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ANALECTA ROMANA INSTITUTI DANICI XLIII

ANALECTA ROMANA INSTITUTI DANICI XLIII · 2020. 5. 18. · al periodo arcaico, pertanto si è scelto di ampliare l’area di scavo impostando un Saggio Stratigrafico di 5,0 x 5,0

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  • ANALECTA ROMANAINSTITUTI DANICI

    XLIII

  • ANALECTA ROMANA

    INSTITUTI DANICI

    XLIII

    2018

    ROMAE MMXVIII

  • ANALECTA ROMANA INSTITUTI DANICI XLIII© 2019 Accademia di DanimarcaISSN 2035-2506

    Scientific Board

    Karoline Prien Kjeldsen (Bestyrelsesformand, Det Danske Institut i Rom, -30.04.18)Mads Kähler Holst (Bestyrelsesformand, Det Danske Institut i Rom)

    Jens Bertelsen (Bertelsen & Scheving Arkitekter)Maria Fabricius Hansen (Københavns Universitet)

    Peter Fibiger Bang (Københavns Universitet)Iben Fonnesberg-Schmidt (Aalborg Universitet)

    Karina Lykke Grand (Aarhus Universitet)Thomas Harder (Forfatter/writer/scrittore)Morten Heiberg (Københavns Universitet)

    Michael Herslund (Copenhagen Business School)Hanne Jansen (Københavns Universitet)

    Kurt Villads Jensen (Stockholms Universitet)Erik Vilstrup Lorenzen (Den Danske Ambassade i Rom)

    Mogens Nykjær (Aarhus Universitet)Vinnie Nørskov (Aarhus Universitet)

    Niels Rosing-Schow (Det Kgl. Danske Musikkonservatorium)Poul Schülein (Arkitema, København)Lene Schøsler (Københavns Universitet)

    Erling Strudsholm (Københavns Universitet)Lene Østermark-Johansen (Københavns Universitet)

    editorial Board

    Marianne Pade (Chair of Editorial Board, Det Danske Institut i Rom)Patrick Kragelund (Danmarks Kunstbibliotek)

    Sine Grove Saxkjær (Det Danske Institut i Rom)Gert Sørensen (Københavns Universitet)

    Anna Wegener (Det Danske Institut i Rom)Maria Adelaide Zocchi (Det Danske Institut i Rom)

    Analecta Romana Instituti Danici. — Vol. I (1960) — . Copenhagen: Munksgaard. From 1985: Rome, «L’ERMA» di Bretschneider. From 2007 (online): Accademia di Danimarca.

    ANALECTA ROMANA INSTITUTI DANICI encourages scholarly contributions within the Academy’s research fields. All contributions will be peer reviewed. Manuscripts to be considered for publication should be sent to: [email protected] Authors are requested to consult the journal’s guidelines at www.acdan.it

  • Contents

    Maurizio Paoletti: “Kleom(b)rotos, figlio di Dexilaos, (mi) dedicò”. L’offerta di un atleta vincitore ad Olimpia nel santuario di Francavilla Marittima

    Jan KindBerg JacoBSen, Peter atteMa, carMelo colelli, franceSca iPPolito, gloria Mittica, Sine grove SaxKJær: The Bronze and Iron Age habitation on Timpone della Motta in the light of recent research

    daniel daMgaard: Architectural Terracottas from Etrusco-Italic Temples on the Later Forum of Ostia. Archaic Ostia Revisited

    chriStine Jeanneret: Making Opera in Migration. Giuseppe Sarti’s Danish Recipe for Italian Opera

    niKola d. Bellucci: Danici sodales. Schow e Zoëga nel carteggio Baffi (e Baffi nel carteggio Zoëga). Analisi e confronti

    Marianne SaaBye: P.S. Krøyer, Pasquale Fosca and the Neapolitan art scene

    anna Wegener: Italian Translations of Scandinavian Literature in the Interwar Period: A Bibliographic Overview

    Reports:

    gloria Mittica & nicoletta Perrone: Espressioni votive e rituali nel Santuario arcaico di Timpone della Motta. Le novità dagli scavi DIR 2017

    doMenico a. M. Marino & carMelo colelli: Crotone. Lo scavo urbano di Fondo Gesù

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  • Prospettive di ricercaDurante l’anno 2017 l’équipe italo-danese, da anni impegnata nella ricerca scientifica presso il sito archeologico di Francavilla Marittima (CS), ha ripreso in maniera sistematica ed estensiva l’esplorazione di un importante spazio consacrato di epoca Arcaica. Questo è ubicato sul versante sud-orientale dell’acropoli, all’ingresso del Santuario di Timpone della Motta.1 La ripresa degli scavi ad opera del DIR (Danish Institute in Rome) ha consentito di scoprire nuovi contesti ed acquisire quindi ulteriori dati che, integrati con quelli di cui si è in possesso, stanno progressivamente restituendo una serie di

    Espressioni votive e rituali nel Santuario arcaico di Timpone della Motta.

    Le novità dagli scavi DIR 2017*

    di Gloria Mittica & Nicoletta PerroNe

    1 Mittica et al. 2018a, Mittica et al. 2018b, Mittica et al. 2018c.

    evidenze di grande significato. Pertanto, il già promettente quadro che si era delineato con gli scavi eseguiti tra il 2008-2010 per conto del GIA (Groningen Institute of Archaeology), viene ad essere confermato e ampliato.

    Il contesto archeologico, affrontato nel suo insieme, fa sì che particolare attenzione ricada sull’ideologia cultuale e sulla predisposizione e percezione degli spazi sacri, senza prescindere dalla considerazione delle norme che regolamentavano quel sistema interrelato di funzioni e significati propri dei fenomeni religiosi e dei cerimoniali ad essi connessi.

    Gli scavi archeologici condotti dal GIA durante un primo ciclo di ricerca, tra il 1991 ed il

    Abstract. The current contribution presents the preliminary results from the excavations conducted in Francavilla Marittima (CS), southern Italy, in 2017 by the Danish-Italian research team associated with the Danish Institute in Rome. The excavations were direct by Gloria Mittica and took place in the Archaic sanctuary on the Timpone della Motta. The fieldwork concerned a large consecrated space located at the entrance to the sanctuary on the south-east side of the acropolis. In this area substantial evidence for animal offerings and ritual dining has been identified which permits for a reconstruction of several ritual practices. This through a combined interpretation of the ritual instruments, votive gifts, architectonical structures and not least archaeobotanical and –zoological material. All of which may be dated the major part of the 6th century BC. The analysis of animal remains shows that most of them belongs to domestic animal species especially sheeps and goats. The peculiarity of the bones consists in their combustion homogeneity which has reached calcination. The archaeozoological analysis suggests that the bones are the result of sacrifice rituals of Greek origin, the Thysia.

  • 238 Gloria Mittica & Nicoletta PerroNe

    2004, sotto la direzione di Marianne Kleibrink e Peter Attema e con il coinvolgimento dei membri danesi dell’attuale Missione, hanno interessato il versante sud-occidentale dell’acropoli. Qui è stato esplorato l’Edificio V nelle sue fasi cronologiche2 e sono stati documentati fondamentali contesti di VIII e VII secolo a.C.. Mediante le pubblicazioni scientifiche che ne sono seguite il focus degli studi è stato posto sulla tradizione materiale e sull’analisi delle ideologie cultuali diffuse presso l’insediamento tra l’800 e il 620 a.C.3

    Durante il secondo ciclo di ricerca ad opera del GIA, dal 2008 al 2016, scientificamente diretto da Jan Kindberg Jacobsen e Peter Attema, l’attenzione è stata focalizzata sulla fase di piena monumentalizzazione del Santuario arcaico. Infatti, la scarsità delle informazioni relative a tale periodo poneva vari problemi interpretativi, uno su tutti la capacità di individuare le specifiche pratiche rituali e la seriazione della cultura materiale all’interno del santuario. Anche le conoscenze in merito agli aspetti architettonici e topografici meriterebbero di essere ampliate con l’indagine sistematica di strutture di servizio e ambienti che, seppur non ancora messi in luce, si conservano senz’altro presso il sito e devono aver rivestito un ruolo determinante nello svolgimento dei cerimoniali.

    Inoltre, i contesti riferibili al periodo arcaico indagati dalla Stoop nel santuario di Timpone della Motta durante gli anni Sessanta del secolo scorso, pur avendo restituito una notevole varietà di reperti mobili, di contro, non hanno permesso di registrare dati

    2 Edificio Va: capanna enotria datata alla media età del Bronzo; Edificio Vb: VIII sec. a.C.; Edificio Vc: tempio datato tra fine VIII inizi VII a.C.; Edificio Vd: tempio datato alla seconda metà del VII a.C.; Ve: tempio datato tra fine VII-VI a.C.; Edificio Vf: chiesetta bizantina con annesso pozzo di X secolo, cfr. Jacobsen & Handberg 2010, 18-42.

