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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO - 1

Atti Ritorno alla Città 2009 Bassa

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Urbanism, City, Architecture.

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO - 1

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 2

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se non espressamente autorizzata dagli autori è

rigorosamente vietata.

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 3

RITORNO ALLA CITTÀRigenerazione urbana nelle città storiche ed europee: ipotesi a confonto

Convegno ed atti a cura di:

Piero Correnti, Caterina Grisaffi, Angelo Gueli,

Carlos Plaza, Elisabetta Vannni, Giovanni Voto

Elaborazione testi a cura di Carla Cicali

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 4

RITORNO ALLA CITTÀRigenerazione urbana nelle città storiche ed europee: ipotesi a confonto

PROGRAMMA DEL CONVEGNO

16 SETTEMBRE 2009

PALAZZO VECCHIO - SALONE DE’DUGENTO

h 9,30 – 13,30

Saluti e presentazione:

Arch. Marco Jodice

Presidente Ordine degli Architetti PPC di Firenze

Dott. Dario Nardella

Vicesindaco della Città di Firenze

Moderazione e presentazione dei relatori Angelo Gueli

Intervengono:

10,00 Prof. Arch. Marco Romano

"Come progettare una città: teoria e pratica"

10,45 Prof. Arch. Franco Purini

“ Oltre Palazzeschi”

11,45 Prof. Arch. Gabriele Tagliaventi

“Nuove città eco-compatte per il mondo che esce dalla crisi”

12,30 Prof. Arch. Sergio Los

“La città solare”

h 15,00 – 19,30

Moderazione e presentazione dei relatori Elisabetta Vannini

Intervengono sul tema del convegno e con delle relazioni sulla città di Firenze:

I Presidenti dei Quartieri 1,2,3,4,5, i Presidenti e Direttori di ConfCommercio, CNA,

ConfArtigianto, ConfEsercenti, Compagnia delle Opere, interventi di Architetti.

In ordine alfabetico :Luca Barontini, Stefano Capretti, Andrea Ceccarelli, Elena Ciappi,

Giuseppe D’Eugenio, Minu Emad, Leonardo Galli, Federico Giannassi , Laura Landi,

Roberto Maestro, Stefano Marmugi , Luigi Nenci, Marco Nestucci, Pietro Pagliardini, Elisa

Palazzo, Gianluca Paolucci, Francesco Pilati, Gianfranco Potestà, Uliano Ragionieri,

Antonio Saporito, Gianna Scatizzi, Massimiliano Silveri, Maurizio Talocchini, Maria Luisa

Ugolotti, Cristiana Valenti, Antonella Valentini, Sergio Ventrella, Giovanni Voto.

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SOMMARIO

RINGRAZIAMENTI E INTRODUZIONE AL CONVEGNO 6

Angelo Gueli

COME PROGETTARE UNA CITTÀ: TEORIA E PRATICA 9

Marco Romano

OLTRE PALAZZESCHI 25

Franco Purini

NUOVE CITTÀ ECO-COMPATTE PER IL MONDO CHE ESCE DALLA CRISI 31

Gabriele Tagliaventi

FIRENZE CITTÀ SOLARE

Sergio Los 60

IMMAGINI DEL CONVEGNO 99

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 6

ANGELO GUELI

RINGRAZIAMENTI E INTRODUZIONE AL CONVEGNO

Grazie all’opportunità concessa dalla triennale degli Architetti di Firenze insieme al

gruppo di amici di Studium City ho gestito l’organizzazione del convegno di oggi e

avrò il compito di fare da moderatore, compito che cercherò di assolvere nel

modo più discreto possibile limitando al massimo il mio tempo e lasciando la

parola agli ospiti di oggi.

Ho però piacere di fare dei ringraziamenti, in primo luogo grazie a tutti voi per

essere intervenuti, , un ringraziamento speciale al Padrone di casa Il Vicesindaco

Dario Nardella che dimostra un notevolissimo interesse per le questioni urbane,

grazie al presidente dell’Ordine degli architetti Marco Jodice per la sua presenza,

grazie ai professori Sergio Los, Franco Purini, Marco Romano e Gabriele Tagliaventi

per aver accettato il nostro invito, grazie alla collega Marilena D’Ambrosio per

l’instancabile lavoro di coordinatrice della triennale, grazie agli amici di Studium

City qui presenti Piero Correnti, Caterina Grisafi, Carlos Plaza, Elisabetta Vannini,

Giovanni Voto per lo sforzo organizzativo, e infine ma non per ultimo grazie allo

sponsor la Comiluce di Milano senza la cui generosa partecipazione il convegno

non avrebbe potuto aver luogo.

Permettetemi di fare una brevissima premessa, dopo di ciò mi limiterò a cedere la

parola ai nostri ospiti.

La città occidentale e di conseguenza la città italiana per come noi la

conosciamo è un insieme complesso di volumi e superfici occupate da

un’innumerevole quantità di funzioni con il conseguente insieme di relazioni

funzionali e non, fra questi luoghi e spazi. L’enorme complessità che

cotraddistingue la città europea, porta in se un insieme di problematiche che con

gli ultimi 40 anni del secolo scorso hanno continuato a lievitare senza incontrare, a

quanto si può evidentemente constatare,delle risposte risolutive.

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 7

Se da un lato le statistiche ci raccontano che in Italia sempre più persone negli

ultimi anni hanno ricominciato a vivere in piccoli centri urbani e sempre più gente

ha stabilito la propria residenza al di fuori del contesto urbano, d’altro canto non

possiamo negare quanto ancora le grandi città siano l’abitat più desiderato ed

utilizzato dall’uomo.

Le città sono state e continuano ad essere degli attrattori di popolazione. Se

questa capacità magnetica della città europea è lievemente diminuita negli

ultimi anni, come possiamo ben vedere questo non succede per le città delle

nazioni in via di sviluppo che continuano ad essere degli enormi catalizzatori

intorno ai quali si condensano le speranze, i desideri, le ambizioni e i bisogni di

milioni di persone.

Ma alle statistiche sfugge la nuova e massiccia inurbazione che l’Italia dovrà

affrontare per potere sopravvivere nei prossimi decenni, ovvero l’inurbazione dei

migranti provenienti da altri continenti. Questa ondata di flussi migratori lungi

dall’essere una iattura sarà invece ciò che permetterà al nostro modus vivendi di

perpetrarsi per ancora qualche decennio fino a quando, volente o nolente,

saremo costretti ad attivare meccanismi di decrescita tali da consentire la

sopravvivenza di Stato Sociale e Democrazia, sempre che questi due ultimi

elementi fra qualche anno continueranno ad essere considerati ineludibili, cosa

che non posso che sperare per noi ed i nostri figli.

È ovvio che le città in questo panorama saranno teatro dei maggiori stati di

tensione, poiché in esse si concentreranno sempre più attese e richieste sociali sia

da parte dei nuovi arrivati, con le loro istanze di riscatto sociale, che da parte di

coloro che, più radicati sul territorio, richiederanno maggiori attenzioni e

pretenderanno di appartenere ad una nuova aristocrazia razziale.

Cosa che evidentemente già avviene nelle regioni del nord Italia. La

progettazione urbana non può risolvere questi problemi, ma deve però

affrontarli ,conoscerli e porli sul piatto della bilancia.

La città per come la conosciamo negli ultimi secoli non ha fatto altro che

crescere, crescere e ancora crescere e questa e l’unica cosa che la città sa fare

veramente bene in barba a qualsiasi PRG regolamento, Piano strutturale,

Previsione, Piano quinquennale o che so io. Se la città ha bisogno di crescere lo fa

punto e basta, lo fa con l’abusivismo selvaggio delle città del sud Italia (compresa

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO - 8

Roma), lo fa con le favelas del Sud America, lo fa con i quartieri teleguidati degli

imprenditori del profondo nord, lo fa con l’occupazione dei centri storici da parte

dei migranti, lo fa attraverso un infinito numero di trucchi ed inganni, lo fa

trasformando le fogne di Budapest in una “città dei Bambini” lo fa anche

trasformando una tendopoli di profughi in Palestina in una città nel deserto.

La città è una mandria imbufalita in grado di travolgere il mandriano se solo lui si

distrae. Ecco perché devono essere individuati degli strumenti che consentano di

sorvegliare e guidare i nostri aggregati urbani. E questi strumenti non possono

essere più le campiture colorate dei piani regolatori o dei più moderni piani

strutturali, ma dovranno tornare ad essere quelli del disegno e del progetto su

scala urbana ed umana.

La giornata di oggi vuole quindi essere un opportunità per ascoltare dalla voce

dei nostri esimi colleghi, idee lungamente ponderate sulla città e sui suoi modi di

sviluppo e rigenerazione che in essa si possono attuare, idee e concetti che

parlano di progetto, che parlano di disegno urbano. Oggi lo so per certo non

sentiremo parlare di concetti (passatemi il termine ) diabolici e opportunistici quali

biggness o Junkspace che qualcuno vorrebbe far assurgere a teoremi

compositivi, oggi sentiremo parlare di progetto, di visione progettuale e umana

della città fatta per gli uomini e non a immagine e somiglianza dei sistemi

ipercapitalistici a cui ci hanno abituato le riviste da archistar. Oggi voleremo alto,

perché si parlerà di progetto e di visione progettuale della città.

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MARCO ROMANO

COME PROGETTARE UNA CITTÀ: TEORIA E PRATICA

Sono molto contento per essere stato invitato a questo seminario qui a Firenze

anche perché il nuovo sindaco Matteo Renzi ha dichiarato che d’ora in avanti i

progetti urbanistici non li avrebbero più proposti i privati, come Ligresti, ma li

avrebbe studiati il Comune. È corsa infatti in questi ultimi anni questa bizzarra

teoria, non solo a Firenze ma anche a Milano o a Roma, che debbano essere gli

imprenditori edilizi a progettare i

nuovi quartieri della città, un

compito invece da mille anni tra

q u e l l i f o n d a m e n t a l i

dell’amministrazione pubblica,

orgogliosa manifestazione della

civitas. E proprio qui, nel salone

dei Cinquecento, Giorgio Vasari

h a v o l u t o r a p p r e s e n t a r e

duecentocinquant’anni dopo - a

dimostrazione di quanto ancora i

fiorentini fossero consapevoli di

come il suo piano regolatore

avesse condizionato il destino

della città - Arnolfo di Cambio

che ne mostra il disegno ai suoi

reggitori.

Sono stato quindi molto contento

di questa dichiarazione di Renzi e

ho pensato che avrei potuto Arnolfo di Cambio che mostra ai maggiorenti di Firenze

il progetto delle nuova città

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO - 10

presentare la mia candidatura per disegnare

la città, e in primo luogo, oltre che davanti al

vicesindaco, davanti ai miei colleghi. Perché?

Perché quello che dirò per sostenerla

comporta un minimo di chiarimento sul

versante disciplinare, sulla mia storia di

urbanista.

Sono stato per dieci anni il direttore della rivista

‘Urbanistica’, sono stato per cinque o sei anni

direttore del dipartimento di Urbanistica della

Facoltà di Architettura di Venezia, ho tenuto

ovviamente in tutto questo periodo un corso di

“urbanistica”. Ma, quando avevo quasi cinquant’anni, mi sono chiesto se tutte le

cose che insegnavo, sostanzialmente tutte le regole disciplinari che la maggior

parte di voi ha studiato in tutte le facoltà italiane, fossero vere. La legittimazione di

un professore universitario è quella di credere e di verificare che quanto insegna

sia in quel momento una verità: se mi viene il dubbio che non lo sia allora è meglio

ricominciare a studiare e a cercare una nuova verità.

Queste crisi disciplinari non succedono soltanto nel nostro campo: per esempio il

campo delle scienze economiche è in questo momento solcato non tanto dai

problemi di autoflagellazione sulle colpe della crisi finanziaria, quanto proprio dalla

discussione sui principi stessi della teoria economica neoclassica, che moltissimi

studiosi non condividono ormai più ma che sistematicamente vengono ancora

insegnati nelle facoltà di economia.

Il nocciolo della riflessione che sono stato costretto a fare venticinque anni fa – la

sintetizzo rapidamente perché entrando nel dettaglio ruberei tutta la mattinata –

è che voi non potete progettare una città soddisfacendo solo delle sue funzioni

immediate, perché le funzioni dureranno meno dei suoi muri: la consistenza

materiale di una città durerà molto più a lungo di qualsiasi funzione per la quale

l’abbiate progettata, sicché, dopo un po’, decadrà e diventerà un campo di

rovine, di manufatti cioè privi del loro scopo originario. E’ cosa che per esperienza

sapete benissimo, tutti i piani regolatori basati sull’idea che la città dovesse

rispondere a funzioni che fosse possibile individuare attraverso discipline collaterali

(la sociologia, l’economia, la teoria dei bisogni...) hanno fatto in tempo a

dimostrarsi nei miei primi cinquant’anni di vita un fallimento.

Dunque bisognava ricominciare, sicché mi sono chiuso in casa sette anni a

Le dichiarazioni del Sindaco Renzi

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 11

studiare e di queste ricerche vi racconto ora l’esito, pubblicato nei miei libri ma qui

riassunto.

La città è un’opera d’arte, se accettiamo che un’opera d’arte sia un manufatto

progettato per esserlo e che qualcuno lo ritenga tale, e del resto se alzate gli

occhi, queste intenzioni estetiche le riconoscete de visu nella decorazione di

questa sala, che dunque è per questo opera d’arte:1 e anche le città sono

un’opera d’arte, perché se impariamo a leggerle sono impregnate di intenzioni

estetiche.

Le facciate delle case (quelle che vedete fuori da queste finestre2) sono state

infatti costruite con l’intenzione che fossero belle. Questa inattenzione di farle belle

ha i suoi buoni motivi: il fatto è che per appartenere a uno dei centomila Comuni

nati in Europa mille anni fa il cittadino doveva avere il possesso di una casa, e

ancora oggi, se voi vi trasferite a Bologna, lì vi chiederanno il vostro indirizzo,

vorranno sapere dove abitate e a che titolo. Nel resto del mondo non è così; la

società araba – quella di là del Mediterraneo con la quale avevamo allora

contatti continui nella penisola iberica, nelle Baleari e in Sicilia - è organizzata per

clan e quindi la vostra residenza non ha nessun rilievo, l’importante è

l’appartenenza di sangue a un clan, e negli Stati Uniti forse che abbiate una

carta di credito.

Invece in Europa è nata mille

anni fa una civitas aperta - cioè

non fondata su legami di sangue

che da un lato sono irreversibili e

che dall’altro sono impossibili da

acquisire dopo la nascita - una

civitas della quale potete a

pieno titolo diventare cittadini

anche trasferendovi da un’altra

città, purché nella nuova

abbiate il possesso di una casa, e

siccome la civitas è anche una

società mobile ciascuno di noi

mostra la propria collocazione

nella geografia sociale cittadina

nella facciata della sua casa. Se

infatti la condizione per essere

cittadini è quella di avere il

a piazza di Siena con le sue varie facciate dipinta da

Ambrogio Lorenzetti nell’affresco del Buongoverno nel

palazzo dei Priori

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 12

possesso di una casa e questa è una società mobile, in cui il vostro status non è

quello della nascita ma quello che voi conseguite col vostro lavoro, la facciata

della casa è decorata per mostrarlo a tutti gli altri cittadini. Ecco qua: palazzo

Strozzi mostra uno status che è diverso da quello riconoscibile nelle facciate delle

case che vedete là di fronte oggi3.

Se da dieci secoli le facciate delle case delle città europee sono in qualche

misura decorate, perché chi le abita possa mostrare a tutti la propria collocazione

sociale, possiamo dunque affermare che sono un’opera d’arte, perché sono state

fatte con l’esplicita intenzione di farle belle.

Questo non è mai successo nelle città arabe, fatte di muri bianchi con lievi

aperture che, se erano decorate come a Sanaa, lo erano con motivi standard

ripetuti senza alcuna relazione con la condizione sociale dei loro abitanti, perché

non aveva alcun senso mostrare esternamente uno status, dal momento che la

condizione sociale di ciascuno era quella del clan cui apparteneva, a sua volta

chiuso in se stesso: al Cairo all’inizio dell’Ottocento c’erano ottanta enclaves

completamente chiuse, che aprivano le porte al mattino e le richiudevano la

sera, e lì dentro abitava un clan.

I cittadini tutti insieme esprimono poi il rango della loro città rispetto alle altre

attraverso i temi collettivi. Il palazzo municipale dove stiamo, la chiesa principale, il

teatro, il museo, la biblioteca, il giardino pubblico - e molti altri che elenco nel mio

primo libro, L’estetica della città europea - sono temi comuni a tutte le centomila

città europee, villaggi o capitali che siano, ciascuno con l’architettura più

elegante e rappresentativa che la manifestazione del proprio rango suggeriva a

L’immaginaria piazza di Alessandria d’Egitto

dove Gentile Bellini dipinge le nude facciate

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 13

ogni città, e li troverete sempre medesimi da Edimburgo a Trapani o da Siviglia a

Danzica.

Questo ha fatto sì che i problemi dell’immigrazione per mille anni siano stati

attenuati dal fatto che chi si spostava da una città all’altra e nella nuova

prendeva possesso di una casa, trovava anche i medesimi temi collettivi della sua

città d’origine e quindi era immediatamente ipso facto integrato nella nuova

dalla sua capacità di comprenderla. E’ uno dei grandi problemi che abbiamo

con gli immigrati da altre civiltà, per esempio gli immigrati della civiltà islamica,

perché mancando altrove questi temi collettivi manca anche il loro meccanismo

di integrazione simbolica, sicché per loro oggi la città non funziona più come ha

funzionato per secoli, come veicolo di integrazione degli immigrati.

Tutto questo però non ci autorizza ancora a dire che la città sia un’opera d’arte,

perché se lo sono le case e se lo sono i temi collettivi, fatti esplicitamente per

essere i più belli possibile nel confronto con gli altri cittadini e con le altre città, non

potremmo asserire che la città nel suo insieme sia un’opera d’arte se noi in

Europa non avessimo inventato le piazze e le strade tematizzate, che non esistono

in nessun altro paese, in nessun’altra civiltà.

Le piazze sono una specifica invenzione europea, che le città dell’Islam o della

Cina non hanno né conoscono. La piazza principale è nata alla fine del

dodicesimo secolo davanti al palazzo municipale come sede appropriata

dell’assemblea cittadina che eleggeva il consiglio la cui sede appropriata era nel

suo salone d’onore, nel salone dei Cinquecento. In seguito sono nate altre piazze

ciascuna con il suo nome: la piazza del mercato, la piazza davanti al convento -

davanti a Santa Croce, a Santa Maria Novella, a San Marco -, poi la piazza della

chiesa, poi le piazze monumentali, con un’architettura coordinata intorno come

la piazza dell’Annunziata, infine le piazze nazionali, dedicate alla gloria della

nazione.

