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L a nostra Storia merita il Futuro. E «il modo miglio- re per predire il futuro è crearlo» (Forrest C. Shaklee). Per creare il futuro, occorre avere una roadmap, una cartina che sia davvero origi- nale e non segua i soliti contorni geografici, la solita topografia e i so- liti itinerari, ma vada alla ricerca di un orientamento tanto saldamente fondato sulla Storia e sulla Tradizio- ne, quanto nuovo e generativo nel metodo e nel movimento. La nostra Storia è davvero così importante - non solo per noi -, da meritare il Futuro. E dire «Futuro» equivale a richiamare possibilità nuove e orizzonti finora mai attra- versati e forse neanche pensati. La Storia è un grande labora- torio di ricerca sperimentale e guai a chi voglia farne una specie di città dei morti viventi. Si vive nella Sto- ria perché noi, come esseri storici, desideriamo sempre qualcosa in più rispetto a quanto abbiamo oggi; aspiriamo, cioè, ad altri orizzonti di aspettativa e, nello stesso tempo, viviamo già spazi di esperienza che spingono, pulsanti, verso nuove se- minagioni e nuove avventure. La nostra Storia merita il Futu- ro e noi glielo stiamo già fin d’ora consegnando, creando laboratori e linguaggi a misura delle nostre aspettative crescenti. Perché per noi vivere è attendere ogni gior- no il miracolo della Vita, come ci hanno insegnato i nostri Nonni ed i nostri Padri, le nostre Madri ed i nostri testimoni e martiri, come la nostra amata Norma Cossetto, Me- daglia d’Oro al Merito Civile alla Memoria - queste personalità pure, straripanti di vita e coraggiose -, per come hanno affrontato le dure difficoltà della Storia, che ha sem- pre aspetti brutali e talvolta quasi insopportabili, ci chiedono di più, molto di più. Molto di più rispetto alla resi- stenza o al revanscismo, alla riven- dicazione di sacrosanti diritti - ai quali teniamo come e più di tanti altri che li sbandierano da decenni, creando però soltanto un esercito di perdenti radicali -; molto di più rispetto al pur necessario Ricordo (anzi, dovremo, piuttosto, sempre più appellarci e fondare un’idea forte della Memoria: è un lavoro da condividere); molto di più: e cosa? CREARE IL FUTURO, LA STORIA CI CHIEDE DI PIù U n passo semplice ma non per questo facile, lo am- mettiamo, che vorremmo spiegare facendo nostre le parole del grande filosofo, scrittore e saggista rumeno, Emil Cioran, creatore di folgoranti aforismi, tra i quali il seguente: «Sia- mo tutti dei commedianti: soprav- viviamo ai nostri problemi». Noi prendiamo l’aforisma per indicare un paradosso al quale siamo stati tutti incatenati per decenni, ma poi lo rovesciamo come un calzino. In- fatti, Cioran, nel suo lavoro, dà per scontato che gli uomini siano tutti così e così vivano e muoiano, alla fine, un destino ineluttabile. In realtà, non è così, perché noi abbiamo la libertà e possiamo, appun- to, creare il nostro futuro: basta smet- terla di pensarci come custodi delle memorie del sottosuolo, dei nostri morti e dei nostri privatissimi ricordi, elevati a feticci della Storia, molto più grande e molto più pretenziosa. La Storia che ci chiede di più e alla qua- le di più dobbiamo dare, proprio per meritarci il Futuro, che i nostri Padri vogliono sia la nostra casa comune. L’ottimismo e l’amore alla vita della nostra gente, da sempre labo- riosa e creativa, deve essere l’attitu- dine e l’atteggiamento orientato, già sin d’ora, al futuro, perché dob- biamo evitare di essere dei perdenti radicali e “sfigati” per connotazione naturale, perché noi non vogliamo applicare il metodo mortifero all’esi- stenza storica; noi non siamo di quelli che “per punire gli altri di esse- re più felici di noi, inoculiamo loro, in mancanza di meglio, le nostre angosce”. Al contrario: dobbiamo creare una comunità di “pari”, cioè di uomini e donne orientati al futu- ro, ovvero capaci di creare il futuro. Capaci, cioè, di cogliere i veri segnali della Storia. Ne citiamo due, in par- ticolare, uno “macro”, l’altro (si fa per dire) “micro”, ma molto “macro” nella germinazione e negli sviluppi. LA NOSTRA PARTITA SI GIOCA SU UN CAMPO PIù VASTO Q uello “macro” è sotto gli occhi di tutti: la Croazia è in Europa. E noi, oggi, dialoghia- mo con la Croazia con la nostra consapevolezza di Associazione aperta e pronta a cogliere le occasio- ni storiche che questo evento ci of- fre - ad ogni livello: diritti, socialità, economia -, sapendo che la nostra partita si gioca su un campo più vasto e significativo che è, appunto, l’Europa stessa. Quello “micro” - in realtà, “macro” per gestazione, genera- tività e futuro - è lo spettacolo di Simone Cristicchi, «Magazzino 18». Un’opera d’arte e di creatività linguistica non seconda a nessun’al- tra opera teatrale di testimonianza civile e, nel contempo, un messag- gio proveniente da un uomo, il suo autore, nato a Roma, e dunque non sospetto di contiguità con il retro- terra politico-culturale almeno di una certa parte del nostro mondo. Eppure, questo sensibile e colto artista, che ha già mandato messag- gi non comuni e fuori dagli schemi anche in campo prettamente mu- sicale, sta dentro la nostra Storia e ci sta con l’umile curiosità di chi si apre ad un pezzo della sua persona- le storia di italiano e di cittadino. Questo è il metodo: la domanda condivisa. Si è soli quando nessuno con- divide la domanda che urge nel tuo cuore. Ecco perché noi abbiamo vissuto tanta solitudine ed abbiamo alimentato questa temperie facen- dola diventare isolamento. Dunque, Cristicchi è un segna- le “macro” nel nostro mondo e nel sistema di linguaggi e originalità che intendiamo creare e soltanto l’umil- tà delle proporzioni ci ha mossi a indicarlo come “micro”; ma chi ha visto lo spettacolo non tarderà a visualizzarlo come “macro” nel suo immaginario e nella realtà di ogni giorno, con effetti virali e contagiosi certamente sorprendenti. Stupiamoci, dunque, della nostra Storia e non diamola trop- po per scontata, perché il vero “ritorno” è l’apertura delle porte dell’anima di chi, non nato in terra istriana, si sente innervato in quelle memorie di forza e dolore, capaci di nuova creatività e nuovo cando- re umano. Con questi sentimenti e inten- sità progettuale, auguro a tutti Voi, cari Amici e Associati alla nostra Associazione, un 2014 all’altezza dei nostri desideri e all’insegna del- la creazione del Futuro della nostra Storia. Antonio Ballarin Presidente Anvgd S i è riunito lo scorso 25 novembre presso il Ministero della Pubblica Istruzione il Gruppo di la- voro sul confine orientale, convocato per definire mo- dalità e dettagli del Semina- rio nazionale 2014 e delle cerimonie di premiazione previste a coronamento del Concorso sul tema bandi- to per le scuole italiane dal Miur e dalle associazioni dell’esodo rappresentate nel Gruppo. Come sempre tempi stretti, ma condiviso im- pegno a procedere spedita- mente nella predisposizione del programma del Semi- nario di formazione e nella individuazione dei relatori, che saranno tutti docenti universitari, specialisti del- la materia. Già identificati anche i temi che saranno chiamati a svolgere nel cor- so della “tre giorni” previ- sta a Brindisi dal 13 al 15 marzo, a beneficio di cento docenti scolastici prove- nienti dalle diverse Regioni italiane. La scelta del capo- luogo pugliese, oggetto di un’attenta valutazione a più voci, è stata condivisa una- nimemente dai rappresen- tati delle associazioni e dai dirigenti del Dicastero in forza del significativo afflus- so in Puglia, nell’immedia- to dopoguerra, di profughi giuliani e dalmati distribu- iti su tutta l’area regionale, da Taranto al Campo pro- fughi di Altamura, da Bari a Brindisi a Barletta. Proprio l’accoglienza in Italia degli esuli sarà uno dei temi che verranno svolti nel corso del La nostra storia merita il futuro Periodico mensile dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia Centro Studi Padre Flaminio Rocchi ANNO XIX | N. 1 GENNAIO 2014 | POSTE ITALIANE SpA | SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE | D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) ART. 1 COMMA 2 DCB - ROMA LA REDAZIONE RISPONDE Riscatti agevolati, interpretazioni e diritti dei profughi A cura dell’Avv. Vipsania Andreicich 4 Seminario sul confine orientale 2014, a Brindisi nel decennale del Giorno del Ricordo Tra le relazioni previste l’accoglienza dei profughi giuliano-dalmati in Italia Law on “historical denial”: an aggravating offense, not a crime in itself Ley sobre el «negacionismo»: de posible reato a simple agravante In english language to page 14 En lengua española en la página 15 segue a pagina 12 Giuliani e Dalmati, protagonisti di una terra «Senza Confini» C on l’entrata della Croazia nell’Ue van- no finalmente sparendo gli ultimi confini dell’Adriatico mitteleuropeo, quelli che era- no tenacemente sopravvissuti al cambio di secolo, e si apro- no grandi possibilità per chi sarà in grado di coglierle. Da sempre sul confine di CAMPAGNA ADESIONI 2014 Prosegue con questo numero la Campagna adesioni a favore di “Difesa Adriatica”. A pagina 16 le modalità con le quali offrire il sostegno alla storica testata degli Esuli. Vi attendiamo dunque numerosi! segue a pagina 5 Marin Tudor

ANNO XIX N. GENNAIO 2014 1 La nostra storia merita il futuro · ne, quanto nuovo e generativo nel metodo e nel movimento. La nostra Storia è davvero così importante - non solo per

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L a nostra Storia merita il Futuro. E «il modo miglio-

re per predire il futuro è crearlo» (Forrest C. Shaklee). Per creare il futuro, occorre avere una roadmap, una cartina che sia davvero origi-nale e non segua i soliti contorni geografi ci, la solita topografi a e i so-liti itinerari, ma vada alla ricerca di un orientamento tanto saldamente fondato sulla Storia e sulla Tradizio-ne, quanto nuovo e generativo nel metodo e nel movimento.

La nostra Storia è davvero così importante - non solo per noi -, da meritare il Futuro. E dire «Futuro» equivale a richiamare possibilità nuove e orizzonti fi nora mai attra-versati e forse neanche pensati.

La Storia è un grande labora-torio di ricerca sperimentale e guai a chi voglia farne una specie di città dei morti viventi. Si vive nella Sto-ria perché noi, come esseri storici, desideriamo sempre qualcosa in più rispetto a quanto abbiamo oggi; aspiriamo, cioè, ad altri orizzonti di aspettativa e, nello stesso tempo, viviamo già spazi di esperienza che spingono, pulsanti, verso nuove se-minagioni e nuove avventure.

La nostra Storia merita il Futu-ro e noi glielo stiamo già fi n d’ora consegnando, creando laboratori e linguaggi a misura delle nostre aspettative crescenti. Perché per noi vivere è attendere ogni gior-no il miracolo della Vita, come ci hanno insegnato i nostri Nonni ed i nostri Padri, le nostre Madri ed i nostri testimoni e martiri, come la nostra amata Norma Cossetto, Me-daglia d’Oro al Merito Civile alla Memoria - queste personalità pure, straripanti di vita e coraggiose -, per come hanno aff rontato le dure diffi coltà della Storia, che ha sem-pre aspetti brutali e talvolta quasi insopportabili, ci chiedono di più, molto di più.

Molto di più rispetto alla resi-stenza o al revanscismo, alla riven-dicazione di sacrosanti diritti - ai quali teniamo come e più di tanti altri che li sbandierano da decenni, creando però soltanto un esercito di perdenti radicali -; molto di più rispetto al pur necessario Ricordo (anzi, dovremo, piuttosto, sempre più appellarci e fondare un’idea forte della Memoria: è un lavoro da condividere); molto di più: e cosa?

CREARE IL FUTURO, LA STORIA CI CHIEDE DI PIù

Un passo semplice ma non per questo facile, lo am-

mettiamo, che vorremmo spiegare facendo nostre le parole del grande fi losofo, scrittore e saggista rumeno, Emil Cioran, creatore di folgoranti aforismi, tra i quali il seguente: «Sia-mo tutti dei commedianti: soprav-viviamo ai nostri problemi». Noi prendiamo l’aforisma per indicare un paradosso al quale siamo stati tutti incatenati per decenni, ma poi lo rovesciamo come un calzino. In-fatti, Cioran, nel suo lavoro, dà per scontato che gli uomini siano tutti così e così vivano e muoiano, alla fi ne, un destino ineluttabile.

In realtà, non è così, perché noi abbiamo la libertà e possiamo, appun-to, creare il nostro futuro: basta smet-terla di pensarci come custodi delle memorie del sottosuolo, dei nostri morti e dei nostri privatissimi ricordi, elevati a feticci della Storia, molto più grande e molto più pretenziosa. La Storia che ci chiede di più e alla qua-le di più dobbiamo dare, proprio per meritarci il Futuro, che i nostri Padri vogliono sia la nostra casa comune.

L’ottimismo e l’amore alla vita della nostra gente, da sempre labo-riosa e creativa, deve essere l’attitu-dine e l’atteggiamento orientato, già sin d’ora, al futuro, perché dob-biamo evitare di essere dei perdenti radicali e “sfi gati” per connotazione naturale, perché noi non vogliamo applicare il metodo mortifero all’esi-stenza storica; noi non siamo di quelli che “per punire gli altri di esse-re più felici di noi, inoculiamo loro, in mancanza di meglio, le nostre angosce”. Al contrario: dobbiamo creare una comunità di “pari”, cioè di uomini e donne orientati al futu-ro, ovvero capaci di creare il futuro. Capaci, cioè, di cogliere i veri segnali della Storia. Ne citiamo due, in par-ticolare, uno “macro”, l’altro (si fa per dire) “micro”, ma molto “macro” nella germinazione e negli sviluppi.

LA NOSTRA PARTITASI GIOCA SU UN

CAMPO PIù VASTO

Q uello “macro” è sotto gli occhi di tutti: la Croazia

è in Europa. E noi, oggi, dialoghia-mo con la Croazia con la nostra consapevolezza di Associazione aperta e pronta a cogliere le occasio-ni storiche che questo evento ci of-fre - ad ogni livello: diritti, socialità, economia -, sapendo che la nostra partita si gioca su un campo più vasto e signifi cativo che è, appunto, l’Europa stessa.

Quello “micro” - in realtà, “macro” per gestazione, genera-tività e futuro - è lo spettacolo di Simone Cristicchi, «Magazzino 18». Un’opera d’arte e di creatività linguistica non seconda a nessun’al-tra opera teatrale di testimonianza civile e, nel contempo, un messag-gio proveniente da un uomo, il suo autore, nato a Roma, e dunque non sospetto di contiguità con il retro-terra politico-culturale almeno di una certa parte del nostro mondo.

Eppure, questo sensibile e colto artista, che ha già mandato messag-gi non comuni e fuori dagli schemi anche in campo prettamente mu-sicale, sta dentro la nostra Storia e ci sta con l’umile curiosità di chi si apre ad un pezzo della sua persona-le storia di italiano e di cittadino. Questo è il metodo: la domanda condivisa.

Si è soli quando nessuno con-divide la domanda che urge nel tuo cuore. Ecco perché noi abbiamo vissuto tanta solitudine ed abbiamo alimentato questa temperie facen-dola diventare isolamento.

Dunque, Cristicchi è un segna-le “macro” nel nostro mondo e nel sistema di linguaggi e originalità che intendiamo creare e soltanto l’umil-tà delle proporzioni ci ha mossi a indicarlo come “micro”; ma chi ha visto lo spettacolo non tarderà a visualizzarlo come “macro” nel suo immaginario e nella realtà di ogni giorno, con eff etti virali e contagiosi certamente sorprendenti.

Stupiamoci, dunque, della nostra Storia e non diamola trop-po per scontata, perché il vero “ritorno” è l’apertura delle porte dell’anima di chi, non nato in terra istriana, si sente innervato in quelle memorie di forza e dolore, capaci di nuova creatività e nuovo cando-re umano.

Con questi sentimenti e inten-sità progettuale, auguro a tutti Voi, cari Amici e Associati alla nostra Associazione, un 2014 all’altezza dei nostri desideri e all’insegna del-la creazione del Futuro della nostra Storia.

Antonio BallarinPresidente Anvgd

S i è riunito lo scorso 25 novembre presso

il Ministero della Pubblica Istruzione il Gruppo di la-voro sul confi ne orientale, convocato per defi nire mo-dalità e dettagli del Semina-rio nazionale 2014 e delle cerimonie di premiazione previste a coronamento del Concorso sul tema bandi-to per le scuole italiane dal Miur e dalle associazioni dell’esodo rappresentate nel Gruppo.

Come sempre tempi stretti, ma condiviso im-pegno a procedere spedita-mente nella predisposizione del programma del Semi-nario di formazione e nella individuazione dei relatori, che saranno tutti docenti universitari, specialisti del-la materia. Già identifi cati anche i temi che saranno

chiamati a svolgere nel cor-so della “tre giorni” previ-sta a Brindisi dal 13 al 15 marzo, a benefi cio di cento docenti scolastici prove-nienti dalle diverse Regioni italiane. La scelta del capo-luogo pugliese, oggetto di un’attenta valutazione a più voci, è stata condivisa una-nimemente dai rappresen-tati delle associazioni e dai dirigenti del Dicastero in forza del signifi cativo affl us-so in Puglia, nell’immedia-to dopoguerra, di profughi giuliani e dalmati distribu-iti su tutta l’area regionale, da Taranto al Campo pro-fughi di Altamura, da Bari a Brindisi a Barletta. Proprio l’accoglienza in Italia degli esuli sarà uno dei temi che verranno svolti nel corso del

La nostra storia merita il futuro

Periodico mensile dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e DalmaziaCentro Studi Padre Flaminio Rocchi

ANNO XIX | N.