    3 Saxkjær et al. 2017 con bibliografia di riferimento; Jacobsen & Handberg 2010; Kleibrink 2010.

    4 Stoop & Pugliese Carratelli 1965-1966; Stoop 1974-1976; Stoop 1979; Stoop 1983; Stoop 1985; Stoop 1988; Stoop 1989; Stoop 1990.

    5 Alle campagne di scavo DIR 2017 hanno parteci-

    pato 14 studenti di Archeologia Classica del II a.a. dell’Università di Aarhus e 12 studenti del I a.a. dell’Università di Copenhagen, a tutti loro va rico-nosciuto grande merito per la disciplina e dedizione con cui hanno preso parte attiva alla ricerca sul cam-po. Questa ha assunto valenza didattico-scientifica proprio al fine di impartire loro ogni nozione legata all’indagine stratigrafica, alla documentazione grafi-ca e topografica e di catalogazione delle varie classi di reperti immagazzinati. A cura di Lisa Marie An-dersson, che ringrazio vivamente, è l’elaborazione grafica della documentazione fotografica corredata al presente testo.

    stratigrafici affidabili.4 La causa va attribuita al fatto che le sequenze stratigrafiche di VI secolo indagate dalla Stoop, sono risultate collocate immediatamente al di sotto del piano di campagna e quindi disturbate dalle attività agro-pastorali, dai pesanti saccheggi eseguiti da scavatori clandestini e dalla frequentazione del sito da parte di carbonai durante il 1900. Così, al fine di intercettare contesti affidabili di VI secolo, nel 2008 sono stati compiuti dei sondaggi esplorativi lungo il versante sud-orientale dell’acropoli, dove effettivamente è stato intercettato un giacimento archeologico di notevole interesse. La stratigrafia era ben conservata e ricca di tracce rituali riferibili al periodo arcaico, pertanto si è scelto di ampliare l’area di scavo impostando un Saggio Stratigrafico di 5,0 x 5,0 mt (SAS MS3) nel quale sono stati documentati chiari indicatori dell’espletamento di pratiche per il sacrificio animale e per la libagione, che hanno avuto luogo tra il 600 a.C. e la fine del VI secolo a.C. L’indagine di tale contesto fornisce l’occasione unica di conoscere la principale via di accesso ai vari templi e l’organizzazione degli spazi destinati a pratiche rituali. La decodificazione e ricostruzione delle prassi votive e rituali consentirà di cogliere quanti più dettagli possibili sulle espressioni di religiosità nel periodo di piena vita del santuario.

    In seguito ad un periodo dedicato al solo studio dei materiali e all’elaborazione dei dati acquisiti, gli scavi presso il sito archeologico di Timpone della Motta sono ripresi a pieno regime ad opera dell’équipe italo-danese5 con

  • esPressioNi votive e rituali Nel saNtuario arcaico di tiMPoNe della Motta 239

    6 Plauso e riconoscenza si intendono esprimere nei confronti della Fondazione Carlsberg di Danimar-ca che sin dal 2002 offre il proprio supporto alla Missione Archeologica Internazionale che opera a Francavilla Marittima, sostenendo le attività di sca-vo, di studio e di edizione dei dati.

    7 Lo studio dei resti faunistici è in corso di svolgi-mento a cura della dott.ssa Nicoletta Perrone pres-so il Laboratorio di Archeozoologia dell’Università di Lecce diretto dal Prof. Jacopo De Grossi Mazzo-

    rin; lo studio dei resti paleobotanici è stato affidato al Laboratorio di Archeobotanica dell’Università di Lecce diretto dal Prof. Girolamo Fiorentino; le ana-lisi archeometriche sono curate dalla Prof.ssa Anna Maria De Francesco del Dipartimento di Scienze della Terra dell’Unical, mentre le indagini tomogra-fiche a raggi X sono a cura del Dr. Andrea Smeri-glio del Dipartimento di Chimica e Fisica dell’Uni-versità della Calabria.

    concessione ministeriale pluriennale - trasferita nel 2017 dal GIA al DIR con il benestare del Groningen Institute of Archaeology, della Soprintendenza Archeologica della Calabria e del Mibact.

    Le prospettive di ricerca trovano oggi espressione nel progetto scientifico The Sphere of the Divine. Religious transformations of the Timpone della Motta in its Western Mediterranean Setting promosso dalla Fondazione Carlsberg.6 L’approccio di ricerca è di tipo multidisciplinare, perciò avvalendosi dell’ausilio di ogni utile tecnologia e disciplina applicata all’archeologia7 e sottoponendo i reperti materiali, sedimentari e faunistici ad una ampia gamma di analisi scientifiche di laboratorio, vengono acquisite preziose informazioni altrimenti non documentabili attraverso altre fonti. Si tratta di dati che riflettono gesti e consuetudini che per la comunità antica hanno avuto un ruolo centrale nell’ambito delle azioni sacrificali. Un forte proposito è quello di tracciare un quadro conoscitivo della vita all’interno del santuario basato su una documentazione solida e comparata delle evidenze sia materiali che strutturali, attraverso cui cogliere ogni espressione: dalla religiosità alla manutenzione ed alla gestione del santuario. La difficoltà nel tracciare un quadro completo ed esaustivo è dipesa sia dal ritardo nella conoscenza dei fenomeni religiosi e dei vari aspetti legati al sacro, che dalla complessità nella decodificazione dei segni e dei momenti legati al rito e al culto.

    Gli esiti della ricerca intrapresa non mancheranno di fornire un consistente apporto alla ricostruzione storica di un quadro

    che appare più complesso di quanto finora delineato, arricchendo le conoscenze su uno dei più suggestivi luoghi dell’Occidente greco, popolato - ancor prima delle origini del luogo di culto - da una comunità indigena dalla quale non si può prescindere nell’analisi del contesto. Gli autoctoni, che pur entrando in contatto dalla fine del IX secolo a.C. con genti greche e non greche d’Oriente e d’Occidente che prendono a frequentare il territorio da loro popolato, mantengono autonoma la propria identità culturale fino al punto che le architetture degli edifici sacri arcaici, seppur rispondono ad una esigenza greca nell’organizzazione planimetrica, restano fedeli alla tecnica costruttiva lignea di tradizione indigena anche nel periodo di monumentalizzazione del santuario, nonché massimo splendore e potere della colonia achea. Pertanto, nonostante il contesto di indagine sia ascrivibile alla fase coloniale, non è possibile prescindere dal mondo indigeno e dalle dinamiche dei rapporti instaurati, facendo sì che l’insediamento di Timpone della Motta fosse luogo in cui si intersecavano le strade trans-marine e terrestri battute, forse anche alla ricerca di pregiate materie prime, ma certamente per motivi commerciali.

    In tal senso, assume estremo interesse l’attestazione presso il sito di ceramica di tradizione euboico-cicladica costituita da alcuni esemplari importati dalla madrepatria e di una produzione locale denominata enotrio-euboica, insieme all’attestazione di ceramica corinzia del Medio Geometrico II e degli inizi del Tardo Geometrico e l’abbondante ceramica geometrica iapigia. Esattamente l’apporto diretto di artigiani

  • 240 Gloria Mittica & Nicoletta PerroNe

    greci impegnati nella produzione in loco – come dimostrato dalle analisi archeometriche e dall’identificazione della probabile area del Kerameikos – spiegherebbe l’attestazione della classe ceramica enotrio-euboica8 nella sua significativa quantità e varietà tipologica presso il sito di Timpone della Motta e molti altri aspetti su cui i punti di domanda sono numerosi e aperti. Tuttavia, gli studi e le analisi dell’ultimo decennio insieme al dibattito scientifico che si è venuto a sollecitare grazie all’apporto di contributi di rilievo su due filoni di ricerca differenziati, ma ben rappresentati dal caso studio di Timpone della Motta (si pensi ai Convegni Internazionali: Santuari mediterranei tra Oriente e Occidente. Interazioni e contatti cultuali e la seconda edizione di Pithekoussai e l’Eubea tra Oriente e Occidente) permettono senz’altro di trarre osservazioni basate su documenti di prima mano suscettibili di approfondimenti. La complessità storico-archeologica del sito di Francavilla Marittima è pari alla sua potenzialità ed il quadro brevemente sintetizzato in questa sede, a seguito della ricerca in corso di svolgimento e delle scoperte che ne verranno, è chiaramente destinato ad arricchirsi.

