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ANNUNCIO DIALOGO LIBERAZIONE AMAZZONIA p. 6 I popoli indigeni verso il Sinodo del 2019: un’assemblea speciale dei vescovi per una Chiesa dal volto amazzonico NIGER p. 15 Un focus sul paese dove l’Italia invia una missione militare contrastata all’interno e non acceata dal governo nigerino RIFORMA p. 55 La Chiesa può trovare capacità di futuro anche per il lavoro di uomini e donne arai dallo Spirito 02 MARZO APRILE 2018 © ASSOCIAZIONE MISSIONE OGGI - 25121 BRESCIA, VIA PIAMARTA 9 • Poste Italiane S.p.A. - Sped. D.L. 353/03 (conv. L. 27/02/04 n° 46) art. 1, comma 1, DCB Brescia DOSSIER GLOBALIZZAZIONE IMPOVERIMENTO E DISUGUAGLIANZE

ANNUNCIO DIALOGO LIBERAZIONE · “Nel 2016 il quarto uomo più ricco al mondo, Amancio Ortega, ha ricevuto dalla casa madre della catena di abbigliamento Zara dividendi annui per

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A N N U N C I O D I A L O G O L I B E R A Z I O N E

AMAZZONIA p. 6I popoli indigeni verso il Sinodo del 2019:un’assemblea speciale dei vescovi per una Chiesa dal volto amazzonico

NIGER p. 15Un focus sul paese dovel’Italia invia una missionemilitare contrastataall’interno e non accettatadal governo nigerino

RIFORMA p. 55La Chiesa può trovarecapacità di futuro anche per il lavoro di uomini e donne attrattidallo Spirito

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DOSSIERGLOBALIZZAZIONEIMPOVERIMENTO E DISUGUAGLIANZE

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Papa Francesco da tempo ci richiama ai grandi problemi, tra loro inscindibilmente intrecciati, cheaffliggono l’umanità: la crisi ecologica e quella sociale. Problemi aggravati dalla mancanza di unaqualche forma di governo democratico mondiale, per cui i contrasti tra ricchi e poveri e tra chi vuoleaccaparrarsi le poche risorse disponibili e chi lotta per la sopravvivenza si incancreniscono in conflittiendemici e caotici, in quella pericolosa “terza guerra mondiale a pezzi” denunciata dallo stessoFrancesco. Eppure, oggi, avremmo le conoscenze e le tecnologie per assicurare a tutti gli abitanti delpianeta una vita dignitosa e non predatoria della natura. Ma questa, che appare ed è l’unica prospettivaragionevole e praticabile, non riscuote grandi adesioni tra i gruppi dirigenti e le popolazioni, inparticolare della parte ricca del globo, tutti distratti dal mito illusorio della crescita. Ebbene, con questodossier, Missione Oggi cerca di aprire uno spiraglio di luce, rappresentando la cruda realtà di un mondoe un’Italia in cui ciò che davvero continua a crescere inarrestabilmente è la disuguaglianza tra i popoli ele persone, focalizzando una delle principali cause di questo fenomeno gravido di un futuro torbido perla pace sulla terra: la svalutazione del lavoro. Per questo abbiamo messo in fila i dati della realtà,provenienti da diverse fonti e istituzioni, ma tutti convergenti: possono sembrare noiosi i numeririportati, ma rappresentano persone sofferenti e la realtà dell’attuale ingiustizia che dobbiamoconoscere e da cui dobbiamo partire per costruire un futuro migliore per l’umanità.

A C U R A D I M A R I N O R U Z Z E N E N T I

Globalizzazione

D O S S I E R

impoverimento e nuove disuguaglianze

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C ome ogni anno, da un po’ di tempo a questa par-te, anche nel 2018, giunge a guastare la festa delvertice della finanza mondiale, riunito a Daovs

nell’ultima settimana di gennaio, il rapporto dell’Ong bri-tannica Oxfam, una delle più autorevoli, sulle permanentifratture tra ricchi e poveri: i primi sempre più ricchi, i se-condi sempre più poveri. Il lato oscuro dell’attuale glo-balizzazione senza regole, dominata dal mercato, vieneancora una volta svelato: Oxfam ci ricorda che l’1 per

cento più ricco della popolazione mondiale continua apossedere quanto il restante 99 per cento.

A LC U N I E S E M P I S C O N V O L G E N T I

“Nel 2016 il quarto uomo più ricco al mondo, AmancioOrtega, ha ricevuto dalla casa madre della catena diabbigliamento Zara dividendi annui per un valore dicirca 1,3 miliardi di euro. Stefan Persson, figlio del fon-datore di H&M, si colloca al 43° posto nella lista Forbesdelle persone più ricche al mondo e l’anno scorso haricevuto dividendi azionari per 658 milioni di euro. An-ju è una lavoratrice del Bangladesh, cuce abiti destinatiall’esportazione. Spesso lavora 12 ore al giorno, fino atarda sera; talvolta deve saltare i pasti perché non haguadagnato a sufficienza. Il suo salario annuo è di soli900 dollari.

Marino Ruzzenenti vive a Brescia, dove si occupa di storiacontemporanea con particolare attenzione, negli ultimitempi, ai problemi ambientali. Fa parte del Grupporedazionale di Missione Oggi e collabora con la FondazioneLuigi Micheletti di Brescia. Ultime pubblicazioni: Rifiuti. Il business dei rifiuti a Brescia (Liberedizioni 2015);L’antisemitismo cattolico e la Shoah (Derive e Approdi 2018).

Rapporto Oxfam disuguaglianze planetariee italiane nel 2017

A C U R A D I M A R I N O R U Z Z E N E N T I

ARSPOLARISPRESS.CO

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Nel corso dell’ultimo anno il numero dei miliardari è au-mentato come mai prima: uno in più ogni due giorni. At-tualmente vi sono nel mondo 2.043 miliardari (valore indollari), e nove su dieci sono uomini. La loro ricchezza haregistrato un incremento enorme che, a titolo compara-tivo, rappresenta 7 volte l’ammontare delle risorse neces-sario per far uscire dallo stato di povertà estrema 789 mi-lioni di persone. Di tutta la ricchezza globale creata nel-l’ultimo anno, l’82 per cento è andato all’1 per cento dellapopolazione mentre il 50 per cento meno abbiente nonha beneficiato di alcun aumento”. Il contrasto è evidentevisto che, conti alla mano, ogni due giorni si registra l’ar-rivo di un nuovo miliardario. “Ricompensare il lavoro, nonla ricchezza”, è il titolo del Report che utilizza i dati elabo-rati dal Credit Suisse tenendo conto di nuove informazio-ni che arrivano sui nuovi ricchi di Russia, Cina e India.

I N I TA L I A L A M E D E S I M A T E N D E N Z A

“Alla fine del primo semestre del 2017 la distribuzionedella ricchezza nazionale netta (il cui ammontare com-plessivo si è attestato, in valori nominali, a 10.853 miliardi

di dollari, registrando un aumento di 706 miliardi in 12mesi) vede il 20 per cento più ricco degli italiani detenereoltre il 66 per cento della ricchezza nazionale, il succes-sivo 20 per cento controllare il 18,8 per cento della ric-chezza, lasciando al 60 per cento più povero dei nostriconcittadini appena il 14,8 per cento della ricchezza na-zionale. Il top-10 per cento (in termini patrimoniali) dellapopolazione italiana possiede oggi oltre 6 volte la ric-

chezza della metàpiù povera della po-polazione. Confron-tando il vertice dellapiramide della ric-chezza con gli stratipiù poveri della po-polazione italiana, ilrisultato è ancorapiù sconfortante. Laricchezza del 5 per

cento più ricco degli italiani (titolare di quasi il 40 percento della ricchezza nazionale netta) è pari a 44 voltela ricchezza del 30 per cento più povero dei nostri con-nazionali. Il rapporto sale a 240 volte circa, se si confrontalo stato patrimoniale netto dell’1 per cento più ricco degliitaliani (che detiene il 21,5 per cento della ricchezza na-zionale) con quello detenuto complessivamente dal 20per cento più povero della popolazione italiana. A metà2017 la ricchezza dei primi 14 miliardari (in dollari 2017)italiani della lista Forbes equivale alla ricchezza netta de-tenuta dal 30 per cento più povero della popolazione(ovvero 107 miliardi di dollari, al netto dell’indebitamentodel primo decile della popolazione pari a -0,09 per centodella ricchezza netta complessiva degli italiani)”.

L’ A S P E T T O P I Ù P R E O C C U PA N T E

L’aspetto più preoccupante è che nel corso della crisi ladistanza tra ricchi e poveri è andata aumentando. “Su unarco temporaneo (2006-2016) che include il biennio dellagrande recessione il reddito disponibile lordo delle fami-glie italiane ha visto un incremento netto di 72,5 miliardidi euro. Appena il 15,4 per cento di tale incremento è flui-to verso la metà più povera delle famiglie italiane (con uncalo netto del 23,1 per cento del reddito complessivo del-le famiglie del 10 per cento più povero) a fronte di unaquota del 40,4 per cento dell’incremento ad appannaggiodel 20 per cento dei percettori dei redditi più elevati (il22,6 per cento per il 10 per cento più elevato)”.L’indice di Oxfam, in quest’ultimo rapporto, è puntato si-gnificativamente sul lavoro, sempre più sotto-retribuitoe precario, pieno di abusi e rischi, come causa primariadell’impoverimento e dell’aumento delle diseguaglianze.Eloquente, a questo proposito, il titolo del Rapporto2018: Ricompensare il lavoro, non la ricchezza.

A C U R A D I M A R I N O R U Z Z E N E N T I

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DISUGUAGLIANZE NEL MONDO“In vista di questo rapporto, Oxfam ha condotto unsondaggio tra oltre 70mila persone in 10 paesi la cuipopolazione rappresenta un quarto di quella mondiale. z Più di tre quarti degli intervistati sono d’accordo ofortemente d’accordo sul fatto che il divario tra ricchi epoveri nel proprio paese è troppo ampio: la percentuale variadal 58 per cento nei Paesi Bassi al 92 per cento in Nigeria. z Quasi due terzi degli intervistati nei 10 paesi ritengono cheil problema del divario tra ricchi e poveri debba essereaffrontato con urgenza o con grande urgenza. z Il 60 per cento di tutti gli intervistati (69 per cento in SudAfrica) è d’accordo o molto d’accordo sul fatto che laresponsabilità di ridurre il divario tra ricchi e poveri competaai governi. z Il 75 per cento degli intervistati vorrebbe che ladisuguaglianza di reddito fosse minore di quella attualmenteesistente nel proprio Paese. Più precisamente, oltre la metàdegli intervistati vuole per il proprio Paese livelli didisuguaglianza inferiori a quelli che attualmente esistono intutti i Paesi del mondo”.

