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Articolo 1

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VALENTINA FORTI

TRASFERIMENTO DI AZIENDA E RAPPORTI PREVIDENZIALI: PROFILI DI DIRITTO INTERNO E COMUNITARIO.

SOMMARIO: 1. Il principio del mantenimento dei diritti dei lavoratori in caso di trasferimento di azienda. - 2. Diritti previdenziali e trasferimento d’impresa nelle fonti comunitarie- 3. L’ordinamento italiano. Problematiche aperte dal trasferimento d’azienda in ordine al mantenimento dei diritti derivanti dalla previdenza obbligatoria: posizione dei lavoratori e degli enti previdenziali. - 4. Riflessi del trasferimento d’azienda sul regime e/o sull’inquadramento previdenziale, sulla disciplina degli ammortizzatori sociali e delle agevolazioni contributive. - 5. Trasferimento d’azienda e previdenza complementare nell’ ordinamento italiano

1. La materia del trasferimento d’azienda è disciplinata nel nostro ordinamento dall’art. 2112 c.c. che, rispetto al testo originario, è stato novellato prima dall’ art. 47 della legge 29 dicembre 1990 n. 4281, poi dal D. lgs 2 febbraio 2001 n. 182 e infine dal D. lgs. 10 settembre 2003 n. 2763.

Tali modifiche sono state necessitate dall’adeguamento della disciplina italiana alla normativa comunitaria: la legge del 1990 ha infatti recepito la Dir. 77/187/CEE del 14 febbraio 19774 e il decreto del 2001 è stato adottato in attuazione della successiva Dir. 98/50/CE del 29 giugno 1998, che ha novellato in modo sostanziale la direttiva del 19775, successivamente alla Dir. 98/50, è stata adottata la Dir. 2001/23, anche se in realtà la stessa non ha apportato modifiche sostanziali alla versione del 1998, ma ha semplicemente provveduto a codificare la normativa comunitaria in materia di trasferimento d’impresa.

Le norme, sia comunitarie che nazionali, in materia di trasferimento di azienda hanno lo scopo di tutelare i lavoratori nelle situazioni in cui muta la titolarità della stessa, assicurando ad essi la continuità del rapporto di lavoro.

1 Che costituisce anche norma autonoma, che regola la procedura di informazione e consultazione sindacale. Per commenti, vedi M. MAGNANI, Disposizioni in tema di trasferimento di azienda. Commento all’art. 47 della legge 29 dicembre 1990 n. 428 , in Nuove leggi civ. comm., 1992, 652 ss.

2 Tra i numerosi studi in merito, cfr. C. CESTER, Trasferimento di azienda e rapporti di lavoro: la nuova disciplina, in Lav. giur., 2001, 6, 505 ss e F. SCARPELLI, Nuova disciplina del trasferimento di azienda, in Dir. prat. lav., 2001, 12 , 779 ss.

3 Ex plurimis, vedi L. DE ANGELIS, La tutela del lavoratore ceduto, in W.P.- C.S.D.L.E “Massimo D’Antona”, 2004, 50, in www.unict.it/documenti; mi permetto inoltre di rinviare a V. FORTI , La disciplina del trasferimento di azienda e di ramo di azienda prima e dopo il d. lgs 276/2003, di attuazione della legge n. 30 del 2003 , in Dir. lav . Marche, 2003, 3 - 4, 379 ss; più di recente cfr. V. SPEZIALE, Le “esternalizzazioni” dei processi produttivi dopo il D.lgs n. 276 del 2003: proposte di riforma , in Riv. giur. lav., 2006, 1, 3 ss.

4 Vedi F. VANDAMME, Concentrations d’enterprises et protection des travaillers, in CDE, 1977, 25 ss.

5 Le novità della direttiva sono state, tra gli altri, esaminate da R. COSIO, La nuova direttiva sul trasferimento delle imprese: l’ambito di applicazione, in Foro it., 2000, I, 879.

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Infatti, sia la direttiva CE che l’art.2112 cod. civ. prevedono che il trasferimento d’azienda non costituisce di per sé motivo di licenziamento6

e che il rapporto di lavoro continua ipso iure con il cessionario7, conservando il lavoratore tutti i diritti che ne derivano8.

Se secondo l’art. 3.1 della Dir. 2001/239 “I diritti e gli obblighi che risultano per il cedente da un contratto o da un rapporto di lavoro esistente alla data del trasferimento d’impresa sono, in conseguenza di tale trasferimento, trasferiti al cessionario”, ai sensi dell’ art. 2112, 1° comma, cod. civ. “In caso di trasferimento d’ azienda il rapporto di lavoro continua con il cessionario ed il lavoratore conserva tutti i diritti che ne derivano”.

Se da quest’ultima norma si può desumere, in via generale, che il lavoratore possa far valere nei confronti del cessionario tutti i propri diritti scaturenti dal contratto o dal rapporto di lavoro con il cedente, di fonte legale, contrattuale (individuale e collettiva) o consuetudinaria, il secondo comma della norma codicistica specifica che, per quanto riguarda i crediti già maturati ed acquisiti dal lavoratore prima del trasferimento d’azienda, vige la regola della responsabilità solidale tra alienante e acquirente10.

L’art. 2112, 2° comma, seconda parte, consente al lavoratore, nel corso delle procedure di conciliazione ex artt. 410 e 411 c.p.c., di liberare l’alienante dalle obbligazioni derivanti dal rapporto di lavoro, riconoscendo il cessionario come suo unico debitore. Tale atto è riconducibile alla fattispecie della remissione di debito ex art. 1301 c.c., ma la norma citata contiene una norma derogatoria rispetto ai principi generali, in quanto la manifestazione di volontà del prestatore di lavoro non estende i suoi effetti anche al cessionario, obbligato in via solidale: se quindi il lavoratore, nel corso delle procedure conciliative, consente la liberazione dal debito del suo precedente datore di lavoro, la rinunzia o transazione dovrà essere considerata valida ex art. 2113, comma 4, c.c.

Il successivo 3° comma dell’art. 2112 c.c. stabilisce invece peculiari norme volte alla conservazione, per i prestatori di lavoro, delle condizioni di

6 Cfr. art. 4, par. 1, Dir. 2001/23/CE e art. 2112 , comma 4, c.c.7 Infatti, in deroga ai principi generali in materia di cessione di contratto (vedi

l’art. 1406 c.c.), il passaggio del lavoratore dal cedente al cessionario si attua automaticamente, indipendentemente dal consenso del prestatore di lavoro.

8 Delle ricadute del trasferimento d’ azienda sui diritti individuali dei prestatori di lavoro ceduti si sono occupati molti autori, tra questi M.P. AIMO, in Le garanzie individuali dei lavoratori, in Dossier sul trasferimento di azienda tra diritto comunitario e diritto interno, in Riv. giur. lav., 1999, I, 836 ss; dopo la “riforma Biagi” v. F. SCARPELLI, Il mantenimento dei diritti del lavoratore nel trasferimento d’azienda: problemi vecchi e nuovi, in Quad. dir. lav. rel. ind. (su Trasferimento di azienda), 2004, 28, 91 ss e, più di recente, A. RAFFI, Tutela del lavoratore nel trasferimento di azienda tra normativa nazionale e normativa comunitaria, in Riv. giur. lav., 2006, I, 221 ss.

9 Non modificato in tal punto rispetto alla formulazione originaria - Per un commento su tale norma della direttiva, vedi AIMO, op. cit., 841 ss.

10 A livello comunitario vedi l’art. 3, par. 1, secondo periodo, della Dir. 2001/23, che lascia agli Stati membri la facoltà di prevedere che il cedente, anche dopo la data del trasferimento dell’azienda, sia responsabile con il cessionario degli obblighi risultanti prima della cessione da un contratto o rapporto di lavoro a quel momento esistente. Il legislatore italiano ha esercitato tale facoltà, prevedendo al 2° comma dell’art. 2112 c.c. una responsabilità solidale di alienante e acquirente dell’azienda “per tutti i crediti che il lavoratore aveva al momento del trasferimento”. In dottrina il tema della responsabilità di cedente e cessionario per i crediti del prestatore di lavoro è stato oggetto di ampia trattazione: vedi da ultimo lo scritto di C. MAZZA, La responsabilità solidale nel trasferimento d’azienda, in Resp. civ. e prev., 2006, 3, 430 ss.

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lavoro convenute mediante contratto collettivo: è previsto infatti l’obbligo del cessionario di applicare i trattamenti economici e normativi già vigenti in base ai contratti collettivi nazionali, territoriali ed aziendali fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da altri contratti collettivi, dello stesso livello, applicabili all’ impresa del cessionario11.