Poi ci sono le strade tematizzate: la strada principale con i negozi di maggiore

rilievo, come via dei Calzaiuoli, poi la strada monumentale dove si addensano i

palazzi dei maggiorenti di una città oppure, come gli Uffizi, progettata apposta

con un’architettura unitaria; poi ci sono le strade trionfali, che a partire dal

Duecento hanno in fondo una porta o se possibile un tema collettivo o comunque

un edificio rilevante; e infine le passeggiate, i boulevard, i viali alberati che escono

dalla città nella campagna. Queste strade tematizzate si distinguono dalle strade

dove semplicemente si affacciano le case, sicché ogni città è immaginabile

come una grande rete simbolica di strade e di piazze tematizzate sullo sfondo

delle vie minori:

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 14

e qui nasce ed è discernibile e leggibile la volontà estetica della città.

Ogni tanto matura lentamente in Europa un nuovo tema collettivo, una nuova

strada o una nuova piazza tematizzata, come quando nel tardo Cinquecento

arrivò a Firenze la passeggiata, proveniente da Siviglia intorno al 1575, poi

passata a Valencia, e diventata in seguito il prototipo delle passeggiate europee,

quando Maria de’ Medici, che aveva a Firenze la consuetudine di una

passeggiata serale in carrozza alle Cascine, arriva a Parigi sposa di Enrico IV e

pretende davanti alle Tuileries il corso della Regina, sul bordo della Senna invece

che sulla riva dell’Arno: non si era mai vista una strada larga 80 metri e lunga 800,

che diventerà il modello di tutte le passeggiate che tutte le città d’Europa, dal

villaggio alla capitale, cercheranno di imitare, beninteso ciascuna alla propria

scala.

Quando matura in Europa un nuovo tema collettivo ogni città si domanda dove

disporlo e naturalmente sceglierà il posto dove fargli fare miglior figura. E dove

farà miglior figura? Per esempio in una strada o in una piazza già tematizzata, la

loggia dei Lanzi in piazza della Signoria qui a Firenze o i teatri nel boulevard du

Temple a Parigi. E se arriva una nuova strada o una nuova piazza tematizzata la

traccerà in sequenza con le strade tematizzate già esistenti.

Dunque la disposizione delle piazze e delle strade tematizzate e dei temi collettivi

in una città è l’esito di un’intenzione estetica deliberata e perfettamente leggibile,

un’intenzione estetica che si confronta con un’intenzione estetica analoga

dispiegata in tutte le altre città europee. Perché? perché nello stesso momento

tutte le città si trovano a dover esaltare i medesimi temi collettivi.

La strada principale di una città è quasi sempre disposta tra la piazza principale e

quella che in quel momento era l’uscita ritenuta più importante. Qui è via dei

Calzaiuoli che andrà formandosi tra piazza della signoria e il duomo, allora ai

margini settentrionali della città, con una evidente e leggibile intenzione estetica

che ci consente di confrontarla con un’altra altrettanto leggibile intenzione

estetica di un’altra città: non solo cioè l’intenzione estetica è esplicita, ma è

anche leggibile, perché chiunque comprende lo stile di quella specifica città

facendo un confronto con le altre che conosce.

Questa è Firenze4: vedete qui gli Uffizi disposti in sequenza con la piazza

principale cui segue la strada principale, via de Calzaiuoli, che arriva davanti al

duomo (Firenze non avrà mai una vera piazza del duomo – le piazze davanti alla

chiesa sono state inventate agli inizi del Quattrocento, sicché molto spesso le

chiese costruite prima non hanno una piazza davanti). Di seguito la strada

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 15

monumentale, via Larga,

avviata da Cosimo de’

Medici con il suo palazzo,

tracciata in modo da essere

in sequenza con la piazza

del convento di San Marco e

che molto tempo dopo verrà

conclusa con piazza della

L i b e r t à , u n a p i a z z a

monumentale circondata

d a u n ’ a r c h i t e t t u r a

omogenea e origine dei

boulevard.

Questa sequenza, che attraversa la città, è poi intersecata da altre sequenze

minori: piazza Indipendenza, di nuovo piazza San Marco, piazza dell’Annunziata,

una piazza monumentale con la statua del granduca sottolineata dalla strada

trionfale di via dei Servi.

Queste sequenze poi continueranno al di là dei boulevard in altre piazze disposte

deliberatamente in sequenza con quelle che già c’erano, con una volontà di

continuità che riconoscete anche Oltrarno nella sequenza che parte da San

Lorenzo, che tocca piazza della Repubblica per poi arrivare davanti a palazzo

Pitti e al teatro.

Eliminata la rete delle vie semplicemente residenziali la città, quella costituita dalle

piazze tematizzate e dai temi collettivi, emerge come un’opera d’arte, perché

abbiamo visto ed è evidente l’intenzione estetica con la quale strade e piazze

tematizzate sono state disposte in sequenza una dietro l’altra: ci si immaginava

infatti che disponendole con una certa ratio estetica la città sarebbe stata più

bella. Cosimo de Medici costruisce il suo palazzo in via Larga perché è

consapevole che qui potrebbe continuare una cospicua sequenza rettilinea già

tracciata ma anche suggerisce una sequenza a croce, una figura copiata

vent’anni dopo a Ferrara da Biagio Rossetti, dove il palazzo dei Diamanti sarà

disposto con la stessa collocazione rispetto alla croce di strade con cui è disposto

il palazzo di Cosimo de’ Medici: ecco comparire un’altra consuetudine estetica

come quella della sequenza piazza principale>strada principale.

Ora tocchiamo il vero problema: la città europea è una città aperta, perché

chiunque ne potrebbe far parte, è mobile, perché una volta che ne sia divenuto

cittadino, chiunque può trovarvi una collocazione e uno status appropriato, e

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 16

infine è democratica. L’essere democratica non ha tanto a che vedere con il

meccanismo di elezione dei suoi organismi di governo, quanto col fatto che è

ideologicamente egualitaria, cioè tutti i suoi cittadini, purché abbiano il possesso

di una casa, hanno il diritto di avere un loro proprio punto di vista su qualsiasi

questione. Poi beninteso il diritto di voto varia, il modo in cui vengono eletti i

rappresentanti della civitas è ondeggiante, e ancora oggi i problemi tecnici delle

elezioni restano sempre sul tappeto, ma resta il carattere fondamentale che i

cittadini dovrebbero essere sempre percepiti come eguali perché, come

dicevano i trattatisti dell’epoca, l’invidia sociale è il primo motore della sedizione.

Ma la città, la nostra città europea, da mille anni produce disuguaglianze, perché

siamo fautori della libertà di iniziativa e quello che Max Weber chiamava ‘l’homo

oeconomicus’ - nato intorno al Mille in Europa – con le sue diverse attività

individuali produce differenze nella ricchezza cui corrisponde una gerarchia

all’interno della città, una gerarchia che entra in conflitto con la sua immagine

egualitaria.

Per questo fin dal Duecento tutte le città adottavano disposizioni per impedire

che la ricchezza fosse mostrata in pubblico in maniera eccessiva: le donne

potevano avere soltanto due vestiti e occorreva registrarli, il numero degli invitati

a un pranzo di nozze era rigorosamente fissato, il numero delle portate era

contato, il numero dei polli per ogni portata era sottoposto alle leggi suntuarie ed

era persino vietato avere le lenzuola di lino, perché troppo preziose: a Venezia poi

tutte le gondole erano nere e tutte uguali.

Ma se questa strategia delle leggi suntuarie poteva continuare ad avere una sua

efficacia, rimaneva il problema della casa, della differenza tra palazzo Strozzi e le

case qui di fronte. Pensate al sogno di Leon Battista Alberti, nella tavola di Urbino,

che ha davanti i palazzi in pieno stile rinascimentale e sullo sfondo le case degli

artigiani, anch’esse decorate ma con una qualità architettonica deliberatamente

diversa.

La tavola albertiana a Urbino

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 17

Che i palazzi siano diversi dobbiamo accettarlo, perché poi i palazzi più

ragguardevoli, quando non intendano mostrare la volontà di primeggiare nella

sfera politica cittadina, sono per la loro bellezza un ornamento condiviso della

città, ma resta il problema che il sito della casa nell’urbs è diverso per i diversi ceti

sociali. Sebastiano Serlio, intorno al 1516, rileva questa differenza osservando che

le famiglie più ragguardevoli abitano nel centro della città, vicino alle piazze e ai

luoghi nobili, mentre invece i poveri abitano vicino alle porte. Siccome i temi

collettivi sono prodotto della collettività, i ricchi stanno più vicini alle piazze, ai

luoghi nobili, perché questa vicinanza conferma nell’urbs la loro egemonia, o

quantomeno la loro disposizione al vertice della gerarchia della civitas.

La periferia è quella cosa lì: la periferia da mille anni sono quei quartieri della città

non solo geometricamente lontani da quel centro dove in maniera privilegiata

vengono disposti i temi collettivi più importanti e dove abitano i più ricchi, ma è

anche il posto dove non ci sono temi collettivi o dove i temi collettivi sono più

modesti.

Questo è stato il grande problema sullo sfondo di come dare forma alla città:

perché l’unica, la vera funzione, il vero scopo della città europea, quello che

permane nei secoli, è stato di consolidare nei muri dell’urbs l’identità delle

persone come cittadini della civitas, e da mille anni l’urbs (salvo negli ultimi

cinquant’anni) costituisce il riconoscimento visibile della dignità di tutti suoi

cittadini, e ha sempre avviluppato nel sentimento della loro identità anche i

cittadini meno fortunati, quelli che abitavano in periferia.

Per evitare che i cittadini dei quartieri periferici fossero sottorappresentati le

soluzioni sono state essenzialmente due: quella di tracciare grandi e vistose strade

tematizzate, in modo che chi abita lontano, anche a distanza rilevante dal centro

cittadino, non si senta perduto – voglio dire che chi abita a sei o sette km dal

centro di Parigi e vede l’Arco di Trionfo in fondo a una strada larga 120 metri non

ha di certo l’impressione di essere in periferia, ha la sensazione di essere

pienamente coinvolto nella dimensione simbolica della città. Ma chi abita nelle

banlieues moderne, dove ormai mancano tutte le strade e le piazze tematizzate,

è spesso non soltanto un emarginato sociale ma anche un emarginato simbolico:

lì inizia il deserto del senso, lì manca il riconoscimento collettivo della dignità delle

persone che vi abitano.

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 18

Ecco allora come la

faccenda è s ta ta

a f f r o n t a t a a S a n

Giovanni Valdarno, che

voialtri fiorentini avete

fondato alla fine del

Duecento e che è stata

progettata da Arnolfo di

Cambio.

Arnolfo traccia tre

strade: quella in mezzo è,

ovviamente, la strada dei maggiorenti – forse i mercanti, forse i possidenti - tant’è

che le case sono di tre piani, mentre le due strade laterali sono destinate le case

degli artigiani e dei popolani, alte solo due piani. Queste due strade secondarie

sfociano da un lato sulla piazza principale proprio come la strada principale, e se

quest’ultima è dal lato opposto tematizzata dalle due porte della città, Arnolfo,

che non può ovviamente disporre un’altra porta, può però tematizzarle con una

torre delle mura: torri, se guardate bene, il cui posto geometricamente corretto

sarebbe a metà del tratto delle mura, ma che sono state deliberatamente

spostate per fare da fondale alle due strade secondarie, in modo da evitare, nei

limiti del possibile, la sensazione di emarginazione sociale di chi le abita.

Questa è invece la città modello di

Eiximenis, un teorico catalano della

fine del Trecento, che suggerisce

un’altra maniera per risolvere lo stesso

problema, ed è a dire una piazza

principale e quattro quartieri, ciascuno

con al centro una sua piazza, in modo

che il cittadino ritrovi comunque un

riconoscimento simbolico all’interno

del proprio quartiere: una piazza con il

convento perché, come ho detto

prima, la piazza della chiesa non era

ancora stata inventata.

Page 19: Atti Ritorno alla Città 2009 Bassa

RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 19

Questo disegno dovreste conoscerlo

tutti, perché avete studiato in una

facoltà d’architettura, è la Sforzinda,

con otto strade maggiori dalla piazza

centrale alle porte tra le quali otto

quartieri – è esattamente lo schema

di Eiximenis che avete visto prima,

solo in forma circolare e con otto

strade maestre anziché quattro – con

la loro piazza, percorsi da una strada

che da un lato ha accesso alla

piazza principale della città e

dall’altro, come a San Giovanni

Valdarno, è chiusa dalle mura.

Questa è la pianta di Palmanova,

con tre strade maestre dove sono

disposti i palazzi più importanti e

accanto, da una parte e all’altra, un

quartiere, esattamente come l’avete

visto prima nel disegno della

Sforzinda: per via di questo schema

geometrico, di mettere una strada

principale con ai lati due filari di case

importanti e poi due quartieri con le

loro piazze, Palmanova ha nove lati.

Andiamo oltre. Alla fine del

Settecento, la Rivoluzione francese,

in una notte di luglio - faceva caldo,

erano già le tre o le quattro di mattina - prende la decisione che il proprietario di

un terreno ne possa disporre in tutti i modi possibili, anche di costruirci a piacere –

una grande decisione rivoluzionaria.

Ecco che nel corso dell’Ottocento tutte le grandi città si pongono il problema di

come preservare almeno il sedime delle strade che sono tuttavia necessarie per

servire i lotti dei privati, e studiano piani urbanistici (questo è il piano di Milano) in

cui disegnano la rete stradale di tutto il territorio, limitando così la libertà assoluta

di costruire sul proprio terreno.

Page 20: Atti Ritorno alla Città 2009 Bassa

RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 20

In se stesso disegnare l’intera rete

stradale di una nuova città non

costituisce una novità – che altro

avevano fatto dopotutto Arnolfo a

San Giovanni Valdarno o L’Enfant a

Washington? – ma nel progetto di

M i l a n o è e v i d e n t e l a

preoccupazione di assicurare una

adeguata tematizzazione anche ai

quartieri più lontani dal centro, da

un lato attestando sulla cerchia

interna dei boulevard passeggiate lunghe più di due km e larghe 90 metri, la

stessa larghezza degli Champs Elysées, chiuse come viale Argonne dalla vista

trionfale di una nuova chiesa, e dall’altro aprendo cinture di boulevard sempre

più ampi andando verso la periferia, 30 o 40 o 50 metri.

La stessa cosa la vediamo

nel piano di Barcellona. La

parte meno rilevante di

questo piano sono gli isolati

quadrati con gli angoli

smussati, mentre la parte

i m p o r t a n t e è l a

tematizzazione dei quartieri

nuovi. Mentre nel progetto

di Milano, Beruto ha

i m m a g i n a t o c h e g l i

conveniva d i spor re i

b o u l e v a r d s c o n u n

a n d a m e n t o c i rc o l a r e

intorno alla città antica, qui, demolite le fortificazioni, Cerdà ha tracciato grandi

boulevard diritti ma sempre con il medesimo scopo, fare in modo che i cittadini

che abitano lontani dal centro non si sentano emarginati, perché abitano

accanto a un boulevard largo 50 metri che sicuramente non è la strada di un

piccolo paese e che li conduce verso il centro della città, boulevard intersecati

da larghe passeggiate come quella disposta in sequenza con il parco realizzato

Page 21: Atti Ritorno alla Città 2009 Bassa

RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 21

al posto della cittadella e conclusa sulla Gran Via da un arco di trionfo e come

quella della Expo degli anni Trenta con il celebre padiglione di Mies van der Rohe.

Tutta l’attenzione dei progetti di allora era quella di fare in modo di coinvolgere la

città intera nella sua sfera simbolica, che non è fatta dal reticolo delle vie

residenziali e dagli isolati ma è costituita da queste grandi strade tematizzate, che

si distinguono per la dimensione e per la sequenza nella quale sono disposte.

Questo è il problema che abbiamo di fronte da mille anni, e queste che ho

illustrato sono le soluzioni che sono state messe in campo per risolverlo o quanto

meno attenuarlo.

Da cinquant’anni la parte nuova delle città è stata progettata, su istigazione

delle avanguardie artistiche, cancellando le strade e le piazze tematizzate, le

passeggiate e i boulevard che Le Corbusier chiamava icasticamente rue corridor.

Il risultato sono periferie dove abitano persone che non vedono riconosciuta la

loro dignità di cittadini, e che potrebbero abitare invece che in questa città da

qualsiasi altra parte, in qualsiasi altra città, senza che esista una testimonianza

visibile e consolidata del loro essere cittadini di Firenze.

L’essere cittadino di una città vuol dire partecipare anche della discussione

collettiva sui suoi problemi, ma prima di tutto di avere il riconoscimento della

propria appartenenza alla città e quindi del diritto ad avere la propria opinione: e

la condizione fondamentale della nostra

vita, ma non soltanto nella nostra

società, è che esistano segni visibili e

riconoscibili della nostra appartenenza.

Di questa faccenda c’è consapevolezza

in giro per l’Europa: non è che qui noi

viviamo in un modo isolato.

Questo è il caso dei nuovi quartieri di

Madrid progettati a partire dal 1985 che,

vedete, sono disposti a seguire le

sequenze fondamentali della città

esistente e che adottano, all’interno del

loro disegno, delle passeggiate e delle

strade tematizzate che evocano e

cercano di reimpiegare quelle che si

trovano nella città costruita prima del

1950.

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 22

Ma a mio parere questo è un disegno troppo grossolano, perché la grana del

progetto ha una scala eccessivamente grande, sicché vi mostro due progetti

che ho studiato con una grana più minuta, più consona a quella che chiamiamo

dimensione umana e che altro non è che la scala appropriata al nostro habitat.

Questo è il progetto del piano regolatore di Modena, affidato a sequenze di

strade e di piazze tematizzate.

