Angioni - A Fogu Aintru

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GIULIO ANGIONI

A fogu aintruA fuoco dentro

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Scrittori di Sardegna 32

Giulio Angioni

A FOGU AINTRUA FUOCO DENTROnota introduttiva di Franco Manai

Stampa: Lito Terrazzi, Firenze

Copyright 2008 Ilisso Edizioni - Nuoro www.ilisso.it - e-mail [email protected] ISBN 978-88-6202-023-7

NOTA INTRODUTTIVA

A trentanni dalla sua prima pubblicazione A fuoco dentro A fogu aintru ormai un classico della letteratura regionale sarda non solo perch, come voleva Italo Calvino, non ha mai finito di dire quel che ha da dire, ma anche per lalto profilo che la figura del suo autore ha via via acquistato nel corso di questi anni nel mondo letterario e culturale. Questo volumetto, uscito per i tipi della Edes di Cagliari, casa editrice specializzata soprattutto in saggistica antropologica e a diffusione prettamente regionale, raccoglieva dei testi gi pubblicati in rivista tra il 1975 e il 1976 e proponeva a un pubblico pi ampio alcuni altri testi letterari di un autore gi noto agli specialisti per i suoi saggi legati allattivit di docente di antropologia culturale allUniversit di Cagliari. Angioni ha costantemente affiancato alle sue copiose pubblicazioni di carattere scientifico quelle altrettanto numerose di segno letterario, mantenendo beninteso ben distinti i due ambiti di scrittura. stato un modo di partecipare con le parole e con i fatti al dibattito internazionale (si pensi a Clifford Geertz e a James Clifford) sulla natura della scrittura etnografica, cio su come parlare di modi di vita diversi. Tenendo separati i campi, Angioni non riduce (o promuove) il rapporto etnografico a puro racconto, creazione retorica delletnografo, ma dimostra la sua fiducia nel grande e comunque maggiore potenziale comunicativo della letteratura rispetto alletnografia. Tutta lopera di Angioni gravita tematicamente sulla Sardegna, o meglio sul cambiamento epocale e vertiginoso che vi ha avuto luogo a partire dagli anni Cinquanta del Novecento e che in parte continua ancora oggi. Ma il continente Sardegna sempre per Angioni la base e lo spunto per un discorso ben pi ampio, che inserisce le tematiche propriamente sarde allinterno di un contesto nazionale e soprannazionale.5

Come la successiva raccolta Sardonica (Edes, 1983), A fuoco dentro A fogu aintru intimamente legato alla temperie culturale degli anni Settanta, e vi sono infatti evidenti i segni di quello che allora si chiamava lavoro intellettuale impegnato. Non solo i temi trattati sono quelli tipici di una letteratura che vuole analizzare la realt per trovare il modo di cambiarla (condizioni di vita delle classi subalterne, dialettica citt-campagna, problematiche dellemigrazione), ma soprattutto il modo in cui questi temi sono trattati e in specie il linguaggio usato sono caratteristici di una letteratura che rifiuta lortus conclusus degli addetti ai lavori e si pone come terreno di confronto per un pubblico potenzialmente vasto di lettori. In coraggiosa controtendenza Angioni ritiene importante pagare un doveroso tributo ai modelli del verismo e del neorealismo, entrambi ormai lontani e fuori moda. Il suo particolare problema, tuttavia, consiste nel trovare il modo di dare voce a un mondo in fase di trapasso, in cui lui stesso e la sua storia personale erano strettamente implicati. Cera il rischio di dare di questo mondo, contadino e pastorale, una rappresentazione viziata dalla lunga e pervicace tradizione letteraria del bozzettismo e dellidillio agreste. anche vero che il panorama letterario italiano offriva validi esempi di rappresentazioni per niente idilliache del mondo subalterno, dal calabrese Saverio Strati di Noi lazzaroni del 1972, ai sardi Salvatore Mannuzzu di Un Dodge a fari spenti del 1962 e Gavino Ledda di Padre padrone del 1975. Angioni pu essere accostato a tali scrittori per la volont di descrizione antropologica di una realt sociale in via di estinzione, tuttavia non ne condivide le soluzioni narrative, a cominciare dalla scelta dei personaggi narratori, ovviamente determinante rispetto al linguaggio e alla prospettiva del testo. Il carattere distintivo della scrittura di Angioni lironia che investe e coinvolge tutto e tutti, autore e lettore compresi. Anche autoironia dunque e, beninteso, senza compiacimenti. Un modello forte di ironia sicuramente costituito da Emilio Lussu, e Angioni dichiara il suo debito con uno dei maggiori scrittori sardi gi nel titolo della raccolta, il cui significato viene spiegato con il racconto eponimo A fuoco dentro, collocato, con elegante understatement, in posizione debole, al diciottesimo posto del6

volumetto che contiene venti brevi quadri. Tale definizione per i singoli pezzi della raccolta dello stesso Angioni, che evidentemente avverte come problematici i termini racconto o novella. Se molti dei pezzi di A fuoco dentro A fogu aintru potrebbero tranquillamente essere considerati alla stregua di classici racconti, molti altri sfuggono decisamente a questa definizione e daltra parte non possibile neanche farli rientrare nellaltra fattispecie tradizionale del bozzetto. Alla maniera dellAcitrezza di Verga o della Mineo-Rabbato di Capuana, Angioni sceglie di rappresentare la vita sociale, durante il trentennio successivo alla fine della seconda guerra mondiale, di un immaginario paese contadino della Sardegna meridionale, cui d il nome di Nuraddei. Immaginario ma realissimo, improntato com sul paese natale dello stesso Angioni, Guasila. A questo mondo Angioni intende rimanere fedele e non caricarlo di elementi allotri, senza per offrirne unimmagine stereotipa e sterilizzata, appunto bozzettistica. Cos inserisce tra i vari racconti di tipo tradizionale dei quadri che fungono da raccordo non tanto o non solo tra un racconto e laltro, ma soprattutto tra il mondo narrativo della raccolta nel suo complesso e la realt sociale e politica di chi narra e di chi legge. In questi quadri cerniera (4 Chi ha visto il mondo, 7 Il reddito, 8 Lultimo carrettiere, 9 Citt e campagna, 10 Voltaire e il gendarme, 13 Trentanni dopo, 18 A fuoco dentro, 19 Zicchira, 20 Controtempo) viene narrativizzato, in diversi modi e a diversi livelli, il tema della figura dellintellettuale e del suo problematico ruolo nella societ. Allo stesso tempo vi introdotta la figura del narratore, che quindi presenta se stesso come qualcuno che per un verso fa parte di quel mondo rustico e contadino, subalterno e superato, per un altro partecipa a tutti gli effetti della cultura urbana dal cui punto di vista quel mondo superato. In questo modo Angioni evita il pericolo di presentare la sua narrazione come una descrizione oggettiva, impossibile per definizione, senza con ci ricadere in un autobiografismo solipsistico, del tutto e solamente interno alla cultura dominante. significativo che nel titolo della raccolta, A fuoco dentro venga immediatamente glossato col suo originale sardo A fogu aintru e che poi il tutto sia nuovamente glossato da un racconto7

in cui italiano e sardo sono amalgamati in una forma particolare di italiano. Tutta la raccolta, con una notevole eccezione, scritta in questo linguaggio ricchissimo di calchi di luoghi comuni, di espressioni idiomatiche, di regionalismi a tutti i livelli, dalla sintassi, al lessico alla morfologia. Numerosi sono anche gli inserti di espressioni o intere frasi in dialetto basso-campidanese. Lo stile piano, il periodare scorrevole, la lingua non richiama con prepotenza lattenzione su se stessa, anche quando mescola nel suo impasto moduli dellitaliano regionale o addirittura del dialetto. Non si vuole con questo dire che si tratti di una scrittura banale e corriva. Al contrario, siamo in presenza di una scrittura estremamente sorvegliata, che raggiunge altissimi livelli di perspicuit senza per questo cedere in complessit e suggestione. Leccezione linguistica cui si fatto cenno data dal racconto Arrichetteddu, lunico scritto interamente in sardo (campidanese), peculiare anche per la stretta aderenza alla struttura classica della novella, in cui ogni elemento, accuratamente scelto, finalizzato al raggiungimento di un obiettivo rivelato dalla pointe finale. Luso del sardo contribuisce a rafforzare la peculiarit della focalizzazione interna della voce narrativa. Chi parla uno qualunque del paese e il modo in cui racconta la vicenda quello in cui verosimile ci si aspetti che la comunit labbia vista. un discorrere piano, chiaro, che fa un largo uso di frasi brevi e di espressioni colloquiali ma non rifugge alloccorrenza da un periodare un po pi ampio in cui comunque privilegiata la paratassi. Man mano che ci si avvicina alla tragica conclusione, questo periodare si fa pi secco e martellante, fino al climax dellultimo, asciuttissimo, drammatico capoverso, in cui sembra risuonare lellittico finale del Werther goethiano:Sest cumprendiu ca Arrichetteddu est abarrau cassau aintru [il locale della motocicletta]. In foras hant agattau unu bratzu suu cun sa maniga de fustainu. De cussa arroba ddhad connotu sa mamma.

consapevolezza, senza cio che venga formulata una condanna davvero esplicita contro chi quella violenza ha esercitato. Scrivere in sardo significava per Angioni additare anche unaltra possibilit di soluzione alla questione della lingua in Sardegna, presto diventata questione di identit. Arrichetteddu la prima novella a essere pubblicata in sardo, fino a allora linguaggio letterario riservato ai poeti. Incoraggiata dallistituzione nel 1979 del premio letterario Casteddu de sa fae a essa riservato, la narrativa sarda poi fiorita e ha dato notevoli frutti, a cominciare dal primo romanzo di Lorenzo Puxeddu, Sarvore de sos tzinesos (1982) e poi con Sos sinnos (postumo, 1983) di Michelangelo Pira, Mannigos de memoria (1984) e A tempos de Lussurzu (1985) di Antonio Cossu, Pro cantu Biddanoa di Benvenuto Lobina (1987) e tanti altri. Non ci si pu non rammaricare del fatto che Angioni non abbia voluto proseguire egli stesso, certo accanto a quella che solum sua dellitaliano letterario regionalizzato, quella strada sarda che aveva tanto magistralmente indicato con la sua novella. Si pu sempre sperare che lo faccia in futuro. Nel gioco a incastri che presiede alla composizione della raccolta, tra sardo e italiano, tra narrare spiegato e quadri che contaminano scrittura documentaria e finzione, impegno politico e ripiegamento esistenziale, Angioni mette anche se stesso in gioco, come scrittore e come intellettuale che inevitabilmente fatica a svolgere il proprio ruolo, fatica cio a individuare con chiarezza le linee di sviluppo della societ allinterno della quale egli sarebbe chiamato a svolgere opera di mediazione culturale. Come lio poetico plurale di Montale, egli forse non sa ci che , ci che vuole, ma di certo sa che, nonostante ogni fascinazione, il concentrare lattenzione su particolari staccati del passato e del presente, sui frammenti di una squallida modernit o sui relitti sparsi di uninfanzia irrevocabilmente trascorsa, comporta limpossibilit di cogliere, insieme ai pericoli, le opportunit offerte da un contesto nuovo e in continua evoluzione. Lelegia arcadica e il pianto funebre sono le strade alle quali lautore di A fogu aintru caparbiamente si rifiuta.Franco Manai9

Contro Arrichetteddu stata esercitata una violenza spaventosa, che per raccontata, perch cos viene vista, quasi senza8

