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1 [ VISIONI 145 ] Roma 22 maggio 2018 Blog. https://incontridicinema.wordpress.com m@il [email protected] “Microbo & Gasolina” Come inventammo l’auto e la libertà Titolo originale: Microbe et Gasoil Regia: Michel Gondry Sceneggiatura: Michel Gondry Fotografia: Laurent Brunet Scenografia: Stephane Rozenbaum Montaggio: Elise Fievet Personaggi e Interpreti: Daniel-Microbo (Ange Dargent), Théo-Gasolina (Théophile Baquet), Diane Besnier, madre di Daniel (Audrey Tautou) Musiche: Jean-Claude Vannier Origine: Francia Anno: 2015 Durata: 103 minuti

“Microbo & Gasolina” - Libero.it 145.pdf · riflettono in perpetua autoanalisi, senza, però, trovare una catartica risposta ai loro dubbi esistenziali né un finale consolatorio:

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[ VISIONI 145 ] Roma

22 maggio 2018 Blog. https://incontridicinema.wordpress.com

m@il   [email protected]  

“Microbo & Gasolina”

Come inventammo l’auto e la libertà

Titolo originale: Microbe et Gasoil Regia: Michel Gondry Sceneggiatura: Michel Gondry Fotografia: Laurent Brunet Scenografia: Stephane Rozenbaum Montaggio: Elise Fievet Personaggi e Interpreti: Daniel-Microbo (Ange Dargent), Théo-Gasolina (Théophile Baquet), Diane Besnier, madre di Daniel (Audrey Tautou) Musiche: Jean-Claude Vannier Origine: Francia Anno: 2015 Durata: 103 minuti  

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Sinossi Daniel, soprannominato Microbo, è un giovane schivo e introverso bravissimo a disegnare e innamorato

segretamente di una sua compagna. La sua vita verrà stravolta dall’arrivo in classe di Théo, detto Gasolina, un

ragazzo intraprendente e sognatore capace di spronarlo verso un’avventura straordinaria: a bordo di una “casa con le

ruote” costruita artigianalmente con materiali di scarto, i due protagonisti eviteranno le noiose vacanze coi genitori

per attraversare la Francia in un selvaggio e svalvolato pellegrinaggio on the road.

La malinconia è sicuramente

lo stato d’animo del nuovo

millennio, una vaga sensazione

di tristezza causata da

un’esistenza senza sicurezze e

piena zeppa di esperienze fiacche

e consumate. Un sentimento

globale che però resta

inafferrabile, in balia delle

sfumature personali proprie di

ogni individuo alle prese con un

percorso di crescita. Al cinema,

sono rarissimi i casi in cui un

regista si dimostri in grado di

raccontare tale disagio

generazionale, senza incappare

in teen-polpettoni senza costrutto

e mal recitati. Ma questa volta c’è un’eccezione: dopo

anni di appannamento, nell’apparente silenzio

generale, esce nelle sale Microbo & Gasolina un

piccolo gioiello unico nel suo genere, delicato

racconto di formazione firmato Michel Gondry.

Con uno stile scanzonato e trasognante, Gondry

rispolvera il proprio tocco migliore e regala al

pubblico uno dei suoi film più riusciti, una parabola

che vuol stimolare i giovani a

scuotersi di dosso il torpore e le

avversità in cerca del proprio

futuro. Il sogno che si realizza

è un’esortazione e non una

speranza, l’esaltazione in chiave

adolescenziale della fantasia e

dell’intraprendenza. Il regista

piega saggiamente la propria

poetica (non completamente) per

affrontare la realtà, in una società

in cui lo spirito proattivo e

l’immaginazione sono ormai

indispensabili.

Microbo & Gasolina è un insieme

armonico di sequenze

deliziosamente d’impatto: come il

momento dell’ingresso dei due in un centro massaggi

orientale, oppure quando Gasolina “simula” l’arrivo di

un’enorme folla durante una normale partitella al

parco. Un road movie scanzonato sì, ma comunque

denso di significato e per questo da non perdere

assolutamente. Un ottimo rimedio alla malinconia, da

scacciare in compagnia di due strambi ragazzini

sognatori e spassosissimi.

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Analisi

Tom aveva ormai preso la sua decisione. Afflitto, avvilito, abbandonato da tutti, non aveva anima viva che gli volesse

bene. Se quegli infami si fossero resi conto a che punto l'avevano spinto, forse si sarebbero pentiti. Egli aveva cercato di

fare il proprio dovere e di comportarsi bene con tutti, ma non era servito a nulla. Si vedeva chiaro che desideravano

levarselo di tra i piedi...ebbene, poiché era così, li avrebbe subito accontentati! (...) Strano a dirsi, proprio gli stessi

pensieri agitavano la mente del suo amico, del suo fratello siamese spirituale.