Il problema è stato quello di ridisegnare l’intera rete delle strade e delle piazze

tematizzate nella misura umana, cioè con la varietà e con le distanze con le quali

sono state disegnante le città di una volta. Naturalmente le dimensioni sono un

po’ diverse da quelle del centro storico, ricopiarle sarebbe una stravaganza, ma

vedete che abbiamo una sequenza, ad esempio la piazza di una chiesa, un

boulevard che è più stretto, poi diventa più largo nella piazza dove c’è una

scuola, poi incontriamo una passeggiata che ci conduce al centro. Poi

incontriamo un tema collettivo là dove le strade divergono, qui c’è una piazza

monumentale, là c’è una piazza del mercato. Qui ci sarà una piazza con le

scuole, qui c’è il teatro con di fronte una sua piazza, qui l’ingresso del giardino

Page 23: Atti Ritorno alla Città 2009 Bassa

RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 23

pubblico, qui all’incrocio con la tangenziale è anche possibile immaginare due

grattacieli che inquadrano la vista lontana dalla Ghirlandina, il simbolo della città.

Ma questa attenzione per il simbolo c’è anche in questa strada, una strada

pedonale, ciclabile al massimo, che ha lo scopo di fare in modo che tutti quelli

che abitano in questi quartieri nuovi sgangherati abbiano (come si dice: ‘anche

noi poveri abbiamo diritto alla nostra parte di felicità’) la prospettiva di questa

strada tematizzata dal lontano dal simbolo della città.

C’è poi un problema di recupero delle periferie: vedete qui in fondo, sulla sinistra,

questo viale curioso sul quale sono stati affacciati una serie di isolati costruiti

intorno a un giardino comune, dove giocano i bambini, e che costituisce una

sorta di verde blindato all’interno della città: ma questo viale non va da nessuna

parte, e il nostro progetto si propone di legarlo alla rete simbolica di tutte le altre

strade e piazze tematizzate della città.

Infine, vediamo un altro

p r o g e t t o , d e d i c a t a

all’amministrazione comunale

di Firenze, quello di Reggio

Emilia che pone un problema

bizzarro: qui c’è uno stadio -

che esiste già, non come quello

che vorreste fare a Firenze - e

dall’altra parte del tracciato

dell’autostrada, strettamente

parallelo, il tracciato ferroviario

della TAV con la nuova stazione

progettata da Calatrava

Sicché si sono trovati in questa

bizzarra situazione, in cui la

parte futura della città è in

qualche misura polarizzata

dalla stazione ma è anche

separata dalla città esistente.

Abbiamo allora progettato

questa sequenza, con le stesse

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 24

strade tematizzate di Modena, una lunga passeggiata trionfale lungo il fronte

dello stadio che arriva nell’unico posto dove possiamo passare sotto alla ferrovia

e sotto all’autostrada perché i sottopassi esistono già. Qui dobbiamo immaginare

un recinto chiuso come un antico castello qualcosa come un antico castello dove

chi entra non abbia la percezione che sopra gli passa l’autostrada o la TAV: e

questo sarà un compito degli architetti, il mio compito finisce nel disegnare una

città del nord in cui la nuova stazione sarà come tutte le stazioni affacciata su una

sua piazza e avrà davanti un boulevard trionfale concluso da una grande piazza

rotonda, che a sua volta chiudi il motivo della sequenza originata dallo stadio.

Mi preme qui sottolineare ai colleghi, cui va il mio ringraziamento per la pazienza

fin qui dimostrata, che questo è il mestiere di progettare città e che quando il

sindaco

verrà da me a chiedermi di fare un progetto per Firenze, apriremo un grande

laboratorio dove verranno invitati tutti quelli che vogliono esercitarsi in questo

lavoro progettando e imparando con noi, perché si impara a disegnare una città

esercitandosi così.

Grazie.

Note:1 Indica il soffitto a cassettoni del Salone de’ Dugento.

2 Indica fuori dalle finestre le faccite di piazza della Signoria.

3 Indica nuovamente fuori dalle finestre.4 Comincia la proiezione di immagini

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 25

FRANCO PURINI

OLTRE PALAZZESCHI

Il ragionamento proprio in questo intervento parte dal capitolo iniziale di ‘Sorelle

Materassi’ il famoso libo di Palazzeschi, con un riferimento particolare all’edizione

1934. In quelle pagine il grande scrittore fiorentino teorizzava in modo abbastanza

esplicito una differenza genetica tra la collina e la pianura. Per lui la collina è il

luogo di una bellezza che deve essere preservata, mentre la pianura è uno spazio

amorfo dove va a finire tutto ciò che è scarto, rifiuto, disordine, abbandono. ‘ Vi

porterò alcuni nomi di queste colline – scrive Palazzeschi – riuscendo essi, meglio

assai delle parole a dimostrarci tale evidenza: Bellosguardo, e notate che molte

ve ne sono ove lo sguardo è ancora più bello, Il Gelsomino, Gramante, Poggio

Imperiale, Torre del Gallo, San Gelsolè, Settignano, Fiesole, Montereggi, Castel di

Poggio, Montebeni, il Poggio delle Tortore, Montiloro, L’incontro, L’Apparita,

Monte Asinario, il Giogo, Montemorello. Sentite invece i nomi della pianura: Le

Panche, Le Caldine, Peretola, Legnaia, Soffiano, Petriolo, Brozzi, Campi, Quinto,

Quarto, Sesto, anche la fantasia pedestre si spegne, sembrano gli evirati

dell’immaginazione.’ La contrapposizione messa in scena da Palazzeschi oppone

due mondi: da una parte quello della bellezza paesistica rappresentato dalla

collina e dall’altra il mondo del casuale, dell’indeterminato, del caos

contemporaneo. Tale distinzione non si è limitata all’ambito letterario, passerà

successivamente nelle idee relative allo sviluppo di Firenze che Edoardo Detti

formalizza nel suo piano regolatore. Non so se l’urbanista fiorentino conoscesse

questo brano. Comunque, anche se inconsapevolmente fece propria l’intuizione

palazzeschiana e la tradusse nel piano.

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO - 26

La collina è quindi considerata come il luogo dell’intangibilità, della perfezione

ambientale mentre la pianura diventa il luogo della contemporaneità, dove va a

finire ciò che non ha possibilità di far parte di questa immagine mitologica.

All’interpretazione negativa delle espansioni planari se ne contrappone una

positiva. In effetti quando il riconoscimento della pianura come il luogo della

contemporaneità, non è del tutto negativo, contenendo un determinante

versante positivo. Detti intravede nella conurbazione planare, che da Firenze

attraverso Prato arriva fino a Pistoia, un potente asse ordinatore del territorio,

strutturando la pianura secondo modalità avanzate capaci di trasformare in

senso avanzato l’intero sistema della metropolitania fiorentina. A questo proposito

è obbligatorio il nesso che si stabilì negli anni ’60 tra l’elaborazione delle ipotesi

relative alla piana e le proposte innovative elaborate all’interno della Facoltà di

Architettura di Firenze. Leonardo Ricci e Leonardo Savioli dettero vita in quel

periodo a un certo numero di sperimentazioni progettuali delle quali riuscirono a

realizzare alcuni frammenti, che trasferivano il divenuto ben presto celebre

concetto dell’edificazione planare sul piano dell’utopia, aprendo la strada al

lavoro, dei gruppi radicali di cui facevano parte progettisti ancora attivi oggi a

Firenze, come Adolfo Natalini. Per inciso c’è da mettere in evidenza che la scelta

di non edificare la collina ha un’origine più pittorico-letteraria che strettamente

urbanistica. Basta a questo proposito ricordare non solo alcune scene del film

‘Camera con vista’ di James Ivory, del 1987 ambientato nel suggestivo paesaggio

ondulato a est di Firenze, la pittura post-cezanniana di Ardengo Soffici la pittura

neoprimitiva di Ottone Rosai, il quale sembra dedicare straordinarie e opere

pittoriche all’idea endemica del mondo collinare. L’affresco presente nella

caffetteria della Stazione di Santa Maria Novella un canto perfetto alla bellezza di

questo universo. La pittura di Soffici e quella di Rosai sono due cristallizzazioni

temporali del paesaggio dei rilievi collinari, un’affermazione di esteticità assoluta

da contrapporre al tumulto della pianura.

Riflettendo su questa affermazione nasce un grosso problema teorico, che forse

qualche giovane architetto potrebbe affrontare. Firenze è la patria della

prospettiva, che è la scienza e l’arte di assegnare un senso estetico al

distanziamento tra gli oggetti, alla misura dello spazio. Non è chiaro perché,

essendo la prospettiva l’arte di distanziare gli oggetti conferendo a tale atto in

senso estetico il piano, sul quale il problema prospettico è stato impostato e risolto

sia visto negativamente. È come se si costruisse una prospettiva, per non vederla

guardando al di sopra di lei, dove si incontrano i rilievi, che sono non, per così dire

al centro, della regola prospettica. Quanto detto fa comprendere la

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 27

contraddizione messa in evidenza non è tanto un problema di teoria, di storia o di

critica dell’architettura, ma un problema più concreto e ravvicinato di sguardo

progettuale sulla città. Le contraddizioni che sono presenti oggi nella cultura

architettonica fiorentina, derivanti da questa contrapposizione, sono pienamente

simboleggiate a Novoli dal grande Tribunale di Leonardo Ricci, il cui linguaggio è

riconoscibile pur se l’opera non è stata eseguita del tutto secondo il suo progetto

e, accanto, dal quartiere di Leon Krier, sapientemente interpretato, sul crinale tra

modernità e altra modernità, da Natalini. Lì si rispecchiano due concezioni diverse

dello sviluppo planare. Da una parte l’idea di Leonardo Ricci che lo considera

come il luogo di nuovi monumenti che non cercano più il sostegno autorevole

dello sfondo collinare, ma si radicano coraggiosamente nella pianura

esaltandola. L’edificio si trasforma esso stesso in collina autonoma, profilandosi

aggressivamente sull’edilizia circostante. Questa scelta si confronta con

l’atteggiamento più mimetico e si potrebbe dire più strategico di Krier e Natalini, i

quali riecheggiano la strutturazione dei centri storici attraverso un disegno che

presenta alcune sinuosità, alcuni accidenti planimetrici del tipo di quelli che il

tempo sa produrre. Sinuosità e articolazioni stratificate che possono essere imitate.

L’area di Novoli è molto interessante. Essa lo è ancora di più da quando si è

aggiunta agli altri edifici l’opera di Giorgio Grassi, che interviene in questo

conflitto schierandosi dalla parte di Natalini recuperando in senso elevato la

concezione albertiana di città. Si tratta di un esperimento storicistico-accademico

sinceramente ispirato, condotto fino in fondo con rigore logico e poetico. Vista la

negatività iniziale dell’edificare della pianura, come estrema razio, che quello

che è venuto fuori in pianura sia tutto negativo e molti fiorentini con i quali sono

da molti anni in contatto vedono l’espansione interna in termini molto negativi,

parlano della periferia fiorentina in termini assolutamente dispregiativi, perché

forse non conoscono quella di Roma. Io quando vengo qui nella periferia di

Firenze trovo parti che sono invece molto apprezzabili. In realtà strutturalmente si

può definire questo contesto diciamo planare fiorentino un incrocio incompleto di

identità. Quindi non è vero che un territorio urbanizzato è disidentitario, una

congerie e un ammasso di non-luoghi, per citare Marc Augè. In realtà ci sono

identità che sono mutevoli, stratificate, metamorfiche, plurali, quindi ci sono risorse

e riconoscibilità dispiegate che bisogna appunto selezionare, mondi che si

attraversano, confliggono, si accordano con strategie chiare e condivise, cioè si

accordano nonostante non ci siano strategie urbanistiche e architettoniche

ancora chiare e condivise. Ciò che ne risulta è un mosaico urbano dai tratti

labirintici nel quale si stagliano centri commerciali, fabbriche, case ripetute, case

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 28

singole, eccetera, un mosaico caotico che aspetta da sempre alcuni interventi

per guadagnare finalmente una sua necessità.

Vorrei dire quelle che sono le mie opinioni su come si possa vedere che cosa si

può fare, prendendo l’esistente per quello che è, quindi senza pensare a piani

astratti di ridisegno di tutto il sistema planare fiorentino. Allora alcune parole

chiare e concettuali sono: densificazione, equivalenza teorica e pratica tra

preesistente e nuovo, cioè evitare un luogo comune della cultura italiana, che è il

privilegiare le tracce del passato. Cioè tutti gli amministratori dicono: ‘ma come ,

abbiamo un patrimonio enorme di contenitori, di edifici, usiamo quelli,

recuperiamo.’ Questa è una strategia sicuramente necessaria, ma non basta,

quindi occorre da una parte recuperare il patrimonio del passato, ma dall’altra

capire che è inevitabile costruire il nuovo. Quindi occorre che si alleino queste

due realtà e non siano costantemente messe in conflitto, come succede di

sentire, io debbo dire, in ogni città. C’è sempre qualcuno che dice: “ma come,

c’è questo, utilizziamo questo”, non se ne può fare a meno.Se ne fa a meno

ufficialmente, tanto si costruisce lo stesso, pensate all’Italia, da Roma in giù. Ecco

l’atteggiamento vincolistico dell’urbanistica ha alimentato il perverso, tremendo,

irrecuperabile fenomeno dell’abusivismo, che è ormai è irrecuperabile. Non

sappiamo cosa fare: da Roma alla Sicilia non è possibile…. Allora: densificazione,

equilvalenza tra il vecchio e il nuovo, semplificazione normativa, scala media:

l’Italia non tollera grandi interventi, la nostra è una cultura urbanistica fatta di

entità limitate. Per esempio la grande edificazione planare fiorentina ha bisogno

che siano rintracciati all’interno di essa corpi urbani limitati, ma a questo ci

arriviamo nelle prospettive operative. Quindi queste sono le parole chiave-

concettuali. Invece le operazioni da fare, secondo me, neanche costose debbo

dire, in gran parte ci sono, ma non sono conosciute, perché non sono portate a

conoscenza della comunità, quindi la gente non le vede, se non a livello

subliminale. Creare una rete verde, in qualche modo rinaturalizzare tutta

l’edificazione planare, riedificazione non a costo zero – niente a costo zero – ma

che si può fare. Si può pensare al verde non come un generico standard, ma

come una rete verde che connette in modo diverso e alternativo ciò che è già

costruito rendendolo riconoscibile, facendo quell’operazione di riprerimetrazione

che consenta di riguadagnare la scala media contro l’invivibilità, ne parlava

anche Marco Romano prima, che è data anche da un altro termine che

aggiungo ai suoi: l’impossibilità di misurare. Spesso cioè l’abitante delle grandi

periferie moderne non sa misurare dove abita e se non sa misurare sta male,

sente dentro di sé una fortissima sensazione di insicurezza. L’insicurezza nasce da

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 29

qui. La base dei fatti del 2005 nelle banlieue parigine nasce da qui, ha alla radice

l’impossibilità di sapere dove si è, non si riesce a sapere dove si abita. Occorre

che siano introdotte nella periferia urbana queste modalità di riconoscimento,

che riutilizzino le aree abbandonate che permettono di capire dove siamo, ci

sono moltissime aree che non si sa di chi sono, non si sa a che cosa servono, ma

che possono avere un ruolo estremamente diverso, ridisegnare limiti e margini

precisi, perché senza limiti e margini precisi io non riesco a misurare e provo quella

sensazione di spiazzamento e di disorientamento che è veramente perversa. A

volte ci capita di provare questa sensazione tremenda di non sapere dove siamo,

abbiamo perso la strada. Ecco, nelle periferie contemporanee e in quella

fiorentina, questa sensazione è fortissima. Poi bisogna riattivare un ciclo, anche

economicamente (premi di cubatura), che introduca l’architettura sostenibile

come pratica costante. Però per farlo non è che ci si può limitare al politicamente

corretto: ‘ah, sarebbe bello avere un’architettura sostenibile’, ma bisogna fare in

modo che la gente capisca che gli conviene, quindi abbattere le case obsolete

(ce ne sono tantissime), ricostruire con interventi sostenibili, magari con premi di

cubatura o con altre facilitazioni che i comuni possono benissimo mettere in atto

e quindi rinnovare un patrimonio edilizio che in Italia è molto scadente. E poi in

questa seconda operazione bisognerebbe attivare procedure di sperimentazione

che contemplino anche la partecipazione. Non sarebbe male riprendere spunto

da alcune grandi esperienze che si sono avute in Italia, penso alla stagione di De

Carlo, per fare degli interventi veramente concordati con la popolazione del

quartiere, cosa che invece non è stata fatta con la ricostruzione dell’Aquila. Io

non ho visto i risultati, il governo sarà stato anche efficiente, ma certo se è

mancato il momento partecipativo, la cosa non può alla fine avere un buon

risultato, perché verrà sempre vista come una cosa buona che viene però da un

altro contesto e che non è stata scelta. La terza misura, per così dire, è la

localizzazione di un sistema di architettura di qualità, di landmark, architettura

prevalentemente pubblica, che dovrebbe ridisegnare appunto un circuito di

riconoscibilità. Come diceva Marco Romano nei tessuti, abbiamo la regola aurea

dei 300 m., sappiamo che se gettiamo punti non più lontani dei 300m. tutto

diventa permeabile e la gente può possedere capillarmente il proprio spazio di

vita. Perché quello che manca nella nostra città è un possesso che non è fisico,

ma è mentale, emotivo e quindi sociale, quindi diventa valore di scambio

fondamentale; se manca questo ce lo dobbiamo mettere. E questo si può fare

perché sono operazioni che hanno un costo, ma non un costo impensabile, anzi si

potrebbe pensare che questo costo rientri nella normale manutenzione urbana,

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 30

quindi bisogna spostare le attività cittadine di manutenzione verso un piano di

miglioramenti anche modesti, perché, non è che si possa ridisegnare tutto, ma

credo che in questo modo si possano ottenere dei risultati di grandissima

importanza. Diciamo che a fronte di un intervento pari a dieci, si può benissimo

ottenere un risultato pari a 80, 90, e sarebbe già miracoloso. Una città come

Firenze potrebbe già arrivare a mettere in atto queste pratiche. In questo modo, e

qui chiudo, si potrebbe andare oltre Palazzeschi e riconciliare il mondo della

collina, che è rimasto ideale, favoreggiato, che è rimasto ancora ciò per cui

vengono i turisti (e ci vengono anche a vivere), col mondo, per adesso trascurato,

negativo, della grande espansione urbana, di pianura, in modo tale che questi

due mondi, finalmente dopo secoli, possano per così dire, stabilire un accordo. Il

tutto sotto il segno di un’altra introduzione celebre che riguarda Firenze, di Mary

McCarthy, che descrivendo Firenze apre con la Loggia dei Lanzi davanti a

Palazzo Vecchio e dice: ‘Mai vista in una città un’immagine di violenza e di

terrore così forte’. Quindi se c’è violenza alla radice di Firenze, come c’è nelle

radici di tutte le città, ma qui particolarmente avvertibile come appunto si è

accorta Mary Mc Carthy, questa stessa violenza significa forza, significa energia,

proprio quella che sarebbe necessaria per compiere questo atto d’amore verso

quei due mondi, collinare e planare, attraverso il quale si possano di nuovo

incontrare.