    Caratterizzazione degli spazi ed apprestamenti ritualiIl Timpone Motta costituisce una propaggine dei monti del Pollino posta sul versante meridionale del Monte Sellaro, ubicata a ridosso della Pianura del Crati e compresa tra il Torrente Raganello a Sud e il Vallone Dardania a Nord. La cima si innalza alla quota di 284 mt s.l.m. e si presenta come un terrazzo di forma stretta e allungata (ca. 160 x 50 mt)

    8 In merito agli esiti delle analisi archeometriche sulle ceramiche enotrio-euboiche da Francavilla Marittima cfr. De Francesco et al. 2009; Andaloro et al. 2010a; Andaloro et al. 2010b; Andaloro et al. 2011. Sulla ceramica euboica ed enotrio-euboica da Francavilla Marittima cfr. Mittica 2007; Mittica et al. 2007; Mittica 2008; Jacobsen et al. 2009a; Jacobsen et al. 2009b; Handberg et al. 2009; Mittica 2010; Jacobsen & Handberg 2010; Jacobsen et al. 2011; Handberg & Jacobsen 2011; Jacobsen & Handberg

    2012; Jacobsen 2013; Jacobsen & Saxkjær 2014; Ja-cobsen et al. 2015a; Jacobsen et al. 2015b; Jacobsen et al. 2016; Saxkjær et al. 2017; Jacobsen et al. 2017.

    9 Sangineto & La Rocca 1997.10 In merito alle antiche strategie di pastorizia e transu-

    manza, cfr. Veeneman 2002; Givigliano 1985-1986.11 Per l’illustrazione dei dati relativi alle più antiche

    attestazioni di insediamento presso il Timpone del-la Motta si veda il contributo di Jacobsen et al. nel presente volume, 25-90.

    orientato in senso Est-Ovest e caratterizzato sui versanti a Nord, Sud e Ovest da ripide pareti a strapiombo (Fig. 1a). Il piccolo pianoro sommitale, che costituisce l’acropoli, è sicuramente frutto di un intervento antropico volto a realizzare uno spazio pianeggiante.

    Nella Valle del Crati la posizione protosto-rica del Timpone della Motta, che dista 8 km in direzione Est dalla costa ionica, risulta inse-rita più che bene a controllo dell’asse interno per il Mar Tirreno, soprattutto attraverso l’al-to corso del Torrente Raganello che si collega anche alle regioni dell’alto Coscile9, influendo sul controllo di luoghi sfruttati per la pratica della transumanza a corto raggio tra i pascoli estivi del Pollino e quelli invernali della valle fluviale10 e delle loro coltivazioni.

    L’area di Timpone della Motta è stata popolata da un gruppo di autoctoni, Enotri, sin dalla media età del Bronzo.11 Le vie di comunicazione marittime e costiere, insieme a quelle di collegamento verso l’entroterra e quelle che si dipartono dalle valli fluviali per valicare il sistema montuoso dell’Appennino, hanno contribuito al precoce incontro tra Enotri, Levantini e Greci che hanno animato questo territorio precedendo e favorendo la costruzione del successivo “impero di Sibari” ed allo scambio commerciale e culturale con gruppi di élite indigene. L’insediamento di Timpone della Motta entra precocemente nella sfera Sibarita e sulla sua vetta sorge e si sviluppa uno dei più importanti santuari della chora, con edifici dapprima costruiti con la tecnica in legno e crudo, sostituiti nel periodo arcaico da sacelli bi- o tripartiti dalla planimetria piuttosto allungata con zoccolo lapideo, alzato in crudo e copertura fittile,

  • esPressioNi votive e rituali Nel saNtuario arcaico di tiMPoNe della Motta 241

    presso i quali hanno ricevuto culto i numi del più antico Pantheon greco, Athena in primis come dimostrato dalla dedica dell’olimpionico Kleombrotos12 rinvenuta nell’Edificio II.

    Con gli scavi DIR 2017 è stata ripresa l’indagine estensiva sul versante sud-orientale del Santuario, il saggio stratigrafico a sezione aperta (SAS MS3) è stato ulteriormente ampliato rispetto al 2008 misurando oggi 24,0 x 12,0 mt. Qui si sta indagando un ampio spazio consacrato, attualmente non meglio definibile, all’interno del quale sono stati riconosciuti gli apprestamenti destinati

    12 Si veda il contributo di Paoletti nel presente volume, 7-24.

    all’espletamento del culto, ma soprattutto si sono conservate – molto spesso in giacitura primaria - manifestazioni materiali capaci di scandire i vari momenti e le norme che regolano le pratiche rituali qui esercitate durante il VI secolo a.C. (Fig. 1b). Seppur si rende ancora necessario stabilire l’esatta estensione di tale spazio, poiché non ancora indagato nel suo insieme, il lavoro di recupero ed esame analitico di ogni segno decodificabile conservato nel giacimento archeologico, consente di formulare una serie di ipotesi di lavoro che interessano il Santuario nella sua fase

    Fig. 1a. Acropoli di Timpone della Motta (ripresa da drone G. Mittica) - Fig. 1b. Sag-gio Stratigrafico SAS MS3 scavi DIR 2017 (ripresa da drone G. Mittica).

  • 242 Gloria Mittica & Nicoletta PerroNe

    di monumentalizzazione, durante il secondo quarto del VI secolo a.C. con il rifacimento in pietra di strutture già esistenti (Edificio I, Edificio III ed Edificio Ve) e con la messa in opera di nuove strutture (Edificio II, Edificio IV e il muro di temenos cd. Muro Schläger). Lo spazio consacrato è disposto tra l’area di accesso al Santuario ed i coevi templi arcaici e, per quanto si evince dalla documentazione archeologica, ha senz’altro rivestito un ruolo primario ai fini dello svolgimento dei cerimoniali religiosi. Anche in questo caso,

    come per i templi messi in luce in passato, ad appena -0,50 mt dal piano di campagna sono emerse le prime unità stratigrafiche di interesse, e quindi lo strato che sigillava questo spazio è risultato rimaneggiato per via della sopracitata frequentazione e manomissione che ha interessato gran parte dell’acropoli. Pertanto, tutto ciò che incombeva e poggiava quasi a diretto contatto con il contesto è stato asportato e inquinato, ma è possibile riferire il disuso alla fine del VI secolo a.C. sulla base dei materiali rinvenuti all’interno dei lembi di

    Fig. 2a. Massicciata SAS MS3 USM 501, prima metà VI sec. a.C. (foto G. Mittica). Fig. 2b. Dettaglio massicciata SAS MS3 USM 501 (foto: G. Mittica).

    Fig. 3a-b. UUSS 220, 647 e USM 501; dettaglio configurazione delle UUSS (foto: G. Mittica).

  • esPressioNi votive e rituali Nel saNtuario arcaico di tiMPoNe della Motta 243

    stratigrafia rimasti intatti.Scendendo via via a maggiori profondità,

    sono emersi apprestamenti strutturali funzionali al culto: una massicciata (USM 501) realizzata con piccoli ciottoli fluviali abbastanza costipati e legati a secco, che sembra essere contenuta lateralmente da grandi pietre fluviali (Fig. 2a-b). L’esame preliminare del dato materiale permette di datare l’impianto entro la prima metà del VI secolo, mentre la sua obliterazione può essere collocata nella seconda metà del secolo. Tale struttura orientata in senso Sud-Est / Nord-Ovest prosegue in direzione Est oltre il limite di scavo, così come si evince nella sezione Est del corridoio di servizio che corre all’interno del Saggio Stratigrafico e che divide la parte di Saggio indagata nel 2009 e gli ampliamenti impostati durante il corrente anno. Il corridoio sarà completamente rimosso nella prossima campagna di scavo al fine di conoscere l’Unità

    stratigrafica muraria 501 nella sua estensione totale.

    Sulla parte nord-occidentale della massicciata risulta impostata una ulteriore struttura (USM 100) realizzata in pietre fluviali di medie e grandi dimensioni - dotata anche di elementi lapidei squadrati - la cui disposizione appare meno coerente. Ad ogni modo, i materiali recuperati in giacitura primaria tra i vari elementi lapidei confermano appieno il carattere sacro. L’ampliamento eseguito ad Ovest ha rivelato una maggiore estensione ancora da seguire oltre i limiti occidentali del saggio di scavo; ci si riserva quindi di rimandare l’ipotesi interpretativa al termine delle indagini.

    Per entrambe le strutture la disposizione planimetrica si sviluppa in senso Sud-Est / Nord-Ovest e risulta in asse, oltre che in fase cronologica, con l’Edificio III, che

    Fig. 5a-b. Piano di battuto di uso US 224 (foto: G. Mit-tica).

    Fig. 4a-b. Dettaglio colorazione e composizione delle UUSS 220, 647 (foto: G. Mittica).