(Mark Twain - Le avventura di Tom Sawyer)

Per comprendere appieno il talento di Michel Gondry - è bene ricordarlo - bisogna tornare indietro ai suoi videoclip e,

perché no, anche ai suoi cortometraggi. Microbo e Gasolina rielabora in maniera coesa e compiuta idee disseminate

negli anni in vari lavori del regista: ad esempio, uno dei primi cortometraggi è lo splendido bianco e nero de La lettre

(1998) in cui un ragazzino fa l'ingrandimento fotografico della sua innamorata (qui sarà il ritratto) e attende con

trepidazione di poter leggere la sua lettera prima delle vacanze estive; nel 2003, c'è un brevissimo divertissement con Jim

Carrey che, imitando Elvis Preasley, canta Peacan Pie (brano che dà il titolo al video) e guida un letto motorizzato a

quattro ruote. Sono spunti, vicini e lontani, a

cui si può aggiungere il viaggio della

scolaresca di The We and The I (invisibile

in Italia), il riferimento a una zia insegnante

in campagna (L'épine dans le cœur) e

l'avversione verso gli ultimi ritrovati

tecnologici, l'amore per l'artigianale

meccanica, in cui si ritrova traslata la

battaglia gondryana portata avanti in Be

Kind Rewind contro l'ipertrofia digitale ed

effettistica dei rifacimenti hollywoodiani

(Microbo, in una scena esilarante, seppellisce

l'i-Phone cadutogli per sbaglio nella fossa

dove aveva evacuato).

Cosa c'entra tutto ciò con Microbo e Gasolina.

Gondry ritrova qui la vena più ispirata del suo genio che si era appannato tra le mille e più che asfissianti invenzioni

sceniche di Mood Indigo - La schiuma dei giorni: in un'operina indipendente, dal budget ridottissimo (circa quattro

milioni), il regista francese mette da parte torsioni narrative e acrobatici piani sequenza per compiere un umile ritorno

alle origini delle proprie ossessioni artistiche.

Gondry affronta il Bildungsroman assemblando da materiali e idee eterogenei una rilettura alla sua maniera di Mark

Twain: al posto del Mississippi, le strade di campagna francesi, al posto della zattera una macchinina artigianale che

deve spacciarsi per una casetta da giardino. Dietro si intravede l'elogio della lentezza che David Lynch filmò nel fordiano

Una storia vera, capovolgendo il senso del viaggio: estremo e senza fretta quello di commiato di Alvin Straight, che

torna al passato, a suo fratello per lenire i dolori di cicatrici profonde; diretto verso territori inesplorati (o, ormai

dimenticati, come la colonia estiva) per Microbo e Gasolina, in cerca di un futuro in cui possano essere veramente se

stessi. La ricerca identitaria è alla base della pellicola gondryana e qui si riflette non su una storia d'amore (se non in via

tangenziale) ma attraverso l'amicizia fraterna tipica del road movie. È palese come il condensato di sentimenti, pensieri ed

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emozioni dei due amici provenga dal bagaglio esperienziale del regista che ha ambientato il “suo” coming of age ai giorni

nostri, dimostrando quanto ancora si possa dire sulla difficoltà di crescere e sugli irrespirabili rapporti familiari che

hanno afflitto tutti noi durante quel particolare periodo della vita.

Daniel Guéret, soprannominato Microbo poiché ancora basso e gracile nonostante i quattordici anni, ama disegnare:

fa ritratti del fratello e dei suoi amici, punk e ribelli per posa, della compagna Laura e anche schizzi erotici per poi

masturbarsi; il suo immaginario lo isola da un mondo di cui vorrebbe far parte ma al contempo lo protegge in un limbo

ancora infantile (Daniel non si separa dalla sua coperta e prima di addormentarsi si muove sul letto come se fosse ancora

dentro una culla). In classe arriva un nuovo alunno, Théo Leloir, che viene fatto sedere dalla professoressa accanto a

"quella ragazza" che è in realtà Daniel (ma

Gondry ironizza più volte sull'ambiguità

sessuale, sul gender ancora in via di

definizione): il ragazzo viene presto

ribattezzato Gasolina per via dell'odore di

cherosene e delle macchie di grasso che si

porta a scuola dopo aver smanettato con la

macchina del padre.

Entrambi sono figure di emarginati nel

conformismo di una prima superiore ma il

contesto scolastico, così come quello

domestico, viene presto abbandonato: serve a

fornire la situazione iniziale e il movente per

la grande fuga dei nostri due giovani eroi.

Microbo e Gasolina costruiscono una casetta da giardino che si muove grazie a un immortale motore a due tempi (lo

stesso del tagliaerba di Alvin Straight) e si mettono sulla strada per le loro vacanze estive lontano da tutto e da tutti.

Mirabolante ricostruzione metonimica della funzione intima che si apre verso vasti orizzonti, i due protagonisti riflettono

continuamente su se stessi, su come percepiscono l'esterno e su come vengono percepiti. Le loro fisionomie psicologiche e i

loro dialoghi sono di matrice letteraria ma non c'è un momento in cui non appaiano autentici e portatori orgogliosi di quel

romantico conflitto io-mondo che ciascuno di noi ha combattuto almeno per un tratto di strada. Non c'è traccia, però, di

revanscismo o di rivalsa fine a se stessa: Gondry fotografa lo sguardo reciproco che questi ragazzi si gettano, ragazzi che

a quattordici anni si travestono da anziani per camuffarsi tra i propri coetanei e non riportando alcun successo con essi

(come Daniel che non riesce ad attirare le attenzioni di Laura, il suo interesse romantico), senza sentire il bisogno di

deformare più di tanto il reale. L'elemento surreale si concreta nell'insuperabile fantasia con la quale il regista, di tanto in

tanto, manipola il linguaggio cinematografico per catturare l'immagine della realtà: folgorante la telecronaca sportiva

improvvisata da Théo che accompagna i palleggi di Daniel con il fratello e che causa uno scarto di ritmo nel montaggio e

nei personaggi, che rallentano i movimenti per ripetere l'azione alla moviola o, ancora, la sortita nella casa del dentista

che si tramuta in una inquietante disavventura fiabesca, sebbene si capisca infine come non vi sia alcun orco ma solo dei

nevrotici genitori abbandonati dai figli.