Grazie.

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO - 31

GABRIELE TAGLIAVENTI

NUOVE CITTÀ ECO-COMPATTE PER IL MONDO CHE ESCE DALLA CRISI

Desidero ringraziare gli

organizzatori di questo

c o n v e g n o e ,

ovviamente, il Comune di

Firenze che mette a

disposizione una tale sala

che, appunto, non è

indifferente al tema del

convegno. Devo anche

dire che ho annotato la

frase del Presidente

dell’Ordine il quale,

stamattina, ci ha ricordato

come la città sia fatta di cittadini. Sembra, una cosa talmente semplice da

passare inosservata, ma, poiché è l’argomento della mia relazione, vorrei partire

proprio da qui.

Viviamo in un’epoca che, con un po’ di sano ottimismo americano, possiamo dire

che esce da una grande crisi, dalla peggiore crisi economica dal 1929. Non ne

usciremo immediatamente, ci saranno dei periodi ancora turbolenti, un po’ come

quando viaggiamo in aereo sull’Atlantico e incontriamo le usuali turbolenze,

ormai, però, la rotta è stata decisa. Il governatore della FED, Ben Bernanke, è

stato bravissimo, i governi hanno messo in gioco una quantità di denaro

spaventosa, la seconda depressione è evitata.

Il problema è, oggi, che il mondo sarà differente da quello che ha visto svilupparsi

la crisi, ma il problema può diventare un’opportunità. Il mondo sarà diverso da

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO - 32

quello che conosciamo, soprattutto di quello degli ultimi decenni del secolo

passato e dei primi anni di questo nuovo. Il tema centrale credo sia quello di

costruire una città efficiente: accessibilità, densità, (ed è importante che in questa

sala non sia stato il primo ad usare questa parola, che era politicamente molto

scorretta fino a qualche tempo fa), trasporto pubblico, perché, se teniamo a una

qualche idea di sostenibilità, dobbiamo inevitabilmente fare una politica di

trasporto pubblico.

Usciamo quindi da una crisi e ci domandiamo, esistono immagini di questa crisi?

Sì, che esistono, siamo pieni di immagini di questa crisi. Questa è una di quelle che

mi piace di più: siamo in Cina e credo che sia un magnifico esempio di sviluppo

dissennato che la crisi

economica ha reso

assolutamente evidente.

(fig.1) Ci sono dei

grattacielozzi buttati lì

come dei dadi, i miei

amici americani dicono:

“come gente colpita da

un ictus, gente che è

incapace di articolare

parole e frasi compiute.

H a p r o b l e m i d i

ar t ico laz ione e d i

gesticolazione. E' come

regredita a una fase

infantile e getta gli

edifici sul territorio come dei dadi”. Come vedete il territorio fa una brutta fine.

L’architettura fa una brutta fine. L’economia fa una brutta fine: queste tre cose

sono collegate.

Una delle immagini di questa crisi è l’arresto delle costruzioni, succede in migliaia

di casi, la fonte di questi dati è l’associazione dei costruttori di skyscrapers. I

grattacieli sono uno dei simboli più facili da individuare, i più naive (che tutti noi

vorremmo costruire, allettati dal nostro ego e dalle parcelle colossali), ma il

crepuscolo dei grattacieli in quasi tutto il mondo, è un’altra immagine di crisi.

Ci sono decine e decine di articoli su questo, ci sono questi grattacieli interrotti,

(fig. 2) per cui uno non sa più se sono delle sculture, dei progetti dell’avanguardia

contemporanea. Invece, molto semplicemente, le maestranze se ne sono

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 33

andate, le banche o le

compagnie di costruzioni

hanno fatto bancarotta ed è

un’immagine di questa crisi,

un’altra delle immagini di

questa crisi.

Molte città hanno pensato,

nella maniera più naive

possibile, che, per divenire

moderni, bastava costruire un

grattacielo. Una ricetta che va

bene nelle periferie di tutt'Italia,

da Bolzano a Caltanissetta,

ovunque. Si fa un grattacielo e siamo moderni! Non ci sono soltanto i grattacieli,

questi meravigliosi simboli fallici, e adesso abbiamo visto che, per aderire di più

alla realtà, al processo naturale di degenerazione, vengono addirittura fatti storti.

Geniale. Per meglio aderire al

problema organico di cui

soffrono moltissimo maschi

adulti, adesso i grattacieli li

fanno storti.

Ma ci sono anche le villettopoli,

la crisi è infatti cominciata

nell’analogo americano di

villettopoli, con i subprime,

questi enormi suburbs che le

banche hanno finanziato e che

oggi si presentano così (fig. 3),

completamente abbandonati.

Negli Stati Uniti in centinaia e

centinaia di casi hanno

provocato le foreclosures, oggi resta questo: non c’è nulla, non c’è più nulla.

E Google Earth è un altro dei fantastici strumenti che abbiamo a disposizione per

evitare di ripetere gli errori del secolo passato. Se guardate l’immagine in basso a

destra, potreste essere attirati dal verde, da questo bel verde, da questo enorme

square. Qui siamo a Detroit e quel verde non è tanto bello, perché se guardate le

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 34

immagini in alto a sinistra

vedrete lo stesso quartiere

nel 1949. Cioè, nel 1949

c’era un quartiere dentro

quello square. Lo square

c’è non perché ha fatto un

piano Olmsted o Burnham,

come a San Francisco, a

Boston, a Washington D.C.,

ma c’è perché quest’area

è stata abbandonata,

perché Detroit è passata

da 2.200.000 abitanti a

600.000 abitanti e se Marchionne non fa un miracolo, Detroit nei prossimi anni

svolgerà il ruolo di set gratuito per film di fantascienza come Robocop o Robocop

2. Non c’è bisogno di costruire scenografie, si va a Detroit e quello che vedete è

quello che rimane della città. Questa è un’altra immagine (fig.4), siamo nel centro

di Detroit, tutto quel verde che vedete non è verde di una città giardino, è il verde

di isolati che sono stati distrutti, cioè tutte le case sono state distrutte perché la

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 35

gente se n’è andata e se la casa rimane in piedi diventa pericolosa perché ci

vanno le gangs di robocops, eccetera. Allora c’è un servizio federale, (non della

città, perché non ha i soldi) che demolisce gli isolati, e quindi quello che voi

vedete adesso è questo patchwork di verde e di spazi che sono ideali per le

ambush, cioè le imboscate. Da questo fenomeno deriva il fatto che a Detroit non

esiste un valore del mercato immobiliare, perché semplicemente nessuno ci vuole

andare ad abitare. Il prezzo medio di vendita di una casa nel mese di novembre

2009 è stato di 18.000 dollari. Non al metro quadrato. Per l'intera casa.

Ovviamente il presidente americano se n’è accorto, è stato eletto per questo, e

una cosa fantastica è stato il suo statement in novembre. La priorità che

abbiamo, se vogliamo uscire da questa crisi, è costruire una città efficiente.

Lui è andato oltre ovviamente, ha detto: una città compatta e basata sul

trasporto pubblico.

Immaginate cosa vuol dire nella nazione che ha prodotto GM, Chrysler, Ford; due

delle tre, non vi sfugga, hanno dichiarato bancarotta. Di questi temi noi ce ne

occupiamo a Bologna con la quinta edizione della nostra triennale “A vision of

Europe”, dove sono mostrati ottantotto progetti di città eco-efficienti, costruite,

quindi non sono idee, e questo è il catalogo (fig. 5) 1.

Perché dobbiamo farlo? Perché è una priorità. Solo negli Stati Uniti?

Ovviamente no.

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 36

Qui abbiamo un parallelo (fig. 6), uno dei tanti che abbiamo costruito, che mostra

un problema, se volete direttamente legato al debito pubblico italiano.

Abbiamo in alto una

serie orizzontale data

di tre città, quella

centrale è quella

dove v ivo , c ioè

Bologna, e poi a

sinistra Bilbao e, a

destra, Palma di

Maiorca. Se leggiamo

questa immagine

orizzontalmente le tre

città hanno la stessa

popolazione, circa

3 7 0 . 0 0 0 a b i t a n t i .

Bilbao ne ha un po’

meno, 356.000. Però

Bilbao e Bologna

hanno due rette

parallele che indicano

il loro andamento

demografico negli

ultimi 40 anni: Bologna

da 500.000 abitanti, mai raggiunti, nel 1971 oggi ne ha 370.000, quindi per strada si

è persa la città dove insegno, cioè Ferrara. E se la città è fatta dai cittadini,

dovete capire che amministrare una città non è più un problema di Destra o di

Sinistra, ma di avere un progetto per ricostruirla.

Chi amministra questa città, amministra una fantastica città che nel giro di

trent’anni ha perso il 20% del proprio reddito e poi è stata talmente intelligente

che nel 1971 si estendeva su 5.000 ettari di territorio urbanizzato e oggi,

ovviamente, poiché ha perso 130.000 abitanti, il territorio urbanizzato è cresciuto

fino a 9.000 ettari, cioè quasi raddoppiato. Se lo fate in un’azienda privata, questa

dovrà presentare i libri in tribunale, perché si chiama bancarotta. Guardiamo

l’immagine a sinistra: Bilbao, duemila ettari.

Duemila rispetto a novemila è meno di un quarto.

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 37

La gente visita Bilbao e dice che a Bilbao, rispetto a Bologna, ci sono il metrò e il

tram. A Bologna non esiste né il metrò, né il tram, perché non si possono fare, la

città è troppo tentacolare e dispersa. Capite che esistono ovviamente delle

ragioni fisiche, scientifiche, perché questo non può succedere. Non è casuale,.

Poi c’è Palma di Maiorca, interessante perché dentro c’è il quarto aereoporto più

grande d’Europa, quindici milioni di turisti ogni anno (quindici milioni: l’Italia, per

avere un’idea, fa trentacinque milioni di turisti all’anno), ci sono tantissime

seconde case e il territorio urbanizzato di Palma di Maiorca riesce ad essere di

7.000 ettari, quindi 2.000 ettari meno della magnifica Bologna, avanzata e civile. È

un bel confronto, questa situazione è trasversale alla politica, cioè a Bologna

abbiamo avuto amministrazioni di Sinistra per 50 anni, ma ne abbiamo avuta

anche una di Destra e la retta del diagramma ha continuato a scendere sempre

nella stessa direzione.

Allora facciamo un altro confronto, questa volta verticale, cioè prendiamo gli

stessi ettari, 9.000, e ci poniamo questa domanda: che cosa sta dentro 9.000

ettari? E scopriamo che c’è una simpatica città che si chiama Parigi, un comune,

un’amministrazione comunale, che sta dentro a 9.000 ettari come Bologna, però,

a dispetto di Bologna, ha, oggi, 2.150.000 abitanti, e, con tutto l’orgoglio che

possono avere i miei concittadini, non riesco a dire che sia più brutta di Bologna.

Questo significa costruire una città in modo efficiente.

Una città di 2.150.000 abitanti su 9.000 ettari. Divisa in 20 città e in 84 quartieri.

Con 6 stazioni ferroviarie, 14 linee di metropolitana, 5 di metropolitana regionale

(RER), ministeri, musei, università, ospedali, parchi, etc.

Bisogna che i nostri amministratori se ne rendano conto. E' evidente che, usciti da

questa crisi, abbiamo altri cinque anni per la prossima bolla e poi altri cinque,

perché questo è il meccanismo. Se non cambiamo il meccanismo, ci ripiombiamo

dentro inevitabilmente, come ci ha spiegato Allan Greenspan.

Questo è un confronto che può esser fatto per tantissime città, un altro che

abbiamo fatto è Modena - San Sebastian: stessa popolazione: circa 180.000

abitanti.

Modena i suoi 180.000 abitanti li disperde su 4.000 ettari, San Sebastian su 2.000.

Andiamo a vedere come sono distribuiti questi abitanti: sono distribuiti non solo sul

doppio degli ettari, ma andando a vedere il modello organizzativo scopriamo che

a Modena, ci sono un milione di metri quadrati di superficie di grande

distribuzione. Quindi c’è inquinamento, si va nei mall, negli ipermercati e si usa

l’auto. Se riempiamo il territorio di ipermercati è inutile che, dopo, prendiamo un

giorno della settimana, il giovedì in Emilia Romagna, e facciamo “le giornate

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 38

senz’auto”. Andate a vedere a San Sebastian ce n’è un decimo di superficie di

Mall, non il 10 % in meno, ma 1/10.

Quindi una, San Sebastian è una città eco-compatta, l’altra, Modena, è una città

“sprawllata”, dispersa.

È un problema scientifico!

Il confronto lo possiamo fare fra Ferrara e Salamanca, o fra tantissime altre città.

Qui si vede come funzionano e quindi possiamo misurare scientificamente quanto

è accessibile una città rispetto ad un’altra. È interessante, la valutazione del rischio

legato al petrolio: se il petrolio scende come risorsa o se finisce (e finisce, lo

sappiamo, dipende quando come ci hanno spiegato James Howard Kunstler2 e

Yves Cochet3), o se il suo prezzo aumenta, (le due cose possono essere legate),

che cosa fanno questi abitanti che sono sprawllati?

Adesso mi immagino quelli di Reggio Emilia che abitano vicino alla stazione per

l’alta velocità, il giorno che non hanno la possibilità di prendere la macchina per

andare dall’altra parte, quelli che per esempio abitano nelle periferie e vanno

tutti i giorni nei centri commerciali, cosa succede il giorno che petrolio costerà

come due anni fa, tre anni fa o come costerà tra tre anni, o tra dieci anni o, molto

probabilmente, non ci sarà più?

Allora, esiste una possibilità di uscita da questa crisi, però non è assolutamente

detto che la seguiamo, perché siamo degli animali che hanno un gusto perverso

per l’errore, ma se vogliamo, possiamo uscirne, se riconosciamo a chiamare le

cose con il loro nome.

Per esempio, il termine periferia preferisco trattarlo in due modi: slab-urbia e sub-

urbia, sono due modi tipologici di creare un ambiente che non è quello urbano.

Slab è quello europeo – c’è pochissimo negli Stati Uniti – slab è la piastra di

cemento quella dura: sono

i Corviale, i Gallaratese, i

Pilastri, le Vele, les Banlieues

d e l l ' I l e - d e - f r a n c e , i

Markisches Viertes di

Berlino, etc...

Questa è un immagine

della periferia di Lisbona

( f i g . 7 ) , è n u o v o

quest’intervento, cioè lo

stanno facendo oggi. Se

voi usate lo zoom, scoprite

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 39

che non c’è nessun marciapiede, non c’è nessun negozio, non c’è nessuno spazio

pedonale. Si può vivere in una maniera sostenibile in questo modo? Questo è

fatto, per esempio, dall’amministrazione pubblica di Lisbona, che mi ha mandato

un libro di duecento pagine, pieno zeppo di queste porcherie e poi uno si chiede

come mai il nostro deficit aumenta e le nostre città invece di migliorare

peggiorano.

Questa è slab-urbia!

Anzitutto non è efficiente, consuma territorio esattamente come sub-urbia. E'

astratta, priva d'identità, anti-umana, aliena, triste, generatrice d'inquinamento e

d'insicurezza.

Voi vi ricorderete senz’altro di questa pubblicità che è comparsa su tutti i

quotidiani nazionali (fig. 8), è geniale perché è fatta dalla BMW che vende

automobili e vi mostra un tipico sub-urbs, cioè un tipico ambiente nordamericano.

In Europa siamo totalitaristi allora facciamo le slab-urbia, in America, sono più

liberali, e, quindi, fanno le villette, le sub-urbia.

Americani ed Europei, inquiniamo tutti il territorio.

Solo in modo differente.

La BMW dice: “non è facile essere una persona riconoscibile in un ambiente del

genere”, che poi è un ambiente costruito per l’automobile. Non sono degli

ambienti efficienti, se uno vuole andare a prendere un litro di latte deve passare

ore in automobile. Se

un ragazzo vuole

incontrare una ragazza

quando è in età

r iprodutt iva, passa

delle ore nel traffico.

Per qualunque attività,

s o n o l e g a t i

all’automobile. Non si

v i v e b e n e c o s ì .

Chiunque è stato negli

Stati Uniti, sa che non si

vive senza automobile,

esattamente come

nelle slab-urbia, non si

vive bene.

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 40

Non si vive nella periferia di Bologna senza automobile, nessuno, sano di mente lo

fa. E questa è la situazione di oggi (fig. 9): a sinistra abbiamo, il centro di Huston, i

grattacielozzi che creano

q u e s t o s i m p a t i c o

a m b i e n t e f a t t o d i

parcheggi. Invito le

signore che non hanno

voglia di emozioni forti a

non attraversare questa

distesa di parcheggi dopo

le cinque di sera.

A destra abbiamo i sub-

urbs abbandonati, dove

la classe media che sta

perdendo il reddito si

trova isolata, senza più soldi

e scopre che senza soldi non può più fare nulla, perché la città non esiste più.

Questi due sistemi commercialmente si reggono su quest’altro mostro che è il mall,

il centro commerciale, (fig 10) che è l’immagine fisica più forte della

disuguaglianza, della possibilità di dare a uno, (che in Emilia Romagna si può

chiamare Coop, in Lombardia si può chiamare Esselunga) di fare un enorme

profitto a scapito dei cittadini. Questo lo potete fare perché siamo in un mondo

libero ed esiste libertà di

scelta, però se lo fate,

non facciamo poi la

“giornata senz’auto”.

Perchè diventa patetico

f a r e l e “ g i o r n a t e

senz'auto” in queste

condizioni. Perché la

gente nel mall ci va con

l’automobile, non ci va a

piedi. Quindi se lo

vogliamo fare, se questa

è la nostra scelta politica,

sociale, culturale, lo

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 41

possiamo fare, siamo liberi, ci sono varie strade davanti a noi, ma dopo non

lamentiamoci. Quello che provochiamo è l’ingorgo scientifico: non sono gli

abitanti stupidi, incivili, non sufficientemente colti, a creare il problema. Ma il

problema esiste perché tutte le mattine, per sopravvivere, escono dagli enormi

slab-urbia, escono dalle simpaticissime sub-urbia, vanno a lavorare nei

grattacielozzi o a fare spesa nei mall e ci vanno in automobile.

E questi sono i panorami quotidiani, quindi se vogliamo una civiltà basata

sull’automobile, sappiamo come fare, se vogliamo fare qualcosa di diverso,

dobbiamo chiaramente cambiare rotta.