1

GENNAIO 2014 | POSTE ITALIANE SpA | SPEDIZIONE IN ABBONAMENTO POSTALE | D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) ART. 1 COMMA 2 DCB - ROMA

LA REDAZIONE RISPONDERiscatti agevolati, interpretazioni e diritti dei profughi

A cura dell’Avv. Vipsania Andreicich 4

Seminario sul confi ne orientale 2014, a Brindisi nel decennale

del Giorno del RicordoTra le relazioni previste l’accoglienza dei profughi

giuliano-dalmati in Italia

Law on “historical denial”: an aggravating off ense, not a crime in itself

Ley sobre el «negacionismo»: de posible reato a simple agravante

In english language to page 14

En lengua española en la página 15

segue a pagina 12

Giuliani e Dalmati, protagonisti di una terra «Senza Confi ni»

C on l’entrata della Croazia nell’Ue van-

no finalmente sparendo gli ultimi confini dell’Adriatico mitteleuropeo, quelli che era-no tenacemente sopravvissuti

al cambio di secolo, e si apro-no grandi possibilità per chi sarà in grado di coglierle.

Da sempre sul confine di

CAMPAGNA ADESIONI 2014Prosegue con questo numero la Campagna adesioni a favore di “Difesa Adriatica”.A pagina 16 le modalità con le quali off rire il sostegno alla storica testata degli Esuli.Vi attendiamo dunque numerosi!

segue a pagina 5

Marin Tudor

È stata rinnovata in no-vembre la Convenzio-

ne triennale tra le associazioni degli esuli e i Ministeri per i Beni e le Attività Culturali e degli Esteri per la realizzazio-ne, nel periodo in oggetto, dei progetti culturali e divulgativi intesi a promuovere la cono-scenza della storia della Vene-zia Giulia e della Dalmazia.

La convenzione, che pre-vede uno stanziamento nel triennio per la tutela del patri-monio storico e culturale degli esuli istriani, fiumani e dal-mati, è stata firmata nella sede del Ministero degli Esteri, dal segretario generale del Mibac, Antonia Pasqua Recchia, dal direttore generale per l’Unione Europea del Mae, ambasciato-re Luigi Mattiolo, e dal presi-dente della Federazione delle Associazioni degli Esuli Istria-ni, Fiumani e Dalmati, Renzo Codarin. Questi ha espresso soddisfazione «perché, nono-stante il periodo di crisi e di risorse limitate, sono stati con-fermati gli stanziamenti, a con-ferma dell’attenzione che c’è nei nostri confronti da parte del Governo e della Presiden-za della Repubblica come già

dimostrato nel corso di questi anni da tutti i soggetti che si sono alternati».

Con questo documen-to vengono assegnati, per le iniziative di carattere storico, divulgativo e culturale, fon-di potranno essere utilizzati per pubblicazioni, attività dei

centri di documentazione e di studio, spettacoli di particola-re valenza. «Questi fondi - ha aggiunto Codarin - sono stati fondamentali negli ultimi anni per realizzare numerose ini-ziative che hanno permesso di accrescere la conoscenza delle vicende dell’esodo in Italia».

L’obiettivo più ambizio-so per il prossimo triennio, ha rivelato il presidente della FederEsuli, sarà la realizzazio-

ne di una mostra permanente sull’esodo all’interno del Mu-seo del Vittoriano a Roma, che possa integrare il percorso sto-rico ricreato all’interno dell’Al-tare della Patria sulle vicende che hanno condotto all’unifi-cazione d’Italia.

«Ad oggi il museo sul-

la storia dell’indipendenza italiana si ferma alla Prima Guerra e a Nazario Sauro. Il nostro obiettivo è raccontare anche la storia dell’esodo che è parte integrante della storia d’Italia. L’ingresso della Cro-azia nell’Unione Europea e i rapporti migliorati tra i due Paesi - aggiunge Codarin - do-vrebbe rendere più agevole il percorso per realizzare questo obiettivo».

d. a.

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FATTI e COMMENTI

Numero 1 | Gennaio 2014

Come ogni anno nella ricorrenza del Giorna-

ta della Memoria, l’Associazio-ne Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia si unisce al tributo di cordoglio e alla condivisa pre-ghiera che da ogni parte ven-gono dedicati alle vittime della Shoah, che travolse in Europa, in Italia e nella Venezia Giulia intere comunità di antico inse-diamento, protagoniste attive e riconosciute della vita socia-le, economica e culturale.

In particolare, gli Esuli giuliani e dalmati rivolgono commosso pensiero ai corre-gionali di religione ebraica, con i quali hanno pienamen-te condiviso, in un territorio naturalmente vocato alla con-

vivenza di popoli, relazioni umane e percorsi storici.

Le significative presenze ebraiche a Fiume e ad Abba-zia, attestate da almeno il XV secolo, accresciutesi a partire dal XVIII con arrivi dall’in-tero impero austriaco e dalla nostra Penisola e pervenute alla migliore integrazione tra XIX e XX, hanno connotato in misura significativa il carattere e il costume di quella regione, adusa da secoli ad accogliere nella comune eredità latina e veneziana le diverse ed anche lontane origini.

«Era una vita molto civile, con grande rispetto […]», ha testimoniato una studiosa di Fiume, Anita Antoniazzo, ri-

ferendosi al clima di tolleran-za consolidato in quei luoghi sul lungo periodo; a lei ha fat-to recentemente eco Federico

Falk, uno dei pochi fiumani ebrei sopravvissuti alla Sho-ah, con il suo prezioso saggio dedicato alle comunità dal

1867 al 1945. E con profitto si leggono

ancora le pagine di Paolo San-tarcangeli, decano degli studi

ungheresi in Italia, e di Teo-doro Morgani, primo autore di una storia dell’ebraismo nel Quarnero. Esuli in Italia

anch’essi, nel dopoguerra, al pari dei concittadini cristiani con i quali avevano condiviso, in naturale spirito di convi-venza, l’opzione per l’Italia a prezzo della perdita irreparabi-le di beni, prospettive di vita, affetti. Esuli due volte, dun-que, e vittime, come Angelo Adam, ebreo, repubblicano e antifascista, autonomista ma di sentimenti italiani, prima deportato a Dachau nel 1943 poi, rientrato nella sua Fiu-me, prelevato dai partigiani di Tito e scomparso nel nulla, certamente infoibato, insieme con la moglie e la figlia che ne chiedevano notizie.

In questa ricorrenza, come nel Giorno del Ricordo, l’As-sociazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia riafferma il prezioso valore storico e civile della memoria e della testimo-nianza, antidoto alla deriva dell’intolleranza, dell’igno-ranza e degli estremismi di ogni sorta che ancora ai no-stri giorni agiscono in spregio della civiltà e della convivenza umana.

Red.

Nel Giornata della Memoria, ricordandoi fratelli giulianidi religione ebraica

Q Fiume, l’interno del Tempio israelitico interamente distrutto nel gennaio 1944 dall’incendio provocato dalle autorità naziste

«I love Foiba», la T-shirt dei perdenti

E ra già comparsa nel 2010 a Roma, la scritta «I love Foi-ba», ed è riapparsa in novembre ad Albano Laziale su

alcune maglie nel corso di una manifestazione indetta dalla sini-stra radicale e antagonista nella ricorrenza della caduta del muro di Berlino, il 9 novembre, alla quale hanno aderito e partecipa-to esponenti di «collettivi», centri sociali, Anpi ed esponenti di Sel, tra i quali il deputato Filiberto Zaratti.

Ancora una volta si è dovuto registrare l’intollerabile ingiu-ria che per straordinaria ignoranza e totale, impermeabile cecità ideologica si rivolge alle vittime degli eccidi perpetrati dai par-tigiani jugoslavi di Tito dal 1943 a ben oltre la fine del secondo conflitto mondiale, e nei confronti della popolazione italiana della Venezia Giulia, costretta all’esodo dal clima di terrore in-staurato dal regime comunista jugoslavo per condizionare le successive trattative di pace.

Indossare una maglia con quella ignobile scritta significa condividere il metodo della violenza più abietta e infamante per chi la esalta e la rimpiange, significa porsi agli antipodi della ci-vile convivenza e dichiarare la propria incapacità di relazionarsi alla storia e agli uomini con gli strumenti dell’onestà intellettua-le e della seria, equilibrata riflessione storiografica.

Conforta sapere che que-ste frange settarie, nostalgiche delle ideologie prevaricatrici e illiberali condannate dalla co-scienza contemporanea, rap-presentano l’avanzo residuale della barbarie egemonica e razzista che ha devastato l’Eu-ropa nel secolo dei totalitari-smi.

red.

Q La maglietta con la scritta «I love Foiba» indossata dal manifestante in piedi sull’autocarro(foto www.ilgiornale.it)

W Roma, il Ministero degli Affari Esteri

Memorie dell’esodo, civiltà giuliano-dalmata, rinnovata la convenzione Stato-AssoEsuli per il triennio 2013-2015

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Numero 1 | Gennaio 2014

CULTURA e LIBRI

Carla Carloni Mocavero rivisita la vicenda dell’insegnante che uccise De Winton

O ra che la sua vicen-da terrena si è con-

clusa - Maria Pasquinelli è infatti scomparsa il 3 luglio 2013, a oltre cento anni di età - il silenzio è sceso sia sul suo nome, sia sulla vicenda che la vide protagonista il 10 febbraio 1947 a Pola. In quella data - la stessa in cui, a Parigi, veniva firmato dalle

Potenze vincitrici il trattato di pace - Maria Pasquinel-li colpì a morte il generale britannico Robert W. De Winton: un simbolo, ai suoi occhi e nella sua mente, del-la decisione, presa ai più alti livelli, di cedere alla Jugosla-via Fiume, Zara e l’Istria. Il silenzio di oggi non è in fon-do molto dissimile da quello mantenuto dalla Pasquinelli per oltre sessant’anni, fatte salve ovviamente le dichia-razioni fornite in sede pro-cessuale; solo in parte rotto, quel volontario silenzio, da quanto emerge da un libro di Rosanna Turcinovich Giuri-cin, La giustizia secondo Ma-ria, pubblicato nel 2008.

Non c’è traccia di Maria Pasquinelli in prima persona, nel volume di Carla Carloni Mocavero, perugina di nascita e triestina d’adozione, fonda-trice del Pen Club di Trieste e docente di Scrittura Creativa all’Università della Terza Età “Danilo Dobrina”, autrice di romanzi, libri di poesia e ope-re di saggistica. Non in prima persona, ma certo la presenza della Pasquinelli aleggia in tutte le pagine del libro; rivi-vono, attraverso gli articoli di stampa dell’epoca, sia le sue deposizioni durante il proces-so, sia l’appassionata arringa difensiva del suo difensore, l’avvocato Luigi Giannini, che non riuscirà peraltro a evitar-le la condanna a morte, poi

commutata nell’er-gastolo, prima della grazia concessale nel settembre 1964.

Ma rivivono an-che i trascorsi della Pasquinelli, inse-gnante elementare a Milano dal 1932 al 1941 e alle medie di Spalato dal 1941 al 1943, iscritta dal 1933 al Partito fa-scista e dal 1939 alla “Scuola di Mistica Fascista” di Roma. Trascorsi che con-tribuiscono a far luce sulla vita e sulla psicologia della Pa-squinelli, così come la sua presenza quale crocerossina in Afri-

ca settentrionale e il suo ten-tativo di seguire i soldati al fronte, tagliandosi i capelli e vestendosi da uomo: tentati-vo piuttosto maldestro che, subito scoperto, portò al suo rimpatrio e alla radiazione dalla Croce Rossa.

Sullo sfondo della rico-struzione della Carloni Mo-cavero vi è poi la situazione dei territori orientali, sogget-ti all’occupazione prima del-le truppe tedesche e poi dei «titini», con il corollario di violenze, arresti indiscrimi-nati, infoibamenti. Fu pro-prio la Pasquinelli, durante il periodo trascorso a Spalato, a procedere alla riesumazio-ne delle salme di 106 italiani (tra i quali il provveditore agli Studi Soglian e il presi-de del Ginnasio dove lei in-segnava, Luginbuhl) fucilati dai partigiani. Molto attenta, e partecipe, la ricostruzione della Carloni Mocavero per quanto riguarda il clima che

fece da premessa e da con-torno all’attentato contro De Winton, e puntuale anche nel cercare di capire - e non giustificare, come l’Autrice sottolinea - le motivazioni ideali che armarono la mano di Maria Pasquinelli, per la quale aleggia nel libro un diffuso sentimento di sim-patia che non si spinge mai comunque alla condivisione del suo gesto estremo.

A maggior ragione risul-ta quasi scollegato dal testo il tentativo di far passare quel gesto non come frutto di una iniziativa personale e del tutto isolata della Pa-squinelli, ma come momen-to culminante di una più ampia e sotterranea manovra dai contorni ancora oscuri. Passi per la vicenda dei con-tatti intercorsi fra la X Mas di Junio Valerio Borghese, la Marina del Regno del Sud e formazioni partigiane non comuniste (come la “Osop-po”) per un’azione comu-ne in funzione anti-titina: contatti che in effetti ci fu-rono (anche se in termini e modi ancora da definire), e nell’ambito dei quali il ruolo ricoperto dalla Pasquinelli, se anche ci fu, è tutto da chiari-re e probabilmente poco più che marginale. Ma da qui a ipotizzare un coinvolgimen-to nel fatto di sangue di Pola dei servizi segreti britannici (non se ne comprendereb-bero gli scopi occulti) o ad-dirittura un collegamento con il separatismo siciliano e Salvatore Giuliano, il passo è quanto mai lungo e azzarda-to, col rischio di cadere dalla ricostruzione storica alla spy story.

Meno azzardato e allo stesso tempo tutt’altro che riduttivo e semplicistico, ve-dere nel gesto di Maria Pa-squinelli un atto isolato, per spiegare il quale si possono portare tutte le attenuanti generiche che si vogliano; a cominciare, e finire, con i risultati emersi dalla perizia medico-psichiatrica cui fu sottoposta l’imputata a pro-cesso in corso, che parlarono di una sua sanità mentale e di un suo contingente stato di responsabilità diminuita o limitata.

Guglielmo Salotti Carla Carloni Mocavero,

La donna che uccise il generale. Pola, 10 febbraio 1947,

Ibiskos Editrice Risolo, Empoli (Fi) 2012, pp. 242. Euro 12,00

Storia dell’Istriae della Dalmazia, la presentazione a Roma

N ella sala riunioni del l ’Associaz ione

Veneta in Roma è stato pre-sentato, mercoledì 13 no-vembre 2013, il pregevole libro di Paolo Scandaletti Storia dell’Istria e della Dal-mazia. Ne ha già accennato su queste colonne il prof. Fulvio Salimbeni (si veda la sua intervista su “Difesa Adriatica” di Ottobre 2013), e non possiamo che confer-mare il giudizio positivo su un libro che con prosa bril-lante e concisa coniuga una puntuale ricostruzione della

vicenda politica delle nostre terre ad un’attenta lode delle sue bellezze quali esse si ap-palesano sul piano artistico e naturale.

Così, dei tre relatori il ministro plenipotenziario Egone Ratzenberger ha volu-to porre in rilievo tre punti di particolare interesse, fra cui la prima parte del libro con il suo preciso excursus sul passato geologico della regione nonché sulle vicen-de dei suoi popoli e delle loro parlate appunto per ri-cordarci che la storia di una regione e dei suoi popoli vie-ne da lontano. Ratzenberger ha poi voluto sottolineare l’equanimità ed il pacato coraggio di Paolo Scandalet-ti nella descrizione dei fatti storici di metà Novecento e precedenti decenni con la menzione delle intemperan-ze e delle ingiustizie del go-verno mussoliniano e della sua aggressione dell’aprile 1941: ciò che poi ha meglio permesso all’Autore di fare una puntuale ricostruzione

delle violenze titine, degli orribili infoibamenti e del-le altrettanto orribili pulizia etniche e delle ingiustizie av-vallate dal Trattato di Pace. Quasi a porci su un piano più sereno, la bellezza delle sognanti illustrazioni tratte con ogni probabilità da qual-che volume dell’Ottocento ha costituito il terzo tema.

Il presidente onorario Anvgd Lucio Toth ha altresì preso le mosse dalla prima parte del libro sottolinean-do, ad esempio, le alleanze quasi spontanee fra Romani e Veneti, la caparbietà degli antichi Istri e Dalmati e le loro resistenze. Ricordando che nell’Istria occidentale era quasi esclusiva la pre-senza verso l’interno dell’et-nia italiana, egli ha posto un particolare accento su quanto la Storia dell’Istria e della Dalmazia aveva ri-ferito sull’osmosi culturale e sociale fra le due sponde dell’Adriatico, allorché per secoli si era registrato un incessante scambio di perso-nalità, di vescovi, di maestri del sapere, di artisti, di notai con la chiara manifestazione di una comunità culturale che superava le acque adria-tiche.

Molto interessanti altre-sì le osservazioni del prof. Martin che ha voluto certifi-care all’Autore di essere me-ritatamente curioso ed alla ricerca dei fatti veri poi da lui versati in un’ottima scrit-tura del tutto comprensibile ai profani. Con la capacità altresì di calamitare l’atten-zione senza comunque per-dere di vista il quadro gene-rale e seguendo un filo rosso che ci guida negli anni nel libro fino alle tragedie della fine della guerra e del do-poguerra. Ma, ha osservato Martin, si registra su tutto il complesso un problema giuridico di fondo e cioè quello afferente al concetto di «sovranità malintesa» che per affermarsi si avvale ap-punto del potere dello Stato fortemente legato all’idea di nazionalità e della stretta appartenenza etnica. Mentre al contrario vi è un’acuta ne-cessità di collegarle al con-cetto di tutela dei gruppi e delle comunità che non appartengono alla maggio-ranza. Secondo un principio di sussidiarietà verticale e secondo parametri che eb-bero la loro consacrazione in Europa all’epoca di De Gasperi.

E. R.

Pasquinelli, il dramma e le ipotesi

W Dintorni di Trieste, 1947, scritte inneggianti a Tito e alla Jugoslavia (foto David Seymour / www.magnumphotos.com)

X Pola 1947, masserizie sotto la neve(foto www.wordpress.com)

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Numero 1 | Gennaio 2014

Riscatti agevolati, interpretazioni e diritti dei profughi A cura dell’Avv.Vipsania Andreicich

Alcuni giorni fa ho ap-preso dai giornali che è sta-ta sospesa una delibera del Comune di Genova, con la quale veniva data attuazione alla Legge Regionale della Li-guria n. 40 del 29 novembre 2012 relativa alla vendita degli immobili di edilizia re-sidenziale pubblica destinati agli esuli, al prezzo del 50% del costo di costruzione. Che speranze ci sono per noi esuli di poter finalmente acquista-re gli immobili al prezzo in-dicato dalla legge?

