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ASCESA E CADUTA
DEL FASCISMO: DALLA MARCIA
SU ROMA AL SUICIDIO DI
BERLINO
Storia, interpretazioni, strategie del
“fenomeno fascista”
© STEFANO FIORUCCI
© Santa Marinella 2003
2
INDICE INTRODUZIONE ........................................................................... 5
PARTE PRIMA ............................................................................... 7
1) LE INTERPRETAZIONI DEL FASCISMO......................... 7
2) IL FASCISMO COME PROBLEMA INTERPRETATIVO. 9
3) LE INTERPRETAZIONI “CLASSICHE” ............................ 12
A) IL FASCISMO COME MALATTIA MORALE
DELL’EUROPA...................................................................... 12
B) RADICALI: ANGLO-SASSONI: IL FASCISMO COME
PRODOTTO LOGICO ED INEVITABILE DELLO
SVILUPPO STORICO DI ALCUNI PAESI .......................... 14
C)MARXISTA: IL FASCISMO COME PRODOTTO DELLA
SOCIETÀ CAPITALISTICA E COME REAZIONE
ANTIPROLETARIA............................................................... 16
3) ALTRE MINORI INTERPRETAZIONI DEGLI ANNI
TRENTASESSANTA ................................................................ 18
A) L’INTERPRETAZIONE CATTOLICA ........................ 18
B)L’INTERPRETAZIONE TOTALITARIA ......................... 19
C) IL FASCISMO COME FENOMENO TRANSPOLITICO
20
3
4) INTERPRETAZIONI ELABORATE DALLE SCIENZE
SOCIALI..................................................................................... 22
A) L’INTERPRETAZIONE PSICOSOCIALE ...................... 23
B) L’INTERPRETAZIONE SOCIOLOGICA.................... 24
6) IL FASCISMO ITALIANO E LE SUE INTERPRETAZIONI
ITALIANE.................................................................................. 25
6.1)LA PERIODIZZAZIONE DELLA STORIA DEL
FASCISMO E IL PROBLEMA DELLE SUE ORIGINI ....... 25
7) LE INTERPRETAZIONI FINO AL DELITTO MATTEOTTI
..................................................................................................... 26
8) LE INTERPRETAZIONI DEGLI ANNI DEL REGIME ’25-
43................................................................................................. 27
9) IL DIBATTITO DOPO LA LIBERAZIONE........................ 30
10) CONCLUSIONE.................................................................. 31
PARTE SECONDA....................................................................... 35
1) IL MODELLO ITALIANO: IL FASCISMO ........................ 36
A) IL FASCISMO DELLE ORIGINI: DAL1919 ALLA
MARCIA SU ROMA .............................................................. 36
B) LA MARCIA SU ROMA................................................... 39
C) IL FASCISMO DAL 1923 AL 1929.................................. 44
2) L’INFLUSSO ITALIANO SUI MOVIMENTI FASCISTI
PRIMA DEL 1933 ...................................................................... 46
3) 1929-1933: IL MODELLO ITALIANO HA ANCORA PIU’
4
SUCCESSO ................................................................................ 49
4) IL NAZIONALSOCIALISMO TEDESCO........................... 51
5) DAL 1933 IL MODELLO É LA GERMANIA..................... 54
6) CONTRASTI IN CAMPO FASCISTA ............................... 55
7) GLI STRUMENTI POLITICI DEI FASCISMI: LA DOPPIA
STRATEGIA .............................................................................. 57
A)LA DOPPIA STRATEGIA IN ITALIA .............................. 58
B)LA DOPPIA STRATEGIA IN GERMANIA...................... 61
PARTE TERZA............................................................................. 62
1939-45: LA GUERRA E LA CADUTA DEI FASCISMI .......... 62
A)IL FASCISMO IN GUERRA................................................. 62
B)LA FINE DEI FASCISMI ...................................................... 65
CONCLUSIONE ........................................................................... 66
BIBLIOGRAFIA ........................................................................... 67
5
INTRODUZIONE Nello scritto mi occuperò del “fenomeno fascista” che sorse, si
affermò (divenendo un modello mondiale alternativo a democrazia
e comunismo) e si spense in Europa nel periodo compreso tra le
guerre. Il fascismo è infatti un fenomeno presente solo nella storia
Europea, in nessun modo paragonabile con dittature sudamericane
o del terzo mondo, che copre un determinato periodo di tempo,
quello compreso tra le due guerre e in particolare tra il 1922 (presa
del potere di Mussolini) e il 1945 (suicidio di Hitler) e due soli
paesi europei: Italia e Germania che in periodi differenti saranno i
due modelli del fascismo.
Ma cos’è il fascismo? Darne una spiegazione e una definizione
esatta e definitiva è e sarà impossibile come ci dimostra l’opera del
professor De Felice (il primo storico che ha tentato un approccio
obiettivo e scientifico nella spiegazione e nell’interpretazione del
fascismo, senza essere condizionato da ideologie o convinzioni
politiche e personali).
Pertanto, per cercare di comprendere meglio questo complesso
fenomeno, riporterò alcune delle interpretazioni tratte dal libro di
De Felice “Le interpretazioni del fascismo”.
6
Subito dopo affronterò l’origine, la prima tappa dell’ascesa
fascista: dalla creazione dei fasci di combattimento a Milano
(1919) alla marcia su Roma con il primo incarico di governo per
Mussolini. 28 ottobre 1922 che, d’accordo con la tesi di Hans
Woller (dal cui libro ho tratto le notizie storiche e le informazioni
sugli altri movimenti fascisti europei), segna l’inizio della sfida
fascista alle democrazie e al bolscevismo russo.
Proseguirò con la descrizione dell’influsso italiano sugli altri
movimenti europei, con la nascita del nazionalsocialismo e la presa
del potere di Hitler, con la competizione e i contrasti tra i due
modelli (la Germania dal 1933 era diventata il modello principe
per i movimenti fascisti), la massima espansione raggiunta nel
1940, per concludere con la fine del fascismo (1945) del quale non
resteranno tracce.
Sarà inoltre presente una descrizione della principale (e vincente)
tecnica di ascesa politica dei regimi fascisti: la doppia strategia
usata in Italia da Mussolini prima e ripresa poi da Hitler in
Germania.
7
PARTE PRIMA
1) LE INTERPRETAZIONI DEL FASCISMO Parlando di fascismo prima di tutto si deve cercare di dare una
spiegazione e una definizione di questo complesso fenomeno, del
quale, proprio per la sua complessità, è difficile dare una
spiegazione valida e impossibile darne una definitiva e universale
anche perché ciò sarebbe contrario alle leggi delle scienze storiche.
Una “verità” è infatti legata al tempo nella quale viene formulata
ma soprattutto è legata al punto di vista con il quale si osserva un
fenomeno; così essendoci molti punti di vista ci saranno molte
teorie e non una sola valida per tutti. Pertanto riporterò alcune delle
maggiori interpretazioni che De Felice ha raccolto nel suo libro
“Le interpretazioni del fascismo”.
Nella prefazione del libro (dell’edizione del 1983) De Felice scrive
quanto riportato sopra, ossia che prima o poi, con il passare del
tempo, l’evoluzione degli studi sul fascismo lo costringeranno ad
ampliare la sua opera ma soprattutto che
tutte le interpretazioni si sono dimostrate via via incapaci di dare
una convincente spiegazione del fascismo e tutte inficiate dalla
8
loro estrema unilateralità e, spesso, ideologizzazione”. Tutte
contengono un fondo di verità ma, singolarmente prese, non
soddisfano, né soddisfano i tentativi di giungere ad una
spiegazione del fascismo integrandole tra loro.1
Prosegue mostrando come l’evoluzione degli studi ha portato a
distinguere ed escludere quei regimi autoritari e conservatori che
per generalizzazione vengono annoverati tra i fascismi (Spagna,
Portogallo, Grecia, Sudamerica, est europeo).
Afferma infine che si soffermerà su alcuni elementi del fascismo
come la zona (l’Europa) e il periodo (tra le due guerre) nel quale si
è manifestato, del loro rapporto con le masse, del consenso e del
carattere totalitario dei regimi.
