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Il 16 marzo 1978 Aldo Moro fu rapito, dopo il massacro degli agenti della sua scorta. Il 9 maggio fu ucciso. In quei cinquantacinque giorni accadde che gli inquirenti indagarono nella direzione sbagliata, al vertice del ministero dell’Interno si insediò un Comitato di iscritti alla Loggia P2, un consulente americano consigliò di non “sopravvalutare” l’ostaggio, verbali vennero redatti e poi sottratti, bobine furono manipolate, gladiatori furono allertati, sedute spiritiche indirizzarono le inchieste. Alla fine, con la morte del prigioniero delle Br, una intera politica, quella di Moro, fu rovesciata. Per questo il caso Moro è il più grande mistero della Repubblica. Questo racconto lo ricostruisce minuziosamente, sulla base delle testimonianze e della carte emerse nei quattordici anni che seguirono, fino alla pubblicazione. Sergio Flamigni, che fu membro della commissione parlamentare d’indagine sull’“affare Moro”, è uno dei maggiori conoscitori dei “cinquantacinque giorni” (su cui ha scritto il libro “La tela del ragno”). Michele Gambino, giornalista, ha iniziato l’attività nei primi anni ‘80 con “I Siciliani” di Giuseppe Fava. Dal 1990 fino alla chiusura del giornale è inviato del settimanale “Avvenimenti”. Specializzato in inchieste su criminalità economica, mafia, politica interna ed estera, ha realizzato decine di reportage dai teatri di guerra di tutto il mondo. Ha collaborato come autore e inviato in diverse trasmissioni televisive della Rai e ha scritto libri- inchiesta e saggi su argomenti d’attualità. E’ uno degli insegnanti della “bottega di giornalismo” della scuola torinese “Holden” di Alessandro Baricco e vice-direttore di “Pippol”. (Pubblicato da “Avvenimenti” il 12/2/1992) CAPITOLO I Roma, giovedì 16 marzo 1978, ore 9.30 Il transatlantico di Montecitorio è insolitamente affollato, vista l’ora: gruppi di parlamentari vanno su e giù lungo i corridoi in attesa della votazione che sancirà la nascita del quarto governo Andreotti . Particolarmente animati i capannelli dei deputati comunisti: sta per nascere la prima maggioranza di cui il Pci fa parte. Ma alcuni di loro polemizzano con le indicazioni del partito, che impone di votare l’appoggio esterno a un monocolore dc zeppo delle vecchie facce dei ministri di sempre. All’improvviso una notizia interrompe il filo dei discorsi: mezz’ora prima in via Fani, ampia e tranquilla strada del quartiere Trionfale, un commando di brigatisti rossi ha sequestrato l’onorevole Aldo Moro, regista insieme a Berlinguer dell’accordo tra democristiani e comunisti. Quattro uomini della scorta, Oreste Leonardi, Raffaele lozzino, Domenico Ricci e Giulio Rivera, sono stati uccisi. Il quinto, Francesco Zizzi, morirà più tardi in ospedale. Le forze dell’ordine si sono già messe in moto, ma è un agitarsi privo di logica. I percorsi dei brigatisti in fuga si sovrappongono a quelli delle volanti in arrivo senza mai incrociarsi. In via Bitossi una radiomobile riceve l’ordine di spostarsi per dirigersi verso via Fani un attimo prima che la Fiat 128 blu con a bordo Moro e i suoi sequestratori arrivi proprio nel punto in cui l’auto della polizia si trovava. Alla centrale operativa della questura di Roma presta servizio quel 16 marzo il commissario Antonio Esposito, poi risultato iscritto alla P2. Lo stesso nome, con l’indirizzo e il numero di telefono, verrà trovato in possesso di uno dei componenti del commando brigatista, Valerio Morucci. Ma nessuno gli chiederà mai perché. Le cronache dell’agguato, il giorno dopo, si dilungheranno sulla «professionalità» degli assalitori. In realtà a uccidere la scorta lasciando incolume Aldo Moro sono stati due soli componenti del commando; dei 97 bossoli ritrovati in via Fani dopo la sparatoria 62 furono sparati da una sola arma, altri 20 da un secondo killer. I restanti tre uomini del commando spararono quindi 15 proiettili in tutto. Agli atti del processo c’è la deposizione di uno dei testimoni dell’agguato, esperto di armi, che descrive con sincera ammirazione la «tecnica» di uno degli assalitori. Il numero e la composizione dell’intero gruppo che partecipò all’agguato non è mai stato chiarito, ma c’è il fondato sospetto che tre componenti del commando non siano mai stati identificati. Lo stesso Valerio Morucci ha parlato prima di dodici e poi di nove componenti. Ma di sicuro tra i brigatisti condannati per il sequestro Moro non c’è nessuno che abbia le capacità «militari» messe in mostra dal superkiller di via Fani. Esiste anche l’ipotesi che alcuni dei proiettili sparati in via Fani provengano da un deposito di «Operazione Gladio». E’ una pista che nasce dall’interrogazione presentata di recente da un deputato di Democrazia Proletaria, Luigi Cipriani che ha riletto con gli occhiali di Gladiole carte del primo processo Moro. Trovandovi un particolare che potrebbe rivelarsi di straordinaria portata: secondo il perito del tribunale, 39 dei bossoli ritrovati in via Fani provengono da uno stock in dotazione «a forze militari non convenzionali». Essi sono inoltre ricoperti di una vernice protettiva adatta alle lunghe conservazioni. Ore 9,45