Attraverso il punto di vista di Microbo e Gasolina ogni disavventura può essere ingigantita, divenire sproporzionata,

ogni cosa che li allontana dalla casetta-coperta di Linus può risultare paurosa o deludente: mentre si immagina una

peripezia se ne sta vivendo un'altra forse ben più eccitante. In una pellicola limpida e cristallina, l'autore francese frena la

sua dirompente immaginazione, riaffermando il potere affabulatorio della Settima arte, l'ebbrezza liberatoria della fuga

fantastica; Gondry, senza esagerare e con tono a tratti assolutamente realista, delinea fondali iper-cinematografici dove

trovano collocazione i suoi veridicissimi protagonisti e le loro aspirazioni di libertà e creatività: Microbo che crede di

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essere privo di personalità e di modificare il proprio pensiero in base a quello dell'amico, per poi rivelarsi molto più

sottilmente manipolatorio, e il maturo Gasolina che, con la sua ironia pungente da pensatore solitario, snocciola perle

quali "i bulli di oggi sono le vittime di domani" o di disdegnare l'alcol perché toglie la dignità alle persone.

Forse Microbo e Gasolina non è un film per tutti e la timidezza con cui fa capolino nelle sale italiane ne è una conferma.

Era un film evidentemente necessario per Gondry, che espurga nodi irrisolti della propria poetica attraverso una nuova

obiettività del suo sguardo, un amore sincero nei confronti dei suoi personaggi e una storia che non vuole essere

accomodante. E sarà necessario, forse, per coloro i quali si rivedranno in questi giovani pensatori indipendenti che

riflettono in perpetua autoanalisi, senza, però, trovare una catartica risposta ai loro dubbi esistenziali né un finale

consolatorio: l'autore è fedele a un mood malinconico e l'atto conclusivo lo asserisce con forza. L'incubo in aereo è una

sterzata gondryana, in cui le ellissi improvvise vengono usate per disorientare sia lo spettatore che il povero Microbo che

si accorge dei salti temporali e di stare tornando indietro; è invece l'epifania di un brusco risveglio, l'accettazione di stare

tornando a casa. I due amici vengono separati dal lutto della vita, sebbene per sempre legati dal vissuto di quel "ricordo

d'estate"; per il resto, l'innamorato non cercherà di parlare a Laura (intimidito dalla strampalata tosatura à la samurai

fattagli in un bordello coreano) e la sessualità rimane un'astrazione conosciuta in solitaria. E poi c'è quello sguardo che

Daniel non rivolge a Laura (quasi una "schivata" kechichiana) facente parte dell'infinita attesa di trovare non solo un

posto nel mondo ma anche un posto nello sguardo altrui: un'attesa che, a quattordici anni, non può che essere appena

iniziata.

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Critica

Se Mood Indigo era il film del disincanto, della dolce e disperata consapevolezza di un cinema che non sta più nei limiti del sistema e che non ha più la capacità di salvare niente e nessuno, Microbe et Gasoil sembra ripartire da lì, da quella specie di grado zero. E, infatti, è un film di ragazzini in partenza, di due amici che si affacciano all’adolescenza e all’avventura. Ma con una consapevolezza da vecchi saggi, di quelli che abbracciano ancora la bella e malinconica innocenza del gioco, l’unica cosa che resta dopo il dolore più intenso, il lutto della felicità e il distacco. Daniel è un romantico di primo pelo, con la testa in un mondo svagato e una famiglia nevrotica. Disegna molto, con una mano felicissima, ma di certo non ha il talento per le relazioni sociali. È segretamente innamorato di una compagna, Laure, che lo tratta da amichetto, come da perfetto manuale d’adolescenza. Gli altri lo chiamano Microbe, giocando sulla sua altezza e il suo viso da bambino (o bambina?). Un ragazzo solo, insomma. Finché in classe non piomba un nuovo arrivato, Theo, spavaldo e impertinente, giubbotto di pelle e aria ribelle. Non è benvoluto, al punto che gli affibbiano il nomignolo, non proprio lusinghiero, di Gasoil. Tra i due nasce un’amicizia istintiva, un legame che li porterà a immaginare un viaggio estivo su un’improbabile e magnifica macchina fatta in casa. Daniel e Theo non hanno né la gioiosa cattiveria né la vita amara dei ragazzi sul bus di The We and the I. Forse perché tra il Bronx e Versailles, in fondo, passano anni luce, più o meno gli stessi che separano il vecchio e il nuovo mondo. Microbe e Gasoil sono adolescenti normalissimi, con i problemi di tutti: i primi turbamenti sessuali e i primi amori, le famiglie più o meno presenti o incasinate, le difficoltà delle relazioni. Perciò niente lacrime e niente smarrimenti, anche quando le strade sembrano chiuse. Hanno soltanto un’immaginazione più sviluppata degli altri e una disponibilità alla vita, nonostante sia dura comunque. E perciò hanno una tenacia commovente nel difendere il valore dei legami e la libertà dei percorsi. Senza star

