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Anno2‐Numero6del5dicembre2018 Pag.2
Webzine ufficiale del Club Napoli Romazzurra Anno 2 – Numero 6 del 5 dicembre 2018 Direttore: Davide Zingone Redazione: Giovanni Sorrentino Maria Elena Cristiano Angelo Chiantese Luca Marasciulo Luigi Potenza Marco Potenza Emilio Sabatino Valeria Catalano Carlo Liguori Ernesto Loffredo e con le amichevoli incursioni di: Crimine Esposito Web & Social Media: Maria Elena Cristiano Impaginazione: Marco Potenza Logo designer: Federico Maccheroni
Indice: L'editoriale Le pagelle
Invito a teatro L’incursione
In due sul divano Dubai
Preferisco la coppa (ma anche la pizza non è male) Il racconto di Maria Elena Cristiano
Amarcord
Sai scrivere ed ami lo sport? Ti piace la nostra webzine? Vuoi proporci un articolo o una rubrica? Contattaci ed entra a far parte del mondo di Azzurrissima: www.romazzurra.com [email protected] FB @ClubRomazzurra
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L’editoriale di Davide Zingone
Atalanta è una figura della mitologia greca. Figlia di Iaso, re dell'Arcadia, è
descritta come provocante ma fermamente virtuosa, nonché cacciatrice
infaticabile e abile nella corsa. Ed ecco il primo insegnamento: quando la
curva bergamasca chiama la squadra “la Dea”, commette un errore
grossolano, perché Atalanta era principessa, ma non dea.
Il mito racconta che il padre di Atalanta desiderasse un maschio e, alla
nascita di una femminuccia, la abbandonò sul monte Pelio, come era
usanza a quell’epoca. Allora Artemide, dea della caccia, le inviò un'orsa
che se ne prese cura allattandola e allevandola. Qualche tempo dopo
Atalanta fu trovata da un gruppo di cacciatori che la crebbero. La sua
propensione per la caccia si manifestò presto quando affrontò e uccise
con l'arco i centauri Ileo e Reco che avevano tentato di stuprarla. In
seguito, pare che sia stata l’unica donna a prendere parte alla spedizione
degli Argonauti. L’eco delle sue eroiche imprese la rese talmente famosa
che, alla fine, il padre la riconobbe, la riprese a palazzo e cercò in tutti i
modi di farla sposare. Ma la ragazza non voleva saperne: un oracolo,
infatti, le aveva predetto che, una volta sposata, avrebbe perduto le sue
abilità.
Per accontentare il padre, tuttavia, Atalanta, che si fidava molto dei
propri mezzi fisici, promise di sposarsi solo con chi l'avesse battuta in una
gara di corsa. La posta era altissima: ciascun pretendente sconfitto
sarebbe stato ucciso.
Nessuno riuscì a batterla, finché non arrivò Melanione che,
profondamente innamorato, volle cimentarsi nella rischiosissima impresa
chiedendo aiuto ad Afrodite. La dea dell’amore, allora, consegnò a
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Melanione tre mele d'oro tratte dal Giardino delle Esperidi e gli consigliò
di lasciarle cadere durante la corsa. Atalanta, che era una femmina
speciale, certo, ma sempre femmina restava, ne risultò irresistibilmente
attratta e perse la corsa perché si fermò ogni volta a raccoglierle
perdendo terreno prezioso. I due si sposarono, ma fecero incazzare di
brutto Afrodite, che li scoprì ad amarsi in un tempio dedicato a Cibele. Per
punirli li trasformò in leoni, perché secondo i greci antichi i leoni non
facevano le cofecchie. Secondo la leggenda, tuttavia, i due sposini fecero
in tempo a concepire un bambino, al quale diedero il nome (udite, udite!)
di Partenopeo, in riferimento al lungo periodo di verginità osservato dalla
madre (parthenos, come tutti i napoletani dovrebbero sapere, significa
“vergine” in greco). E qui ci scappa il secondo insegnamento: quando la
curva bergamasca canta “Noi non siamo napoletani” commette un altro
grossolano errore. Se non altro, perché arrivano Fabiàn e Armadiusz (due
partenopei nati accidentalmente fuori Napoli) a ricordargli che, se stanno
zitti, fanno più bella figura.
Eh, lo so, qui si fanno i salti mortali per rendere più interessante un
campionato di calcio noioso, irregolare, irritante e in coma vigile, se non
già morto. Meno male che tra poco c’è la Scempions…
Forza Napoli e salute a noi (…e un po’ di più a Ciruzzo Mertens)!
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Le pagelle di Luca Marasciulo
ATALANTA – NAPOLI 1‐2 Torna al successo in campionato il Napoli espugnando il difficile campo di Bergamo in una gara difficile, complicata dalla serata poco brillante degli avanti azzurri e da un avversario tosto e sempre in gara, fatta eccezione per gli ultimi venti minuti dove i cambi qualitativi degli azzurri hanno sicuramente pesato sul risultato finale. Vittoria confezionata da due giocatori del Napoli spesso criticati, come Mario Rui e Milik: il primo, il più bravo con distacco degli azzurri, in una delle sue migliori gare; il secondo, con una zampata da assoluto fuoriclasse, portando peso e qualità in un attacco che fino ad allora aveva perso fisicamente contro la tenace difesa orobica. Eppure la gara si era messa benissimo per il Napoli, in vantaggio dopo appena un minuto con un micidiale contropiede di Insigne (con difesa nerazzurra troppo alta, lo sarà per tutto il primo tempo, lasciando agli
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azzurri almeno altre due nitide occasioni da uomo davanti al portiere) concluso con il tiro di Fabian Ruiz che aveva seguito l’azione. L’Atalanta si riversa nella metà campo azzurra, con Zapata (il migliore dei suoi) e Gomez sugli scudi, sulle fasce spingono molto ma il Napoli si difende con ordine e senza lasciare troppe occasioni agli avversari, ripartendo in contropiede ma sbagliando troppo. Finisce un primo tempo ad alti ritmi, si apre una ripresa con un’Atalanta che si riversa nella metà campo azzurra, mettendo alle corde la difesa e trovando il pareggio, guarda un po’, con l’ex di turno, Duvan Zapata. La partita cambia, il Napoli alza il baricentro ma troppi errori non concedono alcuna occasione. L’Atalanta si sta accontentando del pari, il Napoli sembra stanco, quando ecco Rui verticalizzare per Milik che controlla a seguire e con un tiro al volo confeziona uno dei migliori gol stagionali azzurri. Vero, prova balbettante del Napoli, una squadra