2. Si è rammentato che il principio del mantenimento presso il cessionario dei diritti dei lavoratori coinvolti in un trasferimento d’impresa o di un suo ramo, sancito dalla direttiva 23/2001/CE all’art. 3, par. 1 e 3, si applica ai diritti e agli obblighi che risultano da un contratto o da un rapporto di lavoro. Tale regola non trova però attuazione, ai sensi del successivo art. 3, par. 4, lett. a), in relazione ai “diritti dei lavoratori a prestazioni di vecchiaia, di invalidità o per i superstiti dei regimi complementari di previdenza professionali o interprofessionali esistenti al di fuori dei regimi legali di sicurezza sociale degli Stati membri”12.

Dall’analisi delle fonti comunitarie, sia normative, che giurisprudenziali13, si può desumere che l’eccezione alla regola del trasferimento al cessionario dei diritti e degli obblighi che risultano per il cedente dal contratto di lavoro individuale o collettivo debba essere applicata in modo restrittivo, nel senso che la stessa può essere riferita solo alle prestazioni che sono elencate nella direttiva e queste ultime devono essere intese in un’ accezione ristretta14 .

Inoltre l’art. 3, par. 4, della Dir. 2001/23 non dispone un’esenzione “secca”dall’applicazione dei paragrafi riguardanti il mantenimento dei diritti dei lavoratori maturati nell’ambito della previdenza complementare15, ma

11 A livello comunitario vedi l’art. 3, par. 3, Dir. 2001/23/CE, secondo il quale dopo il trasferimento d’ impresa il cessionario deve mantenere ai lavoratori ceduti le condizioni di lavoro convenute mediante contratto collettivo nei termini previsti da quest’ ultimo per il cedente, fino alla data della risoluzione o della scadenza dello stesso contratto o dell’ entrata in vigore o dell’ applicazione di un altro contratto collettivo (del cessionario). Per quanto riguarda la sostituzione del contratto collettivo applicabile in caso di cessione d’ azienda (da quello del cedente a quello del cessionario), a differenza dell’art. 2112, comma 3, c.c., la norma CE citata è molto generica e ciò è comprensibile, vista la finalità, da parte del diritto comunitario, di armonizzazione di ordinamenti molto diversi tra loro e, per quello che ci interessa, con differenti sistemi di contrattazione collettiva.

12 Per “regimi legali” nella terminologia delle fonti CE si intendono quelli di previdenza obbligatoria o di base, cui è riferibile il Regolamento 833/2004/CE (che, una volta approvata la normativa di attuazione, dovrà sostituire il Regolamento 1408/71/CEE), che stabilisce principi volti al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale dei paesi membri. Per quanto riguarda invece i “regimi di previdenza complementare”, sono definiti dalla direttiva 98/49/CE (che si occupa specificamente del mantenimento dei diritti dei lavoratori iscritti a fondi di previdenza complementare in caso di mobilità all’ interno della UE), come quei “regimi pensionistici di categoria stabiliti in conformità delle legislazioni e delle prassi nazionali”.

13 Cfr. le sentenze della Corte di giustizia del 4 giugno 2002, c-164/2000, Beckmann (commentata, tra gli altri, da P. PASSALACQUA, Corte di giustizia, trasferimento di imprese e previdenza: riflessi nell’ordinamento interno, in questa Rivista, 2002, 2, 533 ss ) e del 6 novembre 2003, C- 4/01, Serene ( in Lav. giur., 2004, 9, 865 ss con nota di L.C. NATALI, Trasferimento d’azienda: la Corte CE ribadisce il proprio favore verso la garanzia dei diritti previdenziali dei lavoratore ).

14 Vedi il punto 460 della sentenza Beckmann.15 Mentre l’art. 3.3 dell’ originaria Dir. 77/187, disponeva solo che i paragrafi 1 e 2

non si applicassero tout court ai diritti dei lavoratori a prestazioni di previdenza complementare.

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prevede che gli Stati membri possano disporre anche di questi diritti (possano cioè stabilire che anche gli stessi vengano conservati dal lavoratore che con il trasferimento passa automaticamente dal cedente al cessionario), in virtù del c.d. principio del favor per il lavoratore .

Inoltre la lett. b) dello stesso art. 3, par. 4, della direttiva del 200116

sancisce che gli Stati membri, anche quando non prevedano, a norma della lett. a), il principio della conservazione dei diritti a prestazioni di previdenza complementare, hanno comunque l’onere di predisporre i provvedimenti necessari per tutelare gli interessi dei lavoratori e di coloro che hanno già lasciato lo stabilimento del cedente al momento del trasferimento, per quanto riguarda i diritti, maturati o in corso di maturazione, a prestazioni di vecchiaia o per i superstiti, dei suddetti regimi complementari.

Lo Stato viene quindi incaricato di proteggere i lavoratori, anche non più dipendenti del cedente quando viene effettuato il trasferimento della azienda17, che in tale momento hanno maturato o stanno maturando diritti a prestazioni di previdenza integrativa e che, vista l’esclusione dalla tutela prevista in via generale dall’ art. 3, par. 1 e 3, della direttiva, potrebbero subire conseguenze sfavorevoli a causa del trasferimento, con un metodo non usuale, vale a dire impedendo che questo “carico di pensioni” venga trasmesso all’acquirente dell’azienda. Tale norma non impone obblighi di conformazione, ma sembra lasciare agli ordinamenti nazionali piena libertà di ampliare l’assetto protettivo, già assicurato dalla previdenza di base, anche alla previdenza complementare.

Per quanto riguarda la sorte dei diritti dei lavoratori trasferiti presso il cessionario derivanti dalla previdenza obbligatoria o di base, non facendo la direttiva CE ad essi alcun riferimento, è stata la dottrina a proporre diverse soluzioni interpretative. Secondo un’autorevole opinione18

se l’operatività del principio di conservazione è in via di principio (salvo deroghe stabilite da singoli Stati membri) esclusa dalla Dir. 2001/23 in riferimento a forme di previdenza che, come quelle complementari o integrative, “risultano da” contratti di lavoro, tanto più tale esclusione è valida per le forme previdenziali di base, che non hanno come fonte il contratto, ma direttamente la legge: in sostanza, secondo tale teoria, le fonti comunitarie scontano il fatto che in materia di previdenza obbligatoria la tutela dei prestatori di lavoro trovi un’adeguata garanzia nelle relative discipline nazionali, senza bisogno di interventi ulteriori, come quello del principio di conservazione.

Anche un altro giuslavorista19 condivide l’opinione suesposta, sostenendo che l’atteggiamento astensionistico in materia di regimi legali di sicurezza sociale è probabilmente fondato sulla considerazione da parte degli organismi comunitari dell’esistenza di una copertura di base in ogni ordinamento di un paese membro20, che sia capace di assicurare la tutela dei lavoratori anche al di là delle norme protettive riguardanti la modificazione

16 Già art. 3, par. 3, seconda parte, della direttiva del 1977.17 ? Mentre il principio del mantenimento presso il cessionario dei diritti derivanti da

un contratto di lavoro stipulato con il cedente si applica solo a coloro il cui rapporto sia ancora in corso con lo stesso al momento del trasferimento dell’impresa.

18 M. CINELLI, in Trasferimento o conferimento di attività economica organizzata, principio del mantenimento dei diritti dei lavoratori e previdenza, in questa Rivista, 2002, 2, 9 ss ( spec. 28-29 ).

19 G. VILLANI, Trasferimento d’azienda. Profili di diritto del lavoro e della previdenza sociale, Utet, Torino, 2000, spec. 72.

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soggettiva del datore di lavoro. Però poi le sue conclusioni si discostano in modo netto da quelle cui è giunto il primo studioso, in quanto, se questo ultimo ritiene che il principio del mantenimento dei diritti dei lavoratori ceduti in materia di previdenza pubblica non possa essere desunto dalla direttiva 2001/23 21, il secondo giurista22, al contrario, sostiene che la normativa de quo si debba comunque, malgrado il silenzio del legislatore, applicare ai diritti dei lavoratori derivanti dalla previdenza pubblica obbligatoria e da ogni altra forma di previdenza predisposta inderogabilmente dall’ordinamento nazionale23.

3. Passando dalla disamina delle fonti CE a quelle dell’ordinamento italiano, se il legislatore comunitario sancisce, sia pur in modo sintetico e generale, una specifica disciplina riguardo alla sorte dei diritti previdenziali dei lavoratori in caso di trasferimento d’impresa24, si deve invece riscontrare una totale inerzia sul punto da parte del nostro legislatore, che, quando ha adottato le norme atte a recepire le direttive che si sono susseguite in materia di trasferimento d’azienda, non ha dettato apposite disposizioni volte a disciplinare le conseguenze per i lavoratori ceduti sui propri diritti a prestazioni di previdenza sia obbligatoria, che complementare.

Per quanto riguarda le ricadute del trasferimento d’azienda sui diritti dei lavoratori derivanti dalla previdenza obbligatoria, è necessario distinguere i rapporti che legano il cedente e il cessionario ai lavoratori ceduti o all’ente assicuratore.