  • 244 Gloria Mittica & Nicoletta PerroNe

    sorgeva in posizione dominante presso l’estremità occidentale dell’acropoli. La massicciata è ricoperta, sul lato settentrionale, da uno strato di cenere fine frammista a ossa animali combuste, calcinate e notevolmente frammentate, inclusi carboniosi e minuti frammenti ceramici (US 220); mentre, sul lato meridionale è ricoperta da uno spesso strato di terreno a matrice argillosa dalla colorazione tendente al giallo, ricco di suppellettile rituale recuperato in buono stato di conservazione (US 647) (Figg. 3a-b; 4a-b). Le due unità stratigrafiche, seppur diverse nella loro composizione, consistenza e colorazione, presentano la medesima configurazione della superficie: questa è perfettamente orizzontale ed il rapporto stratigrafico vede lo strato cineroso US 220 poggiare a Nord sul taglio del conglomerato e legare a Sud con US 647. Inoltre, va osservato che lo strato cineroso è abbastanza sottile (0,8-0,10 mt), mentre lo spessore della US 647 aumenta sempre più in direzione Sud nel seguire il senso del declivio naturale della collina Motta (Figg. 5a-b). Si tratta di un vero e proprio livellamento, da cui ne deriva un piano di uso, la cui funzione potrà essere chiarita solo con il proseguo dell’indagine sistematica, che al momento ha interessato una porzione limitata dell’unità stratigrafica oltre la cui quota non si è ancora scesi, ma soprattutto un attento esame del materiale contenuto in questi strati fornirà precisi termini cronologici. Ad ogni modo, i reperti ceramici e bronzei qui recuperati sembrano databili entro la prima metà del VI secolo a.C.

    Materiali rituali e votiviAll’interno dello spazio consacrato sono stati rinvenuti, quasi sempre in situ, numerosissimi strumenti funzionali a tutte quelle esigenze richieste dalla complessa organizzazione di un sacrificio in un’area di culto e notevolmente rilevante risulta la loro disposizione spaziale: oltre a vasi per libare, mescere, versare e

    contenere, anche elementi di arredo sacro ed elementi architettonici. Tra questi, degni di nota sono due frammenti riferibili alla parte superiore di una sima fittile policroma decorata a motivi a palmette (Fig. 6a-c), frammenti di sima della medesima tipologia sono stati rinvenuti durante gli scavi Stoop nell’Edificio III e si datano alla prima metà del VI secolo a.C.13

    A Nord-Est della massicciata è stato documentato un deposito votivo in cui abbondava la ceramica miniaturistica e doni votivi spesso integri (Fig. 7a-c); mentre a Sud-Ovest della massicciata è stato indagato un ampio scarico rituale in cui il materiale risulta frammentato e accumulato in maniera caotica. Certamente si osserva l’omogeneità cronologica dei materiali, tutti ascrivibili al VI secolo e in entrambi i casi è stata documentata ceramica di produzione coloniale, tra cui hydriskai, krateriskoi e kanthariskoi sia individuali che montati su kernoi anulari (Fig. 8) e ceramica d’importazione greca, specie attica, laconica e corinzia, tra cui si segnalano kotylai e kotyliskoi, skyphoi, piatti, pissidi, louteria, aryballoi (Fig. 9). Entrambi i contesti hanno restituito terrecotte fittili, monili in pasta vitrea, faience, laminette, fermatrecce e vari oggetti in bronzo.

    Tra i resti di sacrificio, presenti principalmente nell’area di scarico rituale si annoverano ossa animali frammentate e calcinate e semi di cereali, prevalente risulta l’orzo. Per il momento, ma il dato può essere del tutto casuale e rivisitato a seguito delle prossime campagne di studio dei materiali, è doveroso segnalare che solo nello scarico rituale tra gli oggetti d’importazione greca sono attestate kylikes, alabastra, amphoriskoi, lekythoi, oinochoai, balsamari configurati, stamnoi, crateri, thymiaterion, perirrhanteria e phialai in ceramica corinzia, lame in ferro (Fig. 10a-c); mentre solo nel deposito votivo si registra la presenza di frammenti di pinakes, una fibula in oro giallo e monili in ambra.

    L’analisi quantitativa e formale dell’ingente

    13 Mertens & Schläger 1982, 162-164.

  • esPressioNi votive e rituali Nel saNtuario arcaico di tiMPoNe della Motta 245

    Fig. 6a-c. Elementi architettonici fittili policromi, VI sec. a.C. (foto: J.K. Jacobsen).

    Fig. 7a-c Frammenti fittili di edicole votive, VI sec. a.C. (foto: J.K. Jacobsen).

    Fig. 8. Ceramica di produzione coloniale dal deposito votivo (foto: G. Mittica & J.K. Jacobsen).

  • 246 Gloria Mittica & Nicoletta PerroNe

    Fig. 9. Piatto corinzio, 600/590-570 a.C. (foto: J.K. Ja-cobsen).

    14 Secondo ulteriori ipotesi interpretative la phiale è stata utilizzata come vaso potorio durante i ban-chetti rituali o ha avuto funzione oracolare come proposto da Dunbabin per gli esemplari dal Santua-rio di Hera Limenia a Perachora, cfr. Forsén 2004, 305; Perachora I, 150, ns. 5-14.

    15 Pochi altri esemplari sono stati rinvenuti in altri settori del Santuario di Timpone della Motta, cfr. Stoop 1980, 177.

    16 Per una precisa rassegna dei santuari greci in cui

    sono attestate numerose phialai bronzee e per la bibliografia di riferimento si veda Papadopou-los 2003, 38 nota 92; per l’Heraion di Samo, cfr. Furtwängler 1981, pl. 31, nos. 3-4; DeCou 1905, pls. CXIII-CXV; Yorke 1896, 301.

    17 Spadea 1994, pl. IV.B; Spadea 1996, 115-117, nos. 46-54.

    18 Papadopoulos 2003.19 Jacobsen & Mittica 2019, 35-48.

    materiale votivo e rituale sin ora immagazzi-nato mostra la netta prevalenza di una forma: la phiale mesomphalos bronzea il cui stato di rin-venimento rivela ulteriori aspetti in merito alle attività espletate al termine dei sacrifici rituali (Fig. 11). Tra le centinaia di phialai immagazzi-nate dal saggio stratigrafico MS3 molte sono integre, altre presentano fori di sospensione, altre ancora sono state flesse intenzional-mente al fine di risultare defunzionalizzate; ad ogni modo, risultano realizzate attraverso la martellatura di un’unica e sottile lamina e prive di decorazione.

    Il rapporto tra forma e funzione è in questo caso del tutto chiaro: la denominazione stessa deriva dalla presenza dell’omphalos, appunto la depressione realizzata nella parte centrale e inferiore del manufatto, sagacia artigianale che permetteva una maggiore prensilità e manipolazione durante l’azione di spargimento rituale di sostanze liquide offerte alla divinità.14 Le libagioni accompagnavano ogni forma di dialogo con gli dei e ciò giustificherebbe la presenza ed il largo utilizzo di questi oggetti nel santuario di Timpone della Motta,15 così come in gran parte dei santuari arcaici: numerosi in madrepatria tra i quali primeggia l’Heraion di Samo16 e in Magna Grecia il Santuario di Hera Lacinia in Loc. Capo Colonna di Crotone.17

    Molti esemplari di phialai sono stati depredati durante gli scavi illeciti eseguiti sul Timpone della Motta negli anni sessanta e settanta del ‘900 e sono poi sono confluiti attraverso il mercato antiquario nelle collezioni dei Musei di Berna e Malibu, successivamente studiate e pubblicate da Papadopoulos nell’ambito del progetto di rimpatrio del 2002.18 Gran parte di

    questi esemplari è privo di decorazione, presenta dimensioni, spessore della lamina e proprietà della lega variabili e costituisce un confronto tipologico diretto per gli esemplari restituiti dal SAS MS3. Sulla scorta di questa osservazione, e considerando che questo contesto è l’unico sinora investigato sul Timpone a restituire una così notevole quantità di phialai, e senza tralasciare il fatto che durante lo scavo stratigrafico sono state documentate numerose buche di clandestini, chiaramente scavate mediante l’impiego di metal detector (si pensi al rinvenimento di specifici tipi di batteria riconducibili all’utilizzo di tale strumento, ma anche alla morfologia delle buche e ai residui di metalli in esse presenti), è possibile ricontestualizzare un numero di phialai insieme a numerosi altri reperti confluiti nei lotti di Berna e Malibu come provenienti dall’area di scavo SAS MS3. Spesso è infatti possibile la ricomposizione di frammenti appena emersi dallo scavo stratigrafico, non a caso recuperati proprio nel terreno asportato da buche di scavatori clandestini.19

    Procedendo nella rassegna dei materiali vo-

  • esPressioNi votive e rituali Nel saNtuario arcaico di tiMPoNe della Motta 247

    Fig. 10a. Frammento di cratere co-rinzio, metà VI sec. a.C. (foto: J.K. Jacobsen).

    Fig. 10b. Frammento di cratere corinzio, prima metà VI sec. a.C. (foto: J.K. Jacobsen).

    Fig. 10c. Frammento di cratere la-conico, VI sec. a.C. (foto: J.K. Ja-cobsen).