1 In Renzo DE FELICE, Le interpretazioni del fascismo, Roma-Bari, Laterza, 2001, p. XI.
9
2) IL FASCISMO COME PROBLEMA
INTERPRETATIVO
Nel primo capitolo De Felice affronta il fascismo come “fenomeno
interpretativo”, facendo una breve storia delle interpretazioni che
lo hanno fin lì riguardato: da quelle coeve (anni ‘20) nelle quali si
sottovalutava il fascismo (non si pensava che potesse estendersi ad
altre aree europee) a quelle degli anni ‘30 allorché con l’ascesa di
Hitler si iniziò a temere il fascismo e le interpretazioni
cominciarono ad assumere una valenza politica, antifascista,
generalizzando e mettendo l’accento sugli aspetti comuni ai vari
fascismi e sottovalutando al contempo le differenze. Proprio le
ideologie che sostennero la lotta al fascismo crearono, tra la fine
della guerra e gli anni del dopoguerra, le tre classiche
interpretazioni del fascismo:
1)LIBERALE: Il fascismo è il prodotto della crisi morale della
società europea del Novecento.
2)RADICALE: ANGLO-SASSONI: Il fascismo è il prodotto dei
ritardati e atipici processi di sviluppo economico e di unificazione
nazionale di alcuni paesi europei, Italia e Germania in testa.
10
3)MARXISTA: Il fascismo è il prodotto estremo della lotta di
classe dovuto alle fasi finali del capitalismo.
11
L’EVOLUZIONE DEGLI STUDI E LE NUOVE POSIZIONI
Solo dalla seconda metà degli anni ’60 queste tre interpretazioni
hanno cominciato ad essere criticate, sono state dimostrate
insufficienti, inadeguate e impossibili da conciliare tra loro. Ciò fu
dovuto a un legame minore degli studiosi alle ideologie politiche,
alla diffusione degli studi sulla società di massa e alla volontà di
spiegare il fascismo limitandone l’uso indiscriminato del termine
(insulto, attribuito ad ogni forma di governo non democratica) che
ne veniva fatto in quegli anni.
Si cercò di capire se era possibile elaborarne un modello, se era un
fenomeno unitario, e così via. La corrente interpretativa più
interessante, afferma De Felice, è senz’altro quella che cerca di
spiegare solo ed esclusivamente storicamente il fascismo,
eliminando generalizzazioni, apriorismi e ideologie, e studiando a
livello nazionale il fascismo. Per suddetta corrente infatti, sebbene
i movimenti fascisti abbiano molti elementi in comune, ognuno,
proprio per le vicende storiche dei singoli paesi, è diverso
dall’altro.
12
3) LE INTERPRETAZIONI “CLASSICHE”
A) IL FASCISMO COME MALATTIA MORALE DELL’EUROPA Suddetta interpretazione è stata quella di maggior fortuna
nell’ambito dell’alta cultura europea, soprattutto tedesca e italiana.
Fu “inaugurata” nel 1943 da Benedetto Croce per il quale il
fascismo non era espressione di una sola classe sociale, ma “uno
smarrimento di coscienza, una depressione civile e una ubriacatura
prodotta dalla guerra”2 che non si verificò solo in Italia ma anche
in quasi tutti le nazioni che avevano partecipato alla prima guerra
mondiale. Per Croce il fascismo era dunque un fenomeno
mondiale, una “parentesi che aveva corrisposto ad un periodo di
abbassamento nella coscienza della libertà”.3
In Germania questa tesi fu sostenuta più fermamente da Meinecke
seguito poi da altri autori. Meinecke (da tedesco) spiegò il nazismo
attribuendo le cause della sua ascesa alla ricerca della felicità da
parte delle masse che, pur di raggiungerla, rinunciarono alla
libertà. Questa crisi morale era dovuta alla “mobilitazione delle
masse” provocata dalla rivoluzione francese e dalla rivoluzione
industriale a cui si aggiunsero la guerra, il trattato di Versailles, la
crisi economica, la ricerca di “idoli irrazionali” soprattutto da parte
dei giovani, con una rinascita dei vecchi ideali “machiavellici”
2 In R. DE FELICE, op.cit, p. 29.
14
B) RADICALI: ANGLO-SASSONI: IL FASCISMO COME
PRODOTTO LOGICO ED INEVITABILE DELLO SVILUPPO
STORICO DI ALCUNI PAESI
Secondo questa interpretazione il fascismo sarebbe stato la logica
conseguenza di una serie di mancanze caratteristiche dello
sviluppo storico di paesi come l’Italia e la Germania, in primis
sviluppo economico, unificazione e indipendenza nazionale, scarso
sviluppo e presenza borghese: per questo si diffusero sempre forme
di potere conservatrici, illiberali e antidemocratiche, con
l’esclusione delle masse dal governo e dal processo di
unificazione.
Il fascismo sarebbe dunque il risultato di questa politica
reazionaria e antipopolare congiunta a caratteristiche psicologiche
e morali dei suddetti popoli: per esempio il militarismo,
l’autoritarismo, il pangermanismo sono confluiti nel
nazionalsocialismo, o il dannunzianesimo che confluì nel fascismo
italiano.
Questi studi, importanti perché mettono in luce certe differenze di
fondo tra i vari movimenti e regimi fascisti (ma tacciono
l’importanza delle trasformazioni della società nel dopoguerra), si
sono contrapposti alle altre e in particolare a quella della malattia
morale. In Italia per esempio non accettare la tesi del Croce del
15
“fascismo come parentesi negativa” è equivalso a rifiutare e
respingere le interpretazioni della malattia morale rifiutando a
priori le teorie di scrittori che, come Meinecke, non avevano nelle
proprie opere questo concetto della “parentesi negativa”. Così,
proprio per il suo “settarismo”, la teoria della “malattia morale” è
entrata in crisi, vittima degli attacchi delle altre posizioni comprese
le più recenti.
16
C)MARXISTA: IL FASCISMO COME PRODOTTO DELLA
SOCIETÀ CAPITALISTICA E COME REAZIONE
ANTIPROLETARIA
Questa fu la prima interpretazione che comparve negli anni 20 e fu
la prima che pose l’attenzione su una possibile diffusione del
fascismo.
La sua tesi centrale è semplice: il fascismo sarebbe la forma o
almeno una delle forme che nel XX secolo hanno assunto a livello
politico, sociale ed ideologico la lotta contro il movimento
rivoluzionario dei lavoratori e la sua repressione da parte del
capitalismo. A sostenere questa tesi sono stati in prevalenza
comunisti ma anche alcuni autori di formazione marxista non
legati al movimento comunista internazionale.
Le interpretazioni marxiste sono state però quelle maggiormente di
“parte”, ideologizzate e politicizzate, in quanto venivano
indirizzate dall’Internazionale comunista (che tolse così a quei
precoci lavori valore scientifico).
Così ad esempio riguardo al rapporto capitalismo-fascismo
troviamo che esso (il fascismo) è l’ultimo stadio di sviluppo di un
capitalismo in declino e si opponeva alla situazione sempre più
favorevole alla rivoluzione facendo leva sulla borghesia;
17
nello stabilire quali fossero le forze che avevano favorito
maggiormente il fascismo (e siamo al secondo esempio),
l'internazionale non ebbe esitazioni nel puntare il dito contro la
grossa borghesia anche se non mancarono figure come Cole e i
Trockzisti che invece puntarono l’attenzione sulla piccola
borghesia.
18
3) ALTRE MINORI INTERPRETAZIONI DEGLI
ANNI TRENTASESSANTA
In questo capitolo De Felice propone le interpretazioni “minori”
del fascismo, minori perché ebbero un riscontro circoscritto ad
ambienti ristretti, lontano dalla portata del vasto pubblico. Tra
queste il professore annovera quella cattolica, del totalitarismo e
quella transpolitica.
A) L’INTERPRETAZIONE CATTOLICA
Di questa interpretazione i maggiori esponenti furono Mauritain
e Del Noce.
Per Mauritain (scriveva nel 1934-36) i conflitti interni alla
società industriale capitalistica provocarono il sorgere delle
reazioni antiliberali contemporanee, del comunismo e del
fascismo, che diedero vita a regimi totalitari collegati tra loro
in quanto l’uno risposta dell’altro.
Anche Del Noce inseriva il totalitarismo nell’ambito della crisi
morale e religiosa della società che ha portato a fare di quei
movimenti delle “religioni secolari”. D’accordo con Maritain, il
nazismo e il comunismo erano due totalitarismi legati fra loro,
19
con il nazismo proiezione “irrazionalistica” del comunismo,
mentre il fascismo totalitarismo “tronco”.
B)L’INTERPRETAZIONE TOTALITARIA
È questa un’importante interpretazione sorta per la prima volta
negli anni ‘30 ma che ha avuto un grande successo solamente a
partire dagli anni ‘50, permettendo di distinguere tra i veri fascismi
e quei regimi autoritari e conservatori, di porre la giusta attenzione
sull’utilizzo di mezzi tecnici per ottenere il consenso sviluppando
la propaganda e soprattutto svelando l’importanza della società di
massa che fornì terreno fertile per la diffusione del totalitarismo.