Lettera firmata

L a Legge regionale n. 40 del 29 novembre

2012, aveva risolto, anche se solo per la Regione Liguria, l’annosa questione relativa alla cessione degli immobili destinati ai profughi. Il pro-blema, che ci siamo più vol-te trovati ad affrontare, ri-guarda la differenza, rilevata dalle amministrazioni inca-ricate di gestire il patrimo-nio immobiliare dello Stato, tra coloro ai quali era stato assegnato un alloggio in uno stabile costruito dallo Stato esclusivamente per i profu-ghi (art. 18 L. 137/1952) e coloro ai quali era stato asse-gnato un alloggio in relazio-ne ad una quota di riserva destinata ai profughi (art. 17 L.137/1952).

Il problema riguarda principalmente l’applicazio-ne della Legge 560/93 e pre-cisamente l’art. 1 comma 24, il quale prevede la cessione degli alloggi assegnati ai pro-fughi ad un prezzo di miglior favore che è pari al 50% del costo di costruzione.

Secondo il parere degli enti che attualmente gesti-scono gli immobili dello Stato, il prezzo di miglior favore deve essere applicato

solo a co-loro che risiedono in alloggi costruiti a p p o s i -t a m e n -te per i profughi, m e n t r e per colo-ro ai qua-li è stato as segna-

to il proprio alloggio come quota di riserva, tale diritto non è riconosciuto.

L’Anvgd sta lottando da molti anni affinché il diritto all’acquisto degli alloggi al prezzo di miglior favore ven-ga riconosciuto anche ai così detti «riservatari», e molte-plici sono state le vittorie in ambito giudiziario (si veda la sentenza Consiglio di Sta-to 1176/05) e legislativo.

L’ultima conquista era stata proprio quella della Legge regionale della Li-guria, la quale ha disposto che i profughi assegnatari della quota degli alloggi di edilizia residenziale pub-blica loro riservati ai sensi dell’articolo 17 della L. 4 marzo 1952, n. 137, ovvero ai sensi dell’articolo 34 del-la L. 26 dicembre 1981, n. 763, hanno titolo ad acqui-starli alle condizioni di mi-glior favore. La normativa

precisa inoltre che, il prezzo di cessione di tali alloggi è determinato nella misura del 50 per cento del costo di costruzione di ogni singolo alloggio alla data di ultima-zione della costruzione stes-sa ovvero di assegnazione dell’alloggio, se anteriore.

Si era ritenuto che que-sto dispositivo fosse una grande vittoria, in quanto finalmente il legislatore ave-va disposto con una legge - che non poteva dare adito a errate interpretazione - che anche coloro che avevano avuto assegnato un immobi-le ai sensi dell’art. 17 della L. 137/1952, potevano go-dere delle agevolazione pre-viste per la prima volta nella L. 560/93.

Come abbiamo sem-pre sostenuto l’art. 1 com-ma 24 della Legge 560/93, che ha previsto l’acquisto per i profughi degli alloggi a loro assegnati al prezzo pari alla metà del costo di costruzione, non può essere applicato solo ad una parte di profughi, in quanto così facendo si verrebbe a creare un trattamento differente all’interno della stessa cate-goria di persone venendo, in tal modo, a ledere uno dei principi cardine della stessa Costituzione, ovvero il di-ritto di eguaglianza.

Sulla base delle pre-dette considerazioni, non possiamo che riconoscere, nella sospensione della de-libera comunale, l’ennesi-ma ingiustizia perpetrata ai danni dei profughi. Da parte della nostra Asso-ciazione non possiamo, al momento, far altro che confermare il nostro impe-gno al raggiungimento del-la totale e giusta applica-zione delle norme a favore dei profughi.

LA REDAZIONE RISPONDE

W Insediamenti abitativi in costruzione negli anni Cinquanta

I l presidente del Co-mitato Anvgd di Fer-

rara, Flavio Rabar, informa dell’esito positivo della se-gnalazione indirizzata alla sede ferrarese della Banca Carisbo, che tempo addie-tro aveva mancato di ap-plicare le norme vigenti in

materia di anagrafiche di cittadini profughi dalla Ve-nezia Giulia. «La risposta della Banca, sede di Ferra-ra, - scrive Rabar - ritenia-mo concluda lo scopo della segnalazione».

Il direttore della Cassa di Risparmio di Bologna ha inteso assicurare che «la Ca-risbo e tutto il Gruppo In-tesa-Sanpaolo già rispettano la Legge n. 54/1989». «La nostra procedura anagrafica - precisa il dirigente - garan-tisce il legame storico con il codice catastale, in Anagrafe generale viene già rispettata la legge, in quanto alla deno-

minazione della città non è fatto alcun riferimento allo Stato a cui essa ora appar-tiene. Il nostro programma, collegandosi al codice ca-tastale, riconosce perfetta-mente la validità di Fiume e non indica nulla in relazione alla Croazia.

Quindi direi che il pro-blema è già stato affrontato e superato - conclude -. Può capitare che a livello di opera-tore di filiale non si abbiano strumenti o conoscenze per indicare il dato correttamen-te, ma a livello centrale tutto è censito correttamente».

Ricordiamo quanto re-cita l’Articolo 1 della legge: «Tutte le amministrazioni dello Stato, del parastato, degli enti locali e qualsiasi altro ufficio o ente, nel rila-sciare attestazioni, dichiara-zioni, documenti in genere, a cittadini italiani nati in co-muni già sotto la sovranità italiana ed oggi compresi nei territori ceduti ad altri Stati, ai sensi del trattato di pace con le potenze alleate ed as-sociate, quando deve essere indicato il luogo di nascita dell’interessato, hanno l’ob-bligo di riportare unicamen-te il nome italiano del comu-ne, senza alcun riferimento allo Stato cui attualmente appartiene».

L’Articolo 2 precisa inol-tre: «Le amministrazioni, gli enti, gli uffici di cui all’ar-ticolo 1, sono obbligati, su richiesta anche orale del cit-tadino stesso, ad adeguare il documento alle norme della presente legge».

red.

Cosala, le autorità italiane impegnate nella ricerca dei titolari

«È nell’interesse di tutti, e quindi an-

che nel nostro, tutelare un patrimonio che rappresenta una ricchezza. Siamo impe-

gnati nelle attività volte a far sì che un numero quan-to più piccolo possibile di tombe, e in particolare quel-le recanti iscrizioni italiane, vadano perdute. In tal senso collaboriamo da parecchio tempo con la società muni-cipalizzata per fornire, su sua richiesta, gli indirizzi degli eredi dei titolari dei diritti di concessione sulle tombe. Nel tentativo di limitare le perdite, come Consolato generale, ci siamo rivolti ai Comuni e alla Polizia italia-na e siamo riusciti a trovare diverse decine di eredi che

avevano cambiato indirizzo. Inoltre - aggiunge il console generale Cianfarani -, abbia-mo parlato della questione anche con la Sovrintendenza e manteniamo i contatti con la Comunità degli Italiani e con le Associazioni degli esu-li, ovvero con tutte le istitu-zioni interessate a tutelare e preservare un importante pa-trimonio storico e artistico».

Lo ha dichiarato il con-sole generale d’Italia a Fiume Renato Cianfarani, attiva-tosi per fornire supporto sia all’azienda di gestione del Cimitero sia ai cittadini ita-

liani che lo richiedano.Secondo il quotidiano

italiano di Fiume “la Voce del Popolo” si stima possano essere circa 200 i cittadini italiani potenziali titolari di tombe a rischio. Nella prima fase del progetto concordato nello scorso giugno, la «Kd Kozala» ha fornito al Con-solato i fascicoli relativi a 50 sepolture. Di queste, grazie al coinvolgimento del Con-solato sono stati rintracciati 30 presunti titolari, mentre altri 18 fascicoli sono in fase di esame.

d. a.

Anagrafica dei profughi, Carisbo rispetta la normativa

vari regni e dunque mélange particolare di popoli e tradi-zioni, si può affermare che le nostre terre tornino oggi a respirare a pieni polmoni, anche se un po’ timidamente, la dimensione che gli è più vicina: quella sovranaziona-le. Tra le molte opportunità che si stanno aprendo con il raggiungimento di questa nuova dimensione, vi è anche e finalmente la possibilità di partecipare in modo ufficiale ai vari progetti europei qua-li i Gect (Gruppi europei di cooperazione territoriale, meglio conosciuti come «eu-roregioni»).

È in particolare il caso delle genti istriane, nonché quarnerine. Esse si appresta-no infatti ad entrare ufficial-mente nella neonata «Euregio Senza Confini» [il Gect sot-toscritto nel novembre 2012 dalla Regione Friuli Venezia Giulia, Veneto e dal Land austriaco della Carinzia, che in prospettiva si amplie-rà all’area istro-quarnerina, ndr]. Uno spazio economico sì, ma prima di tutto per noi uno spazio dell’anima che ha come capitale l’asburgica

Trieste, copre un territorio forte di quasi 10 milioni di abitanti, due economie avan-zate e due economie semi-avanzate.

In questa terra che si di-rama dai monti della Carin-zia alle isole della Dalmazia settentrionale, dalle Alpi Di-nariche alla Pianura Veneta, vi sono tante differenze che stiamo lentamente imparan-do a riconoscere come ric-chezze, e pochi, ma profonda-mente radicati, denominatori comuni. Tra essi di certo va annoverata la storia comune di stampo austro-ungarico, quello spirito da Belle Épo-que sospeso tra presente e fa-sti del passato, la tradizione imperiale, ma anche quella di stampo squisitamente ve-

neziano, ispirata dai viag-gi esotici e dal commercio, dall’abbattimento dei confini geografici e mentali di “mar-copolesca” memoria. E grazie a queste le nostre terre sono sempre state molto fertili di menti capaci di una com-prensione del mondo ricca e squisitamente multilaterale.

L’altro denominatore co-mune, molto più attuale e forse più interessante per noi, è rappresentato invece da un popolo. Un popolo che vede la propria presenza oggi spar-pagliata su tutto il territorio e che vive praticamente in ogni canton della nuova eurore-gione. Parlo ovviamente dei Giuliani.

GLI ITALIANIDELLA VENEZIA

GIULIA IL POPOLOPIù RADICATO

S ono infatti gli italiani della Venezia Giulia

il popolo che in queste ter-re ha la storia più radicata e particolare, l’esperienza sicu-ramente più forte. Essi, oltre a condividere la storia mitte-leuropea e veneziana con gli altri abitanti di queste terre,

nello scorso secolo sono per gran parte stati toccati di-rettamente o indirettamente dalla drammatica esperienza dell’esodo. Tale esperienza ne ha plasmato l’animo e ne ha arricchito ulteriormente la comprensione del mondo. Ed in tutta la sua tragicità, l’evento ha donato alla gen-te giuliana un grande spiri-to, capace di capire l’altro in modo estremamente profon-do ed a livelli di complessità unici, anche quando questo sentimento non è corrisposto (per incapacità) dall’altro.

È questo un talento che pochi altri gruppi coesi ed estesi di persone possiedono, sia tra i connazionali, che tra i vicini europei. Va annove-rato dunque tra le ricchezze

della nostra gente, ed i Giu-liani sono essi stessi e senza dubbio alcuno tra le maggio-ri ricchezze di questa terra.

Oggi che le barriere ca-dono il loro talento potreb-be rivelarsi particolarmente importante, in un momento nel quale iniziamo a plasma-re quell’euroregione nella quale vivremo per i decenni a venire. I giuliani dopo set-tant’anni si trovano anche istituzionalmente tutti uniti sotto una stessa bandiera ed entità sovranazionale. E se stanno in questi mesi ed anni attivamente ricucendo l’ani-ma lacerata di queste terre, l’Euroregione gli si presenta con nuovi strumenti e canali molto potenti per perseguire tale attività.

UNA GRANDE ESPERIENZA DA CONDIVIDERE

T ra i Giuliani poi una posizione particola-

re l’hanno i molti esuli ed i loro figli. Sono infatti essi che, avendo passato tutta una vita o quasi nell’Europa unita, hanno ora una grande esperienza da condividere. Ognuno secondo la propria professione ed attività, essi possiedono una comprensio-ne profonda e diretta di tutte le variabili connesse alla vita civica e politica nell’Unione Europea. Conoscenze che in Italia possono apparire banali e ovvie, risultano spesso sape-re specifico e molto ricercato in Croazia.

Se vorranno e sapranno far leva su questa propria qualità, gli esuli possono ef-ficacemente sfruttare posizio-ne e sapere per diventare vero ponte tra la parte occidentale del Gect e quella orientale, il trait d’union che manca tra i popoli della Croazia ed i po-poli dell’Italia.

Si noti poi, che mentre l’Istria abbraccia volentieri la riunione con i vicini, conso-lidando concretamente i rap-porti con la regione Veneto ed il Land della Carinzia, la contea Litoraneo-Montana e la città di Fiume appaiono molto più timide, seppure non manchino affermazioni e promesse riguardo l’adesione al Gect. Certamente rispetto alla veneziana Istria, la regio-ne quarnerina è sentita come una terra un po’ meno vicina anche da parte delle istitu-zioni venete e friulane. Ma proprio per questo è forse il luogo in cui l’intervento dei nostri esuli giuliani potrebbe giovare maggiormente, favo-rire il cambio più significati-vo, magari facendo pressioni e lobbying a favore di un’en-trata quanto più prossima di

Fiume e del suo hinterland nel Gect. Poiché non v’è dubbio che di un po’ d’aiu-to e ispirazione hanno biso-gno le istituzioni e le imprese locali, da due decenni molto più introspettive e meno ri-volte ai rapporti con l’estero rispetto alle loro controparti istriane. Essendo poco allena-ti alle relazioni internazionali ed alle buone pratiche occi-dentali, la grande esperienza e conoscenza sviluppate dagli esuli sarebbero recepite come una manna dal cielo in tempi di crisi e stravolgenti cambia-menti geopolitici per la città e la contea.

SUPERARE ANACRONISTICI TABù

IDEOLOGICI

U na mano gliela si potrebbe tendere

soprattutto con la speranza che poi si veda ricambiato il gesto. Va infatti notato come il Gect dovrebbe, tra le altre cose, portare alla fine di certi anacronistici tabù ideologici che ancora sopravvivono nel-la Croazia e soprattutto nel Quarnero odierni, conceden-do concretissime aperture ed un maggiore rispetto per la minoranza italiana. Andreb-bero infatti a decadere le ulti-

me barriere politico-mentali che impediscono il rispetto dei suoi sacrosanti diritti. Il bilinguismo nei centri mag-giori del Quarnero primo fra tutti.

E se è vero che, come dice il Presidente della Carinzia Gerhard Dorfler, «dobbia-mo dimostrare che l’Europa non si fa solo a Bruxelles o a Strasburgo, ma anche nelle nostre terre», allora la scarsa azione da parte della mag-gioranza croata diventa una vera opportunità per la mi-noranza, e soprattutto la sua parte in esilio, per diventare nuovamente protagonisti di queste terre, apportando un sereno e concreto beneficio a tutte le genti che vi abitano o che vi mantengono interessi ed affetti.

Chi scrive si sente infine di sottolineare che fattore fondamentale alla buona ri-uscita di queste idee e base primaria per essere capaci di sfruttare al massimo la

propria posizione, deve esse-re prima di tutto una forte unione d’intenti. Sappia-mo che a volte le due parti dell’italianità di queste terre, andati e rimasti, sono sta-te divise. Molto importante invece è che oggi queste due anime siano unite, nella vi-sione e negli intenti, affinché realizzino il proprio vero po-tenziale e per quanto possibi-le trascinino la maggioranza. Una cosa sicuramente fatti-bile, considerata la passività e scarsa comprensione con le quali quest’ultima guarda al progetto Europeo, vivendo-lo come tema ancora molto nuovo ed esotico. Una comu-nione d’intenti dunque, ed una visione comune, un ap-proccio concertato tra le va-rie istituzioni ed associazioni, ma anche tra i singoli mem-bri delle nostre comunità. Bi-sogna capire che condividia-mo tutti assieme una piccola fetta di responsabilità, anche nel nostro piccolo di singoli cittadini.

DIVENTARE VERI PROTAGONISTI DELLA

STORIA

D a giovane Fiumano, il messaggio fon-

damentale che mi sento di passare è dunque semplice: non si molli adesso, anzi, si trovi la forza di mettere una mar-cia in più, perché finalmente si può diventare veri pro-tagonisti della sto-ria, piuttosto che vittime di quella altrui.I giuliani possono

oggi effettivamente giocare un ruolo chiave nella buona riuscita del Gect, aiutando sia i propri connazionali in Croazia, sia quelle élite ita-liane (venete e friulane so-prattutto) che sono chiama-te a sviluppare questo nuovo progetto ed il rapporto con le autorità croate.

Perché, per dirla proprio tutta: chi in Italia ed in Eu-ropa meglio dei giuliani può capire terre e genti dell’Adria-tico Orientale? E chi meglio può plasmarne il futuro, se non coloro che più significa-tivamente e profondamente lo portano nel cuore?

Marin Tudor*

*Marin Tudor è un giovane eco-nomista e mediatore culturale laureato presso l’Università di Uppsala (Svezia). Ha vissuto e lavorato in vari Paesi europei ed extra-europei come conseguen-za del suo amore per il viaggio ed il sincero desiderio di com-prendere l’altro.

Numero 1 | Gennaio 20145

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GIULIANI E DALMATI, PROTAGONISTIDI UNA TERRA «SENZA CONFINI»

W Pirano, dettagli veneziani (foto www.arcor.de)

W Saluti da Fiume austro-ungarica, 1898

Deserto in Istria prima del VII secolo

Insuperabile è però http://www.to-porec.com/it/

storia-parenzo-istria: «Le popo-lazioni slave popolarono l’Istria, Parenzo e i territori circostanti nel 7° sec. d.C. Già nel 12° secolo la città ottenne l’autonomia am-ministrativa, ed il primo Statuto cittadino risale al 1250. Il domi-nio più lungo sulla città, durato oltre cinque secoli, lo esercitò la Serenissima. Con la dissoluzio-

ne della Repubblica di Venezia, Parenzo ricadde sotto un breve dominio dell’Impero d’Austria, seguito già nel 1805 dall’avvento dell’Impero francese di Napoleo-ne. Dal 1815 al 1918 la città ri-torna nuovamente agli austriaci. È un motivo di vanto per la città il fatto che sotto il dominio della monarchia Austro-Ungarica nel 1861 divenne capitale dell’Istria e sede della Dieta istriana quale massima autorità regionale.