che in campionato si trova sempre costretta ad inseguire, da due stagioni, a risultato già acquisito degli avversari bianconeri; che non accennano a perdere colpi, tenendo tutti ad una distanza che sembra veramente proibitiva, Napoli compreso. Ma gli azzurri hanno dimostrato di crederci sempre, anche nelle difficoltà e nelle giornate meno lucide sotto il profilo del gioco: merito senza dubbio di un allenatore che sembra aver limato anche la parte caratteriale di una squadra sempre troppo legata al fatto di giocare al massimo per ottenere una vittoria. Ora si soffre, si gioca meno bene, ma si calano gli assi tirandoli fuori dalla manica. E continuiamo a giocare allora... Ed ecco le ns. personalissime pagelle OSPINA 6 – incolpevole sul gol, sbriga bene il lavoro ordinario, meno capace quando c’è da rilanciare lungo, qualche errore in appoggio crea patema d’animo. MAKSIMOVIC 5,5 – Ancelotti lo schiera replicando lo schieramento di CL, consapevole che l’Atalanta è squadra forte sulle fasce e nei cross. Soffre tantissimo la posizione di Zapata sulla fascia, in spinta è sempre poco propenso allo scambio , in genere al giocare a calcio. al suo posto HYSAJ 5,5 – si complica un po’ la vita ALBIOL 6 – primo tempo impeccabile, un po’ meno , insieme a tutto il reparto, nel quarto d’ora del secondo tempo che porta al pareggio
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orobico. Nel finale prende le misure agli avanti bergamaschi e non c’è speranza per passare… KOULIBALY 6,5 – sempre presente nelle azioni decisive della difesa, sradica palloni agli avanti neroazzurri, ingaggia duelli fisici con Zapata, alternando anticipi e battaglie perse. Vince la guerra. MARIO RUI 7 – grande prestazione difensiva, abilissimo nelle diagonali e sempre presente in area recuperando situazioni spinose. Se poi ci metti l’assist per Milik, trovi il migliore in campo degli azzurri nel portoghese. CALLEJON 6 – poco supportato da Maksimovic si vede più in fase di ripiegamento che in avanti (ma tutto il Napoli, nel primo tempo, avrà attaccato sporadicamente). Nel finale congela palloni a difesa del risultato. ALLAN 6,5 – che dire, sempre nelle situazioni delicate da vincitore, alla fine lotta su tutti i palloni mentre gli stanchi avversari tentano con le ultime energie di creare grattacapi alla difesa azzurra. HAMSIK 6 – pesca Insigne con un passaggio illuminante all’alba della gara, quando c’è da ringhiare un po’ te lo perdi. FABIAN RUIZ 6 – segue genialmente l’azione di Insigne e insacca alla grande, spreca con un goffo tentativo di pallonetto la migliore delle occasioni. Gara di sacrificio. al suo posto ZIELINSKI 6 – incide poco MERTENS 5,5 – quasi mai servito, schiacciato fra i centrali atalantini, poca possibilità di fraseggiare con i compagni. al suo posto MILIK 6,5 – gol da attaccante vero, avere gli attaccanti che ti decidono la partita in corso non è cosa da poco, siano essi Mertens o il polacco stesso. INSIGNE 6,5 – altruista nell’assist per Ruiz, si trova anche lui a tu per tu con il portiere tirando fuori di poco. Fa tremare per una botta rimediata. ANCELOTTI 6,5 – canonico 4‐4‐2, neanche quando si prova a vincerla la partita passa a 4‐3‐3, non vuole prendere rischi e forse qualche volta bisogna osare di più. I cambi però gli danno ragione, il Napoli gioca con il cuore oltre il 90esimo, questi sono gli insegnamenti del mister.
Anno2‐Numero6del5dicembre2018 Pag.8
L’incursione di Crimine Esposito
Io non odio Bergamo. E' una città gradevole, ordinata, civile. Alcuni suoi
figli, purtroppo, sono degli idioti, ignoranti e perniciosi che conducono
vite inutili, che hanno come unica occupazione, non stipendiata,
ovviamente, quella di offendere un'intera città che non conoscono, se
non per dei "sentito dire". Capita spesso a chi non ha mai letto un libro, a
chi non ha viaggiato, a chi senza branco non saprebbe come giustificare la
propria esistenza. Di esseri del genere le nostre città sono piene. Colpa di
famiglie poco presenti; di una scuola che non funziona più, se mai ha
funzionato; di pregiudizi che trovano terreno fertile nelle teste vuote e
nelle bocche aperte; di una società che si disinteressa di loro,
colpevolmente, considerandoli "quattro imbecilli", mostrando
pressappochismo sociale e miopia politica. Io non me la prendo con loro,
perché un po' mi fanno pure pena: pensate che punizione tremenda sia
vivere con un cervello a mezzo servizio e con l'anima bruciata dalla
nullità!
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In due sul divano di Luigi & Marco Potenza
Parte prima: Luigi
Stasera, partita in differita.
Sia io che Marco abbiamo impegni “sportivi” e non possiamo che mettere
in atto la solita prassi per situazioni del genere: registrazione dell’evento
(sempre sia lodato il MySky…) e contemporaneo isolamento di entrambi i
Potenza da apparecchi telefonici (propri o di altri), capannelli di amici (la
discussione sul calcio è sempre dietro l’angolo), e conseguenti
comportamenti sociali al limite dell’autistico.
Fortunatamente almeno stasera e almeno per me, la manovra
nonseguoilcalciovadodifrettaescapposenzasalutare funziona alla grande e
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alle 22,40, con il ricciolino vestito di tutto punto (maglia azzurra, of
course…) procediamo con il tasto play.
Ma ho messo avanzamento veloce? O Fabian ha davvero segnato subito?
Cavolo, cominciamo benissimo!!!!
Però mancano 89 minuti più recupero, non avremo fatto goal troppo
presto?
In effetti, complice l’appagamento inevitabile post‐vantaggio, ci
abbassiamo un po’ troppo e subiamo il ritorno dell’Atalanta.
Per carità, niente di straordinario, solo uno sterile possesso di palla ed una
inutile supremazia territoriale, alla quale per dirla tutta rispondiamo con
un paio di pericolosi contropiede, vanificati da Lorenzo e Fabian.
Sull’altro fronte, Duvan sembra davvero indemoniato ma è
fortunatamente ben contenuto da Maksimovic e Albiol, ragione per cui
all’intervallo siamo ancora sopra.
Non c’è tempo per commenti e riposo, ricominciamo subito, il sonno
comincia a farsi sentire… e poi il compagno di divano è meno loquace del
solito!