Aldo Moro - Storia - Sergio Flamigni e Michele Gambino

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  • Il 16 marzo 1978 Aldo Moro fu rapito, dopo il massacro degli agenti della sua scorta. Il 9 maggio fu ucciso. In quei cinquantacinque giorni accadde che gli inquirenti indagarono nella direzione sbagliata, al vertice del ministero dellInterno si insedi un Comitato di iscritti alla Loggia P2, un consulente americano consigli di non sopravvalutare lostaggio, verbali vennero redatti e poi sottratti, bobine furono manipolate, gladiatori furono allertati, sedute spiritiche indirizzarono le inchieste. Alla fine, con la morte del prigioniero delle Br, una intera politica, quella di Moro, fu rovesciata. Per questo il caso

    Moro il pi grande mistero della Repubblica. Questo racconto lo ricostruisce minuziosamente, sulla base delle testimonianze e della carte emerse nei quattordici anni che seguirono, fino alla pubblicazione.

    Sergio Flamigni, che fu membro della commissione parlamentare dindagine sullaffare Moro, uno dei maggiori conoscitori dei cinquantacinque giorni (su cui ha scritto il libro La tela del ragno). Michele Gambino, giornalista, ha iniziato lattivit nei primi anni 80 con I Siciliani di Giuseppe Fava. Dal 1990 fino alla chiusura del giornale inviato del settimanale Avvenimenti. Specializzato in inchieste su criminalit economica, mafia, politica interna ed estera, ha realizzato decine di reportage dai teatri di guerra di tutto il mondo. Ha collaborato come autore e inviato in diverse trasmissioni televisive della Rai e ha scritto libri-inchiesta e saggi su argomenti dattualit. E uno degli insegnanti della bottega di giornalismo della scuola torinese Holden di Alessandro Baricco e vice-direttore di Pippol.

    (Pubblicato da Avvenimenti il 12/2/1992)

    CAPITOLO I

    Roma, gioved 16 marzo 1978, ore 9.30

    Il transatlantico di Montecitorio insolitamente affollato, vista lora: gruppi di parlamentari vanno su e gi lungo i corridoi in attesa della votazione che sancir la nascita del quarto governo Andreotti. Particolarmente animati i capannelli dei deputati comunisti: sta per nascere la prima maggioranza di cui il Pci fa parte. Ma alcuni di loro polemizzano con le indicazioni del partito, che impone di votare lappoggio esterno a un monocolore dc zeppo delle vecchie facce dei ministri di sempre. Allimprovviso una notizia interrompe il filo dei discorsi: mezzora prima in via Fani, ampia e tranquilla strada del quartiere Trionfale, un commando di brigatisti rossi ha sequestrato lonorevole Aldo Moro, regista insieme a Berlinguer dellaccordo tra democristiani e comunisti. Quattro uomini della scorta, Oreste Leonardi,Raffaele lozzino, Domenico Ricci e Giulio Rivera, sono stati uccisi. Il quinto, Francesco Zizzi, morir pi tardi in ospedale.Le forze dellordine si sono gi messe in moto, ma un agitarsi privo di logica. I percorsi dei brigatisti in fuga si sovrappongono a quelli delle volanti in arrivo senza mai incrociarsi. In via Bitossi una radiomobile riceve lordine di spostarsi per dirigersi verso via Fani un attimo prima che la Fiat 128 blu con a bordo Moro e i suoi sequestratori arrivi proprio nel punto in cui lauto della polizia si trovava.