più a contare le botte e a temere gli ostacoli. Gondry, dopo il terremoto di Mood Indigo, pare voler rinunciare a tutto l’armamentario fantastico della sua immaginazione irrefrenabile, per rinchiudersi in un film piccolo, piccolissimo. Quasi un “corollario”, già. Ma è solo una normalizzazione apparente. Perché, come già in L’épine dans le coeur e in The We and the I, Gondry persegue il suo sogno di annullare il set, di

dissolverlo per le strade, tra le cose stesse del mondo. E come i suoi giovanissimi protagonisti, afferma ancora una volta la necessità di una dimensione più umana, intima, come una famiglia calda e sgangherata o una scuola di campagna (e anche la zia di Daniel insegna come la zia Suzette di L’épine dans le coeur). Che poi è la fede incrollabile in un cinema artigianale, fatto in casa, con quel poco che si ha, in cui tutti gli effetti vengono dalle mani, dalla fantastica normalità della pratica, e tutto l’artificio è incredibilmente concreto. È esattamente come la casa mobile di Microbe e Gasoil, che sembra essere l’immagine perfetta della visione e delle ossessioni di Gondry, quell’utopia che non era riuscita a Colin, ingrigito nella schiuma

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dei giorni. L’immaginazione è un lento movimento di liberazione dai sistemi, dalle regole dell’economia, dai drammi già scritti dalla quotidianità, dai linguaggi imposti, dalle poltrone dei dentisti. Non è un’illusione. È un lavoro bellissimo, perché fatto in autonomia, fuori dall’industria (del cinema), dai suoi ritmi e dai suoi ruoli… Basta pochissimo, un aereo che atterra a marcia indietro, come in un altro urgente be kind rewind. O un errore di grammatica che infrange gli schemi e altera i tempi… “Mancano le transizioni”, dice a un certo punto Daniel, passando improvvisamente dall’aereo al treno. E allora? È un cinema sbagliato, quello di Gondry, che se ne sbatte delle transizioni, non perché ne ignori l’esistenza, ma perché sa che l’unica cosa da fare è alterare le traiettorie, riconsiderare la conseguenzialità delle cose sotto un’altra prospettiva. Certo, la macchina brucia, ma continua a camminare in qualche modo. Certo, l’amarezza si fa sentire, la costrizione. “Sei cresciuto, Daniel. – Forse è tutto il resto che si è ridotto”. Certo, non ci si volta più a incrociare gli sguardi, perché si è diventati adulti e il desiderio si è assopito. Ma si può continuare a contare, all’infinito. “Abbiamo giocato con la sostanza stessa della vita e abbiamo perso”. E allora? Almeno abbiamo giocato.

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Intervista al regista

Dopo Mood Indigo del 2013 questo è il tuo secondo film ambientato in Francia a seguito di una serie di progetti “americani”. C’è stato qualcosa che ha determinato il ritorno nella tua terra d’origine?

Volevo fare qualcosa di realmente personale, che includesse le memorie dei miei anni da teenager. Non penso sarebbe stata la stessa cosa in America.

È difficile per un regista riuscire a portare avanti un progetto più intimo in America?

Nel mio caso dipende dall’età del personaggio. Ho vissuto negli Stati Uniti per quindici anni, avanti e indietro – il mio cervello ha memorizzato tutte le dinamiche della vita adulta in lingua inglese. Se però dovessi ritornare a prima a quel periodo, alla mia adolescenza, allora penserei da francese. Diventerebbe più complicato – non impossibile – cambiare quel modo di ricordare. È diverso. Sono sicuro che sarei riuscito a farlo, ma ci sono molte idee che sarebbero state più complesse da rendere.

Quando eri giovane, avevi la stessa inventiva dei protagonisti del film?

Quando ero molto giovane, avevo creato un piccolo aeroplano con i Lego. Avevano prodotto un motore che era stato pensato per essere inserito nel modellino di un treno e io l’ho tirato fuori e messo dentro l’aereo che avevo fatto io. L’aeroplano ha iniziato a muoversi in avanti e ho pensato di aver creato un propulsore, ma mio padre mi spiegò, “No, non è un propulsore, il tuo aereo potrebbe facilmente muoversi all’indietro. Sono le vibrazioni che lo stanno muovendo in avanti”. Quelle parole uccisero il mio sogno. Tuttavia continuavo a costruire molte cose, e nel mentre imparavo il loro funzionamento. Più tardi mi sono iscritto alla scuola d’arte, quindi non ho mai smesso di inventare.

Non avevo nozioni di arte moderna, e ho iniziato a creare questi piccoli spettacoli facendo uso di pezzi di carta. Assomigliava alla Pop Art, ma a quel tempo non lo sapevo. In seguito, da quel piccolo effetto 3-D mi sono rivolto all’animazione e poi a fare video. Tutto sommato, era come se cercassi di fare ancora quello che facevo da bambino. Pensi che per i bambini di oggi, alla luce dell’enorme progresso tecnologico, quello spirito immaginativo sia ancora così forte com’era prima?

Davvero non saprei. Quando mio figlio aveva undici anni, caricò un piccolo video su YouTube. Aveva fatto un sacco di effetti – non realizzati artigianalmente, ma tutti creati sul video. Io preferisco lavorare sull’oggetto fisico, ma non posso negare la creatività di chi lavora sui video.

In proposito, ti preoccupa che una così larga parte della creazione di un film sia passata dalla pellicola al digitale?