RICERCA SUL CAMPO

La vecchia lo guardava fissa e curiosa, come si divertisse di lui e delle sue domande. Accoccolata per terra placida e comoda, una mano su un sasso piatto e laltra su un ginocchio, le gonne tuttattorno sulla polvere, stava badando a un tubo lungo di plastica gialla che partiva dal rubinetto della fontana pubblica e oltre un muretto scompariva a innaffiare verdure invisibili, dopo una ventina di metri di serpentine nella polvere. Anche lei accenn a Sidoru Friarosu. Era gi la terza persona del paese che gli indicava ziu Sidoru Friarosu come il pi capace di informarlo su come andavano le cose, prima, per la festa annuale di SantIsidoro. Non quello di Siviglia, ma anchegli spagnolo, patrono dei contadini in Sardegna come in Spagna. Prima, in tutti i nostri paesi per questa festa si faceva la benedizione e la processione degli animali da lavoro, ornati di collane ricamate, gutturadas, fiori, limoni e arance piantate in punta delle corna dei buoi, specchietti sulla fronte, briglie multicolori, puliti e strigliati dalla coda agli zoccoli, alle corna. Decise di andare a trovare questo ziu Sidoru Friarosu, vicino alla chiesa, a fianco dellofficina meccanica dove sta ancora scritto fabro con una sola bi. Si trov di fronte un portoncino a steccato, una gecca a costallas, che lo separava da un cortile acciottolato, con molte gibbosit e lordo di immondizie. Alcune galline vi razzolavano e in un angolo grugniva un maialino che lo guard diffidente quando cerc di farsi sentire da qualcuno di casa, sul lato opposto in fondo al cortile.11

Finalmente un femminile e chi sa genti?. Entr e si avvicin verso luscio scolorito e rugoso della lolla tutta chiusa. Aspett finch apparve una vecchietta con una scopa di saggina in mano. Lo guard anche lei placidamente fissa, quando salut, poi lo invit a entrare, borbottando qualcosa su un certo dottorino nuovo. Lo invit a sedere su uno scranno e lei continu a scopare lenta. In un modo strano: raccolta un poco dimmondizia, la spingeva con piccoli tocchi rapidi dentro gli interstizi tra le lastre di pietra che formavano il pavimento della lolla. Ogni tanto lo guardava attenta. Si rese conto, imbarazzato, che lei stava aspettando che dicesse il motivo della visita. Voleva parlare con ziu Sidoru, se era in casa, per sapere da lui ogni cosa sulla festa che si faceva prima per SantIsidoro. Suo marito stava a letto ammalato, gli disse continuando a scopare. Usc e torn subito dopo con un catino slabbrato da cui vers spruzzi dacqua sul pavimento, per non sollevare polvere scopando. Al marito era venuto un colpo, una gutta, quattro giorni prima. Allora era meglio che se ne andasse, per non disturbare. Ma lei non era disposta a lasciarlo andare, quando ancora non era nemmeno entrato in casa sua. Incolp del suo imbarazzo quei paesani che gli avevano indicato ziu Sidoru come informatore. Certamente sapevano della malattia del vecchio, e lo avevano ugualmente mandato in quella casa a parlare di feste. Ma la vecchia scopava sempre pacifica e lenta. Certo che suo marito sapeva tutto della festa di SantIsidoro, diceva con orgoglio. Perch lui stato priore di SantIsidoro per una ventina di volte e obriere per pi di cinquantanni. E quando lui era priore la festa era sempre pi bella delle altre volte: con spari di mine allelevazione della messa grande, con sermone del miglior frate del convento di Sanluri, e fuochi artificiali la sera nellorto grande del parroco, senza contare banchetti e rinfreschi per i membri del comitato organizzatore.12

Improvvisamente tacque e svelta abbandon la scopa in un angolo, senza dirgli nulla entr in una delle tre stanze che davano nella lolla. Riapparve poco dopo e lo invit a seguirla, a entrare con lei di l. Le tenne dietro, e si trov subito in una stanza buia, senza finestre. A poco a poco distinse con sufficiente chiarezza un letto con spalliere alte, di quelli che un tempo avevano la cortina, un com con uno specchio e una sedia vicino al letto. La donna si avvicin al capezzale e vi sistem la sedia, che pul con due colpi del grembiule. Ubbid impacciato al suo invito a sedersi e si trov di fronte un vecchio pallido, faccia di lucertola, con una chioma bianca scarmigliata, un fazzolettone a pallini rossi intorno al collo, riverso su due cuscini grigiastri. Il malato lo guardava in tralice. Gli domand se era il figlio di un tale, uno del paese. No, era forestiero, di un paese vicino, venuto per vedere come stava. E se stava meglio, come gli sembrava, era l per sapere da lui qualcosa sulla festa di SantIsidoro. Si fece ripetere il motivo della visita. Lo guard con attenzione, fisso, e poi senza badare pi a lui si diede a borbottare a lungo cose incomprensibili, con gesti lenti e ampi della destra, come a indicare vaghe lontananze. Il borbottio del vecchio si blocc di colpo, quando la moglie intervenne per dire qualcosa. Divenne brusco: che centrava lei? Ormai nella penombra ci vedeva bene. Sul volto di ziu Sidoru scorse una lacrima che ogni tanto si detergeva col dorso della mano. Improvvisamente, con voce altissima che lo fece sussultare, il malato grid un Peppinedda!. La moglie, ancora l a trafficare col letto e coi cuscini, chiese rude e breve che cosa volesse. Che andasse finalmente a prendere un po di moscato da offrire allospite, che diavolo, non le sembrava ora?13

La vecchia usc sempre calma e lui ricominci il borbottio di prima. Lo studente ritorn nel suo imbarazzo. Di quel farfugliare non capiva n i suoni n il senso. La povert della casa lo feriva. Not come le mattonelle del pavimento, in quella stanza buona, traballassero tintinnando sotto i passi della vecchia che rientrava con una bottiglia e un solo bicchiere di vetro. Glielo mise in mano e lo riemp fino allorlo. Assaggi il moscato. Avvert lattenzione compiaciuta del vecchio che lo guardava bere e lod con entusiasmo, bench il moscato fosse piuttosto asprigno. Ambedue lo sollecitarono a bere ancora e la donna gli riemp il bicchiere appena vuotato, con determinazione quasi minacciosa: poteva fidarsi del loro vino, fatto in casa dal vecchio, senza medicine. Ziu Sidoru incominci a parlare con chiarezza. Che cosa voleva sapere di preciso? Molte erano le cose che si facevano per SantIsidoro. Lo studente incominci con le domande previste dal questionario datogli dallassistente del professore con cui aveva la tesi di laurea sulle feste tradizionali della nostra zona, su quelle religiose e su quelle profane. Man mano che si intrattenevano, la confidenza di ziu Sidoru aumentava. Rinunci a fare mostra ogni tanto di volersene andare, perch ogni volta che lo faceva il vecchio si eccitava e annaspava con le braccia per tenerlo sulla sedia. Lo interrog a lungo e lui rispondeva, spesso divagando sui tempi della sua giovent, sul lavoro duro dei campi e sui viaggi nel Sarcidano per comprare i gioghi di buoi. Ancora del tutto inaspettato il vecchio cacci un altro urlo, chiamando la moglie che non era pi nella stanza. Ricomparve subito, calma, aspettando i desideri del marito. Che portasse subito l le gutturadas che teneva conservate nella cassapanca di l. Perch doveva vederle il giovanotto studente. Ud avvicinarsi un tintinno di campanelle e la vecchia rientr nella stanza con due collane ricamate in modo fitto14

e variopinto. Avevano attaccate le campanelle dei buoi e tante palline gialle, rosse e verdi. Allestremit pendevano fettucce verdi per legare le collane alle cervici dei buoi. Lo studente le prese sulle ginocchia e le osserv. Odoravano di basilico secco. Ziu Sidoru gli spiegava con tutti i particolari che servivano per ornare i buoi per la benedizione e la processione: davanti al santo i cavalli, dietro i buoi, il prete in mezzo con la confraternita del rosario. Il vecchio malato appariva sempre pi stanco, ma non lo lasciava andare. Voleva raccontare tutto, a volte con grande fatica, a volte con una rudezza che non capiva. Tutto, anche i bisticci coi vari parroci su come organizzare la festa. Ed ecco che scoppia in singhiozzi, gli afferra una mano, la tiene stretta a lungo e continua a raccontare, chiamandolo figlio, di quando ai suoi tempi era meglio ed era peggio, era peggio ed era meglio: come un ritornello. Dun tratto cacci un altro dei suoi urli, ma stavolta pi irato, chiamando sua moglie che rientr immediatamente, questa volta preoccupata. Le ordin di porgergli subito i pantaloni perch voleva alzarsi. Lei cercava di dissuaderlo: ma perch mai voleva alzarsi, in quello stato? Lo sapeva ben lui perch, ripeteva scontroso. Bisticciavano, e ziu Sidoru cercava di farlo intervenire a suo favore, contro la donna testarda. Ma infine capirono. Voleva andare ad accudire ai buoi che a quellora dovevano abbeverarsi, dopo aver mangiato paglia e fave tritate. Lo tenevano a forza in letto, mentre lui implorava e imprecava e minacciava la moglie. Finch ricadde di schianto sui cuscini. Da quindici anni ziu Sidoru non aveva pi buoi. Mentre la moglie era via per un momento, ziu Sidoru si riscosse, gli fece capire di avvicinarsi di pi a lui e gli15

domand come in segreto perch mai, secondo lui, essendoci un morto in casa, la moglie non accendesse le candele, non si dicessero le orazioni per i defunti. E chi questo morto? Lui era il morto, no? Non si vedeva? E si mise lui stesso a recitare preghiere per i morti. Poi incominci a implorare SantIsidoro, con uno scarto del capo che diventava sempre pi frequente e stanco. Lo studente si lev e poggi sul letto le gutturadas variopinte. Ziu Sidoru le afferr e se le tenne strette al petto, grattandole con le dita magre. Alla moglie chiese del medico e si offr di andare a chiamarlo. Lei spieg che un dottorino nuovo stava nel paese vicino, a sette chilometri, e doveva badare a quattro paesi, perch i due medici condotti erano in vacanza. Ma tanto era gi stato avvertito. Quando era arrivato lo studente, lei aveva creduto sulle prime che il dottorino nuovo fosse lui. Ma gli passer anche stavolta, lo tranquillizz. Rimase nella stanza a guardare, per la prima volta in vita sua, un malato grave. Gli sembrava che ne fosse anche lui responsabile. Due donne, due vicine di casa certamente, entrarono silenziose nella stanza, richiamate da chiss chi, o da chiss che cosa. Efficienti e svelte si diedero da fare col malato. Nella stanza si diffuse un odore forte di aceto. Ziu Sidoru non mollava le gutturadas, le teneva strette con le due mani e resistette al tentativo di una delle donne di portargliele via. Lo studente stava l come messo da parte. Sulla seggiola stava seduta ora una delle vicine e teneva nelle sue una mano del malato. In piedi dallaltra parte del letto, appoggiato al com, stupidamente inutile guardava, con gesti insoliti in quella casa, ora lorologio, ora il malato, ora le carte dei suoi appunti sulla festa.16

La vicina che stava seduta tenendo la mano di ziu Sidoru chiese di fare silenzio, guard da vicino il malato, ascoltando, e sentenzi che rantolava. Era l gi da pi di tre ore quando si sentirono suonare le campane: is agonias mormorarono le donne. La moglie di ziu Sidoru fece con le mani un gesto come di offerta. Si sistemarono intorno al letto e incominciarono a pregare sommessamente. Una che gli stava pi vicina disse allo studente che stava per arrivare il prete. Non arriv nemmeno il prete, prima che ziu Sidoru morisse, dopo unoretta dallarrivo delle vicine. Lo studente cap subito quando spir, perch le donne incominciarono improvvisamente a piangere a voce alta. Una disse che bisognava avvertire il figlio finanziere a Genova. Ziu Sidoru ora giaceva col viso affilato, le gutturadas allegre e multicolori sul petto. La moglie le prese, le campanelle tintinnarono un poco, prima che le sue mani soffocassero rapide quel suono di festa.