Mentre infatti l’art. 2112 c.c., pur non parlando espressamente dei diritti previdenziali, sancisce il principio, in caso di trasferimento d’azienda, del mantenimento dei diritti dei lavoratori maturati presso il cedente nei confronti del cessionario, invece non menziona tra i destinatari della tutela l’istituto previdenziale nei confronti dei quali intercorre o deve, per effetto di eventuali inadempimenti pregressi, instaurarsi il rapporto contributivo.

In particolare se, come abbiamo visto, il secondo comma dell’ art. 2112 c.c. sancisce il principio della responsabilità solidale tra alienante e acquirente per i crediti che il lavoratore ceduto aveva maturato presso il cedente, è necessario ora verificare se di tale solidarietà possa avvalersi anche l’ente previdenziale nel caso in cui il cedente abbia omesso di versare i contributi obbligatori per il prestatore di lavoro.

In merito è importante segnalare una recente sentenza della Cassazione, sezione lavoro25: il caso affrontato dalla Suprema Corte trae origine da un decreto ingiuntivo dell’Inps per il recupero di contributi non corrisposti nei

20 L’autore fa riferimento al principio di sussidiarietà, previsto in via generale dal diritto comunitario, e che riguarda anche la sicurezza sociale.

21 Cfr. CINELLI, in op. cit., spec. 29.22 Vedi lo scritto di VILLANI a pag. 84.23 A tale opinione aderisce anche M. NICOLOSI, in Trasferimento d’azienda e debiti

contributivi: la responsabilità solidale dell’acquirente, in Inf. prev., 2001, II, 969 ss ( sul punto, v. 976 -977 ).

24 Anche se abbiamo visto che mentre secondo VILLANI, op. ult. cit., 72, “in prima approssimazione si può affermare che la direttiva comunitaria, anche se non espressamente e diffusamente, si occupa di entrambi i profili previdenziali e mentre dispone, o se si vuole, sconta, la protezione dei diritti dei lavoratori derivanti dalla previdenza pubblica obbligatoria, facoltizza interventi protettivi nella previdenza complementare…”; secondo la contraria opinione di CINELLI, la direttiva non è comunque applicabile per quanto riguarda i diritti a prestazioni previdenziali di base.

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confronti di una società a responsabilità limitata, che aveva acquisito una ditta individuale, alla quale era imputabile l’omissione contributiva. La società debitrice propone opposizione al decreto ingiuntivo, eccependo il proprio difetto di legittimazione passiva, in quanto il debito previdenziale era sorto in un periodo antecedente al trasferimento d’azienda, quando quest’ultima era ancora di proprietà della ditta individuale. Mentre il giudice di primo grado accoglie l’opposizione della società ricorrente e revoca il decreto ingiuntivo, il Tribunale ritiene fondato il ricorso dell’ Inps, riconoscendo, ex art. 2112, 2°comma, c.c., la responsabilità solidale dell’acquirente per i debiti contributivi contratti dall’ alienante; contro tale sentenza la società propone ricorso in Cassazione. La Suprema Corte, accogliendo le istanze della società, ha affermato il seguente principio di diritto: “…in caso di trasferimento di azienda, i debiti contratti dall’ alienante nei confronti degli istituti previdenziali per l’omesso versamento dei contributi obbligatori, esistenti al momento del trasferimento, costituiscono debiti inerenti all’esercizio dell’azienda e restano soggetti alla disciplina dettata dall’art. 2560 c.c.26: per i predetti debiti, infatti, non può operare l’automatica estensione di responsabilità dell’acquirente prevista dall’art. 2112, comma, prima parte, c.c.27, sia perché la solidarietà è limitata ai soli crediti di lavoro del dipendente e non è estesa ai crediti di terzi, quali devono ritenersi gli enti previdenziali, sia perché il lavoratore non ha diritto di credito verso il datore di lavoro per l’omesso versamento dei contributi obbligatori28, restando estraneo al rapporto contributivo, che intercorre tra l’ente previdenziale e il datore di lavoro”.

La sentenza della Corte ha confermato l’orientamento dottrinale29, secondo il quale, pur dovendosi ravvisare che il prestatore di lavoro ha un interesse tutelato direttamente nei confronti del datore per quanto concerne l’obbligazione contributiva30, tuttavia l’espressione “mantenimento di tutti i diritti”, contenuta nell’ art. 2112, commi 1 e 2, c.c., si riferisce unicamente ai crediti del lavoratore, non essendo ricompresi nell’ambito della norma

25 Sentenza 26 aprile - 16 maggio 2001, n. 8179, in Riv. giur. lav., 2002, 3, 526 ss, con nota di S. DE PAOLA, Trasferimento d’azienda ed omissione contributiva e in Inf. prev., 2001, II, 969 ss, con nota di M. NICOLOSI, in Trasferimento d’azienda e debiti contributivi: la responsabilità solidale dell’acquirente, cit..

26 Norma di portata generale, che sancisce, al 1°comma, che “ L’alienante non è liberato dai debiti inerenti all’esercizio dell’azienda ceduta, anteriori al trasferimento, se non risulta che i creditori vi hanno consentito” e, al 2°comma, che “Nel trasferimento d’azienda commerciale risponde dei suddetti debiti anche l’acquirente dell’azienda, se essi risultano dai libri contabili obbligatori”.

27 Che, come sappiamo, a differenza dell’ art. 2560 c.c., opera anche senza il consenso del lavoratore ceduto e anche se il suo credito non risulta dai libri contabili obbligatori

28 Oltre al diritto al risarcimento dei danni nell’ ipotesi prevista dall’art. 2116, comma 2, c.c, nel caso in cui il datore abbia omesso di versare i contributi dovuti, e questi siano stati colpiti da prescrizione.

29 Sostenuto autorevolmente già dai primi anni ’90 da M. PERSIANI, Trasformazioni… cit.; da F.D. MASTRANGELI e C.A. NICOLINI, La contribuzione previdenziale, Torino, 1997, 26 ss; da F. MAZZIOTTI, Diritto della previdenza sociale, ESI, Napoli, 1999, 25; M. CINELLI, op. cit. e, da ultimo, da M.R. GHEIDO - A. CASOTTI in Trasferimento dei lavoratori nella cessione di azienda, in Dir. prat. lav., 2005, 31, inserto, spec. VI - VII.

30 L’interesse del lavoratore alla regolarità della propria posizione contributiva trova ampio riconoscimento sia in dottrina, che in giurisprudenza: tra le altre sentenze, vedi Cass. sez. lav., 29 dicembre 1999, n. 14680, in Mass. giur. lav., 2000, 400, con nota di G. CIOCCA, L’automaticità delle prestazioni previdenziali e le azioni del lavoratore: un ulteriore contributo della giurisprudenza.

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citata i crediti contributivi, di spettanza degli istituti previdenziali: da ciò deriva la non estendibilità del principio di solidarietà tra cedente e cessionario, prevista dal 2°comma dell’ art. 2112 c.c. solo per i crediti che il lavoratore aveva al tempo del trasferimento, alle obbligazioni per contribuzioni previdenziali31.

Tali affermazioni si fondano sul principio di autonomia del rapporto previdenziale rispetto al rapporto di lavoro: se infatti di regola il presupposto materiale del rapporto giuridico previdenziale è un “rapporto di lavoro”, sia subordinato, che autonomo32, i due rapporti conservano comunque una reciproca autonomia, sia nel momento genetico33, che durante il corso del rapporto di lavoro34. L’autonomia dei due rapporti 35

è particolarmente evidente quando si fa riferimento alle obbligazioni contributive del datore di lavoro. Infatti queste non possono considerarsi inserite nel rapporto di lavoro ai sensi dell’ art. 1374 c.c. alla stregua di obblighi legali, in quanto non sono a carico solo del datore, ma sono ripartite pro quota anche con il lavoratore ex art. 2115 c.c.; inoltre, visto il criterio di gestione finanziario della ripartizione, che regola il sistema pensionistico obbligatorio36, la contribuzione previdenziale trascende la logica di scambio del rapporto di lavoro, essendo diretta ad assicurare, ex art. 38 Cost., un obiettivo pubblicistico37.

Accertato quindi che il rapporto previdenziale, pur avendo come presupposto un rapporto di lavoro38, si distingue da quest’ultimo per fonte, soggetti e contenuti, l’orientamento dottrinale citato ritiene logico non applicare il principio del mantenimento dei diritti dei lavoratori e quello di solidarietà ex art. 2112 c.c. anche alle obbligazioni contributive, in quanto tale norma è considerata avere carattere eccezionale39.

31 Tale conclusione non viene smentita dall’ art. 15, comma 1, del D.P.R. n. 1124 del 1965 che invece, per quanto riguarda il pagamento dei premi per l’INAIL, prevede, in caso di trasferimento di azienda, la solidarietà tra cedente e cessionario: infatti tale norma può essere ritenuta di carattere eccezionale, limitata alla specifica assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, e quindi priva di valenza generale. Così sostiene CINELLI, in op. cit., 15 e la Cassazione nelle sentenze 29 gennaio 1992 n. 906, in Mass. giust. civ., 1992 e 29 marzo 1995 n. 3572, in Rep. Foro it., 1995, voce Infortuni sul lavoro, n. 1138.