Tra i numerosi lavori il più importante è senz’altro quello di Anna
Arendt Le origini del totalitarismo.
Nel libro la Arendt attribuisce il sorgere del totalitarismo a tre
fattori:
1:il tramonto dello stato nazionale e l’affermarsi
dell’imperialismo
2: il crollo del sistema classista e dei suoi valori
3: l’atomizzazione della società di massa (a cui sono legati il
razzismo, il culto della personalità, l’avversione per i “vicini”,
gruppi politici che si presentano al di sopra degli interessi del
partito e di classe).
Il fatto che determinò gli elementi sopraccitati fu la prima guerra
20
mondiale al cui termine cominciò il crollo del sistema classista con
i suoi punti di riferimento, a cui fece seguito l’atomizzazione e
l’individualizzazione della società da cui nacquero le masse
facilmente trasportabili: infatti senza la presenza delle masse
(contrarie a partiti e democrazia) i totalitarismi non si sarebbero
mai affermati.
La Arendt fa poi una distinzione tra Italia (fascismo considerato
totalitarismo “incompleto”) e Germania e Russia, dove invece la
maggiore massificazione della società consentì lo sviluppo di due
totalitarismi puri come il nazismo e lo stalinismo. Ma quali sono le
caratteristiche di un regime totalitario?
Per l’autrice sono le seguenti:
1: il consenso, raccolto con propaganda e terrore
2: l’organizzazione dello stato
3:l’ideologia del partito, diffusa dal capo che viene fatto
oggetto di culto
4:presenza di polizia segreta che controlla la vita delle persone
5:partito unico che regola tutte le funzioni dello stato economia
compresa
B) IL FASCISMO COME FENOMENO
TRANSPOLITICO
Questa tesi, da tutti criticata, fu sostenuta dal solo Nolte per il
21
quale i fascismi sarebbero stati un fenomeno unico, epocale.
Lo storico tedesco nella sua analisi perviene alla conclusione che il
fascismo può nascere “soltanto sul terreno del sistema liberale” e
che “non esiste fascismo senza la sfida del bolscevismo” anche
perché (il fascismo) si pone innanzi tutto come antimarxismo”. In
particolare, per Nolte, il bolscevismo portò alla rottura
dell’equilibrio nella società liberale di trascendenza pratica e
teoretica, con il predominio della prima sulla seconda, della
materialità sulla spiritualità. È a questo punto che emerge il
fascismo visto come “rivoluzione conservatrice”: il fascismo è
dunque resistenza alla trascendenza pratica e insieme lotta contro
la trascendenza teoretica […] ed è così la seconda e più grave crisi
della società liberale”.4
Queste tesi ricevettero da subito moltissime critiche e tra le più
numerose ci sono quelle che invitano a non considerare il fascismo
come un fenomeno unico e a distinguere anzi tra i vari movimenti,
nazismo e fascismo compresi.
4 Citazioni in R. DE FELICE, op.cit, pp.102-105.
22
4) INTERPRETAZIONI ELABORATE DALLE
SCIENZE SOCIALI
Questo tipo di interpretazioni sono al di fuori di una concezione
storicistica anche perché non sono state elaborate da storici bensì
da studiosi delle scienze sociali legati soprattutto alla moderna
sociologia e psicologia.
Queste tesi da sole sono insoddisfacenti in quanto insufficienti,
parziali e spesso distorcenti, in quanto tendono a fornire
spiegazioni schematiche e unilaterali, sopravvalutando un
fenomeno e rifiutandone altri, creando modelli astratti e allargando
area geografica e cronologica del fascismo. D’altro canto però
sono state utilissime per mostrare la limitatezza delle altre teorie e
focalizzare l’attenzione sul ruolo fondamentale svolto dalla società
di massa nell’ascesa dei fascismi.
23
A) L’INTERPRETAZIONE PSICOSOCIALE
Interpretazioni del fascismo prodotte da esponenti della psicologia
sono numerosissime e videro la luce già negli anni ‘30 per
controbattere la propaganda fascista. In questi lavori si attribuisce
l’ascesa del fascismo al richiamo di un sentimento mistico,
irrazionale, impulsivo dell’uomo (crudeltà, sadismo, invidia), alla
“sindrome autoritaria” a cui, secondo Adorno, tenderebbe per
natura l’uomo contemporaneo.
24
C) L’INTERPRETAZIONE SOCIOLOGICA
Anche in ambito sociologico i lavori sono numerosissimi e la loro
importanza risiede nel fatto che gli autori individuarono la base
consensuale dei fascismi nella classe media e in particolare tra i
piccolo borghesi che si volevano equiparare alla grossa borghesia
difendendosi però al contempo dalle richieste di uguaglianza della
classe operaia. I fascismi faranno leva proprio sulla piccola
borghesia per ottenere il consenso, facendole credere (con
propaganda, manifestazioni, organizzazioni) di essere mobilitata,
di avere un ruolo attivo nella creazione di una nuova società (e così
si accontentava la voglia di coinvolgimento politico delle masse).
25
6) IL FASCISMO ITALIANO E LE SUE
INTERPRETAZIONI ITALIANE
6.1)LA PERIODIZZAZIONE DELLA STORIA DEL
FASCISMO E IL PROBLEMA DELLE SUE ORIGINI
La maggior parte degli storici individuano le origini del fenomeno
fascista nella prima guerra mondiale e nel dopoguerra allorchè crisi
economica, delusioni, nazionalismo, ascesa del comunismo,
pretese delle masse, ne favorirono l’avvento.
Ma quando c’è stato il passaggio dal fascismo delle origini a quello
del regime? Due sono le date che emergono: la marcia su Roma e
l’incarico di governo a Mussolini (28 ottobre 1922) o il colpo di
stato del 3 gennaio 1925.
Analizzando obiettivamente i fatti si nota facilmente che nel 1925
(e 1926 con le leggi “fascistissime”) c’è stata una svolta nel
fascismo che ha portato all’interruzione della legalità, al rifiuto di
collaborare con gli altri partiti e alla nascita, dopo il delitto
Matteotti, delle prime forme di antifascismo.
26
7) LE INTERPRETAZIONI FINO AL DELITTO MATTEOTTI
Risolta la questione delle origini del regime, De Felice passa in
rassegna le interpretazioni prodotte dagli anni ‘20 al dopoguerra
affrontando subito quelle che arrivano fino al delitto Matteotti.
La maggior parte di questi lavori tende a distinguere tra il fascismo
del 1919 e quello del 1921, quando le sue file cominciarono ad
ingrossarsi e a opporsi al bolscevismo: tutti i caratteri del fascismo
delle origini (si pensi al programma del 1919) furono accantonati e
sostituiti dall’antibolscevismo; fu evidentemente una reazione
borghese al biennio rosso, “ultima incarnazione politica della
piccola borghesia” prendendo in prestito le parole di Gramsci. Per i
più inoltre non avrebbe potuto durare a lungo e, prima o poi, si
sarebbe dissolto.
27
8) LE INTERPRETAZIONI DEGLI ANNI DEL REGIME
’25-43
Queste interpretazioni si dividono in tre categorie:
1: dell’antifascismo italiano prima della soppressione della
libertà di stampa
2: dell’antifascismo in esilio
3: degli autori fascisti
1)L’opera più interessante tra quelle del primo gruppo è
senz’altro La rivoluzione meridionale di Dorso; nell’opera
l’autore spiega perché il fascismo sia considerato come una
reazione capitalistica, perché per prendere il potere, la sua elite
abbia dovuto scendere a compromessi con la classe dirigente
precludendo così ogni possibilità di rivoluzione. Ciò è
avvalorato anche dal “trasformismo” di Mussolini che doveva
mantenere buoni i rapporti con i ceti dirigenti tradizionali e nello
stesso tempo non poteva “abbandonare” i fascisti più
intransigenti. Ma dopo il delitto Matteotti, e qui si passa dal
fascismo delle origini al Regime, Mussolini si alleò
definitivamente con la classe dirigente conservatrice eliminando
qualsiasi progetto rivoluzionario.
28
2)Il secondo gruppo, quello degli scrittori antifascisti esuli, può
essere diviso in sottogruppi:
1: teorie della concentrazione antifascista di Parigi
2: di qualche elemento ai margini della “concentrazione”
3: dei comunisti
4: dell’“emigrazione”
Il primo sottogruppo è il meno originale ma il più fecondo di
opere. In esse si rileva che il fascismo era un fenomeno non solo
italiano, ma tipico dei paesi capitalistici, capitalismo del quale (il
fascismo) ne rappresentava una fase. Per quel che concerne le
origini, queste venivano attribuite alla guerra, senza la quale il
fascismo non sarebbe neanche nato, e alla reazione alla presa del
potere (in Russia) e all’avanzata (in tutta Europa) del bolscevismo.
