono la luce i tre volumi su L’economia italiana nel sessennio 1931-1936

realizzati sotto la sua direzione da un manipolo di giovani economisti della Banca d’Italia, fra cui

Paolo Baffi, e dall’Ufficio Studi della Banca Commerciale Italiana.

È di primaria importanza, nel 1936, il suo contributo alla fondazione e alla organizzazione del

servizio Studi dell’istituto di emissione, una struttura e una tradizione intellettuale che rimarranno al

centro dell’analisi dell’economia e della politica economica italiane8. Chiamato dal governatore

Azzolini come consulente, il lavoro di Mortara in Banca d'Italia dura circa due anni, fino al 1938.

Su questo periodo, Paolo Baffi, all'indomani della morte del maestro, ha scritto parole malinconiche

e affettuose9: “i nostri archivi conservano molte delle sue carte, nella calligrafia limpida e ordinata

che serbò fino alla morte, riguardanti in ispecie: l'ordinamento degli uffici e della biblioteca, i temi

di studio, l'impianto della statistica del credito per rami di attività economica [...]; i tre volumi su

L'economia italiana nel sessennio 1931-1936; la valutazione di lavori di addetti o aspiranti al

Servizio Studi”10.

5 Gino Luzzatto lodò le Prospettive economiche per l'elevato livello culturale che le caratterizzava, «in un paese come il nostro, in cui la vita sociale e la stessa cultura hanno ancora così scarsi contatti col mondo esterno di cui subiamo ogni giorno l’influenza senza quasi avvedercene» (citato in Berengo (1985) p. 902). Cfr. anche Steve (1990). 6 Sulle vicende del Giornale, si veda Zanni, (1977), pp. 70-97. 7 Lenti (1980), p.606. Il testo della biografia-necrologio scritta dall'allievo di Mortara è stato originariamente pubblicato col titolo La vita e le opere di Giorgio Mortara, in "Giornale degli economisti", marzo-aprile, 1967, pp. 199-218. 8 La necessità di raccogliere ed elaborare in modo sistematico dati sull’andamento dell’economia e del credito, acuita dalla perdita di informazione derivante dal taglio dei rapporti con gli operatori non bancari imposto dalla nuova legge bancaria, indusse il governatore Azzolini, nel 1936, a potenziare il servizio Studi della Banca colmando il ritardo accumulato nel ventennio precedente. Egli ottenne la consulenza di Giorgio Mortara, che aveva frequentato lo stesso suo liceo a Napoli e con il quale era in rapporti di amicizia, e su consiglio di questi assunse parecchi giovani di valore, laureati in materie economiche: Paolo Baffi, già assistente di Mortara, Agostino De Vita e altri. Il servizio Studi divenne da allora un vero centro di analisi e una palestra nella quale si stabilì una tradizione di rigore intellettuale: lì si formarono in maggioranza gli uomini che sarebbero divenuti alti dirigenti e membri del direttorio della Banca a partire dagli anni sessanta. Una fonte importante di reclutamento fu la pattuglia dei vincitori delle borse di studio assegnate dal 1931 dalla Fondazione Stringher: si trattava di alcuni fra i migliori laureati, ai quali si offriva l’opportunità di perfezionare all’estero la propria cultura economica» (Gigliobianco (2006, p. 147). Si veda anche Baffi (1967). 9 Per un profilo dell'intenso rapporto fra Giorgio Mortara e Paolo Baffi, si veda la biografia del futuro governatore in Gigliobianco (2006). 10 Baffi (1967), p. 5.

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Un saggio della sua scrittura "limpida e ordinata" è riprodotto nella figura precedente, nella

quale riportiamo la prima pagina di un importante appunto che Mortara stese per il governatore

Vincenzo Azzolini, nel periodo della progettazione del nuovo servizio Studi con l’obiettivo di

delinearne i compiti e la struttura organizzativa11. L’importanza dell’apporto di Mortara è

testimoniata dalla decisione della Banca d’Italia di istituire subito dopo la sua morte una borsa di

studio a lui intitolata per corsi di perfezionamento all’estero nelle discipline statistiche e

demografiche.

11 Prima pagina del manoscritto, steso da Giorgio Mortara per il governatore Vincenzo Azzolini, sulla riorganizzazione del Servizio Studi della Banca d'Italia (aprile 1936; ASBI, Banca d'Italia, Studi, pratt., n. 974, fasc. 6). Il testo completo è riprodotto in Caracciolo (1992), dove il documento è erroneamente attribuito a Paolo Baffi. Gigliobianco (2006) lo attribuisce a Mortara, ipotesi successivamente confermata dal ritrovamento del manoscritto.