32 Oltre ad attività lavorative non poste nel mercato (ad es. quella delle casalinghe o dei ministri di culto). Più correttamente presupposto del rapporto previdenziale si può considerare “una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della società, ex art. 4, 2°comma Costituzione”: così CINELLI, op. ult. cit., 24.

33 Pensiamo infatti che, anche se il contratto di lavoro è invalido, l’ art. 2126 c.c. riconosce comunque al lavoratore il diritto alla retribuzione, oltre al versamento dei contributi previdenziali, per la prestazione di lavoro effettuata.

34 Se ad es. datore e lavoratore stipulano una transazione circa la natura del loro rapporto (autonoma o subordinata), ciò non pregiudica il credito contributivo vantato dall’ente previdenziale. Inoltre l’autonomia dei due rapporti risulta evidente anche nella disciplina della retribuzione imponibile per il calcolo dei contributi, che è costituita dalla retribuzione “dovuta” per legge o contratto collettivo, non rilevando il fatto che il lavoratore accetti dal datore una retribuzione inferiore.

35 In giurisprudenza, vedi tra le altre Cass., sez. lav., 20 gennaio 1993, n. 677, in Not. giur. lav., 1993, 595 e 13 aprile 1999, n. 3630, in riv. cit., 1999, 548.

36 A differenza del sistema a capitalizzazione, con cui viene gestita la previdenza complementare.

37 Così CINELLI, op. cit., 21.38 O meglio, “una funzione che concorra al progresso materiale e spirituale della

società”.39 Cfr. CINELLI, 22, oltre a Cass. n. 8179 del 2001, cit.

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Secondo uno studioso40 - alla cui opinione mi sento di aderire - il nostro ordinamento appresta comunque altre misure di tutela degli interessi previdenziali del lavoratore in caso di vicende circolatorie proprie o dell’azienda da cui dipende.

Pensiamo prima di tutto al principio di automaticità delle prestazioni sancito dall’art. 2116, comma 1, c.c., che esclude per il prestatore di lavoro il rischio di intervalli di copertura assicurativa41; agli istituti della ricongiunzione42 e della totalizzazione43, che consentono al lavoratore di non perdere spezzoni contributivi versati in gestioni diverse44; all’obbligo per il datore di versare anche la quota contributiva dovuta dal prestatore di lavoro e alla tutela apprestata dal Fondo di garanzia presso l’Inps 45.

Secondo un altro orientamento dottrinale46 invece tra rapporto giuridico previdenziale e rapporto di lavoro vige una stretta connessione, in quanto dal contratto di lavoro non deriva solo l’obbligo da parte del datore di erogare al prestatore di lavoro la retribuzione, ma anche quello di versare premi e contributi: l’obbligazione contributiva costituisce quindi un elemento causale tipico ed immanente del rapporto di lavoro.

Da tale principio non può che conseguire che in caso di trasferimento di azienda debba applicarsi, oltre che per i crediti di lavoro, anche per quelli previdenziali il principio del mantenimento dei diritti sancito dal 1° comma dell’art. 2112 c.c.; inoltre la responsabilità solidale tra cedente e cessionario, oltre che in favore del lavoratore, dovrà considerarsi estesa anche nei confronti dell’ente previdenziale che vanti una posizione creditoria per omissione contributiva precedente al negozio traslativo47.

Secondo uno studioso48, interpretando letteralmente l’art. 2112 c.c., mentre, ai sensi dei commi 1 e 2, prima parte, la disciplina della continuità e della solidarietà passiva troverà applicazione senza specificazioni, sia per i crediti di lavoro, che previdenziali, la possibilità di liberazione dell’alienante, prevista dal 2° comma, seconda parte (con le procedure ex artt. 410 e 411 c.p.c.) da parte del lavoratore risulterà possibile invece solo per i suoi “diritti derivanti dal rapporto di lavoro”, escludendosi perciò i diritti previdenziali, che non sono disponibili dalle parti del rapporto49.

Inoltre considerare applicabili il principio del mantenimento dei diritti e della solidarietà tra alienante e acquirente a tutti i diritti e a tutti i crediti, sia

40 Sempre CINELLI, ivi, 23 ss.41 Sebbene la sua operatività sia contenuta nell’ ambito delle contribuzioni non

prescritte. 42 Vedi le leggi n. 29 del 1979, n. 45 del 1990 e n. 274 del 1991.43 Vedi l’ art. 71 della legge n. 388/ 2000 e, di recente, il D.lgs 2 febbraio 2006 n.42.44 La necessità di tenere conto dell’ intero assetto contributivo è ancora più evidente a

seguito della legge 335/1995, che ha sostituito il precedente sistema di calcolo della pensione retributivo con quello contributivo.

45 Vedi la legge 297/82 per il T.F.R. e il D.lgs 80/92 per gli altri crediti, di lavoro e previdenziali, anche prescritti.

46 Di cui principale esponente è G. VILLANI , Trasferimento d’azienda. Profili di diritto del lavoro e della previdenza sociale, cit., alle cui considerazioni aderisce M. NICOLOSI , op. cit.

47 Così NICOLOSI, op. cit., 75 – 76.48 Cfr. VILLANI, op. cit., 99 ss. 49 Vedi anche C. GULLI’, Trasferimento d’azienda e rapporto previdenziale. La

responsabilità del datore di lavoro cessionario nell’obbligazione contributiva., in Dir. prat. lav., 1991, 1519.

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di lavoro, che previdenziali, secondo l’orientamento dottrinale suesposto appare più conforme alla normativa comunitaria50.

Infatti la direttiva 77/187, quale anche successivamente modificata, contiene la generica formula “diritti e obblighi che risultano per il cedente da un contratto di lavoro”, sancendo così in capo al cessionario l’ accollo di tutti gli obblighi connessi al rapporto di lavoro.

Inoltre la stessa direttiva esclude l’applicabilità del principio del mantenimento dei diritti in caso di trasferimento d’ impresa espressamente solo per quelli derivanti dalla previdenza complementare: da ciò può desumersi che invece gli stessi siano applicabili in caso di previdenza obbligatoria51.

Bisogna comunque considerare che, se la normativa comunitaria sancisce norme generali e di ampio contenuto, poi occorrerà verificare se in concreto l’ordinamento dei singoli Stati membri contenga disposizioni che nel complesso garantiscano i crediti contributivi e previdenziali del lavoratore in caso di vicende circolatorie dell’impresa, e, in particolare, per quello che ci interessa, in caso di trasferimento d’azienda.

L’ordinamento italiano, seppur il nostro art. 2112 c.c. non menzioni espressamente i diritti previdenziali, sancisce in favore del lavoratore principi (tra cui ad. es. quello di automaticità delle prestazioni) e predispone efficaci strumenti diretti a garantirlo dal rischio di non percepire le prestazioni previdenziali in caso di inerzia del datore di lavoro.

Oltre ai mezzi di tutela già accennati nella trattazione, ricordiamo anche che, nel caso in cui non può operare il principio di automaticità delle prestazioni ex art. 2116, comma 1, c.c., in quanto è intervenuta la prescrizione del credito contributivo, il lavoratore, oltre a poter chiedere al datore la costituzione di una rendita vitalizia presso l’ente assicuratore52, potrà agire, ai sensi dell’art. 2116, capoverso, cod. civ., nei confronti dello stesso datore per il risarcimento del danno derivante dall’irregolare contribuzione previdenziale53.

4. Continuando ad analizzare le ricadute del trasferimento d’azienda in materia di previdenza obbligatoria, altri effetti derivanti dallo stesso riguardano il regime o l’inquadramento previdenziale54.

50 Così sostiene, oltre a VILLANI e NICOLOSI, anche PASSALACQUA, op. cit., 547 ss.51 Così ritiene P. PASSALAQUA, op. cit., 547, che fa riferimento anche alla sentenza

della Corte di giustizia del 4/6/2002, c-164/00, Beckmann, cit., secondo cui le deroghe all’applicabilità del principio del mantenimento dei diritti e della solidarietà tra cedente e cessionario in caso di trasferimento di impresa vanno intese nella ristretta accezione dell’ art. 3, par. 4, lett. a), Dir. 2001/23. Inoltre lo studioso si rifà anche alla risalente, ma importante sentenza del 7 febbraio 1985, c-135/83 (Abels ), secondo la quale “L’art. 3 n. 1 della Dir. 77/187 va interpretato nel senso che esso ricomprende le obbligazioni del cedente derivanti da un contratto di lavoro o da un rapporto di lavoro sorte anteriormente alla data del trasferimento, eccezion fatta per le deroghe contemplate al n. 3 di detto articolo” (quelle riguardanti di diritti a prestazioni di previdenza complementare).

52 Pari alla pensione o quota di pensione dell’assicurazione obbligatoria che spetterebbe al lavoratore in relazione ai contributi omessi: vedi l’ art. 13 della legge n. 1338 del 1962.