Il secondo sottogruppo si occupò di scoprire il “perché del suo
sorgere”. Le risposte puntano il dito contro l’incapacità dei partiti e
del parlamento nel gestire il dopoguerra e contro il carattere
passivo degli italiani: “il fascismo affonda le sue radici nel
sottosuolo italiano, esso esprime i vizi profondi, le debolezze
latenti, le miserie del nostro popolo, di tutto il nostro popolo”
usando le parole di Carlo Rosselli.
La tesi comunista, come al solito, è la più schematica, in quanto
vede il fascismo come reazione al comunismo, al proletariato,
29
come espressione dei ceti medi e in particolare di agrari e grossa
borghesia (dopo che i piccoli borghesi, alle origini, costituivano il
fulcro del movimento).
La parte più originale di queste tesi è sicuramente la distinzione tra
il fascismo italiano e gli altri movimenti fascisti.
Le tesi dell’“emigrazione” sono le più obiettive, le più legate ad
una storiografia vera e propria come testimoniato dall’opera di
Angelo Tasca La nascita del fascismo pubblicata a Parigi nel 1938.
In questa opera Tasca ricostruì minuziosamente gli avvenimenti
dalla grande guerra alla marcia su Roma e la storia interna del
fascismo, con l’obiettivo di combatterlo, cosa che Tasca
considerava un “dovere politico”. Sempre a lui si deve la celebre
frase “definire il fascismo è anzitutto scriverne la storia” che sarà
poi ripresa da De Felice.
3)La letteratura fascista fu vastissima ma poco attendibile dal
momento che queste opere erano per lo più di genere
memorialistico, apologetico o di propaganda.
30
9) IL DIBATTITO DOPO LA LIBERAZIONE
Negli anni del dopoguerra, contrariamente a quanto ci si sarebbe
potuto attendere, non si sviluppò affatto una ricerca storiografica
sul fascismo sulle orme del Tasca, ma si preferì o non trattare
l’argomento o farlo con le tradizionali schematiche interpretazioni
(le tre classiche). Saranno i giovani studiosi che non avevano
vissuto il fascismo (e quindi sgombri da preconcetti) a dedicarsi ad
opere storiografiche valide e alla ricostruzione storica del fascismo
a partire dagli anni ‘70. Questa “apertura” si è verificata grazie
all’influsso di opere straniere di sociologi, psicologi e filosofi che
hanno contribuito a studiare altri aspetti del fascismo portando al
rifiuto delle interpretazioni-caratterizzazioni fin lì in auge, con
l’obiettivo di riflettere e capire un ventennio di storia italiana senza
perdersi nel revisionismo.
31
10) CONCLUSIONE
Dopo aver presentato le varie interpretazioni De Felice ci mostra,
in conclusione del libro, la sua posizione.
Premettendo che secondo lui nessuna singola interpretazione da
una spiegazione completa del “fenomeno fascista”, che per
giungere
ad una spiegazione in termini effettivamente storici […] sia
necessario tenere presenti tutte le interpretazioni e, soprattutto,
[…] tenere sempre ben presenti le caratteristiche nazionali dei
singoli paesi (particolari vicende storiche, economiche, sociali,
culturali e politiche) nei quali si sono avuti movimenti, partiti o
regimi fascisti […] ma senza tralasciare quel minimo comun
denominatore che accomuna i movimenti fascisti.5
Per De Felice quindi, in accordo con Tasca, “definire il fascismo è
anzitutto descriverne la storia”.
Dopo di ciò, lo storico, ci riassume gli elementi che, secondo lui, si
devono tenere presenti per comprendere storicamente il fenomeno
fascista.
1)GEOGRAFICO-CRONOLOGICO: il fascismo è stato un
5 In R. DE FELICE, op.cit, pp. 253-254.
32
fenomeno solo ed esclusivamente europeo che si è sviluppato in un
preciso arco di tempo, quello compreso tra le due guerre mondiali.
A determinarne l’ascesa ci fu infatti la crisi che attraversò l’Europa
nel dopoguerra (alla quale si aggiunse la crisi economica mondiale
del 1929) e alla quale le masse e soprattutto i politici risposero in
maniera differente.
2)LA BASE SOCIALE DEL FASCISMO: se da un lato è
innegabile che il fascismo trovò sostenitori in tutte le classi sociali
(come evidenziava il Croce), dall’altra è anche vero che il fascismo
aveva i più ardenti sostenitori nei ceti medi e in particolare tra i
piccolo borghesi. I ceti medi infatti dopo la guerra si erano trovati
in grossa difficoltà a seguito delle trasformazioni e della
massificazione della società, della mobilità sociale (in senso
verticale) che li faceva sentire minacciati dall’ascesa del
proletariato e che li portò ad assumere uno stato di frustrazione, di
inquietudine e a reagire contro il proletariato e la grande borghesia.
Così i piccoli borghesi, anziché confluire nel socialismo, aderirono
al fascismo dal quale si sentivano protetti e dal quale credevano di
ricevere un ruolo attivo nel cambiamento della società e nella
gestione dello stato. Proprio su questo rapporto con i ceti medi si
può fare una distinzione tra fascismo e movimenti e regimi
conservatori e autoritari. Infatti, mentre i regimi conservatori e
autoritari classici hanno sempre teso a demobilitare le masse e a
33
escluderle dalla partecipazione attiva alla vita politica offrendo
loro dei valori e un modello sociale già sperimentati nel passato, al
contrario il fascismo ha sempre teso a creare nelle masse la
sensazione di essere sempre mobilitate, di avere un rapporto diretto
col capo e di partecipare e contribuire ad una rivoluzione dalla
quale sarebbe gradualmente nato un nuovo ordine sociale migliore
e più giusto di quello preesistente. Da qui il consenso goduto dal
fascismo, non vastissimo in verità, che poteva essere alimentato
solo con il ricorso a idee e concetti irrazionali (razza ariana, nuova
nazione che deve far valere i propri diritti di fronte alle “vecchie
nazioni plutocratiche”, concetti tipicamente piccolo borghesi).
Analizzando il caso italiano, il carattere piccolo borghese del
fascismo trova solo conferme: le iscrizioni al partito (prima che il
partito diventasse di massa era solo di piccoli borghesi), la stampa
e la propaganda (che rispecchiavano le mentalità, le aspirazioni, la
cultura dei ceti medi) erano espressioni della borghesia, borghesia
che consentì a Mussolini di prendere il potere allargando le file del
partito e di assumere il controllo della burocrazia, senza contare il
fatto che fino al 1925, prima che Mussolini si accordasse con gli
industriali e i grossi borghesi, il fascismo rappresentava “la lotta di
classe della piccola borghesia incastrata tra proletariato e
capitalismo”.
3)LA FORMA TOTALITARIA DEL FASCISMO
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Questa non deve essere confusa con la crescita e il mutamento
delle funzioni dello stato in voga all’epoca in tutti gli stati europei
(interventismo statale in campo economico, assistenziale e
previdenziale) perché lo stato totalitario ha alcuni elementi
caratterizzanti quali un’ideologia diffusa con i mezzi di
comunicazione di massa, il partito unico che dirige tutte le attività
statali, presenza di capo (sottoposto a culto) e di un’elite, il
consenso ottenuto con la sensazione di una costante mobilitazione
delle masse mediante organizzazioni, associazioni e manifestazioni
subordinate al partito, l’uso della violenza e del terrore e la
presenza di una polizia segreta.
4) CARATTERE RIVOLUZIONARIO DEL FASCISMO
“Depurando” il termine da quelle accezioni “mitiche”che ha
assunto nel tempo ed intendendo per rivoluzione il cambiamento
apportato con metodi violenti al governo e alla società (nuovo
governo, nuova elite, nuovi valori) non si può negare il carattere
rivoluzionario del fascismo.
Proprio questo elemento permette di comprendere la sua novità
rispetto ai regimi autoritari e conservatori classici e alle rivoluzioni
contemporanee (comunista e neocapitalista).
35
PARTE SECONDA
In questa seconda parte descriverò i due modelli fascisti partendo
dall’Italia, creatrice ed esportatrice del modello, soffermandomi
sulla marcia su Roma, sull’ascesa di Hitler, sulla doppia strategia
tipica del fascismo, sui contrasti tra Italia e Germania fino ad
arrivare alla vigilia della guerra che sarà trattata nella terza parte
assieme alla “caduta” del fascismo.