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4. L’attività di Mortara è inspiegabile senza il riferimento al senso di missione – al dovere

patriottico – che lui sentiva profondamente. Nelle sue memorie ricorda il clima risorgimentale che

si respirava in famiglia:

L’amor di patria era in me assai vivo fin dall’infanzia (avevo cominciato a respirarlo nella casa del nonno

Marco) e la mia patria era l’Italia. Il fatto che i miei antenati avessero professato una religione diversa da quella della

maggior parte degli italiani non modificava i sentimenti suscitati in me da tutta l’educazione ricevuta a casa e a scuola,

rafforzata dall’esperienza del servizio militare. Lo stesso nonno, rabbino, era fervente cultore dell’italianità, tanto che,

dopo la liberazione di Mantova, fu onorato con la croce di cavaliere dei santi Maurizio e Lazzaro — distinzione allora

assai rara — per l’azione patriottica da lui svolta negli anni della servitù. E mio padre e mia madre, pur rispettando la

religione degli avi, dalla quale si erano distaccati, si sentivano completamente ed esclusivamente italiani12.

Quando scoppia la guerra mondiale Giorgio è un convinto interventista. Viene richiamato

nel 1916 su sua insistenza (soffre di una seria menomazione all’udito causata da una otite contratta

durante il servizio di leva) ed è assegnato al Comando supremo. Per il coraggio dimostrato durante

la ritirata di Caporetto è decorato con la croce di guerra al valor militare. La guerra coinvolge

completamente la comunità scientifica italiana, inducendo un più stretto legame fra le istanze

nazionalistiche e i temi oggetto della ricerca, in primo luogo la popolazione e i lavori antropologici.

Nel caso della demografia il nesso è particolarmente stringente, soprattutto a opera di Gini13, ma

neanche Mortara vi sfugge invocando una demografia al servizio della “auspicata espansione della

stirpe”14.

5. Il nazionalismo imperialista e autoritario pone al centro del suo interesse un "sistema

economico nazionale" basato su principi economici alternativi a quelli individualisti del liberismo e

a quelli socialisti; vi svolgono un ruolo importante figure come Filippo Carli, Alfredo Rocco,

Enrico Corradini formando un filone che sfocia nel corporativismo e nell'autarchia 15. Mortara ne è

parte integrante, pur se con intonazioni moderate. Nel 1926 pubblica sul Giornale degli Economisti

un articolo dal titolo "Per l'indipendenza economica dell'Italia" in cui sottolinea la grave dipendenza

economica dall'estero dell'Italia.

L'esperienza ha mostrato che l'intelletto ed il sentimento dell'uomo non sono ancora maturi per la completa e

costante subordinazione dell'attività economica individuale al tornaconto collettivo.....Lo attesta la tragica conclusione della prima politica economica dell'unione delle Repubbliche Socialiste dei Sovieti. ....Ma l'esperienza ha del pari mostrato che un'organizzazione economica nazionale, rispecchiante solo i risultati delle iniziative individuali, male soddisfa i bisogni del paese in tempi normali, e peggio in tempi anormali.....

12 Mortara (1985). Sull’amor di patria di Marco Mortara, cfr. Sarfatti (2007) p. 4. 13 Cfr. Israel, Nastasi (1998), pp. 105-106. 14 ibidem, p.180, nota 41, dove si cita Mortara (1929). 15 Cfr. l’antologia curata da Michelini (1999).

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Poiché lo Stato moderno non può sopprimere la molla del tornaconto individuale senza minarsi la base, né rinunziar ad agire secondo il tornaconto nazionale senza scavarsi la fossa, la sua politica economica costituisce necessaria mente un compromesso fra le due opposte direttive estreme. ....... L’ordinamento corporativo, che si va attuando in Italia, mira, fra altro, ad agevolare la valutazione dei tornaconti individuali e delle loro risultanti, da parte dello Stato, e la comprensione delle necessità nazionali, da parte dei gruppi e degli individui»16.

Fino all’inizio degli anni trenta Mortara rilutta a iscriversi al partito fascista. Se da un lato non esita

a manifestare pubblicamente il suo patriottismo per smentire presunte simpatie sioniste17, dall’altro

non rifugge dall’assistere amici antifascisti in difficoltà, come fa a più riprese con Ferruccio Parri –

conosciuto durante la guerra al Comando Supremo, reduce dal confino, arrestato nuovamente e

infine amnistiato nel 1932 – procurandogli impieghi al Giornale degli Economisti e alla Edison18.

6. Nel 1933 si decide a prendere la tessera del PNF. Abbiamo traccia dei suoi dubbi nella

sua corrispondenza con Alberto Beneduce, il massimo fiduciario economico e finanziario di

Mussolini in procinto di divenire presidente dell’IRI, a cui è unito da una forte amicizia fin dai

tempi dell’università:

Qui da un pezzo premono (amichevolmente ma intensamente) perché io mi iscriva al partito fascista. Rifiutandomi, non ho da temere danni immediati; comunque considerazioni di questo genere non mi pare vadano fatte. Aderendo, non ho da sperare alcun vantaggio, anche perché non desidero proprio nulla: mi contento di continuare a fare serenamente il mio mestiere. È inutile che io ti esponga le ragioni pro e contro; le puoi intuire. La più seria ragione per passare il Rubicone consisterebbe nella qualità della compagnia ch’è rimasta sull’altra riva, cioè… la mia: vi sono alcuni uomini coerenti, diritti ed ammirevoli, ma anche molti coi quali mi piace poco stare insieme. Certo non è questa una ragione sufficiente; e neppure basta ad indurmi l’opinione favorevole di mio padre, che mi ha detto varie buone ragioni per sostenerla

19.