    Fig. 11. Phiale mesomphalos bronzea, VI sec. a.C. (foto: G. Mittica).

    tivi, significativo per l’interpretazione del cul-to è il materiale coroplastico, che rimanda alle attestazioni diffuse nel VI secolo nei principali santuari extraurbani di area achea: statuette di figure femminili sia assise che stanti, sia prive che connotate da attributi (con colomba, con fiore di loto e capri) e ancora protomi femmi-nili (Fig. 12a-c). Al primo quarto del VI secolo si riferisce un nucleo - cospicuo se rapportato al numero complessivo delle attestazioni note in letteratura – di frammenti relativi alle ca-riatidi, delle cosiddette Lampade tipo Sele (Fig. 13a-b), eclettico prodotto di un atelier colonia-le acheo.20 Confronti immediati sono rappre-sentati oltre che dall’esemplare integro e fine-

    mente decorato dall’Heraion alla foce del Sele21 e da quello - in effetti di provenienza ignota - esposto nel Museo del Louvre, anche dal frammento rinvenuto nel quartiere Stombi di Sibari;22 a questi vanno aggiunti tre frammenti acefali, probabilmente pertinenti ad un uni-co esemplare, dal Santuario di Hera Lacinia e i tre frammenti di busti e i due di teste dal Santuario di S. Anna di Cutro a Crotone.23 Altri due frammenti ben conservati sono stati recuperati nella Stipe Nord dell’Edificio I di Timpone della Motta.24

    Tra la coroplastica dal SAS MS3, sono state documentate anche terrecotte fittili femminili dal volto di forma allungata, con polos di varia morfologia, acconciature a ciocche verticali ad incorniciare la fronte e lunghe trecce costituite da globetti a rilievo che ricadono sulle spalle, su cui sono applicate due grandi fibule a disco e talvolta anche ali falcate. Degno di nota è il frammento di figurina fittile femminile, di cui si conserva la parte superiore fino all’altezza delle spalle, probabilmente rappresentata in posizione assisa (Fig. 14). Il volto di forma ovoidale piuttosto squadrata, presenta sopracciglia arcuate e grandi occhi, l’acconciatura ricade sulle spalle ed incornicia la fronte con una breve frangia ondulata, la figura è dotata di basso polos forse con velo e da collana con pendente centrale a

    20 Croissant 1994, 549-550.21 Zancani Montuoro 1960, 69-74.22 Croissant 1994, 548.

    23 Sabbione 1986, 272-273, nota 57.24 Zancani Montuoro 1960, 74.

  • 248 Gloria Mittica & Nicoletta PerroNe

    Fig. 12a-c. Terrecotte fittili femminili arcaiche (foto: G. Mittica).

    Fig. 13a-b. Frammento di cariatide e protome da Lampada tipo Sele, primo quarto VI sec. a.C. (foto: G. Mittica).

    Fig. 14. Terracotta fittile femminile con polos, VI sec. a.C. (foto: G. Mittica).

    Fig. 15. Elemen-ti e attributi fit-tili da terrecotte votive, seconda metà VI sec. a.C. (foto: J.K. Ja-cobsen).

  • esPressioNi votive e rituali Nel saNtuario arcaico di tiMPoNe della Motta 249

    forma di melograno.25 Tracce di vernice dalla colorazione tendente al rosso scuro si conservano in diverse parti della statuina. Tra i confronti più puntuali va ricordato l’esemplare dall’Heraion di S. Anna di Cutro a Crotone datato alla seconda metà del VI secolo a.C.26 e per il quale si rimanda a modelli d’ispirazione corinzio-peloponnesiaca.27 Un esemplare simile è stato rinvenuto dalla Stoop nella Stipe I,28 in questo caso però le labbra sono meno sottili e l’acconciatura si compone di trecce a globetti rilevati.

    Dal contesto indagato ad opera del DIR risultano significativi i vari esemplari di ali fittili falcate (Fig. 15a) pertinenti ad esemplari di terrecotte femminili, che trovano confronti stringenti con l’Artemide da Sibari29 e dal Santuario di S. Biagio alla Venella di Metaponto datate fra il 530 ed il 510 a.C.,30 insieme al modellino di capride sagomato a mano (Fig. 15b) con tracce di frattura sul lato posteriore e dunque un attributo originariamente applicato ad una terracotta fittile femminile. Il tipo è noto dal santuario extraurbano di Metaponto31 e dal quartiere abitativo di Stombi a Sibari32 come connotato della dea Artemide. L’esemplare da Metaponto è messo in relazione al tipo alato con grandi fibule a dischi piani, datato fra il 530-510 a.C. e identificato con la dea Artemide nel ruolo di Potnia theron.33 Il busto femminile acefalo rinvenuto a Stombi, meglio noto come Artemide con capri, si data alla seconda metà del VI secolo a.C. Gli arti superiori sono aderenti al busto e le mani strette a pugno nell’atto di reggere due capri rappresentati nell’atto di slancio.

    Da una primissima analisi iconografica,

    sembra emergere, a partire dalla metà del VI secolo, un’accentuazione di valenze artemisie legate forse al ruolo della Signora del mondo naturale che sovraintende ai riti di iniziazione e passaggio di status degli adolescenti, proprio nel periodo in cui la polis avvia la strutturazione territoriale. Prendendo in considerazione gli esemplari coroplastici rinvenuti tra il 2008-2009 sono scaturite ben presto riflessioni sull’identità della divinità tributaria del culto e sulla scorta dei dati sino a quel momento in nostro possesso è stata presa in considerazione l’idea – senza pretesa alcuna di essere né esaustiva né definitiva – di riconoscere Artemide o Artemide assimilata ad Hera. Ad ogni modo, solo da poche settimane si è conclusa la lunga e fruttuosa campagna di scavi DIR 2017, durante la quale è stato possibile recuperare abbondante coroplastica insieme a centinaia di altri votivi e si intende pertanto procedere nella decodificazione comparata di più evidenze materiali nell’ambito dell’analisi contestuale prima di avanzare una ipotesi certa circa la divinità cui sono stati offerti. Inevitabile la consapevolezza che l’identificazione della divinità non è sempre possibile e addirittura si complica per le divinità femminili caratterizzate da sfere d’influenza molto affini fra loro; altresì l’elaborazione dei dati potrebbe confermare, invece, l’intuizione iniziale.

    Particolarmente significativa è risultata la distribuzione spaziale dei reperti giacché consente di dettagliare alcuni momenti che accompagnano il cerimoniale religioso dall’offerta al sacrificio ed al banchetto. In tal senso, l’analisi archeozoologica ha permesso

    25 Il tipo di pendente, costituito da due elementi cir-colari di diversa dimensione sovrapposti fra loro, è noto da terrecotte fittili rinvenute nel Santuario di S. Biagio alla Venella di Metaponto datate alla metà del VI secolo a.C. Si tratta di un tipo di amuleto molto diffuso a Sparta e definito da Olbrich “kno-spenförmigen”, cfr. Olbrich 1979, 164-165, taf. 34, B6 Var. A.

    26 La Rocca 2008. 27 Sabbione 1986, 281, nota 70.

    28 Stoop 1974-1976, 120, n. 12, Tav. LIX,1. Croissant la data al secondo quarto del VI secolo a.C., ricon-ducendo il tipo di acconciatura a modelli chioti e la resa del viso all’ambito attico; cfr. Croissant 1994, 552-553, tav. XXXIX, 1-2.

    29 Sibari III, 126, n. 241, fig. 140.30 31 Olbrich 1979, 156-157, taff. 27-28, A119-A121.31 Ibid. 157, taf. 29, A122; De Stefano 2014.32 Croissant 1994, 553-554, tav. XL,1.33 Olbrich 1979, 157, taf. 29, A122.

  • 250 Gloria Mittica & Nicoletta PerroNe

    di chiarire che nello spazio sacro sul versante orientale del santuario, durante il VI secolo a.C. veniva praticato un rito cruento di tipo alimentare, la thysia.34 A tal riguardo, una grande novità degli scavi DIR 2017 è rappresentata dal rinvenimento, nell’ampliamento compiuto a Sud dell’area di scavo (SAS MS3-AS Q2), di ceramica da mensa databile al VI secolo a.C., esattamente recipienti adatti alla cottura di cibi che richiedevano tempi piuttosto lunghi: olle, coperchi e teglie (Fig. 16). Peraltro, l’aspetto più significativo è rappresentato dal fatto che questi sono stati rinvenuti in associazione stratigrafica con resti faunistici bolliti (Fig. 17a) piuttosto che combusti fino alla totale calcinazione come quelli attestati nella parte settentrionale dell’area (Fig. 17b). I dati inducono per ora a pensare che si è di fronte a resti di pasto rituale consumato dai partecipanti al cerimoniale. Inoltre, proprio per questa zona è stato pianificato un ulteriore ampliamento del saggio di scavo in direzione Sud e l’approfondimento fino al banco roccioso sarà effettuato durante la campagna del 2018. Infatti, oltre alla ceramica da mensa e agli scarti di pasto rituale, proprio sul livello stratigrafico raggiunto al termine della campagna di scavi iniziava ad emergere la rasatura di un muro in pietre fluviali legate a secco e particolarmente indiziante potrebbe risultare la presenza in questo spazio di tracce di un punto fuoco. Per la precisione sulla quota raggiunta al termine della campagna di scavo sono emerse tracce di concotto attualmente visibili solo in forma semi-circolare per via del fatto che il concotto prosegue oltre il limite meridionale del Saggio (Fig. 18). Tuttavia, tracce di manomissione dell’area e la presenza di inclusi di calce (campionati e sottoposti ad analisi di laboratorio) può far pensare ad un forno a calce riferibile all’epoca dei carbonai. A scanso di ogni equivoco durante gli scavi del 2018 anche quest’area sarà sottoposta a ulteriori approfondimenti sia ampliando a Sud

    34 Perrone 2010; Perrone 2016.

    Fig. 16. Ceramica da mensa, VI sec. a.C. (foto: J.K. Jacobsen).