36
1) IL MODELLO ITALIANO: IL FASCISMO
A) IL FASCISMO DELLE ORIGINI: DAL1919 ALLA
MARCIA SU ROMA
La storia del fascismo cominciò nel 1919 quando Benito
Mussolini, un ex-massimalista socialista, fondò a Milano i fasci
di combattimento, un movimento isolato che racchiudeva in se ex
socialisti-rivoluzionari, studenti, arditi, futuristi e borghesi
disorientati che si affidavano alla matrice violenta e
rivoluzionaria dei fasci. In effetti all’inizio il programma del
movimento era essenzialmente di sinistra (terre ai contadini, otto
ore lavorative, stipendio minimo, repubblica) e questo ne provocò
il fallimento alle elezioni (socialisti erano troppo forti) e così
Mussolini decise di voltare pagina e di schierarsi a destra dove
mancava un vero leader: via programma di sinistra, via tinte
antimonarchiche e anticlericali, sfida ai socialisti. Questa svolta a
destra fece sì che gli agrari, e in minor misura gli industriali,
ricorressero a loro per sedare le richieste e le occupazioni portate
avanti nel biennio “rosso” 1919-20 da operai e contadini. Infatti
dal 1921 è evidente che i fasci si misero al servizio degli agrari
per distruggere le associazioni operaie e contadine e per
restituirgli il potere: ne seguì un successo per i Fasci che
37
raggiunsero i 250.000 iscritti. Mussolini comprese però che con la
fine dei socialisti sarebbe finito anche il compito dei fasci e così
sostituì il ruolo di rivoluzionario con quello di mediatore,
accordandosi con Giolitti, che intanto pensava di sfruttarlo per
riordinare la situazione per poi “silurarlo” legalmente. Ma così
non avvenne. Mussolini per prima cosa fondò il PNF nel 1921,
rafforzandone l’elemento squadrista e cominciando ad utilizzare
quella duplice strategia che sarà successivamente ripresa da Hitler
in Germania. A questo punto Mussolini, che aveva bisogno di
appoggi per il PNF, si accordò con Chiesa (avrebbe risolto la
questione romana una volta al potere) re e industriali.
Quando nell’agosto 1922 venne proclamato uno sciopero
generale, riaffiorò il “red-scare” che sancì il definitivo legame tra
fascisti e blocco conservatore reazionario (industriali, borghesi,
agrari). Per la cronaca gli squadristi repressero con la violenza lo
sciopero.
Dopo gli accordi era evidente che i fascisti non potevano più essere
esclusi dal governo. Infatti la marcia su Roma dell’ottobre 1922
non fu un gesto rivoluzionario ma un “gesto per impressionare
l’opinione pubblica e ricevere incarichi di governo”, dal momento
che uno scontro con l’esercito avrebbe sancito la fine dei fascisti. Il
re però, non solo non firmò lo stato d’assedio, ma incaricò
Mussolini di formare un governo conservatore di coalizione con
38
popolari, liberali e nazionalisti che non si accorsero che piano
piano si stava scardinando lo stato liberal-democratico. A questo
punto interrompo la narrazione per fare un doveroso excursus sulla
marcia su Roma.
39
B) LA MARCIA SU ROMA
Comincerò con la descrizione dei mesi che hanno preceduto la
marcia su Roma fino ad arrivare al 28 ottobre 1922 con l’incarico
di governo a Mussolini.
ESTATE 1922: il PNF aveva il controllo delle province, ma non
della nazione e soprattutto un’eventuale coalizione fra liberali,
cattolici e socialisti avrebbe decretato la fine del movimento.
Mussolini che era consapevole di questa situazione decise che
bisognava passare all’azione e conquistare il potere legale ma con
mezzi illegali. A favorire il suo progetto, va ricordato, c’era la
debolezza del partito socialista che solo l’anno precedente aveva
subito l’ennesima scissione dalla quale era nato il partito
comunista;socialisti che non riuscirono ad opporsi alle violenze
degli squadristi che gli sottraevano importanti centri provinciali.
1-2 AGOSTO 1922: i socialisti proclamano lo sciopero generale.
Mussolini prende la palla al volo e pone un ultimatum al governo
in base al quale se entro 48 ore non si fosse ristabilita la situazione,
lo avrebbero fatto i suoi squadristi. Il 2 agosto però, senza aspettare
le 48 ore, i fascisti scatenano un’offensiva sanguinosa e
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violentissima durata cinque giorni e che raccolse il consenso della
borghesia e degli agrari che con lo sciopero avevano visto
aumentare il proprio “red-scare”. Così il “fronte conservatore--
reazionario” (industriali, agrari, piccolo borghesi) rivalutò il
fascismo come una difesa dai comunisti.
AGOSTO-SETTEMBRE: si susseguono le mobilitazioni e le
riunioni di partito.
SETTEMBRE: la mobilitazione raccoglie il culmine con parate,
riunioni e azioni punitive nei confronti degli avversari.
Mussolini nel frattempo aveva incontri con i vari esponenti della
vecchia classe politica (Giolitti, Salandra, Nitti, Orlando,
presidente del consiglio Facta compreso) che pensavano di poter
“addomesticare” il fascismo e potersene servire per i propri scopi.
Il futuro “duce”, da abile politico quale era, fece credere ad ognuno
di loro che avrebbe stipulato un accordo con lui soltanto e così
ottenne che nessun politico si mobilitasse contro il suo fascismo.
OTTOBRE: i militanti premono per passare all’azione, ma
Mussolini tentenna.
16 OTTOBRE: a Milano Mussolini convoca il partito per definire i
dettagli della marcia su Roma, fortemente voluta dai “ras” e dai
quadrunviri (De Vecchi, De Bono, Bianchi, Balbo). Si stabilì che:
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1) si sarebbe deciso l’inizio dell’azione a Napoli il 24-25 ottobre
durante il congresso del partito.
2: i quadrumviri avrebbero guidato l’azione
3: sarebbero stati tre i centri di raccolta attorno a Roma per le
camicie nere
4: il quartier generale fascista sarebbe stato posto a Perugia
24-25 OTTOBRE-NAPOLI
si decise che:
1: il 26 e il 27 i quadrumviri avrebbero preso il controllo dei
fascisti
2: sarebbero stati diramati gli ordini per la mobilitazione generale e
si sarebbe proceduto all’occupazione di comandi di polizia,
stazioni radio, prefetture, uffici postali e telegrafici, stazioni
ferroviarie; dopo di ciò tutte le forze si sarebbero concentrate nei
punti di raccolta di Santa Marinella, Tivoli, e Monterotondo. Il 28
si sarebbe marciato su Roma.
25 OTTOBRE: Mussolini torna a Milano intavolando trattative con
Salandra, Orlando, Giolitti e facendo credere loro che ci sarebbe
potuta essere una coalizione di governo. Fa sapere al re che non
avrebbe dovuto temere nulla dal fascismo. Il futuro duce si trovava
42
a Milano anche perché, in caso di mancato successo della marcia,
lui avrebbe potuto conservare un margine di manovra prendendo le
distanze dai quadrumviri che avevano guidato la marcia.
Va detto inoltre che Mussolini non aveva mai creduto molto nella
marcia su Roma in quanto sapeva benissimo che l’esercito, in caso
di scontro, avrebbe facilmente avuto la meglio e che quello era
solo un atto “per impressionare l’opinione pubblica e ricevere
incarichi di governo”.
27 OTTOBRE: come previsto i fascisti conquistano numerose città
senza scontri per il mancato intervento di polizia ed esercito.
Preoccupato da un sempre possibile intervento delle forze
dell’ordine, Mussolini decise di anticipare i tempi facendo
convergere le camicie nere a Tivoli e Monterotondo (5000 in tutto)
e a Santa Marinella dove però l’esercito aveva interrotto la ferrovia
e quindi le 4000 unità, in prevalenza toscane, giunte nella cittadina
tirrenica non avevano possibilità di coprire i 50 km le li separava
da Roma per la scarsezza di mezzi di trasporto e per le pessime
condizioni meteorologiche. Facta nel frattempo, dopo aver
recapitato lo stato d’assedio al re (che il 27 di corsa era tornato a
Roma), rassegna le dimissioni; il re a colloquio con Facta lo
convince a ritirare le dimissioni anche perché Vittorio Emanuele
era ancora propenso per lo stato d’assedio.
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28 OTTOBRE. ORE 6 DEL MATTINO: il consiglio dei ministri
approva il testo definitivo dello stato d’assedio.
ORE 9: il re, dopo averci pensato la notte, non firma lo stato
d’assedio e in un giorno si assiste così alle dimissioni di Facta e di
Salandra. Il re accettò le condizioni di Mussolini che voleva essere
presidente del consiglio.