Fino alla metà del novecen-to Parenzo vide il susseguirsi di una serie di regimi, sovrani e forme di governo diverse. Il pa-rentino fu così dominato dagli Ostrogoti, seguiti dai Franchi e dai patriarchi di Aquileia, dalla Repubblica di Venezia e dall’Im-pero Austriaco, dalle Province Il-liriche di Napoleone e dal Regno d’Italia. Nel 1943 Parenzo, con il resto dell’Istria, fu annessa alla Croazia, all’epoca parte della Ju-goslavia, divenuta nel 1990 stato indipendente».

Si intende far credere che pri-ma del VII secolo d. C. l’Istria sia stata un deserto umano. Dell’età romana e dei municipi latini nes-sun cenno, né si capisce da chi - con un salto di qualche secolo durante i quali non si sa cosa sia accaduto - nel XII Parenzo avesse ottenuto autonomia amministra-tiva. E si dà ad intendere che nel 1943 Parenzo sia stata «annessa alla Croazia», quando ancora il conflitto era in corso e sarebbe terminato due anni dopo. Ma di quel 1943 si tacciono gli ec-cidi delle Foibe, il terrore diffuso dalla prima ondata delle bande di Tito e tutto quanto accadde suc-

cessivamente, che non occorre qui ricapitolare.

«Pola si unì ufficialmente alla Croazia e alla Jugoslavia»

E andiamo su http://hi-storica.com/it/g/storia/,

al paragrafo Dai Romani fino ad oggi: «Un grande numero di mo-numenti  testimonia la presenza dell’Impero Romano su questo territorio, specialmente a Pola e a Parenzo. Hanno seguito [sic] le conquiste dei Gotti [sic], del [sic] Bisanzio, degli Slavi, degli Avari, Sloveni, Croati, Franchi e dei pa-triarchi di Aquileia [tutti insieme appassionatamente, ndr]. Cen-to e cinquanta anni di dominio della Venezia [soli 150? E “della Venezia”? E chi è? ndr], l’influen-za degli Asburgo e il dominio dell’Austria hanno lasciato dietro di sé un eredità culturale invidia-bile [invece l’eredità veneziana data soltanto dal 1267 al 1797, una quisquilia, ndr]. La Prima e la Seconda guerra mondiale, l’oc-cupazione fascista italiana e tede-sca hanno portato devastazione e degrado.

Ciò nonostante le grandiose costruzioni storiche sono rimaste intatte per testimoniare la mille-naria storia dell’Istria, che non si può cancellare, ne tanto meno dimenticare».

Dunque, su Venezia, come si è letto, a stento un accenno, come nella grande parte dei siti croati che sinora abbiamo con-sultato. Una plurisecolare pre-senza tanto imbarazzante per gli estensori e i committenti di quelle misere schede pseudo-sto-riche da farli cadere nel ridicolo. E sempre sul medesimo sito, la “perla” della scheda dedicata a Pola:

«Nel 1150 Pola giurò fedeltà a Venezia. In questo periodo di conflitti e di malattia la popola-zione totale fu ridotta a sole 300 persone. Pola fu sotto il dominio veneziano fino al 1797 quando entrò a far parte della Monarchia asburgica. Poco dopo, nel 1805 i francesi entrarono nella città e

ne presero il controllo. Nel 1813 Pola tornò finalmente sotto l’amministrazione dell’Impero austriaco e da quel momento la prosperità ritornò di nuovo nella città. […]

Dopo la caduta dell’impero nel 1918, Pola passò all’Italia, sotto il cui governo i croati fu-rono sottoposti ad enormi op-pressioni, italianizzazione for-zata, saccheggi, furono mandati in campi di concentramento e per questo motivo tanti di loro fuggirono da Pola e lasciarono l’Istria. Il governo fascista durò fino al 1943 quando la città cad-de sotto il dominio dell’esercito tedesco e continuarono gli arre-sti, deportazioni e uccisione del-la popolazione locale. […] Nel maggio 1945 Pola fu finalmente liberata e fino al settembre 1947 fu gestita dalle Nazioni Unite, quando si unì ufficialmente alla Croazia e alla Jugoslavia».

Un capolavoro: i secoli di Venezia avrebbero portato «con-flitti e malattia» e nient’altro, e l’esodo massiccio nel 1947 degli italiani da Pola del tutto sotta-ciuto, si crea il nesso tra l’occu-pazione tedesca e le deportazioni e le uccisioni tra la popolazione ma non si menzionano ovvia-mente gli eccidi delle Foibe ad opera dei partigiani jugoslavi e quanto ne seguì.

«Ci arrivano anche sotto gli ombrelli e portati dalla bora»

Lo scorso novembre ha de-buttato invece il nuovo

portale dell’Ente municipale di Fiume-Rijeka, disponibile nelle lingue croata, inglese, italiana e tedesca e articolato in numerose sezioni informative e di servizio per il turista, www.visitrijeka.eu. Presentato nel corso di una conferenza stampa convocata per l’occasione dal responsabile dell’Ente, Petar Škarpa, le sue pagine in italiano sono imme-diatamente apparse stupefacenti per quanto linguisticamente in-verosimili e strampalate, incom-prensibili ed esilaranti, tanto è vero che la pessima traduzione è stata oggetto di un’interroga-zione del consigliere della Lista per Fiume, Livio Defranza, al Consiglio cittadino. «Il testo che è stato pubblicato in italia-no è linguisticamente impropo-nibile, con errori grammaticali, ortografici e di sintassi, fatto evidentemente da persone non

qualificate - ha dichiarato De-franza -.Tra i vari errori risalta il toponimo Rijeka invece di Fiume, mentre per le altre città viene usata la versione italiana».

E già, perché sul portale ricorre rarissimamente il nome plurisecolare di Fiume e tutto il racconto della sua storia, ben-ché sintetico, pare ripreso da un dépliant dei tempi di Tito.

Ma tornando alla prima ver-sione italiana, a titolo di esempio si leggeva sul sito, a proposito della Pescheria: «l’architettura monumentale di gruppo mon-dano mitteleuropeo di quel pe-riodo oggi è un protetto monu-mento culturale, adempito con la vita delle nuove generazioni e cicli naturali che si alternano instancabilmente, portando sulle nostre tavole la gioia e piacere del pranzo mediterraneo!». E ancora meglio il consiglio su dove man-giare: «Na kantunu (nell’angolo), come dice il suo nome nell’an-golo con terazza lungo l’ex foce di Rječina al mare. Nello spazio arredato in stile femminile nel quale anche il sesso opposto si sente a suo agio si rispettano le ricette di una tradizione familia-re da pesca, dall’isola di Pag»; il cui proprietario «è sempre pron-to di fare un salto a peschiera se proprio quel specie di pesce che volevate mangiare è esaurita!». E giusto per infierire, si leggeva an-che: «la gente di Rijeka è fedele al loro Korzo sia nei freddi gior-ni d’inverno che nelle giornate calde d’estate. Ci arrivano anche sotto gli ombrelli e portati dalla bora, un vento che è, insieme a Korzo, la particolarità di questa città eretta sulle sponde del fiu-me e orientata da anni verso il mare».

Se gradite continuare an-date su http://editfiume.com/lavoce/fiume/2767-il-sangue-mascherato-di-rijeka, impossi-bile resistere.

Le proteste della comunità nazionale italiana e il ridicolo a cui l’Ente municipale si è espo-sto ha consigliato i gestori a so-stituire rapidamente le pagine italiane con una nuova versione, migliorata dal punto di vista lin-guistico ma oltremodo faziosa e reticente dal punto di vista sto-rico. A campione, nella pagina Il tumultuoso XX secolo l’ignaro utente può ora bersi quanto se-gue: «Dopo la caduta dell’Im-pero austro-ungarico, nel 1918, Rijeka e Sušak entrarono a far parte dello Stato degli Sloveni, dei Croati e dei Serbi, con sede

a Zagabria, ma la città fu pre-sto occupata dal Regno d’Italia. Poiché l’Italia in precedenza non aveva mai avanzato riven-dicazioni su Rijeka, lasciandola sempre alla Croazia, si assistette a un periodo di transizione: pri-ma l’occupazione di D’Annun-zio, nel 1919, con la creazione dello Stato libero di Rijeka, nel 1920; quindi il ritorno all’Ita-lia nel 1924. Rijeka conobbe un rapido declino economico e divenne una cittadina di perife-ria. […] Con la Conferenza di pace di Parigi, nel 1947, Rijeka ritornò al suo paese d’origine, la Croazia, entro la Repubblica Socialista Federale di Iugosla-via».

Un corto circuito incre-dibile, a parte alcune ulteriori improprietà di stile. E per gra-dire, nella pagina Rijeka (Fium-we) negli anni, al 1947 si legge: «Con il Trattato di pace di Pari-gi, Rijeka e l’Istria tornano uf-ficialmente alla Croazia». «Tor-nano?» Ma quando mai vi erano appartenute?

Patrizia C. Hansen2/ segue

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Numero 1 | Gennaio 2014

Riscrivere la storia, per turisti beotiUn campionario dei siti turistici croati, tra rimozioni e invenzioni

W Isole Brioni, vestigia di villa romana (foto www.wn.de)

W Una cartolina di Capodistria spedita (in tedesco) nel 1908

A PALAZZO GRAVISI,CON IL COORDINAMENTO DELLA CAN

Media e comunità nazionali,a Capodistria il seminario europeo

D al 20 al 21 novem-bre Palazzo Gravi-

si a Capodistria, sede della Comunità nazionale italia-na, ha ospitato, nell’ambito del Progetto europeo Sim-ple un seminario di forma-zione - Wp 7 - Multicultural information and Media for a multiethnic society - coordi-nato dall’Unione Italiana e dedicato alla cooperazione fra i Paesi dell’Adriatico e alla promozione dei diritti delle minoranze storiche. Obiettivo del Progetto è l’elaborazione di strategie adeguate volte a rafforzare la cultura della eguaglianza e della non-discriminazione, proponendosi di fornire agli Stati dell’area interessata gli strumenti utili a rispondere adeguatamente alle esigenze della popolazione, là dove composita, e di elaborare in-terventi efficienti, mirati e risolutivi.

W Fiume ungherese, Via Andrassy: si noti il rispetto del toponimo italiano

COMITATO DI COMOIntervista al presidente

Luigi Perini

U na lunga intervista a Luigi Perini, presi-

dente del Comitato comasco, è apparsa il 22 ottobre 2013 sul “Corriere di Como” a fir-ma di Marco Guggiari, nel corso della quale il dirigente Anvgd rievoca le sue vicissi-tudini di esule. «Dopo un’ora buona di domande e risposte sulle vicende personali vissu-te da istriano nel dramma-tico periodo dell’immediato dopoguerra, Luigi Perini, 67 anni, nativo di Capodistria e comasco d’adozione, com-menta così il libro dei ricordi che ha aperto per i lettori del “Corriere di Como” - ini-zia l’intervista -. Occasione dell’incontro è la vicina data del 26 ottobre quando, nel 1954, Trieste tornò italiana. Perini era un bambino di 8

anni, ma c’era. Dal mese di giugno di quell’anno era in un campo profughi della città giuliana assieme al fra-tellino e ai genitori, fuggiti dalla terra d’origine - “dove i miei antenati vivevano fin

dal 1300” - tiene a precisare. Là, a Capodistria e in tutta l’Istria e la Dalmazia, per gli italiani la situazione si era fatta invivibile: la Jugoslavia del maresciallo Tito discrimi-nava, deportava e uccideva.

L’orrore delle foibe era una realtà acquisita: a migliaia, per il solo fatto di essere ita-liani e anticomunisti, erano già stati ammazzati e gettati nelle sinistre cavità naturali dell’altopiano del Carso».

«Ricordo il nostro arrivo a Trieste, nel cam-po profughi di via Tiziano Ve-cellio - raccon-ta - Mio padre, Antonio, face-va il pescatore. Era invalido e fece il viaggio trasportato sul pianale del carro dov’erano stipati anche i mobili. Mia madre, Va-leria, era amma-lata ai polmoni. Entrava e usciva dai sanatori. Nel campo profughi le famiglie ve-

nivano divise tra uomini e donne in cameroni con letti a castello».

Alla domanda «Cosa ri-corda di quel 26 ottobre 1954, quando Trieste tor-nò all’Italia?» così risponde Perini: «Eravamo in piazza Unità e pioveva. Io ero sulle spalle di mio padre e mentre il sindaco Gianni Bartoli an-nunciava che arrivavano gli italiani, mio padre piangeva di gioia e anche di dolore perché capiva che non sa-remmo mai più tornati a Ca-podistria». «C’era una marea di gente. Le ragazze di Trie-ste saltavano letteralmente al collo dei nostri soldati. Finalmente tornava l’Italia. I giovani andavano ad atten-dere i militari e li accompa-gnavano tra due ali di folla».

Quando il confine si spostò più in là

A l cronista che gli chiede come

quell’evento fosse stato vis-suto in famiglia, l’intervista-to ricorda: «Era una speran-za a lungo cullata, ma c’era anche sofferenza per la con-sapevolezza che il confine si spostava ancora più in là, a favore della Jugoslavia».

I maggiori disagi degli anni che precedettero l’esodo sono così rievocati da Perini: «La mancanza di libertà fin-ché restammo a Capodistria. La mia famiglia era profon-damente cattolica e la libertà religiosa era negata. Scom-pariva la società esistente e subentrava una diversa cul-tura dominante. Poi c’erano violenze e sparizioni. Noi abitavamo vicino al carcere

di Capodistria, l’ex conven-to di Sant’Anna, e sentivamo le urla strazianti di chi vi era rinchiuso». «Fummo traditi da chi veniva a chiedere i no-stri voti nei campi profughi. Certi esponenti della Demo-crazia Cristiana lo fecero, salvo poi agire in modo da cancellare completamente la nostra memoria cedendo alle pretese jugoslave su Istria e Dalmazia».

Più forti ancora furono le polemiche verso il Pci, giu-dicato acquiescente al Ma-resciallo Tito, annota Marco Guggiari. «Su tutto faceva fede l’ideologia - conferma il presidente del Comitato -. Lo dimostrano i documenti, per esempio la dichiarazione congiunta dei partiti comu-nisti di Italia, Slovenia e Au-stria sulla questione istriana. A ciò si deve aggiungere il nazionalismo slavo, rimasto intatto anche dopo la fine dell’esperienza comunista. Lo scontro etnico con gli ita-liani è un fatto storico, fin dal 1890».

«Non mi sono mai sen-tito straniero in patria. Cer-to, a Trieste, peraltro città mitteleuropea, accogliente, disponibile, non avevo più il mio mondo: casa, tradizio-ni. E noi esuli non eravamo ben visti. Eravamo conside-rati persone che “rubavano” il lavoro. Un po’ come acca-de oggi nei confronti di altri immigrati», prosegue nell’in-tervista. «Per 14 anni ho vis-suto in tre diversi campi pro-fughi a Trieste: oltre a quello di via Vecellio, a Campo Marzio e alla Risiera di San Sabba, prima campo di pri-gionia nazista. Infine, alla Casa dell’Emigrante. Man-giavamo pasta con grasso idrogenato al posto del sugo. E facevamo la doccia a scuola perché non c’era altro modo. Sapesse quali stratagemmi, di sera, per non farmi riac-compagnare dagli amici che altrimenti avrebbero visto dove abitavo. Ma non ci fu mai una manifestazione di protesta, perché non voleva-mo denigrare l’Italia».

Alla domanda «Quali va-lori tiene vivi l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, che lei presiede in provincia di Como?», re-plica Perini: «Siamo gli ere-di di una civiltà millenaria. Finché vivremo, cercheremo di tenerla viva. Vorremmo che gli italiani si rendesse-ro conto che i veri confini non finiscono a Trieste, ma a Fiume e a Postumia. Tan-

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Numero 1 | Gennaio 2014

DAI COMITATI

continua ►

Quattro le aree nelle quali il Progetto si articola: la lingua, il lavoro, l’educa-zione, i media e l’informa-zione, nonché il contrasto alle forme di discrimina-zione di genere e alla vio-lenza. Ne sono partner, tra gli altri, la Regione Istriana, l’Unione Italiana di Capo-distria e di Fiume, e l’Isig (Istituto di Sociologia In-

ternazionale di Gorizia), la cui indagine sulle comu-nità nazionali minoritarie nell’area adriatica è stata recepita come strumento di ulteriore analisi e adeguati interventi.

Di particolare rilievo sono, nel piano del semi-nario Wp 7, gli aspetti con-nessi con la qualità dell’in-

formazione e dei media in generale in una società multietnica e multilingui-stica, come è storicamen-te l’Istria: vengono quindi monitorate ed esaminate le varie fonti che trattano delle minoranze e le mo-dalità con le quali vengono presentate, perché la loro rappresentazione influenza il grado di mutua compren-

sione e determina in misura significativa il grado di coe-sione sociale e culturale. In questo specifico e impor-tante ambito, dell’indagi-ne sulla interrelazione con i media della maggioranza, l’Unione Italiana di Capo-distria è risultata essere il miglior soggetto utile a or-ganizzare e condurre il se-

minario Wp 7.Nel corso delle due gior-

nate capodistriane, dopo il saluto inaugurale di Vivia-na Benussi, vicepresidente della Regione Istriana, si sono succeduti, tra gli altri, Tanja Nastovski («Inspira Komunikacije», Slovenia), che ha esaminato contenuti e modalità della campagna di sensibilizzazione contro

la discriminazio-ne e l’intolleran-za lanciata dalla stessa Unione Italiana; Gian Antonio Stella, firma eccellen-te del “Corriere della Sera”, che si è intrattenuto sul tema della potenza dell’in-formazione; Ezio Giuricin, gior-nalista di Rtv Capodistria, il quale ha trattato di media e mino-ranze tra presen-za attiva e mar-ginalità; Silvio Forza, direttore

della Edit di Fiume, che ha parlato della relazione tra la Comunità nazionale ita-liana in Sloevenia e Croazia e i media; e ancora Mau-rizio Tremul, presidente dell’Esecutivo dell’Unione Italiana, e Marko Gregorič, dell’Unione Italiana di Ca-podistria.

red.