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LULTIMA TRANSUMANZA

Da molto tempo prima aveva progettato di iniziare la sua inchiesta nel Lazio, nel Lazio arido del Viterbese costiero, per andare gradualmente: poi sarebbe salito verso la Toscana e la Liguria, sulle tracce dei molti pastori sardi emigrati con le loro greggi sul Continente. Anzi in Italia. Perch quando va sul continente italiano lui dice di andare allestero, e anche quando va allestero veste di velluto a coste color muschio e porta il bonete. Ottenere questincarico dal direttore del suo giornale non stato facile. Si era dovuto fare una regola di ricordargli ogni settimana che tempo ormai di informare e rendere conto di questo modo nuovo di emigrazione sarda. Il direttore ripeteva di andarci piano, di non esagerare. In Sardegna ci sono tante novit pi grosse: Voi sardi siete come il sonnambulo che viene destato mentre passeggia sul cornicione. Vi accorgete di ci che siete stati quando siete diventati altra cosa. E vi fissate su cose vicine, per non guardare la distanza vertiginosa che vi separa dal suolo Ma non che essere sardi sia pi difficile di una volta. Anzi, diciamo che lo di meno adesso. Lui capiva troppo bene che il direttore petrolifero faceva solo finta di non sapere che da pi di due millenni e mezzo non mai stato agevole essere sardi, nel mezzo di un mare di guai. E tanto meno adesso, quando si vede chiaro e senza vertigini che meglio puzzare di pecora che di petrolio. Ma certo, che un agente coloniale intenda questo, pretendere troppo, si sa. Ora finalmente cera riuscito. Aveva progettato tutto seriamente, con taglio scientifico, dopo aver convinto tutta la redazione della grande importanza di andare a18

rintracciare le scaturigini di quel fiume profondo, che oggi si interra per resistere al deserto che avanza in Sardegna dietro il nuovo Attila, e va ad aprirsi oltremare polle sorgive della nostra cultura pastorale, purificata nel travaglio dellultima transumanza. A volte stato l l per precisare che si tratta del nuovo Attila petrolchimico, ma riuscito sempre a trattenersi, per non compromettere il suo progetto, se avesse qualificato cos male la Propriet del suo giornale, nella tana del lupo. Perch la propriet del giornale passata da tempo dallolio al petrolio, come si sussurra motteggiando in redazione. Distratto e straniero, ma ormai convinto, il direttore del giornale ha commentato, come sempre a sproposito dopo lultima sua perorazione, che s, effettivamente, va bene: diciamo che tempo di andare a vedere se poi vero che i pastori sardi sono come i cavoli, che vengono su meglio quando trapiantati in terra diversa. Daccordo: settembre, andiamo, tempo di migrare. Per il primo servizio ti prometto la foto a colori in prima pagina. Se non ti lasci accecare dallamor di patria, ci pu scappare il Muflone doro per il miglior servizio giornalistico dellanno. A Vetralla riuscito a trovare un cavallo che poteva anche essere cavalcato, e lo ha preso in affitto per andare verso i suoi pastori. Lidea gli venuta l sul posto. Ma andare a cavallo alla ricerca dei pastori sardi ovvio, anche senza pensarci. E un mattino, allalba, partito sulle tracce di alcune greggi che sapeva gi svernanti sulle colline spoglie del Viterbese. Quel giorno, in Sardegna, usciva sul giornale il suo primo articolo introduttivo sui nostri pastori emigrati allestero con tutto il loro apparato produttivo. Vi sono definiti vitali spore vaganti oltre i nostri spazi, che racchiudono in s larchetipo cosciente della sardit, quella coscienza19

innata della propria identit che noi sardi abbiamo sempre contrapposto a tutti i civilizzatori doltremare. Avrebbe voluto scrivere vaganti oltre i nostri confini, se non fosse stato certo che il direttore petrolchimico lavrebbe censurato e anche sgridato. Tuttavia non ha nessuna vergogna a dichiararsi separatista. E siccome cristiano e creazionista, fonda questa sua aspirazione legittima sulla volont manifesta del Creatore, che la Sardegna lha voluta separata. Ma pi ragionata la sua certezza che una qualche forma di indipendenza politica sia condizione necessaria, anche se non sufficiente, per conservare quanto ancora resta del patrimonio culturale sardo. Per questo scopo si pu scendere anche a compromessi e ad autocensure sul giornale e col direttore, che al massimo sogna il trofeo del Muflone doro anchesso sporco di petrolio. Battaglia su fronti arretrati, quella di oggi in Sardegna, premette sempre nelle sue conferenze. Intanto, a edificazione di certa sinistra sarda refrattaria e poco patriottica, ha pronto un saggio inedito dove si dimostra come il sardo Gramsci sia stato separatista fino al suo ultimo respiro (e un suo segreto motivo dorgoglio che il SID lo ha tenuto docchio a lungo come persona pericolosa per lintegrit dello stato italiano). E partecipa in prima fila alla battaglia parziale per promuovere la lingua sarda, questa viva materializzazione dellanima nazionale, a lingua ufficiale dei sardi nella vita privata e pubblica. Anche in quel primo articolo introduttivo sullultima grande transumanza, riuscito a infilarci lidea-forza che la coscienza della propria identit e le grandi strategie di liberazione si aprono spazi espressivi solo col linguaggio ereditato dai padri (autocensura: e non in quello dei patrigni e degli espropriatori dOltretirreno). Ha sentito un nodo alla gola quando lontano, su un colle solitario, ha intravisto il primo gregge nostrano in terra straniera: un gregge per lui inconfondibile con altre20

greggi non sarde. E non si sbagliava: certe cose o si sentono o altrimenti non si capiscono. Il sole del mattino autunnale gettava ombre lunghe del cavallo e del cavaliere su per il colle, verso il tintinnare dei sonagli del gregge per lungo tratto invisibile. Il cavallo tendeva da una parte, dove a un certo punto anche lui ha scorto una buona strada asfaltata. Ma ormai era arrivato. Alla custodia del gregge cera un ragazzotto, che trafficava con la marmitta di una Honda enorme, e ascoltava musica da un radioregistratore appeso in cima a una pertica biforcuta, piantata al suolo. Sardu ses, o zovoneddu? gli ha gridato tutto allegro. Il ragazzo lha guardato di sotto in su, intento alla marmitta della moto luccicante al primo sole, e gli ha fatto un rapido cenno affermativo, montando poi lesto sulla sella dei suoi cinquanta cavalli. De Sardigna ses benniu? ha insistito. Eh. De cantu tempus ses in Continente?. In Continente? A stantro mese sarebbero du anni. Che, pure te sei sardegnolo?. Il ragazzotto ha approfittato del silenzio subitaneo dello strano cavaliere per provare il tuono della marmitta. Il cavallo ha scartato e lui caduto. La sua prima e ultima intervista incomincia e finisce cos.

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DOMINO

Senza la borsetta sente come il fastidio di essere nuda, e di mostrare le sue colpe di fronte alla giustizia, anche quelle che non ha. La faccia impassibile del poliziotto mostra unindifferenza al suo caso, che a Efisietta pare provenire dalla certezza che giusto che chi la fa laspetti. Il diavolo fa le pentole, ma non i coperchi, e la sua farina va in crusca. Il verbale finalmente terminato: Senza che ci facciamo illusioni, non vero, signorina Murr dice lagente di servizio estraendo il foglio del verbale dalla macchina e sbirciandovi il cognome di Efisietta, ma pronunciandolo sbagliato, con laccento sulla u, come fanno sempre a Roma. Ma Efisietta non sta l a sforzarsi di capire quali siano le illusioni che non deve farsi. Vuole firmare il verbale, qui?. Firmare, io, perch?. Lagente la guarda annoiato: lei che stata scippata, no?. S, io. Ma sembra che lo scippo lo abbia fatto lei. Efisietta ha un brivido. Adesso le sembra che quelluomo in divisa le stia ordinando di firmare la scrittura della storia vera di quelle cinquantamila lire. Vuole leggere, prima di firmare?. Prende il foglio. Mica lha voluto lei, di denunciare lo scippo al commissariato. Passanti e un vigile urbano ce lhanno portata quasi di peso. Lagente la guarda, tamburellando sul tavolo. Per gentilezza verso di lui si mette a leggere il verbale. Ha potuto raccontare ben poco allagente. Ricorda solo lo strappo violento, che lha fatta girare su se stessa,22

laccelerata puzzolente del motorino, e un vecchio, su un tram che passava, mettersi le mani nei capelli con la bocca aperta in un grido che lei non ha sentito. Nel verbale c lelenco delle cose rubate dentro la borsetta: carta didentit, cinquantamila lire, una foto di Bachisio Efisietta si spaventa della sua sbadataggine, per aver ficcato in borsetta quelle cinquantamila lire vicino alla foto di Bachisio. Un Leonardo nuovo aveva detto lavvocato depositando discretamente sul comodino tutti quei soldi che non saspettava: Per il taxi per tornare a casa aveva aggiunto accarezzandola. Le viene voglia di piangere, e lagente se ne accorge: Qualche volta si ritrovano perfino i soldi dice indicandole dove firmare. Anche se illusioni non bisogna farsene. Io quei soldi non li voglio sbotta Efisietta, cercando invano il fazzoletto nella borsetta che stata rubata. Come sarebbe, non li vuole?. Non li voglio ripete con meno forza. Be, anche se li volesse, ormai dice lagente alzandosi per accompagnarla alla porta. Nel caso ci faremo vivi noi, non si preoccupi. Solo appena in strada si rende subito conto della situazione. A piedi, senza un centesimo, dallaltra parte di Roma. E alle cinque deve essere dalla sua Signora, al Villaggio Olimpico. Fin l laveva portata lavvocato sulla sua Jaguar. Si mette in cammino. Se tutto fosse capitato a unaltra ci sarebbe quasi da ridere. Quella cosa con lavvocato laveva fatta, ma solo la prima e lultima volta! laveva fatta per aiutare Bachisio a versare finalmente lacconto per la Cinquecento: per potersi vedere pi spesso, spostandosi su da Ciampino dove fa laviere; e qualche volta uscire magari fuori Roma, il gioved e la domenica pomeriggio.23

Passandogli davanti riconosce il cancello del villino dellavvocato. Solo due ore fa ne uscita confusa e avvilita. Pi siete giovani e fresche di campagna e pi mi piacete, voialtre forosette aveva detto lavvocato. Ciascuno ha il suo debole, io ci ho questo. Efisietta ritorna indietro. Ripassa per tre volte di fronte al cancello del villino dellavvocato e infine si decide a suonare: gli chieder solamente i soldi per il bus.