53 Tale azione è esperibile dal lavoratore entro 10 anni dalla data del provvedimento di rifiuto della prestazione da parte dell’ente previdenziale.

54 Tali problematiche sono state affrontate sinteticamente da P. PASSALACQUA, op. cit., 546-547, ma, soprattutto, da M. CINELLI, nello scritto più volte menzionato, 29 ss.

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Infatti in alcune ipotesi la modifica della titolarità dell’impresa55 ai sensi di legge può implicare per i lavoratori il passaggio da un ente previdenziale ad un altro56; in altri casi può accadere che in caso di trasferimento d’azienda, pur rimanendo fermo l’originario regime previdenziale, l’attività oggetto della vicenda modificativa dia luogo per l’impresa ad un diverso inquadramento previdenziale ai sensi dell’art. 49 della legge n. 88 del 198957.

Può verificarsi in primo luogo che il lavoratore venga trasferito ad un’acquirente dell’azienda che sia inquadrato, ai sensi della norma citata, in un settore diverso rispetto a quello dell’ impresa alienante58.

Ma può accadere che anche il cedente subisca conseguenze in ordine alla classificazione a fini previdenziali, quando ad es. a seguito del trasferimento di un ramo dell’azienda, effettui una riorganizzazione della propria attività produttiva59.

Nelle ipotesi suesposte, gli effetti previdenziali possono consistere o nell’assoggettamento (o meno) del datore di lavoro a determinati obblighi assicurativi 60, o in variazioni circa l’ammontare dei contributi da versare per i lavoratori all’ente previdenziale61: in tali casi, comunque, si hanno ricadute principalmente in capo ai datori di lavoro62.

In alcuni casi, tuttavia, dal diverso inquadramento dell’impresa cessionaria, rispetto a quello della cedente, possono derivare effetti previdenziali anche nei confronti dei lavoratori: ciò può verificarsi, ad esempio quando la diversa classificazione ai fini previdenziali dell’ impresa cui il prestatore di lavoro va a dipendere a seguito del trasferimento della azienda comporti per lo stesso la fuoriuscita dall’ ambito di applicazione della disciplina della CIG, con conseguente venir meno della possibilità di fruire, nei casi ex lege, delle integrazioni salariali da parte dell’ INPS e, in

55 Oltre al caso del trasferimento di azienda, si può far riferimento anche alle ipotesi di trasformazione di una società o di dismissione di un ente pubblico, con trasferimento dell’attività ad un soggetto privato (vedi in merito CINELLI, op. ult. cit., 31 ss, che si occupa in particolare dei riflessi previdenziali per i lavoratori a seguito della privatizzazione dei servizi pubblici locali ).

56 Facendo un esempio, se l’ alienante, del settore industriale o commerciale, cede, tra gli altri dipendenti, un dirigente, iscritto all’Inps, ad un acquirente che esercita invece attività agricola, il rapporto assicurativo del suddetto dirigente dovrà proseguire (a condizioni diverse) con l’Enpaia.

57 In dottrina vedi G. FERRARO, La classificazione delle imprese ai sensi dell’art. 49 nella legge n. 88 del 1989, in Riv. it. dir. lav., 1990, I, 157 ss e C. SILVESTRO, Contributo allo studio dell’ inquadramento previdenziale, ESI, Napoli, 1996.

58 Ad es. quest’ ultima era un’impresa commerciale, il cessionario invece è inquadrato nel settore industriale.

59 Ad es. non esercitando più in prevalenza attività industriale, ma concentrandosi nell’attività commerciale.

60 Effettuando una diversa attività un’azienda potrebbe ad es. non essere più obbligata a versare i premi all’ INAIL, in quanto non si tratta di attività assicurabile ex artt. 1 e 4 del D.P.R. n. 1124 del 1965.

61 Infatti, in genere, le aliquote contributive per i dipendenti di imprese inquadrate nel settore industriale sono più elevate di quelle applicate sulle retribuzioni dei lavoratori di aziende commerciali e artigianali; inoltre possono aversi variazioni circa il quantum contributivo anche a seconda dell’ ubicazione geografica dell’ impresa.

62 Anche se sappiamo che una quota, se pur minore (in genere un terzo), della contribuzione è a carico del lavoratore, pur essendo obbligato ex lege al versamento della contribuzione all’ istituto previdenziale il solo datore di lavoro.

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caso di licenziamento, dell’ indennità di mobilità ai sensi della legge n. 223 del 1991.

Inoltre se il cambiamento di regime previdenziale o di inquadramento ex art. 49 della legge n. 88 del 1989 del datore di lavoro comporta l’applicazione sulla retribuzione del lavoratore di una diversa aliquota contributiva, ciò potrebbe influenzare l’ammontare delle sue prestazioni pensionistiche: tali effetti ora sono maggiormente accentuati, visto il calcolo delle pensioni, ai sensi della legge n. 335 del 1995, con il criterio contributivo.

In caso di trasferimento di azienda possono aversi anche problematiche circa la possibilità da parte degli enti previdenziali di erogare o meno ai lavoratori trasferiti nella nuova impresa prestazioni riconducibili ai c.d. “ammortizzatori sociali”: in particolare parliamo della CIG, dell’ indennità di mobilità e dei trattamenti di disoccupazione.

Tali prestazioni sono infatti concesse ai prestatori di lavoro solo nel caso in cui il datore da cui dipendono possieda determinate dimensioni63 e se gli stessi lavoratori abbiano maturato una certa anzianità aziendale64.

Il trasferimento dell’impresa o di un suo ramo può incidere sulle posizioni soggettive dei prestatori di lavoro coinvolti: facendo un esempio concreto, se viene alienato un ramo di azienda, non è detto che la somma dei rapporti di lavoro ceduti con quelli già preesistenti nell’organizzazione dell’acquirente riesca a soddisfare i requisiti occupazionali previsti per l’ammissione dei lavoratori a tali trattamenti.

Per quanto riguarda il requisito della “anzianità aziendale”, in passato la questione si era posta con una certa frequenza per quanto riguarda l’indennità di disoccupazione prevista dall’art. 8 della legge n. 1115 del 1968, in quanto tale trattamento era concesso solo se il lavoratore avesse prestato un certo periodo di servizio “alle dipendenze della stessa impresa”. Oggi tale prestazione è stata sostituita dall’indennità di mobilità ex lege n.223 del 199165, che all’art.16 fa riferimento esclusivamente alla “anzianità aziendale66:

Tale indicazione sembrerebbe a prima vista aver fatto superare i precedenti problemi interpretativi; tuttavia è necessario affrontare la questione in modo più approfondito, in quanto se si dovesse riconoscere che l’unica anzianità di servizio che conta per la legge è quella che si matura presso l’impresa cessionaria (restando irrilevante quella precedentemente maturata presso il cedente), il lavoratore potrebbe subire conseguenze pregiudizievoli dal trasferimento d’azienda, giacchè in tal caso lo stesso

63 Il c.d. requisito occupazionale: i requisiti sono diversi a seconda che si tratti di Cassa integrazione ordinaria e straordinaria; per quest’ultima sono stabiliti criteri diversi a seconda del settore dell’impresa; per quanto riguarda l’indennità di mobilità, questa può essere usufruita solo da lavoratori che dipendono da un’impresa che rientra nel campo di applicazione della CIGS.

64 Il c.d. requisito soggettivo: in particolare, un lavoratore sarà ammesso a godere della CIGS se abbia conseguito presso l’ impresa almeno 90 giorni di anzianità lavorativa dalla data di richiesta dell’ intervento (v. art. 8 legge n. 160 del 1988); potrà usufruire invece dell’ indennità di mobilità solo se “possa far valere un’ anzianità aziendale di almeno dodici mesi, di cui almeno sei di lavoro effettivamente prestato..”, e comunque deve aver svolto un rapporto di lavoro a carattere continuativo, non a termine (cfr. art. 16, 1° comma , della legge n. 223 del 1991).

65 Che all’art. 16, comma 4, ha abrogato il precedente trattamento di disoccupazione66 Così VILLANI, Trasferimento di azienda, più volte menzionato, 92.

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potrebbe non riuscire a soddisfare il requisito soggettivo previsto per usufruire delle prestazioni di disoccupazione.

La questione se, in caso di cessione d’impresa, si possa o meno ritenere la continuità del rapporto di lavoro al fine della maturazione dei requisiti per godere dei c.d. “ammortizzatori sociali”, è stata oggetto di diverse interpretazioni, sia dottrinali, che giurisprudenziali.

I giudici che si sono occupati del problema in genere hanno fatto riferimento al criterio dell’ “effettività”: hanno cioè dato rilievo al fatto che, al di là della formale configurazione giuridica data dalle parti alla fattispecie, negli specifici casi esaminati potesse, in concreto, ritenersi sussistente un trasferimento d’azienda, con conseguente continuità del rapporto di lavoro67, o un passaggio diretto del dipendente, con costituzione di un nuovo rapporto con il nuovo imprenditore, quindi con perdita per il lavoratore dell’ anzianità maturata con il precedente datore di lavoro68.