    Alla centrale operativa della questura di Roma presta servizio quel 16 marzo il commissario Antonio Esposito, poi risultato iscritto alla P2. Lo stesso nome, con lindirizzo e il numero di telefono, verr trovato in possesso di uno dei componenti del commando brigatista, Valerio Morucci. Ma nessuno gli chieder mai perch.Le cronache dellagguato, il giorno dopo, si dilungheranno sulla professionalit degli assalitori. In realt a uccidere la scorta lasciando incolume Aldo Moro sono stati due soli componenti del commando; dei 97 bossoli ritrovati in via Fani dopo la sparatoria 62 furono sparati da una sola arma, altri 20 da un secondo killer. I restanti tre uomini del commando spararono quindi 15 proiettili in tutto. Agli atti del processo c la deposizione di uno dei testimoni dellagguato, esperto di armi, che descrive con sincera ammirazione la tecnica di uno degli assalitori. Il numero e la composizione dellintero gruppo che partecip allagguato non mai stato chiarito, ma c il fondato sospetto che tre componenti del commando non siano mai stati identificati. Lo stesso Valerio Morucci ha parlato prima di dodici e poi di nove componenti. Ma di sicuro tra i brigatisti condannati per il sequestro Moro non c nessuno che abbia le capacit militari messe in mostra dal superkiller di via Fani. Esiste anche lipotesi che alcuni dei proiettili sparati in via Fani provengano da un deposito di Operazione Gladio. E una pista che nasce dallinterrogazione presentata di recente da un deputato di Democrazia Proletaria, Luigi Cipriani che ha riletto con gli occhiali di Gladio le carte del primo processo Moro. Trovandovi un particolare che potrebbe rivelarsi di straordinaria portata: secondo il perito del tribunale, 39 dei bossoli ritrovati in via Fani provengono da uno stock in dotazione a forze militari non convenzionali. Essi sono inoltre ricoperti di una vernice protettiva adatta alle lunghe conservazioni.

    Ore 9,45

  • Nella zona di via Fani saltano le linee telefoniche. La conseguenza una parziale paralisi delle comunicazioni tra le forze dellordine. La Sip spiegher che si trattato di un sovraccarico delle linee. Si scoprir, anni dopo, che allinterno della Sip operano strutture dei servizi segreti. Pochi giorni prima del sequestro Moro una squadra di telefonisti era stata notata allinterno del garage del palazzo in cui abitava il presidente della Dc.Sul luogo della strage sono accorsi i vertici di carabinieri, polizia e magistratura. Dir il generale dei Cc Corsini: Devo dire che l ho trovato una grossa confusione, in parte creata da noi.

    Ore 9,50

    Vengono istituiti i primi posti di blocco. I brigatisti hanno avuto quasi unora di tempo per raggiungere un luogo sicuro.

    Ore 10

    Alla Camera la seduta di insediamento del nuovo governo rinviata. Negli stessi minuti Licio Gelli riceve nella sua stanza allExcelsior due ospiti mai identificati. Testimonianza della segretaria del capo della P2, Nadia Lazzerini: Ad un certo punto Gelli disse: Il pi fatto.

    Ore 10,06

    Il Gr2 trasmette un editoriale del suo direttore, Gustavo Selva, che invoca misure speciali e lo stato di guerra. Anche il nome di Selva fu trovato nelle liste della P2. La campagna per le misure speciali e lo stato di emergenza verr condotta con particolare forza dal Corriere della Sera, diretto da un iscritto alla P2, Franco Di Bella. Per lo stato di pericolo pubblico e per linterrogatorio degli indiziati senza difensore si esprimer anche il capo del Sisde (il servizio segreto civile) Giulio Grassini, piduista.

    Ore 10,08

    Con una telefonata alla redazione milanese dellAnsa le Brigate rosse rivendicano lazione e aggiungono che Moro solo linizio.

    Ore 10,30

    Cgil, Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale, la Corte Costituzionale sospende per mezzora la seduta in segno di lutto, nelle scuole e nelle Universit gli studenti si riuniscono in assemblea.Sui tavoli di prefetti, questori, commissari di polizia e guardie di frontiera arriva un telegramma urgente. Con massima precedenza assoluta il capo dellUcigos, Antonio Fariello, capo di un ufficio creato nello spazio di un mattino dal ministro dellInterno Cossiga e suo uomo di fiducia, ordinava di disporre immediatamente il Piano Zero. Mezzora dopo il centralino del ministero dellinterno era intasato dalle telefonate di allarmati funzionari che da tutta Italia chiedevano cosa mai fosse il Piano Zero. Si scopr a tarda sera che si trattava di un piano di emergenza per mobilitare le forze dellordine della provincia di Sassari. Fariello, che era stato questore di quella citt, era convinto che il piano valesse su tutto il territorio nazionale. Un errore incredibile, ma solo il primo di una lunga serie. Per la cronaca, nel 1987 il dottor Fariello, lasciata la polizia, fu assunto come capo della sorveglianza della Banca Nazionale del Lavoro. Direttore generale dellistituto di credito era allepoca Giacomo Pedde, cugino di Francesco Cossiga.