CHI HA VISTO IL MONDO

Il sindaco, in questo periodo, molto indaffarato. C molto lavoro arretrato, perch stato in vacanza. Questanno andato allestero, per due settimane, in macchina con la famiglia. Ma una vacanza modesta, a basso costo, sul Mar Nero in Romania, dove la lira vale ancora qualcosa. stato anche un viaggio di studio, per lui amministratore e capo di una giunta di sinistra, per vedere un poco le realizzazioni del socialismo reale. Non ha visto molto, bellissimi posti e quasi solo turisti tedeschi e francesi. Qualche volta ha bisticciato con la moglie, che si lamentava del servizio e dello stile dei camerieri romeni: non questione di non ostentare servilismo, ma di fare bene quello che c da fare, rispondeva lei alle sue spiegazioni, che partivano da considerazioni molto generali, sui grandi passi avanti di un paese in via di sviluppo rapido. Ma tutto sommato son tornati contenti. Ora ci sono di nuovo le preoccupazioni ingrate del quotidiano. Stasera c consiglio comunale. Il consiglio sar lungo, e non potr essere a casa per la cena. Prima che incominci la seduta del consiglio, il sindaco fa una capatina alla bottega di Benniu, per mangiare un panino al prosciutto. Che cosa ci preparate oggi al consiglio?. Oggi ci sar battaglia per il regolamento edilizio. Gi ti sei preso un incarico, fratello mio! commenta Benniu, abbondando col prosciutto cotto nel panino. Ci sono le leggi fatte in alto. Non come con te, che mi dai sempre razione doppia di prosciutto, perch sono il sindaco. Be, ma ora che sei stato fuori, un po di rinnovamenti forestieri, di quelli buoni, li metterete anche qui.25

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A poco a poco, piano piano, a forza di viaggi a Cagliari. Mentre mangia, entra ziu Mundicu, che si scappella solennemente di fronte al sindaco nuovo: E allora, ce laggiustate presto la strada nostra?. Se dipendesse solo da noi, anche subito. Ma c tutta la burocrazia. Io lo dico cos, per ricordarlo. una cosa necessaria. Dinverno bisogna passare a guado, quando piove. Il sindaco tira fuori i soldi per pagare il panino. Cerca soldi spiccioli, altrimenti Benniu finge di non avere resto, e dice alla prossima volta, anche se sa che il sindaco si dimenticher, con tutto quello che ha in testa. Dalla tasca cade una moneta che rotola fra i piedi di ziu Mundicu. Lui gliela raccoglie, ma la guarda sorpreso, dopo averla tastata un poco: Ma questa che cos? Non pare nemmeno antica, di quelle che si trovano nelle tombe. E gi, guarda un po. una moneta romena, dieci centesimi della Romania. Rimasti in tasca per caso. Della Romania? Allora, aspetta sono dieci bani, no?. Giusto, dieci bani. E come mai voi sapete queste cose?. Eh be, io non sono andato in vacanza in Romania Ma lo so. Prima non erano cos le monete da dieci bani. Prima quando?. Prima, durante la guerra. In guerra siete stato in Romania?. Solo di passaggio. Ma con noi cerano romeni, in Russia, i bani e i lei ce li avevano loro. Ne sa di cose ziu Mundicu scherza Benniu. Aspetta, aspetta Cerano anche ungheresi: quelli avevano i peng. E i volontari spagnoli avevano le pesetas. Ognuno compra i ravanelli coi soldi suoi fa Benniu. E ziu Mundicu pu andare a comprarli dove vuole. Eh, magari non le sapessi, queste cose. Adesso conosco anche i soldi olandesi. Si chiamano gulden. E fra poco26

conoscer anche quelli tedeschi, quando verr in licenza mio figlio Peppinu. Laltro venuto gi due volte dallOlanda. Peppinu pare pi risparmiatore, e viene poco. Star risparmiando per tornare qua per sempre dice il sindaco a bocca piena. Magari fosse. Ma che ci fa qui?. A cercare lumache e germogli dasparagi dice Benniu. Ziu Mundicu si fa serio: Se almeno non stessero cos lontano. Col mestiere che hanno imparato, forse, cercando, potrebbero trovare lavoro pi vicino, in Italia, e forse anche in Sardegna, qui a Villacidro in quelle fabbriche nuove. Ce ne sono di cani pronti per quei posti di Villacidro, come intorno a una macelleria borbotta Benniu. I figli li allevi e poi se ne vanno lontano. peggio della guerra. Tutti scappano da casa, come se ci fosse il terremoto. E come il tempo passa, si dimenticano anche di scrivere, almeno ogni tanto, come questi miei. Qualcuno ogni tanto torna azzarda il sindaco. Pochini. Ma i miei stanno bene dove sono. Guai se tornano qui, adesso. Anzi, io vi dico una cosa, che se avessi qualche anno di meno me ne andrei anchio. E dove volete andare? domanda Eugenio appena entrato, come saluto. In Olanda magari. Mio figlio pi grande dice sempre che non c da paragonare tra qui e lOlanda. L le cose funzionano, tutti hanno il necessario e anche di pi. Le case sono tutte di propriet della regina, e lei le d in affitto a prezzi giusti, stabiliti dal governo, che non vigliacco come il nostro. In Olanda anche le terre sono della regina, e lei le d a gente che se non le fa fruttare come si deve, gliele porta via di nuovo. Ce n di posti migliori di qui sintromette Eugenio con foga. E se non fosse per quellincidente che mi capitato con quellautocisterna, sicuro che qui non sarei tornato nemmeno io. Anche se quando passavo con lautotreno vicino a Civitavecchia, e vedevo scritto sui cartelli27

Traghetti per la Sardegna, mi scendevano le lacrime come chicchi duva di pergolato. E dovero, in Emilia, c la gente pi simpatica dItalia. Che coshanno di speciale? chiede Benniu. Sono gente cordiale da quelle parti. E ti sanno aiutare e consigliare, e poi non rompono sempre le tasche con tutte le storie dei terroni e dei meridionali, che in molte parti non ci possono vedere. Quelli l, in Emilia e Romagna, sono veri compagni. Non come qui. Io nemmeno ci credevo che ci sono padroncini di autocarri, e anche padroni grandi, che sono compagni Anche le donne l sono compagne, dicono pane al pane e vino al vino. E non sono disoneste, come dicono certi ignoranti. Sono altri modi di vivere. Qui le donne vanno ancora poco poco nei bar, ma l si fanno grandi bevute e grandi discussioni, tutti insieme, uomini e donne. E non c la gelosia che c qua. Forse anche in Russia devessere cos, la stessa cosa. Tu la rovesci sempre in politica ride Benniu un poco agro. Tu non puoi parlare, che non hai visto mondo, e conosci solo la strada da casa tua alla bottega replica Eugenio. Lasciamo perdere dice ziu Mundicu per mettere pace che anche Benniu il suo mestiere lo sa fare. In Russia, quando cero io, le donne ci davano da mangiare a noi italiani. S, erano proprio cordiali. Girare e vedere il mondo bisogna. Eugenio si sta scaldando. E io ti dico, Benniu, che se continua cos, anche tu un giorno ti metti un mazzo di lattuga sotto il braccio e te ne vai di l dal mare. L almeno la verdura cresce meglio di queste schifezze che vendi tu. Ne deve girare di mondo il povero, legato alla catena del ricco sintromette ancora ziu Mundicu, pacatamente, da anziano sensato. A poco a poco le cose si devono aggiustare anche qui aggiunge il sindaco. Ma presto per, non con lordinaria amministrazione incomincia Eugenio tutto voglioso di discutere col28

sindaco, non coi cantieri di rimboschimento e basta, che dopo tre mesi il lavoro se lo mangia il fuoco. Ce nhai di fuoco dentro, tu, Eugenio! Benniu si ricorda del suo dovere di bottegaio di fronte ai clienti, anche se sono focosi come Eugenio. Ce nhai di fuoco in petto, tu. Vieni che andiamo qui al bar tutti quanti, a berci una birra: per me ora di chiudere bottega. Ce ne vorrebbero di birrette per spegnere il fuoco che ci ho dentro dice Eugenio quando saluta il sindaco, porgendogli la destra devastata e scolorita dopo lincidente in cui ha rischiato di bruciare insieme con la sua autocisterna bolognese.

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I CONTI DELLA RINASCITA

sicuro che nessuno ha mai detto o pensato che il ragionier Cavalla era fesso perch continentale, o che si dava arie perch piemontese. E bench lui fosse pieno di spirito di patate, solo qualche volta, ma non per offenderlo perch non ne valeva la pena, se lui la tirava troppo per le lunghe storpiando i nomi sardi del paese, qualcuno cercava di rimetterlo in sesto, e notava per esempio che quel suo cognome qui da noi vuol dire puttana. Per lui credeva di non potere accettare la rivalsa spiritosa, perch dalle sue parti la vacca che serve a significare puttana. E bench non perdesse occasione per ricordare che lui veniva da Cuneo, e fin dal primo giorno avesse appeso nel suo ufficio al comune un grande manifesto colorato con montagne verdi e la scritta Visitate Cuneo e le sue valli, una volta sola successo che la donna addetta alle pulizie dei locali comunali gli ha detto che questo non era niente di speciale, perch tutti siamo usciti da quel posto l, per legge di natura; e che non cera bisogno di esporre un manifesto con quella scritta, per invitare la gente di qua a visitare quelle parti, perch cosa che si sempre fatta e quelli sono luoghi noti e frequentati. Siccome non capiva, dovette spiegarglielo il sindaco, che allora era un professore di scuola media. Gli fece una lezione di latino e di etimologia, prendendo a base gli etimi cuneus e cunnus, per poi passare ai relativi esiti italiani e sardi. Ma per queste cose il ragionier Cavalla non aveva il gusto. Del resto il suo parlare lasciava molto a desiderare. Non era solo il sindaco a pregarlo di parlar chiaro, senza troppe piemonteserie di pronuncia e di lessico, quando apriva bocca in seduta di consiglio.30

Peggio era quando parlava al telefono. Ma per quanto riguardava il telefono, c stata la storia dellapparecchio sul suo tavolo. Il comune aveva allora un numero unico in duplex con la segreteria della scuola media, e un solo apparecchio sul tavolo del sindaco. Al ragionier Cavalla sembrava una grave menomazione del suo prestigio non avere anche un apparecchio sul suo tavolo. Non perch dovesse alzarsi e andare a rispondere nellaltra stanza, ogni volta che il sindaco non cera, tanto era sempre qualche altro impiegato che andava a rispondere. Ma perch era questione di importanza delle sue funzioni di segretario comunale. E poi lui ogni tanto doveva comunicare con Cuneo, mentre gli altri al massimo con Cagliari. Il sindaco, pro bono pacis, aveva fatto piazzare sul tavolo del ragioniere un apparecchio di derivazione interna. Ma non bastava, era un contentino quasi offensivo, per lui che per comunicare con Cuneo doveva sempre spostarsi ugualmente nella stanza del sindaco. Alla fine il ragionier Cavalla, di sua e illegittima iniziativa, ha fatto installare sul suo tavolo un apparecchio con numero autonomo. Ma con delibera della giunta, ratificata allunanimit dal consiglio comunale, accompagnata da mozione di censura su iniziativa della minoranza, il ragionier Cavalla fu costretto a pagarsi le spese di quella installazione. Il capo dellopposizione avrebbe voluto o lo smantellamento dellimpianto nuovo, oppure che il segretario vanesio pagasse anche le bollette relative a quel suo nuovo numero di prestigio, oltre che di ogni telefonata a Cuneo. Agli occhi del ragionier Cavalla fu unoffesa aggravata da misconoscenza. Perch lui veniva da quel Nord dItalia che stava per accollarsi le spese del finanziamento del Piano di Rinascita della Sardegna. Era venuto nel Sessanta come segretario comunale ad interim, nel periodo quando era in ballo la questione dei miliardi del Piano di Rinascita, e lui non perdeva occasione per lamentarsi di quel progetto, come se i soldi li dovesse sborsare tutti lui, soldi del Nord regalati al Sud.31

Faceva i conti sulla calcolatrice a manovella, divideva quei quattrocento miliardi per vedere quanto ne spettava a ogni sardo: duecentosessantaseimila a testa, grandi e piccoli. Poi lo moltiplicava per il numero degli abitanti del comune e stabiliva che in totale al paese spettavano duecentosessantaseimila per tremilaquattrocentotrentatr, uguale ottocentonovantadue milioni cinquecentottanta. La volta che ebbe la pensata di calcolare di quanto aumentava la cifra spettante in totale al comune, aggiungendo il numero dei nuovi nati rispetto al suo calcolo precedente basato sul numero non aggiornato degli abitanti, fu la guardia comunale a fargli notare che il suo modo di calcolare non teneva conto del diminuire della quota pro capite collaumentare del numero delle persone con cui spartire i quattrocento miliardi, che restavano sempre quelli. E che si era anche dimenticato di sottrarre il numero dei morti, senza contare quello degli emigrati che avevano cambiato residenza, e che aumentava di giorno in giorno.