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A pag. 24: Bangladesh, una lavoratrice del settore tessile. L'orario di lavoro è di otto ore al giorno per sei giorni alla settimana.

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La popolazione a rischio di povertà o esclusione sociale è pari al 30 per cento (18.136.663 individui) e include coloro che si trovano in almeno una delle suddette tre condizioni. Tale quota risulta in aumento rispetto al 2015 (28,7 per cento).

Disuguaglianza e povertà crescono anche in ItaliaConferme dall’Istat

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A C U R A D I M A R I N O R U Z Z E N E N T I

P ubblicato dall’Istat il 6 dicembre 2017, il Rapportosu Condizioni di vita, reddito e carico fiscale dellafamiglie, nel quadro dell’Indagine campionaria

europea su Reddito e condizioni di vita (Eu Silc), rileva nu-merosi indicatori delle condizioni economiche delle fa-miglie, insieme ai redditi netti familiari riferiti al 2015. Sulla base di tali informazioni, l’Ue calcola gli indicatoriufficiali per la definizione e il monitoraggio degli obiettividi politica economico-sociale di Europa 2020, che si pro-pone di ridurre di 20 milioni gli individui esposti al rischiodi povertà o esclusione sociale entro il 2020. Per il nostropaese l’obiettivo è far uscire 2,2 milioni di persone da talecondizione rispetto al valore registrato nel 2008 (ultimodato disponibile quando l’impianto strategico Europa2020 fu impostato). In Italia, nel 2008, risultavano a rischiodi povertà o esclusione sociale 15.082.000 individui (25,5per cento della popolazione) da ridurre a 12.882.000 unitàentro il 2020. Nel 2016 gli obiettivi prefissati sono ancoralontani: la popolazione esposta a rischio di povertà oesclusione sociale è infatti superiore di 5.255.000 unità ri-spetto al target previsto e, addirittura, è aumentata di oltre

3.000 unità rispetto al punto di partenza, giudicato critico,del 2008. Nel 2016, il 20,6 per cento delle persone residenti in Italiarisulta a rischio di povertà; il 12,1 per cento si trova in con-dizioni di grave deprivazione materiale, mostrando cioè al-meno quattro dei nove segnali di deprivazione previsti; il12,8 per cento vive in famiglie a bassa intensità di lavoro,ossia in famiglie con componenti tra i 18 e i 59 anni chenel 2015 hanno lavorato meno di un quinto del tempo. Lapopolazione a rischio di povertà o esclusione sociale è parial 30 per cento (18.136.663 individui) e include coloro chesi trovano in almeno una delle suddette tre condizioni. Talequota risulta in aumento rispetto al 2015 (28,7 per cento).A livello europeo, nel 2016 l’indicatore sintetico di rischiodi povertà o esclusione sociale diminuisce da 23,8 percento a 23,5 per cento, ma sale rispetto al 2015 per Ro-mania, Lussemburgo e Italia. Il valore italiano si mantieneinferiore a quelli di Bulgaria (40,4 per cento), Romania(38,8 per cento), Grecia (35,6 per cento), Lettonia (30,9per cento), ma è molto superiore a quelli registrati inFrancia (18,2 per cento), Germania (19,7 per cento) e Re-gno Unito (22,2 per cento) e di poco più alto rispetto aquello della Spagna (27,9 per cento).

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le risorse totali, mentre il quinto più ricco possiede quasiil 40 per cento del reddito totale (equivalente); in altritermini, il reddito totale dei più benestanti è pari a 6,3volte quello degli appartenenti al primo quinto.La crescita del reddito in termini reali osservata nel cor-so del 2015 è associata a un aumento della disugua-glianza, su cui hanno inciso in misura rilevante le dina-miche delle diverse tipologie di reddito: in particolare,si osserva un marcato incremento dei redditi da lavoroautonomo per il quinto più elevato (più 11,2 per cento),che ha portato il reddito del 20 per cento più ricco da5,8 a 6,3 volte il reddito del quinto più povero tra il 2014e il 2015. Denotano una maggiore vulnerabilità gli ap-partenenti a famiglie con principale percettore sotto i35 anni (27,8 per cento nel primo quinto), con titolo distudio basso (28,2 per cento), in condizione di disoccu-pazione (59,1 per cento) o inoccupazione (38,6 per cen-to) e in famiglie con almeno un componente con citta-dinanza straniera (39,1 per cento).

A C U R A D I M A R I N O R U Z Z E N E N T I

Per approfondire: http://www.istat.it/it/archivio/207031

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RECORD STORICO: 2,8 MILIONI DI PRECARI

Mai così tanti dipendenti a termine secondo l’ultima rilevazionetrimestrale del 7 dicembre 2017. Il tasso di disoccupazione restainvece stabile all’11,2%, lo stesso livello del trimestre precedente,quando si è toccato il valore più basso dalla fine del 2012. Se il tasso di occupazione (58,1 per cento), è il più alto dal primotrimestre del 2009, si registra, però, il nuovo record storico per i dipendenti a tempo determinato che hanno raggiuntoquota 2.784.000, mentre quelli a tempo indeterminato restanosostanzialmente stazionari. In un anno gli “scoraggiati” (i disoccupati che hanno rinunciato a cercare lavoro) sono100mila in meno, ma il loro numero resta ancora elevato, pari a 1 milione 651 mila.

Per approfondire: http://www.istat.it/it/files/2017/12/Mercato-del-lavoro-III-trim-2017.pdf

CIOCIARIAO

GGI.IT

VITA.IT

FA M I G L I E N U M E R O S E O C O N S T R A N I E R I A R I S C H I O

Nel 2016 si stima che le persone a maggior rischio di po-vertà o esclusione sociale vivano in famiglie di coppiecon tre o più figli (46,1 per cento), monogenitoriali (38,8per cento) e in famiglie con cinque o più componenti(43,7 per cento). Ciò è dovuto in particolare all’elevataincidenza del rischio di povertà e della grave depriva-zione, che per le famiglie numerose è pari rispettiva-mente a 34,4 per cento e 17,7 per cento. Si stima chequasi la metà dei residenti nel Sud e nelle Isole (46,9 percento) sia a rischio di povertà o esclusione sociale, con-tro il 25,1 per cento del Centro, 21 per cento del Nord-ovest e il 17,1 per cento del Nord-est. Tra coloro che vi-vono in famiglie con almeno un cittadino non italiano ilrischio di povertà o esclusione sociale è quasi il doppio(51 per cento) rispetto a chi vive in famiglie di soli italiani(27,5 per cento).

I N I TA L I A P I Ù D I S U G UA G L I A N Z A N E I R E D D I T I

Una delle misure principali utilizzate nel contesto euro-peo per valutare la disuguaglianza tra i redditi degli indi-vidui è l’indice di Gini che in Italia è pari a 0,331, sopra lamedia europea di 0,307. Nella graduatoria dell’Ue, l’Italiaoccupa la ventesima posizione. Distribuzioni del redditopiù diseguali rispetto all’Italia si rilevano in altri paesidell’area mediterranea quali Portogallo (0,339), Grecia(0,343) e Spagna (0,345).Per misurare la disuguaglianza nella distribuzione deiredditi è possibile ordinare gli individui dal reddito equi-valente più basso a quello più alto e classificarli in cin-que gruppi (quinti). Il primo quinto comprende il 20 percento degli individui con i redditi equivalenti più bassi,il secondo quelli con redditi medio-bassi e così via finoall’ultimo quinto, che comprende il 20 per cento di in-dividui con i redditi più alti. La distribuzione del redditototale nei quinti fornisce, dunque, una prima misurasintetica della disuguaglianza. Nella situazione ipoteticadi perfetta eguaglianza, ogni quinto della popolazionedisporrebbe di una quota di reddito pari al 20 per centodel totale.Se si fa riferimento alla distribuzione dei redditi indivi-duali equivalenti, si nota che il 20 per cento più poverodella popolazione dispone soltanto del 6,3 per cento del-

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molto. Più precisamente, sono stati 365mila i giovaniusciti dall’insieme delle persone a rischio di povertà eco-nomica. In Italia il fenomeno della povertà giovanile è in-vece in forte aumento: i ragazzi a rischio di povertà edesclusione sociale sono passati dal milione 732mila del2010 al milione 995mila del 2015 (223mila in più, pari adun incremento del 12,9 per cento). Il rischio di povertà edesclusione sociale riguarda il 33,7 per cento dei giovaniitaliani (6,4 punti percentuali in più rispetto a quanto ac-cade nel resto d’Europa). Il confronto tra i diversi paesidell’Ue mette in evidenza una forte criticità della situa-zione italiana, sempre in termini assoluti: siamo il terzopaese dell’Ue ad aver incrementato il numero dei giovaniin difficoltà, che in cinque anni sono aumentati di 223milaunità. Il record negativo spetta alla Spagna, dove i giovania rischio di povertà sono aumentati di oltre 300mila unità

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A C U R A D I M A R I N O R U Z Z E N E N T I

Il titolo del Rapporto 2017 su povertà giovanili edesclusione sociale in Italia, Futuro anteriore, intendedescrivere in chiave simbolica questo fenomeno.

Molti dei nostri giovani hanno ormai uno sguardo disin-cantato verso un futuro che vedono costellato di inco-gnite e di incertezze e quasi uno sguardo nostalgico ver-so il passato.Il Iconfronto tra i diversi paesi dell’Ue penalizza fortemen-te l’Italia: siamo il terzo paese dell’Ue ad aver incremen-tato il numero dei giovani in difficoltà, che dal 2010 al2015 sono passati da poco più di 700mila a quasi 1 mi-lione. Dal 2010 al 2015, nel corso del primo quinquenniodel percorso dell’Ue verso gli Obiettivi 2020, il numero digiovani a rischio di povertà è diminuito, anche se non di

Dalla Caritas una fotografia preoccupante della condizione giovanile

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volta dal dopoguerra esiste il serio rischio, in molte eco-nomie sviluppate, che i figli “finiscano la loro vita più po-veri dei propri padri”; e l’Italia si contraddistingue proprioper essere il paese in cui tale sconvolgimento generazio-nale risulta più prorompente. Ma poi ci sono molte altre forme di povertà: la povertàculturale e i fenomeni di dispersione scolastica; la disoc-cupazione, da cui deriva in parte il tema dei giovani Neet,privi di lavoro e fuori dal circuito educativo-formativo; lacondizione di vita delle nuove generazioni di stranieri,con particolare attenzione ai rifugiati e richiedenti asilo;le nuove e vecchie forme di dipendenza; il difficile ac-cesso dei giovani alla casa, che ostacola e inibisce sul na-scere la “voglia di futuro” delle nuove generazioni.Tutte situazioni rilevate dalle parrocchie e dai centri Caritas.In effetti le persone che si rivolgono ai centri di ascolto sonosempre più giovani: l’età media è pari oggi a 43,6 anni; oltreil 10% degli italiani incontrati ha un’età compresa tra i 18ed i 34 anni; rispetto all’anno scorso, la componente anzianaappare invece stabile. E nei centri di ascolto iniziano a pa-lesarsi anche situazioni di povertà che vengono trasmessedi padre in figlio e che alimentano la più iniqua delle disu-guaglianze: la povertà minorile. Le ristrettezze e le privazionivissute dai più piccoli generano effetti e ripercussioni sul-l’intero ciclo di vita, andando a creare circoli viziosi di po-vertà da cui sarà difficile, se non impossibile, affrancarsi. Col-pisce anche il dato che quasi il settanta percento dei giovanitra 18 e 24 anni che si rivolgono ai centri di ascolto Caritashanno un livello di educazione uguale o inferiore alla licenzamedia inferiore. Un livello di capitale formativo che sembraassolutamente inadeguato per poter rispondere alle nuoveesigenze del mercato del lavoro, italiano ed europeo.