Ciò che maggiormente mi preoccupa sono i film di supereroi. Stanno invadendo ogni cosa. La cosa più importante non è se siano creati al computer. Ma è il soggetto, la sceneggiatura, il personaggio.

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Tu hai diretto Lanterna Verde, però…

Non è davvero nelle mie corde. Era pensato come uno sguardo ironico sui supereroi, ma suppongo che il pubblico non abbia gradito. Sono molto esigenti su cosa aspettarsi da questo tipo di film.

Non pensi che un giorno vorrai rivisitare il genere?

No. Beh, se avessi avuto successo, forse. Mi piace l’universo di Christopher Nolan, fa roba impressionante. Tuttavia non penso di essere nella stessa categoria, o di voler fare le stesse cose.

Come hai scoperto questi due giovani attori?

Le caratteristiche di Daniel erano molto precise: doveva essere piccolo, con i capelli lunghi, e assomigliare a una ragazza, ma comunque possedere una personalità forte. Ho provinato dai sessanta agli ottanta ragazzini. Dovevano avere un determinato aspetto fisico, ma ancor più importante, dovevano avere qualcosa di frizzante nel loro carattere. E, naturalmente, dovevano essere in grado di recitare. La prima volta che ho incontrato Ange Dargent era davvero esilarante. Aveva un’espressione molto dolce, e un sacco di storie buffe. Si sente dire di un sacco di registi che hanno problemi con attori inesperti o non professionisti, in maniera particolare con i bambini.

Per me è stato grandioso. Prima di tutto, loro imparano l’intero copione! Le loro battute, quelle degli altri personaggi – è magnifico. In secondo luogo, non hanno ego. Puoi dire “Questa scena è stata una merda” senza preoccupartene, ed è un bene perché così hai la libertà di provare qualcosa di diverso. Loro sono solamente felici di essere lì, come fosse un lavoro estivo.

Molti dei tuoi film comprendono elementi di magia o del surrealismo. Quest’opera rappresenta uno spostamento deliberato verso un registro più realistico?

Sì, avevo appena finito Mood Indigo, e volevo girare con una cinepresa, un obiettivo, concentrandomi esclusivamente sui personaggi e ciò che si sarebbero detti. Mentre stavo scrivendo la prima metà della storia, ho avuto dei sogni che sarebbero diventati la seconda parte. Pensai che la scrittura doveva aver innescato le idee che avevo sognato, anche se non capisco quali elementi mi ci abbiano portato nel sonno. So di aver fatto molti film in cui le immagini rendono evidente il fatto di star guardando un sogno, ma quando ci sei dentro, non sembra mai strano. Quindi ho provato a renderli in quel modo, senza effetti speciali. I sogni sono spesso spaventosi e senza senso. Utilizzano materiale del tuo passato, e in quel modo, sono strani ma coerenti. Nel momento in cui ti svegli, puoi sentirti come se avessi sognato per ore, anche se non è successo. Nella vita vera non hai un montaggio. È come se lasciassi questa stanza e subito fossi per strada. Quindi seguiamo ogni passo. Al contrario nei film, vai da un posto all’altro, come se ti fossi dissolto. Nelle memorie e nei sogni senti le modifiche. Nella vita vera non disponi di un montaggio. Lascio questa stanza e improvvisamente sono in strada. Facciamo parte di un tempo continuo. Al contrario nei film, vai da un posto all’altro, come se ti fossi dissolto. Nei ricordi e nei sogni puoi sentire il montaggio.

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Quali sono i tuoi film preferiti sul tema dell’infanzia?

Ho guardato Gazzosa alla menta di Diane Kurys, un film su due ragazze ambientato negli anni ’60. Kes, di Ken Loach. Il mio preferito è di Jean Eustache, Mes petites amoureuses. Anche se non li ho presi come riferimento mentre facevo questo film. Mi piace questo film per il modo in cui è stato girato, nella maniera più imparziale possibile nei confronti dei personaggi. Ti affezioni al bambino, perché è come se lo stessi vedendo nella vita reale. E lui non sta recitando in maniera stravagante – è umano. Ti affezioni perché è realmente lui.

Come cambiano i comportamenti riguardo al sesso e alla sessualità dall’America alla Francia?

È difficile da dire, perché non so realmente come funzioni qui. Ci sono troppe cose spiegate e categorizzate. In Francia, molto è lasciato sul vago. Ricordo che i miei genitori un giorno mi dissero, “Ti masturbi ed è totalmente normale”. Sentire un discorso del genere è stato frustrante e orribile! Non vuoi parlare di queste cose con tuoi genitori! Per come ricordo, sin da quando avevo sei anni, volevo fare sesso. Una volta ero a Venice, in California, quando ricevetti una chiamata da mio figlio Paul; avrà avuto nove anni circa. Mi disse, “Papà, voglio fare sesso con una donna”. Gli risposi, “Ehm, okay, quello che devi fare è trovare una ragazza che ti piace, portarla al cinema, e provare a baciarla”. E lui rispose, “No, non sto parlando di quello, voglio una ragazza con le tette grandi e gambe lunghe”. Alla sua età non avrei neanche saputo articolare un discorso del genere.

Daniel guarda suo fratello dall’alto in basso perché membro di una band punk; questo episodio è tratto dalla tua giovinezza?