LA STRATEGIA DI FEDELE SUCCU

Fin dal giorno della sua assunzione alla OPCV nel Sessantacinque, Fedele Succu ha fatto di tutto per riuscire a farsi trasferire, dalla Macchina Continua numero uno al Reparto Sfibratura, dal chiuso allaperto, dallumido al secco. La Macchina Continua numero uno si chiama Bonaria, come sua moglie, e molte volte le due Bonarie si assomigliano. Ma dalle macchine non peccato divorziare. stato sempre aiuto generico alla cassa dentrata, lanticamera di Bonaria. Bonaria fatta di due parti, umida e secca, cos come la gente e la sua altra Bonaria fatta di polmoni che funzionano a vento e di intestino e vescica che funzionano a spremitura dacqua. Fedele Succu addetto alla parte umida, dove limpasto per la carta perde acqua per sgocciolamento e per risucchio, sulla Tavola Piana. Da un paio danni ha i reumatismi, per colpa della parte umida di Bonaria Meccanica. Ma lacqua dei reumatismi non si spreme n per sgocciolamento n per risucchio. Per questo ha impostato una sua strategia del trasferimento, da Bonaria al Reparto Sfibratura, dove i tronchi di legno assomigliano ancora a tronchi, non sono ancora diventati un intruglio schiumoso, e dove non si sta al chiuso. I giovani e gli operai continentali non vogliono andare al Reparto Sfibratura, perch si sta sempre allaperto, anche quando il freddo si taglia a fette, o il caldo fa sudare come gli spruzzatori orientabili del Parcolegno. Molti sono finiti agli sfibratori per punizione. Gli ingegneri triestini e molti operai credono che stare agli sfibratori non faccia per niente bene alla salute. Ci sono fumi di soda e polveri di caolino. Ma gente che non sa33

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nemmeno che cos il vento, se non glielo dicono in televisione alle previsioni del tempo. Fedele Succu le direzioni del vento, della pioggia, i moti delle ombre, in tutte le stagioni, le sa da quando ha imparato da bambino a scegliere il luogo buono per riparare pecore e uomini, a seconda della catena dellanno, per lovile dinverno e per lovile destate, sfruttando una forra, una quercia, un muso di monte o una grotta degli antichi. Fino a ieri non cera riuscito, perch il difficile fare la mancanza giusta e farsi trasferire per punizione al Reparto Sfibratura, magari agli scortecciatori del legname russo e canadese. Se la mancanza troppo piccola ti becchi la solita punizione in denaro, se troppo grande rischi il licenziamento, e addio sicurezza di lavoro e di salario, con una famiglia di cinque bocche. La prima mancanza tattica di Fedele Succu, provenienza Arzana, pendolare, et anni quarantasette, terza elementare, operaio di terza categoria, risulta ben documentata nel suo dossier allUfficio del Personale: Mancanza: fumava maneggiando soda caustica; sanzione: sospensione indennit panino per giorni sei. Allo stesso modo risultano documentate le altre tre mancanze: Non teneva i calzoni allesterno degli stivaletti essendo addetto alla manipolazione di soda caustica; sanzione: sospensione indennit panino per giorni dieci. La terza: Teneva il grembiule sotto la cintura di sicurezza costituendo pericoloso intralcio; sanzione: quindici giorni di sospensione indennit panino. La quarta: Non si agganciava alle strutture della carpenteria durante lo spostamento lungo i ripiani; sanzione: venti giorni di sospensione indennit panino. Ogni giorno di sospensione indennit panino vuol dire settanta lire in meno: venti giorni, millequattrocento lire. A parte lindennit panino, tutte le mancanze erano state di un tipo che andavano a suo rischio, senza danneggiare la produzione, tutte violazioni delle norme34

antinfortunistiche, scritte su molti cartelli in tutti i reparti. Non stata una scelta buona per ottenere il trasferimento per punizione. Chiederlo, il trasferimento al Reparto Sfibratura, voleva dire non ottenerlo. E forse forse avrebbe fatto la figura del fesso davanti a tutti, a chiedere di lavorare nel posto dei puniti e dei lavativi. Ieri mattina, poco prima dello stacco del pranzo il capo turno gli ha detto: Succu, in Direzione. In Direzione?. S, ti vogliono in Direzione, lingegner Costa. Vestito cos ci vado o mi cambio?. Non fare il tonto, gi non ti deve fare gli auguri di Natale. E chi ci ha mai parlato a solo a solo col direttore?. Stavolta ti ha fatto lonore. Sbrigati che non ha tempo da perdere con te. Il direttore ha incominciato a parlare guardando carte sul tavolo: Succu Fedele, bene bene, non ti piace pi lavorare alla Macchina Continua?. Col dovuto rispetto e col suo permesso, signor ingegnere, io questo non lho mai detto. C qualcuno che glielo ha detto, a lei?. Lingegnere ha pigiato un tasto per parlare e ha ordinato chinandosi: La signorina Pauletic! e ha continuato a leggere carte sul tavolo, tornato tranquillo e assente. Fedele Succu rimasto in piedi col berretto in mano, guardando per rispetto fuori dalla finestra. Anche se pareva che si trattava di trasferimento dalla Macchina Continua, non voleva pensare che stava per divorziare da Bonaria per andare a servire uno sfibratore. Di mancanze fresche non ne aveva fatte.35

La signorina Pauletic entrata senza bussare, si messa dallaltra parte del tavolo a fianco dellingegnere, come se Fedele Succu non ci fosse nemmeno. Dunque, Succu, la signorina Pauletic dice che ti sei stufato di stare alla Macchina Continua, e vuoi andare agli sfibratori. Non vero, signorina Pauletic?. La signorina Pauletic ha solo sorriso, ma era un riso malevolo. Fedele Succu non sapeva nemmeno se augurarle il riso della melagrana aperta. Lingegnere firmava carte. Fedele Succu si accorto che le sue scarpe stavano sporcando il tappeto e ha mandato un accidenti al capoturno. Ma che diavolo vuole lingegnere? Per una volta che lo chiamano, in Direzione, se ne deve stare l come nessuno, a rigirare il berretto in mano. Dunque, Succu, tu hai mancato di rispetto alla signorina Pauletic. Ti sei comportato con lei da vero cafone. Io? alla signorina Pauletic?. Non fare lindiano e sbrighiamoci. Intanto sei trasferito al Reparto Sfibratura, sezione Stacker, subito alla ripresa dopo pranzo. E indennit panino sospesa per dieci giorni. E poi adesso mi spieghi perch hai mancato di rispetto alla signorina Pauletic. Dopo le chiedi scusa, altrimenti si provvede diversamente. Come vuole il signor ingegnere. Le scuse le chiedo a tutti e due. Ma. Ci sono ma? Secondo te la mancanza di rispetto non c stata?. C stata, se lo dice lei, e agli sfibratori ci devo andare, ma a me. Come sarebbe, se lo dico io? Vuoi peggiorare la tua situazione o fai finta di non capire?. Come lei dispone, va bene. Ma io il rispetto non lho mai tolto a nessuno. Perch a me non mi dai del tu, di un po, eh? perch?. Del tu allingegnere? E perch? Non me lo permetterei mai, io.36

E perch allora ti permetti di dare del tu alla signorina Pauletic? E ti prendi la libert di trattarla come se fosse pari a te? E di discutere con lei, come se volessi insegnarle il suo mestiere di funzionario dellUfficio Personale?. Signor ingegnere, qui mi devono spiegare. Io il rispetto non lo tolgo a nessuno. Se c da imparare, imparo. Insomma, luned scorso, quando io non cero, la signorina Pauletic ti ha fatto chiamare nel suo ufficio, perch al tuo cartellino mancano molti timbri dingresso. Ti ha fatto un favore, chiamandoti per chiarire, perch sul cartellino cerano solo timbri di fine turno. Poteva considerarti assente per tutte intere le giornate. Ma ti ha chiamato e ti ha chiesto se eri entrato in orario giusto. Perch lo sa che voialtri avete la testa in oca e vi dimenticate sempre di timbrare, come se foste a giornata a zappare. Alla signorina Pauletic non sembrato abbastanza e che bisognasse precisare meglio la mancanza di Fedele Succu: E poi ha storpiato il mio nome, come lo fanno molti qua dentro, di quelli come lui. Mi ha chiamato Pauledda, ha detto che una ragazzina come me deve avere altre cose per la testa, e non cartellini da timbrare. Insomma, signor ingegnere. Va bene, va bene, signorina Pauletic Dunque, Succu, come la spieghi?. Ma, io non saprei Anche lei, anche la signorina mi dava del tu. E io non ti do del tu? Perch allora non dai del tu anche a me?. Ma, signor ingegnere, diverso. Lei pi anziano di me La ragazza, la signorina ha ventanni meno di me, ha let di mia figlia maggiore Se lei mi d del tu, vuol dire che mi d confidenza. Basta cos, Succu. Tu le regole di buona creanza le devi imparare. Qui non come a casa tua. Puoi andare. E alla ripresa ti presenti agli sfibratori.37

Succu se n uscito rinculando. Finalmente ce laveva fatta. Doveva essere contento, per non ci riusciva. Succu, la porta, maledizione! ha gridato da dentro lingegnere. tornato indietro per chiudere, ma gi la porta la stava chiudendo la signorina Pauletic, con un sorriso di trionfo. A casa, alla moglie Bonaria ha spiegato com che riuscito a farsi trasferire agli sfibratori. Le ha detto che bastato dire il fatto suo a una ragioniera dellUfficio Personale, perch gli aveva mancato di rispetto, a un uomo della sua et. E che lingegnere, uomo sperimentato, lo ha trasferito per premio.