W Como Albiate, un momento la cerimonia commemorativa del 10 Febbraio 2013, presenti gli esuli (foto www.laprovinciadicomo.it)

ti, invece, nemmeno san-no che esistono l’Istria e la Dalmazia». E infine, alla domanda «Non torna mai a Capodistria?», così chiude l’esule: «No. Provi lei a tor-nare dov’è nato e sentirsi un estraneo».

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COMITATODI FERRARA

Il convegnoGabriele d’Annunzio, poeta

soldato, politico

I l giorno 10 ottobre 2013 a Ferrara si è te-

nuto un convegno, in occa-sione del 150° anniversario della nascita, su Gabriele d’Annunzio, poeta soldato, politico.

Il convegno è stato orga-nizzato dal Comitato provin-ciale Anvgd di Ferrara, dal Comune di Ferrara-Museo del Risorgimento e della Re-sistenza e dall’Associazione Nazionale Marinai d’Italia-Gruppo di Ferrara.

Francesca Mellone, già responsabile dei servizi cul-turali della Biblioteca Comu-nale Ariostea di Ferrara,  ha affrontato il seguente argo-mento «La Parisina di Ga-briele D’Annunzio, secondo il manoscritto posseduto dal-la Biblioteca Ariostea e do-nato dallo scrittore prima di partire per la guerra».

Fabio Todero, ricercatore presso l’Istituto regionale per

la Storia del Movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia-Trieste ha trattato di «D’Annunzio dalla battaglia per l’intervento a Fiume: la mistica della Patria».

Giovanni Stelli, della So-cietà di Studi Fiumani e di-rettore editoriale di “Fiume. Rivista di studi Adriatici” ha sviluppato l’argomento «D’Annunzio e i politici fiu-mani: Zanella, Grossich, Gi-gante».

Le tre relazioni sono state precedute da una recitazione di tre poesie: Ferrara, L’onda, La pioggia nel pineto, magi-stralmente interpretate dalla D.ssa Marisa Antollovich, esule da Parenzo.

Flavio RabarPresidente Comitato Anvgd

di Ferrara

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COMITATO DI GENOVAA lezione di dialetto

fiumano

S i è tenuta a Fiume lo scorso 5 novem-

bre nell’Aula magna della Scuola Media Superiore ita-liana di Fiume una lezione sul dialetto fiumano, svolta dall’esule fiumano Fulvio Mohoratz, delegato del Presi-dente Anvgd per la Liguria. Erano presenti anche i diri-genti del Libero Comune di Fiume in Esilio, il sindaco

Guido Brazzoduro e la sua vice Laura Calci, la prof.ssa Gianna Mazzieri Sanković, capo dipartimento di Italia-nistica, e la presidente del Consiglio per la minoranza nazionale italiana della Re-gione litoraneo-montana, Orietta Marot. Ne ha dato notizia “la Voce del Popolo”.

Il quotidiano italiano di Fiume ha riportato alcuni significativi passaggi della comunicazione di Moho-ratz davanti ad uno stuolo di studenti. «Il dialetto fa parte della tradizione di un determinato luogo, serve a portare avanti la comunica-zione tra persone che stan-no nello stesso posto e che hanno ‘robe in comun’. Per questo motivo il dialetto di-venta essenziale per noi, se

muore questo muore la no-stra tradizione», ha afferma-to Mohoratz. «Per evitare la scomparsa del nostro dialet-to, è fondamentale trasmet-terlo alle generazioni future. Bisogna fare capire a chi è fiumano che fare parlare alla mularia il dialetto non è sba-gliato. Anzi, è di estrema im-portanza. Non si deve avere paura che questo intralci la buona conoscenza della lin-gua madre. Bisogna avere la pazienza di rispolverare le vecchie parole che si stanno perdendo per dare una voce chiara al domani, per portare le nostre tradizione con noi nel futuro».

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COMITATODI GORIZIA

Viaggio in Istria, tra arte e natura

Visita guidata in Istria, domenica 13 otto-

bre, promossa dal Comitato Anvgd isontino. Ricco il programma, che ha previsto la visita delle Grotte di Ba-redine, che ospitano insedia-

menti umani preistorici ed il famoso proteo, i paesi di Nova Vas [Novavilla, ndr], Zbandaj [Sbandai, ndr] e Baderna [Mompaderno, ndr], Jakovici [Iacovici, ndr] e San Lorenzo del Pasenati-co. I visitatori, guidati dalla presidente Maria Grazia Zi-berna e dalla dirigente Didi Pasquali, hanno avuto come “cicerone” la prof.ssa Marisa Bernardis.

Naturalmente il pranzo è stato a base di tartufo!

Ziberna: il governo italiano chieda

l’apertura degli archivi di Belgrado

«I l governo italiano chieda l’apertura

degli archivi segreti di Bel-grado». È l’appello lanciato

da Rodolfo Ziberna - vice-presidente nazionale An-vgd e del gruppo consilia-re del Popolo delle Libertà nel Consiglio regionale del Friuli Venezia Giulia - con lettera aperta alle massime

cariche di governo.Nel fare riferimento

alle buone relazioni tra Ita-lia e Serbia e alle aperture dell’Ue verso Belgado, Zi-berna richiama dunque l’at-tenzione di Roma sulla ne-cessità «di ottenere, da parte del governo serbo, l’apertura di quegli archivi a Belgrado per far uscire dalla segretez-za i documenti che vi sono custoditi, e far emergere i documenti dell’ex Jugosla-via, fino a oggi rimasti na-scosti, in modo da fare luce definitivamente sul dram-ma delle foibe e chiarire le troppe pagine ancora oscure degli anni che precedettero e seguirono le deportazioni, la loro pianificazione e le mo-dalità con cui vennero attua-te, le indicazioni precise sul-

la sorte dei deportati, molti dei quali anche a guerra fini-ta; in quale foiba trovarono la morte, in quale campo di prigionia furono detenuti, o in quale fossa comune siano state poi gettate le loro spo-

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W Ferrara, relatori e pubblico al Convegno su Gabriele d’Annunzio

W Comitato di Gorizia, il folto gruppo dei partecipanti al viaggio in Istria

X Lissa, 1° maggio 1944, membri della missione militare inglese in Jugoslavia (si riconoscono sullo sfondo) assistono alle celebrazioni della ricorrenza, organizzate dal movimento popolare di liberazione titino(foto www.nam.ac.uk)

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Numero 1 | Gennaio 2014

glie mortali».«Non si chiedono pro-

cessi a singole persone, an-che perché i responsabili di queste stragi oggi quasi certamente non saranno più in vita - scrive il vicepresi-dente Anvgd -, ma lo chie-diamo per sapere dove poter poggiare un fiore e pregare i nostri morti». E prosegue: «non possiamo ritenere che la Serbia entri in Europa senza aver aperto, come han-no fatto gli altri Paesi, i suoi archivi ancora secretati ed a maggior ragione se si dichia-ra così amica dell’Italia e se essa riconosce l’essenzialità del ruolo italiano nel pro-cesso di adesione all’ Ue. Vi sarò grato, pertanto, se vorrete dare nuovo impulso ai contatti diplomatici per l’apertura degli archivi stori-ci dell’ex Jugoslavia per favo-rire il lavoro degli studiosi e contribuire a far emergere nuove indicazioni sulla sor-te dei deportati italiani, che furono relegati nei campi di prigionia o che trovarono subito la morte nelle foibe. Non possiamo credere che non si voglia spezzare questo assordante e doloroso silen-zio!».

«Il comune modo di sentire in Italia è mutato su questi temi - conclude Zi-berna il suo appello -, seb-bene sia drammatico con-statare come l’80% degli italiani non conosca la sto-ria dell’esodo e delle foibe. Segnale del nuovo orienta-mento senza dubbio è stata l’istituzione del Giorno del Ricordo».

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COMITATODI MONZA - BRIANZA

La sottoscrizione per la Sardegna colpita

dall’alluvione

L a sezione di Mon-za dell’Associazione

Nazionale Paracadutisti d’ Italia e il Comitato Anvgd di Monza hanno promos-so una raccolta di fondi da devolvere alle popolazioni sarde colpite dalla recente catastrofica alluvione. Le offerte, raccolte a partire da fine novembre scorso, una volta raggiunta una quota significativa saranno devo-luti ad associazioni o enti che verranno individuati direttamente sul territorio attraverso contatti già in corso.

Per chi risiede nel ca-poluogo lombardo è possi-bile effettuare le donazioni presso le sedi delle due asso-ciazioni tutti i giovedì sera dalle 21.00 in poi, oppure tramite bonifico richieden-

do gli estremi bancari. A raccolta ultimata ed effet-tuato il versamento all’ ente destinatario, a tutti coloro che avranno contribuito verrà inviata copia del ver-samento stesso.

Il Comitato Anvgd rin-grazia quanti, anche con un piccolo aiuto, vorranno aiu-tare i nostri “fratelli” sardi.

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COMITATODI PORDENONEIncontro su Fulvio

Tomizza

L’ Associazione Nazio-nale Venezia Giulia

e Dalmazia  - Comitato di Pordenone e l’Associazione culturale “Il Mandorlo” han-

no orga-n i z z a t o l ’ incon-tro Ana-lisi del Pens iero di Fulvio Tomizza attraver-so i suoi s c r i t t i ,

svoltosi venerdì 8 novembre presso il Ristoro Agrituristi-co da Sferco di Via Umago, a San Quirino.

Fulvio Tomizza, con-siderato all’estero uno dei maggiori autori europei, fu vicino di casa della famiglia Sferco quando questa risie-deva a Umago, prima che l’Istria diventasse territorio jugoslavo, e dedicò loro una parte del libro La casa col mandorlo, pubblicato postu-mo da Mondadori nel 2000. Intervenuti, tra gli altri, gli scrittori Marino Vocci e Lu-igino Vador.

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COMITATODI TRENTO

Rassegna cinematografica Terre di frontiera

H a avuto inizio a Trento l’8 novem-

bre, a cura del locale Co-mitato Provinciale Anvgd e della Delegazione Anvgd di Rovereto, la Rassegna ci-nematografica Terre di fron-tiera e identità nazionali, il cui programma prevedeva la proiezioni di alcune del-le più significative pellicole italiane che hanno avuto per soggetto le vicende del con-fine orintale negli anni cru-ciali del dopoguerra.

La Rassegna, curata dal-la presidente del Comitato Provinciale Anvgd trentino, Anna Maria Marcozzi Keller, è realizzata in collaborazio-ne con la Regione Trentino Alto Adige, la Fondazione

Museo Storico del Trentino, Luisa Canal e Roberto De Bernardis.

L’inaugurazione, l’8 no-vembre alle ore 16.00 nella Sala Rosa del Palazzo della Regione, con la proiezio-ne di Cuori senza frontiere (regia di Luigi Zampa, con Gina Lollobrigida, 1950), è stata introdotta dai saluti del presidente della Regione Alberto Pacher e della pre-sidente Anvgd provinciale Marcozzi Keller.

Il 9 invece, lo stesso film è stato proiettato a Rovereto, presso il Palazzo Fondazione Caritro, con introduzione di Marcozzi Keller e del prof. Fabrizio Rasera.

È seguito, il 15 novem-bre a Trento, nella Sala Rosa del Palazzo della Regione alle ore 16.00, il film La frontiera (regia di Franco Giraldi, con Raoul Bova, 1996). Intro-duzione di Alberto Pacher e di Patrizia Marchesoni, della Fondazione Museo Storico del Trentino.

Il 16 è stato riproposto a Rovereto, con introduzione del prof. Rasera.

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COMITATO DI UDINECon il Lions Club il

convegno L’esodo degli istriani e dalmati

L’esodo degli istriani e dalmati dopo la II

guerra mondiale e la tragedia delle foibe, questo il titolo del Convegno promosso dal Comitato Anvgd udinese

in collaborazione con Lions Clubs International / Di-stretto 108 Ta2 Italia, Lions Club Concordia Sagittaria (Venezia), Lions Club Li-gnano Sabbiadoro (Udine) e Lions Club San Michele al Tagliamento - Bibione (Ve-nezia).

Venerdì 25 ottobre, nel-la sala congressi del Savoy Beach Hotel di Bibione, il Convegno si è aperto con la proiezione di un video clip di Simone Cristicchi su “Magazzino 18” e la succes-siva introduzione a cura di Giorgio Gorlato, esule da Dignano, ed è proseguito con gli interventi di Silvio Cattalini, già vicepresiden-te nazionale dell’Anvgd e “storico” presidente provin-ciale di Udine del Comita-to; di Elio Varutti, udinese, insegnante di economia con specializzazione nella didat-tica della storia, giornalista pubblicista e collaboratore di quotidiani e periodici, autore di vari saggi e pub-blicazioni di storia ed eco-nomia.

Il prof. Varutti si è sof-fermato sul Centro di smi-stamento profughi di Udine - che accolse tanti profughi dalla Venezia Giulia, e fu at-tivo sino al 1960 - e delle at-tività didattiche organizzate all’Istituto “B. Stringher” del capoluogo friulano sui temi storici attinenti l’esodo giuliano-dalmato. Varutti, udinese, da bambino gioca-va con i figli dei profughi istriani e dalmati, ed è au-tore di un libro sul Campo

Profughi di Udine, edito dall’ Anvgd nel 2007.

Al convegno hanno par-tecipato alcuni rappresen-tanti delle famiglie istriane e dalmate insediatesi dal secondo dopoguerra a Bi-bione. Francesco Tromba, da Rovigno ha raccontato la tragedia della sua famiglia e di suo padre Giuseppe, pre-levato di sera dai partigiani di Tito nel 1943 e ucciso nella foiba di Vines, come gli riferirono alcune persone del posto appena nel 2007. Fabio Ceppi, da Capodi-stria, ha riferito degli inse-diamenti di esuli istriani a Bibione nel 1957, con pode-ri ed attività agricole.

Per le istituzioni è in-tervenuto alla serata Gian-ni Carrer, vicesindaco di San Michele al Tagliamento (Venezia) e Massimo Brini, vicesindaco di Lignano Sab-biadoro (Udine).

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COMITATODI VERONA

Un teatro per Cristicchi, nel Giorno del Ricordo

«S tiamo cercando degli sponsor per

portare il musical civile di Cristicchi anche a Verona». L’annuncio è giunto dal-la presidente del Comitato veronese, Francesca Briani, che ha auspicato l’allesti-mento di «Magazzino 18» anche nel capoluogo veneto inserire, ancor meglio se in coincidenza con il prossimo Giorno del Ricordo.

«Che Cristicchi stesse la-vorando per produrre qual-cosa sulle foibe e sull’eso-do era noto da tempo - ha dichiarato al “Corriere del Veneto” del 7 novembre la presidente Briani -: un lavo-ro che ha affrontato con cu-riosità di indagare i fatti per poi proporli in modo molto serio. Si è informato con le nostre associazioni, con chi ha scelto di non partire». «Ho testimonianze dirette di chi ha visto lo spettacolo, che ci dicono che la rappre-sentazione è stata ecceziona-le. In molti dicono che serve di più un musical come que-sto che tante pagine scritte fino ad oggi. Cristicchi ha indagato questa parte del-la storia con grande equili-brio».

«Questa è un’opera capa-ce di divulgare un racconto complesso, dai risvolti uma-ni, politici, storici - ha pro-seguito la dirigente Anvgd - per questo vorremmo tro-vare degli sponsor e un te-atro dove poterlo proporre anche a Verona. Ne parlere-mo anche al Comune».

W Udine, i relatori del convegno L’esodo degli istriani e dalmati (foto www.ilgiornaledelfriuli.net)

W Fulvio Tomizza in un’istantanea del 1975 (foto www.mitteleuropa.it)

S i sono svolte a Firen-ze, il 18 e 19 ottobre

2013, le iniziative indette per celebrare il centenario della nascita di Don Luigi Stefani, esuile da Zara, sacer-dote di forte tempra e fede appassionata, personalità di grande rilievo nella stagio-ne ecclesiale fiorentina dagli anni Cinquanta ai Settanta.

Fu cappellano nelle car-ceri a Zara e degli Alpini della Tridentina in Albania; si prodigò, a rischio della vita, in favore dei deporta-ti sloveni ad Arbe, il che gli valse, a guerra finita, un ri-conoscimento - da lui rifiu-

tato - del governo comunista jugoslavo. A Firenze, dove si era stabilito con l’esodo, fu indispensabile punto di rife-rimento per la comunità dei profughi giuliano-dalmati nei difficili anni del dopo-guerra. Divenne cappellano della Venerabile Arciconfra-ternita della Misericordia e istituì, nel 1955, l’Opera giovanile del fraterno soccor-so, che ebbe come emanazio-ne la galleria d’arte «Lo spro-ne», vivo cenacolo di cultura nel cuore di Firenze.

Il 18 ottobre, nell’audi-torium di S. Apollonia il M.o Riccardo Sandiford ha tenu-

to un applaudito concerto pianistico, preceduto dalla lettura di testimonianze fra le quali quella di Myriam Andreatini Sfilli, Delega-ta Anvgd per il capoluogo toscano ed esule da Pola, la quale ha ricordato l’impe-gno senza risparmio di don Stefani per dare ai suoi con-terranei una casa, un lavoro, una speranza. Il giorno 19 gli Alpini della Sezione di Firen-ze hanno deposto una coro-na sulla sua tomba, quindi è stato scoperto e benedetto un bassorilievo marmoreo dello scultore Marko Luko-lic posto sull’abitazione nella quale i sacerdote ha abitato per trent’anni. L’opera reca la scritta «Don Luigi Stefani, dalmata, sacerdote, alpino, cappellano della Misericor-dia di Firenze, nel centenario della nascita. Zara 1913-Fi-renze 1981».

A seguire, la Messa so-lenne nell’Oratorio della Misericordia, in Piazza del Duomo, presieduta dal card. Silvano Piovanelli con la par-tecipazione della Corale de-gli Alpini.

