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L’istruzione probatoria Corso di diritto processuale civile Anno accademico 2013/2014

Anno accademico 2013/2014 Corso di diritto processuale civile · Le fonti della disciplina Le norme relative alle prove sono contenute nel codice civile e nel codice di rito. Il codice

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L’istruzione probatoriaCorso di diritto processuale civile

Anno accademico 2013/2014

Le fonti della disciplinaLe norme relative alle prove sono contenute nel codice civile e nel codice di rito.Il codice civile (artt. 2697 ss.) contiene le disposizioni relative ai profili di ammissibilità ed efficacia dei mezzi di prova.Il codice di rito contiene norme di carattere generale circa l’assunzione dei mezzi di prova (artt. 202-209); norme sull’esibizione delle prove (210-213); norme sulla contestazione di prove documentali (214-227); norme sulle modalità di assunzione delle singole prove.

L’onere della provaArt. 2697 c.c., norma fondamentale:Comma 1: chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare che ne costituiscono il fondamento.Comma 2: chi eccepisce l’inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l’eccezione si fonda.

La tutela dei diritti: i fatti e le provePer invocare l’intervento giurisdizionale ai fini della tutela di una situazione giuridica soggettiva asseritamente lesa è necessario, evidentemente, che essa sia “riconosciuta”.L’ordinamento in tal caso prevede che al verificarsi di certi fatti (fattispecie costitutiva) sorga una certa situazione sostanziale. Tuttavia può altresì prevedere che la concomitanza di altri fatti (c.d. impeditivi) non consenta la nascita del diritto, oppure che altri fatti successivi a quelli costitutivi modifichino o estinguano il diritto stesso.

Fatti costitutivi ed eccezioniNella prima parte della norma sono quindi presi in considerazione i fatti costitutivi del diritto di cui si chiede tutela, necessariamente fatti valere da chi propone la domanda (solitamente l’attore).Nella seconda parte sono contemplate invece le c.d. eccezioni, cioè i fatti impeditivi, modificativi o estintivi del diritto, fatti valere da chi chiede il rigetto di un domanda (solitamente il convenuto).

Quaestio facti quaestio iurisL’esistenza di certi fatti, se presi in considerazione dall’ordinamento, è rilevante ai fini della produzione di determinati effetti giuridici, quindi della nascita di diritti.Tuttavia, mentre la c.d. quaestio facti è di spettanza delle parti, le quali con lo strumento dell’allegazione dichiarano l’esistenza dei fatti in causa, la c.d. quaestio iuris è di spettanza del giudice, unico soggetto istituzionalmente preposto al riconoscimento delle conseguenze giuridiche dell’esistenza dei fatti, quindi all’applicazione delle norme.

Altri principiArt. 99 c.p.c.: chi vuol far valere un diritto deve proporre domanda (principio della domanda);Art. 112 c.p.c.: il giudice deve pronunciare su tutta la domanda senza oltrepassarne i limiti (corrispondenza tra chiesto e pronunciato), e non può pronunciare su eccezioni la cui proposizione è dalla legge riservata alle parti;Art. 115 c.p.c., parte prima: salvi i casi previsti dalla legge, il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove proposte dalle parti o dal PM.

Il principio dispositivoDunque, tendenzialmente, il giudice è vincolato da quanto affermato e prodotto dalle parti; è l’attore che individua l’oggetto del giudizio con la domanda, che normalmente contiene i fatti costitutivi del diritto; è il convenuto che propone i fatti/eccezioni al fine di contrastare la domanda.I fatti devono essere provati coi mezzi proposti, tendenzialmente, dalle parti.Nell’ottica di un processo soggettivamente semplice, dunque, attore e convenuto allegano i fatti accompagnati dai relativi mezzi di prova atti a dimostrare la loro verificazione/esistenza.

Attenuazioni...Tuttavia la portata del principio non è assoluta. Invero il potere dispositivo e il principio della domanda riguardano il diritto (il giudice in quanto tale non può mai formulare una domanda, è la parte che necessariamente deve individuare e chiedere la tutela di un proprio diritto), mentre per quanto riguarda le allegazioni fattuali il giudice può porre a fondamento della decisione fatti risultanti dagli atti processuali ancorché non allegati dalla parte interessata, purché non individuino un diverso diritto o si tratti di eccezioni riservate alla parte (c.d. principio di acquisizione).