IL REDDITO

Nella sezione del partito da parecchie sere c grande afflusso di gente. appena terminata la campagna dei contratti fra i bieticultori e lEridania: questanno 1975 i contadini che hanno scelto il sindacato democratico della CNB sono quasi raddoppiati, a scapito di quello padronale della ANB. Ma gi la sezione del partito ognuna di queste sere si riempie nuovamente di padri di famiglia che devono essere aiutati a compilare il nuovo modulo per la dichiarazione dei redditi delle persone fisiche. Sono tutti un po preoccupati. A me stato affidato un altro compito, e nella confusione cerco di concentrarmi per scrivere un pezzo sul problema della nettezza urbana per il bollettino della sezione. Quello della nettezza urbana un servizio mancante ma indispensabile nel nostro comune. una questione spinosa. Le disposizioni igieniche proibiscono di tenere bestiame nellabitato, ma qui si sempre fatto cos. Ora il prefetto ha proibito non solo di tenere greggi di pecore e branchi di maiali dentro il paese, ma anche galline e i pochi residui buoi da lavoro. E sono probiti anche i letamai. I carabinieri hanno gi fatto sapere che faranno rispettare le disposizioni. Il che significa che faranno pagare tante multe e basta, perch non c rimedio. Le disposizioni non sono mai su misura locale, ha imparato a dire anche il sindaco, allargando le braccia. Davanti a un tavolo, dove siedono tre compilatori dei moduli, sta una fila di una ventina di persone. Nellunico locale il mio trabiccolo fa angolo col tavolo dei compilatori delle dichiarazioni, e la fila dei contribuenti mi si sgrana

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di fianco. Ora tocca a un vecchio bracciante dichiarare i suoi redditi. Meno male che adesso ci siete voi che avete studiato dice come per scusarsi. Qua nessuno ignorante ribatte sbrigativo il compilatore, capo della commissione cultura della sezione. Ma gli altri continuano a discorrere su questo tema. Quando abbiamo incominciato noi qui, dopo la guerra, tutto andava alla me ne fotto, perch non cerano persone istruite con noi. E tutti ci fregavano. Lignoranza cosa brutta. Per molti che studiano, dei nostri figli, si dimenticano da dove sono venuti, o non capiscono nulla lo stesso delle cose nostre. Io quando vedo questi ragazzi che hanno studiato e che si mettono con noi, quasi quasi non ci credo, mi pare che giocano un gioco nuovo. Ma che non me lo aspettavo. Non era da aspettarselo, quando i nostri erano presi a fischi e a sassate proprio dagli studentelli. Ora di teste fini ce ne sono anche dalla nostra parte. E adesso quegli altri hanno anche paura di fare i comizi, perch un liscio e busso se lo buscano sempre quando escono dalla loro tana come conigli impauriti. Ne fa di cose lo studio. Anche di male, per. Perch quelli che sanno tenere la penna in mano credono che le cose si cambiano a tavolino. Come quei cervelloni che hanno inventato questo modo nuovo di far pagare le tasse. Per lignoranza la cosa peggiore. Ritorno ai miei tentativi di scrivere il pezzo sulla nettezza urbana. Laltro ieri sono stato a parlare col medico condotto, che anche il nostro ufficiale sanitario, per documentarmi meglio, perch devo anche riferire in consiglio comunale, e prima ancora nella riunione del gruppo di maggioranza al comune.40

Ah, io, caro signore, devo eseguire gli ordini e le disposizioni vigenti. Io di politica non mi interesso. Qui c lordinanza prefettizia. La legga, la legga. Chiss in che mondo vive, il nostro sanitario. Uno degli attivisti della commissione cultura, che stanno compilando le dichiarazioni, si sta infastidendo: Ma che cosa vuoi dichiarare tu, i nove figli che hai? Tu non devi fare dichiarazione dei redditi. Sei esente. Gli sta davanti Lichixeddu, berretto in mano come per sfottere: Ascolta, giovanotto. Io questa dichiarazione la voglio fare. giusta. Non sono evasore fiscale, io. E voglio far vedere quello che ho: i figli. E che cosa scriviamo come professione? Proletario? Padre di famiglia?. Per me scrivici quello che vuoi. Ma i figli devono esserci tutti e nove. Lascialo perdere sintromette uno che attende. Vuole solo fare lo spiritoso. Certo non assomigli a tuo zio per le trovate, eh, Lichixeddu? fa un altro. Se gli dai retta facciamo prima consiglia uno dei compilatori. Io non condivido linsofferenza per la piccola trovata di Lichixeddu, che continua a sbracciarsi per convincere gli altri; cerco di ricordarmi chi sia questo suo zio spiritoso, ma mi perdo nei grovigli delle relazioni di parentela. Il compilatore spazientito pi che divertito alza la voce: Alla prossima riunione del direttivo io propongo listituzione di un consultorio matrimoniale proclama in modo da farsi sentire. Lichixeddu ride e non si smonta: A me per il come si chiama in disoccupazione non me lo mette nessuno, e nemmeno in cassa integrazione. Dacci sotto con la penna, che dopo vogliamo vedere se la41

testa non te lha scipita lo studio, e se li resisti nove bicchieri, uno per ogni figlio. Allo spaccio ho gi pagato. Ormai ho appallottolato il foglio bianco e rinuncio a scrivere. Chiedo a un vicino chi sia lo zio di Lichixeddu, famoso per le trovate divertenti: Sei diventato cos cittadino che non ti ricordi pi di ziu Affonziu Mereu!. Non ricordare uno come ziu Affonziu significherebbe, per tutti, non avere veramente memoria e forse poca carit di patria. Era infatti una specie di uomo pubblico in paese, un inizio di intellettuale organico. Un ibrido strano e precoce, fra il bello spirito, celebre per le sue arguzie, lintellettuale tradizionale di queste parti, e lostetrico dello spirito di scissione, tutto proteso verso un futuro da millennio, diventato socialista in una delle primissime onde migratorie operaie, quella verso Napoli. Ma non lo si ricorda solo per le sue celie famose. Nei paesi si parla pi dello strano che del normale, come dappertutto, pi dello scemo del paese che ne fa sempre una delle sue, che del medico o del prete che fanno male il loro mestiere. Ziu Affonziu godeva di una celebrit di questo tipo, da giullare impunibile; ma anche di una sua autorevolezza, che senza alcun potere non poteva apparire molto di pi che simpatia popolare per la sua presenza di spirito, e faccia tosta per i suoi bersagli polemici. Il guaio forse che lui era il vero tipo da bozzetto rusticano, amante del bel gesto in mancanza di poter fare meglio. Ma se ha tanti fratelli, e tanto brutti, perch non deve avere un esecutore testamentario?

LULTIMO CARRETTIERE

Affonziu Mereu stato lultimo carrettiere professionista del nostro paese. Quando lui viaggiava ancora con lultimo dei suoi cavalli, tutti non castrati e tutti di nome Baieddu (era arrivato a Baieddu Sestu), gli altri del mestiere avevano rinunciato da un pezzo, oppure avevano comprato un camion. Settimanalmente faceva la spola con Cagliari, distante cinquanta chilometri, per rifornire i bottegai locali di zucchero, candele steariche, sapone, conserva di pomodoro, qualche stoviglia e qualche pezza di stoffa, e in citt portava carichi di grano e di legumi secchi, prodotti in paese. La gente pagava spesso i conti dellannata ai negozianti, dopo il raccolto, coi prodotti locali, e ziu Affonziu era tramite fra i bottegai del paese, i grossisti di citt e i mercanti di granaglie. Un mestiere da furetto. In giovent era stato una specie di giramondo, uno di quelli che allinizio del secolo se lerano presa in Napoli, come si dice da noi, con doppio senso; cio, nel suo caso, era andato a lavorare nelle fonderie della ILVA di Bagnoli, lanno 1904. Questo era allora quasi il solo modo di emigrare da operaio, dalle nostre parti. La guerra del 15-18 fece spostare pi a Nord i nostri emigrati in divisa e poi risped in Sardegna quelli che non sono finiti a Redipuglia. Ma dopo dallora, e fino a questo dopoguerra, solo qualcuno se l presa altrove. Come uno che prima della guerra andato non si sa come nella legione straniera ed tornato un paio danni fa dal Vietnam del Nord, con moglie e quattro figli vietnamiti. Se le donne da quelle parti sono tutte come questa nostra nuova compaesana, si capisce com che le hanno suonate agli americani.43

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Lavora pi lei di cinque uomini a scarada. Ha imparato sardo e italiano in un anno e qualche mese fa ha dato una lezione a un mio cugino maestro elementare, che cercava di farle dire male di Ho Chi Min perch lui democristiano: gli ha spiegato che Bac Ho come dire Ziu Ho e che per loro Bac Ho come per noi Giuseppe Garibaldi. Ziu Affonziu non tornato con moglie napoletana, perch rientrava dal fronte. Si sposato in paese e ha tentato di riprendere il mestiere di prima di prendersela in Napoli. Dopo un anno ha per deciso di smettere di fare il contadino e ha incominciato a fare il carrettiere. Perch, spiegava, il mestiere del contadino il peggiore e il pi povero, e lui odiava i poveri, non li poteva soffrire. E allora perch sei socialista? gli chiedeva immancabilmente qualcuno che non conosceva la sua arte di improvvisare facezie. Giusto perch voglio ripulire il mondo da questa schifezza della povert. Non lo si ricorda per solo come un tipo spassoso, che sapeva scherzare su molte cose, anche serie, a incominciare da se stesso. Per esempio, sulla disperazione della moglie e dellintera famiglia paterna, quando decise di fare il carrettiere. Le prime volte che era partito, allalba, schioccando la frusta, lasciava moglie e genitori piangenti, e lui se ne andava stornellando. Ma dopo un paio di settimane, dopo i primi incassi, era la moglie che lo svegliava nel cuore della notte per farlo partire in tempo, perch aveva incominciato a sentire il suono di qualche spicciolo. Un pezzo forte, che sfruttava molto con certi cittadini altezzosi, era il racconto di come fosse riuscito a sfuggire ai banditi, subito dopo questultima guerra, una volta che lo assalirono di notte, nel tratto di mezzo della salita di Vangari, vicino a Monastir. Era sceso dal carro, diceva, facendosi fesso e fingendo di avere una gamba addormentata. Ma mentre si appoggiava zoppicando alla stanga, ficc la44

tabacchiera piena di tabacco da naso nel culo del cavallo, che part al galoppo, e lui insieme attaccato alla stanga, lasciando i banditi a respirare la polvere. Ed ecco il birbante che gli faceva notare come il cavallo non potesse partire al galoppo proprio nella salita di Vangari, ma lui a commiserarlo spiegandogli che lanimale era pi svelto di lui, perch aveva capito che doveva prendere la direzione opposta, in discesa, per evitare di prendersela ancora nel didietro. Dicono che molti carrettieri sono poeti e cantori. Anche la finezza di ziu Affonziu culminava nellabilit di poetare, frutto delle nottate di viaggio solitario. Componeva anche in italiano, cosa molto rara, perch era stato dieci anni a Napoli. E quando beveva (ma sua moglie diceva che era scipito sempre, perch stufa dei suoi scherzi) spesso parlava napoletano, ancora pi ostico filtrato dai suoi pochi denti davanti. Raccontava di come fosse stato guappo, con certi manigoldi napoletani, e di quando in guerra faceva il portaferiti, e piangeva ricordando quanti figli e mamma hannacciso, mannaggia aa morte, mannaggia, confondendo nel pianto quei morti ammazzati e il suo primo figlio morto di favismo a due anni. Anchio ricordo un paio di strofe di una composizione politica di ziu Affonziu. Glielho sentita cantare per ore a un matrimonio di un parente comune, quando ero sui sette anni. La cantava sullaria di Lil Marlen ancora in voga allora: una specie di contrasto fra Truman, Stalin, Churchill e lItalia. Il Truman che minaccia dice a un certo punto cos: Compagno Stalin, se fermo non stai, Con la mia potenza ti metter nei guai. Sai che latomica io ce lho. E se ci vuole la user. Hai visto luccision Che ho fatto nel Giappon? E lItalia, piano e di testa, conclude:45