In altri casi la ricorrenza di una cessione di azienda può invece determinare l’effetto non di attribuire, ma di escludere il diritto dell’impresa di accedere ad alcuni benefici: si tratta in particolare degli sgravi contributivi riconosciuti dall’ art. 8, comma 4, della legge 223 del 1991.

In particolare, oltre all’ipotesi in cui l’imprenditore alieni la propria azienda dopo aver collocato in mobilità i lavoratori e questi ultimi, dopo un periodo di tempo, siano riassunti dal cessionario, può verificarsi che invece in realtà nessun trasferimento venga formalmente configurato, ma che una impresa (costituita appositamente, o già esistente, ma inattiva fino a quel momento) assuma in toto o parzialmente i dipendenti posti in mobilità da un’altra società.

In tal caso l’istituto previdenziale spesso non ha riconosciuto sussistenti le condizioni per la concessione delle agevolazioni contributive citate al nuovo datore, in quanto ha ritenuto che in realtà i rapporti di lavoro fossero proseguiti tra le due imprese senza soluzione di continuità e che queste ultime, per fruire dei suddetti sgravi contributivi, avessero agito fraudolentemente o ponendo in essere accordi simulatori69.

67 Vedi Cass. civ., 2 settembre 1996, n. 8024, in Foro it., 1997, I, 1557, che, in un caso di acquisto di azienda da parte di un’ impresa fallita, ma riorganizzata dal cessionario senza soluzione di continuità, ha riconosciuto ai dipendenti ceduti il diritto al trattamento di integrazione salariale sulla base del cumulo dell’ anzianità aziendale pregressa.

68 Il Pretore di Torino, nella pronuncia del 30 dicembre 1994 (consultabile in Giur. piem., 1995, 356) afferma che in caso di passaggio diretto di un lavoratore da una società all’altra si determina la costituzione di un nuovo rapporto di lavoro, conseguentemente non può essere concessa l’ indennità di mobilità di cui all’ art. 16 della legge 223/1991. Sul punto cfr. anche la Circolare INPS del 27 aprile 1996 n. 116, che si occupa della valutazione dell’anzianità aziendale in caso di passaggio diretto tra imprese appartenenti ad un unico gruppo), che precisa che: “l’anzianità aziendale maturata alle dipendenze di più datori di lavoro può essere presa in considerazione solo nel caso di trasferimento d’ azienda” e, ulteriormente, che “ in caso di passaggio diretto ed immediato in assenza di trasferimento d’ azienda, l’anzianità aziendale è determinata esclusivamente tenendo conto dell’attività svolta presso il datore di lavoro che ha attivato la procedura di mobilità”.

69 La posizione dell’ente previdenziale è stata avallata da diversi giudici sia di merito (cfr., tra le altre, le sentenze del Tribunale di Vicenza 5 gennaio 1998, in Mass. giur. lav., 1998, 466 e del Tribunale di Treviso 14 giugno 1997, ivi, 467), che di legittimità (vedi ad es. le pronunce della Cass. sez. lav. 19 dicembre 1997 n. 12899 , cit.; 2 aprile 2001 n. 4825, in Riv. it. dir. lav., 2002, II, 161 ss, con nota di L. PANAIOTTI, Quando il lavoratore in mobilità torna al punto di partenza; 5 maggio 2001 n. 6315, in Mass. giur. lav., 1998, 466 e 9 gennaio 2002 n. 174, in riv. cit., 2002, 372) .

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La preoccupazione di evitare pratiche elusive è evidente anche nella legge n.451 del 1994, che all’art.2 esclude espressamente dalle agevolazioni contributive 70 di cui alla legge n. 223 del 199171 le imprese che presentano lo stesso assetto proprietario dell’impresa cedente o che siano collegate o controllate dallo stesso alienante.

Con la circolare n. 239 del 1984, l’Inps72 è andato ben al di là delle suddette previsioni, in quanto ha stabilito che gli sgravi in parola non possano essere riconosciuti nel caso di “rapporti di lavoro che si svolgono sostanzialmente senza soluzione di continuità alle dipendenze delle due imprese che, apparentemente e formalmente diverse e distinte, rappresentano, nei fatti, l’una la derivazione dell’altra che ha posto in mobilità i medesimi lavoratori, a seguito di trasferimenti d’azienda…”.

Tale disposizione è stata oggetto di critiche73, in quanto, pur essendo volta ad evitare pratiche elusive, è stata ritenuta suscettibile di ostacolare la ripresa di aziende decotte, con il subentro di nuove compagini imprenditoriali: da ciò è derivato un notevole contenzioso sia amministrativo74, che giudiziario.

Il Ministero del lavoro75 con la nota n. 69/15 del 18/5/1995 ha invitato formalmente l’Inps a concedere le agevolazioni ex lege 223/1991 nei casi in cui risultasse un trasferimento di azienda effettivo, finalizzato al recupero dei prestatori di lavoro licenziati, a seguito della cessazione di attività dell’ azienda cedente.

Successivamente, nel 1999, il Ministero76 è di nuovo intervenuto, sancendo che gli sgravi contributivi di cui alla legge n. 223 potessero essere concessi nel caso in cui i lavoratori posti in mobilità fossero stati licenziati dall’ impresa a seguito di operazioni societarie, nel cui contesto fosse stato concluso uno specifico accordo sindacale, finalizzato a garantire la salvaguardia dei livelli occupazionali: l’Inps si è adeguato a tali direttive con la circolare del 1/6/1999 n. 122.

La Cassazione non sembra però aver accolto tali principi, riconoscendo in molte sentenze77 la legittimità della concessione dei benefici contributivi

70 Con riferimento ai lavoratori collocati in mobilità nei sei mesi precedenti.71 Agevolazioni agli imprenditori che assumono lavoratori posti in mobilità sono

previste, oltre che dall’art. 8, comma 2, citato, anche dal 2°comma della stessa norma, e dal successivo art. 25, comma 3.

72 Tutte le circolari e i provvedimenti dell’INPS sono disponibili in www.inps.it/ documenti. Per una panoramica sulle varie disposizioni, legislative e amministrative, regolanti le agevolazioni contributive in caso di trasferimento d’azienda, vedi M. MAGRI, Mobilità e agevolazioni contributive nel trasferimento d’ azienda, in Guida lav, 2003, 27, 46 e F. BALBI - R. LIVATINO, Le agevolazioni contributive nel trasferimento di azienda, ibidem, 45, 36.

73 Tra gli altri vedi M. MISCIONE, Gli incentivi della mobilità anche per i trasferimenti d’ azienda, in Dir. prat. lav., 1995, 27, 1761 ss. e CINELLI, Trasferimento…, cit., 51 (v. nota 78), secondo cui in tale circolare sono stati stabiliti criteri comuni per la concessione degli sgravi in caso di trasferimento di azienda e collegamenti societari, mentre in realtà le interpretazioni andrebbero distinte nei due casi .

74 Di fronte al Comitato amministratore del Fdpl.75 Le cui disposizioni sono consultabili in www.lavoro.gov.it.76 Vedi la direttiva prot. n. 102845 del 28 aprile 1999 e la successiva dell’ 11 maggio

1999, prot. n. 103146. 77 Cfr. Cass., sez. lav., 12 dicembre 2001, n. 15652, in cd Juris data; 28 ottobre 2002,

n. 15207; 3 novembre 2003 n. 16444 e 22 gennaio 2004 n. 1112, tutte in Dir. prat. lav., 2005, 31, XIX.

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di cui alla legge n. 223 del 1991 solo nel caso in cui la situazione di esubero del personale messo in mobilità sia reale, con effettiva cessazione della attività dell’impresa originaria, e le nuove assunzioni dei dipendenti di quest’ultima costituiscano una libera scelta dell’impresa e non siano invece dettate dalla legge, come, in caso di trasferimento d’azienda, dall’art. 2112.

Conformandosi all’orientamento giurisprudenziale citato, l’Inps78 da diverso tempo non riconosce i benefici menzionati nel caso in cui l’assunzione dei lavoratori in mobilità sia stata necessitata da un trasferimento d’ azienda.

Tale atteggiamento dell’ente, pur apprezzabile nei suoi intenti antielusivi, è tuttavia criticabile, in quanto in contrasto con la finalità cui sono volte le agevolazioni di cui alla legge 223/91, che è quella di facilitare il reinserimento produttivo dei prestatori di lavoro collocati in mobilità, in più tale comportamento ostativo rischia di scoraggiare iniziative e investimenti imprenditoriali 79.

Inoltre l’Inps e la giurisprudenza della Cassazione non sembrano tenere conto del complesso delle disposizioni contenute nell’ art. 2112 c.c 80: infatti se tale norma sancisce in via generale che in caso di trasferimento d’impresa il lavoratore ha diritto a conservare tutti i diritti e il posto di lavoro, non potendo la suddetta cessione costituire “di per sé” motivo di licenziamento, ciò non pregiudica tuttavia che il recesso, sia da parte del cedente, che del cessionario, possa invece essere effettuato per motivi economici, tecnici e organizzativi che comportino variazioni sul piano della occupazione dell’azienda .