Purtroppo ricominciamo male, adesso più che mai mi sembra che
difettiamo di concentrazione e determinazione, fatichiamo a sfruttare i
momenti favorevoli e l’Atalanta ne approfitta proprio con Duvan che dopo
un’azione confusa in area controlla e supera l’ incolpevole Ospina (che io
senza saper né leggere e né scrivere porterei comunque a Lourdes per
una speciale benedizione).
Manca ancora poco più di mezz’ora, ma l’andazzo non sembra poter
mutare.
E’ vero che il pari ha il potere di tranquillizzare l’Atalanta, ma è altrettanto
vero che noi continuiamo a sbagliare il passaggio finale e sembriamo
accontentarci di aver alzato il baricentro e di aver ripreso il controllo della
partita.
Sono abbastanza sfiduciato, non vedo all’orizzonte il colpo di genio, pare
che il pari possa accontentare tutti… di certo non accontenta Marco, che
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serra i denti più del solito e che ci spera sempre, così come non
accontenta Mister Carletto, che dopo aver messo in campo Piotr al posto
di uno stanco Fabian, all’82’ fa entrare Arek in vece di uno spento Dries.
Eccolo il colpo di genio!
Cross di Mario Rui dalla sinistra, stop di esterno ad alzare la palla e mezza
girata di sinistro al volo verso la porta avversaria.
Un attimo di silenzio, dov’è andato il pallone?
Grandeeeee!!!!!
L’urlo di Marco arriva prima che io realizzi che Arek ci ha di nuovo portato
in vantaggio, e mi cambia completamente l’umore: è mezzanotte passata,
sorrido tra me e me, quanti condomini avrà svegliato?
I 4 (immotivati, a detta dell’ingegnere) minuti di recupero concessi da
Giacomelli sono solo un tappeto rosso che ci conduce al meritato sonno
ristoratore.
Ancora 8 giorni ai reds, battere i bergamaschi a casa loro mi sembra un
buon viatico, no?
Parte seconda: Marco
Monday night di campionato. Trasferta a Bergamo, notoriamente una
delle più ardue per gli azzurri. Forse le prove generali in ottica Anfield.
Sembrano esserci tutte le premesse per una gara divertente e sentita, da
seguire con attenzione sul divano. Senonchè qualcosa rende impossibile la
visione live del match: è lunedì ed ho gli allenamenti, ma ho concordato
da giorni con papà una volata sotto la doccia con appuntamento alle
22.20 per guardare l'Evento. Forse per evitare l'empasse di guardare un
film nell'attesa, anche papà decide di andare a giocare a paddle: ma
l'appuntamento non viene modificato.
Dal canto mio, arrivo addirittura in anticipo: dopo essermi raccomandato
personalmente con tutti i miei compagni di squadra di aspettare la mia
uscita dagli spogliatoi per guardare il risultato sui loro cellulari, mi lavo in
tempo record e alle 22.10 sono a casa. Non trovando nessuno, penso di
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poter guadagnare qualche minuto portando intanto Kobe a fare la solita
passeggiata serale... Che ovviamente si protrae più del dovuto. La legge di
Murphy non sbaglia, e tanto più devi sbrigarti, tanto maggiore sarà la
possibilità di incontrare amici, condomini e conoscenti lungo la
passeggiata.
Finalmente alle 22.40 siamo in posizione e alle 22.42 siamo già in
vantaggio: dormita di Hateboer, imbucata geniale di Dries e 0‐1 Napoli
sull'asse Lorenzo‐Fabian. Tra l'altro, avrei bisogno di una doppietta del
giocatore spagnolo al fantacalcio per pareggiare: hai visto mai...
Invece la partita prende una strana piega: iniziamo ad abbassarci sempre
di più, con una linea difensiva praticamente a 6, cercando esclusivamente
qualche ripartenza veloce. Per carità, i bergamaschi non creano nulla di
significativo e abbiamo una ghiotta occasione con Lorenzo, ma non siamo
abituati a giocare questo tipo di partite così bassi. Purtroppo, nel secondo
tempo, l'Atalanta sembra rientrare in campo ancora più decisa e riesce a
raggiungere il pareggio, complice una difesa azzurra non proprio
attentissima e un Duvan in buona giornata. Fino al 70' non sembra esserci
un grande desiderio di provare a portare i 3 punti all'ombra del Vesuvio.
Poi, lentamente, sembriamo risvegliarci e provare a colpire una squadra
ancor più stanca di quella partenopea. Entrano Piotr, Elseid e Arek, con un
pizzico di verve e freschezza in più rispetto agli uscenti. Non che giochino
la partita della vita, sia chiaro: ma su un cross di Mario Rui, il controllo e il
tiro al volo del polacco con la 99 sulle spalle risultano decisivi. 1‐2 a
Bergamo all'85', e questa volta sento un urlo di gioia anche da parte di
papà, rimasto più silenzioso sul primo gol. La Dea non ha la forza di
reagire, prova ad essere pericolosa solo su qualche calcio piazzato, ma noi
siamo particolarmente attenti e non concediamo nessuna occasione. Ora
il Frosinone: se il risultato fosse questo, speriamo davvero rappresentino
le prove generali per Liverpool!
Forza Napoli Sempre!
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Le altre campane di Angelo Chiantese
Cari Lettori e Lettrici rieccoci anche in quest’annata calcistica 2018/2019 a
raccontare le gesta delle compagini della nostra regione che difendono i
loro vessilli battagliando sui rettangoli di gioco di SERIE B e SERIE C.
BENEVENTO: 1 punto più che prezioso per il Benevento in quel di
Palermo. In casa della capolista i Sanniti nell’anticipo del venerdì
sfoderano una prestazione gagliarda e ottengono il secondo risultato utile
consecutivo. La partita è molto equilibrata anche se ai punti meriterebbe
la compagine Beneventana, e l’occasione più clamorosa capita a Bonaiuto
che però non ne approfitta. La squadra di Bucchi ad onor del vero è
graziata da Trajkovski che non batte Montipò all’altezza del dischetto. Il
Benevento aggancia il quarto posto e spera di aver trovato quegli equilibri
e la continuità che in cadetteria fanno la differenza.
SALERNITANA: sconfitta per la Salernitana in casa del Cittadella. La
compagine di Colantuono perde un importante scontro diretto. Nel primo
tempo per i primi 25 minuti è solo la Salernitana a gestire il pallino con il
Cittadella che attende nella sua metà campo. In tre occasioni i granata si
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fanno vedere nell’area di rigore avversaria. Al 10’ con Castiglia, al 14’ con
Casasola che crea sulla corsia di destra ma la retroguardia veneta mette in
calcio d’angolo e al 18’ ancora con una bella discesa di Casasola che mette
un pallone con il contagiri sulla testa di Bocalon che appoggia
praticamente al portiere.