Fra tanti grandi io sono il piccolin E spero la pace fra Truman e Staln. LItalia senza pi cannon, Ma con miseria e distruzion, Vuol libera restar E in pace lavorar. Ma ziu Affonziu poteva sfogare la sua passione politica quasi solo facendo lattaccabrighe coi ricchi locali. Non gliene perdonava mai una, sfruttando la sua arguzia. Il suo obiettivo polemico permanente era Don Larenzu, il pi ricco del paese, e suo rivale anche come intellettuale. Non poeta ma appassionato di storia locale, Don Larenzu scriveva perfino romanzi storici sulle vicende eroiche dei sardi. In un suo romanzo fiume sulle lotte contro gli invasori romani durante la conquista della Sardegna (titolo: Allombra dei nuraghi e dentro lurne) il duce sardo Amsicora termina cos una sua arringa davanti alle schiere sardo-barbaricine prima della battaglia finale di Cornus: E rammentate, miei prodi, nellora della pugna, che voi siete gli antenati dei gloriosi militi della Brigata Sassari. Caduto il fascismo, tutte le volte che si metteva in viaggio, ancora buio, passando sotto le finestre di Don Larenzu, allora podest e poi sindaco, ziu Affonziu gridava schioccando la frusta: Sveglia, popolo, che non sei pi bambino. Il sol dellavvenire sta sorgendo dalla parte della Russia. A met degli anni Cinquanta ziu Affonziu ha smesso di fare il carrettiere perch ormai i camion avevano soppiantato definitivamente i carri ed ha tentato da vecchio di rifare il contadino. Ma non ce lha fatta. Non gli piaceva. Cos ha finito i suoi giorni facendo piccoli lavori per il nostro merciaio-giornalaio-tabaccaio, un forestiero un po tonto che diventato il bersaglio degli scherzi di ziu Affonziu senza che lui se ne sia mai accorto, perch credeva di essere meglio di uno del paese, dato che veniva dalla citt. Dei suoi ultimi anni di beffe al tabaccaio rimasta ancora famosa quella dellautunno del 56, durante i fatti46

dUngheria. Il figlio del tabaccaio, erede della spocchia e della balordaggine del padre, un bel giorno di quel triste novembre vuot il cassetto del banco di bottega e part verso il Nord, secondo lui a combattere volontario sul Danubio contro i russi, che usavano il grasso degli insorti ungheresi per ungere i cingoli dei loro carri armati. Torn dopo un paio di giorni, spiegando che non era riuscito a passare la cortina di ferro. Si seppe poi che alla frontiera svizzera fu rimandato indietro col foglio di via. Studente di scienze naturali, non aveva forse ancora preparato lesame di geografia politica. E un giorno ziu Affonziu, entrato in bottega per portar via certe scatole vuote, con gi pronte un paio di insolenze per il padre di tanto figlio, si trov invece davanti proprio lui, il figlio, castigato dal padre a rifondere lavorando il mal tolto. Un figlio di Don Larenzu e la nipote del prete, anchessi studenti, lo assistevano nella disgrazia. Ma ziu Affonziu si adatt subito al nuovo caso. Li salut militarmente, si precipit ad abbracciare il reduce dalle battaglie per la libert e stette l a sfotterli finch non li stese tutti e tre, dopo essere riuscito a provocarli nonostante che avessero incominciato col far finta di non accorgersi nemmeno di lui. Prima di andarsene, gi sulla soglia, con una seriet che i tre studenti non gli conoscevano, proclam che hanno fatto bene i russi. L cerano i signorini come voi che stavano rimettendo la cresta e volevano rimontare sul pollaio. Eh no! Meglio i carri, signori miei. Molto meglio i carri armati. Anche qui ci vorrebbe una bella passata di carri, ma di quelli rossi fuoco, come dico io. Ci vorrebbe s una bella passata di carri, e carrista io concluse fissando i tre che non ebbero il coraggio nemmeno di increspare le labbra. Ziu Affonziu morto alla fine degli anni Cinquanta, di un tumore alla testa. Ma ha saputo trar partito anche da quella cosa terribile che gli mangiava il cervello, e ha continuato a scherzare fino alla fine. Seduto sui gradini di casa, davanti alla porta, pallido e rinsecchito, a chi gli chiedeva47

nuove della sua salute rispondeva che gli andava sempre meglio. Che per esempio aveva il cinema gratis e a colori ogni volta che voleva: bastava girare una vitina nel cervello e tac vedeva come dal vero tutta la sua vita passata: gli stabilimenti di Bagnoli, il Festival di Fuorigrotta, la guerra, i viaggi col carretto, le corse di Chilivani e i balli di Santa Maria dagosto. Forse gli credeva anche il medico condotto, se non sapeva che questa era una conseguenza del suo male, diagnosticato solo allultimo stadio. Ma una conseguenza molto meno spassosa di quanto lui volesse dare a intendere agli altri. Solo che lui si credeva in obbligo di darla a intendere, sulle condizioni della sua testa, la risorsa migliore della sua vita.

CITT E CAMPAGNA

Devessere stata mia nonna a farmi ricordare meno recentemente di ziu Affonziu Mereu. Lei era una sua ammiratrice, come molti altri. Anche mia nonna, del tutto analfabeta, aveva capito che gli studenti agli esami devono essere disinvolti, possibilmente brillanti. E che anche una testa mantenuta in funzione a base di pane abbrustolito e di minestra di frgula deve cercare di funzionare allo stesso modo di una testa cittadina che funziona a base di polli arrosto e di caff vero. questione di saper fare la propria parte, una volta imparata. Come la sapeva fare ai suoi tempi lavvocato Jago Siotto, che anche se non andava per strada canta canta e si era allevato a forza di ceci e di fave arrosto, il trallalero lo sapeva ben cantare in tribunale, e quando scriveva sul giornale. Sulla soglia di casa, in partenza per la citt per sostenere lesame di storia, mentre mi metteva dentro il taschino della giacca i soldi per un caff, mia nonna anche quella volta mi raccomand di non essere bruncu in culu. Di essere volpe, non pecora, e di lasciare la vergogna ai ladri, che del resto non ce nhanno. Sono le pecore che se ne stanno bruncu in culu, muso in culo, sicure solo quando nel gregge formano massa compatta, col muso a ridosso del deretano delle compagne. Lei vedeva bene come io mi sentissi piuttosto come un agnello impigliato in un cespuglio di cisto, mentre avrebbe voluto che avessi lanimo di un torello fuggito dal recinto. E tira almeno venticinque, questa volta mi grid quando ero gi in strada. E subito dopo le sentii dire, rivolta a zia Annetta Callella affacciata sulla soglia di casa sua di fronte alla nostra:49

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Se almeno assomigliasse un poco a uno come Affonziu Mereu buonanima, per cavarsela bene coi professori dove va a mettersi agli esami. Mia nonna immaginava gli esami come una prova di astuzia e di destrezza, che i numeri dei voti si ottenessero come al gioco del tresette. Oppure come quando un suo antico zio aveva saputo tirare un numero buono per non andare soldato alla guerra di Crimea, a mangiare topi arrostiti sulla punta della baionetta, avanti Savoia!, mezzo topo tres arrialis. Lui e ziu Affonziu Mereu erano i suoi modelli di acume e di destrezza. Gi appena la vidi comparire sulla soglia della stanza dei tormenti per fare lappello dei candidati, la nuova professoressa mi parve persona conosciuta, chiss dove e quando. Ma certamente altrove, in circostanza ben diversa. A lezione mai, non frequentavo. E cos come spesso succede agli esaminandi, massa anonima cementata dalla paura del giudizio, invece di raccogliere le idee e di ripassare la materia desame, incominci subito ad assillarmi lurgenza di ricordare quel quando e quel dove. Il bisogno coatto di ricordare divent allora un diversivo insolito per esorcizzare il timore di quellattesa. Invece della solita conta delle mattonelle del corridoio, con limpegno caparbio e stralunato di mettere i piedi giusto e solo allinterno di una mattonella ogni cinque. Lesorcismo dovrebbe propiziare il buon andamento dellesame, ma non riesce quasi mai per intero: richiede che il conto delle mattonelle torni sia allandata sia al ritorno; ma se anche questo conto quadra, bisogna poi farlo quadrare anche sottraendo il numero delle mattonelle comprese tra i vani delle porte che danno sul corridoio. Quando mi tocc entrare per lesame, lo sforzo che mi impegn maggiormente non fu quello di ricordare quanto dovevo rispondere alle varie domande, ma invece quello di guardare in viso il meno possibile la professoressa. Mi concentravo piuttosto sulla faccia annoiata dellassistente, che50

annuiva solerte quando parlava lei, ma alzava al soffitto gli occhi dilatati sotto la fronte corrugata, con un ghigno stanco, ogni volta che parlavo io. E questo sforzo sciocco si ritorceva contro di me. Sbagliavo bersaglio come il somaro che prende a calci la mola perch non pu prendersela col padrone, come diceva mia nonna. Che a quellora stava certamente recitando un Rosario per me, raddoppiando i Groria Patri ad ogni posta, con pi sacra scaramanzia. A me non sembr affatto di aver riso, tuttal pi avr sorriso, quando a mio dispetto ricordai quel dove e quel quando, e mi interruppi, nel bel mezzo di un tentativo di risposta a una domanda, che lesaminatrice mi aveva posto con enfasi, intorno al riformismo sabaudo sette-ottocentesco in Sardegna. Per, sia lei che il suo assistente mi fecero notare che nessuno aveva trovato ancora nulla di comico in quel riformismo. Mi affrettai a convenire che s, avevano ragione. E quando mai? Soprattutto perch lassistente mi invitava gi, con aria divertita di sfida, a illustrare il lato comico. Certo che non c nulla di comico, pensavo, perdendo mio malgrado minuti preziosi per riuscire a tirare un buon voto. Non c da ridere nemmeno se si considera lidea che dei rapporti coi piemontesi si ha ancora nei nostri paesi. Dove a ogni ragazzo che visiti Cagliari per la prima volta si spiega che quel tale Carlo Felice se ne sta ritto in Piazza Yenne e impugna impettito la sua verga, puntandola per spregio verso la campagna, dopo aver dato le spalle al mare da cui venuto. Oppure se vero che il pi famoso riformatore piemontese in Sardegna, il ministro Bogino, su Buginu, scaduto fino a diventare per noi sardi lunico modo, senza sinonimi, per indicare il boia, su bugnu chi ti stzad in coddus, che ti si possa sedere sulle spalle sulla forca da cui pendi. Naturalmente non vero, perch si tratta di una parola catalana che ha lo stesso significato. Anche se Don Larenzu, il nostro appassionato di storia locale, giura che questa letimologia giusta. Ma non c da51

fidarsi delle etimologie di Don Larenzu. Ci che conta per che non era solo Don Larenzu a credere che il nostro bugnu venga dal nome di quel riformatore illuminato. Ma il mio ricordo era un altro, e ben preciso. E nemmeno a questo ricordo mi sembr allora che fosse il caso di ridere e che comunque avessi riso, al riemergere nella memoria della figura di ziu Affonziu e di come lui aveva apprezzato e salvato il comizio che la professoressa aveva tenuto una dozzina danni prima al mio paese. Quando questa mia esaminatrice venne a fare il comizio, io avevo circa dieci anni, durante una di quelle campagne elettorali del dopoguerra, infuocate e pittoresche, per le politiche del 48 o per le regionali del 49. Lei era venuta per tenere un comizio socialista, giovanissima ed elegante nel suo insolito vestito cittadino. Con una di quelle gonne strette, che allora sembravano tanto corte. E contro le quali tuonava ogni domenica il parroco nelle sue prediche, sostenendo che oltre tutta la loro indecenza erano anche scomode e assurde; tanto che le ragazze che osavano indossarle, secondo lui, pativano il freddo e non potevano muovere passi sufficienti nemmeno per salire i gradini di casa, e non potevano inginocchiarsi in chiesa se non tirandosele ancora pi su, vergogna e scandalo nella casa di Dio! Le maniche corte, poi, in paese non serano mai viste, e tanto meno il rossetto e le calze velate trasparenti. Veramente una volta cera stata una signorina che vestiva in un modo cos scandaloso. Una maestrina delle elementari, che per dur solo tre mesi e poi se ne and perch trasferita, a portare la sua disonest altrove, lontano dal gregge del canonico che reggeva la nostra santa parrocchia. Ziu Affonziu quel giorno era l sulla piazza subito dopo pranzo, e per ingannare lattesa del comizio faceva ogni tanto visita alla bettola vicina. La nuova della signorina comiziante si sparse subito in tutto il paese, il concorso fu straordinario. Ci si aspettava52