16 Giornale degli Economisti, novembre 1926, p.598. Mortara prosegue lodando la battaglia del grano, sottolineando l'importanza del recentemente istituito Ente nazionale italiano per l'organizzazione scientifica del lavoro, e citando l'opinione del Ministro dell'Economia nazionale, Giuseppe Belluzzo, che unisce la «sapienza dello scienziato» con l'«esperienza dell'uomo di governo» p. 604). Conclude poi che l'indipendenza economica dell'Italia richiede protezione e progresso tecnico: la prima è compito di governo, il secondo è compito di popolo. «Coloro che possono concorrere a tal progresso, o con la scoperta o con l'applicazione, non son dunque una schiera ma un esercito, e buon dirsi còmpito di popolo il loro. Dello stato maggiore di codesto esercito l'Università è la scuola. Non che il genio della stirpe sia prigione tra le sue mura: fuori e dentro di queste, ribelle ad ogni costrizione, sfuggente ad ogni previsione, esso aleggia, e folgora a tratti la sua luce, come Iddio l'accende» (p. 605). 17 In risposta a un articolo anonimo apparso il 29 novembre 1928 – ma attribuibile a Mussolini – sul “Popolo di Roma” dal titolo emblematico Religione o nazione? alcuni eminenti cittadini italiani di origine ebraica, fra cui Mortara, scrivono in tal senso al giornale per ribadire la loro italianità integrale. Cfr. de Felice (1972), p. 97. Nel 1934 Il Ministro delle Finanze Guido Jung respinge con decisione la proposta di incontrare un membro dell’Esecutivo dell’organizzazione sionista perchè pur “nato da genitori israelitici, [sono stato] stato educato al timore di Dio e all’amore intenso della Patria […] i 40 mesi che, volontariamente, ho passato al fronte in guerra costituiscono l’esperienza spirituale più alta della mia esistenza, il solo periodo che veramente conti nella mia vita”. Archivio storico della Banca d’Italia (d’ora in poi ASBI), carte Jung, n.21, fascicolo 3, p. 3-5. 18 Per i dettagli della vicenda, che coinvolge anche Beneduce, cfr. Franzinelli, Magnani (2009). 19 Lettera di Mortara a Beneduce del 22 dicembre 1932, ASBI, carte Beneduce (d’ora in poi CB), corda 275, fascicolo 2, sottofascicolo 1, pp.127-128. Al carteggio fra Beneduce e Mortara si fa ampio riferimento in Franzinelli, Magnani (2009).

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La risposta di Beneduce, che peraltro può permettersi di non prendere la tessera (si iscriverà al PNF

solo nel 1940, quando ormai dimissionario da tutte le cariche per motivi di salute sarà nominato

senatore) è positiva, come si deduce dalla lettera di qualche mese dopo di Mortara: “il tuo consiglio

ha vinto le mie ultime esitazioni e mi sono iscritto al PNF. Senza rimorsi, poiché non chiedo e non

desidero cariche, onori ecc.”20.

La scelta di Mortara non è anomala, neanche come ebreo: il grado di adesione degli ebrei al

fascismo è infatti simile a quello degli altri italiani, anche se la proporzione degli ebrei antifascisti è

superiore al dato nazionale complessivo21. Due anni dopo, come in altre persone non

necessariamente di provata fede fascista, le sanzioni inflitte all’Italia per l’aggressione all’Etiopia

suscitano in lui una fiammata di orgoglio nazionalistico, un impulso a stringersi attorno al regime

per resistere ai “ diciotto aguzzini di Ginevra”:

L’amarezza, che ci stringeva l’animo da quando il cieco egoismo dei finti amici di venti anni or sono – palesi nemici di ieri – aveva tarpato le ali alla vittoria del Piave, è dileguata come d’incanto il giorno in cui, al suono della voce maschia del Duce, abbiamo visto posare in Campidoglio la vittoria d’Europa. A questa vittoria, nostro orgoglio e nostra speranza, la politica dell’indipendenza economica nazionale aveva aperto la via22.

7. Il nazionalismo di Mortara si accentua quindi con gli anni, alimentandosi con il mito della

vittoria mutilata. Paolo Baffi, già assistente di Mortara e all’epoca da poco alla Banca d’Italia,

ricorda “l’ardore con cui Mortara impegnò il Giornale degli economisti nella campagna contro le

sanzioni” e le critiche del maestro all’ internazionalismo dell’allievo che si era abbeverato ai testi

classici del liberismo:

Quanto al nazionalismo, è bene che Lei, giovane, abbia ancora illusioni internazionalistiche. Ma io dopo aver veduto il modo veramente infame in cui francesi e inglesi ci hanno trattati durante e dopo la guerra, quando l’Italia era tutta

ingenuamente al loro fianco, mi sono convinto della scarsa sincerità di certi sentimenti e certe idee23.