    Ore 11,30

    Al Viminale il ministro dellinterno Francesco Cossiga convoca i vertici delle forze di polizia, dei servizi segreti e delle forze armate. Viene formato il comitato tecnico operativo che dovr coordinare le indagini. Si scoprir, tre anni dopo, che molte delle persone riunite intorno a quel tavolo sono iscritte alla P2.Loperato del comitato di crisi uno dei buchi neri del caso Moro. Dei verbali delle riunioni vi traccia solo fino al 3 aprile. In realt per Cossiga prest scarsissima attenzione a quel comitato. Al punto da frequentarlo solo saltuariamente a partire dal 21 marzo, cinque giorni dopo il sequestro di Aldo Moro.Accanto al comitato ufficiale, composto dai rappresentanti di forze dellordine e servizi segreti, Cossigane costitu un secondo, denominato gruppo gestione crisi, che lavor in modo del tutto misterioso. Formalizzato su proposta dello stesso Cossiga da un documento del Cesis (il comitato di coordinamento dei servizi segreti) del 16 marzo, il comitato di gestione crisi fu caratterizzato dalla presenza di alcuni amici personali del ministro, parte dei quali iscritti alla loggia di Gelli: come il professor Franco Ferracuti, uno psichiatra che ebbe grande peso, insieme al consulente di crisi del dipartimento di Stato

  • americano Steve Pieczenik, nel far passare la tesi del Moro fuori di s, e quindi della inattendibilit delle sue lettere dal carcere brigatista. Conosciuto come un collaboratore della Cia, Ferracuti fu poi coinvolto nelle indagini sulla strage di Bologna per la sua amicizia con lideologo nero Semerari; lo stesso Ferracuti, come risulta dallinterrogatorio di un neofascista, allepoca del sequestro Moroinformava gli esponenti del terrorismo nero sullo stato delle indagini. Dagli interrogatori di Ferracuti e di altri componenti di questo comitato-ombra risulta che esso si riuniva in luoghi sempre diversi con scadenze non prefissate, e che il numero dei presenti variava di volta in volta. A proposito dei verbali delle riunioni del comitato di crisi, affannosamente e inutilmente richiesti al ministero dellInterno, molti anni dopo, dalla commissione parlamentare sulle stragi, una testimonianza preziosa venuta da uno dei suoi componenti, il criminologo Franco Ferracuti: Concluso il caso Moro, ho parlato con Cossiga, e gli ho spiegato che le carte sul caso erano un pezzo della storia dItalia, e che ci si doveva preoccupare di salvarle tutte. Lui mi aveva risposto di esserne consapevole, e che se ne sarebbe occupato. Certo, per quello che dico non ho prove, ma quando sono tornato ho chiesto ad alcuni amici del Viminale dove erano finiti tutti quei materiali. Mi hanno risposto che era sparito tutto. Forse Cossiga per motivi storici, o qualcosa del genere.In un libro pubblicato oltre dieci anni dopo lagguato di via Fani, Lombra di Moro, Adriano Sofri tornato sulla questione del comitato-ombra. Di che si tratti, lex leader di Lotta Continua lo ha spiegato in una intervista al settimanale Il Sabato: Mi stato detto - afferma Sofri - che durante i giorni del rapimento Moro cera una specie di comitato-ombra che si occupava dellemergenza. Questo gruppo di persone era insediato al ministero della Marina Militare con la presenza personale di Licio Gelli. Sofrispiega di aver avuto la notizia da una persona accreditata per non dire sciocchezze, ma non pi in vita. Sempre secondo Sofri gli altri componenti del gruppo di esperti scelto da Cossiga chiamavano affettuosamente Gelli Micio Micio. Il capo della P2 avrebbe avuto addirittura a disposizione una stanza allinterno delledificio della Marina militare, in piazzale della Marina 1, a Roma. Sofri non un personaggio di secondo piano in questa vicenda: egli segu da vicino gli sviluppi del caso Moro, tenendo contatti sia con i vertici del Psi che con gli ambienti dellestremismo rosso.Della presenza di Gelli tra i consiglieri di Cossiga parla anche un altro libro; si chiama I giorni del diluvio, e lha scritto, sotto falso nome, il senatore Francesco Mazzola, sottosegretario alla Difesa, con delega alla Marina Militare e grande amico di Cossiga. Mazzola, che fece parte del comitato gestione crisi, nel libro chiama Gelli il marchese.Ci sono infine altre due testimonianze non smentibili: la prima del funzionario del Sisde, Elio Cioppa, piduista, il quale davanti alla commissione P2 ha testimoniato che durante il sequestro Moro il capo del servizio, generale Grassini (anchegli iscritto alla P2, N.d.R.), gli affid un accertamento da compiere specificando che lo spunto proveniva da una riunione a cui era presente Gelli. Questo fu il giudizio di Tina Anselmi, che presiedette la commissione parlamentare: Il capo della Loggia agiva dunque ormai come elemento pienamente inserito al massimo livello in uno dei gangli essenziali dello Stato.La seconda testimonianza di un sincero amico dei vertici democristiani, il giornalista Umberto Cavina, allepoca del sequestro capo ufficio stampa della Dc, il quale ha dato per certa la presenza di Gelli al Ministero dellInterno durante il sequestro Moro.Gelli partecip alle famose riunioni negli uffici della Marina Militare sotto il falso nome di ingegner Luciani. Ingegner Lucio Luciani il nome di copertura che Licio Gelli ha spesso usato nelle lettere di raccomandazione pubblicate tra gli atti della commissione dinchiesta della P2. Come ingegner Luciani, il capo della P2 prenota spesso una camera allExcelsior di Roma.Nella seconda met di gennaio del 1992 attraverso canali misteriosi saltato fuori un documento che prova le frequentazioni di Licio Gelli al ministero della Marina: si tratta di due tesserini, datati 1979 e intestati allingegner Lucio Luciani, che permettono laccesso alla biblioteca del ministero. Forse qualcuno conserva ancor oggi altre e pi importanti tessere, che Licio Gelli utilizz per accedere agli uffici del ministero nei giorni tra marzo e maggio del 1978, quelli in cui si consum il caso Moro. Forse, quei tesserini fanno parte del gioco di ricatti che apparentemente coinvolge, a volte in veste di ricattato, altre in quelle di ricattatore, il Presidente della Repubblica (Francesco Cossiga, allepoca della pubblicazione di questo scritto, N.d.R.).