A C U R A D I M A R I N O R U Z Z E N E N T I

in soli cinque anni. La crisi economica ci lascia un piccolo“esercito” di poveri, superiore per entità a quello della po-polazione di un’intera regione italiana. Uno sguardo com-plessivo al testo del Rapporto mette in luce aspetti e zoned’ombra di varia natura. In primis il divario intergenera-zionale in termini socio-economici che penalizza i giovaninei confronti delle classi di età più anziane, meglio retri-buite e con maggiori livelli di protezione sociale.

I G IOVANI F IN IRANNO P IÙ POVERI DE I GENITORI

A pesare maggiormente sono una serie di difficoltà og-gettive: lavoro, reddito e accesso alla casa. I cosiddetti Mil-lennials, nati tra gli anni Ottanta e gli anni Duemila, si tro-vano oggi a costruire il proprio futuro in un contesto diparticolare difficoltà e di crescente incertezza. Per la prima

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I GIOVANI SEMPRE PIÙ POVERI RISPETTO AGLI OVER 65In Italia vivono in uno stato di povertà assoluta 2milioni 309mila giovani e minori (0-34 anni), checorrispondono quasi alla metà di tutti i poveri dellanazione (il 48,7 per cento). Da qualche anno la povertànel nostro paese risulta inversamente proporzionaleall’età, diminuisce cioè all’aumentare di quest’ultima,decretando minori e giovani-adulti come i piùsvantaggiati. Dagli anni pre-crisi (2007) ad oggi lapercentuale di poveri assoluti nella fascia 18-34 è piùche quintuplicata; tra gli over 65, al contrario, è calata diquasi un punto percentuale. Il tutto è ascrivibile da unlato al bene casa (in Italia l’80 per cento degli anzianivive in una casa di proprietà), dall’altro alle tutelefornite dal sistema previdenziale. Come dimostra unarecente analisi Istat sull’efficacia delle misure diprotezione sociale, la popolazione degli over 65 anni siconnota come l’unica classe di età nella quale, tra il2005 e il 2014, si registra una netta riduzione del rischiodi povertà a seguito dei trasferimenti sociali (il rischiodi povertà si abbassa dal 22,7 per cento al 14,2 per cento);per tutte le altre si registra invece un peggioramento, inmodo particolare per la popolazione tra i 18 ed i 24 anni(Istat 2016, p. 207). Gli effetti della stagnazioneeconomica, dei bassi livelli di crescita economica e dellescarse opportunità occupazionali, stanno penalizzandosoprattutto le nuove generazioni.

FRON

TIERARIETI.COM

AVVENIRE.IT

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A C U R A D I M A R I N O R U Z Z E N E N T I

L’area del disagio – formata dagli occupati in etàcompresa tra 15 e 64 anni che svolgono un’atti-vità di carattere temporaneo (dipendenti o col-

laboratori) perché non hanno trovato un’occupazionestabile (temporanei involontari) oppure sono impegnatia tempo parziale (anche autonomi) perché non hannotrovato un’occupazione a tempo pieno (part-time invo-lontari) – continua a crescere e contava nel primo seme-stre 2017 il numero record di 4 milioni e 492 mila perso-ne, 2 milioni 689 mila temporanei involontari e 1 milione803mila part-timer involontari). Rispetto al I° semestre2007 l’aumento dell’area è stimato nell’ordine di 1 mi-lione e 400mila persone, pari a più 45,5 per cento.La variazione tendenziale rispetto al I° semestre 2016 èdi più 1,5 per cento (pari a più 67 mila), a sintesi di un in-cremento marcato dei temporanei involontari (più 7,8

per cento, pari a più 195mila) e di una diminuzione deipart-timer involontari (meno 6,6 per cento, pari a meno128mila). L’area del disagio è cresciuta in misura rilevantetra il 2010 e il 2012 (più 8,5 per cento nel 2011, più 9,5per cento nel 2012), e successivamente – senza soluzio-ne di continuità – fino al 2017, con il contributo preva-lente del part-time involontario che è aumentato note-volmente quasi ogni anno con eccezione del 2015 e, so-prattutto, del 2017.

L A D I S T R I B U Z I O N E D E L D I S A G I O

Il tasso di disagio è maggiore nel Mezzogiorno (23,9 percento) rispetto al Nord (17,7 per cento), nell’occupazionefemminile (26,9 per cento) rispetto a quella maschile(15,2 per cento). Si dilata la distanza tra generazioni: l’analisi per età regi-stra nella fascia 15-24 anni un tasso di disagio del 60,7

Il disagio nel mondo del lavoroRapporto Fondazione Di Vittorio

L’area del disagio è cresciuta in misura rilevante tra il 2010 e il 2012 (più 8,5 per cento nel 2011, più 9,5 per cento nel 2012), e successivamente,senza soluzione di continuità, fino al 2017, con il contributo prevalente del part-time involontario che è aumentato notevolmente quasiogni anno con eccezione del 2015 e, soprattutto, del 2017.

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per cento, ben 21 punti in più rispetto a dieci anni prima;segue la classe dei giovani-adulti (25-34 anni) con untasso prossimo al 32 per cento (era il 19 per cento nel I°semestre 2007). Anche la forbice tra italiani e stranieri siallarga: il disagio coinvolge un lavoratore straniero su tre,contro il 18,4 per cento di quelli di cittadinanza italiana.Il disagio è aumentato notevolmente tra i lavoratori conbasso titolo di studio (licenza media), arrivando nel I° se-mestre 2017 al 22,8 per cento, in settori di attività comei servizi collettivi e personali, nel settore alberghiero edella ristorazione – nei quali il tasso di disagio ha toccatoil 39 per cento – e in agricoltura dove ha raggiunto il 34per cento (in questi tre comparti il tasso di disagio erasotto il 25 per cento nel I° semestre 2007).

P E G G I O R A L A Q UA L I TÀ D E L L’ O C C U PA Z I O N E

Con l’avvento delle nuove tecnologie dell’informazionee l’automazione dei lavori ripetitivi, si è affermata neipaesi sviluppati la tendenza alla polarizzazione asimme-trica dell’occupazione: si riduce la fascia delle professionia qualificazione media (impiegati e operai specializzati)e aumenta il numero dei lavoratori ad alta specializza-zione (dirigenti, professioni intellettuali, tecnici) e di quellipoco qualificati (addetti a vendite e servizi personali,operai semi-qualificati, occupazioni elementari), ma i pri-mi crescono più dei secondi (Employment Outlook del-l’Ocse). In questo contesto l’Italia fa eccezione perché –nei vent’anni compresi tra il 1995 e il 2015 – gli occupatia bassa qualificazione sono aumentati quanto quelli ad

alta qualificazione e anzi, da quando è cominciata la ri-presa, i nuovi posti di lavoro sono stati creati più tra leoccupazioni dequalificate che non tra le professioni in-tellettuali e tecniche. Le categorie professionali che inItalia sembra non abbiano beneficiato degli effetti dellaripresa economica sono i piccoli imprenditori, diminuitidel 2,9 per cento (e solo dello 0,5 per cento nella Ue a15), e i dipendenti qualificati dell’industria, diminuitidell’1,3 per cento (a fronte di un incremento del 2,2 percento registrato a livello europeo). Infatti i dipendentinon qualificati (lower status employees, tra i quali sonoanche i braccianti agricoli) formano l’unica grande cate-goria professionale che negli ultimi anni è cresciuta piùnel nostro paese (più 6,9 per cento) che nella mediadell’Unione a 15 (più 4 per cento): in Italia, in particolare,essi erano nel 2016 circa 4 milioni e 400mila e rappre-sentavano il 19,3 per cento dell’occupazione totale, fra-zione aumentata di 8 decimi di punto dal 2013.Garantire maggiore flessibilità in entrata in questo con-testo, come è stato fatto, ha quindi assecondato un pro-cesso di progressiva precarizzazione e dequalificazionedell’occupazione nel nostro paese che allontana l’Italiadal novero dei paesi europei più avanzati e che ha portatol’area del disagio nel mondo del lavoro al punto più alto.

A C U R A D I M A R I N O R U Z Z E N E N T I

Per approfondire:http://www.fondazionedivittorio.it/it/4-milioni-492-mila-persone-nell%E2%80%99area-del-disagio-occupazionale

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IL LAVOROPRECARIO DEI GIOVANI

Tra il I° semestre 2015 e il I° semestre 2017 ilnumero di occupati under 35 è aumentato di 159mila unità (100mila nella classe 15-24 e 59milanella classe 25-34) e il relativo tasso dioccupazione è passato dal 38,3 per cento al 40,2per cento (ancora 10,5 punti sotto il valoremassimo toccato nel I° semestre 2008). Seconsideriamo però l’occupazione stabile(dipendenti a tempo indeterminato e autonomi)a tempo pieno, questa è cresciuta soltanto di15mila unità nella classe 15-24 mentre si èridotta di 34mila unità nella classe 25-34.L’incremento osservato tra i giovani occupatiunder 25 a un anno dall’introduzione del Jobs

Act (più 0,9 punti nel I° semestre 2016 rispettoallo stesso semestre 2015) non ha tenuto nelsecondo anno, quando il beneficio previdenzialeassociato alle nuove assunzioni è statonotevolmente ridimensionato. Negli ultimi 10 anni l’occupazione stabile si èridotta in tutte le classi di età, ma la contrazionetra i giovani e i giovani-adulti è stata molto piùmarcata (meno 18,4 punti nella classe 15-24 emeno 11,1 punti nella classe 25-34). Inoltre, tra il 2015 e il 2017 i dipendenti a tempodeterminato e i collaboratori che avrebberovoluto un lavoro stabile sono aumentati, nelleclassi 15-24 e 25-34, di 64mila e 81mila unitàrispettivamente (146mila complessivamente) e illoro peso sul totale occupati delle stesse classi èaumentato dal 49,8 per cento al 51,3 per cento(nella classe 15-24) e dal 20,5 al 22,1 per cento(nella classe 25-34).