Al 33’ a sorpresa il Cittadella va in vantaggio con una gran giocata di
Branca sulla sinistra che mette al centro per Strizzolo che di testa e non
perdona Micai. Salernitana colpita duramente.
Al 39’ nuova fiammata del Cittadella vicinissima al raddoppio con due
occasioni ravvicinate prima di Iori da fuori area e poi di Strizzolo da tre
metri. In entrambe le occasioni Micai compie due grandi parate.
Nel secondo tempo arriva la scelta azzeccata di mister Colantuono che
inserisce Rosina e proprio il numero 10 campano ristabilisce il risultato di
parità sfruttando un buon fraseggio a centrocampo e lanciato in
profondità mette a segno una gran diagonale col suo mancino fatato. Al
52’ però Cittadella di nuovo in vantaggio. Colpo di testa di Panico,
respinta corta di Micai e tap‐in di Schenetti. Difesa granata
incomprensibilmente troppo statica.
Al 57’ gran discesa palla al piede di Rosina, palla in verticale per Bocalon
che anziché calciare nello specchio appoggia fuori area per la discesa di
Casasola.
Occasione persa per la Salernitana e ancora rete per il Cittadella. Proia
lancia Panico in velocità, quest’ultimo offre una gran palla rasoterra in
mezzo a Strizzolo che non perdona, 3 a 1. Fino all’ 80’ non succede nulla.
Il Cittadella gestisce il doppio vantaggio con troppa facilità. Salernitana
scialba che sembra aver pagato a caro prezzo la lunga sosta. Idee poche e
confuse e tutto viene affidato alle idee dei calciatori campani, che Rosina
a parte sembrano davvero offuscate. Giornata che vede riproporre
sempre le solite lacune accompagnate questa volta anche da una difesa
lenta e disattenta. Il Cittadella ne approfitta e mette in subbuglio la difesa
granata.
Anno2‐Numero6del5dicembre2018 Pag.15
CASERTANA: falchetti corsari dalle parti della Sila. Nella trasferta di Rende
splendida vittoria per la Casertana. Partono col piglio giusto i rossoblù e
alla prima occasione sbloccano la partita. Zito si porta in area e serve
Castaldo che batte a reta ma la sfera è ribattuta proprio sui piedi di De
Marco che fa partire il fendente che trafigge Savelloni alla sua sinistra. La
reazione biancorossa è imminente quanto inutile. Al 10’ Castaldo ha
un’altra occasione, ma stavolta Savelloni non si fa sorprendere. L’ex irpino
è devastante un minuto dopo, quando servito ancora da Zito trova la
rovesciata volante che manda la palla a stamparsi sulla traversa. Il Rende
è frastornato dalla veemenza ospite e non riesce a giocare come sa. I
biancorossi cercano di conquistare campo attorno alla mezz’ora: prima
Vivacqua non riesce a deviare sottomisura un cross proveniente dalla
destra e dopo poco l’attaccante cosentino viene fermato da un poderoso
intervento difensivo di Rainone. La Casertana abbassa pericolosamente il
baricentro e il Rende fa la partita ma gli attaccanti silani vengono
puntualmente fermati dai vari Blondett, Pinna e gli altri senza mai
procurare pericoli all’esordiente Adamonis. Nella ripresa la Casertana
torna vivace in avanti con Zito prima e Castaldo poi ma senza colpire il
bersaglio. Il Rende cerca di rispondere con Awua ma il suo tiro sorvola la
trasversale. Al 12’ una confusa azione sul lungo linea provoca una
mischia, sedata la quale, il signor Zingarelli espelle Godano e Blondett per
reciproche scorrettezze. Il Rende insiste ma l’occasione più ghiotta per i
locali arriva al 33’: sugli sviluppi del sesto angolo per il Rende la palla è
respinta fuori area e Viteritti si coordina e fa partire un bolide che sfiora il
palo alla destra di Adamonis. Al 37’ Zito conquista palla sulla tre quarti e
fa partire Castaldo che al momento di concludere si fa rimontare da uno
strepitoso Minelli. Il Rende negli ultimi minuti prova il tutto per tutto ma
riesce solo a far incetta di corners. Finisce con la vittoria di una Casertana
rinfrancata, che ha punto quando doveva e si è difesa con ordine
all’occorrenza.
Anno2‐Numero6del5dicembre2018 Pag.16
CAVESE: pareggio in quel di Catanzaro per la Cavese, contro la compagine
calabrese in ottimo momento di forma i campani riescono ad uscire
indenni giocando (è il caso di dire) con le avversità del campo e sfruttando
un terreno di gioco non al top che non aiuta il tasso tecnico superiore dei
Calabresi. Il Catanzaro parte forte nel primo tempo e la Cavese soffre ma
con le parate di De Brasi e con l’abile guida difensiva di Bruno porta lo
zero a zero fino alla fine del primo tempo. Nel secondo tempo a sorpresa
la Cavese è in vantaggio grazie a K. Heatley (50’) e sfiorerebbe pure il
raddoppio. La reazione del Catanzaro non tarda ad arrivare e Kanoute
porta in dote il pareggio per i suoi al 67’. Da questo momento la Cavese si
difende con il coltello tra i denti e sfrutta ogni occasione per lasciar
trascorrere tempo prezioso. Termina 1 a 1 e applausi per la Cavese
(quantomeno per la determinazione.)
Juve Stabia: allo stadio "Romeo Menti", mister Fabio Caserta schiera i
suoi ragazzi con l’ormai classico e collaudato 4‐3‐3 di contro, mister
Ginestra risponde con il 3‐5‐2.
La squadra di casa subito si fa vedere in avanti con Di Roberto che,
sfruttando il cross di Aktaou e la disattenzione di Jakimovski, tenta un
colpo di testa ma la sfera termina fuori. Al 12’ Elia prova la botta dai 15
metri ma Crispino non si fa trovare impreparato e blocca tra i suoi
guantoni. Nonostante una forte pressione delle Vespe il Bisceglie tiene
bene il campo e la partita procede su ritmi di gioco essenzialmente
equilibrati. Alla mezz’ora sono ancora i padroni di casa a cercare di
sbloccare il risultato con un lancio di Vicente destinato a Di Roberto ma
l’attaccante fallisce il colpo vincente.
Fa esplodere lo stadio lo stesso Di Roberto al 37’ grazie all’ anticipo su
Markic e all’ incornata alle spalle di Crispino. È questa l’ultima azione
degna di nota del primo tempo.