Dopo la guerra etiopica l’allineamento di Mortara con la politica del regime appare

completo. All’inizio del 1938, al cospetto degli esponenti della "Federazione Nazionale Fascista

Dirigenti di Aziende Industriali" rammenta che «l'autarchia non è un episodio a sé stante, ma

rappresenta invece l'aspetto nazionale di un movimento che ha oggi estensione quasi mondiale». 20 ASBI, CB, 275, fascicolo 2, sottofascicolo 1 p. 122. Nelle sue memorie, Mortara scrive che la sua decisione sarebbe stata grandemente influenzata dalla crudeltà del regime staliniano e dalla soppressione d’ogni libertà da lui percepite durante un viaggio in Russia.: “Ebbi allora l’ingenua illusione che l’affluire al fascismo di elementi moderati e colti potesse trasformarlo in un fattore di progresso per il nostro paese; illusione purtroppo svanita presto, quando la minoranza faziosa calpestò o travolse la maggioranza ragionevole”. Mortara (1985), p.34. 21 Questo è il giudizio di sintesi di Sarfatti (2007), p. 25. 22 Mortara (1936b), p.758. Circa i “diciotto aguzzini di Ginevra”, ovvero gli stati che avevano disposto le sanzioni contro l’Italia, si veda Mortara (1936a). 23 Baffi (1967), p. 8.

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Secondo Mortara l'autarchia non avrebbe condannato il paese all'isolamento completo: vi saranno

sempre relazioni di simpatia con altri paesi. «Le nostre relazioni di amicizia con la Germania,

l'Ungheria e l'Albania, ad esempio, ci hanno indotto a temperare, nei confronti di questi paesi, i

rigidi principi autarchici e a stringere con essi rapporti commerciali»24.

8. Poco dopo questo discorso, vengono emanate le leggi razziali. Mortara osserva inquieto il

clima antisemita che monta nel paese nel corso del 1938:

Mi sarebbe assai caro vederti. Sto attraversando un periodo di grande tristezza, dalla quale neppure il lavoro accanito vale a salvarmi. E puoi immaginare il perché. (…) Forse una conversazione con te potrebbe darmi qualche conforto, se il mio pessimismo ti parrebbe esagerato; od altrimenti potrebbe aiutarmi a meglio decidere sulla via più opportuna da seguire per difendere – nei limiti del possibile – l’avvenire dei miei figli25.

Eppure anche lui, come la grande maggioranza degli ebrei italiani, più propensi a credere

che la campagna antisemita sia in buona sostanza volto a compiacere l’alleato tedesco senza

generare effetti concreti significativi, resta attonito quando all’inizio di settembre quando vengono

emanati i primi provvedimenti razziali. Il 1 settembre scrive a Beneduce:

Per il Giornale, dunque, parleremo a settembre avanzato a Milano. E anche per le mie faccende personali mi sarà utile il tuo fraterno consiglio: mi pare così impossibile quello che sta accadendo, che non riesco a crederlo vero. Eppure lo è!26 Due giorni dopo, il 3 settembre, in una lettera a Baffi, lo sgomento si è tramutato in sdegno: Come è obiettivo nel giudicare me, così lo sia nel giudicare altri italiani di religione israelitica. Ne ho conosciuti molti ottimi cittadini, molti mediocri, taluno pessimo. Parecchi ne ho conosciuti insigni per meriti scientifici e patriottici; alcuni sono vivi e si difenderanno, se non ne avranno sdegno come l’ho io; altri sono morti e le loro tombe saranno insudiciate di velenosa bava. Poveri caduti sul Carso e sul Piave: Venezian, Viterbi, Levi, Jarach, ed altri ancora – solo della schiera universitaria! Chi ha detto che avrebbero trasalito per le sanzioni le ossa dei morti di Bligny? E queste più atroci sanzioni non faranno fremere le mischiate ossa dei fratelli cattolici ed ebrei morti per l’Italia? Ha forse due bilance Iddio?27

Nello stesso giorno Mortara compila la scheda che documenta la propria condizione razziale,

incombenza che spetta a tutti i funzionari statali; cancella però significativamente con un tratto di

penna le espressioni “razza ebraica” sostituendole con “religione israelitica” . Con una nota apposta

a lato ne spiega la ragione: “N.B. Il sottoscritto non può dichiarare di appartenere ad una razza della

quale scientificamente nega l’esistenza. Fornisce tuttavia gli elementi atti ad una classificazione che 24 Collana di corsi di cultura per i dirigenti di aziende industriali, pubblicata dalla "Federazione Naz. Fascista Dirigenti di Aziende Industriali", primo bimestre 1938, p. 6. 25 Lettera di Mortara a Beneduce del 23 marzo 1938, ASBI, CB, 2, 1 p. 108-9. 26 Lettera di Mortara a Beneduce del 1 settembre 1938. ASBI, CB, 275, 2,1 pp. 88-89. Il Giornale che si menziona è il Giornale degli economisti diretto da Mortara e Beneduce. 27 Lettera di Mortara a Baffi del 3 settembre 1938, in Baffi (1967), p. 8. Nel luglio del 1918 nella battaglia di Bligny (fronte della Marna) i circa 24.000 combattenti italiani persero fra caduti e feriti 1/3 degli effettivi. Il riferimento di Mortara ai caduti di religione israelitica nella prima guerra mondiale riflette non solo la sua esperienza personale ma un dato generale: la partecipazione ideale e materiale degli ebrei italiani fu infatti notevolissima. Cfr. per riferimenti, Sarfatti (2007), p. 14.