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Ogni anno i dati Oxfam condannano la miopiadell’economia mondiale. Le disuguaglianze sonoin crescita. La forbice si allarga. Il sistema eco-

nomico consente solo a una ristretta élite di accumulareenormi fortune. Nell’ultimo anno, abbiamo assistito alpiù rapido aumento del numero di miliardari: uno ognidue giorni.

F U O R I DA L L A R E A LTÀ !

Su scala globale, tra il 2006 e il 2015 la ricchezza a novezeri è cresciuta del 13 per cento l’anno, 6 volte più del-l’incremento annuo salariale (pari al 2 per cento in me-dia) dei comuni lavoratori. Anche negli Usa di Trump sicalcola che un amministratore delegato possa percepirein poco più di un giorno una cifra pari al reddito mediodi un suo lavoratore in un anno. Tra una ventina d’annisi annuncia il primo trillionaire, ossia una persona chepossiederà più di mille miliardi di dollari e avrà a dispo-sizione un milione al giorno per 2738 anni.Tra le ragioni principali Oxfam indica, oltre alla massimiz-zazione “a ogni costo” degli utili d’impresa, anche le mo-tivazioni politiche. Tutti dicono di essere preoccupati perla disuguaglianza, ma nessuno agisce per porvi rimedio.Anzi, le proposte vanno in direzione ostinatamente con-

Bruno Bignami, classe 1969, presbitero della Chiesa diCremona, è docente di Teologia morale a Crema,Cremona, Lodi e Mantova. Presidente della Fondazione“Don Primo Mazzolari” di Bozzolo, fa parte del Grupporedazionale di Missione Oggi. Dal 2017 è vicedirettoredell’Ufficio nazionale per i problemi sociali e illavoro. Ultima pubblicazione: Un’arca per la società liquida(Edb 2017).

Povertàe disuguaglianzealla luce del magistero di papa Francesco

B R U N O B I G N A M I

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traria, come il taglio delle tasse agli abbienti o la disgre-gazione dei diritti sul lavoro. Fa pensare che il 94 per cento degli occupati nei processiproduttivi delle 50 maggiori compagnie mondiali è co-stituito da 116 milioni di persone “invisibili”, impiegate inlavori ad “alta vulnerabilità” senza protezioni. La ragioneè che le persone che confezionano scarpe, assemblanomateriale elettronico, coltivano la terra, vengono sfrut-tate per assicurare la produzione costante di un gran vo-lume di merci a poco prezzo e aumentare così i profittidi corporation ed investitori.

L A F I L A N T R O P I A C H E U C C I D E

Questa narrazione è terreno fertile per la filantropia: i superricchi possono fare bella mostra di sé presentandosi comebenefattori dell’umanità. La filantropia, però, uccide il so-gno di costruire un mondo giusto. È la giustizia sociale chedà dignità, non l’elemosina che mantiene distanze relazio-nali. L’ingranaggio filantropico, più che frutto di complotti-smo di qualche grande mente che sovrasta tutti, è creatodalle scelte di ciascuno che finiscono per perpetuare logi-che di ingiustizia attraverso i consumi quotidiani.Quanto a sperequazione, può esistere una condizionepeggiore? Quale fraternità affermiamo se ci accontentia-mo di ribadire la teoria dello “sgocciolamento”, secondola quale se i potenti si arricchiscono è un bene per tutti,perché una parte di ricchezza scivola verso gli ultimi? Ilpremio Nobel Joseph Stiglitz ha mostrato, dati alla mano,che il denaro che doveva sgocciolare è in realtà evapo-rato nel clima caldo dei paradisi fiscali. Francesco in Lau-dato si’ ha criticato «la logica interna di chi afferma: “la-sciamo che le forze invisibili del mercato regolino l’eco-nomia, perché i loro effetti sulla società e sulla natura so-no danni inevitabili”» (LS 123).

L A V I A D E I M O V I M E N T I P O P O L A R I

Da qualche anno Francesco ha avviato un fecondo dia-logo con i “movimenti popolari”, comunità e persone che,pur partendo da condizioni di svantaggio sociale ed eco-nomico, non si rassegnano. Si organizzano e generanoun’economia popolare alternativa alle forme di esclusioneimperanti. Si stima che questa economia informale rap-presenti tra il 50 e il 75 per cento dell’occupazione nonagricola nei paesi in via di sviluppo. Se a questo si aggiun-ge il peso dell’agricoltura familiare e la crescita dell’eco-nomia informale nei paesi più sviluppati, si raggiungonoalmeno 3 miliardi di persone, a fronte di un miliardo checontrolla e consuma la maggior parte delle risorse.Il papa li ha definiti, incontrandoli a Santa Cruz in Boliviail 9 luglio 2015, “poeti sociali: creatori di lavoro, costrut-tori di case, produttori di generi alimentari, soprattuttoper quanti sono scartati dal mercato mondiale”. Il puntoè il seguente: questi movimenti escono da una condi-zione di emarginazione sociale attraverso il protagoni-smo del lavoro umano. Contestano una visione assisten-ziale della loro condizione e assumono fino in fondo ilprincipio ecclesiale della destinazione universale dei be-

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LA GLOBALIZZAZIONEDELL’INDIFFERENZAIl chiodo era già stato battuto in Evangelii gaudium 53, doveFrancesco ha detto un forte no a un’economia dell’esclusione edell’inequità. Se il ribasso di qualche punto della borsa fa più notiziadi un anziano morto di freddo per strada, significa che la logicadell’esclusione è imperante. Se si getta cibo nella spazzatura mentrec’è gente che muore di fame, l’ingiustizia sta dilagando. Quando lacompetitività è il criterio prevalente, la logica del più forte spazzatutto e domina incontrastata. L’uomo è ridotto a bene di consumoche si può usare a proprio piacimento e gettare nel momento in cuinon serve. La cultura dello scarto, secondo Francesco, si rafforzadentro logiche di potere che fa dell’uomo un rifiuto, un avanzo.Scrive: “Per poter sostenere uno stile di vita che esclude gli altri, oper potersi entusiasmare con questo ideale egoistico, si è sviluppatauna globalizzazione dell’indifferenza” (EG 54).La disuguaglianza chiude gli occhi, rattrappisce il cuore e generaindifferenza. L’esclusione e l’ingiustizia sono cause di violenza. La preoccupazione di difendersi dalla violenza non può fardimenticare che, senza uguaglianza di opportunità, si prepara ilterreno per forme di aggressione e guerra. Il sistema sociale edeconomico iniquo presta il fianco all’uso della violenza dentro aspirali incontrollate. “Quando la società – locale, nazionale omondiale – abbandona nella periferia una parte di sé, non visaranno programmi politici, né forze dell’ordine o di intelligence chepossano assicurare illimitatamente la tranquillità” (EG 59). (b.b.)

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L'economista statunitense Joseph Stiglitz, premio Nobel per l'economia nel 2001.

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rati un ostacolo o un “ingombro”, in verità, voi con la vo-stra vita siete un grido rivolto alla coscienza di uno stile divita che non è in grado di misurare i suoi costi. Voi sietememoria viva della missione che Dio ha affidato a tutti noi:avere cura della casa comune».L’immagine della sfera conduce all’idea di voler esportaredemocrazie e visioni sociali, quella del poliedro porta adascoltare le periferie, fa adottare modelli concettuali di-versi, offre occhi culturali differenti in vista delle scelteda attuare, genera un “torrente di energia morale chenasce dal coinvolgimento degli esclusi nella costruzionedel destino comune”.Certo, povertà e disuguaglianze sono sotto i nostri occhi:chi non le vede? Ciò che il magistero di Francesco ci aiutaa guardare è una periferia che si organizza e dà risposte.Ed è esattamente quello che le lenti ideologiche dell’eco-nomia occidentale non vuole vedere. Ma si sa, la realtà èsuperiore all’idea!

B R U N O B I G N A M I

ni. Alle risposte transitorie e occasionali oppongono unlavoro dignitoso, l’impegno costruttivo, la creatività e lasolidarietà partecipativa. Di fronte alla tentazione di im-porre modelli di consumo uniformi, figli della cultura delpensiero unico dell’usa e getta, i poveri sanno pensarsinon come parte di un ingranaggio, ma come persone li-bere. Per questo Francesco ha concluso il suo interventoin Bolivia con queste parole: “il futuro dell’umanità nonè solo nelle mani dei grandi leader, delle grandi potenzee delle élite. È soprattutto nelle mani dei popoli; nellaloro capacità di organizzarsi ed anche nelle loro mani cheirrigano, con umiltà e convinzione, questo processo dicambiamento”.

L’ I M M A G I N E D E L P O L I E D R O

Tra l’altro, i movimenti popolari incarnano una forma diconvivenza che si può descrivere con l’immagine del po-liedro: è la figura geometrica con molte facce diverse,dove “le parti mantengono la loro identità costruendoinsieme una pluralità che, non mette in pericolo, bensìrafforza l’unità”. All’incontro di Roma nel 2014 il papa haspiegato così l’idea: “Il poliedro riflette la confluenza ditutte le parzialità che in esso conservano l’originalità.Nulla si dissolve, nulla si distrugge, nulla si domina, tuttosi integra”. Pur nella differenza che contraddistingue ognirealtà e iniziativa popolare, la loro passione è messa alservizio di esperienze di solidarietà nel desiderio di cam-minare insieme. La sfida è quella di una rivoluzione fattasenza fanatismi e senza ricorso alla violenza. Si tratta diabitare i conflitti senza esserne intrappolati, di risolverele tensioni per innalzarsi a un livello superiore di unità.La periferia appare come un laboratorio sociale delle dif-ferenze. Il paradigma del poliedro, infatti, si oppone a quel-lo della sfera, che rimane identica da qualsiasi parte la si

guardi. Nell’unità del po-liedro è custodita la con-cretezza dell’individuali-tà e la comunione è frut-to del concorso di tuttele realtà. L’immagine del-la sfera è spesso sem-brata vincente, anche incampo teologico, enfa-

tizzando un centro intorno al quale riconoscersi perchémisura di tutto il resto. Emerge l’esigenza, invece, a partiredalla figura del poliedro, di ridisegnare il rapporto centro-periferia, in una prospettiva relazionale e arricchente. APuerto Maldonado in Perù il 19 gennaio 2018, incontrandorappresentanti dei popoli dell’Amazzonia, Francesco nonsi è limitato a denunciare le oppressioni subite da una mo-nocultura agro-industriale che conquista territori per spre-merli in profitti privati, ma ha sottolineato le buone prati-che di questi popoli in sintonia con il “buon vivere”: «Per-mettetemi di dirvi che se, da qualcuno, voi siete conside-

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È LA GIUSTIZIA SOCIALE CHE DÀ DIGNITÀ, NON