Ero sempre un passo indietro, perché ero più giovane. Quando arrivò il movimento punk, tenevo ancora i capelli lunghi e ricordavo un po’ un hippie. In seguito ho tagliato i capelli ed entrai nel giro grazie a un amico. Mio fratello era un metallaro quando arrivò il movimento, e noi diventammo dei punk solo quando tutti si spostarono verso la New Wave.

Questo è un periodo difficile per la Francia, dopo gli attacchi terroristici. Qual è stata la tua reazione dopo gli attentati di Parigi di novembre?

Questa non è esattamente una risposta: mio figlio doveva essere lì, al Bataclan. Stavano aspettando un amico che non si presentò e si era fatto tardi, quindi rinunciarono e andarono in un ristorante invece che al concerto. Hanno visto la gente scappare per la strada. È orribile, ma rispecchia un problema che le persone non vogliono affrontare. Quando qualcosa del genere accade, devi schierartene contro, e naturalmente lo fai. Ma forse si dovrebbe capire perché questi ragazzi sono diventati degli estremisti. Forse vivono in condizioni orribili; forse siamo noi i responsabili di tali condizioni.

Credi che farai lavori più politici?

La cosa più vicina alla politica che abbia mai fatto è l’Home Movie Factory, dove da ad artisti indipendenti la libertà di essere creativi come un gruppo. La mia politica si basa sul fatto che le persone si conoscono un po’ – “Oh, lo conosco appena,” “andavamo a scuola insieme,” – e pensano che il mondo sia piccolo. Ma il mondo sembra piccolo solo perché non condividiamo. Questo è il modo per cui puoi avere tantissimi rapporti senza entrare in contatto col 99% della gente. E li ignoriamo. Bisogna coinvolgere quelle persone, più che si può. È un modo grandioso di canalizzare l’energia. In Francia le periferie sono come i ghetti qui in America. La gente ha tutta questa energia, e non sa dove sfogarla. Arriva al punto di ebollizione, e si trasforma in qualcosa che non ci piace vedere.

I ragazzi parlano un linguaggio sobrio, quasi adulto…

Sono stato fortunato: appena i personaggi hanno iniziato a parlare nella mia testa, lo hanno fatto in piena autonomia. L’amico che mi ha ispirato era sicuro di sé come Gasolina? Non lo so. Quello che so è che ascoltavo molto. Mi rendeva molto nervoso essere scambiato per una ragazza quindi assorbivo qualunque cosa potesse

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aiutarmi ad essere più mascolino. Gasolina ha un aspetto più adulto, dovuto al suo isolamento all’interno della famiglia. Avevo un altro amico che non faceva altro che guardare la TV tutto il giorno. Il risultato era che aveva un’incredibile quantità di nozioni su ogni genere di cosa. È lui quello che mi ha invitato a dormire da lui ed ha passato la notte su una poltrona senza chiudere occhio.

Come hai scritto i dialoghi finali?

Una cosa è certa, non sono i tipici adolescenti e non parlano come loro. Molte volte Gasolina rimprovera Microbo, dicendogli che non deve parlare in slang o dare il cinque perché è "volgare". Parlano in un modo un po’ fuori dall’ordinario, un po’ datato. Non voglio dire che siamo sullo stesso pianto, ma è un po’ come nei film di Rohmer, dove le persone dicono cose reali con sentimenti reali ma con un linguaggio molto scritto e poco realistico. Qualche volta i ragazzi mi dicevano che certe battute non gli venivano, così ne parlavamo e io dicevo loro: "Il tuo personaggio non è esattamente come sei tu nella vita reale".

Durante il loro viaggio sembra che la loro amicizia diventi reale…

Hanno il tempo di parlare perché la loro auto non va molto veloce. Il viaggio in sé nasce da una serie di sogni che ho avuto e che ho usato quasi esattamente nell’ordine in cui sono arrivati: il dentista, la parrucchiera, i giocatori di football, l’aeroplano che vola a bassa quota o all’indietro… Ci sono quattro o cinque sogni messi in fila, su uno sfondo relativamente realistico. Sono molto infantili, forse perché sono avvenuti mentre scrivevo la prima parte del film, immerso nella mia infanzia. Ho problemi a dormire e sogno molto. Per esempio, sogno tutte le settimane di essere tornato a vivere nella casa di quando ero piccolo. Roba pesante! È stato strano anche perché abbiamo girato nella casa dove vivevano i miei nonni a Versailles, accanto a quella dove vivevo io. Condividevamo lo stesso giardino, diviso da una siepe. Il buco nella parete della nostra casa, adesso occupata da altre persone, esiste ancora. Lo avevamo scavato per vedere quanto erano spessi i muri. Rivedendola adesso, la casa sembra molto piccola. In generale, se i miei sogni hanno un potenziale narrativo li trascrivo. Certo, delle volte mi sveglio di notte pensando di avere una storia fantastica, che alla luce del giorno non mi sembra poi così favolosa!

Dove hai trovato i tuoi giovani attori?