Ciò significa che dovranno essere ritenuti legittimi licenziamenti giustificati da motivi diversi e autonomi dallo stesso trasferimento d’azienda, in quanto l’art. 2112, 4°comma, c.c. vuole solo evitare che quest’ultimo costituisca il pretesto per disfarsi di personale scomodo in modo indiscriminato, senza reali giustificazioni economico - organizzative.

Nel caso in cui quindi viene presentata all’ente previdenziale domanda per ottenere le agevolazioni contributive di cui alla legge 223 del 1991 da una nuova impresa, che assume i lavoratori già licenziati e posti in mobilità a seguito di trasferimento di azienda, non è legittimo un rifiuto indiscriminato dell’istanza, ma caso per caso l’istituto dovrebbe valutare se il licenziamento collettivo effettuato sia giustificato o meno e se le finalità della nuova impresa che assume non sono fraudolente.

5. Per quanto riguarda le conseguenze del trasferimento d’azienda sui diritti del lavoratore ceduto derivanti dall’ iscrizione dello stesso ad una forma di previdenza complementare o integrativa, abbiamo già visto che la Dir.2001/23/CE sancisce che il principio del mantenimento presso il cessionario dei diritti già goduti dai prestatori di lavoro presso il cedente è riferito solo a quelli derivanti da un contratto o da un rapporto di lavoro81, non trovando invece in via generale applicazione (salvo che i singoli paesi membri non stabiliscano diversamente) in relazione “ai diritti dei lavoratori a prestazioni di vecchiaia, di invalidità o per i superstiti dei regimi

78 Vedi anche la circolare 24 giugno 2003 n. 109, commentata da M. MAGRI, op. cit., 47 e da BALBI- LIVATINO, op. cit., 45 ss.

79 Sul punto ritengo di aderire alla tesi di M. CINELLI, op.. cit., 50 ss.80 E delle norme e orientamenti giurisprudenziali comunitari.81 Vedi l’art. 3, par. 1 e 3.

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complementari di previdenza professionali o interprofessionali esistenti al di fuori dei regimi legali di sicurezza sociale degli Stati membri”82.

A livello nazionale, la normativa di riferimento è il D.lgs 21 aprile 1993 n. 12483, che però in futuro dovrebbe essere abrogato, per essere sostituito da una nuova disciplina.

Infatti con la legge 23 agosto 2004 n. 243 il Parlamento ha delegato il Governo ad approntare una riforma, sia al sistema di previdenza obbligatoria, che integrativa84.

Per quanto riguarda in particolare quest’ultima, in attuazione della legge delega citata85 è stato approvato dal Consiglio dei ministri, in data 5 dicembre del 2005, il D.lgs n. 252 (il “Testo unico della previdenza complementare”)86, che dovrebbe sostituire l’abrogando D.lgs 124/1993 a decorrere dal primo gennaio del 2008, data prevista dalla legge n. 243 del 2004 anche per l’entrata in vigore della riforma della previdenza obbligatoria. Successivamente però è stato adottato il decreto legge 13 novembre 2006 n. 27987, che ha anticipato al primo gennaio del 2007 l’entrata in vigore di alcune importanti norme in materia di previdenza complementare88.

Per quanto concerne specificamente le conseguenze di un trasferimento di azienda sui diritti dei lavoratori che siano iscritti ad una forma di previdenza complementare, né l’art. 2112 c.c., né il D.lgs 124/93, e neppure l’ultimo decreto del 2005 prevedono una disciplina espressa in

82 Cfr. art. 3, par. 4, della direttiva del 2001, come modificato rispetto alla versione originaria dalla Dir. 98/50.

83 Novellato rispetto alla stesura originaria da varie leggi, tra cui la 335/1995 e la 388/2000. In dottrina tra gli altri vedi A. TURSI, La previdenza complementare nel sistema italiano di sicurezza sociale, Giuffrè, Milano, 2001, più di recente cfr. G. ZAMPINI, La previdenza complementare Fondamento costituzionale e modelli organizzativi, Cedam, Padova, 2004 e M. BESSONE - F. CARINCI (a cura di), La previdenza complementare, in Diritto del lavoro, Commentario diretto da F. Carinci , Utet, Torino, 2004.

84 Tra i commenti cfr. M. CINELLI - P. SANDULLI, Prime note sulla riforma pensionistica 2004, in questa Rivista, 2004, 2, 587 ss. Per quanto riguarda la previdenza integrativa, vedi A. SGROI, La previdenza privata dopo la legge delega del 23 agosto 2004 n. 243, in Inf. prev., 2005, 1, 12 ss. In estrema sintesi, i punti più qualificanti della riforma in materia di previdenza complementare sono: la parificazione tra fondi negoziali, fondi aperti e forme pensionistiche individuali e la possibilità, da parte del lavoratore, di destinare la quota del suo TFR maturando ad un fondo pensione.

85 In particolare dell’art. 1, comma 2, lettere e), h), i), l) e v).86 In G.U. 13/12/2005 n. 289, S.O n. 2000 ed errata corrige in G.U. 30/1/2006 n. 24.

Per commenti in merito vedi R. PESSI, La riforma del sistema pensionistico obbligatorio e complementare: principi ispiratori, novità, prospettive, in Mass. giur. lav., 2006, 5, 364 ss e S. BUONANNO, Il nuovo sistema di previdenza complementare. Decreto legislativo 5 dicembre 2005 n. 252, in Lav. prev. oggi, 2006, 2, 188 ss. Uno studio sull’attuale quadro del sistema della previdenza complementare alla luce delle pronunce giudiziali in merito è stato effettuato da G. ZAMPINI, in La previdenza complementare nella giurisprudenza. Una rassegna critica tra vecchie e nuove riforme, pubblicato in Arg. dir. lav., 2006, 1, 313 ss.

87 ? In G.U. n. 265 del 14/11/2006 e in www. lavoro.gov.it. 88 Fra le disposizioni approvate, troviamo l’anticipo della riforma del trattamento di

fine rapporto; ci sono inoltre misure procedurali riguardanti l’adeguamento dei fondi pensione ai meccanismi di trasferimento del TFR. In particolare, il decreto ha stabilito che entro il 31 dicembre 2006, tutti i fondi pensione debbano aggiornare i propri statuti e regolamenti, mentre le forme pensionistiche attuate mediante contratti di assicurazione sulla vita dovranno prevedere la costituzione del patrimonio autonomo e separato entro il 31 marzo 2007.

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merito89: ne è derivato un intenso dibattito dottrinale, con la prospettazione di soluzioni tra loro molto diverse90.

Non si pongono particolari problemi91 nel caso in cui il trasferimento di azienda avviene tra parti contraenti che afferiscono ad una stessa forma di previdenza complementare, realizzata mediante un fondo esterno, con personalità giuridica92: in tale ipotesi, infatti, l’imprenditore cessionario dell’azienda si limiterà a finanziare la previdenza integrativa dei nuovi dipendenti allo stesso modo che per i suoi lavoratori.

Negli altri casi, vista la diversa morfologia dei fondi previdenziali e delle relative fonti istitutive, in dottrina sono state, a seconda delle varie fattispecie, prospettate diverse soluzioni interpretative, che fanno riferimento o all’ art. 2112 c.c., o agli artt. 10 e 11 del D.lgs 124/1993 93.

L’art.10, comma 1, del decreto del 1993 stabilisce che ove vengano meno i requisiti di partecipazione alla forma pensionistica complementare, lo statuto del fondo pensione deve consentire al lavoratore, in via alternativa: il trasferimento presso altro fondo pensione integrativo cui lo stesso acceda in relazione alla nuova attività; il passaggio ad un fondo aperto o ad una forma pensionistica individuale, o il riscatto della propria posizione individuale.

L’art. 11, 1°comma94, regola invece le vicende del fondo pensione, stabilendo che, nel caso in cui lo stesso venga sciolto per vicende concernente i soggetti tenuti alla contribuzione95, si provvede alla intestazione diretta della copertura assicurativa in essere per coloro che fruiscono di prestazioni in forma pensionistica, mentre per gli altri destinatari96 si applicano le disposizioni di cui all’art. 10.

L’art. 10 citato, offendo un’apposita regolamentazione dei diritti del lavoratore alla garanzia della posizione previdenziale in caso di trasferimento da un fondo all’altro, secondo alcuni studiosi97 ben si può prestare a disciplinare anche l’ipotesi in cui tale mutamento dipenda da

89 Non avendo il nostro legislatore stabilito specificamente, avvalendosi della possibilità, concessa dall’ art. 3.4 della Dir. 2001/23 (a seguito della novella del 1998), che il principio di conservazione dei diritti derivanti dal contratto di lavoro riguardi anche quelli in materia di previdenza complementare.