L’ELEMOSINA CHEMANTIENE DISTANZE

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PA PA F R A N C E S C O

Lavorando noi diventiamo più persona, la nostraumanità fiorisce, i giovani diventano adulti sol-tanto lavorando. La dottrina sociale della Chiesa

ha sempre visto il lavoro umano come partecipazione al-la creazione che continua ogni giorno, anche grazie allemani, alla mente e al cuore dei lavoratori. Sulla terra cisono poche gioie più grandi di quelle che si sperimenta-no lavorando, come ci sono pochi dolori più grandi deidolori del lavoro, quando il lavoro sfrutta, schiaccia, umi-lia, uccide. Il lavoro può fare molto male perché può faremolto bene. Il lavoro è amico dell’uomo e l’uomo è amico

del lavoro, e per questo non èfacile riconoscerlo come ne-mico, perché si presenta comeuna persona di casa, anchequando ci colpisce e ci ferisce. Gli uomini e le donne si nu-trono del lavoro: con il lavorosono “unti di dignità”. Perquesta ragione, attorno al la-voro si edifica l’intero pattosociale. Questo è il nocciolodel problema. Perché quando

non si lavora, o si lavora male, si lavora poco o si lavoratroppo, è la democrazia che entra in crisi, è tutto il pattosociale. È anche questo il senso dell’articolo 1 della Co-stituzione italiana, che è molto bello: “L’Italia è una re-pubblica democratica, fondata sul lavoro”. In base aquesto possiamo dire che togliere il lavoro alla gente osfruttare la gente con lavoro indegno o malpagato o co-me sia, è anticostituzionale. Bisogna allora guardare

Il lavoro dà dignitàall’uomoDal discorso allo stabilimentoIlva GENOVA, 27 MAGGIO 2017

Genova, papa Francesco allo Stabilimento Ilva (27 maggio 2017).

Il lavoro è amico dell’uomo e l’uomo è amico del

lavoro, e per questo non èfacile riconoscerlo come

nemico, perché si presenta come una persona di casa,

anche quando ci colpisce e ci ferisce

senza paura, ma con responsabilità, alle trasformazionitecnologiche dell’economia e della vita e non rassegnar-si all’ideologia che sta prendendo piede ovunque, cheimmagina un mondo dove solo metà o forse due terzidei lavoratori lavoreranno, e gli altri saranno mantenutida un assegno sociale. Dev’essere chiaro che l’obiettivo vero da raggiungerenon è il “reddito per tutti”, ma il “lavoro per tutti”! Per-ché senza lavoro, senza lavoro per tutti non ci sarà di-gnità per tutti. Il lavoro di oggi e di domani sarà diverso,forse molto diverso – pensiamo alla rivoluzione indu-striale, c’è stato un cambio; anche qui ci sarà una rivo-luzione – sarà diverso dal lavoro di ieri, ma dovrà esserelavoro, non pensione, non pensionati: lavoro. Si va inpensione all’età giusta, è un atto di giustizia; ma è con-tro la dignità delle persone mandarle in pensione a 35o 40 anni, dare un assegno dello Stato, e arrangiati. “Ma,ho per mangiare?”. Sì. “Ho per mandare avanti la miafamiglia, con questo assegno?” Sì. “Ho dignità?” No! Per-ché? Perché non ho lavoro.Il lavoro di oggi sarà diverso. Senza lavoro, si può soprav-vivere; ma per vivere, occorre il lavoro. La scelta è fra ilsopravvivere e il vivere. E ci vuole il lavoro per tutti. Peri giovani… Voi sapete la percentuale di giovani dai 25 an-ni in giù, disoccupati, che ci sono in Italia? Io non lo dirò:cercate le statistiche. E questo è un’ipoteca sul futuro.Perché questi giovani crescono senza dignità, perchénon sono “unti” dal lavoro che è quello che dà la dignità.Il problema va risolto con il lavoro per tutti.

LAPRESSE.IT

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R I C C A R D O P E T R E L L A

I n un precedente articolo ho utilizzato una catego-rizzazione storica del processo di globalizzazionedell’economia in tre fasi: la globalizzazione post-co-

loniale in un contesto di guerra “fredda” tra i due imperiin lotta per la supremazia mondiale – Glob 1 –, che vadalla metà degli anni ‘50 agli inizi degli anni ’70; la glo-balizzazione triadica della competitività trionfante tra i do-minanti del “Nord” – Glob 2 –, dagli inizi degli anni ‘70agli inizi degli anni ’90; la globalizzazione guerriera tra vec-chi imperi e candidati a nuovi – Glob 3 –, dagli inizi deglianni ‘90 ad oggi. Questa categorizzazione mi sembra va-lida anche per esaminare le problematiche dei processid’impoverimento nel periodo considerato.

L A G L O B A L I Z Z A Z I O N E 1

La Glob 1 si caratterizza per due fenomeni che hannoimpatti complementari, anche se non programmati, suiprocessi d’impoverimento. Mi riferisco al disfacimentodegli imperi coloniali europei e alla “competizione” tra idue nuovi imperi emersi nel dopoguerra, l’Urss e gli Usa,ciascuno con la pretesa di essere il sistema sociale mi-gliore nella loro area e per i nuovi paesi liberatisi dal do-minio politico, militare, economico e sociale delle vec-chie potenze europee.Si può dire che in questa fase si assiste a livello interno“nazionale” (sia dei paesi ex-colonie sia dei paesi ex-me-tropoli e dei due nuovi imperi) a un inizio di diminuzionedelle inuguaglianze sociali e dei processi di esclusione.In  “occidente”, grazie alla promozione e al consolida-mento dello Stato di diritto e del welfare; a livello dei dueimperi, sotto la pressione della necessità di dimostrareche il loro modello sociale era di giustizia, benessere e li-bertà per tutti; per i nuovi paesi indipendenti, grazie al-

Globalizzazionee impoverimentopatto dell’umanitàper cambiare

La globalizzazione degli ultimi 25 anni si caratterizza per un’accentuazionedella natura guerriera e predatrice mentre i dominanti continuano a proclamare il loro impegno in favore di uno sviluppo sostenibile, globale,di una partecipazione dei cittadini, in particolare delle donne, alle decisioni politiche, della lotta contro la povertà e l’esclusione, di un mondo più pacifico.

Riccardo Petrella è professore emerito dell’UniversitàCattolica di Lovanio (Belgio). Ultimo libro: Nel nomedell’umanità, Il margine, Trento 2017.

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l’adozione di costituzioni e leggi fondate su diritti, demo-crazia e programmi di sviluppo economico e sociale mi-ranti a promuovere migliori condizioni di vita delle po-polazioni fino ad allora impoverite dai colonizzatori. Inol-tre, negli anni ‘60 ci fu un periodo relativamente positivoa livello della cooperazione Nord-Sud. Il risultato globaledi tutto ciò fu che agli inizi degli anni ‘70 le inuguaglianzeall’interno dei paesi mostrarono una tendenza alla dimi-nuzione. I fattori strutturali dell’impoverimento e dello“sviluppo” inuguale non furono intaccati, ma dei germiimportanti di mutamento furono piantati.

L A G L O B A L I Z Z A Z I O N E 2

I germi furono, però, distrutti nel corso della Glob 2. Lacrisi strutturale del sistema economico-finanziario messoin piedi nel 1945 (Bretton Woods) e dominato da StatiUniti e Regno Unito fu il detonatore della nuova fase in-sieme alla pressione esercitata dalle tradizionali forzeconservatrici opposte allo Stato di diritto e del welfare.

LA GLOBALIZZAZIONE DEGLI ULTIMI 25 ANNI SI CARATTERIZZA PER UN’ACCENTUAZIONEDELLA NATURA GUERRIERA E PREDATRICEMENTRE I DOMINANTI CONTINUANO A PROCLAMARE IL LORO IMPEGNO IN FAVOREDI UNO SVILUPPO SOSTENIBILE

Esse approfittarono della nuova ondata di cambiamentitecnologici – che fecero parlare di una nuova rivoluzioneindustriale su scala mondiale – per riaffermare il primatodell’innovazione tecno-manageriale, della libertà del ca-pitale, della potenza regolatrice prioritaria dei mercati, delruolo unico e insostituibile dell’impresa. Da qui le mareedella liberalizzazione, deregolamentazione, mercificazionee privatizzazione della vita, in particolare dei beni essen-ziali e insostituibili quali acqua, energia, terra, semi, cono-scenza, salute, educazione, trasporti collettivi, alloggio,imposte da Stati Uniti, Europa occidentale (Comunità eu-ropea, nuovo attore mondiale) e Giappone. La neo-con-trorivoluzione capitalista all’insegna delle cosiddetta “terzarivoluzione industriale”, lasciò l’Urss impietrita nelle suesclerosi interne che la condussero nel 1989 all’implosionefinale. Usa, Eu e Giappone divennero i principali combat-tenti della nuova globalizzazione. L’anno chiave fu il 1980allorché la Corte suprema degli Stati Uniti dichiarò, per laprima volta nella storia umana, la legalità dell’appropria-zione privata a scopo di lucro di ogni forma di vita (“bre-vettabilità del vivente”). Addio Stato del welfare, econo-mia pubblica, beni comuni pubblici, protezione e salva-guardia delle risorse naturali, cooperazione internazionalenella solidarietà (rimpiazzata dal principio del commerciocompetitivo). I cinque principi predatori del mondo e dellavita hanno, cosi, potuto diffondersi sulla terra, moltipli-carsi, rafforzarsi, dominare: il diritto di proprietà privata,

Davos (Svizzera), un incontro del World Economic Forum 2017.

Rio de Janeiro (Brasile), una sessione della Conferenza delle Nazioni

Unite su ambiente e sviluppo (1992).

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zonte 2015-2030. Di questa agenda il quindicennio 2000-2015, chiamato gli Obiettivi dello sviluppo per il millennio(Osm) e quello in corso per il 2015-2030 approvato nel set-tembre 2015, chiamato gli Obiettivi dello sviluppo sostenibile(Oss) costituiscono i tempi “politici” strutturanti. La “lottacontro la povertà nel mondo” figura in entrambi non comeobiettivo primo ma come derivato dal buon raggiungi-mento dell’obiettivo principe della “nuova” crescita eco-nomica mondiale fondata sulla transizione energetica el’utilizzo “sostenibile” delle risorse del pianeta. Lo stesso va-le per l’obiettivo della sicurezza e della pace.