    Fig. 17a. Dettaglio del campione faunistico, resti bolliti dal pasto rituale (foto: DIR).

    Fig. 17b. Dettaglio del campione faunistico, resti calci-nati dal sacrificio rituale (foto: DIR).

  • esPressioNi votive e rituali Nel saNtuario arcaico di tiMPoNe della Motta 251

    che scendendo in profondità.Le osservazioni sviluppate intorno ai dati

    che si è scelto di illustrare in questa sede rappresentano una prima panoramica a cui non si pretende di dare carattere definitivo. Certamente sulla base di una prima analisi del contesto archeologico e dei numerosi confronti emerge il riconoscimento di omogeneità ed unità artistico-culturale tra le colonie della Magna Grecia ampiamente argomentato da Claudio Sabbione. Basti pensare alle numerose pinakes che Sibari, Metaponto, Crotone, Francavilla Marittima, Policoro e Poseidonia hanno permesso di attestare già a partire dalla seconda metà del VII secolo a.C., a cui si aggiunge ora il materiale dal contesto oggetto delle più recenti indagini ad opera del DIR sull’acropoli di Timpone della Motta, che comprovano la forte affinità fra le colonie achee magno greche. Tali affinità sembrano riconducibili ai contatti che intercorrevano fra

    queste colonie achee – data la comune radice etnica – dai quali è scaturita la circolazione di modelli produttivi, artigiani, tecniche e strumenti.35

    Gloria Mittica Ricercatore -

    Accademia di Danimarca a [email protected]

    L’archeozoologia applicata al contesto cultuale di Timpone della Motta

    Scavo e recupero dei resti faunistici L’analisi archeozoologica36 ha permesso di chiarire che nello spazio sacro sul versante orientale del santuario durante il VI secolo a.C. è stato praticato un rito cruento di tipo

    35 Sabbione 1986, 267, 278-279. 36 Perrone 2016.

    Fig. 18. Tracce di concotto SAS MS3-AS Q2 (foto: G. Mittica).

  • 252 Gloria Mittica & Nicoletta PerroNe

    alimentare, la thysia.37Durante le indagini stratigrafiche si è

    prestata particolare attenzione alla tecnica di recupero del materiale faunistico. In tutte le fasi di scavo, il sedimento è stato setacciato a secco, utilizzando setacci a maglie decrescenti - da 3 a 1.5 mm - , le unità stratigrafiche più rilevanti sono state campionate e successivamente sottoposte a flottazione manuale e vagliate su una colonna di setacci. Nei primi livelli stratigrafici, dal momento in cui i reperti erano radi e ben visibili, è stato applicato il metodo di campionatura a vista; mentre, scendendo in profondità si registrava un notevole aumento dei resti animali e si è reso indispensabile eseguire una campionatura integrale del terreno.

    Il nucleo più consistente di materiali faunistici è stato recuperato dal piano di battuto di uso US 220, costituito principalmente da piccoli resti di ossa frammiste a cenere molto sottile, ragion per cui alcune porzioni di battuto sono state consolidate e campionate.

    Descrizione del record faunisticoIl record faunistico campionato all’interno dello spazio consacrato oggetto di indagini sistematiche ad opera del DIR, si compone di oltre 10.000 resti caratterizzati da un alto grado di frammentazione, pertanto è stato possibile identificare, a livello specifico, solo l’8% del totale. Gran parte del campione è costituta da resti di animali domestici, di cui circa il 90% è rappresentato da resti di caprovini seguiti, in ordine di importanza quantitativa, da bovini e suini (Tab. 1; Fig. 19).

    Lo stato frammentario del record fauni-stico non va attribuito a fenomeni post- deposizionali,38 bensì ad azione antropica

    intenzionale,39 sebbene non siano mai evidenti le tracce degli impatti responsabili della loro frammentazione. L’ipotesi è confermata dalla mirata selezione degli elementi anatomici, in-fatti le uniche regioni anatomiche determinabili a livello specifico sono quelle relative al quarto posteriore delle vittime sacrificali. La maggior parte degli elementi scheletrici riconoscibili sono riferibili a femori, rotule e vertebre coc-cigeo-caudali (Tab. 2). I femori sono stati iden-tificati in base alle epifisi prossimali e distali, e tra queste è stata osservata una certa difformità nello stato di conservazione: le epifisi prossi-mali risultano piuttosto integre rispetto a quelle distali, per le quali è stato possibile distinguere i condili e le troclee, elementi spesso disgiunti tra loro. Pertanto, è possibile affermare che gran parte dei resti indeterminabili siano relativi alle diafisi dei femori. Inoltre, nonostante le minute dimensioni, che rendono le ossa meno sogget-te a fratturazione, anche le rotule presentano un alto grado di frammentazione. Solo le ver-tebre - e nella fattispecie quelle caudali- sono integre. Sono state proprio le epifisi dei femori a consentire la determinazione dell’età di morte dell’animale, sebbene non si sia potuta stabilire l’esatta età di morte, ma solo la fascia dell’età di abbattimento dell’animale stesso, secondo il metodo di Bullock e Rackham.40

    Attraverso l’elaborazione dei dati si evince che la maggior parte degli individui sono stati abbattuti in età adulta, anche se non mancano resti pertinenti ad individui immaturi. Le ossa presentano importanti tracce di combustione: oltre il 70% del campione presenta una omogeneità cromatica di colore bianco che corrisponde al 4°o 5° stadio di combustione o calcinazione, vale a dire la temperatura a

    37 Per la descrizione del sacrificio rituale, cfr. Detienne 1977; Durand 1982, 90-108; Burkert 1984; Burkert 1992; Burkert 1996; Ekroth 2002; Ekroth & Walle-sten (eds.) 2013, 62-86.

    38 Per fenomeni post deposizionali si intendono i processi tafonomici che hanno marcato le ossa nel corso del tempo determinandone alcune alterazio-

    ni: segni pertotassici, edafici, climatici, biotici, cfr. o’connor 2000, 206.

    39 È probabile che il campione rappresenti il risulta-to della macellazione e successiva destinazione ali-mentare e/o sacrificale.

    40 Bullock & Rackham 1982.

  • esPressioNi votive e rituali Nel saNtuario arcaico di tiMPoNe della Motta 253

    Fig. 19. Numero resti (NR) divisi per elementi anatomici dei caprovini.

    Numero dei resti della fauna domestica

    Maiale

    Capra

    Pecora

    Caprovini

    Bue

    Taxa NR NMI

    Animali domesticiBue - Bos taurus L. 14 2

    Ovicaprini - Ovis vel Capra 814 46Pecora - Ovis aries L. 3 2

    Capra - Capra hircus L. 1 1Maiale - Sus domesticus Erx. 19 2

    Tot. domestici 853 56Molluschi

    Cuore - Cerastoderma edule L. 4 2Piè d’asino - Glycimeris sp. 1 1Ostrica - Ostrea edulis L. 1 1

    Tot. selvatici 6 4Tot. 861 60

    Tab. 1. Elenco dei taxa identificati: numero resti (NR) e numero minimo degli individui (NMI).

  • 254 Gloria Mittica & Nicoletta PerroNe

    Elementi scheletrici Bue Pecora/Capra Pecora Capra MaialeCranio

    Neurocranio - 3 - - 1Splancnocranio - - - - 1

    Mascellare/incisivo - 2 - - -Denti superiori - 6 - - -

    Mandibola 2 6 - - 1Denti inferiori 1 3 - - 1

    Denti indeterminabili - 6 - - -Quarto anteriore

    Scapola - 2 - - -Omero prossimale - 8 - - -

    Omero diafisi 1 5 - 1Radio - 2 1 - -

    Radio-ulna - 1 - - -Ulna - - - - 1

    Quarto posterioreVertebre sacrali - 17 - - -

    Vertebre coccigeo-caudali 1 149 - - -Coxale - 8 - - -

    Femore Prossimale, epifisi 179 1 1 4Femore Prossimale, trocantere 11 - - -

    Femore Diafisi 6 40 - - 1Femore Distale, epifisi 2 62 - - -

    Femore Distale, condilo - 127 - - -Femore Distale, troclea - 63 - - -

    Femore Distale, condilo + troclea - 2 - - -Rotula 1 96 - - 1

    Tibia Prossimale - 3 - - 1Tibia Diafisi - 5 - -

    Tibia Distale, epifisi - - - - 1Metacarpo - 1 - - 1Metatarso - 2 - - -Metpodiali - 1 - - -

    Scafocuboide - 1 - - -Calcagno - 1 - - -Astragalo - - 1 - -

    Totale 14 814 3 1 13

    Tab. 2. Elenco elementi scheletrici divisi per specie.