EsempioTizio chiede l’accertamento della proprietà su un bene e allega come fattispecie costitutiva un contratto di compravendita; è legalmente provato in causa - per esempio attraverso l’assunzione di una prova - che Tizio ha posseduto il bene per 20 anni. Il giudice può accogliere la domanda basandosi sull’usucapione, ancorché Tizio non abbia allegato la relativa fattispecie.

Salve le eccezioni viste, il giudice può quindi prendere in considerazione fatti non allegati dall’interessato (i costitutivi per l’attore, le eccezioni per il convenuto), purché risultino legalmente acquisiti e provati (il giudice, quindi, non allega i fatti).Per quanto concerne le prove da porre a fondamento della decisione, la prima parte dell’art. 115 c.p.c. lascia intendere che la legge può attribuire al giudice poteri istruttori, in virtù dei quali, pertanto, l’acquisizione di certe prove, come vedrete trattando i singoli mezzi, è possibile anche per iniziativa officiosa.

L’eventualità dell’istruttoriaLa fase dell’istruzione probatoria nel processo non è sempre necessaria, giacché ben può essere che la controversia sia solo in diritto (cioè la verificazione/esistenza dei fatti è pacifica o non contestata, mentre è controversa per così dire la loro dimensione giuridica); oppure si tratti di causa documentalmente istruita (la prova dei fatti allegati e controversi è data esclusivamente da documenti, che sono bensì mezzi di prova, ma non richiedono per la loro acquisizione un’apposita fase processuale, potendo essere semplicemente prodotti con il loro deposito).

Un’ipotesi-limite è data dal caso in cui i fatti siano bensì controversi (quindi bisognosi di prova) ma non esistano né prove documentali, né richieste istruttorie delle parti, né prove disponibili d’ufficio in concreto utilizzabili (nei casi, pertanto, nei quali sono contemplati poteri istruttori in capo al giudice).In presenza di tali condizioni, la causa è matura per la decisione in assenza di previa fase istruttoria.

L’esercizio delle difese

Il convenuto che vuole il rigetto della domanda dell’attore può allegare e dimostrare fatti impeditivi, modificativi o estintivi (eccezioni), ma può anche per così dire contrastare l’esistenza dei fatti allegati dall’attore.Contestando l’esistenza dei fatti allegati dall’attore, il convenuto resta nell’ambito di essi e non introduce eccezioni; con tale attività rende tali fatti controversi, dunque bisognosi di essere provati.

A segutio della riforma operata dalla Legge n. 69 del 2009, è stato modificato l’art. 115 c.p.c., comma 1, seconda parte, che adesso prevede espressamente il c.d. principio di non contestazione, di matrice giurisprudenziale.Il Giudice pone a fondamento della decisione anche i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita. Tale principio vale dunque soltanto per la parte che partecipi attivamente al processo, mentre in caso di contumacia varrà la regola generale dell’onere della prova, onde l’attore dovrà provare l’esistenza dei fatti costitutivi del suo diritto per avere tutela.

Sicché a fronte delle allegazioni dell’attore (ma ciò vale per le allegazioni anche relative alle eccezioni), la controparte potrà adottare diversi atteggiamenti.Vi potrà essere un riconoscimento esplicito dell’esistenza di tali fatti, e si darà luogo così alla c.d. ammissione;vi potrà essere un riconoscimento implicito, ad esempio perché non contesta specificamente il fatto stesso.

La contestazioneAi sensi dell’art. 115 essa dev’essere specifica, quindi deve consistere in una diversa ricostruzione del fatto prospettato dalla controparte. La parte non si può limitare ad una generica difesa del tipo “contesto quanto affermato”.Tale onere, peraltro, va valutato guardando alla conceta situazione. Esso riguarda i fatti propri della parte e quelli di cui essa abbia conoscenza; inoltre la specificità va misurata sul grado di specificità dell’allegazione.

Le conseguenzeLa conseguenza dell’ammissione esplicita o implicita (non contestazione) è che il fatto non ha bisogno di essere provato, dunque si considera pacifico. Il fatto non è provato; esso non ha bisogno di essere provato. Di conseguenza, se tale fatto risulta poi escluso dalle prove acquisite nell’ulteriore corso del processo, esso è considerato inesistente. Esempio: Tizio chiede l’adempimento del contratto; Caio eccepisce la prescrizione e Tizio non contesta. Il giudice però se vede che dal contratto risulta il rinnovo può rigettare l’eccezione di prescrizione.