che parlasse dal balcone del palazzotto di Don Larenzu, come avevano fatto sempre tutti i comizianti, eccetto naturalmente i comunisti, che allora riuscivano a stento a incominciare a parlare, ma a basso livello, raso terra o al massimo su una pietra liscia. Questa volta Don Larenzu rifiut di metterlo a disposizione, e ora se ne stava lass, affacciato lui al suo balcone, seduto su una sedia ridendo sotto i baffi. A te, quando vinciamo noi, ti mettiamo a raccogliere merda secca di bue nelle aie. E ti chiederemo anche conto delle pietre di granito squadrato che hai fregato dal vecchio monte granatico, gli grid dal basso ziu Affonziu, riferendosi allusanza che consentiva ai pi poveri di procurare cos del combustibile, e a certe malefatte di quando Don Larenzu era podest. Per tenere il suo comizio lavevano piazzata su un tavolo, preso dalla bettola l accanto alla piazza. Proprio allaltezza della situazione. Il padrone del cinema, che per i suoi spettacoli aveva in affitto un magazzino di Don Larenzu, rifiut anche lui di prestare il suo impianto di amplificazione, come invece aveva sempre fatto. Il giovane militante socialista, che ebbe il coraggio di presentarla al pubblico curiosissimo, si lasci scappare una formidabile gaffe finale, asserendo che la compagna avrebbe fatto sentire la voce del socialismo anche senza minchiofono. Un coro di nitriti si alz dal gruppo di giovanotti che si consideravano avversari politici della comiziante, e si erano radunati al centro delladunata, giusto pronti a fare cagnara. La signorina incominci presentandosi, con nome e cognome. Risult chiamarsi Almeriga, nome che tutti deciframmo come America. Poi pass ai saluti. Ma nel salutare si rivolse ai compagni di un altro paese. Un avversario grid, coprendo un inizio di rumoreggiare del pubblico: qui che dobbiamo scoprire lAmerica, non a Sanluri. Abbiamo diritto anche noi di scoprirla, aggiunse un altro.53

Io preferisco coprirla, concluse un terzo. Il gruppo avversario nitriva sempre pi forte. La signorina non capiva nulla di quel dialetto, ma appariva molto incoraggiata dalla partecipazione delle masse contadine. E part con slancio, credendo sempre di rivolgersi a quelli di Sanluri, facendo cos scoppiare ogni volta, come fuochi dartificio, i botti e i ribotti dei frizzi salaci, in gara estemporanea di arguzie alternate, gara al rialzo in cui da queste parti ci si esercita fin da bambini, possibilmente in prosa, che vuol dire in rima. Noi ragazzini, riuniti in bande rionali, punteggiavamo con alti strilli ogni pausa delloratrice. Sul sagrato il parroco passeggiava nervoso, tallonato dal presidente dellAzione Cattolica, senza degnare duno sguardo la comiziante. Aveva appena finito la sua predica domenicale pomeridiana; si era lasciato un po andare, e aveva terminato presentando ai fedeli i due corni del dilemma di fronte al quale la coscienza di ognuno aveva da scegliere: O Roma o Mosca. Alcune donne, fermatesi in cappannello nellangolo pi remoto della piazza, guardavano accigliate leccitazione dei loro uomini. Come ogni pomeriggio festivo, le ragazze passavano e ripassavano nello spazio riservato al passeggio, ma stavolta invano. Nessun giovanotto badava a loro, e loro facevano commenti acidi. Un gruppo di ragazzini di un altro rione aveva inventato un modo nuovo per canzonarle: passavano di corsa davanti ai grappoli di ragazze, che camminavano lente e altere tenendosi a braccetto, e urlavano la frase canzonatoria Custa gii ca ndi porta de pbiri in bucicca, ostrus scetti musca! Espressione che nel linguaggio locale significa che questa s, la comiziante, aveva in abbondanza ci che oggi si direbbe sex-appeal, mentre loro si davano solo arie. La ragazza vacill a un tratto sul tavolino che la innalzava sulluditorio. Troppi si precipitarono a sorreggerla e nessuno la trattenne. Si decise di sistemarla su un tavolo pi grande e pi fermo. La bella Almeriga voleva riprendere54

subito il discorso, che per nessuno forse capiva. Socialismo, democrazia, nozze tra luno e laltra, il senso della storia. Il parroco continuava a battere il granito del sagrato, seguito sempre pi a stento dal capo degli uomini cattolici. Certamente non capiva nemmeno Don Larenzu, sempre lass a sogghignare, vecchio gufo che un tempo era stato falco, appollaiato in cima al suo palazzotto di aspetto cittadino, con le iniziali del suo nome in ceramica blu al centro del frontone ad arco. Forse, invece, stava ricordando le allocuzioni che faceva da podest, quando costringeva i suoi servi di campagna a radunare tutto il paese, per ascoltarlo ripetere impettito gli slogan che Mussolini aveva gi gridato al balcone di Piazza Venezia. O forse, in occasioni come questa, di festa per gli avversari dei suoi pari, rimpiangeva i tempi quando la sua casa era come un confessionale di venerd santo, mentre adesso al massimo era come di mercoled delle ceneri. Finalmente loratrice fu issata sul nuovo tavolo, e tutti tacquero, dopo un mormorio di approvazione. E in quel momento un battimani lento e solitario scese dal balcone di Don Larenzu. Hai finito di scaldarti le grinfie, o Donna Elenetta non vuole pi prepararti la borsa dellacqua calda?, gli grid ziu Affonziu. Facci il sunto di quello che ha detto gli rispose Don Larenzu. Non riesce a mandarla gi che loro una cos non lhanno mai avuta disse ziu Affonziu rivolto al pubblico. Lasciacene un po anche a noi del tuo socialismo preg qualcuno degli avversari per canzonarlo. Andate a cercarvela, una cos, se la trovate comiziava ziu Affonziu. Cane abbaia e maiale mangia mormoravano gli scettici. Gi si sapeva che tu non ti getti sul vinello, Affonziu gli disse un simpatizzante, mentre lui si avvicinava al tavolo e invitava la ragazza a continuare.55

Lasciatele riprendere il volo alla bella tortorella. Ci fu un applauso spontaneo, e lei ripart con foga, rossa in viso, con ampi gesti di quelle braccia nude, accentuando londa del seno. Un ragazzotto del mio rione ci radun per dirci qualcosa. Aveva scoperto ziu Affonziu, che se ne stava l davanti tutto estasiato, perduto in sue fantasie, e con una vistosa prominenza sul davanti dei pantaloni, molto sensibile alloratoria della compagna cittadina. E alcuni pi piccoli ne approfittarono subito per inventare il gioco della scoperta dellAmerica, che consisteva nel passare nel breve spazio fra il tavolo delloratrice e la prima fila degli uditori, dove stava lui, e scoppiare rumorosamente a ridere, accennando col braccio alla protuberanza della patta di ziu Affonziu, troppo occupato per accorgersi di s e del loro gioco. Finito il discorso, lui, raggiante, aiut la signorina a scendere dal tavolo e si congratul a lungo nel suo misto di italiano e di napoletano: bellissima parlata, proprio quella giusta. Poi si avvi con lei, aiutandola a fendere la folla. Falla salire sul tavolo la sorella del canonico disse al segretario dei democristiani locali, fratello del presidente degli uomini cattolici, quando gli pass di fronte e quello sogghignava allo stesso modo di Don Larenzu. Falla salire, cos vediamo se oggi che domenica i baffi se li tagliati. Cittadine tutte due sono, no?. Bravo, Affonziu grid uno l vicino, gi non ti bevi un brodo a forchetta. Lasciateli passare!. E passava glorioso, col suo trofeo cittadino, frastornato e ignaro, simbolo del socialismo di citt. Lui aveva capito subito che la ragazzina entusiasta, se non ci si fosse messo anche lui, sarebbe stata solo un pretesto insolito per i frizzi mordaci e scurrili dei paesani. Senza ziu Affonziu, a quellesame, a quel comizio che forse era la sua prima uscita, tentata in campagna per correre meno rischi, la signorina non avrebbe tirato un buon voto, giusto come me.56

VOLTAIRE E IL GENDARME

Le virt di ziu Affonziu erano note e pubbliche e lui stesso sapeva di essere un uomo pubblico, con una sua funzione. Ci sono anche le virt occulte, tra il popolo, che vanno riconosciute. I casi della vita portano qualche volta a riconoscimenti postumi anche qui. Sapere come con ziu Tatanu Melis siamo diventati amici non interessante. Eravamo vicini di casa, ma la vera ragione forse che io per lui ero un intellettuale, un suo simile ma professionista, mentre lui si riteneva solo un dilettante. Questo suo modo di considerarsi nei miei confronti aveva inconvenienti, per quanto mi riguardava. Soprattutto perch pretendeva che io dovessi sapere tutto, specialmente quello che non sapeva lui. Anche mio nonno era cos, con me, ma pi tollerante con le mie ignoranze. Io di regola badavo a non dare troppa corda a ziu Tatanu, e spesso ho cercato di evitarlo. Lui per conosceva e studiava le mie abitudini, e quando voleva parlarmi mi aspettava seduto sul gradino di casa nostra, nella sua posa sempre pi meditativa man mano che invecchiava. A bruciapelo mi faceva domande come: qual il nome italiano della radice del ficodindia? Una volta mi ferm per strada, subito dopo che avevo tenuto il mio primo comizio in paese, e mi domand se fosse vero che i russi avevano inventato come gettare un ponte fra la Sardegna e il Continente, ma che gli americani non volevano perch a loro non conveniva. Era il tempo dei primi sputnik. Ma problemini cos erano cose da passatempo per lui. Forse perch era un outsider sul piano economico, con la sua pensione gi dai quarantanni, il suo grande problema filosofico era quello dei bisogni, di come nascono e di come mutano. A forza di guardare vivere gli altri si era fatta57

una sua filosofia, e certamente era per questo che il parroco lo considerava un agguerrito miscredente, non solo perch era un anticlericale arrabbiato, come un carbonaro daltri tempi. Tatanu Melis non era nato e cresciuto in paese, ma in un altro, un po lontano. Ci era venuto da carabiniere, e dopo il congedo c rimasto. Si pu dire per che ai miei tempi quasi nessuno si ricordasse pi di quella sua professione. Del carabiniere non aveva pi nemmeno il passo, ma solo la statura, alta per le nostre parti. Che avesse deciso di vivere solo della pensione e di starsene a guardare il mondo e la vita altrui non proprio esatto, perch per un lungo periodo ziu Tatanu stato il pescivendolo del paese. Ogni marted e ogni venerd vendeva un paio di cassette di gerri alla gente normale e alcuni chili di muggini ai benestanti. Per le feste qualche cassetta di muggini in pi, a volte anche un paio di cassette di anguille, come la vigilia della festa dellAssunta, che prima era giorno di magro, ma da noi gi festivo. Durante il fascismo aveva fatto alcuni mesi di confino in Calabria. Si era rifiutato di fare listruzione premilitare ai ragazzotti del paese. Il segretario del fascio glielo aveva chiesto perch era stato carabiniere. Non che si considerasse antifascista. Solo che aveva gi deciso da tempo che gli interessava di pi stare a guardare vivere