Esiste oggi il mondo urbano, ed esiste il mondo sub-urbano. Il mondo sub-urbano

può anche essere in centro, moltissimi centri si stanno sub-urbanizzando, perché è

un fatto tipologico: non ci sono i negozi, la popolazione se ne va, si desertifica.

Queste sono delle malattie, delle patologie che si possono curare come le

patologie mediche, e possono attecchire anche negli organismi sani, non è detto

che il centro storico, perché è centro storico allora è salvo. E’ assolutamente

g e o g r a f i c a m e n t e

equipollente.

Q u i n d i n e l l ’ i d e a

primordiale di città

esiste insito un concetto

che ci dice come, se

vuole essere efficiente, è

m e g l i o c h e s i a

compatta. Per esempio

n e l l a p e r i f e r i a d i

Bologna, abbiamo una

densità di 0,39 abitanti

per ettaro. Venendo

dalle nostre facoltà

sappiamo che una città-giardino, che è il livello più basso di densità di città, è

teorizzata a 0,6. Chi sono i geni della pianificazione che hanno costruito una città

di 0,39 abitanti per ettaro che, scientificamente non riesce a creare città?

Esiste un modello, che è il modello della città policentrica, che può crescere, è

una città compatta che può crescere a tantissimi livelli e può essere un borgo,

può essere un villaggio, può essere una città, può essere una metropoli e questo è

il sistema organico di sviluppo. E non è un sistema che conosciamo da oggi, è un

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 42

sistema che conosciamo bene, oggi abbiamo la chance di recuperalo per

costruire la città di domani.

Su cosa è basato questo sistema?

Invece di piani regolatori di centinaia di pagine, si fanno di non più di 50 pagine e

sono form-based, cioè sono basati sulla forma. Per cui chiunque anche se non è

un tecnico, (un cittadino come al tempo delle terre murate medioevali), riesce a

dialogare con il potere e a capire che cosa si può più o meno fare. Quindi c’è un

transetto e ci sono sei zone, si passa dalla zona di campagna, dove non si

costruisce, a delle zone di riserva, a delle zone al limite con la città e poi dopo

esistono T4, T5, T6, che sono le

zone urbane, le zone generali, il

centro di quartiere e il centro

della città. E il cambiamento è

questo, quello che infatti si sta

attuando e si sta cercando di

attuare negli Stati Uniti, un

cambiamento verso l’urbano,

cioè l'abbandono del modello

Slab-urbia / Sub-urbia.

Oggi, in Italia, viviamo un po’

come in un romanzo di Dumas, il

suo, forse, più bello: Vent’anni

dopo. Facciamo oggi le cose

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 43

che gli americani hanno fatto

venti o trenta anni fa. Oggi

c o s t r u i a m o i c e n t r i

commerciali, oggi costruiamo

villettopoli, perché ci siamo

liberati, tanto per esser chiari,

del comunismo e quindi

facciamo libero mercato

dovunque.

Villettopoli e ipermercati,

quello che loro avevano fatto

quaranta o cinquanta anni fa.

Loro adesso cambiano, perché hanno capito che altrimenti non vanno avanti, noi

costruiamo gli ipermercati, loro invece non li fanno più.

Una città efficiente deve avere una corretta densità; se non si ha una corretta

densità non si può avere un sistema di trasporto pubblico, e, se non si può avere

un sistema di trasporto pubblico, allora si usa l’automobile. Amen.

Loro sembra l'abbiano capito.

Noi navighiamo nel buio.

Questa è Strasburgo e questi

sono i vari tram (fig 11). (Dopo

possiamo fare un referendum

e decidere quello che

preferiamo), a Bologna c’è un

sistema geniale, cioè il primo

tram in Europa, che non è su

ferro. L’unico, anche se, in

realtà, ce n’è un altro ma non

piace dirlo, perché è in una

povera, sperduta città spagnola: Castellon.

L’unico tram che va su gomma si chiama filobus, cominciamo a chiamare le cose

col loro nome e forse riusciamo a risolvere i problemi.

Ma il cambiamento inizia a manifestarsi anche da noi, per esempio in Francia.

Dopo la crisi delle banlieues, nel 1995/6 e 10 anni dopo, 2005/2006, perché è un

processo che si ripete, è stata creata la ANRU: Agence Nationale pour la

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 44

Rénovation Urbaine (www.anru.fr), che fa queste cose, cioè demolisce ogni anno

centinaia di slab-urbia, centinaia.

Sono operazioni incredibili e quello che si costruisce al suo posto, è una parte di

città. L’idea primordiale, come diceva prima Marco Romano è questa: la gente

deve trovare un’identità, e non può trovare un’identità se viene collocata dentro

queste cellule astratte. Possono essere fatte in un qualsiasi stile, possono essere

moderniste ma anche classiche. Il fatto è, che per far parte di una comunità, va

ricercata la riconoscibilità urbana, solo così può avvenire il cambiamento. Se

invece di guardare le riviste di architettura, leggessimo i giornali e il web,

scopriremmo che sono pieni zeppi di centinaia di casi. L’altro giorno dei

grattacielozzi sono stati demoliti

a Maux, a qualche km da Parigi,

su iniziativa del sindaco François

Copé, e poi ne andranno via

altri cinque. Ci sono centinaia di

questi casi.

È divertente sapere che le stesse

cose che vengono demolite in

m a s s a i n F r a n c i a o g g i

ottengono il permesso di

costruire nelle nostre città. Ma il

cambiamento verso l’urbano

avviene non solo nelle slab-

urbia, avviene anche con i

centri commerciali, che a

dispetto del Signor Coop e del

Signor Esselunga, negli Stati Uniti

non si fanno più, e non da ieri.

Nel 2003, la CNN Money, non il

Centro Nazionale contro gli

Ipermercati, ha fatto una

fantastica trasmissione, che ho

cercato dopo di copiare, dal

titolo: “La fine dell’era degli

Ipermercati”

La trasmissione, e l'epoca finita, sono del 2003.

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 45

Nel 2008 non ne è stato

c o s t r u i t o n e s s u n

ipermercato negli Stati

Uniti e quest’anno se ne

d e m o l i r a n n o d a i

t r e c e n t o a i

quattrocento.

Questo è uno dei tanti:

C i n d e r e l l a C i t y

Shopping Mall (fig 12).

Questo è sintomatico

del cambiamento. Ma

che cosa si fa al suo

posto?

Chiedetevi se non esiste

un’immagine migliore

del la cr is i se non

l’ipermercato. E' mai

esistita, nella storia

millenaria della nostra

civiltà, ma anche di

quella cinese, o di quella

indiana, giapponese,

maya, inca, l’idea che uno

prenda dieci ettari di

territorio, costruisca su un

terzo di questi ettari e, per

di più, costruisca a un solo

piano?

Neanche il più stupido al

mondo avrebbe mai fatto

una cosa di questo

genere.

E’ un idea brutale, che è il

simbolo della crisi, come la

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 46

gente che viene espulsa dalle case, mandata via perché non è capace di

pagare il debito.

Perché avviene il cambiamento?

Perché funziona, perché conviene a tutti.

Conviene al proprietario che demolisce il baraccone obsoleto e fa un’operazione

immobiliare di tre – quattro piani su tutti i dieci gli ettari.

Conviene ai cittadini, che alla fine vengono ad acquistare un appartamento

vicino al negozio e quindi a fare la spesa a piedi, esattamente come nei centri

storici .

Conviene all’amministrazione pubblica che non manda le pseudo-ronde nei

parcheggi o l’esercito per controllare un territorio che è esploso.

Questo nell’immagine è un altro ipermercato demolito (fig. 13), la Coop lo

potrebbe fare benissimo oggi a Bologna. Ci sono tanti di questi casi, c’è un sito

fantastico che si chiama: www.deadmalls.com, dove ne potete trovare a

centinaia.

Negli Stati Uniti non si fanno più, però si fanno da noi, vent’anni dopo. Alexandre

Dumas colpisce ancora.

Prendiamo il South Glenn Mall (fig. 14). Hanno fatto anche una festa quando

l’hanno demolito. Che cosa si fa dunque al posto di questi mall? Si fa questo. (fig.

15) Che cos’è?

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 47

Guardiamolo bene: è un quartiere

urbano tradizionale, innovativo,

ecologico, compatto, efficiente.

C’è una densità sufficiente a far

andare la gente a piedi, l’automobile

non è il diavolo, quindi si può circolare

in automobile, ma se si vuole si può

anche non prenderla. E come sapete,

se andate a Parigi, voi non prendete

l’automobile, a Parigi, per abitante, ci

sono metà delle automobili di

Bologna. Perché?

Non è che la gente a Parigi è intelligente e a Bologna è stupida, ma la gente, se

vive in un ambiente che offre la possibilità di andare a piedi o di usare il trasporto

pubblico, non la prende naturalmente. Quindi funziona.

Poi in Italia si fa un’altra cosa. Si fanno i raddoppi delle autostrade e delle

tangenziali, ma se ci svegliamo scopriamo che anche questi oggi si demoliscono

in America.

Ormai ne sono state demolite a

decine a San Francisco, a New York,

a Boston, a Chicago. Questo (fig. 16)

è il caso di Milwaukee una bellissima

tangenziale urbana. A Bologna

stiamo finanziando il raddoppio,

perché siamo avanti e questa è

Milwaukee, vedete com’è?

Questo è com’era, una tipica

tangenziale sopraelevata all'interno

dell'area urbana. Ma è stata

demolita e che cosa si fa al suo

posto? Ovviamente ci costruiscono.

Ci costruiscono una serie di nuovi

quartieri urbani compatti.

Dato che il terreno dell’autostrada urbana distrugge l’economia della città,

impoverendolo, creando aree di degrado, deprezzando il valore di tutte le aree

residenziali adiacenti, lo rimuoviamo e abbiamo una fantastica risorsa per

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 48

costruire una città di domani senza

invadere la campagna.

Senza, cioè, distruggere una risorsa

vitale. Allora, come fare una città

efficiente oggi?

Bisogna dare delle risposte ai nostri

amministratori.

Primo copiate Parigi, fatela identica, copiatene il principio. Perché è la città più

bella del mondo, la città che ha più turisti al mondo. Perché funziona. E’ fatta di

venti città che si chiamano arrondissements, ciascuno ha circa centomila abitanti,

ciascuno ha il suo municipio,

la sua piazza, il suo mercato,

le sue scuole, i suoi licei.

Quindi quando andiamo a

Parigi e diciamo: ‘Ah, che

bello, ogni quartiere ha il suo

mercato, la sua strada coi

negozi, la sua piazza, non ce

l’ha perché Dio è molto

gentile verso gli abitanti

de l l ’ I le -de-F rance, ma

perché i suoi architetti e i

suoi pianificatori, soprattutto

quel genio che era il barone

H a u s s m a n n , l ’ h a n n o

costruita centocinquanta

anni fa, per essere una città

bella ed efficiente.

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 49

Vediamo com’è fatta (fig. 16):

ci sono spazi monumentali,

che è sicuro ci debbano

essere, spazi dove circola

l’automobile, (finché il petrolio

continuerà ad esistere ne

avremo bisogno), ma poi ci

sono dei quartieri ad alta

densità, ma con sette piani.

Sette piani, bisogna spiegarlo

bene agli amministratori, è un

problema democratico. Se

domani viene l’emiro di Dubai

e mi chiede di costruire un

grattacielo, giuro glielo faccio,

ma non è democratico,

perché sempre le nostre città

hanno avuto la regola

d e l l ’ a l t e z z a , c h e è

fondamentale per far sì che

qualunque abitante s ia

veramente uguale rispetto alla

legge.

E gli unici edifici alti sono gli edifici pubblici: il simbolo del comune, il simbolo della

collettività, l’edificio sacro.

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 50

Come a Washington D.C. Dove nessun

edificio è più alto della prima trabeazione

del Campidoglio. Altrimenti è evidente, è

un simbolo chiarissimo di mancanza di

democrazia.

Andate nei quartieri periferici di Parigi, e

trovate i negozietti aperti fino alle dieci di

sera in tutte le strade. Come a New York

City, come a Madrid.

Come non ci sono più a Bologna.

E quindi potete vivere bene in una città

compatta, potete vivere se siete giovani, se

siete anziani, se siete ricchi, anche se siete

poveri.

In questa immagine si vede come è divisa

Parigi (fig. 17).

E quando scoprite che funziona davvero

bene?

Quando acquistate una casa a Parigi. Il

prezzo delle case varia, infatti, a seconda

del quartiere. Ciascuno degli 84 quartieri in

cui è divisa ha il suo prezzo e, quindi, tutto è

trasparente. Quindi dieci città,venti

arrondissement, ottantaquattro quartieri.

A Bologna siamo più avanti, i quartieri sono

delle strane amebe che non hanno nessun

riferimento con la realtà.

I quartieri a Parigi sono 84 su 9.000 ettari. A

Bologna 9 su 9.000 ettari !

Come faranno mai i”poliziotti di quartiere” a

Bologna? Poveri.

Poi la metropolitana, OK, i grandi assi ci

sono, ma ci sono anche i grandi centri di

quartiere, tantissime piazze, i negozi. Poi in

queste città compatte ed efficienti si

scopre quello che non esiste più nelle

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 51

periferie padane: le drogherie! Uno va a New York, va a Parigi e vede che ci sono

drogherie ovunque (fig. 18), che funzionano tranquillamente e, allora, si

domanda: una drogheria, perché da

noi non c’è più? Perché è il simbolo del

passato? No, perché i nostri brillanti

pianificatori e amministratori continuano

a progettare amebe che non hanno

alcun riferimento con la realtà sociale

ed economica, tutte basate su teorie

del 1920, cioè di almeno cento anni fa,

che sono la cosa più outdated che si

possa immaginare:

Continuiamo a costruire oggi sulla base di teorie di almeno cento anni fa,

esattamente come se i nostri amministratori oggi pretendessero di governarci con

le teorie politiche di cento anni fa. Avete idea? Comunismo, fascismo, nazional-

socialismo. Tutte cose che, grazie a Dio, non esistono più.

I negozietti: cercateli nelle periferie italiane!

Ma nelle metropoli, nelle città compatte ci sono eccome nel 2010.

E i parchi, ci sono anche loro ovviamente: dentro le città compatte ci possono

tranquillamente essere anche parchi.

Come si può fare allora per costruire, oggi, una città compatta?

E Firenze potrebbe essere la prima città italiana a lanciare un nuovo Rinascimento

della città italiana attraverso una nuova politica di città e quartieri compatti.

Per chiarire la strategia, vi

mostro tre esempi a scale

difefrenti: un centro di

città, una nuova città, un

nuovo borgo.

Il primo è tutto nuovo,

siamo in una banlieue

dure che si chiama Plessis

Robinson (fig. 19, 20, 21).

Nel 1989 è arrivato un

sindaco il quale ha

deciso di demolire 2.400

appartamenti, l i ha

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 52

demoliti in vent’anni e al

suo posto che cosa ha

fatto, ha costruito un

centro città, perché ha

pensato che il problema

fondamentale fosse

quello che si diceva

prima: gli abitanti si

r i b e l l a n o , p e r c h é

pensano di essere di

seconda classe rispetto

agli abitanti di Parigi.

Siamo a sette chilometri

da Parigi e lui che cosa

ha fatto? Ha costruito un

centro urbano.

Come? Ha chiesto

ovviamente ai suoi

a r c h i t e t t i c h e l o

facessero basandosi

s u l l ’ a r c h i t e t t u r a

regionale: a Par ig i

l’architettura di Parigi, a

Bari quella di Bari, a

Madrid quella di Madrid.

Quindi tutto quello che

vedete nelle immagini è

nuovo, del tutto nuovo,

brand new: ci sono le

strade, i negozi, gli

abitanti, ci sono gli

a l l o g g i d i e d i l i z i a

economico popolare. Va

anche detto che in Francia hanno una legge fantastica, per cui almeno il 10%

dell’intervento deve essere di edilizia economico popolare, non come da noi

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 53

dove c’è il marchio ‘tu

abiti in quella casa

perché sei povero” no, tu

puoi abitare qui e là,

perché se disperdiamo è

p i ù i n t e l l i g e n t e e

vantaggioso per tutti.

Questo è il plastico di

questa nuova città (fig.

22), gli edifici non

superano i cinque-sei

piani, c’è sempre un

limite di altezza. C’è un

mercato. Pensate bene, un mercato!

Viene fatto un mercato nuovo con sotto cinque piani di garage interrati e il

mercato funziona. Non c’è l’ipermercato, ma c’è il mercato, ci sono i negozi, c’è

una densità sufficiente per cui la gente scende e va a piedi a fare la spesa.

Quindi abbiamo una città moderna, perché tutti amiamo la modernità, ma

basata su un’identità regionale. La città ovviamente è compatta, quindi esiste un

limite, al di là di quello c’è la campagna e la natura. Questa nell’immagine è la

città realizzata (fig 23), tutto quello che vedete, l’acqua, le rocce, il parco, le

case, il mercato è tutto artificiale, non c’era prima, tutto nuovo.

Se andate su internet a vedere il valore immobiliare di Plessis Robinson, scoprite

come sia il più alto della regione, cioè la gente vuole veramente andarci a vivere.

Si costruisce a dei ritmi enormi, perché la gente questo modello lo vuole, vuole

fuggire allo stigma della periferia, di

sub-urbia e slab-urbia.

Questo è il mercato, nuovo, ci

andate, e lo trovate pieno zeppo di

mercanzie. E, poi, vi viene da ridere a

pensare che nelle nostre città si dice

che un mercato tradizionale e le sue

mercanzie appartengono ad un’altra

era.

Questa (fig. 24) è una strada del

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 54

centro che andrebbe presa a modello, ci sono i negozi (quelli che non ci sono

nella periferia di Bologna), le macchine circolano, ma la sezione della strada è

ridotta in modo tale da facilitare l'attraversamento pedonale, ci sono dei

marciapiedi e c’è una qualità: si capisce che siamo a Parigi, non siamo a Firenze,

non siamo a Bologna, non siamo a Valencia, siamo nella regione di Parigi!