Vanni Ferrari

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Numero 1 | Gennaio 2014

Q Don Luigi Stefani in una sfilata degli Alpini nell’immediato dopoguerra (foto www.misericordia.firenze.it)

«Foibe, Martiri dimenticati», Convegnoa Tagliacozzo

A ricordo delle vittime delle Foibe e dell’eso-

do giuliano-dalmato si è te-nuto il 23 novembre presso il Teatro “Talia” di Tagliacozzo il Convegno «Foibe, Marti-ri dimenticati», aperto dal sindaco Maurizio Di Marco Testa, introdotto da Gaetano Blasetti e con i contributi di Antonio Ballarin, presidente dell’Anvgd, Maria Antonietta Marocchi, figlia di esuli istria-ni e autrice del libro Foibe (s)conosciute, e Maria Zaccone, nipote di un martire delle Foi-be. Presente anche l’assessore regionale ai Lavori pubblici, Angelo di Paolo. Moderato-re dell'incontro: Michele Pi-gliucci.

Anvgd e Anpi: provedi confronto sulla storia

N el febbraio 2013 alcuni dirigenti del Comitato di Padova, in quel periodo impegnato nelle celebra-

zioni del Giorno del Ricordo, sono stati invitati dal segre-tario della locale sede dell’Anpi ad un successivo incontro dell’Associazione Partigiani, nel corso del quale il suo presi-dente regionale Angelini ha significativamente riconosciuto la responsabilità di aver definito per decenni «fascisti» gli esuli giuliani e dalmati, essendo invece italiani incolpevoli (ne abbiamo riferito su “Difesa” di Giugno). In quella oc-casione, la presidente del Comitato Anvgd, Italia Giacca, aveva preso la parola per ricordare ruolo e funzioni svolte dall’Associazione sin dall’immediato dopoguerra ed aveva portato la propria testimonianza dell’esodo. Adriana Iva-nov, consigliere del Comitato Anvgd padovano, non aveva mancato di rilevare il significato di quel primo confronto che aveva permesso, forse per la prima volta, di confrontarsi su temi così rilevanti per la storia del Novecento ai confini orientali.

Quel primo contatto non è rimasto isolato, ed ha con-dotto ad un primo, formale incontro svoltosi a Padova ve-nerdì 29 novembre in Palazzo Moroni, dal significativo ti-tolo Ci chiamavano fascisti, ci chiamavano comunisti: siamo italiani e crediamo nella Costituzione, al quale hanno preso parte, per l’Anvgd, Italia Giacca, Adriana Ivanov e Mario Grassi, e per l’Anpi il coordinatore per il Veneto Maurizio Angelini, con il coordinamento di Sergio Basilisco, esule da Pola e socio Anpi.

L’iniziativa, come è facile immaginare, ha sollevato re-azioni prevedibili, risultando inopinato, per alcuni settori dell’associazionismo giuliano-dalmato così come per tanti ambienti delle organizzazioni partigiane, un confronto di-retto tra sodalizi tanto distanti e marcatamente opposti: non perché gli esuli italiani rappresentassero veramente - come si voleva far credere - il fascismo sconfitto, ma perché i pre-giudizi e le distorsioni ideologici di ampie porzioni della sinistra storica hanno per decenni snaturato e vilipeso il rac-conto della tragedia degli italiani del confine orientale.

Ma quel è il senso di questo incontro, che ha suscitato anche prevedibile clamore ed anche scandalo? Il senso scatu-risce da qualche essenziale domanda: verso quali interlocu-tori si devono muovere le associazioni dell’esodo? Il dialogo è un valore di conoscenza o la contrapposizione è un dogma immutabile e impermeabile ai processi storici?

È naturale, per altro verso, che un inedito evento susciti sorpresa e istintivo dissenso: nessuna innovazione manca di destare stupore e disapprovazione, tanto più in contesti se-gnati da lunga, immeritata e ingiusta solitudine. Ma si può tralasciare di impegnarsi, con la forza dell’evidenza, nella divulgazione della memoria proprio in quei settori ostili, o è preferibile vivere nell’eterno rivendicazionismo che rinvia il dialogo ad un futuro sempre più lontano per mantenersi una piccola e ininfluente posizione di rendita?

«Dopo il 10 febbraio, Giorno del Ricordo dell’esodo - ha dichiarato a “Il Giornale” il 28 novembre Italia Giacca, ri-ferendosi al primo contatto -, i partigiani mi hanno invitato da loro, nella tana del lupo. Ho sentito un intervento storico equilibrato sul fascismo e le nostre tragedie. Il presidente re-gionale dell’Anpi ha detto rivolto agli esuli: “a questo punto sento di dovervi chiedere scusa”. Così è nata l’idea dell’in-contro pubblico di venerdì». In sintonia Antonio Ballarin, presidente nazionale Anvgd: «a Padova, Torino, Perugia ed in Toscana l’Anpi se non autocritica ha fatto una profonda riflessione sulla tragedia degli esuli. È una vittoria morale fare emergere la verità da chi è sempre stato lontanissimo da noi».

Da registrare anche il giusto richiamo del sindaco del Comune di Calalzo, Luca de Carlo, «di passare a fatti con-creti, «eliminando le vie ancora oggi intestate a Tito». An-che a questo gioveranno i passi verso il dialogo, a far riemer-gere e comprendere il dolore dell’esilio e l’orrore delle Foibe: se i tempi non sono maturi, ad oltre 60 anni, quando mai lo saranno?

Sul numero di Febbraio una puntuale cronaca del conve-gno di Palazzo Moroni.

p. c. h.

Firenze, nel centenario di Don Luigi Stefani

Era sparita nei mesi scorsi poi che già all’inizio del

2012 era stata asportata da ignoti e gettata nel cantiere del Tribunale, dove era stata successivamente rin-venuta: ora, la targa di «Riva Mar-tiri della Foibe», giaceva sul fondo del lago, a poca distanza dalla riva.

A ritrovarla sono stati i sub che nella giornata di domenica hanno ripulito l’area antistante il monumento ai Caduti in oc-

casione di una manifestazione sul lungolago indetta da associazioni e gruppi sportivi.

Grande è stata la sorpresa alla riapparizione della targa, gettata insieme ad altri scarti riemersi dalle acque: un pneumatico, una sedia, parti di motore e immon-dizia varia.

W Lecco, la targa ripescata insieme con varia immondizia(foto www.lecconotizie.com)

Lecco, la targa «Riva Martiri delle Foibe» nel lago, ripescata dai sub

S compare con la ve-dova di Tito, Jovan-

ka, una delle ultime, se non l’ultima, delle figure - peral-tro secondarie, nonostante il ruolo pubblico esercitato per molti anni - del defunto regi-me jugoslavo, assurta a noto-rietà internazionale per essere consorte del maresciallo Tito e negli anni durante i quali il dittatore, inventandosi l’astuta formula dei «Paesi non allinea-ti», terzi rispetto ai due grandi blocchi occidentale e orientale, si conquistò il favore delle de-mocrazie europee. Approdata da umile condizione contadi-na alla funzione di première dame dall’aspetto abbastanza ingombrante e un po’ rétro già ai suoi tempi nonostante pre-diligesse l’alta moda francese, amasse i gioielli vistosi, le auto di lusso e conducesse una vita a suo modo principesca, la si ricorderà ricevuta con il marito pluri-medagliato da sé dalla re-gina Elisabetta II, dal premier indiano Nehru, da Papa Paolo VI, da Brežnev e Fidel Castro, da Nixon e dal Presidente della Repubblica Saragat nel 1971.

Le fotografie d’epoca la ritrassero sorridente a Brio-ni, sulla lussuosissima e assai kitsch Cadillac, ben cotonata e calata nel suo ruolo di consorte dell’ormai imbolsito e caricatu-rale eroe della resistenza comu-

nista in quel caotico scenario della Jugoslavia dilaniata, sino al 1943-’44, da fronti resisten-ziali opposti e tutti comunque sanguinari e impossibili.

Il declino di Jovanka ini-ziò subito con la morte del

maresciallo, nel 1980, ovvero con il principio della fine di quell’entità statuale fittizia che prese a sfaldarsi venendo meno il collante unico dell’epopea nazional-comunista ben inter-pretata dal dittatore a suon di deportazioni ed eliminazioni (anche all’estero) degli avver-sari politici. Per non parlare degli efferati eccidi e delle si-stematiche violenze dei suoi

partigiani nei confronti della popolazione italiana della Ve-nezia Giulia e della Dalmazia e delle mortificazioni inferte alla residua comunità nazio-nale italiana, soggetta alla più stretta e umiliante obbedienza

al verbo nazionalista e ideolo-gico del titoismo.

Cacciata dal palazzo presi-denziale di Belgrado, le fu as-segnato un alloggio privo dei minimi e comuni servizi, le fu ritirato il passaporto e rimase per molti anni del tutto isolata dal resto della società, «privata di qualsivoglia diritto» come ebbe a lamentarsi nelle rare interviste rilasciate, e priva di una pensione sino al 2009. A suo modo la signora Jovanka, ridotta via via all’indigenza da

un Paese, il suo, ripiombato nelle antiche rivalità e diffiden-ze poi sfociate nelle terribili guerre degli anni Novanta, è stata una pur marginale ico-na di un tempo e di un ordi-ne mondiale che ci pare oggi

enormemente lontano e per fortuna del tutto svanito.

Sarebbe banale ed eccessi-vo asserire che con la sua scom-parsa si spegne l’ultimo perso-naggio di una scena sulla quale è da tempo calato un pesante sipario. Lei è sopravvissuta ab-bastanza malamente per molti anni, spinta ai margini del ri-cordo e della società, ampia-mente dimenticata come un vecchio e ormai insignificante souvenir di un’epopea che nep-pure i nostalgici del titoismo

- a quanto consta - hanno mai rispolverato nelle loro mani-festazioni commemorative. È vissuta all’ombra del carisma del maresciallo, fatta oggetto già a suo tempo alla corte bel-gradese di malevoli attenzioni e aperte ostilità nelle ovvie lot-te di potere palesatesi il giorno dopo i funerali di Tito. Finì ra-

pidamente per essere una presenza scomo-da negli ambienti politici jugoslavi: «era il primo ostaco-lo alla disgregazione della Jugoslavia - ha scritto in queste ore un sito d’informa-zione serbo - e dove-va essere rimosso».

Non è proprio accertato che sia così, e non sembra sia importante, per la storia di quei de-cenni e di quell’area, verificarlo. Scompa-

re con lei l’ultima ombra di un regime totalitario al cui verti-ce erano prediletti e praticati i migliori vezzi delle società borghesi e benestanti mentre dissidenti e minoranze, perse-guitati all’estero e all’interno, conoscevano il lato ‘b’ del co-munismo di Tito, così appa-rentemente rassicurante per il mondo libero che doveva pur aggrapparsi al cuscinetto jugo-slavo per non sentirsi il sovieti-co dietro l’uscio di casa.

p. c. h.

S i è spento a Trieste, il 14 novembre all’età di 97

anni, Paolo Budinich, fisico te-orico nato a Lussingrande il 28 agosto 1916, figura eminente nel settore degli studi scientifici italiani e internazionali. Inse-gnò prima matematica ai cadet-ti sulla nave-scuola “Amerigo Vespucci”, quindi prestò servi-zio su sommergibili durante la Seconda guerra mondiale, fin quando, divenuto prigioniero di guerra, fu condotto dapprima in Inghilterra, successivamente negli Stati Uniti. Laureato alla Scuola Normale Superiore di Pisa, nel 1978 aveva fondato la Scuola internazionale superiore di studi avanzati (Sissa). «Un punto di riferimento culturale e scientifico per Trieste, per il Friuli Venezia Giulia e anche su scala internazionale», ha dichia-rato il prof. Guido Martinelli, direttore della Sissa. Budinich è stato infatti cofondatore con Abdus Salam del Centro inter-nazionale di fisica teorica Ictp e del Sincrotrone di Basovizza.

«L’intera comunità del Friuli Venezia Giulia e Trieste in particolare si inchina con cordoglio e gratitudine dinan-zi alla straordinaria opera del professor Paolo Budinich», ha affermato la presidente della Regione, Debora Serracchiani.

«È grazie a figure come Budi-nich, che sanno fondere in sé altissimi livelli professionali, profonda etica civile e instan-cabile profusione d’umanità se la nostra terra oggi si qualifica anche per i traguardi raggiunti nella ricerca scientifica».

Anche il sindaco Roberto

Cosolini ha ricordato la figu-ra eminente di Budinich: «La morte di Paolo Budinich non significa solo la perdita di un grande scienziato. Con lui oggi scompare l’instancabile fautore e animatore di un ben più am-pio progetto per la realizzazione e la crescita di un articolato, co-ordinato e competitivo “Sistema Trieste” della scienza e della ri-cerca». «Della sua figura, del suo appassionato impegno anche nella società civile e nella poli-tica al servizio della città, svolto con dedizione anche nell’Aula consiliare del nostro Municipio, rimarrà un grande ricordo non solo nella memoria della comu-nità scientifica ma di tutta la co-munità cittadina».

Nella biografia dello scien-ziato lussignano di Pietro Gre-co (Buongiorno Prof. Budinich. La Storia eccezionale di un fisico italiano, Bompiani 2007) Gio-vanni Boniolo, autore dell’In-troduzione, nel farne un ritratto umano così ne ha scritto: «l’uo-mo che ama la vita libera, la sua barca a vela e la possibilità di navigare per l’Adriatico, il suo mare. Non un uomo di cene, non un uomo di serate mon-dane. Un uomo di Lussino. Un uomo duro e puro».

d. a.

Numero 1 | Gennaio 201411

NOTE DOLOROSE

†Dopo una vita dedicata alla

famiglia ed al lavoroè mancato all’affetto

dei suoi cari

Silvio Bruno Fioretti

N ato a Valle d’Istria (Pola) il 06/11/1931

e deceduto ad Iseo (Bs) il 30/06/2013.

Addio a Silvio Bruno Fioretti Sebino d’adozione con l’Istria nel cuore.

Era arrivato in riva al Lago d’Iseo, profugo dell’Istria che aveva appena cambiato “nazionalità”, dove i suoi genitori erano stati spogliati di tutto e mai risar-citi.

Silvio Bruno Fioretti era nato il 6 novembre 1931 a Valle d’Istria e la sua vita ha subito, tre lustri dopo, una svolta cruda e definitiva. In qualche modo però a Iseo la sorte l’ha ricompensato: qui ha conosciuto la futura mo-glie Giusy, ha costruito la sua famiglia, una splendida famiglia tutta al femminile, che l’ha assistito fino all’ulti-mo con dedizione.

Ma c’era quella spina nel cuore. E c’era un ritorno a Valle d’Istria, una trentina d’anni fa, con il desiderio di vedere almeno il cortile della casa avita, una richiesta alla quale era stato risposto con una porta sbattuta in faccia. Un destino comune a molti suoi conterranei, questo de-siderio di riscatto, che questi esuli si stanno portando, in-soddisfatti, uno ad uno, nella tomba insieme alle loro me-morie. E quando gli eventi scompaiono dai ricordi per-sonali e si rifugiano nei libri di storia, chi mai potrà più essere almeno in parte con-solato?

W Il prof. Budinich (al centro) nel corso di un convegno scientifico

Si è spento a Trieste il fisico Paolo Budinich, lussignano, fondatore della Sissa

Jovanka Broz, l’ultima ombra di un regime totalitario

W Nell’immagine dell’Istituto Luce, l’arrivo nel 1971 di Tito e Jovanka all’aeroporto di Ciampino

W Un assai anziano nostalgico ai funerali della vedova di Tito (foto www.ansa.it)

12

Numero 1 | Gennaio 2014

Seminario, per raccontare un passaggio della storia italia-na pressoché sconosciuto alla pubblica opinione, agli inse-gnanti e agli studenti.

Alle lezioni seminariali, dedicate all’Adriatico orienta-le, alle Foibe e all’esodo, alla letteratura e alla cinemato-grafia dell’esodo, si affianche-ranno quattro workshop, su dialogo e contesto europeo,

sugli strumenti didattici digi-tali, sull’approccio culturale alla storia e sulle metodologie didattiche. Ed anche l’infor-mazione e i media, ovvero le forme della comunicazione della storia saranno oggetto di una trattazione affidata ad un giornalista di prestigio.

Nell’ambito dei wor-kshop uno spazio doveroso sarà dedicato anche alle isti-tuzioni scolastiche che in Pu-glia hanno formato i giovani profughi, come il notissimo Collegio “Niccolò Tomma-seo” di Brindisi, del quale saranno chiamati a parlare alcuni suoi ex allievi che nei decenni successivi si sono af-fermati in diversi settori della vita professionale ed anche internazionale. Essenziale dunque anche la presenza di testimoni, che forniranno al Seminario quel valore ag-giunto di vissuto che è inscin-dibile dalla dolorosa vicenda dell’esodo.

Nel corso della riunione del 25 novembre sono quindi stati perfezionati molti e essenziali

aspetti della complessa orga-nizzazione, che a breve verran-no confermati con le adesioni dei relatori selezionati.

IL CONCORSO PER LE SCUOLE

A ll’ordine del giorno anche la premiazio-

ne delle scuole vincitrici del

Concorso 2014, i cui elabo-rati, come da bando emesso dal Miur e pubblicato sul sito www.anvgd.it, vengono esaminati entro il mese di gennaio 2014 dalla Commis-sione nominata dal Gruppo di lavoro e insediata presso il Ministero. Si sono dunque approfonditi l’esame e la di-scussione sul programma del-la cerimonia di premiazione, che avrà luogo presso un’al-ta sede istituzionale e vedrà chiamati dirigenti e docenti scolastici e naturalmente stu-denti. Tema di quest’anno del Concorso, «La letteratura ita-liana d’Istria, Fiume e Dalma-zia», un argomento di grande fascino e di grande portata, scelto per dare visibilità ad una civiltà letteraria di alto valore testimoniale ed estetico, ancora troppo marginale nel circuito nazionale, che quasi la ignora.

L’aggiornamento a gen-naio 2014, sia per quanto ri-guarda l’esame da parte della commissione di valutazione degli elaborati pervenuti per

il Concorso, sia per le ultime e definitive finiture del pro-gramma seminariale.

IL TCI E IL CONCORSO «CLASSE TURISTICA»

2014

P resente alla riunione, come è ormai consue-

tudine, il rappresentante del Touring Club Italiano, Marco Leonardi, che ha relazionato sull’ottimo esito del Concorso Tci-AssoEsuli «Classe Turisti-ca. Festival del turismo scola-stico» 2013, la cui cerimonia

di premiazione si è svolta, come riferito su “Difesa” dello scorso novembre, nel mese di ottobre a Trieste alla presenza di dirigenti delle associazioni giuliano-dalmate, del Dicaste-ro della Pubblica Istruzione e naturalmente del Tci.