90 Per una rassegna sintetica, ma esaustiva, delle varie posizioni dottrinali, vedi l’interessante monografia di R. VIANELLO, Previdenza complementare e autonomia collettiva, Cedam, Padova, 2005 (in particolare pp. 620 - 632).

91 E la dottrina sul punto è pressoché unanime: cfr., ex plurimis, TURSI, op. ult. cit., 474 e CINELLI, Trasferimento o conferimento…, cit., spec. nota 84 .

92 Si pensi al caso di imprese, appartenenti alla stessa categoria, per il quale il contratto collettivo - nazionale o territoriale - applicabile ad entrambe, istituisca uno stesso fondo di previdenza complementare: ciò accade spesso nei trasferimenti tra imprese dello stesso gruppo societario.

93 Per commenti in generale su tali norme del D.lgs 124/93, vedi per tutti TURSI, La previdenza complementare nel sistema italiano di sicurezza sociale, cit., spec. 417 ss .

94 Cui corrisponde l’ art. 15 decreto legislativo appena citato. 95 Si può trattare di vicende estintive e modificative, alcune ex lege, come la

cessazione dell’azienda o il suo assoggettamento a procedure concorsuali , altre individuate dalla dottrina, come la trasformazione dell’ azienda o, appunto, il trasferimento della stessa: tali ipotesi sono tutte inerenti al datore di lavoro.

96 Per i soggetti cioè che ancora non godono della pensione, ma stanno ancora accumulando i contributi per averla in futuro. In tal caso non esiste un vero e proprio rapporto assicurativo in capo agli iscritti, ma solo una convenzione di gestione patrimoniale tra il fondo patrimoniale e uno dei soggetti abilitati alla gestione ex art. 6, comma 1, lett. a) b) c) del D.lgs 124/93.

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vicende che travalicano la sfera individuale del lavoratore (come appunto il trasferimento di azienda).

Secondo tale orientamento98 l’art. 2112 c.c. potrà trovare applicazione 99

solo nell’ipotesi in cui il fondo pensione sia interno al patrimonio della azienda trasferita (sia quindi privo di personalità giuridica), non sia ravvisabile nello stesso un “patrimonio di destinazione” ex art. 2117 c.c.100

e l’istituzione e la disciplina dello stesso siano state poste con regolamento aziendale, in quanto solo in tal caso le posizioni giuridiche attive dei prestatori di lavoro sono radicate nel vincolo associativo intercorrente tra gli stessi e il fondo, potendosi ricondurre direttamente al rapporto di lavoro101.

Secondo tale opinione si dovrà invece fare ricorso all’art. 2558 c.c.102

nel caso in cui le obbligazioni previdenziali ineriscano ad un fondo esterno, dotato di personalità giuridica, in quanto in tale ipotesi lo schermo costituito da tale distinta soggettività e l’inesistenza di un rapporto accessorio derivante da quello di lavoro impedirebbero l’applicabilità del principio del mantenimento dei diritti di cui all’ art. 2112 c.c.

Per un eminente studioso103 invece la distinzione tra “fondi interni” ed “esterni” ai fini dell’ applicabilità dell’art. 2112 c.c. suscita perplessità, alla luce dell’art. 3.3. della direttiva comunitaria104, che secondo lui non autorizza affatto una disciplina differenziata a seconda della tipologia dei fondi: per tale autore anche in caso di fondi “extra - aziendali” lo schermo della distinta soggettività giuridica non vale a rompere il collegamento funzionale con il rapporto di lavoro, dovendosi applicare anche in tal caso le norme di cui all’ art. 2112 c.c.

Per quanto riguarda in particolare le problematiche sollevate in materia di successione di contratti collettivi dall’art. 2112, comma 3, nella versione di cui alla legge n. 428 del 1990, sono state in parte risolte dal D.lgs n. 18

97 Vedi CINELLI, in op. ult. cit., 53, oltre che nel suo precedente scritto Trasferimenti d’azienda, trasformazioni d’ impresa e previdenza integrativa, in Riv. it. dir. lav., 1991, I, 282 ss; e PASSALACQUA, op. cit., 539.

98 Cui si può far rientrare anche la posizione, seppur sostenuta prima dell’ emanazione del D.lgs 124/1993, di S. PICCININNO, in La disciplina comunitaria del trasferimento di azienda e la previdenza complementare, in Not. giur. lav., suppl., 1992, 2, 56 ss.

99 Oltre che nel caso menzionato in cui l’impresa venga trasferita ad un cessionario presso cui vige lo stesso fondo esterno (di categoria ) del cedente.

100 “Detto fondo cioè è rappresentato, di fatto, solo da un insieme di obbligazioni del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti, integrative del programma negoziale oggetto del rapporto di lavoro, e dai contenuti di questo sostanzialmente non distinguibili: in sostanza, una mera posta contabile del bilancio aziendale”: così ritiene CINELLI, Trasferimento o conferimento…, cit., spec. 60 – 61.

101 Infatti, secondo dottrina consolidata, le norme del regolamento aziendale sullo status giuridico ed economico del lavoratore sono qualificabili come mere proposte negoziali ex art. 1341 c.c., vincolanti nei confronti dei destinatari in quanto espressamente accettate attraverso il recepimento nel contratto individuale: in tal caso la contrattazione collettiva successiva non potrà derogarvi in peius, rimanendo il successivo datore di lavoro acquirente dell’ azienda obbligato alla loro osservanza.

102 Secondo cui il subentro del cessionario ha luogo solo se non è pattuito diversamente nell’ atto traslativo.

103 Cfr. TURSI, in op. ult. cit., 463 ss e nel più recente scritto Previdenza complementare e trasferimento di azienda, in Riv. it. dir. lav., 2003, 397 ss ( spec. 451).

104 Che impone agli Stati membri l’ adozione di “misure necessarie per tutelare gli interessi dei lavoratori…per quanto riguarda i diritti. da essi maturati o in corso di maturazione, a prestazioni di vecchiaia, dei regimi complementari… “

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del 2001, che ha stabilito che il cessionario debba applicare i contratti collettivi105 vigenti alla data del trasferimento di azienda fino alla loro scadenza, salvo che siano sostituiti da contratti collettivi, dello stesso livello, applicabili presso il cessionario: quindi nel nostro caso tale sostituzione automatica potrà effettuarsi solo se in cui il fondo pensione sia regolato da contratti collettivi diversi di alienante e acquirente, ma dello stesso livello; nel caso in cui invece sia presso il cedente, che il cessionario, esistano fondi di previdenza complementare istituiti da fonti negoziali di livello differente, l’ acquirente dell’ azienda dovrà farsi carico anche del vecchio fondo106.

A tale opinione si oppone la posizione di chi ritiene invece che l’autonomia e la separatezza della contrattazione collettiva avente ad oggetto la previdenza complementare faccia prevalere sulla regola di cui all’ultimo periodo dell’art. 2112, comma 3, c.c., quella della inammissibilità di una concorrenza tra fondi pensione chiusi107: secondo tale dottrina quando il trasferimento di azienda comporta la sostituzione del contratto collettivo applicabile108 troverà applicazione l’ art. 10, comma 1, del D.lgs 124/93, norma che, più che sostituire la disciplina generale109, a questa si affianca, concorrendo con la stessa a regolare una fase logicamente successiva a quella del trasferimento d’azienda.

Allo stato di incertezza dell’attuale disciplina, è importante il ruolo svolto dalla prassi statutaria, sempre più orientata ad estendere l’ambito dei destinatari della forma pensionistica complementare istituita110, consentendo l’inclusione, quali associati, e in virtù di un apposito accordo sindacale, dei lavoratori che, in seguito ad un trasferimento di azienda, abbiano perso i requisiti di partecipazione al fondo111, purchè per l’impresa cessionaria non operi un analogo fondo di previdenza complementare, con l’effetto di far conseguire o conservare la qualità di associato anche all’impresa acquirente112.

105 Nazionali, territoriali ed aziendali.106 Così sostiene ZAMPINI, op. cit., 140 - 142, alla cui opinione mi sento di aderire.107 TURSI, La previdenza complementare nel sistema italiano di sicurezza sociale, cit.,

spec. 471.108 Perché è cambiata la categoria d’inquadramento per la quale il contratto collettivo

del cedente costituiva il fondo pensione o perché si trattava di un fondo istituito da contratto collettivo aziendale, sostituito dal contratto collettivo, dello stesso livello, applicabile presso il cessionario.

109 Come invece sostengono, come abbiamo visto in precedenza, CINELLI e PASSALACQUA, negli scritti sopra citati.

110 Che nella vicenda circolatoria diventa la forma pensionistica a qua.111 Tra i requisiti di partecipazione al fondo gli statuti includono invariabilmente il

fatto che i destinatari della norma pensionistica siano dipendenti cui si applicano determinati contratti collettivi, cui spesso fa riferimento la stessa norma statutaria.

112 Un’interessante rassegna delle norme statutarie sul punto è effettuata da R. VIANELLO, in op. cit. , spec. 621-623 (in particolare cfr. nota 253).

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