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parta da criterio opposto. Giorgio Mortara “ 28. Con riferimento a se stesso scrive di non credere ad

alcuna religione costituita ma in un Dio di bontà e giustizia.

9. A differenza di altri ebrei, che ritenendosi non nemici del fascismo ma amici

proditoriamente colpiti rimasero testardamente “in attesa di miracoli”29, Mortara decide subito di

espatriare. Il 15 settembre ne espone le ragioni a Beneduce, pregandolo di aiutarlo per una

28 Scheda personale compilata da Giorgio Mortara il 3 settembre 1938. Ringraziamo Giuseppe Burgio per averci messo a diposizione il documento. Altri professori cercarono di esplicitare il loro dissenso in modo analogo. Cfr. Israel, Nastasi (1998), pp. 171-2 per il caso di Gino Fano. 29 Cfr. Mortara (1988)

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sistemazione nell’America del Nord30. La lettera è gonfia di amarezza e dolore per la violenza

subìta, tanto più terribile quanto apparentemente incomprensibile:

Ho maturamente riflettuto ed ho concluso che per assicurare ai miei figli la possibilità di una vita dignitosa devo compiere lo sforzo e il sacrifizio di ricominciare da capo l’esistenza negli Stati Uniti o nel Canadà. Non credo che sia facile trovare colà una cattedra; penso di avere capacità sufficiente per poter trovare un impiego di “assistant statistician” in qualche azienda; ma sono disposto – e non per metafora – a fare magari il mestiere del lustrascarpe, piuttosto che vivere qui in un ozio disonorante e vedere i miei figli esclusi da ogni possibilità di lavoro e di studio. La decisione non è precipitosa ed è per me definitiva. Confido che il Governo mi permetterà di espatriare: ho dato sufficienti prove del mio attaccamento all’Italia e della mia fedeltà al regime fascista per sperare almeno questo. E di più non chiedo. Anche nell’inverosimile (e a mio parere impossibile) ipotesi che vi fossero eccezioni ai noti provvedimenti, ciò non risolverebbe la posizione dei miei figli. Tu, che sei padre, puoi intendere il mio animo. Vorrei chiederti di fare fino da ora, se ti è possibile, qualche passo presso i tuoi amici americani per cercare di assicurarmi qualche, pur modesta, possibilità di esistenza oltre Oceano. Ho uno svantaggio notevole: la semi-sordità (ed è questa che mi fa ritenere meno adatta la cattedra, dove deve non solo parlare, ma discutere). Ma di salute generale sto bene, e benissimo stanno mia moglie e i ragazzi, che vorrei portare subito con me (non posso e non devo lasciarli: resterà Alberto se dovrà fare il servizio militare e poi potrà raggiungerci) (…). Non vorrei che la tua amicizia ti inducesse a predicarmi la pazienza. Non mi spaventa la povertà e non ho nessuna ragione di credere imminente il rischio qui; mi fa orrore l’idea di vivere straniero e detestato fra coloro che – per me – sono ancora oggi e saranno sempre i miei fratelli. Tu che mi vuoi bene, fammi questo supremo favore che ti chiedo! Ti abbraccio. 31 Mortara accetta il consiglio di Beneduce di rivolgersi al segretario particolare del duce, Osvaldo

Sebastiani, per accelerare la concessione dei passaporti, pratica burocratica comunque soggetta al

capriccio della burocrazia, sebbene il regime non ostacoli in quel momento l’espatrio degli ebrei

italiani32.

10. Non sono pochi gli ebrei che, increduli, si rivolgono umilmente a Mussolini in quei

mesi, alcuni con lo stesso obiettivo di Mortara33. Anche le sue lettere a Sebastiani sono documenti

penosi, soprattutto per l’umiliazione e l’offesa patita da chi si ritiene un fedele servitore della

nazione e del regime:

Eccellenza, [….] La mia carriera universitaria in Italia è troncata dai recenti provvedimenti contro i cittadini italiani di

discendenza israelitica. Poiché a 53 anni sento ancora vivissimo l’impulso a proseguire la mia attività nell’insegnamento e nella scienza, e ritengo di averne ancora la capacità, ho deciso di recarmi per alcuni anni all’estero, se ivi troverò la possibilità di proseguire quella che per me non è soltanto una professione ma anche e soprattutto la parte più nobile della mia esistenza. Ho qualche speranza di trovare tale possibilità negli Stati Uniti.