Questo Concorso, come i nostri lettori sanno, è da due edizioni rivolto anche alle isti-tuzioni scolastiche italiane in Slovenia e Croazia e prevede la sezione dedicata, «Viaggio nel-la civiltà Istriano-Dalmata», creata proprio per incentivare

la conoscenza del patrimonio storico-culturale italiano dei territori adriatici.

Le prossime celebrazioni del centenario della Grande Guerra hanno offerto l’occa-sione di un utile confronto a più voci su alcune ipotesi di iniziative e contenuti da as-sumere sia per il concorso del Tci sia per il successivo Semi-nario 2015, nell’ottica di una indispensabile e organica visi-bilità della questione giuliana nel più ampio contesto del conflitto europeo, delle aspi-razioni nazionali dei popoli dell’impero austro-ungarico

e delle complesse dinamiche che agirono nel problemati-co processo di affrancamento dall’antico potere centrale.

IL SITOwww.scuolaeconfineorientale.it

Infine, varato il sito uf-ficiale del Gruppo di

lavoro, un sito “di servizio” ma gradevole da punto di vi-sta grafico, ancora in corso di implementazione, tutto da sfo-gliare nelle sue pagine dedicate

alla comunicazione istituzio-nale, alle associazioni dell’eso-do rappresentate al Miur, alla produzione editoriale (gli An-nali del Ministero della Pub-blica Istruzione n. 133/2010 e n. 138/2012, nei quali sono pubblicati gli Atti di due Semi-nari nazionali) e ad una piace-vole galleria di immagini.

A BRINDISI L’ITS “CARNARO”

È intitolato al Carnaro l’Istituto Tecnico Sta-

tale brindisino con indirizzo

nautico e aeronautico sito in Via Nicola Brandi, nel qua-le studiarono tanti studenti profughi nella città pugliese. «Istituito nell’anno 1946/47 - si legge sul sito dell’Istitu-to -, per dare possibilità ai giovani profughi di Fiume, di Lussinpiccolo, della Dal-mazia e dell’Istria, all’epoca ospitati nel Collegio Navale

“N. Tommaseo” di Brindisi, di poter proseguire gli studi nautici già intrapresi nella loro città d’origine, l’Istitu-to Tecnico Nautico prese il nome “Carnaro” proprio per onorare quei giovani che, per amore dell’Italia, furono pro-fughi nella loro terra». Nel Collegio “N. Tommaseo” si ritrovarono quindi, nell’im-mediatezza dell’esodo, tan-tissimi giovani provenienti dall’Istria, dal Quarnero e da Zara, per i quali iniziò un difficile dopoguerra, leni-

◄ dalla prima pagina

SEMINARIO SUL CONFINE ORIENTALE 2014, A BRINDISI NEL DECENNALE DEL GIORNO DEL RICORDO

W La home page di www.scuolaeconfineorientale.it, il sito ufficiale del Gruppo di lavoro Miur-AssoEsuli

W Brindisi, l’ingresso del Collegio “Niccolò Tommaseo” nei primi anni Cinquanta

X Trieste, alcuni degli studenti vincitori dell’edizione 2013 del Concorso Tci-AssoEsuli (foto www.classeturistica.it)

“La Voce di Romagna”, quo-tidiano on line, pubblica il 25 ottobre 2013 un interessante e documentato articolo di Aldo Viroli su Giovanni Palatucci in relazione alla famiglia ebrea fi u-mana Berger. Viroli si dedica da tempo con attenzione alle vicende dell’ebraismo in Emilia Romagna e il suo recente articolo ci sembra meritevole di essere ripreso in par-te signifi cativa nel mese dedicato alla Memoria della Shoah.

«La Società di Studi Fiuma ni conserva

la copia del biglietto urgente di servi zio della Questura di Fiu me per il questore di Ra venna, data-to 23 maggio 1944, in risposta ad un telegramma del 12 maggio che riguarda i Berger, nota famiglia fi umana titolare di un mobilifi cio. Da tempo Storie e Personaggi [la rubrica del quotidiano che ospita questo intervento, ndr] si occupa delle famiglie ebraiche delle Co-munità di Fiume e Abbazia ri-fugiate in Romagna, soprattutto nella provin cia di Ravenna, dove erano assistite da Vincenzo Tam-bini e Antonio Dalla Val le. Senza dimenticare il maresciallo Ezechie-le Maccaccaro, comandante della stazione dei carabinieri di Bagna-cavallo; Maria Dalla Valle, fi glia di An tonio, ha riferito che era lui ad allertare sulle imminenti retate.

Ecco il conte nuto del docu-mento, citato da Storie e personag-gi il 15 novembre 2010, ri preso

recentemente da alcuni studiosi come prova contro Palatucci: “trattasi di ebrei apolidi fi umani qui irreperibili che identifi cansi per...” e prosegue con i dati del nucleo familiare. È fi r mato “pel reggente Palatucci”, quindi la fi r-ma non è del questore.

I Berger - erano in otto, nes-suno si è salvato - so no stati arre-stati a Cremenaga (Vare se), il 4 maggio 1944 mentre cercavano di espatriare in Svizzera, seguendo la stessa sorte toccata ad altri ebrei fi u mani, traditi dai cosiddetti pas-satori, che scoperti in occasione di un espa trio, pur di salvare la vita, avevano sot toscritto un patto scel-lerato con i na zisti.

Tra i loro eff etti personali un fo glio con l’indirizzo di Tambini, che provocherà l’arresto di Vin-cenzo, rila sciato due giorni dopo. Visto che i Berger sono stati ar-restati il 4 maggio e i dentifi cati,

che il telegramma della Questura di Ravenna è del giorno 12, non si comprende come avrebbe dan-neggiato la famiglia fi umana il bigliet to urgente del 23, non fi r-mato da Pa latucci.

Una testimonianza pro Pala-tucci viene da Elena Berger, anche lei rifugiata a Bagnacavallo e pa-rente dei Berger arrestati a Cre-menaga. Riguar da l’aiuto fornito al marito Lazar Aschkenasy, mai giunto in Romagna, che risulta in libertà a Bari il 1° ottobre 1944. La donna, stabilitasi nel dopo-guerra in Israele, ha dichiarato che Palatucci si stava adoperando per favo rire l’espatrio in Svizzera dell’intera fa miglia.

Nel suo libro Capuozzo accon-tenta questo ragazzo, Angelo Pica-riello racconta del rapporto di fraterna a micizia tra Palatucci e il commissario Feliciano Ricciardel-li, allora capo dell’Uffi cio politico della Questura di Trieste. Tra i due funzionari c’erano anche intensi rapporti di collaborazione. [...] Il com missario di Trieste si recherà a Fiume per prelevare con suc-cesso i congiunti di un ebreo del capoluogo giuliano che temevano di non passare indenni i posti di blocco tedeschi.

Ricciarelli, nel dopoguerra questore di Ravenna, era fi nito come Palatucci a Dachau; torna-to in Italia rilascerà una toccante testimonianza sul loro incontro nel la ger. Sempre in Capuozzo accontenta questo ragazzo, Pica-

riello riporta la testimonianza del brigadiere Ame-rigo Cucciniello, collaboratore di Palatucci, che si era recato a Ra-venna dove pres so amici fi dati aveva trovato rifugio u na famiglia fi umana. Il compito era di

condurla a Bergamo, dove con l’aiuto del commissario Mario Scarpa, già in servizio a Fiume, avrebbe raggiunto la Svizzera. Scarpa incamminò il marito verso la vicina Confederazione, men tre sistemò la donna, Elena Weits, presso amici di Torino dove ri-marrà fi no al termine della guerra.

[...] Sugli attacchi a Palatuc-ci interviene Marino Micich per la Società di Studi Fiumani. “A nostro avviso, esistono an cora mol-te ombre, non sull’onorabilità di Palatucci e sulla sua azione svolta in favore degli ebrei del fi umano o dei territori del più distante retro-terra quarnerino, ma sul numero di persone che egli ha contribuito a porre in salvo dalla deportazione nei lager tedeschi. Noi sappiamo che anche Riccardo Gi gante si adoperò per agevolare alcuni ebrei presenti a Fiume sin dal 1939 perché potessero espatriare. Ma su Gi gante (che ave-

va la moglie ebrea) nes suno, a parte noi, ha mai speso ricer che in tal sen-so o messo in risalto le qualità mo-rali. Noi sappiamo anche che alcuni fedeli aiutanti di Palatucci vennero stranamente risparmiati dall’Oz-na (la polizia politica jugoslava) il 4 maggio 1945, mentre gli altri 90 a genti della Questura di Fiume furono tutti infoibati nei pressi di Grobnico e di Costrena.

Per Palatucci, che ritenia mo senz’altro meritevole, si è messo in moto un meccanismo tale che non deve però gettare ombra sulle altre tra gedie vissute e purtroppo conti-nuamente ignorate accadute a Fiu-me in quel triste periodo”.

Riguardo la tragica fi ne degli agenti della Questura di Fiu me, Storie e personaggi lo scorso 13

marzo ha pubblicato la testimo-nianza della fi glia di Luigi Bruno, che aveva prestato in preceden-za servizio presso la Questura di Bologna. La signora An na Maria parla di un collega del padre, de-fi nito un “giuda”, che il 3 maggio 1945 si era presentato in casa per ac compagnarlo in Questura; lui tornò re golarmente a casa, mentre Luigi Bruno e gli altri sventurati agenti sono spariti nel nulla.

Sull’arresto di Palatucci re-stano ombre inquietanti; il fatto che la polizia tedesca sia andata a casa sua con la certezza di trovare materiale compromettente - una trasmittente e un documento sul-la ricostituzione dello Stato auto-nomo di Fiume - fa pensare che a tradirlo sia stato qualcuno a lui molto vicino. Nel maggio 1945 i primi a cadere nella repressio-ne dell’Ozna saranno proprio gli autono misti. [...]»

Aldo Viroli

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Numero 1 | Gennaio 2014

to tuttavia da una sincera fratellanza e dalla volon-tà di trasmettere al nuovo ambiente la conoscenza di quanto era loro accaduto, ma quella connaturata di-gnità propria delle genti giuliane e dalmate.

LA GITA ESTIVA NELL’ESTATE DEL 1947, IN CALABRIA

T ra le tante me-morie dei giovani

giuliani in Puglia, corte-semente fornitaci da Ma-

rino Micich - direttore dell’Archivio-Museo Stori-co di Fiume in Roma - vi è anche quella dell’estate 1947, quando, dopo il pri-mo anno scolastico passa-to a Brindisi ben 80 stu-denti non sapevano dove trascorrere l’estate: alcuni erano orfani, altri aveva-no i genitori in qualche campo profughi dove non v’era posto per l’accoglien-za e altri ancora avevano i genitori bloccati in Istria, a Fiume o a Zara in attesa dei permessi per giunge-re l’Italia. Allora il prof. Troili, già docente di Let-tere del Liceo “Antonio Grossich” di Fiume) ot-tenne dall’allora Ministero dell’assistenza post-bellica i fondi per portare in cam-peggio questi studenti più sfortunati, un mese in Ca-labria a Camigliatello Sila-no.

Il 15 agosto di quel 1947, il parroco di Ca-migliatello Silano volle coinvolgere direttamente i giovani profughi giuliani nelle celebrazioni dell’As-sunta e li chiamò a porta-re in spalla la statua della Madonna. Uno di loro era Antonio Varisco (Tonci) di Zara, ucciso nel 1979 in un vile agguato tesogli dal-le Brigate Rosse: una lapi-de voluta dall’Associazione dei «Muli del Tommaseo» - della quale è segretario generale l’ambasciatore Egone Ratzenberger - è stata posta sul muro d’en-trata dell’Archivio Museo di Fiume nel 1994.

p. c. h

Palatucci e la famiglia BergerNuovi contributi alla conoscenza

W Altamura (Bari) il campo profughi in una fotografi a d’archivio Associazione slovena rende

omaggio a BasovizzaUn gesto defi nito storico, l’omaggio a Basovizza dell’as-

sociazione culturale slovena “Anka Kolenc Family Th e-ater” che ha chiesto al Comitato 10 Febbraio di deporre, per suo conto, una ghirlanda quale segno di omaggio e di riprova della relazione avviata fra le due associazioni in occasione del bando «Memoria europea attiva» del programma «Europa per i cittadi-ni» dell’Unione Europea.

Scopo del progetto europeo è la promozione di iniziative, dibattiti e rifl essioni in materia di cittadinanza e democrazia, di valori condivisi, di storia e cultura comuni in Europa, grazie alla cooperazione delle organizzazioni della società civile a livello eu-ropeo, al fi ne di rendere l’idea dell’Europa più tangibile per i suoi cittadini, promuovendo i valori e i risultati europei e conservan-do al tempo stesso la memoria del passato; di incoraggiare l’in-terazione tra i cittadini e le organizzazioni della società civile di tutti i Paesi partecipanti, contribuendo al dialogo interculturale e mettendo in evidenza la diversità e l’unità dell’Europa con un’at-tenzione particolare per le attività fi nalizzate a facilitare l’intrec-cio di legami tra i cittadini degli Stati membri che facevano già parte dell’Unione europea il 30 aprile 2004, e quelli degli Stati membri che hanno aderito successivamente.

Borut Pahor, «superare attriti della storia e pregiudizi del passato»Il presidente della Repubblica slovena a Gorizia

«Con gli strumenti di cooperazione territoriale come il Gect riusciamo a superare attriti della storia e pregiudizi del pas-

sato, per creare le basi di una collaborazione comune». Lo ha dichia-rato il presidente della Repubblica slovena, Borut Pahor, intervenendo nel corso dell’assemblea del Gruppo europeo di cooperazione terri-

toriale costituito tra il Comune di Gorizia e le municipalità slo-vene di Nova Gorica e Sempeter-Vrtojba. «È una giornata solenne - ha aff ermato Pahor in italiano - perché alla minoranza slovena

autoctona viene riconosciuto uno spazio che apre nuovi orizzonti alla sua esistenza e al suo raff orzamento, ma anche perché l’amicizia italo-slovena assume una connotazione di collaborazione e rispetto recipro-co». Pahor ha altresì garantito il sostegno alle iniziative di coopera-zione europea, auspicando la nascita di un’università transfrontaliera.

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ENGLISH

Law on “historical denial”: an aggravating off ense, not a crime in itself

Trieste, the Museumof Istrian Civilization should be completed by mid-2014

It is hoped that the Museum of the Civilization of Istria, Fiume and Dalmatia, in Via Torino, Trieste, will be opening soon. It

will be managed by the Irci (Institute for the Culture of Istria, Fiume and Dalmatia), and has been a focal point of untiring eff orts on the part of the associations of Exiles, especially after the City of Trieste pulled out of the project last summer, prompting protests from Irci and Association leaders alike.

A meeting between all parties in mid-November was called to patch up the misunderstandings and re-launch the museum initiative, that will faithfully represent the history of the Julian region in the twentieth century. At the meeting, led by director Chiara Vigini of the Civic Museums of Trieste, along with the vice president of the Via Torino Institute, Mary Masau Dan, and the heads of the Irci, secretary Raoul Pupo, and Director Piero Delbello, the actual set-up was fi nally planned out. Masau Dan stated that “this goal must be reached by mid-2014”.

We recall here the earlier stages: in 2008, the City gave Irci the opportunity to use the building as a museum, setting aside of 2300 square meters of space; at the time it was, however, in poor conditions. Th e City of Trieste assumed the responsibility of refurbishing the facilities, but it fell instead to Irci to raise the funds, approximately fi ve million euros, and it did so mainly through the State and Region of Friuli Venezia Giulia, and in part by the Cassa di Risparmio Foundation of Trieste.

Currently, in addition to hosting many popular documentary exhibits since 2008, the fi rst fl oor of this lovely building houses a number of examples of cultural material of Istria, mainly paintings and prints. But the larger rooms are still to be set up defi nitively: it is planned to have a large part of the space fi lled with the belongings of post-war refugees, deposited in the now well-known ex “Warehouse 18”, in the old Port of Trieste, which greatly impressed the young singer-songwriter Simone Cristicchi, prompting him to compose a musical dedicated to the topic. Its debut in Trieste, on October 22nd, 2013, was greeted triumphantly by the Exiles and the critics unanimously.

For a complete overview on Cristicchi’s performance, please see www.anvgd.it

d. a.

Numero 1 | Gennaio 2014

After an exhausting parliamentary process,

with procedural controversy and opinion, certain amendments to the proposed law that would have made denial of the Holocaust a crime have been approved, along with the off ense of incitement and defending “crimes of terrorism, crimes of genocide, crimes against humanity or war crimes.” Th ose who denied the Holocaust or the Foibe massacres were to have expected a sentence of more than 7 years in prison.

Th e new formula, evaluated by the Senate Judiciary Committee, states that “if the instigation or condoning [...] refer to terrorist crimes, crimes of genocide, crimes against humanity or war crimes, the punishment shall be increased by half. Th e same penalty shall apply to anyone who denies the existence of genocide or crimes against humanity” also in the case of “the direct use of computer systems or media or electronic and/or telecommunications networks available.”

Th e Decree, as approved by the Commission for Justice, did not refer to specifi c historical events, so it is to be intended as applicable to all phenomena of ethnic persecution, ideological, political or other, and therefore also the Foibe.

THE FIRST NEGATIVE COMMENTS OF

“INSIDERS”

While the political world reached unanimous

approval of the new standard, the new stiff er penalties raised an interesting debate in the press and the media, led by statements of historians and journalists. Historian John Belardelli, in the “Corriere della Sera” national daily, stated very clearly in his October 20th article that “except for a very few exceptions, no one seems crossed by doubts about the non-liberal character of the changes, even though it should be obvious, given that the new norm still penalizes opinions”. He went on to say that “such a law is part of a trend, now common in many countries, to defi ne offi cially what is lawful and what is forbidden to sustain regarding past history, establishing a de facto offi cial historical truth for a given state.”

A few days earlier, on October 16th, Fiamma Nirenstein of the Italian national daily “Il Giornale” spoke out against the principle of prohibiting historical denial by

law: “Denial can’t be fought in court: ad hoc laws of this kind do not even exist in many countries, including those sensitive to these topics, for example, in Israel [...].”