    Ore 18,06

    Alla Procura di Roma si svolge un summit presieduto dal capo dellufficio, il dottor Giovanni Di Matteo. Vi partecipano tutti i sostituti procuratori. Si concorda che il sostituto di turno incaricato delle indagini, il dottor Infelisi, sar affiancato da un gruppo di magistrati. In realt nei giorni successivi De Matteocambier idea. Infelisi condurr da solo le indagini, ma continuer anche a svolgere il normale lavoro di routine: Il telefono del mio ufficio a volte non funzionava - racconter Infelisi - dovevo usare il telefono a gettoni nel corridoio - spesso mancavano i gettoni.

  • (di Sergio Flamigni e Michele Gambino)1/continua

    Il 16 marzo 1978 Aldo Moro fu rapito, dopo il massacro degli agenti della sua scorta. Il 9 maggio fu ucciso. In quei cinquantacinque giorni accadde che gli inquirenti indagarono nella direzione sbagliata, al vertice del ministero dellInterno si insedi un Comitato di iscritti alla Loggia P2, un consulente americano consigli di non sopravvalutare lostaggio, verbali vennero redatti e poi sottratti, bobine furono manipolate, gladiatori furono allertati, sedute spiritiche indirizzarono le inchieste. Alla fine, con la morte del prigioniero delle Br, una intera politica, quella di Moro, fu rovesciata. Per questo il caso Moro il pi grande mistero della Repubblica. Questo racconto lo ricostruisce minuziosamente, sulla base delle testimonianze e della carte emerse nei quattordici anni che seguirono, fino alla pubblicazione.

    Sergio Flamigni, che fu membro della commissione parlamentare dindagine sullaffare Moro, uno dei maggiori conoscitori dei cinquantacinque giorni (su cui ha scritto il libro La tela del ragno).

    Michele Gambino, giornalista, ha iniziato lattivit nei primi anni 80 con I Siciliani di Giuseppe Fava. Dal 1990 fino alla chiusura del giornale inviato del settimanale Avvenimenti. Specializzato in inchieste su criminalit economica, mafia, politica interna ed estera, ha realizzato decine di reportage dai teatri di guerra di tutto il mondo. Ha collaborato come autore e inviato in diverse trasmissioni televisive della Rai e ha scritto libri-inchiesta e saggi su argomenti dattualit. E uno degli insegnanti della bottega di giornalismo della scuola torinese Holden di Alessandro Baricco e vice-direttore di Pippol.