U N A M I S T I F I C A Z I O N E

La Glob 3 è la fase più contraddittoria e violenta delle tre,specie in termini di inuguaglianze e d’impoverimento. Laragione risiede nel fatto che la globalizzazione definita erealizzata dai gruppi dominanti dell’economia mondialesi è rivelata non un bene per la vita e gli esseri umani,ma un fallimento su tutti i piani e di questo fallimentoparte crescente dei dominanti ne è cosciente. Posizionatasi sul perseguimento e l’intensificazione delle“Tavole della legge” imposte nel corso della Glob 2, laglobalizzazione degli ultimi 25 anni si caratterizza perun’accentuazione della natura guerriera e predatricementre i dominanti continuano a proclamare il loro im-pegno in favore di uno sviluppo sostenibile, globale, diuna partecipazione dei cittadini, in particolare le donne,alle decisioni politiche, della lotta contro la povertà el’esclusione, di un mondo più pacifico. Mistificazione!Dal 1993, le guerre sono esplose dappertutto ed in par-ticolare nel principale focolaio di guerra mondiale che èdiventato il Vicino Oriente e Asia minore con prolunga-menti verso l’Africa sub-sahariana. La frattura, non di ci-viltà ma d’interessi di potenza economica e militare, tra

la libertà per i capitali privati, la sovranità dei mercati, latecnoscienza può fare tutto, la crescita economica è sal-vezza. La giustizia, l’uguaglianza nei diritti, la solidarietà,la democrazia, il rispetto della dignità umana, la gioia delvivere insieme in pace, il rispetto dalla madre terra… tuttosottomesso, marginalizzato, gettato alle ortiche.Il ritorno alla crescita delle inuguaglianze e dei fenomenidi esclusione e d’impoverimento non è stato una sorpre-sa. Invece di assistere ad un indebolimento delle causestrutturali dell’impoverimento e allo sradicamento, an-nunciato per il 2000, della “povertà assoluta estrema”(definita dalla Banca mondiale a meno 1$ al giorno perpersona), agli inizi del ‘90 si sapeva con certezza che lapovertà assoluta estrema avrebbe superato i 2 miliardidi persone. Per cui i dominanti decisero di ridimensio-nare l’obiettivo, abbandonare quello dello sradicamentoper concentrarsi sulla riduzione a metà per il 2015 dellepersone in stato di “povertà assoluta moderata” (cioèmeno 2$ al giorno per persona).

L A G L O B A L I Z Z A Z I O N E 3

Si può “datare” al 1992 il passaggio verso la Glob 3, l’annodi lancio del primo Vertice mondiale della terra a Rio de Ja-neiro e delle altre grandi conferenze mondiali dell’Onu sullapovertà e l’esclusione sociale, l’habitat, la finanza, la fame,la demografia, le donne, le città... e dei nuovi Forum mon-diali organizzati dai gruppi dominanti privati (World Econo-mic Forum, World Water Forum in particolare) che hannomarcato la volontà delle classi dirigenti e delle oligarchiemondiali di raccontare ed imporre la loro narrazione delmondo. Il Vertice mondiale della terra ebbe in effetti l’obiet-tivo di fare il punto sullo stato del mondo, specie da unpunto di vista ambientale/ecologico e di definire gli obiet-tivi dell’agenda mondiale dello sviluppo planetario all’oriz-

UN “PATTODELL’UMANITÀ”PER CAMBIARE

Siffatta assurdità richiede una rivoluzioneglobale per i diritti di e alla vita, la suasalvaguardia e perennità, nel senso dellagiustizia, dell’uguaglianza nei diritti e quindinella libertà e partecipazione di tutti alledecisioni relative alla vita, alla res publica, aldivenire comune. Questo è il senso del“Patto dell’umanità” di cui i principi

fondatori, gli assi e le priorità delle agendelocali e mondiali ruotano attorno a unimperativo etico e pratico-politicofondamentale: l’umanità deve essereresponsabile della vita di tutti gli esseriumani e popoli – in particolare dellaliberazione dei quattro miliardi di personedai processi di esclusione e impoverimento –e della vita delle altre specie viventi escluse eimpoverite. Il Patto è necessario perché nessun grupposociale, Stato o organizzazione può arrogarsiil “potere” di definire cosa è buono per lacomunità globale. La capacità di farlo

implica la partecipazione di tutti. A tal fine, ilPatto significa iniziare un cammino“costituente” su numerosi percorsi plurali,diversi, di coscientizzazione,sperimentazione e innovazione, eistituzionalizzazione delle responsabilitànella prospettiva di una triplice audacia: a) bandire la guerra per costruire un mododi vivere insieme capace di risolvere lediversità e i conflitti d’interesse attraversomezzi non violenti. La risoluzione dell’Onuapprovata il 7 luglio scorso da parte di 122 Stati(su 199) di divieto delle armi nucleari mostrache una buona maggioranza vuole eliminare

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i gruppi dominanti del mondo “occidentalizzato” e quellidel mondo arabo-orientale ha sconvolto il sistema glo-bale attuale e distrutto interi paesi (Iraq, Siria, Libia, Ye-men) e trasformato in migranti/rifugiati decine di milionidi persone. Aggiunte ai milioni di migranti tradizionali enuovi (i “migranti ambientali”) e al miliardo e mezzo, se-condo le statistiche ufficiali, di persone delle baraccopoli,la globalizzazione guerriera è all’origine di due grandipredazioni: il furto della vita di tutte le specie viventi (di-struzione degli ecosistemi del pianeta); il furto della di-gnità della vita degli esseri umani ridotti a “risorse uma-ne” da gettare (perché non redditizie) o da bruciare/burnout (affinché producano il massimo).

gli strumenti di guerra e preferisce creare lapace. È possibile, pertanto, bandire la guerra.È impossibile farlo con gli attuali StatiUniti, Russia, Francia, Regno Unito, Israele, Arabia Saudita, Turchia, Cina; b) mettere fuori legge i fattoristrutturali generatori d’esclusione eimpoverimento. Anche questa audacia èpossibile come dimostrato dall’esistenza disocietà piuttosto giuste che nel secolo XXhanno dimostrato che l’impoverimentopuò essere eliminato dalle pratichecollettive sociali. Mi riferisco alle societàscandinave pre 1995;

c) cambiare radicalmente il sistemafinanziario mondiale (delegalizzare iparadisi fiscali, ripubblicizzare le casse dirisparmio e le banche di credito, metterefuori legge gli hedge funds e gli altri fondispeculativi, arrestare la finanza almilionesimo di secondo, ripubblicizzare le banche centrali e togliere lorol’indipendenza politica, mettere fine al fiscal compact europeo, eliminare la regolazione usuraia attuale sul debito pubblico). Anche questa audacia è possibile nel nome dell’umanità. (r.p.)

NEL 2017, IL SISTEMA ECONOMICO-FINANZIARIOMONDIALE HA PERMESSO DI FAR GUADAGNAREAL CAPO DI AMAZON 34 MILIARDI DI DOLLARI SOLO PER RENDITA FINANZIARIA, PERCHÉ IL VALORE DELLE AZIONI POSSEDUTE IN BORSA È AUMENTATO CONSIDEREVOLMENTE

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Dall’alto in basso:New York (Usa), una sessionedell'assembleagenerale dell'Onu.Hong Kong, sala della Borsa.Bengasi (Libia), edificidistrutti durante gliscontri tra fazioni.

U N ’ E C O N O M I A S E N Z A S E N S O

A proposito di quest’ultimo furto, la Glob 3 ha superatoi limiti dell’assurdità esistenziale: nel 2017, il sistema eco-nomico-finanziario mondiale ha permesso, come un fat-to considerato lecito e ragionevole, di far guadagnare alcapo di Amazon 34 miliardi di dollari solo per rendita fi-nanziaria, perché il valore delle azioni possedute in borsaè aumentato considerevolmente. Piccolo calcolo: per guadagnare i 34 miliardi suddetti, uninsegnante di scuola elementare italiana che guadagna1.500 euro netti al mese deve lavorare (fatte le debiteconversioni tra $ e euro) 1 milione e 700mila anni! O, sesi preferisce un altro confronto: ci vogliono 1 milione e700mila insegnanti di scuola elementare per guadagnarlidopo un anno di lavoro full time. Se prendiamo il salario mensile netto di un insegnanteelementare argentino stimato a 500 euro quanti milionidi anni ci vogliono? Ve lo lascio calcolare! Tutto ciò nonha alcun senso. Anche questa audacia è possibile nel no-me dell’umanità.

R I C C A R D O P E T R E L L A

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G I A N N I T O G N O N I

V iviamo un anno di anniversari: i 70 anni della Di-chiarazione universale dei diritti umani e della Co-stituzione italiana; i 40 dell’istituzione del Servizio

sanitario nazionale (Ssn); i 20 della Corte penale interna-zionale (Cpi), primo strumento formalmente riconosciutodalla maggioranza dei paesi membri delle Nazioni Uniteper giudicare in sede sovranazionale i crimini control’umanità. È d’obbligo una domanda, ancorché retorica:gli anniversari sopra ricordati sono un (difficile) orizzonte

o una (rassegnata) commemorazione? In termini piùespliciti: i diritti inviolabili alla vita e alla dignità sanciti,individuali e collettivi, locali o globali, relativi al quotidia-no, come ad esempio la salute, indicatore della fruibilitàdi un bene comune, e/o all’uguaglianza, equità, trovanooggi, nel diritto degli Stati, in tempi di globalizzazione,uno strumento che ne favorisce la realizzazione? O rap-presentano un sistema di garanzia di impunità per coloroche, attori-gestori pubblici e privati di beni, ne promuo-vono la trasformazione-violazione?

L A M E M O R I A D E I P O P O L I

Si ritorna a tempi antichi, alla prima metà degli anni ’70.Anni post-coloniali in Asia e Africa, e di conquiste civiliin Italia, per la famiglia e il lavoro, che culminano con“l’istituzione negata” in Psichiatria, e il Ssn. L’Organizza-

Globalizzazione come povertà di diritti

Gianni Tognoni, classe 1941, originario di Gorla Minore (Va),dottore in filosofia e teologia, nel 1970 si laurea in medicinae chirurgia presso l’Università di Milano. Dal 2001 è direttore del Consorzio Mario Negri Sud e dal 2004 membro della sottocommissioneSperimentazione clinica della Agenzia italiana del farmaco. È segretario del Tribunale permanente dei popoli.

PRESSROO

M.RFERL.O

RG

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zione mondiale della sanità, “simbolo” dell’universalità deiprincipi delle Nazioni Unite, dichiara che i farmaci devonoessere intesi come beni comuni al servizio del diritto allavita delle maggioranze e non degli interessi del mercato:“La salute è per tutti” è il motto della Dichiarazione di Al-ma Ata, adottata simbolicamente in un luogo perifericodi un’Asia sovietica, come auspicio di conclusione della“guerra fredda”.Anni di trasformazione di tutta l’America latina: dal 1964in Brasile, al 1973 in Cile, al 1976 in Argentina… Un verolaboratorio politico, militare, economico, di cancellazionedi democrazia, e di dittature che, pur riconosciute cometali, sono accolte e mantenute nella “comunità interna-zionale” come realtà da rispettare e con cui collaborare,in nome di una legalità di rapporti tra Stati che può pre-scindere dalla loro illegittimità per le violazioni più cri-minali dei diritti umani e dei popoli. Il preambolo della Dichiarazione universale dei diritti deipopoli (Algeri 1976), riassume perfettamente la percezio-ne del vivere un tempo di passaggio storico per tutta lasocietà mondiale. Trent’anni dopo la seconda guerra mondiale, quello chesembrava poter essere un processo lineare, per quantoconflittivo e difficile, nel passare progressivamente daiprincipi affermati alla loro “attribuzione” ai popoli reali,rivela una radice contraddittoria, più profonda e con im-plicazioni sul medio-lungo periodo. La radicalità del cam-biamento che si sta annunciando, e che diventa rapida-mente dominante come paradigma globale di riferimen-to, è sintetizzata nella più recente ri-pubblicazione dellaDichiarazione di Algeri.