30 OTTOBRE: Mussolini è a Roma dove riceve ufficialmente dal
re l’incarico di formare il nuovo governo. Solo per dimostrazione
le camicie nere vengono fatte sfilare a Roma.
Il 31 OTTOBRE Mussolini consegna la lista dei ministri da lui
scelti: nella coalizione sono presenti 5 fascisti, 3 liberali, 3
democratici, 2 popolari, 1 nazionalista.
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D) IL FASCISMO DAL 1923 AL 1929
Dopo l’excursus sulla marcia su Roma riprendo la
descrizione del fascismo italiano.
Nel 1923 venne creato il Gran Consiglio del Fascismo e fu varata
una legge elettorale con la quale i fascisti non avrebbero mai
potuto perdere. Nel 1924 con l’assassinio Matteotti (che aveva
denunciato in parlamento i brogli elettorali dei fascisti) Mussolini
applicò la svolta autoritaria, assumendosi la responsabilità
dell’atto e, approfittando dell’inefficacia dell’opposizione (i
socialisti si “ritirarono”sull’Aventino per protesta confidando su un
intervento del re, mentre i comunisti propugnavano uno sciopero
nazionale), scatenò violenze contro i dissidenti (cattolici e liberali
compresi), prese tutto il potere per sé (duce del fascismo) e nel
1926 varò le leggi fascistissime con le quali mise definitivamente
fine allo stato liberaldemocratico eliminando qualsiasi forma (e
soprattutto possibilità) di opposizione. Mussolini instaurò quindi
una dittatura personale che però non ebbe mai il controllo totale
degli altri poteri (chiesa, monarchia, esercito), fatto che porta
molti, non a torto, a parlare della dittatura italiana come di una
dittatura incompleta, spuria, proprio per la persistenza di questi
45
poteri.
Tra le prime mosse fasciste ci fu la diffusione del corporativismo
(in realtà non si sa bene cosa fosse e di certo portò una pesante
burocratizzazione) per eliminare i conflitti di classe, il dirigismo
statale e norme economiche come la battaglia del grano e la quota
90. L’apoteosi per il duce, già esaltato dai mass-media, si ebbe
tuttavia solo nel 1929 al momento della stipula dei patti lateranensi
con la chiesa cattolica cui si aggiungeva un’esaltazione
nazionalistica delle folle con la promessa della creazione di un
impero e la revisione dei trattati di Versailles. La politica estera
italiana fu quindi caratterizzata da aggressività e quella interna,
senza veri obiettivi, alla creazione dell’uomo nuovo italiano che
avrebbe presto dominato sull’Africa e sul Mediterraneo.
46
2) L’INFLUSSO ITALIANO SUI MOVIMENTI
FASCISTI PRIMA DEL 1933
Dopo le imprese mussoliniane si diffusero in tutta Europa
movimenti che a lui si ispiravano apertamente ma che non
raggiunsero mai il potere (tranne in Germania) perché ora battuti
da democrazie di destra, ora da regimi autoritari o dittature regie o
militari.
Questi movimenti nacquero per diversi fattori che si verificarono
nel dopoguerra: crisi economica, disoccupazione, paura del
comunismo e nazionalismo crescente. I loro programmi,
ispirandosi tutti al fascismo, avevano diversi punti in comune:
1)nazionalismo
2)imperialismo
3)antidemocraticismo
4)anticomunismo
5)antiliberalismo
6)antiparlamentarismo
7)volontà di stabilire un nuovo ordine
8)razzismo e antisemitismo (in alcuni casi).
Prima del 1929 questi movimenti fallirono proprio per il
radicalismo dei loro programmi che “attecchirono” maggiormente
47
e non a caso, solo dopo la crisi economica mondiale del ’29.
Analizzando brevemente questi movimenti si nota che in occidente
e in Scandinavia questi furono battuti da democrazie di destra, con
i vecchi partiti che seppero gestire la situazione.
In Inghilterra i Fasci inglesi, violenti e razzisti, furono bloccati
dalle misure severe dei governi conservatori; stessa cosa avvenne
in Francia dove il governo di unità nazionale di Poincarè allontanò
il pericolo comunista, togliendo così terreno ai “le faisceau” di
Valois.
In Europa orientale e meridionale, l’arretratezza di queste nazioni e
la conseguente assenza di proletariato fece sì che i movimenti
fascisti venissero sostituiti da autoritarismi o dittature
regio/militari.
In Ungheria fu nominato reggente l’ex-comandante Horthy che
diede vita ad un regime autoritario-conservatore che non lasciò
alcuna possibilità al “Partito per la difesa della razza” di Gombos.
Anche in Romania il governo resse bene e le legioni dell’arcangelo
Michele di Codreanu non ebbero mai possibilità di andare al
potere.
Anche nell’Europa meridionale l’arretratezza non permise il
successo dei movimenti fascisti che si rifacevano a Mussolini. In
Spagna il figlio del dittatore degli anni ’20 (Primo de Rivera) Jose
Antonio, fu battuto prima dal fronte popolare di sinistra e poi dalla
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dittatura reazionaria di Franco; in Portogallo ci fu la dittatura
militare di Salazar.
In Austria e Germania le condizioni erano ottime per la presa del
potere dei movimenti fascisti. In Austria la heimwher era il
movimento fascista più importante che veniva finanziato da
Mussolini (che voleva che l’Austria restasse uno stato cuscinetto
tra Italia e Germania) e che appoggiò Dollfuss nel 1932, tuttavia
senza mai sfruttare il suo grande potenziale. Il movimento fu poi
spaccato dalla comparsa della NSDAP austriaca che voleva
l’unione con la Germania.
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3) 1929-1933: IL MODELLO ITALIANO HA ANCORA PIÚ SUCCESSO
La crisi economica del ’29 fece compiere un balzo in avanti ai
movimenti fascisti e accrebbe la figura e il mito del “duce” che con
il suo corporativismo e la sua dittatura aveva superato
brillantemente la crisi economica e si era posto come alternativa a
democrazie capitaliste e comunismo. In effetti la politica italiana
(inefficace nella realtà) appariva all’estero come una vera
alternativa e ricevette plausi da fascisti e non: da Goebbles a
Churchill, dando l’impulso alla creazione di nuovi fascismi e al
rafforzamento di quelli esistenti.
In Olanda ci fu il movimento di Mussert, in Inghilterra quello di
Mosley che persero il seguito quando nelle rispettive nazioni ci si
rese conto delle loro matrici violente e razziste; in Finlandia il
movimento lappista di Kesola fu battuto dal governo. In definitiva
si può affermare che tutti i movimenti fascisti che apparvero sulla
scena politica prima o dopo il 1929 avevano come punto di
riferimento il modello italiano e l’impresa di Mussolini. Sta di
fatto che oltre a ricevere soldi dal “duce” i leader di questi
movimenti si facevano immortalare con lui per accrescere il loro
prestigio e cercavano di avere contatti con lui (Hitler compreso).
Così del fascismo ripresero chi la ritualità, chi il programma ma
50
non ci poté mai essere un fascismo internazionale perché il
fascismo prima di tutto è un movimento nazionalista. Con il 1933 e
la presa del potere di Hitler, il modello fascista diverrà infatti
quello tedesco realizzando indirettamente una radicalizzazione a
tutti gli altri, Italia compresa.
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4) IL NAZIONALSOCIALISMO TEDESCO
1919: Compare un partito volkish e antisemita: la DAP. Guidato da
Drexler, dopo che questi affidò ad Hitler l’incarico della
propaganda si trasformo nella NSDAP, formazione che avrebbe
lasciato il segno nella storia del ‘900. Hitler si distinse per le sue
capacità oratorie, per la sua abilità nel cogliere gli umori della
gente, nello sviluppare pochi e semplici argomenti: non voleva un
ritorno all’età guglielmina, ma una nuova Germania retta dai
nazionalsocialisti e unita nella volksgemeinschaft, aveva una
propria ideologia che a differenza di Mussolini non mutò mai.
Questa ideologia si fondava su pochi ma chiari argomenti:
1)Nazionalismo:creazione di un nuovo impero tedesco dopo la
revisione dei trattati Versailles (sfregio alla Germania).
2)Superiorità razza tedesca: darwinismo sociale: storia è lotta tra
varie razze e vince la più forte (razza ariana).
3)Odio per liberalismo, comunismo e democrazia.
4)Antisemitismo.
5)Conquista di spazio “vitale” a est.