Poi c’è una città più grande,

questa è completamente

nuova, una città di 50.000

abitanti, creata dal nulla con un

in te res sante esper imento

amministrat ivo, perché è

realizzata su cinque comuni: si

chiama Val d’Europe (fig. 25, 26,

27) e questa città è costruita

dalla Disney. La Disney ha

ottenuto per quarant’anni dal

governo francese questo

territorio, ha costruito il suo parco

che ha dodici milioni di turisti

all’anno, non raggiunge il punto

di guadagno e quindi come

guadagna Disney? Costruendo

una città, cioè vendendo alle

persone quel che il mercato

immobiliare dell'Ile-de-France non offre: la possibilità di vivere in un ambiente

urbano, tradizionale, parigino, fuori da Parigi, a un prezzo accessibile, cioè a 3.500

Euro al metro quadrato, invece che i 7.000-10.000 di Parigi.

Questa è la città nuova, è vicina al parco di Eurodisney, la fermata prima dell'

RER, è una città che si può definire T.O.D., cioè transit oriented development,

perché è basata sul trasporto pubblico: ha due fermate dell’RER, la fermata

regionale e la stazione alta velocità al centro di un interscambio più importante

d’Europa. Cioè da quella stazione andate a Marsiglia in tre ore, a Londra in due, a

Bruxelles in un’ora, a Bordeaux in tre ore e mezza e ovviamente anche a

Strasburgo in due e quindi a Monaco in quattro.

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 55

Q u e s t o è i l p i a n o

regolatore (fig. 28) . Il

piano regolatore è basato,

come Parigi, su quartieri.

Una città compatta, divisa

in quartieri tradizionali, e la

proprietà rimane al 10% a

Disney. Quindi la Disney

tiene moltissimo alla sua

architettura, non vuole che

sia una città fatta come

decidono gli architetti, ma

che sia costruita secondo

un codice; Parigi è

costruita secondo un

cod ice a rch i te t tu ra

haussmaniana, un codice

francese tradizionale. Gli

edifici pubblici possono

essere modernisti, why

not? Qualche oggetto

esotico può esserci in un

ambiente a forte identità.

Questa è la stazione,

quindi ci si arriva con il

m e z z o p u b b l i c o

comodamente, non ci si va come nelle nostre periferie solo in automobile.

Questa è la piazza

centrale con il caffè

progettato da Léon Krier

(fig. 29), questa è Place

d’Arianne (fig. 30), una

delle piazze centrali, con

negoz i , caf fé, bar,

ristoranti, uffici.. Questa è

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 56

un’altra strada e c'è un

hotel.

Dunque, cinquantamila

abitanti, una caserma

d e i p o m p i e r i ,

u n ' u n i v e r s i t à , u n

ospedale, e la più

g r a n d e g a l l e r i a

commerciale, il più

g r a n d e c e n t r o

commerciale urbano

che esiste in Europa,

accessibile con il metrò,

l'RER.

Q u e s t ’ i m m a g i n e è

simpatica (fig. 31), a

sinistra c’è l’edilizia

economico-popolare, a

destra c’è la scuola.

Po iché la scuo la ,

perdonate l’ironia, è

fatta con fondi pubblici,

è u n ’ a r c h i t e t t u r a

modernista e quindi è

quella cosa strana a

destra, quella a sinistra

invece, che è fatta coi

fondi di Disney, è

tradizionale. E questi

sono i vari quartieri che si

c o s t r u i s c o n o , c h e

sfuggono a tutte le

n o s t r e f a c o l t à d i

architettura, a tutte le

nostre riviste.

Page 57: Atti Ritorno alla Città 2009 Bassa

RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 57

Quindi abbiamo visto il

centro città, il quartiere, la

città, ora passiamo al borgo.

Quest’altro è un intervento

c h e a b b i a m o f a t t o

recentemente a Bologna

(fig. 32, 33, 34) e che mi

piace, perché inizia con

un’altra immagine di slab-

urbia: Casteldebole, 1983.

S i a m o v e r a m e n t e i n

periferia, più periferia non si

può, s iamo al l ’usc i ta

dell’autostrada e questo era

l ’ambiente vagamente

stal iniano che uno si

beccava e si becca anche

oggi uscendo dalla città, per

ricordare a tutti che il mondo

non è bello, ma è grigio ed è

triste.

Poi però gli anni passano e

veniamo approcciati dagli

abitanti del quartiere che

avevano rifiutato il progetto,

guarda caso, di due torri e ci

chiedono di costruire un centro di quartiere tradizionale, “alla bolognese”. La cosa

è simpatica perché io ho lavorato anche con i due architetti che avevano fatto il

progetto delle torri, sono diventato anche amico loro, perché hanno capito lo

spirito della città compatta e, forse, si sono anche entusiasmati all’idea. L’idea è

quella di fare l’opposto di quello che si è fatto per 50 anni. Siamo in periferia,

quindi non gli riproponiamo il centro storico, perché non ha senso secondo me,

ma gli proponiamo l’architettura che la periferia di Bologna avrebbe avuto se si

fosse sviluppata organicamente secondo la sua tradizione, cioè secondo il piano

regolatore del 1889. Giallo e rosso diceva il Piano di Carducci, costruite tutti gli

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 58

edifici che volete,

basta che siano di

due colori, giallo e

r o s s o : q u e l l i d i

Bologna. A Firenze,

fateli come vi pare,

bianchi, grigi, queste

tonalità.

Questo è il progetto, il

10% sono negozi, ed è

c o m p a t t o , c i o è

abbiamo costruito su

u n t e r z o d e l l a

superficie disponibile

dal Piano Regolatore.

U n t e r z o b o r g o

compatto, due terzi

parco. Nell’ufficio

c o m u n a l e c i

guardavano attoniti,

p e r c h é n o n

sprawllavamo come

fanno tutti; devo dire

c h e l ’ e n o r m e

Cooperativa per la

q u a l e a b b i a m o

p r o g e t t a t o e r a

abbastanza intimorita

all'inizio, perché normalmente non si fanno queste cose, non si costruisce lungo la

strada, non si fa una piazza, non si fanno delle corti.

Non si costruisce “alla bolognese” a Bologna. No, di solito a Bologna si fa

qualunque cosa, purché non abbia carattere bolognese. Così, arrivano in visita

degli architetti di Buenos Aires e, dopo un ampio tour della città, mi dicono,

esterefatti: “ma questa non è la bella città che credevamo. E' un fracaso, un

casino”.

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RITORNO ALLA CITTA’ - ATTI DEL CONVEGNO - 59

Abbiamo provato a convincere la Cooperativa, ci siamo riusciti e,

fortunatamente, l’hanno venduto tutto e quindi ne abbiamo fatto anche un altro

progetto. Quella campagna che vedete lì davanti non è una campagna, ma è

un parco artificiale, che per noi è il limite della città, che per noi deve essere

compatta, deve avere un limite. Alla città si deve permettere di crescere, perché

la città è come un organismo, quando un organismo smette di crescere è una

brutta notizia. Se gli abitanti non crescono, brutto segno, perché le tasse le

pagano gli abitanti, non gli UFO. Se non abbiamo abitanti, dopo non possiamo

avere l’autobus, non possiamo avere l’ospedale. Ma fuori no, deve esistere un

limite dove non si deve costruire, perché se vogliamo permettere ai nostri figli di

vivere c’è un limite che deve essere riservato alla campagna. E la città non si

deve estende a macchia d’olio.

Ritorno alla città: oggi abbiamo la chance di un ritorno alla città? Sì, se

guardiamo bene la situazione, se facciamo un'analisi corretta. Viviamo un’epoca

completamente diversa da quella degli anni 20 del secolo passato. Siamo

radicalmente differenti, usiamo questi fantastici strumenti come il computer e l'i-

Phone, viaggiamo in aereo (sei ore da Parigi a New York). Possiamo fare tantissime

cose che nel ‘900 non facevamo. Abbiamo anche conosciuto i terribili errori del

‘900, nessuno di noi si sogna di riproporci di andare in giro in camicia nera o rossa,

abbiamo capito che il sistema migliore è la Democrazia:

Questo cambiamento, dal Totalitarismo alla Democrazia, lo possiamo realizzare

anche in architettura e quindi abbiamo davanti un compito che è anche

affascinante, costruire la città di domani.

Una città accessibile, efficiente, compatta e, lasciatemi dire, migliore di quella del

Passato.

Grazie.

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 60

SERGIO LOS

FIRENZE CITTÀ SOLARE

Voglio anch’io ringraziare per l’invito a tornare alla città. Il titolo “Ritorno alla città”

mi sembra infatti molto pertinente, anche se tornando alla città, oggi, troviamo le

rovine della città, perché noi non siamo una generazione e una cultura capaci di

costruire le città. A fare le città erano i cittadini che, a loro volta, erano prodotti

dalle città.

Oggi le città producono

utenti di servizi urbani che -

non essendo più cittadini –

non sono in grado di fare le

città. Basta ricordare le

ingenue utopie urbane del

secolo scorso, nessuno dei

loro autori pensava ai

cittadini ma a rendere più

funzionale l’accesso ai servizi

urbani. Essi non desideravano le città, non avevano nessun rammarico per la loro

progressiva scomparsa, erano soprattutto impegnati a fare qualcosa che non

assomigliasse a quelle città che producevano cittadini: consideravano antiquate

le città e volevano fare qualcosa di diverso. Oggi sappiamo fare di tutto:

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 61

macchine straordinarie, andare sulla luna e tornare, esplorare l’universo, però,

anche se tutte queste macchine sono migliori di quelle che hanno costruito i

nostri antenati, le loro città restano molto meglio delle nostre. Mentre le macchine

sono progredite le città sono regredite. Non c’è una città decente i cui abitanti

ne siano effettivamente orgogliosi, ho visto qui gli apprezzabili tentativi di

Tagliaventi, ma questo è un problema più profondo che dovremmo cercare di

spiegarci, con una maggiore consapevolezza. Alle città non chiediamo più di

farci sentire a casa, dal loro funzionamento vogliamo solo essere facilitati e

intrattenuti.

Al mio intervento ho dato il titolo augurale “Firenze città solare”, perché tempo fa

mi è stato chiesto di portare qui a Firenze, una mostra - allestita a Genova tre anni

fa nell’ambito del Festival della Scienza - che si chiama appunto: “Città solari”.

Spero ancora che questa iniziativa non sia tramontata poiché essa tende a

dimostrare che fino a poco tempo fa, relativamente poco rispetto alla storia

umana, le città erano tutte solari e quindi, specialmente in un clima temperato

come quello italiano, avremmo potuto benissimo realizzare delle città solari se

non fossimo stati in qualche modo colonizzati dalla pressione ideologica degli

impianti tecnologici, che rifila macchine per climatizzare dovunque, anche dove

non sarebbero necessari, sprecando energia, inquinando e, peggio ancora,

rendendo gli architetti incapaci di riconoscere i luoghi e di sentirne i climi.

L’architettura ha perduto così la sua dimensione sentimentale e si è trasformata in

uno strumento elementare che offre prestazioni al posto della poesia. Cerchiamo

di fare un po’ il punto perché è importante capire dove stiamo con questa

transizione post-urbana.

La prima questione che intendo porre riguarda l’aumento della domanda di

città. Il secolo scorso ha avuto una straordinaria urbanizzazione, impressionante,

come è stato evidenziato: in soli cent’anni, dall’inizio alla fine del ‘900 siamo

passati da una popolazione urbana che era un decimo di quella globale a quella

attuale che supera la metà.

La seconda questione, che mi pare molto importante e che sta provocando

l’ormai tristemente noto surriscaldamento del pianeta, proviene dal modo

irrazionale in cui sono normalmente calcolati e descritti i bilanci energetici, essi

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 62

sono caratterizzati per occultare,

piuttosto che per evidenziare, il

senso effett ivo del nostro

consumare energia (fig 1).

D e s c r i v e n d o u n b i l a n c i o

energetico per settori economici,

troviamo un diagramma generico

che specifica dove l’energia è

consumata ma non ne distingue gli

usi finali. Non chiarisce a coloro

che volessero risparmiarla quali

interventi dovrebbero effettuare

p e r r i d u r n e i l c o n s u m o .

Risparmiando energia elettrica, per esempio, lascerei intatti i consumi di

quell’energia termica che uso per climatizzare tutti gli edifici. I bilanci non dicono

come sia ripartita l’energia consumata, tra energia elettrica, meccanica ed

energia termica. Non mi dicono inoltre a quale domanda di energia termica

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 63

devo rispondere, se devo fornire energia ad alta temperatura oppure energia a

bassa temperatura. Questa confusione è un imbroglio. I fisiciinsegnano che non

possiamo non risparmiare energia, nelle sue varie trasformazioni l’energia

impegnata resta sempre la stessa, è la sua capacità di fare lavoro, è la sua

essergia, che dobbiamo risparmiare. Nei processi energetici l’energia ad alta

temperatura, capace di fornire molto lavoro, si trasforma nella stessa quantità di

energia ma a bassa temperatura, con una capacità molto minore di fornire

lavoro.

Dunque, usando per una climatizzazione che potrebbe essere perseguita con

energia a bassa temperatura, l’energia ad alta temperatura che potrei meglio

usare per produrre lavoro, spreco energia. L’introduzione dei combustibili fossili

nella climatizzazione - anche negli edifici dei paesi di clima temperato che

potrebbero sostituirla con l’intelligenza compositiva dei progettisti - produce un

irrazionale uso dell’energia, inquinamento, distrugge risorse economiche,

competenze progettuali, e invece di correggere questo errore riqualificando il

patrimonio architettonico delle nostre città, propone per risparmiare petrolio la

costruzione di centrali nucleari che producono energia elettrica. Il senso di

ritornare in manicomio invece che ritornare alla città si avverte osservando il

diagramma della figura, che mostra come gli usi energetici per la climatizzazione,

energia a bassa temperatura, rappresentino la metà dell’intera energia

consumata, il doppio di quella per i trasporti che sono un quarto e il doppio di

quella per la produzione che costituisce l’altro quarto. Confondendoli con tutti gli

altri consumi - energia ad alta temperatura che può produrre energia elettrica

che, a sua volta, si può trasformare in energia meccanica - nei vari settori

economici non possiamo comprendere dove identificare i consumi per

climatizzare gli edifici, che sono contenuti senza poterli distinguere nei diversi

settori, residenziale, commerciale, industriale, agricolo, ecc. Potendo invece

distinguere i consumi destinati alla climatizzazione da tutti gli altri, presenti nei vari

settori, capiremmo che per ridurli sarebbe meglio riqualificare edifici e città

invece che costruire centrali nucleari.

Ne parlo qui poiché, in un certo senso, interessano proprio il ritorno alla città da

parte della cultura architettonica. Nelle città solari non sono climatizzati soltanto

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 64

gli edifici, come accadeva e accade nelle culture dei climi freddi, ma è la città,

le sue strade che orientano gli edifici, le sue piazze, i suoi giardini. Per le carenze

della cultura architettonica e per la sua elusione delle città, sprechiamo l’energia,

da usare per raggiungere alte temperature, anche per raggiungere quelle basse

richieste dalla climatizzazione. Mettere in un edificio un impianto che usa

combustibili, rari e non rinnovabili che muoverebbero un aereo, per raggiungere

una temperatura di venti gradi è peggio di una superstizione, è criminale.

Basterebbe un po’ di intelligenza progettuale per usare in modo adeguato il sole,

senza sprecare risorse non rinnovabili e senza inquinare le nostre città.

Tutto questo accade non solo nell’Europa continentale, che ha un clima freddo,

ma anche in un paese come l’Italia che, appartenendo all’Europa mediterranea,

ha un clima temperato. Noi non viviamo in Siberia o in Finlandia, consumare metà

dell’energia per climatizzare è assolutamente sproporzionato, come abbiamo

visto, anche rispetto all’energia che consumiamo per trasporti e produzione, che

insieme consumano quanto la climatizzazione. Questa immagine, che gira su

internet, dimostra la sensibilità femminile per il riscaldamento del pianeta (fig. 2).

Tutta quell’energia che abbiamo consumato per climatizzare oltre che essere

utilizzata nel modo più irrazionale e antiscientifico, inquina moltissimo ed è la

causa dell’effetto serra. Dobbiamo quindi ridurre drasticamente questa energia

da combustibili fossili usata nella climatizzazione, sia perché il petrolio sta finendo

(finalmente direi io, credo che dovremmo festeggiare la sua fine), sia perché

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 65

l’inquinamento, surriscaldando il pianeta, è diventato tale da imporre la chiusura

degli impianti prima ancora che il petrolio per alimentarli finisca.

Se è vero che sulla cultura architettonica pesano grosse responsabilità per questa

situazione, è altrettanto vero che gli architetti potrebbero fare moltissimo per

superarla. Dobbiamo perciò trovare delle modalità di climatizzazione alternative

che ci consentano di ridurre in maniera drastica l’uso dei combustibili fossili,

attraverso un uso appropriato della composizione architettonica. La

progettazione bioclimatica regionale rappresenta proprio tale modalità che,

diversamente da altre modalità che non interferiscono con l’architettura, ne

modifica radicalmente il sistema simbolico e la composizione perché fa svolgere

alla forma dell’involucro architettonico i compiti attualmente svolti dall’impianto.

Evidenzia soprattutto quanto sia inaccettabile lo stile internazionale,

autobiografico, dell’architettura attuale.

James Lovelock ci ha spiegato che la terra è un organismo, quindi i danni che

facciamo in qualunque punto del pianeta non sono mai danni locali. Il pianeta

reagisce come un animale, sempre integralmente. Se diamo una martellata a

una pietra, si rovina soltanto il punto dove l’abbiamo colpita col martello, ma se

la diamo alla coda oppure alla

zampa di un cane, reagisce il

cane, non la coda o la zampa. Il

pianeta sta reagendo al

surriscaldamento globale -

come è possibile vedere da

tanti esempi che vengono

continuamente riportati - in

maniera integrale, reagisce

globalmente come un animale

non come una pietra.

Oltre che essere un organismo, il pianeta è ormai interconnesso da una rete di

canali di trasmissione e comunicazione di informazioni, per cui è molto più simile a

una specie di grande cervello con un complesso di connessioni legate ai processi

di apprendimento, che a un semplice organismo animale. È interessante notare

Page 66: Atti Ritorno alla Città 2009 Bassa

RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 66

che il cervello, per certi versi,

potrebbe essere assimilato alla

città, alla rete delle sue strade;

intendo dire che la città è

essenzialmente un sistema di

comunicazioni.

Spesso si crede che quelle reti di

strade siano sempre esistite,

emerse assieme alle città.

Questo non è vero. Molte città

ne sono prive, alle case si accede dal tetto e vi sono grandi corti interne,

mancano però quelle reti di strade che connettono direttamente tutte le case.