Oso pertanto pregarVi di voler presentare a S.E. il Capo del Governo la rispettosa espressione del mio desiderio che Egli – il quale più volte ha mostrato di apprezzare la mia opera di studioso italiano – voglia concedermi il Suo alto appoggio ad agevolare il mio esodo. Esodo che spero sia soltanto temporaneo, poiché la mia più viva e cara speranza è quella di poter ritornare a godere qualche anno di sereno riposo terreno, prima del riposo definitivo, in questa che è la mia unica e diletta patria.

30 Mortara si rivolge per assistenza anche a Felice Guarneri, Raffaele Mattioli e Vincenzo Azzolini, che lo aiuteranno a trasferire all’estero delle disponibilità in valuta (cfr. Mortara (1985), p. 40). 31 ASBI, CB, 275,2,1 pp. 91-94. 32 Fra il 1938 e il 1941, ma in realtà soprattutto dall’estate del 1938 a quella successiva, emigrano circa 3000 ebrei italiani, pari all’8% del totale. Cfr. Sarfatti, (2007), p. 226. 33 Cfr. Orvieto (2003), in particolare pp. 331-332.

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Non chiedo, naturalmente, un aiuto diretto per la ricerca di una cattedra o di altra occupazione scientifica negli Stati Uniti: ricerche che ho già iniziato e che spero possa avere buon successo. Chiederei soltanto che – se S.E. il Capo del Governo vorrà accogliere il mio desiderio – venissero date alla Questura di Milano ed al Ministero degli Esteri disposizioni atte a agevolare le pratiche per il rilascio dei passaporti per l’emigrazione negli Stati Uniti a me ed alla mia famiglia (moglie e quattro figli) e per l’inclusione nella “quota”. Inoltre, se fosse possibile, gradirei che l’Ambasciata di Washington venisse preavvisata della mia intenzione e autorizzata a favorirla con eventuali informazioni sulla mia persona di studioso e di cittadino.

Quanto precede rende forse superflua una dichiarazione che tuttavia mi è ispirata da un senso di franchezza e di lealtà. Il fatto che oggi sono colpito da un provvedimento del Governo Fascista in modo per me doloroso non può alterare né i miei sentimenti di devozione alla patria né i miei precedenti giudizi sulla politica economica del Governo stesso. E perciò sarebbe infondato ed ingiusto ogni sospetto che io, recandomi all’estero, fossi per partecipare ivi a campagne od a polemiche antifasciste ed antiitaliane. Spero anzi di poter ivi proseguire quell’opera di illustrazione della politica economica nazionale e di chiarimento delle sue profonde cause, che per molti anni ho condotta innanzi nelle mie “Prospettive Economiche” e in altri scritti e discorsi. E confido che mi sia concesso di potere anche in altri modi lavorare all’estero per l’Italia34.

Sebastiani annota in calce l’indicazione del duce (“favorevole”) e in effetti – a differenza di

altri analoghi casi in cui l’interessamento positivo di Mussolini viene trasmesso all’interessato ma

senza ricadute effettive35 – la sua pratica sarà seguita con relativa sollecitudine dalla segreteria

particolare del capo del governo, probabilmente anche grazie all’appoggio di Beneduce, che ha

naturalmente ottime entrature a Palazzo Venezia.

11. Ma il percorso si rivela comunque tormentato. La speranza di un trattamento di favore

previsto dalle leggi razziali per gli ebrei che “abbiano acquisito eccezionali benemerenze” (la

cosiddetta “discriminazione”, da valutarsi su base del tutto discrezionale da una apposita

commissione) sfuma rapidamente36; le difficoltà di trovare un’occupazione negli Stati Uniti sono

maggiori del previsto. Vi si aggiunge – particolare apparentemente secondario ma in realtà

emblematico della reazione di Mortara alla persecuzione razziale – la volontà di far espatriare il

diciottenne figlio Alberto previo nulla osta militare. La “discriminazione”, se la domanda di Giorgio

fosse accolta, consentirebbe al figlio di prestare servizio militare, altrimenti impedito agli ebrei; in

ogni caso nel breve intermezzo prima che le leggi razziali entrino in vigore, Mortara vuole

comunque sottolineare con la richiesta di nulla osta la sua devozione alla patria:

Mi sarebbe ripugnato chiedere che l’emigrazione venisse consentita ai miei figli come ebrei non ammessi a

prestare servizio militare. Spero ancora che mercé la “discriminazione” essi possano avere l’onore di servire nell’esercito italiano, nel quale il loro padre e il loro unico zio paterno hanno servito, meritando decorazioni al valor militare37.

34 Lettera di Mortara a Sebastiani dell’11 ottobre 1938 ; l fascicolo intestato a Mortara in Archivio centrale dello Stato, Segreteria particolare del duce, carteggio riservato, 480/R, b. 143. 35 Cfr. Orvieto. (2003), pp. 327-8. 36 “Nessuna novità per ciò che mi riguarda: nessuna notizia ho sulla ‘discriminazione’ : se sia avvenuta e quale ne sia stato il risultato” scrive a Beneduce l’8 novembre (ASBI, CB, 275, 2, 2, p.20). 37 Lettera di Mortara a Sebastiani del 16 novembre, nel fascicolo citato alla nota 34.