I DIRITTI INVIOLABILI ALLA VITA E ALLADIGNITÀ, INDIVIDUALI E COLLETTIVI, LOCALI

O GLOBALI, TROVANO OGGI, IN TEMPI DI GLOBALIZZAZIONE, NEL DIRITTO

DEGLI STATI, UNO STRUMENTO CHE NEFAVORISCE LA REALIZZAZIONE?

LA DICHIARAZIONEUNIVERSALE DEI DIRITTIDEI POPOLIPromossa dalla Fondazione internazionale Lelio Basso per ildiritto e la liberazione dei popoli, insieme alla LegaInternazionale per i diritti e la liberazione dei popoli, laConferenza di Algeri vide la collaborazione di giuristi,economisti e personalità politiche, sia dei paesi industrializzatisia del Sud del mondo, di un gran numero di rappresentanti deimovimenti di liberazione, di numerose organizzazioni nongovernative. La scelta di Algeri fu dovuta a precise ragioni: lacittà era un punto di riferimento strategico per i paesi nonallineati; era la capitale di una nazione che aveva duramentelottato per affrancarsi dalla dominazione coloniale francese, inun continente che contava molti paesi in lotta perl’indipendenza politica ed economica. La data della firma dellaCarta venne scelta perché coincideva con la ricorrenza delbicentenario della Dichiarazione di Filadelfia, con cui irappresentanti delle tredici colonie inglesi dell’America delNord, approvarono la Dichiarazione d’indipendenza degli StatiUniti redatta da Thomas Jefferson, proclamando il loro diritto diessere liberi e indipendenti dalla Corona britannica.

LA CARTA DI ALGERIPur nella piena coscienza di essere, nelle parole di Lelio Basso,un “foglio di carta” e non una legge internazionale, laDichiarazione di Algeri proponeva – e propone – di usare l’armadel diritto in favore e con i popoli che esigono la libertàdall’interno delle loro lotte concrete, per sviluppare un nuovodiritto internazionale, sufficientemente creativo e rigoroso, perfornire risposte agli scenari sempre nuovi di restrizione,repressione, negazione dei diritti. Il commento più concreto edidattico alla Carta, e di fatto la sua storia, di militanza e diricerca dottrinale, è stato garantito dal Tribunale permanentedei popoli (Tpp). Il “foglio di carta” di Algeri ha continuato il suocammino. È divenuto lingua, tribuna, orizzonte, strumento diinfiniti gruppi umani in cerca di parola, visibilità,riconoscimento; è entrato nelle Università e nella ricercaaccademica, ha posto domande non eludibili alle organizzazioniinternazionali; è elemento di riferimento nello scenario dimovimenti-iniziative che non si stancano di ricordare che, tantopiù in una società globale, un diritto dalla parte dei popoli deveessere centrale per un futuro di democrazia: tutt’altro che facilema imprescindibile. Rinnovando linguaggi e categorie divalutazione e di giudizio, la restituzione di visibilità e legittimitàa questa storia collettiva è la vera continuazione elegittimazione dell’antica preveggenza della Carta e del suopermanente valore universale. Il cammino è tutt’altro che facile,ma imprescindibile. (g.t.)

Il tempo e l’orizzonte di una storia che cammina versol’universalità reale dei diritti di dignità di vita, cioè la loropari attribuibilità a tutti gli umani, devono essere consi-derati come “variabili dipendenti” dai dis-equilibri via viaemergenti tra gli interessi degli Stati, sempre più dipen-denti dai nuovi attori economici, transnazionali e privati,che si dichiarano e si affermano indipendenti dai diritti

A pag. 40: Parigi, l'Assemblea Generale delle Nazioni Unite approva la Dichiarazione universale dei diritti umani (24 ottobre 1948).

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umani ed immuni dalle legislazioni che ad esse si ispi-rano (costituzionali o internazionali), come categorie diriferimento valoriale o normativo. L’istituzione di un Tppnel 1979 a Bologna è espressione della necessità di ri-

conoscere e farsi caricodi uno sdoppiamentocrescente tra la storiaraccontata dalle agen-zie ufficiali che rappre-sentano gli Stati (tuttol’apparato delle NazioniUnite, e le nuove istitu-zioni correlate per nor-

mare economia e commercio: dal Fondo monetario in-ternazionale alla Banca mondiale che dettano le “ricette”per lo sviluppo, all’Organizzazione mondiale del commer-cio), e la storia dei popoli reali.

L E M A S C H E R E D E I P O T E R I

“Gobalizzazione”: è il nuovo termine che si adotta per so-stituire anche nel linguaggio l’universalità. Le regole e lerisposte ai bisogni emergenti e inevasi dei popoli, nonpossono né devono essere formulate dal basso, con pro-

IL TRIBUNALE PERMANENTEDEI POPOLIll Tribunale permanente dei popoli nasce in diretta continuità con iTribunali Russell sul Vietnam (1966-1967) e sull’America latina (1973-1976). Lelio Basso, che ne era stato membro e relatore, propone latrasformazione di questi celebri tribunali in un’istituzione

permanente capace di essere strumento e tribuna diriconoscimento, visibilità e presa di parola per quei popoli vittime diviolazioni dei diritti fondamentali che la Dichiarazione universaledei Diritti dei popoli, proclamata ad Algeri nel 1976, aveva indicatocome marginalizzati dal diritto internazionale, sempre più garantedegli interessi dei detentori pubblici e privati dei poteri politici edeconomici. La caratteristica di tribuna “permanente” e la logica diselezione dei suoi giudici, rappresentanti riconosciuti perindipendenza e competenza, hanno fatto di questo tribunale diopinione un laboratorio di denuncia e ricerca interdisciplinare. Con le sue 45 sessioni e sentenze, il Tpp ha accompagnato letrasformazioni e le lotte che hanno caratterizzato la fase post-coloniale, lo sviluppo del neocolonialismo economico, laglobalizzazione, la ricomparsa della guerra e la dichiarazione di noncompetenza della Cpi (Corte penale internazionale) rispetto aicrimini economici. (g.t.)“GOBALIZZAZIONE”: È IL

NUOVO TERMINE CHE SIADOTTA PER SOSTITUIREANCHE NEL LINGUAGGIO

L’UNIVERSALITÀ cessi di democrazia sostanziale: possono e devono solodiscendere ed essere controllate, con qualsiasi mezzo,da centri globali di potere, trasversali e superiori ancheagli Stati. I nomi dati alle “dottrine” che stanno dietroquesto processo sono diversi: neo-liberalismo, neo-co-lonialismo, finanziarizzazione ecc. Sono altrettante ma-schere di un processo progressivo di cancellazione deipilastri del diritto internazionale: il primo, fondamentale,quello della illegittimità della guerra, che rientra tra glistrumenti di governo della comunità internazionale congli anni ’90 in Iraq, ed il carico crescente di conflitti e ge-nocidi che sono parte della memoria e dell’attualità ditutti: Jugoslavia, Ruanda, le guerre Africane da sempre in

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corso, Iraq, Afghanistan, Siria, Yemen ecc. Ma non si limitaalla guerra guerreggiata. La logica, e le pratiche, di guerrache travolgono tutte le leggi e le garanzie di diritto, ca-ratterizza l’economia, la gestione ambientale, l’appropria-zione dei beni comuni. E i tentativi del diritto di fornirerisposte di controllo con l’istituzione della Cpi, nel 1998si rivelano sostanzialmente irrilevanti, dipendenti dai po-teri statali o privati via via dominanti. Il Tpp è stato ed èuno degli strumenti e delle forme con cui i popoli hannocercato, e cercano, di narrare la storia degli ultimi decen-ni. La mappa della sua area di intervento ne dice l’esten-sione e lo spettro d’interessi. Il Tribunale si dichiara “per-manente” e “dei” (non “per i”) popoli per essere tribunaper il riconoscimento e la presa di parola da parte deipopoli che non accettano di essere vittime silenziose deiprocessi di cancellazione dei diritti fondamentali, percontinuare ad affermare, difendere, promuovere la pro-pria identità di soggetti della storia.

U N R AC C O N T O C H E N O N S I C O N C L U D E

L’agenda del Tpp è, purtroppo, sempre troppo piena. Ilsenso della parzialità di quanto si può fare è esperienzaquotidiana. È anche questo uno dei modi con cui si

esperimenta che cosa significa vivere oggi da “minoran-za”. È uno dei prodotti più efficienti e pericolosi della glo-balizzazione: convincere, con l’evidenza dei fatti, che siè sostanzialmente impotenti. Chiamare per nome le cau-se e i responsabili di ciò che succede, e analizzare condisincanto la strada da fare, significa essere esposti allatentazione del fermarsi, oppure alla proposta, certo nonnuova, forse desueta, di essere “umani” perché nessu-no/a sia lasciato/a indietro; sostenitori della legittimitàdella vita con dignità. La resistenza nel linguaggio è forse la cosa più impor-tante e praticabile: per riconoscersi e non lasciarsi in-trappolare. E poi: la politica come ricerca permanente.Era, ed è, il sogno del Tpp, e ancor più profondamentedei popoli cui appartiene questo racconto. Una biblio-grafia autorevole, e che tiene compagnia in questa stra-da, è quella dei discorsi ai movimenti popolari di papaFrancesco. Non tanto perché è sua, ma perché coincidecon il linguaggio e la paziente impazienza dei tanti, in-finiti, testimoni che nelle sessioni del Tpp rappresenta-no e parlano della loro speranza, obbligata e legittima,di un futuro “altro”.

G I A N N I T O G N O N I

IL TRIBUNALEPERMANENTE DEIPOPOLI È UNO DEGLISTRUMENTI CON CUI I POPOLI CERCANO DI NARRARE LA STORIADEGLI ULTIMI DECENNI

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EL.IT

THEEPO

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ES.COM

Roma (10-17 gennaio 1976), sessione finale del Tribunale Russellper l’America latina. Da sinistra,alcuni membri della giuria: lo scrittore Gabriel García Márquez,lo storico Vladimir Dedijer e il senatore Lelio Basso.