Sarah Teper e Leila Fournier hanno fatto un meraviglioso lavoro di casting. Hanno visto 60 ragazzi diversi. Microbo è interpretato da Ange Dargent, ed è stato magico dalla nostra prima chiacchierata. Era così simile al suo personaggio: ama i film degli anni 60, è lontano dalla cultura contemporanea. Ma quando gli abbiamo chiesto di fare una scena è stato un disastro. Aveva fatto un po’ di teatro e si limitava a recitare le battute. Era chiaro che non avrebbe avuto la parte e quando ho visto la delusione sul suo visetto, mi ha spezzato il cuore. Così abbiamo trovato un altro ragazzo e stavamo per dargli la parte, quando abbiamo scoperto che aveva lavorato in La guerra dei bottoni, e questo gli dava un ingiusto vantaggio su Ange. Così l’abbiamo richiamato e gli abbiamo fatto un altro provino, e questa volta è stato magnifico. Anche Théophile Baquet, che interpreta Gasolina, ha fatto La guerra dei bottoni, ma l’abbiamo scoperto dopo, perché l’abbiamo trovato all’uscita da scuola. È il nipote di Maurice Baquet. Gli ho detto che Le voyage en ballon è il mio film preferito ma non l’aveva mai visto. Il suo stile abituale è più gothic-punk, ed ha avuto molta difficoltà a mettersi la giacca e i mocassini alla Michael Jackson del suo personaggio. Quando abbiamo messo insieme Ange e Théophile, si sono trovati subito molto affiatati, e hanno dato il massimo. Ange era molto maturo per certi versi, ma per altri anche ingenuo e dolce. Un giorno è venuto da me con il copione e mi ha detto: "Qui c’è scritto: 'Ci spingeremo fino a Nemours'. Ma perché dobbiamo spingere l’auto fino a Nemours?" Così l’ho aggiunto ai dialoghi. È un’espressione un po' obsoleta per loro. Anche Diane Besnier, che interpreta Laura, l’abbiamo scoperta a un casting. Era molto dolce. Aveva un apparecchio e l’abbiamo tenuto. Non penso comunque che avrebbe potuto toglierselo!

Anche i soprannomi appartengono al tuo passato?

No, mi chiamavano "il gamberetto muscoloso" quando ero un po’ più giovane. E Gasolina era un soprannome poco gentile di una ragazza che viveva vicino al paese di mia zia. La chiamavamo Gasolina perché sembrava una pompa di benzina. Quindi la risposta è no.

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Chi ha inventato la baracca mobile?

Io. Mi piace molto disegnare automobili, anche se sono un terribile pilota, e non ho mai pensato di comprare un’auto di lusso o sportiva. E le auto di oggi sono meno attraenti. In un film, le automobili sono la prima cosa da cui capiamo l’epoca in cui è ambientato. L’idea della baracca mobile mi è venuta piuttosto presto. Ho disegnato un bozzetto e l’ho dato al mio solito scenografo, Stéphane Rozenbaum, affinché la costruisse. Non ha un motore di un tosaerba, non sarebbe stato abbastanza potente, ma un 250cc. Abbiamo fatto diverse versioni. La prima senza carrozzeria, poi abbiamo aggiunto la carrozzeria; poi abbiamo messo un motore più potente e abbiamo costruito la baracca mobile; poi abbiamo fatto la baracca mobile bruciata: e infine abbiamo costruito una versione più leggera per la scena in cui cade nel fiume. Abbiamo portato l’auto fino al Parco Naturale Regionale di Morvan, anche se molte delle riprese sono state realizzate nella regione dell’Ile-de-France. Ho fatto questo film anche per liberarmi dal peso di Mood indigo - la schiuma dei giorni: avevamo solo una camera e una piccola troupe. Adoro lavorare così.

I tuoi ragazzi hanno davvero guidato la macchina?

L’adoravano! Microbo era il più scatenato dietro al volante. Tieni presente che non andava molto veloce. Qualche volta andava spinta, nonostante il motore. È stata una cosa a metà tra MAD MAX e WACKY RACES - LE CORSE PAZZE. Al rallentatore.

Era la prima volta che lavoravi con il musicista Jean-Claude Vennier?

Cercavo un compositore e una notte ho sognato Charlotte Gainsbourg. Quando mi sono svegliato, ho pensato alla canzone di sua madre "Di Doo Dah", con quel giro di basso molto semplice e l’arpeggio di chitarra, e ho capito che doveva essere Jean-Claude Vannier. Ha arrangiato molte splendide canzoni di Gainsbourg, in particolare in "Melody Nelson". Ha fatto anche altra roba magnifica come Super Nana di Michel Jonasz. L’ho contattato, gli ho fatto vedere il film e ha subito accettato di lavorarci. La musica sostiene il film molto bene, dandogli un tono leggermente retrò.

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Michel Gondry

Versailles, 8 maggio 1963

Regista, sceneggiatore

Michel Gondry il 12 settembre 2016 ha pubblicato su Youtube un video per City Lights, primo brano

inedito degli White Stripes dopo 8 anni. Cosa ci sarà di così eclatante, penserete voi? Nulla ed è questo il

bello: quel video è di una semplicità disarmante, consiste in 5 minuti di piano-sequenza con inquadratura

fissa su una doccia, dietro alla quale si scorge un dito indice che disegna delle figure sul vetro appannato

dal vapore; le figure seguono la storia narrata da Jack White nella canzone e si susseguono

sovrapponendosi man mano che il vapore le cancella dopo pochi secondi, tutto qui. Questo non è che un

esempio della genialità dell’autore francese: quando la moda e l’evoluzione tecnologica impongono

immagini sempre più sofisticate e dinamiche, l’uso (e l’abuso) di montaggi rapidi, di viraggi fotografici, di

riprese aeree da droni finanche nei video delle vacanze al mare, il più influente videomaker in circolazione

ci fa capire che ciò che conta è ridurre all’essenziale poesia del gesto. Eppure Gondry aveva fatto

dell’effetto visivo la sua cifra stilistica nei suoi videoclip degli anni ‘90, basti pensare a quelli che ha diretto

per Björk (Human Behaviour, il primo, è un vero capolavoro) oppure il pluripremiato Let Forever Be

dei Chemical Brothers, o l’evocativo Protection dei Massive Attack, mix perfetto di tecnica, stile e

poesia che si sposa alla perfezione con il sound inconfondibile del gruppo di Bristol.