Nella ripresa solito copione con i ventidue in campo che si affrontano a
viso aperto, con il Bisceglie che cerca di imbastire qualche trama per
Anno2‐Numero6del5dicembre2018 Pag.17
rimettere in risultato in equilibrio ma sul tiro in area di Onescu, al 31’,
Branduani blocca senza alcun tipo di problema.
Si continua su ritmi poco emozionanti fino al 40’ quando Elia in
accellerazione ruba palla a Maestrelli e col destro in diagonale non lascia
repliche a Crispino.
Dopo 3' di recupero il direttore di gara fischia la fine del match che
decreta il decimo successo stagionale delle Vespe che consolidano la
vetta del Girone C.
PAGANESE: al "Marcello Torre" Paganese‐Vibonese termina 1‐1. Inizia
molto bene la Vibonese, che sin dal primo minuto spinge con
determinazione alla ricerca del gol. All'8' arriva subito il
vantaggio: Santopadre non respinge un tiro dalla destra di Scaccabarozzi,
Melillo raccoglie la respinta del portiere avversario e mette in mezzo per
Bubas, che non deve far altro che depositare a porta vuota. La squadra di
Orlandi spinge fino alla mezzora, momento del match in cui comincia a
farsi vedere la Paganese (ed era ora). Al 33' vibranti proteste dei padroni
di casa per un fallo di Camilleri su Cesaretti, avviatosi da solo verso lo
specchio della porta. Cinque minuti dopo c'è una clamorosa chance per gli
ospiti: calcio di punizione dalla sinistra calciato da Tito, il pallone arriva a
Obodo che di testa colpisce di pochissimo a lato della porta difesa da
Santopadre. Nel secondo tempo i ragazzi di Orlando entrano con grande
determinazione in campo e vanno subito vicini al raddoppio con Bubas
che viene fermato solo da un prodigioso Diop. Dal 54' comincia lo show di
Santopadre, che para un potentissimo tiro a Prezioso. Al 62' ancora
grande parata dell'estremo difensore azzurrostellato, che con un
eccezionale colpo di reni alza sulla traversa un pallone calciato dal solito
Prezioso. Nel momento di maggior controllo dei rossoblù arriva il gol dei
padroni di casa, grazie ad un fantastico calcio di punizione dal limite
dell'area di Scarpa. Le squadre mostrano evidenti segni di stanchezza, ma
all'87' arriva un'occasione per parte: prima Alberti, su cross dalla destra
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di Tazza, sfiora il palo con un preciso colpo di testa, mentre qualche
istante dopo Bubas indirizza un potente diagonale in porta ma
Santopadre ancora una volta è decisivo. Il match si spegne senza
particolari sussulti nei minuti di recupero. Pareggio da tenere stretto per
la Paganese ma ora deve arrivare la vittoria.
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Dubai di Ernesto Loffredo
Dubai‐Emirati Arabi Uniti: vivere la passione azzurra a 6.000 km da casa!
First of all ( qui negli EAU si parla correntemente l'inglese......) volevo
introdurvi alla città/emirato attraverso qualche info di carattere generale
e parlarvi, quindi, di come negli ultimi cinquant'anni questa area del
mondo si sia trasformata da società prevalentemente agricola e dedita
alla pesca e ai traffici commerciali marittimi nell'area del Golfo Persico ad
una con un sistema economico industrializzato basato principalmente
sullo sfruttamento delle copiose risorse naturali, quali petrolio e gas.
Negli ultimi anni la lungimiranza degli amministratori locali, corroborata
dalla grande disponibilità di risorse economiche derivanti appunto dalla
commercializzazione di petrolio, sta indirizzando la politica verso forme
diversificate di economia quali le energie alternative, l'edilizia e
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soprattutto il turismo. La parola d'ordine è diventata “stupire”. Stupire
per attrarre e costruire un ponte tra Oriente ed Occidente, tra Islamismo
e Cristianità.
Ecco allora che a Dubai si costruisce il grattacielo più alto del mondo, il
Burj Khalifa, (e nel mentre si progetta una iconica struttura che supererà i
1200 metri di altezza!) oppure il Mall più grande del mondo, il Dubai Mall,
oppure che all'interno del Mall of the Emirates, si possa sciare in un’area
costantemente a ‐2 gradi, con tanto di pinguini per la gioia dei bambini. E
poi le spiagge artificiali con alle spalle gli imponenti grattacieli, le isole
artificiali su cui costruire ville con camere da letto "underwater", il
progetto The World a 4 km dalla costa con la distribuzione di isole che
ricorda la forma del globo, i canali costruiti per ricordare Venezia ma
mantenendo un'architettura arabeggiante, come al Souk Madinat, le
fontane "danzanti", i grandissimi parchi acquatici, le hall sfavillanti degli
hotel 7 stelle, come il Burj Al Arab ( la cosiddetta Vela), gli Heritage Village
per non dimenticare il passato, i parchi a tema, i Safari nel deserto, le
candide Moschee (la Grande Moschea di Abu Dhabi merita
assolutamente una visita se ci si trova nei paraggi), i teatri
supertecnologici, le luci, i colori e i sapori delle cucine di tutto il mondo.
Novembre, Dicembre e Gennaio sono i mesi migliori per passare una
vacanza a Dubai. Le temperature giornaliere si assestano sui 28/30 gradi e
la sera potrebbe anche servirvi un leggero maglioncino. Decine di
compagnie aeree arrivano dall'Italia a Dubai, alcune con volo diretto, la
maggior parte con uno scalo e ormai i maggiori Tour Operator la
propongono come meta principale per trascorrere il Capodanno tra
fuochi d'artificio e costume da bagno.
E il Napoli? Ci si dimentica del nostro Napoli in tutto questo sfarzo?
Assolutamente no! Anche se non esiste un Club Napoli, su Facebook ne
risulta uno mai costituitosi, la sempre numerosa comunità Napoletana di
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colpo si ritrova. La passione batte sempre forte a qualsiasi latitudine e
oltre ogni distanza. All'ora della partita ci si dà appuntamento, ci si
incontra, si vestono i colori e si sfoggiano i vessilli azzurri. La telecronaca
via internet di radio Kiss Kiss non ci basta. Bein Sport è la tv di riferimento:
qualità video ottima ed audio in lingua madre (arabo!) ma con
telecronache sicuramente imparziali! La TV Qatariota annovera tra i suoi
commentatori anche il Campione del Mondo Alessandro "Spillo" Altobelli
che sembra essere affascinato dal nostro calcio: chissà se tornasse in
Italia cosa direbbe, o cosa sarebbe invitato a dire. Consiglio per chi fosse
in vacanza da queste parti e (come tanti) non sapesse rinunciare al
richiamo dei colori azzurri di recarsi presso il Kickers Sport Bar, all'interno
di una vasta area dedicata allo sport, dove su uno dei tanti schermi di
questo pub English style sicuramente manderanno in onda la partita del
nostro amato Napoli.