La città articolata per strade emerge contestualmente al linguaggio codificato,

circa duemilacinquecento anni avanti Cristo, ed emerge in regioni di clima arido,

cioè caldo secco, in luoghi molto distanti tra loro anche se caratterizzati da

analoghe condizioni climatiche. Le città che ricordiamo sono Tel El Amarna sul

Nilo in Egitto, Babilonia sul Tigri in Mesopotamia, Monenjo-Jaro intorno all’Indo in

India e poi Shang sul Fiume Giallo in Cina, che presentano caratteristiche

abbastanza analoghe, tutte nel clima arido a 30° di latitudine nord dell’emisfero

boreale. È come se il primo gesto dell’architettura fosse stato quello di fare

ombra, costruire appunto grandi porticati all’aperto. Qual’è la ragione per cui le

città si sviluppano in queste regioni? La mia spiegazione proviene

dall’interpretazione che ho dato della città come sistema di comunicazione.

Nel clima arido la rete di spazi urbani, l’architettura civica, rimane operante tutti i

mesi dell’anno, il clima lo consente sempre, con l’aiuto minimo dell’ombra offerta

dai grandi porticati. Penso che nelle regioni di clima freddo quelle reti civiche,

che rendevano le città dei sistemi di comunicazione, non potevano emergere

poiché l’architettura civica, operante come un urban web, avrebbe potuto

funzionare solo nei mesi estivi. Come non avrebbe potuto funzionare nelle regioni

di clima tropicale dove, per le frequenti piogge, sarebbe stata operante in modo

intermittente. Non è un caso che in queste regioni le città si siano formate molto

più tardi di quelle emerse nei climi aridi e temperati.

Page 67: Atti Ritorno alla Città 2009 Bassa

RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 67

Queste regioni, fredde e tropicali,

p r e s e r v a n o u n a c u l t u r a

essenzialmente nomadica per

molti secoli, sia pure per ragioni

diverse, forse tuttora presente.

Anche per questo le città, che

richiedono l’apporto di una

cultura stanziale, emergono

molto tardi in questi due climi,

solo quando la tecnologia riesce

a neutra l i zzare mediante

tecniche impiantistiche l’influenza

del clima. La successiva colonizzazione tecnologica da parte delle regioni

nomadiche di clima freddo, basata sulla diffusione degli impianti, annullerà i

vantaggi caratteristici delle regioni climatiche temperate e aride, nelle quali non

a caso la cultura delle città si era sviluppata molto prima.

L’architettura attuale con la sua urbanistica, fondata sulla civiltà meccanica

termoindustriale delle regioni fredde, opera come se il pianeta avesse dovunque

lo stesso clima, freddo o tropicale, o meglio come se fosse indifferente al clima.

Prima delle città che inventano l’architettura civica reticolare, esistevano

precedenti insediamenti urbani che non ne erano dotati. Çatal Hüyük, per

esempio, un insediamento scoperto da un archeologo inglese nell’Anatolia

meridionale, una regione della Turchia sud-orientale, è molto importante e anche

molto denso.

Costruito in un periodo che precede quello citato, esso manca di reti stradali

interne,anche se per il clima avrebbe potuto averle.

La costruzione di città regionali bioclimatiche rappresenterebbe anche il modo

migliore per ridurre gli sprechi di energia non rinnovabile e il conseguente

inquinamento. In Italia, sapremmo realizzare degli edifici che addirittura non

consumano affatto energia per climatizzare, alcuni di essi li abbiamo anche

realizzati. Dunque, un’architettura bioclimatica costruita in una città bioclimatica

potrebbe ridurre drasticamente sia l’inquinamento, sia il consumo di risorse,

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 68

energetiche e materiali, non rinnovabili.

Mostrando in queste due fotografie un suo progetto, dice Rem Koolhaas “Riuscirà

Dubai a evitare un sovraffollamento di geni?” (fig. 3). A vedere questa diapositiva

non mi sembra proprio un sovraffollamento di geni, non certo di genialità

architettoniche. Mi sembra piuttosto la noiosa, conformista, manifestazione di

un’architettura come “bella

addormentata”. L’architettura

che vediamo pubblicata nelle

riviste patinate, non dà

l ’ impress ione d i es sere

impegnata a risolvere i

problemi che abbiamo e a

farlo con una certa urgenza e

genialità creativa. Mi msembra

p iu t tos to impegnata a

divertire, nel senso etimologico

del latino “divertere”, volgere

altrove, deviare. L’attuale

architettura è essenzialmente

una distrazione.

Se prendiamo Firenze, si vede che la parte centrale della città rappresenta la

città compatta antica correttamente orientata mentre la città che la circonda è

quella moderna, diffusa e

disorientata. È come se la

città fosse scoppiata, come

se da centripeta (che si dirige

verso il centro) fosse diventata

centrifuga (che mette in fuga

il centro)! Nelle culture

dell’Europa mediterranea la

città è centripeta poiché i suoi

cittadini sono abitatori di

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 69

strade, nelle culture dell’Europa

continentale la città è centrifuga

poiché i suoi cittadini sono abitatori di

case. Invece di riconoscere una

crescita coerente con quella città

compatta, antica, mediterranea,

t r o v i a m o u n a c a t e r v a d i

accampamenti sub-urbani composti

da gente est ranea che ha

parcheggiato le proprie case

individuali attorno alla città per usarne

i servizi urbani, in un modo che non

tiene conto dell’orientamento, assolutamente indifferente ai luoghi.

Questo è un disegno di Colin Rowe

(fig. 4) che mostra la differenza tra la

compattezza della città antica e la

dispersione, lo sprawl, della città

moderna. Però tutti quelli che si

occupano di sostenibilità - o meglio di

resilienza, cioè di come idurre la

vulnerabilità delle nostre città

attraverso interventi che ne riducano

la dipendenza dall’esterno - invitano a

fare città compatte. La figura mostra quindi la trasformazione più urgente che

dovremmo attivare perseguendo la sostenibilità che consiste nel compattare le

periferie, in modo da far loro raggiungere una certa densità. È la densità infatti

che consente di realizzare all’interno delle città una transizione dalla mobilità

veicolare, sia pubblica che privata, alla mobilità pedonale.

La densità potrebbe quindi ridurre l’impatto delle automobili e delle autostrade,

cosa molto rilevante sia dal punto di vista dello spreco di suolo che dal punto di

vista dello spreco di energia e dell’inquinamento urbano.

Vi sono due modi caratteristici di perseguire la densificazione delle città:

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 70

• quello rappresentato dal tessuto caratteristico delle città compatte antiche

nelle aree di clima temperato e arido formato da isolati,

• l’altro rappresentato da una moltitudine di oggetti edilizi alti, gli avveniristici

grattacieli proposti dalla modernità, che proviene dal tessuto caratteristico delle

città di clima freddo e tropicale.

Il tessuto formato da isolati relativamente bassi ma compatti, affacciati su reti di

architettura civica contrasta con la congerie di alti bizzarri fabbricati privi di

architettura civica, con le reti stradali affollate di veicoli, comprendenti grattacieli,

condomini e villette.

Prendiamo queste due

contrapposte modalità

insediative (fig. 5), per

c o m p r e n d e r e c o m e

possiamo interpretare la

città dal punto di vista del

sistema di comunicazione. I

luoghi dove primariamente

si svolgono tutte queste

comun icaz ion i , ques t i

incontri, queste relazioni

interpersonali, sono le strade e l’attacco a terra degli edifici. È lì che chiunque

volesse sfruttare commercialmente la presenza di tanti potenziali clienti andrebbe

a mettersi, è lo spazio dove si sviluppa la vita sociale delle persone, dove può

crescere il capitale sociale della città. Consideriamo ora, per confrontare

l’efficacia comunicativa dei due sistemi insediativi questi tre parametri: a) – la

lunghezza dell’attacco a terra, b) - la sua distanza dall’asse della strada su cui si

affacciano gli edifici che la costituiscono e c) - la loro altezza che misura la

distanza da tale strada delle persone che li abitano.

Nel tessuto compatto per isolati delle città formate nell’Europa mediterranea, il

parametro (a) è molto più rispondente al suo ruolo comunicativo che nel tessuto

disperso per oggetti edilizi separati (il pavillon system) delle città formate

nell’Europa continentale e nel Nord-America. Inoltre, per il parametro (b) la

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 71

lunghezza dell’attacco a terra può raddoppiare nel tessuto per isolati se

combinata con quella presente sull’altro lato della strada, cosa impossibile con la

distanza dall’asse stradale caratteristica dell’altro tessuto.

Il terzo parametro riguarda l’altezza dell’edificio e quindi la distanza dalla strada

da parte delle persone che vivono nell’edificio, soprattutto nei piani alti. Mentre

con gli edifici bassi degli isolati il contatto con la strada, con l’architettura civica è

facile e immediato, nei grattacieli con facciate continue che sigillano l’edificio

tale contatto con la strada è fuori luogo, assente.

Se consideriamo questi tre parametri, si capisce subito, come nel caso del

pavilion system a destra, l’attacco a terra si riduce moltissimo, la distanza dall’asse

stradale rende inutilizzabile l’attacco che si trova nell’edificio di fronte e in un

edificio sigillato da facciate continue, il contatto con la strada è assolutamente

assente. Questa è una delle prime osservazioni che fa Jane Jacobs sulle città

americane, criticando appunto i processi di Urban Renewal che miravano a

realizzare un tessuto come quello a destra. Lei si basava su questioni di sicurezza

che oggi sono diventate assolutamente centrali, perché se noi prendiamo quella

strada, oltre ad avere maggiore sicurezza perché la gente è sulla strada

continuamente, ha prestazioni molto interessanti anche dal punto di vista

bioclimatico.

Cioè abbiamo confrontato i consumi di energia di un tessuto per isolati con quello

per ville, condomini e grattacieli, questa soluzione per isolati rappresenta

un’alternativa molto efficiente dal punto di vista della climatizzazione

risparmiando energia. Però, oltre alla sostenibilità, alla riduzione dei consumi e alla

sicurezza, evidentemente questa soluzione offre anche un’opportunità sociale,

perché è la strada che consente di far vivere la città proprio per le relazioni che si

creano tra i suoi concittadini.

Questo è un diagramma di Fresnel (fig. 6), questa area nera del quadrato

perimetrale è uguale all’area nera del quadrato centrale e questo fa capire

quanto l’isolato sia molto importante anche dal punto di vista della sua resa

volumetrica, cioè se io realizzo questi isolati anche con altezze contenute di

quattro-cinque piani, praticamente raggiungo delle densità molto consistenti e

quindi quando parliamo di compattezza o di densità, dobbiamo distinguere la

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 72

densità del grattacielo dalla densità dell’isolato.

Colin Rowe fa sempre la differenza tra:

• il paradigma dell’acropoli della città greca, dove ci sono dei monumenti e

degli oggetti edilizi straordinari e

• il paradigma del foro, dove troviamo invece la piazza e gli spazi urbani articolati

della città romana. In questa gli spazi urbani prevalgono sugli oggetti edilizi, che

pure ci sono.

Naturalmente il nostro paesaggio, lo avete visto anche prima, è formato da

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 73

condomini orizzontali, da

condomin i ver t ica l i o

grattacieli, che sono fatti

apposta per tenere divisi e

separati i cittadini. Ai cittadini

viene promessa una privacy,

o una felicità solitaria o

comunque individuale, che

non viene mai realizzata,

perché di fatto questa

privatezza è assolutamente

illusoria. Dobbiamo perciò immaginare soluzioni radicalmente diverse.

Abbiamo fatto una serie di ricerche, nell’ambito del PFE (Progetto Finalizzato

Energetica) con CNR ed ENEA, presentate anche in due convegni internazionali,

organizzati nel 1985 da

SYNERGIA, la società di

servizi che ho fondato con

Natasha F. Pulitzer nel 1980.

Il primo convegno intitolato

“La città del sole” si svolge

a Trieste nel novembre

1985, con l’obbiettivo di

trasferire a livello della città

una serie di ricerche che

erano state svolte a livello

di edificio. Abbiamo cominciato a studiare dal punto di vista della climatizzazione

(perché questo è uno dei vantaggi dei tipi delle nostre città italiane) non solo lo

spazio all’interno dell’edificio, ma lo spazio tra gli edifici, cioè lo spazio di una

piazza o lo spazio di una strada. Abbiamo fatto un modello basato sul metodo

delle differenze finite e abbiamo cominciato a lavorare cercando di capire in che

modo la strada è in grado di produrre microclima, quali strade sono in grado di

produrre e migliorare il microclima e quindi quali strade sono frequentabili anche

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 74

nei mesi invernali perché sono protette dal vento, sono soleggiate, dato che ci

sono momenti in cui il clima, pur restando temperato, può essere anche

abbastanza freddo. Poi abbiamo preso una serie di tipologie do tessuto urbano,

abbiamo visto i vari orientamenti e i vari modi in cui il sole raggiungeva questi

edifici per sperimentare una serie di tipi insediativi nei loro spazi esterni invece che

al loro interno. Nella parte in basso della figura (fig. 7) vedete quei disegni, quei

diagrammi, che sono fatti appunto per studiare come all’interno di quello spazio

urbano si muovevano le temperature, come variavano le temperature all’interno

di quelle strade o piazze. Qui ne mostro due soltanto, ma naturalmente di tipi di

tessuto urbano ne abbiamo studiati molti, sotto ci sono dei riferimenti tipologici e

sopra c’è il modello su cui abbiamo fatto queste analisi. Il modello che è apparso

più conveniente, anche per quanto riguarda gli spazi aperti, è quello in alto a

destra, che è il modello per isolati.

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 75

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 77

Bisogna anche notare che, almeno nella maggior parte dei casi di climi aridi e

temperati, il sapere dei progettisti non è impegnato a climatizzare gli edifici, ma a

climatizzare la città, quindi gli edifici sono climatizzati come parti della città.

Questa immagine presenta alcune raccomandazioni sintetiche tratte dai risultati

degli studi (fig. 8). Bisogna naturalmente proteggere certe piazze colpite dal

vento con alberi, con vegetazione o con edifici, l’effetto delle basse temperature

è accentuato dal soffiare del vento. Abbiamo osservato che gli spazi aperti con

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 78

un andamento estovest funzionano meglio di quelli con asse nord-sud. Studiando

le potenzialità bioclimatiche del territorio Trentino troviamo che l’osservazione

riguardante l’orientamento delle strade vale anche per quanto riguarda le

vallate, che presentano risultati analoghi. Nelle vallate con andamento nord-sud il

sole d’inverno si alza tardi e tramonta prestissimo mentre nella vallate con asse in

direzione estovest scalda per mote ore del giorno il versante sud soleggiato. In

queste valli troviamo, e proprio sul versante sud, la maggior parte degli

insediamenti. Abbiamo studiato questo isolato solare (fig. 9) che ha altezze

diverse e che distribuisce tipologie differenti al suo interno. Quelle che si trovano

sul lato nord della strada estovest sono diverse da quelle che si trovano sul lato

sud della stessa strada. Mentre le prime sono più alte e unilaterali, avendo sullo

stesso lato sia il sole che lo spazio urbano, le seconde sono più basse (per

consentire l’accesso al sole alle prime di fronte) e bilaterali avendo il sole da una

parte e l’architettura civica dall’altra. Anche nelle strade con asse nord-sud

progettiamo tipologie bilaterali ma diverse nel lato est rispetto a quello ovest di

tali strade.

Le facciate di questi edifici devono inoltre essere tali da ombreggiare quelli

adiacenti con corpi aggettanti. Si presentano dunque 4 famiglie tipologiche per

gli edifici che costituiscono i 4 lati dell’isolato; aggiungendo le 4 tipologie che si

trovano negli angoli dell’isolato, pure diverse per i vari orientamenti, si ottengono

otto differenti famiglie tipologiche per ogni isolato (fig. 10).

L’accesso a questi isolati è reso possibile da una rete duale che intreccia la

circolazione veicolare (segnata in rosso) e la circolazione pedonale (segnata in

blu), per distinguere le due modalità circolatorie e restituire a quella pedonale

quel ruolo

di facilitatore di relazioni interpersonali che ha sempre avuto. Abbiamo

sperimentano in una serie di progetti la validità di questo assetto. Il “Progetto

Finalizzato Energetica”, ha consentito di analizzare e verificare mediante

simulazioni e computazioni le prestazioni delle varie tipologie, elaborando dei

progetti guida, come modelli tipologici, presentati e vari convegni e pubblicati

nell’ambito del CNR/ENEA PFE. Su diversi edifici costruiti sono state effettuate

anche valutazioni dirette mediante monitoraggio del loro funzionamento. Questo

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 79

è un modello che fa vedere le corti interne (fig. 11), la strada che attraversa

questo isolato, è disposta dietro l’ombra dell’edificio più alto, perché in quel posto

è bene non mettere nulla, di qualsiasi destinazione d’uso si tratti. All’interno

abbiamo pensato invece a porre delle corti sopraelevate di un piano, sotto le

quali mettiamo i parcheggi e sopra orti e giardini pensili. Abbiamo così la

possibilità di uscire al primo piano, sia che si tratti di abitazioni che di uffici,

direttamente su tali giardini oppure orti all’interno della città. Naturalmente,

tirando su queste corti interne

abbiamo un soleggiamento

maggiore, da confrontare

nell’immagine in basso,

r i spetto a quel lo che

succederebbe se avessimo

dei piazzali a raso. Avendo

negli attacchi a terra la

maggior parte delle attività di

tipo artigianale, commerciale

o professionale, quindi una

v i t a c h e s i s v o l g e

direttamente sulla strada e

con un bisogno minore degli

spazi retrostanti, appare del

t u t t o r a g i o n e v o l e

sopraelevare queste piastre.

Consideriamo ora il centro di

Firenze (fig. 12). Questa è la

parte romana della città di

Firenze, si può vedere il cardo

nord-sud e il decumano est-

ovest. Le tipologie edilizie

sono cambiate molto più del

tracciato stradale, della rete

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 80

stradale, del sistema reticolare dell’architettura civica, ceh resta quello romano.

Quindi potremmo, lavorando sugli edifici, realizzare delle città solari.

Naturalmente, non intendo consigliarvi di coprire con collettori solari gli edifici del

centro storico, sono però sicuro che, studiando un’adeguata riqualificazione degli

edifici in rapporto al loro orientamento, la climatizzazione naturale della città, e

non soltanto degli edifici, potrebbe avere un’efficacia maggiore dell’attuale. Se

la città fosse andata avanti

con questa logica, sia pure

con una serie di varianti,

avrebbe avuto una migliore

qualità ambientale, uno

spreco di energia minore e

nessun inquinamento. In

questa interpretazione

della Firenze romana si

riconosce il cardo e il

decumano.