Th e statement of Sissco, the Italian Society for the Study of Contemporary History, is well worth noting, as it expressed its strong doubts: “We have serious concerns as to legislative initiatives, that, in order to counter these phenomena, ultimately limit freedom of opinion, without which, among other things, it is impossible to carry out scientifi c research or historical debate. When ‘crimes’ are only expressions of opinion, they really aren’t crimes at all”.

Miguel Gotor and Andrea Romano, two political historians, are of the same mind. Gotor stated that “I will never vote in favor of such a law. As a historian, I am totally against it. As a politician, I think it’s a big mistake to give these people a wide audience”. Th is was echoed by Andrea Romano: “I’ll be protesting it. I am a scholar of the Ussr; the bread and butter of this subject is the debate

over whether the Nazi concentration camps were comparable or not with the Soviet gulags; for me it is unacceptable that this may all end up under the scrutiny of a criminal court. Although I have the greatest possible contempt for those who defend theories of Holocaust denial,

we must allow the debate open”.

HOLOCAUST DENIAL AS “AGGRAVATING”

AND NOT AS A CRIME IN ITSELF

What the press has described as a

“barrage” by Italian historians did not remain without eff ect on Parliament; it has, in fact, radically changed its orientation and, consequently, its decisions, so much so that the plenary of the Senate will reach a measure that “replaces the current law entirely [...], while looking to safeguard freedom of historical research”, as explained by the relator, Rosaria Capacchione.

Historical denial, according to the new legal formulation, it is not an off ense in itself, but a subspecies of “incitement to murder”, understood as an aggravating factor that will determine “the raising of the penalty by half, for those who incite or condone of crimes of genocide against humanity”.

p. c. h.

“To Simone Cristicchi, as a sign of gratitude

of the City of Trieste for his show, Magazzino 18, a lucid and delicate testimony to the painful past of our people”. Th is dedication, engraved on the city’s offi cial plaque, was given by mayor Roberto Cosolini, on November 12th to singer Simone Cristicchi, during a Town Hall meeting, attended by Deputy Mayor Fabiana Martini, Councillor Helen Marche, Provincial President Maria Teresa Bassa Poropat, the president of the Teatro Stabile Milos Budin along with director Antonio Calenda, Vice-President of the City Council

Alexander Carmi, the councillors Roberto Decarli, Patrik Karlsen, Paolo Rovis, Giovanni Coloni, Manuela Declich, Salvatore Correli, as well as numerous representatives of associations linked to the Exodus from Istria, Fiume and Dalmatia, including the President of the FederEsuli Renzo Codarin.

“Th is is proof of our esteem, gratitude and aff ection for a person who has given Trieste and its community something of great importance” stated Mayor Cosolini; he expressed “the overwhelmingly positive emotion of Magazzino 18. We’ve taken a

great step ahead” said the mayor, “which will now be referred to the whole of our country”. Th e mayor thanked Cristicchi on behalf of the city, “for his choice of material, for his courage in presenting it, and also to be able to overcome the diffi cult moments before the premiere”, and for creating a show “with respect, gentleness, genuine talent and full of desire to look towards the future”.

Th e musical’s plot was dedicated to the Exodus: an archive worker from Rome, unaware of the story that he is about to learn, is sent to Trieste to draw up an inventory of furniture,

household goods, books and toys abandoned by exiles who escaped from the Yugoslav occupation of Istria. Th e visual and emotional impact, and the mute testimony of pain and suff ering previously unknown to him, will start him on the road to the discovery of the Foibe, the internment camps, and nameless refugees. For those who want to listen, the objects to be archived recount the events that forced 350,000 people to abandon an entire region devastated by Yugoslav-instigated violence.

Staff (traduzioni di Lorie Simicich Ballarin)

W Trieste, the splendid building assigned to the Museum of Istrian, Fiume and Dalmati an Civilizati on(photo www.ilpiccolo.it)

X One of the Museum’s halls, dedicated to Istrian cultural material(photo www.ilpiccolo.it)

W Yugoslav female Parti sans posing, in an unidenti fi ed year, most probably 1945(photo www.cro-eu)

Trieste presents a plaque to Simone Cristicchi for his show, Magazzino 18: “A lucid testimony to the painful past of our people”

Ha tenido un proceso par-lamentar fatigoso, con

polémicas procedurales y de opi-nión, la aprobación de algunas modifi caciones de ley que habrían tenido que introducir en la clasifi -cación italiana el reato de negacio-nismo, es decir la punibilidad de la instigación y de la apología relativa a «delitos de terrorismo, crímenes de genocidio, crímenes contra la humanidad o crímenes de gue-

rra». Para quien hubiera negado la Shoah o las masacres de las Foibe las nuevas normas preverían, si son aprobadas, más de 7 años de cárcel.

En la nueva formulación en-tregada para la evaluación de la Co-misión Justicia del Senado se leía que «si la instigación o la apología […] está en relación con delitos de terrorismo, crímenes de genocidio, crímenes contra la humanidad o crímenes de guerra, la pena au-menta la mitad. La misma pena se aplica a quien niega la existencia de crímenes de genocidio o contra la humanidad» también mediante «el empleo directo de sistemas infor-máticos o medios de comunicación telemática o utilizando redes de te-lecomunicación disponibles».

El Decreto de ley, así como está aprobado en la Comisión Justicia, no hacía referencia a eventos históricos precisos, por tanto se entiende que es aplicable a todos los fenómenos de persecución étnica, ideológica, políti-ca y otros, también a las Foibe.

LOS PRIMEROS COMENTARIOS

NEGATIVOS DE LOS “EMPLEADOS”

M ientras que desde todo el mundo político lle-

gaba concorde la aprobación de la nueva norma, la noticia del en-durecimiento de la pena suscitaba un interesante debate en la prensa y en los medios, animado por in-tervenciones de historiadores y pe-riodistas. Ha escrito claramente el historiador Giovanni Belardelli en el “Corriere della Sera” del 20 de octubre: «pero con poquísimas ex-cepciones nadie parecía tener dudas acerca de su carácter iliberal, que

también tendría que ser evidente dado que la nueva norma sancio-naría solo opiniones». «Una ley de este tipo se insiere en una tenden-cia, común en varios Países, defi nir de forma ofi cial lo que es lícito y lo que está prohibido sostener respec-to al pasado, estableciendo de he-cho verdades históricas de Estado».

Pocos días antes, el 16 de oc-tubre, Fiamma Nirenstein en “Il Giornale” se pronunciaba contra

el principio de prohibir por ley el negacionismo: «el negacionismo no puede ser combatido en el tri-bunal: la ley a medida no existe en todos los Países interesados en el tema, por ejemplo en Israel […]».

También hay que tener en cuenta la intervención de la Sissco, la Sociedad Italiana para el Estudio de la Historia contemporánea, que ha expresado en una nota su fuer-te perplejidad: «Nutrimos gran-des perplejidades hacia iniciativas legislativas que, en el intento de contrastar tales fenómenos, acaben por limitar la libertad de opinión, sin la que entre otras cosas son im-posibles las investigaciones cien-tífi cas o el debate historiográfi co. Los “reatos”, mientras se trate de opiniones, en efecto no son tales».

Son de la misma orientación dos historiadores prestados a la po-

lítica, como Miguel Gotor y Andrea Romano. El primero había anuncia-do: «No votaré nunca a favor de una ley de este tipo. Como historiador, soy contrario. Como político, pien-so que es un clamoroso error regalar una larga platea a estas personas». Le ha hecho eco Romano: «Yo haré las barricadas. Soy un estudioso de la Urss; para nosotros es el pan de cada día el debate sobre si el lager nazista se pueda confrontar o no con el gulag soviético, para mí es in-admisible que todo pueda acabar en manos de un juez penal. Aun sin-tiendo el máximo desprecio posible por quien defi ende teorías negacio-nistas, dejamos libre el debate».

EL NEGACIONISMO COMO «AGRAVANTE» Y NO COMO REATO EN SÍ

Lo que la prensa ha defi nido un «barrera de fuego» por

parte de los historiadores italianos no ha quedado sin efectos sobre el Parlamento, más bien ha cam-biado radicalmente la orientación y de consecuencia las decisiones, tanto que en el Aula del Senado llegará una medida «enteramente sustitutiva […], mirando a salva-guardar la libertad de investigación histórica», como ha explicado la relatora, Rosaria Capacchione.

El negacionismo, según la nue-va formulación jurídica, no será un reato autónomo, sino una subespe-cie de la «instigación a delinquir», entendida como un agravante que determinará «el aumento de la pena de la mitad para quien cum-pla instigación o apología de los crímenes de genocidio o contra la humanidad».

p. c. h.

ESPAÑOL

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Ley sobre el «negacionismo»: de posible reato a simple agravante

Numero 1 | Gennaio 2014

Trieste, verso la conformación del Museo de la Civilización IstrianaTendrá que estar acabado a mediados del 2014

Se pondrá en marcha, se espera que en breve, el procedimiento ope-rativo que conducirá a disponer ade-

cuadamente el espacio del Museo de la civiliza-ción istriana, fi umana y dalmata de Via Torino, gestionado por el Irci y al que las asociaciones de los Desterrados se han dedicado en estos años, y del que el Ayuntamiento había retirado su coparticipación el verano pasado suscitando las protestas de los responsables del Irci y de to-dos los representantes del éxodo.

Ha sido convocada una reunión de las partes a mitad de noviembre para sanar las incomprensiones y promover la institución museística que tendrá que representar la his-toria del Novecientos giuliano. Han partici-pado en la reunión en la Consulta museística guiada por la directora de los Museos Cívicos de Trieste y vicepresidente del Istituto de Via Torino, Maria Masau Dan, dos conservadores y los vértices del Irci, con la presidenta Chia-ra Vigini, el secretario Raoul Pupo, el director Piero Delbello, para planifi car fi nalmente la instalación, «que tenemos que terminar - ha dicho Masau Dan - a mediados del 2014».

Recordamos las fases precedentes: en el 2008 el Ayuntamiento asignó al Irci para un propósito museístico el edifi cio de 2300 metros cuadrados, entonces en muy malas condiciones, asumiéndose el Ayuntamiento el compromiso de restaurar los espacios y las estructuras: pero sin embargo fue el Irci quien se procuró los fondos, casi cinco millones, del Estado y las Regiones Friuli Venezia Giulia y en parte de la Fundación Cassa di Risparmio di Trieste.

Actualmente, además de haber albergado, desde el 2009, muchas y apreciadas muestras documentarias, el primer piso del bello edifi cio alber-ga una serie de testimonios de la cultura material de Istria, cuadros y gra-bados. Pero las amplias salas serán adecuadamente organizadas, en parte signifi cativa con los enseres de los prófugos depositados en la posguerra en el ya conocidísimo Magazzino 18 del Punto franco viejo del puerto de Trieste, que ha grandemente impresionado al joven y apreciado cantautor Simone Cristicchi hasta el punto de sugerirle el dedicar al lugar un «musi-cal civil», del cual su debut en Trieste ha sido acogido triunfalmente por los desterrados y por la entera crítica musical el pasado 22 de octubre 2013.

Para una completa reseña sobre el espectáculo de Cristicchi www.anvgd.itd. a.

«A Simone Cristicchi, como signo de re-

conocimiento del Municipio de Trieste por el espectáculo Maga-zzino 18, lucido y delicado testi-monio de los dolorosos trascursos de nuestra gente». Ésta es la dedi-catoria grabada en la placa ofi cial del Ayuntamiento, que el alcalde Roberto Cosolini ha entregado el pasado 12 de noviembre al can-tautor Simone Cristicchi, en el curso de una reunión en el Ayun-tamiento, estaban presentes la teniente alcalde Fabiana Martini, la asesora Elena Marchigiani, la

presidenta de la Provincia Maria Teresa Bassa Poropat, el presiden-te del Teatro Stabile Milos Budin con el director Antonio Calen-da, el vicepresidente del Consejo municipal Alessandro Carmi, los consejeros municipales Roberto Decarli, Patrik Karlsen, Paolo Ro-vis, Giovanni Coloni, Manuela Declich, Salvatore Correli, además de numerosos representantes de las asociaciones legadas al mundo del Éxodo istriano, fi umano y dal-mata, entre los cuales el presidente de la FederEsuli Renzo Codarin.

«La demostración de estima,

gratitud y afecto a una persona que ha dado algo importante a Trieste y a su comunidad» ha sido reafi rmada por el alcalde Cosoli-ni que ha expresado también «la emoción extraordinariamente po-sitiva de Magazzino 18». «Hemos dado otro paso hacia delante -ha seguido el alcalde - que ahora será propuesto a la comunidad civil de nuestro País». El Alcalde ha dado las gracias a Cristicchi en nombre de la ciudad, «por la elección, por el valor y también por haber con-seguido superar los momentos di-fíciles antes del debut», por haber realizado un espectáculo «con res-peto, delicadeza, talento autentico y tantos deseos de futuro».

Esta es la síntesis de la trama del musical civil dedicado al éxo-do: un archivista romano, ignaro

de la historia que encontrará, es destinado a Trieste para elaborar un inventario de los muebles, de los enseres, de los libros, de los juguetes abandonados por los desterrados supervivientes de la ocupación yugoslava de Istria. Del impacto visivo y emotivo con aquellos testimonios mudos de dolor y de sufrimiento desconoci-dos empezará para él el descubri-miento de las Foibe, de los cam-pos de reclusión, de los prófugos sin nombre, que a través de los objetos relatan, a quienes quieran escucharles, los acontecimientos que les obligaron a abandonar, a 350.000 personas, una entera re-gión devastada por la violencia de las bandas yugoslavas.

red.(traduzioni di Marta Cobian)

Q Unidades parti sanas de Tito, 1942. Se hicieron culpables de las masacres de las Foibe y de las difundidas violencias a la población civil italiana en Istria, en el Quarnero y en Dalmazia(foto www.vojnapovijest.vecernji.hr)

La Ciudad de Trieste a Simone Cristicchi por Magazzino 18: «lucido testimonio de los dolorosos trascursos de nuestra gente»

W Trieste, una sala del Museo, evocati va de la tragedia de las Foibe(foto www.ilpiccolo.it)

X Rostros de la historia en el Magazzino 18 del Puerto de Trieste(foto www.ilpiccolo.it)

N onostante i decen-ni, la dispersione

su tutto il territorio nazio-nale ed anche all’estero, gli esuli giuliani e dalmati an-cora si ritrovano, talvolta casualmente e non grazie ai

social network ma tramite il nostro mensile. È il caso del fiumano Aldo Kregar, che si ricorderà essere stato l’allenatore in seconda della «Fiumana» nel Triangola-re del Ricordo svoltosi nel

2011 allo Stadio Flaminio di Roma, e Benito Pavaz-za, presidente del Comi-tato provinciale Anvgd di Latina.

Due amici d’infanzia, ricordi sereni e gioiosi mai dimenticati, la sorpre-sa della casualità: «Dopo 65 anni ti rintraccio per

puro caso - ha scritto Kre-gar a Pavazza -. Leggendo la “Difesa” di ottobre 2012, oggi facendo un po’ d’ordi-ne, mi è caduto lo sguardo sulla foto della commemo-razione al monumento del-le Foibe di Latina. E leggo Benito Pavazza, presidente dell’Anvgd: credimi ho avu-to un sobbalzo, incredulo di averti rintracciato. Dopo

tanti anni, il mio ricordo è chiaro e lucido. Andavamo a scuola sopra el “Belve-der”. Mi son Aldo Kregar, che abitava in Via Ugo Fo-scolo per andar al cimitero, fio de Andrea “footbaler”. Me ricordo de ti come fosse ieri. Gavevimo 9-10 anni.

Spero che ti gaverà piacer de risentirme, gaveremo el modo de contarse tante cose, un sincero abbraccio. Aldo cav. Kregar, allenatore della “Fiumana” a Roma al Flaminio per il Triangolare del Ricordo che gavemo vin-to, il 21 settembre 2011».

Periodico mensile dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e DalmaziaCentro Studi Padre Flaminio Rocchi

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Patrizia C. Hansen

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Numero 1 | Gennaio 2014

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D all’archivio fotografico della Sede nazionale

Anvgd e del nostro mensile, la cui catalogazione è stata comple-tata in queste settimane ed è a di-sposizione degli utenti, è emersa questo simpatica immagine, da-tabile agli anni Cinquanta e pre-

sumibilmente scattata negli uffici di Piazza della Pigna in Roma. Su quel modellino di nave militare fu scherzosamente apposto un ri-taglio della testata.

Chissà se il bambino diverti-to ritratto in quella fotografia si riconoscerà: magari non si sarà più ricordato di quella posa e di quella nave. Attendiamo di po-

terlo ritrovare, così come dopo decenni abbiamo rinvenuto la sua bella immagine di allora.

DISPONIBILE IL CATALOGO DELLE

IMMAGINI

P er quanto riguarda l’ar-chivio, si tratta comples-

sivamente di 3.015 fotografie ca-talogate in un file. Nel riordinare il fondo a ciascuna fotografia è stato applicata sul retro il numero di catalogazione. Al numero cor-risponde una stringa di «excel» dove trovano spazio per ogni im-magine le seguenti indicazioni:

numero di catalogazione, indica-zione se trattasi di foto, cartolina o tessera sociale, indicazione se a colori o bianco/nero, anno dello scatto, se presente, luogo dello scatto, se presente, descrizione sommaria del soggetto, eventuale nominativo nelle foto di singo-

le persone catalo-gate come «Volti dell'Esodo».

Con il file ex-cel è possibile una facile ricerca per nominativo, anno, località, tipologia e così via.

Nell’archivio sono rappresenta-ti momenti di vita associativa di molti Comitati provin-ciali, rare e originali cartoline d’epoca di molte città istria-ne e quarnerine, cartoline comme-morative di eventi e ricorrenze, im-magini di ambienti dei campi-profughi e di cerimonie, te-stimonianze della costruzione in Ita-lia di insediamen-ti abitativi per i

profughi, colonie e molto altro ancora: dunque una fonte signi-ficativa per la memoria storica dell’esodo e della maggiore tra le associazioni giuliano-dalmate, l’Anvgd.

La fotografia racconta la sto-ria, questo è un ulteriore contri-buto alla sua conservazione.

d.a.

Catalogato l’archivio fotografico AnvgdRitrovato l’ incrociatore «Difesa Adriatica»

Ritrovare un compagno d’infanzia. Grazie a “Difesa”

Q Aldo Kregar, con la tuta della “Fiumana” al Triangolare del Ricordo

R Il presidente del Comitato di Latina, Benito Pavazza