  • esPressioNi votive e rituali Nel saNtuario arcaico di tiMPoNe della Motta 255

    41 A temperature comprese tra i 645° e i 940° le ossa assumono un colore bianco-gesso con sfumature tendenti al grigio-blu e grigio chiaro. A temperatu-re che superano i 940° la colorazione assunta dalle ossa è bianco-gesso con cromatismo grigio e giallo tendente al rosso. Inoltre, a tali temperature le di-mensioni delle ossa si possono ridurre del 15-25%, a seconda della densità ossea, della temperatura e della durata dell’azione termica, la variazione mor-fologica si manifesta sotto forma di fatturazione e torsione.

    42 I colori bruno e nero sono originati, sulle ossa ani-mali, da temperature comprese tra i 525° e i 645° e sono prevalentemente dovuti alla combustione dei grassi contenuti nel tessuto emopoietico e nel midollo osseo. Ad un colorito nero giungono sia le superfici esterne che quelle dei canali nutritizi, a causa dell’addensarsi sulle pareti di una patina ole-

    osa derivante dalla combustione dei tessuti freschi che permeano il tessuto osseo più o meno in pro-fondità. In ogni caso, tutti gli annerimenti sono do-vuti al fenomeno di disidratazione (e conseguente arricchimento relativo in carbonio) delle sostanze organiche proprie del tessuto osseo e dei tessuti circostanti, le quali, sotto forma di oli densi, pene-trano nell’osso stesso più o meno in profondità e qui proseguono nella loro disidratazione, da cui ne consegue l’annerimento.

    43 In merito alle tracce di combustione sui resti os-sei, attraverso studi analitici è stata stabilita una se-quenza della colorazione della superficie dell’osso in base alle temperature cui è stato esposto, cfr. Ni-cholson 1993; Stiner et al. 1995; Shipman et al. 1984.

    44 Si tratta di un nervo misto del plesso sacrale che conferisce capacità di moto e di senso nell’arto po-steriore.

    cui sono state sottoposte le ossa animali non sono inferiori ai 645° e superiori ai 940°.41 Solo raramente sono stati riscontrati elementi osteologici che presentano una colorazione tendente al grigio-blu e grigio chiaro, nero42 o grigio scuro con sfumature tendenti al marrone; mentre in sporadici casi si sono attestate ossa non combuste. Tali tracce sono indice di una intenzionale esposizione delle ossa all’azione del fuoco, che ne ha determinato anche una importante variazione morfologica - evidente soprattutto nel ridimensionamento delle ossa e nelle modificazioni della forma originaria - essendone state coinvolte le componenti organiche e inorganiche del materiale osseo.43 La frequenza percentuale delle regioni anatomiche mostra un quadro indirizzato al consumo dei quarti posteriori - nella fattispecie femori, rotule, vertebre coccigeo-caudali - dei caprovini verosimilmente ritenuti pregiati e utilizzati come dono o offerte agli dèi (Fig. 20).

    Meritano considerazione anche alcuni dei resti delle altre categorie di animali domestici riscontrate nel campione, nello specifico bovini e suini. A questo proposito è stato notato che anche su queste specie animali in antichità è stata attuata una attenta selezione sulle porzioni anatomiche destinate al rituale sacrificale. Anche in questo caso, infatti, gli unici elementi scheletrici sottoposti all’azione del fuoco, sono quelli appartenenti ad alcune

    ossa dell’arto posteriore – femore e rotule – oltre che le vertebre terminali della coda.

    L’assenza di tracce di macellazione, dei colpi dei fendenti, che solitamente sono presenti su diafisi e talvolta anche sulle epifisi delle ossa, lascia immaginare che lo smembramento della carcassa avvenisse attraverso una accurata disarticolazione dell’arto posteriore dal coxale, con cui si articola il femore prossimale. La divisione del corpo della vittima, operata dal maigeiros, - macellaio/sacerdote - avveniva in modo naturale, disarticolando e tagliando le varie parti alle giunture. Si trattava, dunque, di una operazione molto delicata, che probabilmente necessitava dell’ausilio di lame molto sottili, con cui era possibile recidere il nervo sciatico,44 passante dalla fossa acetabolare del coxale e che si innesta, dapprima sulla porzione prossimale del femore e successivamente lungo la sua diafisi.

    Un dato molto interessante del campione è la presenza di notevoli concrezioni riscontrate su diversi frammenti, provenienti da specifiche unità stratigrafiche. Tali concrezioni si presentano sotto forma di incrostazioni dure, aggregazioni sub-sferiche di minerali e talvolta anche di ulteriori minuti frammenti di tessuto osseo. Solitamente le concrezioni, all’interno dei depositi archeologici, si formano per decadimento di precipitati da soluzione acquosa. Nel caso specifico, considerata l’origine dei

  • 256 Gloria Mittica & Nicoletta PerroNe

    Numero Resti divisi per elementi anatomici dei caprovini

    NeurocranioMascellare/incisivo

    MandibolaDenti

    ScapolaOmero

    Radio-ulnaRadio-ulnaVert.sacrali

    Vert. caudaliuCoxale

    FemoreRotula

    TibiaMetacarpoMetatarso

    MetapodialiScafocuboide

    Calcagno

    Fig. 20. Numero resti (NR) divisi per elementi scheletrici della categoria dei caprovini.

    frammenti concrezionati provenienti solo da circoscritte unità stratigrafiche, considerato il carattere sacro del luogo, considerate le associazioni ceramiche e dei manufatti bronzei, è plausibile ipotizzare delle circostanze differenti che avrebbero determinato tale fenomeno. Verosimilmente potrebbero essere state causate dalla combustione di lipìdi, vegetali o animali, rispettivamente versati o depositati sulle porzioni scheletriche adagiate a loro volta su una pira. Nel primo caso si tratterebbe di oli, probabilmente versati, mediante aryballoi e alabastra45 - attestate con gran frequenza nel contesto in esame - all’interno di una phiala bronzea mesonfalica e libate sulle ossa

    45 Osanna e Giammatteo, proprio a proposito delle libagioni e delle lekythoi, evidenziano la funzione di questi piccoli unguentari. “[…] La presenza di tali oggetti si spiega, ovviamente, proprio col contenu-to particolare che li rendeva degno di essere offer-ti alle divinità. Del resto, in tutto il mondo antico, aromi e profumi si consideravano sostanze parti-colarmente adatte al mondo degli dèi, si pensi ai profumi che emanano gi dèi nell’epos omerico. L’u-

    so dei profumi scandiva momenti molteplici della vita umana, tanto nelle cerimonie religiose quanto nella vita quotidiana, dai banchetti allo sport: non meraviglia, dunque, il ritrovare tra le offerte, doni di profumi che si dovevano ritenere particolarmente graditi agli dèi […]”, cfr. osanna & Giammatteo 2001, 112.

    46 Il rito sacrificale era, dunque, sempre collegato ad ogni attività politica. Si ha così un legame tra reli-

    prima della combustione. Nel secondo caso si tratterebbe di grasso animale nel quale, secondo il rito greco, sarebbero state avvolte le ossa destinate agli dèi. Le concrezioni, dunque, sarebbero la conseguenza di un processo chimico-fisico originato della combustione dei lipìdi.

    Il sacrificio cruentoSe vengono prese in considerazione la complessità dei calendari sacri, con la scansione ciclica di celebrazioni che ritmavano la vita di gruppo, sottolineando i tempi della guerra, del ciclo agrario, dei cicli esistenziali umani,46 si può comprendere quanto si è perso

  • esPressioNi votive e rituali Nel saNtuario arcaico di tiMPoNe della Motta 257

    – probabilmente in maniera irreversibile - nel caso di comunità che non hanno lasciato tracce scritte. Questa mancanza caratterizza, allo stato attuale delle ricerche, ma non è esclusa la possibilità di rinvenimenti di attestazioni scritte, il contesto in analisi. Tale lacuna documentaria potrebbe suscitare un atteggiamento di scetticismo circa la possibilità di comprendere un fenomeno tanto complesso come quello religioso. Se da un lato suddetto scetticismo è giustificato, dall’altro l’assenza di fonti, ha costituito un motivo di stimolo nello sviscerare, quanto più possibile quello che la fenomenologia archeologica ha restituito.