    (Pubblicato da Avvenimenti il 12/2/1992)

    CAPITOLO I

    Roma, gioved 16 marzo 1978, ore 9.30

    Il transatlantico di Montecitorio insolitamente affollato, vista lora: gruppi di parlamentari vanno su e gi lungo i corridoi in attesa della votazione che sancir la nascita del quarto governo Andreotti. Particolarmente animati i capannelli dei deputati comunisti: sta per nascere la prima maggioranza di cui il Pci fa parte. Ma alcuni di loro polemizzano con le indicazioni del partito, che impone di votare lappoggio esterno a un monocolore dc zeppo delle vecchie facce dei ministri di sempre. Allimprovviso una notizia interrompe il filo dei discorsi: mezzora prima in via Fani, ampia e tranquilla strada del quartiere Trionfale, un commando di brigatisti rossi ha sequestrato lonorevole Aldo Moro, regista insieme a Berlinguer dellaccordo tra democristiani e comunisti. Quattro uomini della scorta, Oreste Leonardi, Raffaele lozzino, Domenico Ricci e Giulio Rivera, sono stati uccisi. Il quinto, Francesco Zizzi, morir pi tardi in ospedale.Le forze dellordine si sono gi messe in moto, ma un agitarsi privo di logica. I percorsi dei brigatisti in fuga si sovrappongono a quelli delle volanti in arrivo senza mai incrociarsi. In via Bitossi una radiomobile riceve lordine di spostarsi per dirigersi verso via Fani un attimo prima che la Fiat 128 blu con a bordo Moro e i suoi sequestratori arrivi proprio nel punto in cui lauto della polizia si trovava.

    Alla centrale operativa della questura di Roma presta servizio quel 16 marzo il commissario Antonio Esposito, poi risultato iscritto alla P2. Lo stesso nome, con lindirizzo e il numero di telefono, verr trovato in possesso di uno dei componenti del commando brigatista, Valerio Morucci. Ma nessuno gli chieder mai perch.Le cronache dellagguato, il giorno dopo, si dilungheranno sulla professionalit degli assalitori. In realt a uccidere la scorta lasciando incolume Aldo Moro sono stati due soli componenti del commando; dei 97 bossoli ritrovati in via Fani dopo la sparatoria 62 furono sparati da una sola arma, altri 20 da un secondo killer. I restanti tre uomini del commando spararono quindi 15 proiettili in tutto. Agli atti del processo c la deposizione di uno dei testimoni dellagguato, esperto di armi, che descrive con sincera ammirazione la tecnica di uno degli assalitori. Il numero e la composizione dellintero gruppo che partecip allagguato non mai stato chiarito, ma c il fondato sospetto che tre componenti del commando non siano mai stati identificati. Lo stesso Valerio Morucci ha parlato prima di dodici e poi di nove componenti. Ma di sicuro tra i brigatisti condannati per il sequestro Moro non c nessuno che abbia le capacit militari messe in mostra dal superkiller di via Fani. Esiste anche lipotesi che alcuni dei proiettili sparati in via Fani provengano da un deposito di Operazione Gladio. E una pista che nasce dallinterrogazione presentata di recente da un deputato di Democrazia Proletaria, Luigi Cipriani che ha riletto con gli occhiali di Gladio le carte del primo processo Moro. Trovandovi un particolare che potrebbe rivelarsi di straordinaria portata: secondo il perito del tribunale, 39 dei bossoli ritrovati in via Fani provengono da uno stock in dotazione a forze militari non convenzionali. Essi sono inoltre ricoperti di una vernice protettiva adatta alle lunghe conservazioni.

    Ore 9,45

    Nella zona di via Fani saltano le linee telefoniche. La conseguenza una parziale paralisi delle comunicazioni tra le forze dellordine. La Sip spiegher che si trattato di un sovraccarico delle linee. Si scoprir, anni dopo, che allinterno della Sip operano strutture dei servizi segreti. Pochi giorni prima del sequestro Moro una squadra di telefonisti era stata notata allinterno del garage del palazzo in cui abitava il presidente della Dc.Sul luogo della strage sono accorsi i vertici di carabinieri, polizia e magistratura. Dir il generale dei Cc Corsini: Devo dire che l ho trovato una grossa confusione, in parte creata da noi.

    Ore 9,50

    Vengono istituiti i primi posti di blocco. I brigatisti hanno avuto quasi unora di tempo per raggiungere un luogo sicuro.

    Ore 10

    Alla Camera la seduta di insediamento del nuovo governo rinviata. Negli stessi minuti Licio Gelli riceve nella sua stanza allExcelsior due ospiti mai identificati. Testimonianza della segretaria del capo della P2, Nadia Lazzerini: Ad un certo punto Gelli disse: Il pi fatto.