Almeno agli inizi si individuano diversi punti di contatto con il
PNF:
1)uso della violenza
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2)presa sui giovani
3)culto del capo
4)programmi di sinistra
5)squadre paramilitari ossatura del movimento
6)uso della duplice strategia (dopo il putsch fallito del 1923)
Nel 1923 con inflazione, crisi economica, conflitti sociali,
soprattutto in Baviera si era propensi ad una dittatura militare, ma
non Hitler che l’8 settembre organizzò un putsch che fallì per
l’opposizione dell’esercito. Hitler venne arrestato. Proprio in
carcere, dove scrisse il suo testamento politico (Mein Kampf),
Hitler comprese che per conquistare il potere doveva usare la
doppia strategia, della violenza e della legalità, già usata dal suo
idolo Mussolini. Dal 1925 al 1929 si verificò così un’ascesa
incredibile del partito che raggiunse i 120.000 iscritti e una
“copertura nazionale”, ma lo sfondamento si ebbe solo nel 1930
quando crisi economica e disoccupazione si fecero sentire,
l’imperialismo e il nazionalismo tornarono di “moda” e la
repubblica di Weimar non seppe trovare soluzioni. Sta di fatto che
nel 1933 in Germania si impose la variante tedesca del fascismo,
molto più radicale dell’originale italiano. Il tocco finale all’ascesa
della NSDAP si ebbe nel 1932 quando l’aumento dei voti
comunisti fece raggiungere al partito il 36,9% dei voti: la NSDAP
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era diventata il primo partito tedesco per voti e il secondo per
numero iscritti: 850. 000. Ora Hitler aveva bisogno di alleati per
far cadere Weimar e prendere il potere. Nel 1932 dopo la caduta
del “centrista” Bruning divenne cancelliere Papen che, dopo il
rifiuto di Hitler ad una collaborazione, fallì il tentativo di una
dittatura militare per il suo scarso seguito popolare. Anche il suo
successore Schleicher fallì nel tentativo di creare un governo di
coalizione e così l’ultima possibilità toccò ad Hitler che fu
nominato cancelliere nel 1933 di un governo di coalizione che in
un solo anno trasformò in dittatura personale.
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5) DAL 1933 IL MODELLO É LA GERMANIA
Con la presa del potere di Hitler il modello per i movimenti fascisti
divenne la Germania nazionalsocialista e ciò è evidenziato dal
radicalismo che caratterizzò quei movimenti di lì in avanti. Se
infatti le formazioni sorte prima del 1933, ispirandosi al fascismo
italiano non erano antisemiti (tranne quelli Romeni), ora,
riprendendo la politica tedesca, erano più radicali e antisemiti. Ciò
fu palese in Norvegia con Quisling, in Belgio con Degrelle, in
Romania con Sima, in Ungheria con Szalasi, Heinlein in
Cecoslovacchia, i quali divennero poi collaborazionisti durante la
guerra.
In definitiva si può affermare che con la presa del potere di Hitler
ci fu una radicalizzazione dei movimenti fascisti compreso quello
italiano che dopo l’impresa etiopica assunse un carattere razzista e
antisemita (leggi razziali nel 1938).
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6) CONTRASTI IN CAMPO FASCISTA
Fino al 1936 i contrasti tra Roma e Berlino erano evidenti e il
culmine si raggiunse sulla questione austriaca e sul tentativo
italiano di creare un’internazionale fascista. Nel 1933, Mussolini
preoccupato per l’ascesa di Hitler di perdere il ruolo di guida dei
fascisti europei, creò i “comitati d’azione per l’universalità di
Roma” e convocò nel 1934 il primo congresso mondiale fascista
(che fallì a causa dei troppi contrasti tra i vari rappresentanti in
particolare sull’antisemitismo e sull’assenza della Germania).
La questione austriaca si risolse solo nel 1936 quando Mussolini,
rimasto isolato per l’attacco all’Etiopia, fu costretto ad allearsi con
Hitler (per il quale non aveva mai nutrito simpatia in quanto lo
vedeva come un fanatico). Fino a quel momento infatti il “duce”
aveva appoggiato Dollfuss contro l’annessione dell’Austria da
parte della Germania per due ragioni:
1)L’Austria era un cuscinetto tra Italia e Germania
2)Lo faceva apparire come pacificatore e mediatore e così Francia
e Inghilterra gli avrebbero concesso carta bianca in Etiopia.
Ma fu proprio la guerra d’Etiopia e le sanzioni che seguirono a far
stringere un’alleanza ad Hitler e Mussolini (che insieme avrebbero
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rotto gli equilibri e non si sarebbero pestati i piedi in quanto
avevano ambizioni territoriali diverse). Così nel 1936, usando le
parole di Mussolini, si creò l’asse Roma-Berlino; nel 1937 l’Italia
aderì al patto anticomintern e nel 1939 le due nazioni stipularono il
patto d’acciaio, in base al quale i due paesi sarebbero entrati in
guerra assieme. Con lo scoppio della seconda guerra mondiale si
ebbe la definitiva superiorità di Hitler su Mussolini, Hitler che
dimostrò varie volte insofferenza per la debolezza italiana e che
poco prima di suicidarsi, analizzando la sua politica, giunse ad
affermare che “l’attacco alla Russia è stato giusto, ma gli italiani
hanno guastato tutti i piani con la loro stupida campagna di
Grecia”; ”l’alleanza con l’Italia ha portato solo svantaggi.
Esaminando gli avvenimenti con fredda obiettività e lasciando per
una volta da parte i sentimenti, devo ammettere che la mia
incrollabile amicizia con il Duce e la mia lealtà di alleato nei
confronti dell’Italia sono da giudicare come grave errore”.
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7) GLI STRUMENTI POLITICI DEI FASCISMI:
LA DOPPIA STRATEGIA
Lo strumento politico per eccellenza dei movimenti fascisti per la
presa del potere è senz’ombra di dubbio la doppia strategia
utilizzata con successo da Mussolini prima e da Hitler poi. Ma in
cosa consiste? Cercherò di rispondere alla domanda riportando gli
esempi, italiano e tedesco, di applicazione trionfale di suddetta
tecnica.
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A)LA DOPPIA STRATEGIA IN ITALIA
Nel biennio 1920-21 il fascismo si identificava ed era identificato
come forza che, attraverso atti terroristici e oppressivi nei confronti
dei socialisti e delle organizzazioni da loro gestite, avrebbe
eliminato il pericolo rosso. Mussolini era consapevole che le
squadre, assolto il loro compito (sconfitta dei socialisti), avrebbero
portato il fascismo in una situazione statica di oblio (anche perché
perso il proprio avversario avrebbero perso la propria importanza)
e che quindi sarebbero state un peso per il suo futuro politico.
Il futuro duce doveva quindi cambiare la propria immagine da
quella di rivoluzionario a quella di uomo ragionevole, disposto al
compromesso e la prima tappa di questo processo fu porre un freno
al fascismo agrario. Ma proprio per questo Mussolini entrò in
conflitto con gli squadristi e i “ras” di provincia (Balbo, Farinacci,
Grandi), conflitto che si risolse dopo la minaccia di dimissioni.
Solo dopo alcuni mesi la crisi finì e si giunse a un compromesso in
base al quale Mussolini avrebbe avuto mano libera nelle questioni
politiche e gli squadristi in tutto ciò che riguardava la violenza.
Questo compromesso fu suggellato definitivamente il 9 novembre
del 1921 con la nascita del PNF e quindi la trasformazione da
movimento in partito nel quale la parte violenta delle strutture
paramilitari non fu messa da parte bensì potenziata.
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Il 1922 è l’anno in cui Mussolini attuò la duplice strategia che
consisteva nel conquistare il potere con mezzi legali (accordi del
“nuovo”Mussolini non più rivoluzionario ma uomo disposto al
compromesso) e allo stesso tempo con mezzi illegali (violenze,
marcia su Roma).
Lo squadrismo, anima violenta del partito, imperversava nel paese
e andava sempre più ad intensificare i propri interventi mentre
nello stesso tempo Mussolini continuava a tessere la sua maglia
con gli ambienti governativi cercando di uscire dall’ombra del
fascismo agrario. Così pressato dall’ala moderata del partito, che
voleva porre freno alle squadre e normalizzare i rapporti con quelle
forze senza le quali il fascismo non avrebbe potuto acquisire il
potere, fece accordi con Vaticano, industria e monarchia, poteri
che limiteranno sempre la sua dittatura. Mussolini abbandonò
quindi la sua posizione anticlericale e promise di risolvere la
questione Romana (e ciò avverrà nel 1929 con i patti lateranensi),
naturalmente non senza una contropartita. In cambio il Vaticano,
diffidente nei confronti del ceto liberal-democratico, prese le
distanze dal partito popolare di don Sturzo che nel frattempo aveva
assunto posizioni antifasciste. Per gli industriali invece aveva
pensato ad un programma economico di tipo liberale; con la
monarchia si accordò per una eventuale collaborazione, sempre
che non si fosse messa sulla strada del fascismo: in tal caso sarebbe
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stato scontro aperto dagli esiti non certo favorevoli per la
monarchia.