Per il momento da Dubai è tutto...a voi S. Paolo!
P.s. A proposito: l'urlo "The Champions" live mi manca molto, ma a Marzo
rientro in Italia. Che dite, riesco ad ascoltarlo per quest'anno?
FNS
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Preferisco la Coppa (ma anche la pizza non è male)
di Giovanni Sorrentino
PREMESSA IMPORTANTE
Qualche giorno fa, in un brillante e condivisibile articolo, il Direttore de
“Il Napolista” Massimiliano Gallo, ha inquadrato la prossima partita del
Napoli a Liverpool come una possibile e collettiva seduta di psicoanalisi
dei tifosi azzurri (cfr. link in calce). In poche parole, sperando di non
tradire il suo pensiero, Gallo pensa all’incontro di Anfield come a una
sorta di “liberazione dell’io”, un rito iniziatico e di passaggio dopo il quale
‐ auspica ‐ noi tifosi non saremo più quelli di prima e nulla sarà più come
prima nella visione del calcio a Napoli. Complici, ovviamente, la presa di
coscienza (da parte di noi sostenitori) della reale ‘forza’ della squadra
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azzurra e una partita gagliarda disputata dai nostri ragazzi, giocata ad
armi pari e senza complessi, indipendentemente dal risultato. Anche se,
di certo, spera in un buon risultato per noi, che ci permetta il
superamento del turno. Se ciò sarà e, per certi versi, anche se ciò non
sarà, ne usciremo rafforzati e pronti alle sfide sempre più complesse del
futuro.
LO PSICOLOGO
Manco a dirlo: Mister Ancelotti.
Ormai, Re Carlo (come a noi piace chiamarlo) ricopre nel nostro
immaginario ogni sorta di ruolo e incarna ogni sentimento. Bisogna
riconoscere che è capacissimo di assumere differenti sembianze a
seconda dell’occasione e degli interlocutori. Abile, intelligente,
diplomatico, aperto, leale, modesto, arrogante (“se non passiamo a
questo punto siamo dei c…”): non sembra esserci aspetto dell’animo
umano che non sia capace di interpretare. D’altronde, non si arriva a certi
livelli in un mondo difficile come quello del calcio internazionale se non si
ha qualche dote particolare. Il perché abbia scelto Napoli, resta uno degli
insondabili aspetti della psiche umana e va forse letto nell’ottica della
“piramide dei bisogni” di Maslow, con l’estrema sfida in terra partenopea
che – in caso di vittoria – lo porterebbe alla più completa
‘autoaffermazione’ possibile per un uomo vincente ovunque, in ognuno
dei “mondi normali” (Milano, Parigi, Londra, Madrid, Monaco di Baviera).
E noi, ancor di più dopo le scelte che puntualmente fruttano punti e
successi, crediamo in re Carlo, ci affidiamo a lui, alla sua completezza e al
suo equilibrio. Ci sdraiamo volentieri sul suo lettino.
LA SETTIMANA ENIGMISTICA (E ALTRI UTILI “PLACEBO” CONTRO LA
PAURA)
La Settimana la compro regolarmente e ne faccio un uso costante. Sono
anche un c.d. “solutore più che abile” e ne ho sempre di riserva qualcuna
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intonsa (si sa, non si finisce La Settimana in una sola settimana …), da tirar
fuori e utilizzare in caso di bisogno. Quando serve isolarsi.
Come martedì sera, 11 dicembre prossimo, ad esempio. Unitamente al
mio Bach preferito (L’Arte della Fuga … in questo caso dalla realtà) e
all’immancabile Cognac rappresenterebbe un’ancora di salvezza e di
razionalità in quel maledetto martedì inglese. Potrei immergermi in altro,
con il cuore sereno e pacificato, vivendo la serata senza stress e godendo
altri piaceri. Non so se vedrò la partita.
Ho paura.
Proprio quella che più volte viene citata da Gallo come uno dei nostri
limiti atavici. Paura di esser grandi. E si, lo confesso: la vivo tutta quella
paura. Troppi traumi irrisolti. Ho paura di una nuova ingiustizia arbitrale:
ero davanti alla televisione, nel 1976, quando l’inglese Matthewson
annullò un gol regolare a Speggiorin e gli fischiò un fuorigioco inesistente
mentre era lanciato a rete, nella semifinale di Coppa delle Coppe
Anderlecht – Napoli. Tremo nell’ansia di un’altra attesa epica: ero sugli
spalti per Napoli‐Real 1‐1, i più travolgenti ed emozionanti 43 minuti mai
visti al San Paolo… peccato che al 44’ segno El Buitre. Non ho voglia di
rivivere le recenti ed euforiche atmosfere delle ultime trasferte europee
(Londra con il Chelsea, Dortmund, Madrid, Parigi), così ricolme di sogni
inespressi e così vuote in termini di risultati e soddisfazioni…
INCUBI, NUMERI E SPERANZE
Seconda confessione: sono moooolto pessimista per la prossima partita
(è lecito, per i miei pochi lettori, cercare il fazzoletto nella tasca dei
pantaloni). Temo che il Napoli non uscirà da Anfield con un risultato
positivo. Per dirla proprio tutta, temo un’imbarcata colossale, una forca
caudina di quelle sotto le quali sono passati i cari romanisti, a Manchester
o a Roma stessa, di fronte al Bayern di Monaco. Nei miei incubi peggiori,
al 30’ minuto vedo i Reeds già sul 3‐0 e le nostre bandiere tristemente
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ripiegate. Ma questo è solo il subconscio delle mie paure … quello che Mr
Ancelotti farà uscire allo scoperto e sconfiggerà definitivamente. Ah,
quanto lo spererei, Direttore Gallo. Il problema è la razionalità
matematica: la ragione e i precedenti.