    Ore 10,06

    Il Gr2 trasmette un editoriale del suo direttore, Gustavo Selva, che invoca misure speciali e lo stato di guerra. Anche il nome di Selva fu trovato nelle liste della P2. La campagna per le misure speciali e lo stato di emergenza verr condotta con particolare forza dal Corriere della Sera, diretto da un iscritto alla P2, Franco Di Bella. Per lo stato di pericolo pubblico e per linterrogatorio degli indiziati senza difensore si esprimer anche il capo del Sisde (il servizio segreto civile) Giulio Grassini, piduista.

    Ore 10,08

    Con una telefonata alla redazione milanese dellAnsa le Brigate rosse rivendicano lazione e aggiungono che Moro solo linizio.

    Ore 10,30

    Cgil, Cisl e Uil proclamano lo sciopero generale, la Corte Costituzionale sospende per mezzora la seduta in segno di lutto, nelle scuole e nelle Universit gli studenti si riuniscono in assemblea.Sui tavoli di prefetti, questori, commissari di polizia e guardie di frontiera arriva un telegramma urgente. Con massima precedenza assoluta il capo dellUcigos, Antonio Fariello, capo di un ufficio creato nello spazio di un mattino dal ministro dellInterno Cossiga e suo uomo di fiducia, ordinava di disporre immediatamente il Piano Zero. Mezzora dopo il centralino del ministero dellinterno era intasato dalle telefonate di allarmati funzionari che da tutta Italia chiedevano cosa mai fosse il Piano Zero. Si scopr a tarda sera che si trattava di un piano di emergenza per mobilitare le forze dellordine della provincia di Sassari. Fariello, che era stato questore di quella citt, era convinto che il piano valesse su tutto il territorio nazionale. Un errore incredibile, ma solo il primo di una lunga serie. Per la cronaca, nel 1987 il dottor Fariello, lasciata la polizia, fu assunto come capo della sorveglianza della Banca Nazionale del Lavoro. Direttore generale dellistituto di credito era allepoca Giacomo Pedde, cugino di Francesco Cossiga.