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La richiesta viene accolta e soddisfatta abbastanza rapidamente. Finalmente il 25 novembre

giunge un’offerta di impiego, non dagli Stati Uniti, ma dal Brasile, come consulente tecnico presso

la commissione nazionale del censimento. Occorre dunque interessare nuovamente Beneduce e

Sebastiani per estendere i visti appena ottenuti per gli Stati Uniti al Brasile. La cosa richiede un po’

di tempo per i vari intoppi burocratici. Mortara insiste più volte con il segretario particolare del

duce, augurandosi che la nuova destinazione “incontri il pieno gradimento di S.E. il Capo del

Governo” e scongiurando il sospetto (che gli era stato informalmente riferito per motivare le

lungaggini burocratiche) che egli si appresti a condurvi “una vita miserabile”38 invece che a

ricoprire una “posizione moralmente onorevole e socialmente decorosa e tale che mi consentirà di

far apprezzare la scienza italiana”39. Insomma, la vittima è costretta a rassicurare il carnefice che

non ne pregiudicherà la reputazione all’estero.

12. Finalmente, il 5 gennaio Giorgio salpa per il Brasile con la moglie Laura e i loro quattro

figli da Trieste sulla motonave Neptunia, di proprietà di una società controllata dall’IRI. Beneduce

gli ha procurato dei biglietti scontati. Nell’intimo vuole credere che si tratti di una parentesi, quasi

di un brutto sogno. L’aveva vagheggiato poco tempo addietro con parole struggenti in una lettera

all’amico Beneduce:

Mi è cara l’occasione per ringraziarti della nuova prova di fraterna amicizia che hai voluto aggiungere alle molte datemi nel corso della mia esistenza, a partire dai giorni in cui mi insegnavi le formole corrette per il calcolo delle tavole di natalità. Bei tempi quelli! Ma io spero ancora che tra qualche anno il cielo d’Italia ritorni sereno anche per me e per i miei figli e che mi sia concesso allora di sederti ancora una volta accanto nella tua bella villa romana per discorrere, senza rimpianto, del passato. Magari con l’aiuto di un corno acustico perfezionato, ricordo dell’esilio americano. Come corre la fantasia! Non sono partito, penso al ritorno…40 È questo stato d’animo e il connesso desiderio di lasciarsi aperte le porte alle spalle che

possono – forse – spiegare il biglietto che dal Neptunia in navigazione sul Mar Ionio egli invia a

Sebastiani:

Eccellenza, lasciando l’Italia desidero esprimervi la mia riconoscenza per la grande cortesia usatami nell’agevolare le formalità per il mio espatrio. Vi prego gradire i miei distinti ossequi. Prof. Giorgio Mortara41.

38 Lettera di Mortara a Sebastiani del 15 dicembre, ibidem 39 Lettera di Mortara a Sebastiani del 17 dicembre, ibidem 40 Lettera di Mortara a Beneduce del 10 ottobre, ASBI, CB, 275, fascicolo 2, sottofascicolo 1, p.84. 41 Lettera di Mortara a Sebastiani del 6 gennaio 1939, fascicolo di cui alla nota 34.

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13. Nei primi anni di esilio le sue lettere a Baffi non rievocano mai la sua disgrazia, con una

sola eccezione che lascia intravedere la profondità della ferita subita: “Non le parlo di sentimenti,

perché il tempo non attenua, anzi inasprisce certe piaghe”42. Esse descrivono invece il progressivo

inserimento, suo e della famiglia nel nuovo mondo, dove è accolto con molto calore e dove

percorrerà con successo un tratto importante della sua carriera, iniziando con l’apporto determinante

quale consigliere tecnico della Commissione nazionale del censimento del 1940.

Non tardano negli anni successivi i riferimenti alla situazione italiana e a personaggi in

qualche modo coinvolti nelle persecuzioni razziali. Mortara formula giudizi netti nei quali, tuttavia,

non perde il suo tono equilibrato e moderato. Si dice lieto che «Molinari sia all'opera per

riorganizzare l'Istituto»43, nonostante il suo contributo, offerto «di mala voglia, alla letteratura

antisemita, con qualche articolo sul Corriere della Sera». Riguardo Corrado Gini, esprime la

speranza che «non sia epurato (a meno che abbia sulla coscienza atti veramente gravi di complicità

in misfatti fascisti; e mi auguro che così non sia). Con tutti i suoi difetti, è uno studioso degno del

massimo rispetto, e ha fatto apprezzare all'estero la scuola statistica italiana, pur facendola apparire

costituita da se stesso e caudatari. E del buon Boldrini che ne sarà…. suppongo che la sua naturale

prudenza e le ali protettrici della chioccia Gemelli44 lo proteggeranno dalla tempesta»45. Due anni

più tardi, in una lettera a Luigi Einaudi, Mortara osserva che «chi ha partecipato personalmente ad

attività criminose del governo o del partito fascista, come De Stefani e Savorgnan, dev'essere

allontanato, per il buon nome dell'Italia»46.