Ma l’arte visuale di Michel Gondry non si limita all’ambiente musicale, ben presto anche i più prestigiosi

marchi internazionali (da Nike, a Levi’s a Polaroid per citarne alcuni) si accorgono di lui e gli

commissionano spot pubblicitari divenuti memorabili; non si è fatto mancare neppure una pubblicità per

la Lancia Y10.

Ma focalizzando sul campo cinematografico è sicuramente Eternal Sunshine Of The Spotless Mind

del 2004 –tradotto infelicemente Se mi lasci ti cancello nella sua distribuzione italiana– la sua opera

più conosciuta e quella che lo ha reso noto al grande pubblico, una love-story che si districa in un corto-

circuito mnemonico, combinazione di romanticismo, rappresentazioni oniriche e violazione delle leggi

spazio-temporali che ritroviamo anche ne L’arte del sogno del 2006, questa volta ambientato a Parigi

e con uno spirito più “felliniano” (come le scene “cartonate” dentro la testa del protagonista).

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Senza dimenticare il pregevole –ma molto di nicchia– documentario animato Is The Man Who Is Tall

Happy? - una conversazione animata con Noam Chomsky, l’ultima produzione cinematografica degna

di nota di Gondry è stata la divertente commedia Be Kind Rewind – Gli Acchiappafilm del 2008, che

–oltre a ricordarci che certi titolisti italiani dovrebbero cambiare mestiere– conferma con i precedenti che

gli argomenti principali della cinematografia gondryiana sono l’alterazione della memoria e la

visionarietà giocosa dei protagonisti, mentre le sue divagazioni col film d’azione (la produzione

hollywoodiana di The Green Hornet nel 2011) e la trasposizione letteraria (Mood Indigo nel 2013,

tratto dal romanzo La schiuma dei giorni di Boris Vian) non hanno avuto la stessa forza espressiva dei

precedenti e conseguentemente anche i riscontri sono stati al di sotto delle aspettative. Finalmente nel 2016

il cineasta francese è ritornato dietro la macchina da presa per dirigere un lungometraggio su una sua

sceneggiatura originale, così è uscito anche nelle sale italiane Microbo e Gasolina: una commedia lieve,

tenera, molto francese (come non chiamare in causa Truffaut?) sull’amicizia, sull’adolescenza, sul viaggio

iniziatico; una trama inaspettata per Gondry, solo apparentemente divergente dalle tematiche a lui più

care, solo apparentemente leggera. Non è difficile immaginare che i due protagonisti siano in effetti due

declinazioni biografiche dell’autore: non a caso il film è ambientato nella sua natia Versailles ed entrambi

i ragazzi hanno delle peculiarità che evidentemente attingono ai suoi ricordi personali, per quanto

l’ambientazione sia contemporanea. Daniel, detto Microbo dai compagni perché sembra più giovane dei

suoi 15 anni, è ragazzo riservato, sensibile e fantasioso, dotato di una spiccata abilità per il disegno e alle

prese con la scoperta della propria sessualità, resa più difficile dal suo aspetto acerbo. Un giorno arriva un

nuovo alunno nella classe di Daniel, è Theo, un ragazzo brillante e carismatico, ma bizzarro, subito

rinominato dagli spietati compagni Gasolina per via della sua grande passione per i motori e dal

conseguente odore di benzina che si porta addosso. Tra i due, allergici all’omologazione dei compagni,

nasce una sincera amicizia. Entrambi alienati dalle rispettive famiglie disfunzionali, decidono con l’arrivo

delle vacanze estive di intraprendere uno spericolato viaggio estivo a cavallo dei propri sogni e di una

casetta a motore costruita per l’occasione, scambiandosi reciprocamente desideri, paure e piccoli

dispiaceri, come accade in ogni vero rapporto che si rispetti. Nel corso del viaggio lungo le strade francesi

a bordo del loro non convenzionale veicolo/casa, due ragazzi acquisiranno progressivamente una maggior

consapevolezza di se stessi, delle proprie qualità e dei propri limiti, in un racconto capace di restituire con

vivida emozione la consapevolezza di quanto possa incidere un’amicizia profonda e sincera nella vita delle

persone, al di là di ogni ostacolo o difficoltà. Con Microbo e Gasolina Michel Gondry è riuscito a farci

vivere le vicissitudini dei giovani protagonisti con la stessa disposizione d’animo che caratterizzava il

nostro io infantile: un’odissea di emozioni contrastanti, dal comico al tragico, dal grottesco al romantico.

Tenero e benevolo nei riguardi dei suoi due eroi, l’autore prescinde da strategie, aspettative, logiche di

marketing, ma ci regala una parentesi incantata che dimostra che quando si desidera narrare una storia

candida, non occorrono grandi effetti o grossi budget.