Da quando esiste la nuova #UCL il Napoli ha finora disputato ‐ nei soli
gironi, escludendo quindi i preliminari ‐ 17 partite in trasferta. Il bottino,
ahinoi, è alquanto magro: 5 vittorie, 4 pareggi e ben 8 sconfitte; tra
queste ultime, solo due sono arrivate negli ottavi (Chelsea nel 2011 e
Madrid nel 2017), il miglior piazzamento azzurro nella massima
competizione europea per club. Sui 51 punti disponibili fuori dalle mura
amiche, il Napoli ne ha conquistati solo 19, meno del 40%. Di fatto, finora,
abbiamo perso fuori casa una volta si e una volta no: abbiamo segnato
solo 20 gol ma ne abbiamo subiti ben 28, mantenendo la porta inviolata
in due sole occasioni (a Villareal nel 2011 e, nello scorso settembre, a
Belgrado) . Ora, ditemi voi come si può essere ottimisti. Non si può.
E qui torna in gioco il Mister, la sua capacità taumaturgica e psicologica.
Se non ci aiuta lui non può farlo nessuno. Ed è vero che il Napoli di ADL (al
di là dei tanti Napoli del passato amorevolmente custoditi nei nostri
cuori) ci ha dato negli ultimi 10 anni grandi soddisfazioni e innumerevoli
motivi di orgoglio ma è altrettanto vero che tra questi è sempre mancata
la grande impresa sui palcoscenici europei. Questo chiediamo oggi, ai
ragazzi e al nostro allenatore. Che possano davvero riscrivere le gerarchie,
consapevoli della vera forza della squadra e dei nostri punti deboli,
affrontando la serata di Liverpool e i ragazzi di Klopp a testa alta e senza
paura, con la voglia non di regalarci un sogno ma di aprirci le strade del
futuro alla realtà che meritatamente ci spetta. Della quale in fondo siamo
degni, almeno se diamo il valore che merita al ranking UEFA.
In fondo, non cerchiamo più l’impresa fine a se stessa: è il momento di
puntare al bersaglio grosso, di provare a giocare una difficile partita in un
contesto entusiasmante per portare a casa un risultato positivo. Qui ed
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ora. A Liverpool, in casa della finalista dello scorso anno. Se ci riusciremo,
tutti noi potremo finalmente abbandonare il lettino dello psicanalista.
Quindi, nell’incertezza, forse la partita la vedrò. Fosse solo per capire se
almeno ho indovinato la formazione… Ospina; Maksimovic, Koulibaly,
Albiol, Mario Rui; Callejon, Allan, Hamsik, Fabian Ruiz; Mertens, Insigne.
Link di approfondimento:
Massimiliano Gallo
https://www.ilnapolista.it/2018/11/liverpool‐napoli‐sara‐una‐seduta‐di‐
psicanalisi/?fbclid=IwAR1KiR2sFimu_Sg4mBcxnzohJl_gNi9RHJiLlBPhucCLL
Q3‐fCsWFuJl9BQ
Abraham Maslow
https://it.wikipedia.org/wiki/Bisogno
J.S. Bach ‐ Die Kunst der Fuge BWV 1080
https://www.youtube.com/watch?v=YqXZtGyFyDo
Napoli in Europa:
https://it.wikipedia.org/wiki/Societ%C3%A0_Sportiva_Calcio_Napoli_nell
e_competizioni_internazionali
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Il racconto di Maria Elena Cristiano
La noia – seconda parte.
Lo Sheraton era splendido.
Entrò e chiese al métre dove fosse seduta la signorina Amanda Jergens.
Le si avvicinò, e si sedette con disinvoltura al tavolo in fondo accanto alla
finestra. Non era esattamente come se l’era immaginata: si aspettava di
trovare una ragazza giovane, attraente, e perché no, disponibile. La
giornalista che aveva di fronte era rigidamente impettita sulla sedia di
velluto, indossava un tailleur grigio di poche pretese, aveva i capelli corti e
scarmigliati di un opaco color marrone pallido, due grandi occhiali senza
montatura che sovrastavano un naso non esattamente diritto ed una
bocca più simile ad una ferita. La donna intuì l’analisi visiva che Hamilton
doveva aver fatto su di lei, perché lo guardò accigliata, prima di porgergli
la mano.
“Buona sera signor Hamilton”.
“Buona sera signorina Jergens, come sta?”.
“Molto bene, mi ha detto di essere oberato di lavoro, quindi tenterò di
non farle perdere tempo”.
“Esattamente quello che volevo chiederle”, rispose Jack sgarbatamente.
Le domande che la donna si era meticolosamente appuntata sul taccuino
di pelle nera non erano malvagie, dovette ammettere Jack con sé stesso.
Non era sicuramente avvenente, ma scaltra e ben addestrata a condurre
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la conversazione esattamente dove voleva, raggiungendo in breve gli
scopi che si era prefissata.
L’intervista verté quasi esclusivamente sul rapporto d’identità che si
instaura fra un autore, anche se di fumetti, e il personaggio chiave dei
suoi racconti. Jack spiegò amabilmente che Dominus non era un suo alter
ego, non era nato con questa intenzione. Era un tentativo. Il tentativo di
dare ad un personaggio sicuramente spiacevole e moralmente discutibile
un fascino, un seguito, un pubblico che non lo giudicasse, ma apprezzasse
la sua peculiare “anormalità”. La Jergens aveva appuntato ogni risposta di
Hamilton con la massima dovizia. Verso la metà della loro chiacchierata, e
dopo aver trangugiato diversi bicchieri di tequila, pendeva letteralmente
dalle sue labbra.
Jack si sentiva inspiegabilmente bene.
“Quindi lei sostiene che Dominus non è nato per dare a lei, signor
Hamilton, una sorta di seconda vita, anche se immaginaria, ma è stata
una specie di sfida con i lettori”.
“Non direi proprio una sfida. Ho sempre creduto che i lettori di fumetti
non siano illetterati o uomini di scarsa cultura, ma attenti critici,
desiderosi d’evasione. Ecco cos’è Dominus: un’evasione dalla
quotidianità. Un essere che non conosce la morale comune, o meglio la
ignora, che non conosce limiti e, soprattutto, che non conosce la noia”.
La donna lo guardò pensierosa.
“Mi dica”, chiese Jack, incuriosito da quell’espressione.
“Condivido da giornalista, e da affezionata collezionista di Dominus, tutto
ciò che mi ha detto nel corso di questo nostro colloquio, ma non posso
fare a meno di notare l’estrema somiglianza esistente fra lei ed il suo
personaggio”.
“Di quale somiglianza parla?”.
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“Di quella fisica, ovviamente, non certamente di quella morale. Non credo
che nessun uomo in carne ed ossa e sano di mente assumerebbe mai i
comportamenti di un eroe nero dei fumetti”, aggiunse ridacchiando.
Jack sorrise a sua volta, ma l’immagine del vecchio mendicante gli fece
correre un brivido lungo la schiena.