    Ore 11,30

    Al Viminale il ministro dellinterno Francesco Cossiga convoca i vertici delle forze di polizia, dei servizi segreti e delle forze armate. Viene formato il comitato tecnico operativo che dovr coordinare le indagini. Si scoprir, tre anni dopo, che molte delle persone riunite intorno a quel tavolo sono iscritte alla P2.Loperato del comitato di crisi uno dei buchi neri del caso Moro. Dei verbali delle riunioni vi traccia solo fino al 3 aprile. In realt per Cossiga prest scarsissima attenzione a quel comitato. Al punto da frequentarlo solo saltuariamente a partire dal 21 marzo, cinque giorni dopo il sequestro di Aldo Moro.Accanto al comitato ufficiale, composto dai rappresentanti di forze dellordine e servizi segreti, Cossiga ne costitu un secondo, denominato gruppo gestione crisi, che lavor in modo del tutto misterioso. Formalizzato su proposta dello stesso Cossiga da un documento del Cesis (il comitato di coordinamento dei servizi segreti) del 16 marzo, il comitato di gestione crisi fu caratterizzato dalla presenza di alcuni amici personali del ministro, parte dei quali iscritti alla loggia di Gelli: come il professor Franco Ferracuti, uno psichiatra che ebbe grande peso, insieme al consulente di crisi del dipartimento di Stato americano Steve Pieczenik, nel far passare la tesi del Moro fuori di s, e quindi della inattendibilit delle sue lettere dal carcere brigatista. Conosciuto come un collaboratore della Cia, Ferracuti fu poi coinvolto nelle indagini sulla strage di Bologna per la sua amicizia con lideologo nero Semerari; lo stesso Ferracuti, come risulta dallinterrogatorio di un neofascista, allepoca del sequestro Moro informava gli esponenti del terrorismo nero sullo stato delle indagini. Dagli interrogatori di Ferracuti e di altri componenti di questo comitato-ombra risulta che esso si riuniva in luoghi sempre diversi con scadenze non prefissate, e che il numero dei presenti variava di volta in volta. A proposito dei verbali delle riunioni del comitato di crisi, affannosamente e inutilmente richiesti al ministero dellInterno, molti anni dopo, dalla commissione parlamentare sulle stragi, una testimonianza preziosa venuta da uno dei suoi componenti, il criminologo Franco Ferracuti: Concluso il caso Moro, ho parlato con Cossiga, e gli ho spiegato che le carte sul caso erano un pezzo della storia dItalia, e che ci si doveva preoccupare di salvarle tutte. Lui mi aveva risposto di esserne consapevole, e che se ne sarebbe occupato. Certo, per quello che dico non ho prove, ma quando sono tornato ho chiesto ad alcuni amici del Viminale dove erano finiti tutti quei materiali. Mi hanno risposto che era sparito tutto. Forse Cossiga per motivi storici, o qualcosa del genere.In un libro pubblicato oltre dieci anni dopo lagguato di via Fani, Lombra di Moro, Adriano Sofri tornato sulla questione del comitato-ombra. Di che si tratti, lex leader di Lotta Continua lo ha spiegato in una intervista al settimanale Il Sabato: Mi stato detto - afferma Sofri - che durante i giorni del rapimento Moro cera una specie di comitato-ombra che si occupava dellemergenza. Questo gruppo di persone era insediato al ministero della Marina Militare con la presenza personale di Licio Gelli. Sofri spiega di aver avuto la notizia da una persona accreditata per non dire sciocchezze, ma non pi in vita. Sempre secondo Sofri gli altri componenti del gruppo di esperti scelto da Cossiga chiamavano affettuosamente Gelli Micio Micio. Il capo della P2 avrebbe avuto addirittura a disposizione una stanza allinterno delledificio della Marina militare, in piazzale della Marina 1, a Roma. Sofri non un personaggio di secondo piano in questa vicenda: egli segu da vicino gli sviluppi del caso Moro, tenendo contatti sia con i vertici del Psi che con gli ambienti dellestremismo rosso.Della presenza di Gelli tra i consiglieri di Cossiga parla anche un altro libro; si chiama I giorni del diluvio, e lha scritto, sotto falso nome, il senatore Francesco Mazzola, sottosegretario alla Difesa, con delega alla Marina Militare e grande amico di Cossiga. Mazzola, che fece parte del comitato gestione crisi, nel libro chiama Gelli il marchese.Ci sono infine altre due testimonianze non smentibili: la prima del funzionario del Sisde, Elio Cioppa, piduista, il quale davanti alla commissione P2 ha testimoniato che durante il sequestro Moro il capo del servizio, generale Grassini (anchegli iscritto alla P2, N.d.R.), gli affid un accertamento da compiere specificando che lo spunto proveniva da una riunione a cui era presente Gelli. Questo fu il giudizio di Tina Anselmi, che presiedette la commissione parlamentare: Il capo della Loggia agiva dunque ormai come elemento pienamente inserito al massimo livello in uno dei gangli essenziali dello Stato.La seconda testimonianza di un sincero amico dei vertici democristiani, il giornalista Umberto Cavina, allepoca del sequestro capo ufficio stampa della Dc, il quale ha dato per certa la presenza di Gelli al Ministero dellInterno durante il sequestro Moro.Gelli partecip alle famose riunioni negli uffici della Marina Militare sotto il falso nome di ingegner Luciani. Ingegner Lucio Luciani il nome di copertura che Licio Gelli ha spesso usato nelle lettere di raccomandazione pubblicate tra gli atti della commissione dinchiesta della P2. Come ingegner Luciani, il capo della P2 prenota spesso una camera allExcelsior di Roma.Nella seconda met di gennaio del 1992 attraverso canali misteriosi saltato fuori un documento che prova le frequentazioni di Licio Gelli al ministero della Marina: si tratta di due tesserini, datati 1979 e intestati allingegner Lucio Luciani, che permettono laccesso alla biblioteca del ministero. Forse qualcuno conserva ancor oggi altre e pi importanti tessere, che Licio Gelli utilizz per accedere agli uffici del ministero nei giorni tra marzo e maggio del 1978, quelli in cui si consum il caso Moro. Forse, quei tesserini fanno parte del gioco di ricatti che apparentemente coinvolge, a volte in veste di ricattato, altre in quelle di ricattatore, il Presidente della Repubblica (Francesco Cossiga, allepoca della pubblicazione di questo scritto, N.d.R.).

    Ore 18,06

    Alla Procura di Roma si svolge un summit presieduto dal capo dellufficio, il dottor Giovanni Di Matteo. Vi partecipano tutti i sostituti procuratori. Si concorda che il sostituto di turno incaricato delle indagini, il dottor Infelisi, sar affiancato da un gruppo di magistrati. In realt nei giorni successivi De Matteo cambier idea. Infelisi condurr da solo le indagini, ma continuer anche a svolgere il normale lavoro di routine: Il telefono del mio ufficio a volte non funzionava - racconter Infelisi - dovevo usare il telefono a gettoni nel corridoio - spesso mancavano i gettoni.

    (di Sergio Flamigni e Michele Gambino)

    1/continua