15. Nel dicembre del 1945 il governo italiano lo invita a riprendere l’insegnamento

universitario in Italia, ma i nuovi legami professionali e l’integrazione dei figli in Brasile lo

inducono a rinunciare. Pochi mesi dopo, memore della solidarietà ricevuta nel 1938, soccorre con

un’ampia e appassionata testimonianza l’ex-governatore della Banca d’Italia Vincenzo Azzolini,

imputato di collaborazionismo, esaltandone “l’opera (che) richiese una grande abilità, un’attività

incessante ed una inflessibile energia, sempre tesa a difendere la moneta ed il credito da mille

insidie e da mille appetiti, aguzzati dal clima fascista”47 .

42 Lettera di Mortara a Baffi del 17 aprile 1940, ASBI, Carte Baffi, N. 232. 43 Lettera di Mortara a Baffi del 19 novembre 1944, ASBI, Carte Baffi, 232. Alessandro Molinari, il 12 giugno 1944, era stato nominato Commissario dell'Istituto centrale di statistica dal presidente del Consiglio Bonomi (cfr. Misiani (2007), p. 114). 44 Padre Agostino Gemelli (1878-1959), medico e psicologo, fondatore dell'Università cattolica del Sacro Cuore. Fu uno dei 329 firmatari del Manifesto. 45 Lettera di Mortara a Baffi del 19 novembre 1944, ASBI, carte Baffi, 232. Due anni più tardi, in una lettera a Luigi Einaudi, Mortara osserva che «chi ha partecipato personalmente ad attività criminose del governo o del partito fascista, come De Stefani e Savorgnan, dev'essere allontanato, per il buon nome dell'Italia» 46 Lettera di Mortara a Einaudi del 5 marzo 1946, ASBI, Banca d'Italia, Direttorio – Einaudi, cart. 20, fasc. 2, sfasc. 24, pag. 29. 47 Roselli (2000), p. 240.

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Pur soggiornando spesso in Italia (nel 1956 riprende l’insegnamento alla facoltà di statistica

dell’università di Roma – dove dà un impulso decisivo alla creazione dell’istituto di demografia –

per i quattro anni che mancano alla pensione; continua inoltre la sua collaborazione con la Banca

d’Italia), il centro di gravità della sua vita è ormai in Brasile, di cui ha acquisito la cittadinanza e

dove morirà nel 1967. Baffi, divenuto nel 1960 direttore generale della Banca, ricorda la

progressiva estraneità degli interessi e delle vite:

A me che avevo tanto fervidamente lavorato con lui negli anni giovanili, gli incontri di questi ultimi anni riuscivano un po’ tristi. Il paese d’immigrazione, nel quale egli aveva inizialmente ricercato, per sopravvivere spiritualmente, qualcosa che gli ricordasse il volto della patria perduta, era poi divenuto quello delle famiglie dei suoi figli e, con l’immensità del materiale di esperienza e di studio che gli offriva, quello della sua esclusiva applicazione scientifica48.

16. Il caso drammatico di Giorgio Mortara mostra come anche uomini dotati di straordinarie

capacità analitiche e di grande esperienza scientifica e istituzionale possano perdere in determinati

contesti il senso critico necessario a cogliere appieno le conseguenze di fenomeni come l'uso

razzistico della scienza e in particolare della demografia. Mortara riuscì a cogliere solo all’ultimo

gli effetti di questa deriva, quando i provvedimenti razziali colpirono la sua persona e la sua

famiglia. Ad esempio, sotto la sua direzione, il Giornale degli economisti pubblicò nel 1927 articoli

come quello del demografo Franco Savorgnan, uno dei futuri redattori del manifesto della razza, dal

significativo titolo La composizione razziale della popolazione americana, nel quale i concetti di

razza superiore e inferiore costituiscono la base dell’argomentazione.

Il suo è un caso tutt’altro che isolato. In fondo, le prime avvisaglie della politica fascista

della "razza" potevano essere percepite come una sorta di politica sanitaria di massa volta a

migliorare la "razza" italiana e non come incipiente antisemitismo. Lo shock per i provvedimenti

razziali colpì tutti gli ebrei che non avevano già fatto una scelta antifascista.

Ma il suo silenzio di allora deriva dalla sua incapacità di comprendere, non inficia la sua

etica di uomo e scienziato. Le sue ambizioni accademiche e di successo non entrarono in collisione

con l’umanità e il senso morale che lo ispirarono durante la sua vita, come ben esprime un passo

della lettera del 22 dicembre 1932 a Beneduce sopra citata, in cui Mortara confessa le sue

perplessità a iscriversi al partito fascista: “Il fatto è che io provo una certa riluttanza a dare

un’adesione che può portarmi dal ceto dei paria in quello dei bramini; per sentimento preferisco

stare coi paria. Sono troppo … democratico?”.

48 Baffi (1967), p. 10.

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