Nella figura successiva (fig. 13) sono illustrate delle ricerche che abbiamo svolto

per il PFE combinando variamente uno stesso appartamento, uno stesso modulo

insediativo tipico delle costruzioni italiane, per ottenere diverse tipologie edilizie,

case isolate, a schiera, bifamiliari a uno, due, tre piani, condomini, torri e altre. Per

ognuna di esse abbiamo calcolato i consumi di energia, con diversi orientamenti,

dai quali si possono identificare quelle che presentano le migliori prestazioni. È

stato un lavoro molto sistematico, all’interno del quale abbiamo considerato

anche l’influenza esercitata dai tracciati stradali sui quali si affacciano gli edifici.

Oggi prevalgono tessuti urbani caratterizzati dalla presenza di oggetti edilizi

reciprocamente isolati, secondo la cultura del Pavilion System, affacciati su una

rete per la circolazione veicolare affollata di macchine. Un tessuto che non

produce cittadini ma che presuppone un insediamento abitato da individui

indipendenti, in competizione reciproca, che vedono nel prossimo un avversario

piuttosto che un amico. Nella maggior parte dei condomini viene valorizzata una

privacy impossibile, così è come se girassimo le spalle ai coinquilini dai quali ci

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 81

aspettiamo disturbi più

che aiuti (fig 14), è come

s e n o n v o l e s s e r o

guardarsi in faccia. Nella

città storica invece

quando gli edifici si

affacciano sulla strada

v i s s u t a i n m o d o

conviviale, è come se

fossero in una tavolata,

come siamo qua, a

guardarci l’un l’altro.

Anche in tante città solari c’è il difetto che gli edifici guardano tutti verso il sole

per essere edifici solari, ma che si girano le spalle l’un l’altro. Possiamo dire che

sono solari, ma che non formano città. Variando invece le tipologie sui diversi lati

delle strade variamente orientate, riusciamo a integrare – negli edifici come negli

spazi aperti - sia i requisiti della bioclimatica che quelli della città che, per il suo

effetto conviviale, stimola le relazioni interpersonali.

Vi sono nella storia molte esperienze, naturali e colte, di uso del tessuto urbano per

isolati, uno molto noto è quello che Ildefonso Cerdà sviluppa per la città di a

Barcellona. La differenza dell’isolato che ho presentato, rispetto a quello del

piano Cerdà, consiste nel

proporre una circolazione

p e d o n a l e

topologicamente duale di

quella veicolare e da essa

indipendente, invece di far

correre i marciapiedi

i n t o r n o a g l i i s o l a t i ,

parallelamente alle strade

veicolari (fig. 15). Questo

progetto è originato da

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 82

diverse ricerche che dimostrano come quando facciamo circolare le automobili

insieme ai pedoni, come nel caso di Barcellona, le relazioni interpersonali

all’interno di quella strada tendono a diminuire in proporzione all’aumentare del

traffico. In alcune città invece questo non è avvenuto. A Buenos Aires hanno

preso le “quadriculas” del centro e hanno distinto le strade alternativamente in

pedonali e veicolari. Sono così arrivati a uno schema, che anche Louis Kahn

aveva proposto per Philadelphia, un po’ come quello a destra.

Questa immagine mostra i’indagine svolta da D. Appleyard, (fig. 16), che ha

preso una strada, l’ha studiata in tre diversi momenti: prima dell’introduzione del

traffico o con un traffico molto debole, poi con un traffico mediamente intenso,

poi con un traffico molto consistente e ha contato il numero degli amici e il

numero dei conoscenti. È possibile così vedere quanto il traffico influenza la

progressiva riduzione delle relazioni interpersonali, o meglio quanto meno la

riempita di traffico veicolare fosse in grado di stimolare queste relazioni tra le

persone, rispetto a quella iniziale. Nelle città storiche invece questo stimolo a

produrre capitale sociale continua tuttora. Naturalmente, lavorando sui progetti si

possono fare diverse variazioni: in questa immagine (fig. 17) la parte gialla è la

parte pedonale, sempre tenendo conto dell’orientamento. L’orientamento delle

strade resta fondamentale se voglio fare un edificio che diventi bioclimatico, con

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 83

le strade studiate per avere

la climatizzazione negli spazi

aperti si può fare, senza

l’orientamento posso ridurre

i consumi e quindi anche

l’inquinamento solo in

misura ridotta.

Dalle cose che ho detto

f i n o r a e m e r g e u n a

concezione secondo la

quale le città hanno sempre

due aspetti fondamentali: le

città nascono per risolvere

problemi di ordine strumentale, dalla difesa alla sopravvivenza, all’alimentazione

e per affrontare tante altre questioni di carattere strumentale, ma le città

nascono anche per realizzare sistemi di comunicazione, funzionano un po’ come

un linguaggio che fa comunicare in modo intelligente le persone che le abitano.

Quando queste due dimensioni sono bilanciate le città operano in modo

appropriato, è però facile comprendere che quando prevale la dimensione

strumentale o quando prevale quella comunicativa, quando dunque una

dimensione prevarica e si

impone sull’altra, la città

attraversa uno stato di crisi.

Mi pare anche evidente

che se considero Firenze, le

sue periferie abbiano un

carattere più strumentale

della città storica, che

continua a mantenere una

dimensione propriamente

comunicativa.

Tanto è vero che le

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 84

persone, quando vogliono incontrarsi, partono dalle periferie per venire in centro.

Apprezzo molto, naturalmente, la presentazione che evidenzia gli arrondissement

di Parigi, perché sono convinto che le città dovrebbero diventare delle

costellazioni di villaggi urbani, all’interno dei quali dovrebbe aumentare il valore di

questa dimensione comunicativa. I villaggi urbani dovrebbero anche perseguire

una maggiore autonomia, raggiungere quindi una maggiore resilienza, ovvero

una minore vulnerabilità, che consiste in una maggiore capacità di sviluppare

conoscenze locali, di apprendere le specificità dei luoghi abitati. Senza con

questo escludere che la città funzioni anche globalmente.

Questo è un intervento che abbiamo realizzato a Lana di Merano (fig. 18), dove:

in una piazza dalla quale abbiamo tolto il traffico, non solo le persone si

incontrano tra loro, ma fanno venire anche altre persone che vivono nei

condomini intorno e in quella piazzetta si è creata una socialità nuova, molto

attiva.

Questo spazio è stato

a n c h e m o n i t o r a t o

d a l l ’ a g e n z i a

i n t e r n a z i o n a l e p e r

l ’ e n e r g i a ( I E A

International Energy

Agency), per vedere se

effettivamente quella

climatizzazione dello

spaz io aper to e ra

r i s c o n t r a b i l e .

Effettivamente abbiamo pubblicato anche i dati e nella piazzetta abbiamo sia

d’estate che d’inverno delle condizioni climatiche migliori di quelle che stanno a

cinquanta metri fuori dalla piazza. Il progetto tiene conto del fatto che dobbiamo

avere un lato protettivo, un lato dove arriva la maggior parte dei venti frequenti,

specialmente d’inverno, e un altro aperto al soleggiamento. Questo succede

anche nell’architettura delle Barchesse, nell’architettura di Andrea Palladio,

poiché l’architettura antica lo ha sempre fatto, questi porticati aperti non erano

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 85

semplicemente aperti per questioni monumentali o per questioni architettoniche,

avevano sempre una ragione climatica

molto precisa. Vitruvio regola addirittura la profondità del portico in rapporto alla

latitudine, quindi coglie il carattere bioclimatico del portico, che se ha la giusta

profondità riceve tutto il sole nei mesi invernali quando è basso e mette in ombra

invece l’edificio durante l’estate, quando il sole è alto.

Nell’immagine (fig. 19) il muro

verde è quello protettivo, ed è

quello più chiuso, è quello che

sta a nord, sia nell’edificio a

nord, sia nell’edificio a sud.

Quello rosso e giallo è invece il

muro solare e all’interno c’è una

piazza dove praticamente

rispetto all’edificio si inverte

l’orientamento: nell’edificio il

muro è a nord e il colonnato è a

sud, mentre invece nella piazza il colonnato si trova a nord e il muro protettivo si

trova a sud. Questo naturalmente dà anche il senso dell’orientamento all’interno

della piazzetta.

Questo è un disegno di come è

venuto l’edificio (fig. 20), le

automobili le abbiamo messe

sotto la piazza e al centro della

piazza abbiamo messo un albero.

Questa che vedete è una finestra

nella piazza che è stata ricavata

dalle ricerche che ho mostrato

prima sulle reti di spazi urbani,

perché è vero che la strada est-

ovest è ottimale dal punto di vista della climatizzazione, ma bisogna lasciare ogni

tanto delle aperture perché altrimenti quando il sole è troppo basso il

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 86

soleggiamento verrebbe a mancare. Dalle foto si vede la distinzione tra il lato

nord della casa in linea a nord rispetto al lato nord di quella protetta che si trova

sull’altra parte della piazza (fig.

21). Qui si vede che hanno

costruito dei luoghi per

mangiare all’aperto, davanti

all’orto ci sono delle serre solari

con sopra i balconi. Nella

schiera che sta a sud della casa

in linea abbiamo invece le serre

al primo piano, anche questo

quindi è un edificio climatizzato.

Di questo pure abbiamo dati, sia

dell’edificio sia della piazza.

Nell’immagine (fig. 22) un

progetto per l’area “Michelin” di

Trento, anche qui si vede il

modello duale che intreccia la

circolazione pedonale con

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 87

quella veicolare e che genera i

vari isolati del tessuto urbano

proposto. In fondo a questi

percorsi pedonali si arriva al

viale che conduce al Palazzo

del le Albere che è un

importante centro culturale.

Quello che si può vedere

nell’immagine (fig. 23) è un

p r o g e t t o c h e a b b i a m o

elaborato per contestare le torri

proposte a Bassano del Grappa

da Paolo Portoghesi. È stata una

contestazione tanto efficiente

con la partecipazione dei

cittadini da modificare il governo della città. L’amministrazione che voleva

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 88

costruire le torri aveva sottovalutato il valore del consenso politico al progetto, ed

è stata battuta dall’amministrazione che invece voleva difendere la città da

quell’intervento.

Portoghesi tra l’altro proponeva delle torri di acciaio che assomigliano più

all’architettura di Renzo Piano che alla sua. Non si capisce perché sia venuto a

Bassano a proporre queste torri, come non aveva mai fatto durante la sua vita. Il

nostro progetto propone un tessuto urbano, comprendente pure una torre, per far

capire che il problema non riguardava la tipologia edilizia ma l’architettura

civica, il sistema reticolare di spazi pubblici che rende sociale la vita della città,

che produce capitale sociale e i cittadini che lo costituiscono. La progettazione

bioclimatica dell’architettura civica oltre che proporre il modello duale di

circolazione definisce anche il corretto orientamento degli edifici e le loro

variazioni tipologiche situate nell’isolato. Nella figura a sinistra si vede questo

tessuto come lo vede il sole in dicembre a mezzogiorno, in alto alle nove del

mattino, in basso alle due del pomeriggio. Si evidenzia così quanto le facciate

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 89

siano capaci di captare radiazione e quindi di climatizzare gli edifici. Queste sono

alcune viste della piazza che il progetto propone al posto delle torri (fig. 24) con

una serie di animazioni dei tetti sempre motivate dal sole e dal clima. Si può

riconoscere la soluzione illustrata prima, con la parte pedonale, la piazza e la

piastra che accoglie il parcheggio sotto orti e giardini, tutto intorno la circolazione

veicolare.

Questo è un concorso per

inviti, progettato per un’area

di Mestre (fig. 25) dove

d o v e v a e s s e r c i u n

insediamento universitario,

l u n g o v i a T o r i n o .

Nell’immagine a sinistra è

presente la situazione

com’è, a destra si vede la

soluzione proposta, nella

quale abbiamo ricostruito un

tessuto urbano composto da una serie di isolati, mantenendo gran parte degli

edifici esistenti e realizzando, anche qua, il sistema duale di circolazione

pedonale e veicolare. Il progetto realizza un ambiente composito dal punto di

vista delle destinazioni d’uso,

quindi capace di adeguarsi

a d i v e r s i s c e n a r i d i

e s p a n s i o n e d e l l ’ a r e a

universitaria. Se l’università

non occupa gran parte degli

spazi è poss ibi le far l i

occupare dalla città, perché

è del tutto irrilevante la loro

specificità funzionale, con

piccoli adeguamenti possono essere usati in un modo o nell’altro. Naturalmente,

anche per fare questo progetto sono partito dalla rete pedonale e veicolare

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RITORNO ALLA CITTA! - ATTI DEL CONVEGNO 90

d e g l i s p a z i u r b a n i ,

dal l ’architettura civ ica,

anche questa considerata

dal punto di vista solare,

distinguendo le parti più in

ombra da quel le p iù

soleggiate, e inserendo gli

edifici dopo avere composto

tale rete. Anche le varie

tipologie edilizie sono state

definite per segmenti di

spazio urbano. Gli interventi in cui risulta articolato l’intero progetto rappresentano

tanti piccoli passi programmati, quindi si possono realizzare tanti piccoli

investimenti, in modo da poter correggere retroattivamente le scelte nel corso

dell’intervento complessivo. Perciò, invece che recintare un grande cantiere

urbano, trasformarlo completamente e poi riaprirlo, questo è un intervento che si

può benissimo realizzare mantenendo in funzione tutta l’area urbana, con le

strade che ci sono, aggiungendo, togliendo e sostituendo gradatamente quello

che è previsto dal progetto.

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Nelle immagini che seguono ci sono altri casi (fig. 26): quello a destra è uno studio

che abbiamo fatto per il CER, si tratta di una ricerca che applica un tessuto per

isolati allungati, con varie tipologie edilizie, diverse ma sempre corrette rispetto al

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ruolo e alla posizione che occupano. In alto, uno studio svolto da alcuni amici del

Martin Centre di Cambridge in Inghilterra, che hanno ricostruito una diversa

distribuzione dei volumi del centro di New York, dove si trova il Rockfeller Centre,

mostrando che si potrebbero costruire dei grandi isolati, con una quantità molto

maggiore di spazi verdi e una distribuzione diversa degli stessi volumi.

Quello sotto è un modello di circolazione proposto da Christopher Alexander che

dimostra l’efficienza di un sistema di strade dove si distinguono nettamente le

strade urbane locali di accesso agli edifici da quelle intraurbane di

attraversamento veloce.

Le barchesse (fig. 27)

s o n o s e m p r e

p e r f e t t a m e n t e

or ientate, le lo ro

c a r a t t e r i s t i c h e

m m o r f o l o g i c h e

esemplificano un tipo

consolidato nelle cui

costruzioni è difficile

distinguere il sistema

compositivo colto di

Andrea Palladio oppure

quello di Vincenzo Scamozzi, di Francesco Muttoni e di altri architetti veneti, da

quello “volgare” di molti auto-costruttori che, come lo chiamava Dante, si

potrebbe definire una specie di “parlar materno”. Un sistema diffuso di sentimento

dell’abitare questi luoghi, del sentirsi a casa, che emerge direttamente

dall’esperienza del vivere negli edifici, quando questi non avendo l’impianto non

potevano essere internazionali. Mentre negli edifici che costruiamo oggi, non si

potrebbe passare l’inverno senza un

mpianto (e neanche l’estate), in quegli edifici storici non si sarebbe potuto

abitare senza quell’architettura bioclimatica. Quindi l’impianto ha avuto un esito

disastroso sull’intelligenza degli architetti. È mia ferma convinzione che quanto gli

architetti imparano a operare senza l’impianto, o con il minimo di impianto, tanto

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m i g l i o r e m s a r à

l’architettura. Questo è un

edificio di Andrea Palladio

(fig. 28), guardando le

barchesse dei contadini egli

vedeva l ’a rch i te t tu ra

classica, che ha saputo fare

benissimo, ma che dal

p u n t o d i v i s t a d e l

funzionamento climatico

non è molto diversa dalla

loro.

Adesso vi presento velocemente un edificio che abbiamo realizzato qui a Prato,

con un mio amico veneto-fiorentino, Antonio Marcon, e Natasha Pulitzer. Questo

edificio presenta una

c o n f i g u r a z i o n e a

“S” (fig. 29, 30, 31).

Ve d e t e c o m ’ e r a

l’ambiente intorno al

luogo della scuola di

M o n t e m u r l o , i n

provincia di Prato. Il suo

contesto mostra tutte

quelle fabbriche, si

tratta di un Istituto

Professionale per la

moda, così abbiamo pensato che era giusto farlo guardare verso l’interno,

costruire un edificio introverso, quindi affacciato su una corte. Poi quando

abbiamo considerato l’orientamento del lotto e immesso il sole, abbiamo capito

che la corte doveva ruotare di 45°, ma ruotando la corte avremmo spaccato

completamente il lotto da un lato all’altro. E allora abbiamo tagliato il lotto e

abbiamo messo le corti verso l’esterno (pur mantenendole protette dal contesto)

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invece che verso l’interno, e abbiamo fatto quelle due corti, due mezze corti

sfalsate, in modo da poter unire, in una specie di percorso stradale, tutte le aule e

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i

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laboratori di questo istituto per la moda. Nei due triangoli agli estremi in alto e in

basso, che prospettano direttamente sugli spazi urbani pubblici, abbiamo

disposto in basso la biblioteca, perché potesse essere frequentata anche dalla

città, e in alto per lo stesso motivo un auditorium. La parte centrale è invece

quella più direttamente legata alle attività della scuola. Le corti non sono

completamente chiuse, sono schermate ma anche parzialmente aperte.

Con l’energia solare si può

fare anche la sedia

elettrica, quindi non basta

l’utilizzo dell’energia solare

per essere sicuri di far bene,

in America ho visto

presentare delle città solari

che sono terribili (fig. 32).

Quindi, se il sole ci portasse

a fare queste città

dovremmo avere qualche

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nostalgia verso i combustibili fossili. C’è invece un’altra possibilità, che non è stata

sperimentata dopo la crisi dell’energia (fig. 33), ma che è molto significativa di

quello che si può fare (che in parte si è fatto) con l’architettura bioclimatica.

Questi sono ambienti, esterni e interni, climatizzati perfettamente ma senza

impianti e quindi mi auguro che la nostra cultura architettonica, risvegliandosi,

cominci finalmente a preoccuparsi e a gioire della fine del petrolio, che renderà

gli architetti molto più creativi, immaginativi e capaci di realizzare un’architettura

radicata, regionale e in grado di esprimere l’abitabilità dei luoghi.

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IMMAGINI DEL CONVEGNO

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APPUNTI

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