Controversia solo in diritto

Quando allora, a fronte di un’allegazione, la controparte ammette l’esistenza del fatto oppure non la contesta in maniera specifica, la piattaforma fattuale si ritiene pacifica, onde la controversia attiene solo all’applicazione delle norme a quei fatti, che può decidere solo il giudice.

I diritti indisponibiliIl fenomeno della pacificità dei fatti appena visto non può verificarsi in caso di controversie relative a diritti indisponibili (quali, ad esempio, i diritti relativi ai rapporti familiari). Si tratta di diritti rispetto ai quali i soggetti non possono esercitare poteri negoziali.Se manca il potere dispositivo sul piano sostanziale, a maggior ragione le parti non possono “vincolare” il giudice dando una comune versione dei fatti; questi devono essere provati con mezzi indipendenti dalla volontà dispositiva delle parti; ne deve essere accertata la effettiva esistenza.

RicapitolandoL’istruzione probatoria in un processo ha luogo:- se sono stati allegati fatti risultati, dai meccanismi difensivi di attuazione del contraddittorio, controversi;- se la controversia ha ad oggetto diritti indisponibili;- se la causa non è documentalmente istruita.

I mezzi di prova in generaleNel nostro ordinamento vige il principio di tipicità dei mezzi di prova (che fonda il principio di legalità in materia istruttoria), per il quale, nel processo a cognizione piena, i mezzi di prova utilizzabili per verificare l’esistenza dei fatti sono soltanto quelli previsti e disciplinati dal legislatore. Da questo punto di vista, presentano invece peculiarità i processi a cognizione sommaria, come vedrete nella seconda parte del corso.

La portata del principio non va enfatizzata: invero il legislatore contempla tutti i mezzi effettivamente utili, quindi esclude quelli che per il comune sentire sono inattendibili.Con riferimento ai mezzi di prova sono state proposte varie classificazioni; eccone alcune:1) sulla base del momento di formazione della prova;2) sulla base del percorso logico che lega il mezzo alla rappresentazione del fatto;3) sulla base dei criteri di valutazione della loro attendibilità nella rappresentazione del fatto.

Criterio 1Si distingue tra prove c.d. precostituite e prove costituende.Le prime preesistono rispetto al processo, nel senso che sono già formate allorché è instaurata la causa (i documenti). Esse s’introducono nel processo mediante la loro produzione agli atti.Le seconde invece devono necessariamente formarsi nel processo, in un’apposita fase (prima si è visto che in presenza di causa documentale non si dà luogo ad istruzione probatoria). Un esempio di prova costituenda è la testimonianza.

Criterio 2Si distingue tra prove dirette, prove rappresentative e prove critiche o indiziarie.Prove dirette: si tratta di mezzi attraverso i quali il giudice percepisce coi propri sensi (direttamente) l’esistenza del fatto da provare. Esempio: ispezione; se è allegata l’esistenza di una finestra il giudice effettua un’ispezione in loco e verifica direttamente.Possono essere utilizzate quando il fatto sia rilevante in causa nella sua esistenza attuale. Non si può eseguire l’ispezione per verificare se la finestra esisteva in un periodo passato.

Prove rappresentative (o indirette): si tratta di mezzi che frappongono tra il fatto e la percezione del giudice uno strumento rappresentativo; il giudice percepisce il fatto non direttamente, ma mediante una rappresentazione, che può essere oggettiva (fatto rappresentato in documento), o soggettiva (fatto narrato da un testimone).A differenza delle prove dirette, possono essere utilizzate per dimostrare la verificazione passata di fatti, ma pongono problemi quanto alla loro attendibilità.

Prove critiche o indiziarie: danno luogo ad un meccanismo complesso (cfr. art. 2727 c.c.).In linea di massima si può ritenere che le parti chiedano di provare i fatti c.d. primari, cioè quelli che operano al livello della fattispecie del diritto, integrandola (fatti costitutivi), non integrandola/modificandola/estinguendola (eccezioni). Ma le parti possono anche allegare i fatti c.d. secondari, cioè quei fatti che, se provati, consentono di giungere alla dimostrazione di fatto primario attraverso un ragionamento logico.