In definitiva, a quel punto, l’unico pericolo sulla strada per il
governo erano le squadre che con la loro attività potevano
screditarlo e alienargli le simpatie dei borghesi che si erano
avvicinati al PNF per il suo carattere antibolscevico. Le cose però
andarono diversamente grazie allo sciopero generale indetto dai
socialisti nell’estate del 1922 che risvegliò il timore di una nuova
rivoluzione bolscevica tra agrari, industriali e borghesia urbana che
puntarono definitivamente sul fascismo per evitare il “pericolo
rosso”.
Il partito fascista represse nel sangue lo sciopero, repressione
messa in atto dagli squadristi e che ottenne taciti consensi così
come il suo leader, unico mezzo per impedire una rivoluzione
comunista. Nell’ottobre del ’22, dopo la marcia su Roma,
Mussolini coronò la sua duplice strategia ottenendo finalmente il
tanto agognato incarico di governo (presidente del consiglio di un
governo di coalizione).
Da lì in poi, in particolare nel biennio 1925-26, il duce accantonò
sempre più i suoi squadristi fino a sciogliere le squadre d’azione
nel 1925 su pressione dei fascisti moderati e dei grossi borghesi
che mal tolleravano le violenze e la matrice rivoluzionaria degli
squadristi piccolo borghesi.
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B) LA DOPPIA STRATEGIA IN GERMANIA
Anche la NSDAP di Hitler raggiunse il potere legalmente vincendo
le elezioni, ma usando nello stesso tempo la violenza delle SA che
si scatenavano contro comunisti e socialdemocratici.
Il fuhrer cominciò ad elaborare la politica della doppia strategia
dopo il tentativo fallito del putsch di Monaco per il quale fu anche
arrestato. In carcere scrisse il Mein Kampf, testamento politico che
conteneva la “formula” per risollevare la Germania, ed ebbe modo
di studiare la tecnica che aveva permesso a Mussolini, ritenuto il
proprio maestro, di prendere il potere. Comprese quindi che con la
sola forza non ce l’avrebbe mai fatta ma che doveva coniugare
violenza e legalità; trasformò quindi la sua figura da uomo
rivoluzionario a uomo disposto al compromesso, con l’abile
propaganda conquistò il deluso popolo tedesco e ottenne risultati
sorprendenti alle elezioni, il tutto“condito” con una buona dose di
violenza della SA rivolta a comunisti e socialdemocratici.
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PARTE TERZA
1939-45: LA GUERRA E LA CADUTA DEI FASCISMI
A)IL FASCISMO IN GUERRA Il primo settembre 1939 la Germania invase la Polonia provocando
la reazione di Francia e G.B. che, messa da parte la politica
fallimentare dell’appeasement, dichiararono guerra alla Germania:
era solo l’inizio di quella che da lì a poco sarebbe divenuta la
seconda guerra mondiale.
Nel primo anno di guerra i tedeschi condussero singolarmente le
operazioni belliche mentre tutte le altre nazioni fasciste o
filofasciste si dichiaravano neutrali, Italia compresa nonostante le
due nazioni fossero militarmente legate dal patto d’acciaio
stipulato poco prima del conflitto. In effetti agli inizi Hitler, per
non dover trattare strategie e spartizioni militari con altri, preferì
agire da solo non curandosi di dar vita a una possibile “alleanza o
cooperazione” fascista; a testimonianza di ciò si ha il fatto che
Hitler prediligeva affidare la gestione delle nazioni occupate alla
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vecchia classe dirigente di quei paesi (che nella maggior parte dei
casi collaboravano e non si opponevano allo sfruttamento delle
risorse da parte dei nazisti per il bene del popolo) e solo se questi
accordi fallivano, ai movimenti fascisti che si trasformavano in
“collaborazionisti” o, estrema soluzione, a una occupazione
militare diretta della nazione in questione.
Il primo tra i “fanatici” filonazisti che provò questo trattamento fu
Quisling (il suo nome sarà usato spregiativamente per designare un
governo collaborazionista) che, dopo essersi proclamato capo dello
stato al termine di un colpo di stato, fu costretto da Hitler a
dimettersi a causa dello scarso seguito che possedeva nella
nazione; il fuhrer affidò quindi il controllo della Norvegia ad un
consiglio che cooperava con la vecchia classe dirigente.
Le stesse vicende si ripeterono anche per gli altri leader come
Mussert (Olanda), Degrelle (Belgio), Doriot (in Francia dove al
nord c’era il comando tedesco e al sud la repubblica di Vichy retta
da Petain), in Romania dove Hitler aiutò Antonescu a tenere a bada
i “legionari” di Sima.
Il 10 giugno 1940 anche l’Italia entrò in guerra con il duce che
cominciò la sua “guerra parallela” volta alla conquista di un
impero mediterraneo e “battezzata” con le spedizioni in Grecia e
Africa contro gli inglesi. Le sconfitte però misero in luce
l’arretratezza e l’impreparazione dell’esercito italiano e fecero
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scivolare l’Italia in una posizione subordinata alla Germania. Con
l’inizio della campagna di Russia i fascismi ottennero il massimo
dello sforzo bellico (ci furono anche migliaia di volontari di paesi
non fascisti come G.B. Olanda, Francia) con azioni congiunte di
Germania, Italia, Ungheria, Romania, Cecoslovacchia e Croazia di
Pavelic. Ma l’apogeo raggiunto in quel 1942 era destinato a durare
poco. Infatti dal novembre del’42, con il crollo delle armate
tedesche a Stalingrado, l’avanzata dei russi da est, le sconfitte in
Africa, l’armistizio italiano dell’8 settembre poco dopo la
deposizione di Mussolini, l’alleanza fascista cominciò a traballare
e molti cambiarono schieramento: nel 1944, dopo lo sbarco in
Normandia, Ungheria, Romania e Cecoslovacchia firmarono
l’armistizio ed Hitler, così come aveva fatto con l’Italia, rispose
occupando queste nazioni impiantandovi governi fantoccio
(Mussolini (Rsi), Szalasi, Doriot, Sima).
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B)LA FINE DEI FASCISMI Il 1945 è l’anno della definitiva sconfitta e della fine del fascismo.
Infatti non solo le nazioni, ma anche i fanatici leader, furono
travolti dalle loro stesse nefandezze: Hitler si suicidò il 30 aprile
quando ormai le truppe sovietiche erano a pochi km dal suo
bunker, Mussolini fu fucilato dai partigiani così come Mussert e
Quisling, Degrelle e Pavelic andarono in esilio, Doriot morì in
guerra. Fu quindi una fine “apocalittica” per il fascismo che pagò
senz’ombra di dubbio lo scotto degli atroci misfatti commessi
durante la guerra, sterminio di sei milioni di ebrei su tutti.
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CONCLUSIONE
In conclusione, tirando le somme sul complesso “fenomeno
fascista”, in accordo con De Felice, si può riassumere il fascismo
nel modo seguente:
Il fascismo è stato un fenomeno solo ed esclusivamente europeo
comparso in un determinato periodo di tempo (quello compreso tra
le due guerre mondiali), legato alla propria epoca e in particolare
alla crisi del dopoguerra, che trovò i suoi maggiori estimatori tra i
ceti medi e che si basò su una concezione totalitaria della stato (i
cui elementi sono stati abilmente riassunti da Anna Arendt).
Bisogna infine fare una distinzione, come ci insegna De Felice,
senza quindi perderci in inutili generalizzazioni, tra i veri fascismi
e i vari regimi autoritari e conservatori (compresi quelli
contemporanei nel terzo mondo) poiché i fascismi pur avendo dei
caratteri comuni sono pur sempre legati alla “storia” del proprio
paese.
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BIBLIOGRAFIA HANS WOLLER : Roma, 28ottobre1922. L’Europa e la sfida dei
fascismi 2001, Il mulino, Bologna (edizione originale: Rom 28
october1922. Die faschistische herausforderung, Munchen 1999).
RAINER ZITELMANN : Hitler. Roma, Economica laterza, 1998
(edizione originale: Adolf Hitler. Eine politiche biographie, 1989).
MONTANELLI, CERVI : Storia d’Italia:l’Italia del
novecento, Milano, RCS libri S.p.A, 2001.
RENZO DE FELICE: Le interpretazioni del fascismo,
Roma-Bari, Economica Laterza, settima edizione, 2001(con
prefazione del 1995).
Versione originale: 1969, Gius.Laterza&figli.