Washington, D.C. (Usa), la sedecentrale del Fondo MonetarioInternazionale.A fianco, un incontro nella sede centrale del Fmi.

A pag. 40 dall’alto:Roma, il capo provvisorio delloStato, Enrico De Nicola, firma laCostituzione della RepubblicaItaliana (27 dicembre 1947).L'Aja (Olanda), seduta della Cortepenale internazionale.Il senatore Lelio Basso.

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O xfam non si limita a registrare un processo ne-gativo in corso, ma indica i colpevoli principalie segnala ai governi le soluzioni da intrapren-

dere. I principali colpevoli sono:

la forsennata corsa alla riduzione del costo del lavoroche erode le retribuzioni; la colpevole negligenza verso i diritti dei lavoratori ela drastica limitazione del loro potere di contrattazionenel mercato globale; i processi di esternalizzazione lungo le filiere globalidi produzione; la massimizzazione “ad ogni costo” degli utili d’impre-sa a vantaggio di emolumenti e incentivi concessi ai top-manager; la forte influenza esercitata da portatori di interessiprivati, capace di condizionare le politiche.

Le raccomandazioni ai governi:

SULLA DISUGUAGLIANZAz Stabilire obiettivi e piani d’azione concreti, soggetti ascadenze temporali, per ridurre la disuguaglianza. I go-verni devono porsi l’obiettivo che il reddito complessivodel 10 per cento più ricco non superi quello del 40 per

cento più povero. Devono, inoltre, concordare di usarequesta misura come riformulazione dell’indicatore perl’Obiettivo di sviluppo sostenibile (Oss) n° 10 sulla disu-guaglianza. z Porre fine alla ricchezza estrema. Per eliminare la po-vertà estrema bisogna eliminare l’estrema ricchezza, chepregiudica il nostro futuro. I governi devono usare la re-golamentazione e l’imposizione fiscale per ridurre dra-sticamente i livelli di ricchezza estrema e limitare l’in-fluenza dei soggetti ricchi (individui e gruppi) nei processidi definizione delle politiche pubbliche. z Collaborare per operare una rivoluzione nei dati sulladisuguaglianza. Ciascun paese deve porsi l’obiettivo dirilevare con frequenza annuale i dati relativi alla ricchezzae al reddito di tutti i componenti della società, special-mente del 10 per cento e dell’1 per cento più ricchi. Oltrea finanziare un maggior numero di indagini relative ai bi-lanci dei nuclei familiari, devono pubblicare anche datidi altre fonti per far luce sulla concentrazione di redditoe ricchezza al vertice della piramide distributiva. z Attuare politiche di contrasto di qualsiasi discrimina-zione di genere e che promuovano atteggiamenti e nor-me sociali positive nei confronti delle donne e del lavorofemminile, riequilibrando le dinamiche di potere a livellofamiliare, locale, nazionale e internazionale.

A C U R A D I M A R I N O R U Z Z E N E N T I

Contro disuguaglianze e impoverimento

Le ricette di Oxfam

RAI.TV

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z Rispettare e tutelare il diritto alla libertà di parola e as-sociazione di tutti i cittadini e delle loro organizzazioni.Ribaltare le norme di legge e le azioni che negano spazioai cittadini; fornire sostegno alle organizzazioni che tu-telano i diritti delle donne e di altri gruppi emarginati.

SULLA RIDISTRIBUZIONE PER UNA SOCIETÀ PIÙ EQUAA. Spesa pubblica

z Impegnarsi pubblicamente a perseguire servizi pubbliciuniversali gratuiti e una piattaforma universale di tutelasociale. A tale scopo aumentare i finanziamenti pubblicie fare in modo che i datori di lavoro contribuiscano allaprevidenza sociale e all’assistenza sociale. z Astenersi dal destinare fondi pubblici a incentivi e sus-sidi per le aziende private che erogano servizi sanitari ededucativi; ampliare l’offerta di servizi essenziali da partedel settore pubblico. Regolamentare severamente lestrutture private per quanto riguarda la sicurezza e laqualità e impedire loro di escludere chi non può pagare. Imposizione fiscale

B. Imposizione fiscale

z Usare l’imposizione fiscale per ridurre la ricchezza estre-ma. Privilegiare le imposte che gravano in misura propor-zionalmente maggiore sui super ricchi, quali le impostesul patrimonio, sulla proprietà, sulle successioni e sui ca-

pital gains. Incrementare le aliquote fiscali sui redditi piùelevati e la relativa riscossione. Introdurre un’imposta glo-bale sulla ricchezza per contribuire a finanziare gli Oss. z Favorire una nuova generazione di riforme fiscali in-ternazionali che pongano fine alla corsa al ribasso in ma-teria impositiva. Le aliquote fiscali devono essere eque eprogressive e devono contribuire a ridurre la disugua-glianza. Tutti i nuovi negoziati devono svolgersi sotto laresponsabilità di un nuovo organismo fiscale globale chegarantisca la partecipazione paritetica di tutti i paesi. z Porre fine ai paradisi fiscali e rafforzare la trasparenzafinanziaria, adottando una “lista nera” dei paradisi fiscalibasata su criteri oggettivi e corredata da sanzioni severee automatiche contro le aziende e i ricchi che se ne av-valgono.

C. Imprese per un’economia più umana

z Niente dividendi senza salari dignitosi: le multinazionalipossono scegliere di dare priorità al benessere dei lavo-

ROARS.IT

SULLA COSTRUZIONE DI UN’ECONOMIA CON PRESUPPOSTI DI EQUITÀ

z Incentivare modelli di business chediano priorità ad una più equaremunerazione, quali cooperative epartecipazione dei dipendenti allagestione delle aziende e delle catene difornitura. z Richiedere a tutte le multinazionaliprocedure obbligatorie di “due diligence”relative al complesso delle loro filiere, pergarantire che i lavoratori ricevano un

salario dignitoso in linea con i Principiguida Onu per le Imprese e i Diritti umani. z Limitare i profitti degli azionisti e i divariretributivi per cui il compenso di altidirigenti aziendali non superi di 20 volte (epossibilmente meno) quello di un lorodipendente medio. z Eliminare il divario retributivo di generee garantire che i diritti delle lavoratricisiano rispettati in tutti i settoridell’economia. Revocare le leggi chediscriminano le donne in termini diuguaglianza economica e attuare leggi equadri normativi che tutelino i loro diritti. z Eliminare il lavoro in schiavitù e i salari disussistenza. Operare la transizione dailivelli salariali minimi a “salari dignitosi” pertutti i lavoratori, in base al reale edocumentato costo della vita e con il

coinvolgimento dei sindacati e delle altreparti sociali. z Promuovere forme di organizzazione deilavoratori. Fissare standard giuridici chetutelino il diritto dei lavoratori ad aderire aisindacati e scioperare, revocando altresìtutte le leggi che violano tali diritti.Permettere e sostenere accordi dicontrattazione collettiva ad ampiacopertura. z Eliminare il lavoro precario e garantire chetutte le nuove forme di occupazionerispettino i diritti dei lavoratori. Tutelare idiritti dei lavoratori residenti, di quelliimmigrati e di chi lavora nell’economiainformale. Formalizzare progressivamentel’economia informale per assicurare la tuteladi tutti i lavoratori, coinvolgendo quelliinformali nei processi decisionali. (m.r.)

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Page 25: ANNUNCIO DIALOGO LIBERAZIONE · “Nel 2016 il quarto uomo più ricco al mondo, Amancio Ortega, ha ricevuto dalla casa madre della catena di abbigliamento Zara dividendi annui per

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ratori che percepiscono i salari più bassi, astenendosi dalcompensare gli azionisti tramite dividendi, riacquisto diazioni o bonus ai dirigenti e ai dipendenti meglio retri-buiti finché non sarà garantito a tutti i lavoratori un sa-lario dignitoso (calcolato in base a standard indipendenti)e finché non avranno intrapreso azioni per garantire chei prezzi da esse applicati forniscono un reddito dignitosoai lavoratori e ai produttori lungo le loro filiere. z Rappresentanza negli organi di gestione: le aziende de-vono garantire la rappresentanza dei lavoratori negli or-gani di gestione e nei comitati di remunerazione e indi-viduare strumenti affinché le voci di altri stakeholder,quali i lavoratori delle filiere e le comunità locali, sianoprese in debita considerazione nei processi decisionali. z Fornire supporto alla trasformazione delle catene difornitura: le aziende possono scegliere di rifornirsi in viaprioritaria da imprese strutturate in maniera più equa,per esempio quelle partecipate o totalmente possedutedai lavoratori o dai produttori, quelle con un modello digovernance orientato principalmente verso una missionsociale o quelle che condividono i profitti, in tutto o inparte, con i lavoratori. Iniziative come il Fair Value Club diOxfam aiutano le aziende ad operare una scelta di que-sto tipo. z Condividere i profitti con i lavoratori più poveri: le azien-de possono decidere di condividere una percentuale deiprofitti (p.es. il 50 per cento) con il lavoratori meno pagatiall’interno delle proprie catene di fornitura e delle proprie

sedi operative. Cafe Direct, per esempio, spartisce il 50 percento dei profitti con i coltivatori di caffè. z Promuovere la parità di genere sul luogo di lavoro: im-pegnarsi a rispettare i Principi Onu per l’Empowermentfemminile e le Convenzioni Oil in materia (C100, C111,C156, C183) per dimostrare il proprio impegno in favoredella parità di genere; attuare una politica di genere perquanto riguarda l’assunzione, la formazione, la promo-zione, le molestie e la presentazione di rimostranze; pub-blicare i dati relativi al divario retributivo di genere a tuttii livelli aziendali, impegnandosi a colmare tali divari. z Ridurre la proporzione retributiva: rendere noti i divaritra la retribuzione dell’Ad e quella di un dipendente medio,impegnandosi a ridurre tale pay ratio almeno fino a 20:1. z Sostenere la contrattazione collettiva: impegnarsi pub-blicamente ad intrattenere rapporti saldi, costruttivi e co-stanti con sindacati indipendenti; lavorare, in collabora-zione con i sindacati stessi, per rimuovere le barriere cheostacolano la partecipazione femminile ai sindacati, spe-cialmente in posizioni dirigenziali; promuovere altri stru-menti che consentano alle lavoratrici di far sentire la pro-pria voce in modo efficace e in sicurezza.

A C U R A D I M A R I N O R U Z Z E N E N T I

In senso orario:Grand Cayman (Isole Cayman), veduta di George Town, la capitale dell'arcipelago.

Abu Dhabi (Emirati Arabi Uniti), vetrina di un negozio Moschino.

Dubai (Emirati Arabi Uniti), centro commerciale "Mall of the Emirates".

A pag. 42:Roma, manifestazione davanti l'ambasciata turca per la libertà di stampa (8 aprile 2014).

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