    Il sacrificio cruento greco di tipo alimentare, la cosiddetta thysia - descritta nei versi 535-557 della Teogonia47 di Esiodo e considerata da Burkert “[...] l’esperienza del sacro per eccellenza”48 - consta nell’uccisione di un animale domestico, attività che è il culmine delle azioni rituali svolte da una comunità, nei confronti di una divinità. L’abbattimento di un animale, nella maggior parte dei casi di un mammifero, di un animale a sangue caldo, risulta, probabilmente, la componente essenziale in un luogo cultuale, perché è l’ordine divino che legittima - anzi esige - lo spargimento di sangue nell’area sacra. La prassi più comunemente attestata, in differenti civiltà del mondo antico prevedeva lo sgozzamento degli animali, destinati in parte agli dèi, in parte ai partecipanti al sacrificio, che ne consumavano le carni, secondo norme che regolavano la cerimonia.

    Le vittime destinate al sacrificio, erano molteplici, e venivano selezionate in base a rigorose norme, a seconda del culto e della

    divinità a cui era destinata l’offerta. La vittima sacrificale, del mondo antico, per eccellenza era senz’altro il bovino, in particolare il toro; la più comune è la pecora, segue la capra, mentre l’offerta più povera è rappresentata dal maialino. Diffusi sono anche i sacrifici di polli, mentre altri volatili – oca, colomba – o addirittura pesci, rappresentano dei casi di l’eccezione.49

    ConclusioniIl materiale faunistico, rinvenuto presso il complesso oggetto di indagini sul versante sud-orientale della Motta, alla luce dei dati attualmente a disposizione – sistemazione in ciottoli fluviali non lavorati, accumulo di ceneri e ossa, manufatti ceramici miniaturistici e bronzei50 – può essere interpretato come la risultante delle porzioni anatomiche degli ovicaprini combuste su una pira e offerte agli dèi.

    La constatazione è scaturita dall’esame non solo meramente archeozoologico, ma anche dall’accostamento allo studio dei sistemi sacrificali in antichità. Questi sono costituiti in primis dal tipo di vittima, con i suoi riferimenti alla natura simbolica, in correlazione al suo status in merito al bestiario ideologico – mitologico-religioso – con le fondamentali caratteristiche di idoneità o di esclusione dal sistema sacrificale – si pensi allo stato di domesticità, al colore del manto, al sesso della vittima sacrificale destinata al rituale.

    Non meno importanti, nella sfera sacrificale, risultavano le modalità di uccisione della vittima, che non doveva somigliare ad un assassinio, tutt’altro si cercava e ci si convinceva di aver “visto”

    gione - rito sacrificale - pienezza dei diritti politici del cittadino: il regime delle carni alimentari era uno specchio fedele della prassi politica; infatti gli stra-nieri erano esclusi dal rito-sacrificio, erano allonta-nati dal sangue e dalla carne e non godevano dei diritti politici, rappresentando, dunque, la categoria dei “marginali”. Questo legame tra ambito religioso e ambito politico può essere spiegato considerando, così come affermato da Most, che per alcuni aspet-ti essenziali, la religione greca fu una religione di Stato, nella quale ogni comunità aveva i propri culti strettamente legati alla consapevolezza politica che

    i suoi membri avevano di sé, cfr. Most 1992, IX.47 Arrighetti 2004, 39.48 Burkert 1996, 16.49 Detienne 1982.50 Ad oggi non sono ancora attestati gli anathémata, gli

    spiedi utilizzati per arrostire le carni, tanto meno scuri sacrificali, tripodi, strumenti che corrispon-derebbero all’intenzione di rendere duraturo l’atto sacrificale, noti dalle aree santuariali in metalli di un certo valore poichè costituivano anche delle vere e proprie offerte votive.

  • 258 Gloria Mittica & Nicoletta PerroNe

    l’assenso dell’animale al sacrificio. Il sistema di divisione/deprezzamento del corpo della vittima, finalizzato alla distinzione nella destinazione delle varie porzioni dell’animale. Le parti interne, quelle nobili – gli splanchna – ai sacerdoti, le porzioni esterne ai partecipanti “inattivi” al rito. La descrizione della ripartizione delle carni da parte di Detienne è puntuale: “[…] parti di prima scelta, pezzi riservati ai sacerdoti, funzione rituale della pelle, della testa, delle zampe; modello ugualitario delle porzioni, estrazione a sorte, posizione dei meteci, degli stranieri rispetto alla cerchia dei commensali”.51 Infine, non si possono dimenticare le due differenti tipologie di cottura, con la distinzione tra le parti da arrostire, quelle da bollire e quelle da far ardere fino a trasformarle in fumo odoroso – alcune ossa, femori, patelle rotulee, coda, che una avvolte nel grasso e mescolate con aromi venivano poste sull’altare e fatte bruciare completamente, affinché il fumo odoroso giungesse alle divinità in cielo.

    La pratica sacrificale è presentata, nei versi esiodei, come la prima conseguenza e come l’espressione più diretta della distanza che separa gli dèi e gli uomini dal giorno in cui Prometeo ha intrapreso la strada della ribellione. Esiodo sottolinea la diversità delle parti riservate agli dèi e agli uomini, attraverso lo scarto che li separa, la loro appartenenza a due razze distinte. Da un lato gli dèi immortali, celestiali e non bisognosi di cibo per la “sopravvivenza”, dall’altra gli uomini mortali, dipendenti dal cibo, bisognosi di sopprimere per sopravvivere.52 Dunque, la separazione si manifesta nel contrasto tra i due regimi alimentari, contrasto che è iscritto nel nucleo stesso del rituale, che cerca di stabilire tra le due razze, ormai scisse, una storia di contatto

    e di dialogo. La thysia si configura come il trait d’union tra

    la terra e il cielo, tra gli uomini e gli dèi. Tuttavia, l’atto sacrificale vero e proprio, era anticipato da una serie di azioni preparatorie e preliminari all’uccisione. Ne sono chiara testimonianza le sequenze sacrificali fissate nell’iconografia vascolare dei vasi Attici a figure nere e rosse, dalla cui “lettura” immediatamente è possibile ricostruire le fasi di preparazione, i costumi, gli strumenti del rituale, ma allo stesso modo si desume apertamente il rifiuto della pittura greca di rappresentare l’uscita degli animali dal mondo dei vivi, attraverso la morte. Una chiara visione è fornita da Greco, quando afferma che il corpus delle immagini che restituiscono i successivi momenti di un sacrificio cruento, è significativo e illuminante per capire i meccanismi ideologici e culturali che hanno indotto i vari pittori vascolari a privilegiare momenti specifici del rituale piuttosto che altri.53

    L’analisi archeozoologica del campione proveniente dal Timpone della Motta, così come evidenziato nell’esposizione dei dati, ha rilevato da presenza delle sole ossa dell’arto posteriore, e nello specifico dei femori, rotule e vertebre coccigeo-caudali, tutti integralmente combusti o totalmente calcinati. Si è di fronte alle stesse regioni anatomiche menzionate nella Teogonia da Esiodo e di cui l’autore stesso non riusciva a darne ragione.54 Femori, coda, cistifellea e grasso venivano bruciati per la divinità in onore della quale si stava compiendo il sacrificio rituale; mentre al resto della congregazione veniva destinate le parti restanti.

    Alla luce dei dati scaturiti dall’analisi del record faunistico, dell’associazione contestuale e stratigrafica dei vasi potori e/o di libagione,

    51 Detienne 1982, 11. 52 Nel procedere lineare della narrazione gli avveni-

    menti si concatenano gli uni con gli altri e si com-pongono infine, secondo un ordine molto rigoroso, all’interno di un quadro unitario. Nella diacronia del racconto, l’episodio del furto del fuoco svolge un ruolo mediatore, poiché collega il primo atto - fro-

    de (dolos) di Prometeo nell’attribuzione delle parti sacrificali - e l’ultimo - frode (dolos) di Zeus nell’at-tribuzione agli uomini della prima donna -, cfr. ver-nant 1982, 28.

    53 Greco 2008, 35. 54 Burkert 1996, 16.

  • esPressioNi votive e rituali Nel saNtuario arcaico di tiMPoNe della Motta 259

    dei manufatti bronzei e della coroplastica, è plausibile ipotizzare che si tratti del prodotto di riti sacrificali di matrice greca. Il campione osteologico, difatti, risponde puntualmente a tutte le caratteristiche peculiari delle offerte rivolte alle divinità. Non potrebbero essere diversamente interpretate la mirata selezione delle specie animali identificate, la specifica scelta delle porzioni anatomiche, la combustione/calcinazione delle ossa.

    Le pratiche animali decodificate sono

    riconosciute, fino ad oggi, solo in Grecia, in particolare presso il tempio di Afrodite Urania ad Atene,55 presso l’Artemision di Efeso e presso l’altare del Tempio di Nemea.56

    Nicoletta PerroneRicercatore – Università del Salento,

    [email protected]

    56 Mac Kinnon 2013, 139.55 Reese 1989, 64.

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