Esempio: si propone querela di falso contro un atto pubblico (è il mezzo processuale finalizzato ad accertare la falsità di tale documento) perché si sostiene di non averlo sottoscritto.Per avere successo il soggetto deve dimostrare di non averlo firmato (fatto primario).Allega e prova (mediante un mezzo diretto o indiretto) un altro fatto, quello di trovarsi in altro luogo nel momento in cui è stato sottoscritto l’atto. Logicamente si ricava che l’atto non è stato da lui sottoscritto.

In realtà le prove critiche non formano una diversa categoria di mezzi di prova, ma costituiscono una modalità complessa di dimostrazione dei fatti principali. Infatti il fatto secondario deve essere comunque provato mediante i mezzi diretti o rappresentativi; il passaggio dal fatto secondario al fatto primario avviene non già con l’utilizzo di un mezzo istruttorio, ma attraverso un ragionamento.Dalla prova con i normali mezzi di un fatto non direttamente rilevante si deduce l’esistenza di un fatto rilevante, ricorrendo a regole scientifiche o alle massime d’esperienza.

Criterio 3Le prove dirette mettono il giudice in relazione diretta con il fatto, onde questo è direttamente accertato; le prove rappresentative invece mediano tale percezione del giudice, sicché si pone il problema della loro attendibilità.Così, è attendibile il testimone? La fotografia che rappresenta un certo fatto è attendibile o in realtà è il frutto di un fotomontaggio?

Art. 116, comma 1, c.p.c.Il dubbio è risolto dal legislatore: il giudice valuta le prove secondo il suo prudente apprezzamento, salvo che la legge disponga altrimenti.In generale opera dunque il principio della libera valutazione delle prove (con riferimento ad esempio alla testimonianza); in altri casi è la legge che invece sancisce l’attendibilità del mezzo al ricorrere di certi presupposti (per es. l’atto pubblico, la confessione, ecc.).

La prova liberaQuando l’attendibilità è rimessa alla libera valutazione, il giudice non può prendere automaticamente la rappresentazione per buona, ma deve enunciare i criteri utilizzati per ritenere la prova attendibile o meno. In tale ottica egli deve avvalersi (e dar conto) delle c.d. massime di esperienza, ossia regole di valutazione extragiuridiche proprie, in quanto accettate, di una certa società in un certo momento storico, e per questo facilmente riconoscibili e controllabili. Gli elementi utili ai fini di tale valutazione il giudice li deve acquisire già nel momento in cui assume il mezzo.

Prova legaleIn questa la valutazione di attendibilità è formulata dal legislatore, quindi si produce un vincolo rispetto all’apprezzamento del giudice. Ma tanto la prova libera quanto quella legale, una volta riscontrata la loro attendibilità, sono idonee allo stesso modo a dimostrare il fatto. Sicché se il giudice ha a disposizione solo una prova libera e la ritiene attendibile il fatto è provato.

Argomenti di provaFin qui si è trattato di prove in senso proprio. Ma il codice di rito contempla anche i c.d. argomenti di prova. Non si ha a che fare qui con veri e propri mezzi di prova idonei a dimostrare i fatti, ma di elementi/strumenti di contorno che consentono di meglio valutare le prove in senso proprio, in particolare quelle liberamente valutabili: per esempio quando si abbia contrasto tra le risultanze istruttorie di due prove libere, al fine di valutare quale delle due sia più attendibile; oppure per integrare/corroborare la prova libera non completamente concludente.

Norme di riferimentoArt. 116, comma 2: il giudice può desumere argomenti di prova dalle risposte date dalle parti in sede d’interrogatorio non formale; dal loro rifiuto ingiustificato a consentire ispezioni; più in generale, dal contegno tenuto da esse nel processo.Art. 310, comma 3: se si estingue il processo e si ripropone la domanda, le prove raccolte nel processo estinto degradano ad argomenti di prova.Dunque l’argomento di prova da solo non è idoneo a far ritenere esistente un certo fatto.

I fatti notoriL’art. 115, comma 2, stabilisce che il giudice può porre a fondamento della decisione, senza bisogno di prove, le nozioni di fatto che rientrano nella comune esperienza. I fatti notori, come i fatti pacifici, non hanno bisogno di essere provati. Essi attengono a quei fatti che il giudice conosce non per ragioni personali (opera il divieto di scienza privata del giudice), ma perché rientranti nel patrimonio conoscitivo di componenti una certa società in un certo momento storico (es: la verificazione di una guerra).Da non confondersi con le massime d’esperienza, che sono invece regole di valutazione non giuridiche, canoni di ragionamento.