“La somiglianza fisica è voluta. Usai un mio ritratto per creare Dominus,
ma sono trascorsi quattordici anni, lui non è invecchiato, io sì”.
“Interessante”, notò la Jergens, “lei ha usato il suo volto per creare
Dominus, e sostiene che non sia il suo alter ego?”.
(Tana, Jack, la ragazza è brutta, ma sveglia).
“Infatti, non lo è”, tagliò corto Hamilton. Fece presente alla signorina
Jergens che aveva urgenza di tornare a casa per terminare del lavoro
arretrato, e quasi all’unisono si alzarono dal tavolo.
Giunti nel parcheggio dell’hotel Jack salutò la giornalista in maniera
frettolosa dirigendosi verso l’auto. Amanda lo richiamò pochi istanti dopo
a gran voce inducendolo a voltarsi. Lo raggiunse trafelata e, mal celando
un evidente imbarazzo, gli disse:
“Mi perdoni, ma, ecco...vede...”.
Jack le fece cenno di proseguire nel discorso con un ampio e spazientito
gesto della mano.
“Sono venuta in taxi, e al momento non ho denaro con me”.
Hamilton accennò una smorfia fra il sorpreso, l’infastidito ed il divertito.
“Le dispiacerebbe riaccompagnarmi a casa, non è molto distante da qui.
La prego”.
Salirono in auto e per diversi minuti non si scambiarono neppure una
parola, poi accadde qualcosa di difficilmente spiegabile.
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“Mi sono sempre fatta una domanda”, esordì la ragazza rompendo il
silenzio.
“Se posso aiutarla a risolvere un quesito di lunga data...”.
“Che voce ha un fumetto?”.
“Scusi?”, replicò Jack divertito.
“Sì, insomma, il personaggio di un fumetto ha un volto, delle abitudini, un
particolare abbigliamento, una vasta gamma di espressioni mimiche, ma
che voce ha? O meglio, che voce potrebbe avere? Dominus come
parlerebbe?”.
Hamilton rise nervosamente mentre nella testa presero a volare un
nugolo di farfalle impazzite.
“Avrebbe una parlata scaltra e poco piacevole credo”.
“Del tipo?”.
Farfalle.
Impazzite.
Uno stormo intero che vagava senza meta.
“Direbbe:
Mai passata una serata più noiosa di questa. Mai vista una donna più
pettegola ed insignificante di te. Sei come un mal di testa che ti opprime i
pensieri e ti far venir voglia di urlare. Sei banale come una mattinata
d’inverno. Sei monotona come una moglie frigida. Credo che la tua
esistenza sia perfettamente inutile”.
Lo disse tutto di un fiato, con la stessa voce da cartone animato che aveva
usato qualche ora prima con quel mal capitato mendicante.
La donna ebbe un sussulto ed un improvviso scatto d’ira.
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“Che bastardo figlio di puttana”, imprecò.
Jack non ci pensò due volte, estrasse la chiave inglese che teneva sempre
sotto il sedile del guidatore per difendersi da sgradevoli incontri notturni,
e la colpì alla nuca con una violenza inaudita.
La testa della donna rimbalzò contro il vetro del finestrino, poi contro il
sedile della macchina, per piombare immobile sul cruscotto.
Un violento fiotto di sangue infradiciò il volto e le mani di Jack. Non ci
badò, continuò a colpire, e colpire, finché il cranio della ragazza non
divenne una massa gelatinosa ed informe, con ciocche di capelli
aggrovigliate e appiccicate un po’ ovunque.
Accelerò e raggiunse il garage della sua abitazione.
Scese dall’abitacolo tremante. Si sedette accanto allo sportello ancora
aperto e si premette le mani sugli occhi chiusi. Spiò all’interno dell’auto,
ma la macabra scena non era cambiata.
“E ora?”, chiese ad alta voce, non ottenendo, ovviamente, alcuna
risposta.
“Pensa, non ti fermare adesso, pensa”, si esortò, “cosa farebbe Dominus
in questa situazione?”.
Ma Dominus era un fumetto.
(“Lei ha usato il suo volto per creare Dominus, e sostiene ancora che non
sia il suo alter ego?”).
Certo.
La donna aveva ragione.
Lui era Dominus.
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Non poteva lasciare il cadavere nella macchina, anzi, doveva fare in modo
di sviare ogni sospetto.
Certamente alla redazione del giornale sapevano che la Jergens aveva un
appuntamento con lui. Una volta rinvenuta la salma la polizia lo avrebbe
immediatamente interrogato, e sarebbe stato l’epilogo della sua carriera.
Sarebbe stata la fine della sua nuova vita.
No, non poteva andare così.
Doveva esserci una via d’uscita.
Doveva...
Doveva.
Trasportò il cadavere della donna nel suo appartamento e lo depose sul
pavimento del bagno.
Si infilò sotto la doccia per lavarsi di dosso le tracce di sangue. Si sentì
vagamente imbarazzato, nudo ed insaponato di fronte agli occhi
strabuzzati e sbarrati di Amanda che lo fissavano senza espressione.
“Scusami cara”, mormorò con la nuova voce della sua nuova vita, “ma ci
conosciamo ancora troppo poco”. Rise e chiuse la tendina.
S’infilò un accappatoio, scavalcò con noncuranza il cadavere di Amanda e
si sedette alla sua scrivania.
Le tavole del nuovo albo erano ancora tutte lì, ordinate e pronte per la
correzione. Da ogni striscia Dominus ammiccava sorridente. Prese la
matita e terminò il contorno dell’ultimo ovale. Armeggiò un po’ con le
sfumature e pose la parola fine al centoventiquattresimo episodio della
serie.
L’ultimo.
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Prese i disegni, li infilò nella solita busta marrone gigante e li lasciò
appoggiati sul tavolino del salotto.
Entrò in camera da letto, s’infilò un paio di vecchi jeans, una maglietta
nera e prese dal fondo dell’armadio una lunga giacca di pelle che
indossava nei primi anni di università. Gli stava leggermente più stretta,
ma l’attività fisica non gli sarebbe di certo mancata di lì a poco. Sarebbe
tornato in forma smagliante.
Entrò nel bagno, non diede neppure uno sguardo al corpo che giaceva
immobile sul pavimento di piastrelle lucide incrostate qui e là da piccoli
grumi color ruggine che circondavano la salma di Amanda, si guardò per
un attimo allo specchio: c’era qualcosa che non andava. I capelli,
ordinatamente pettinati all’indietro. Non gli si addicevano. Li arruffò con
le mani in modo che le ciocche appena arricciate gli incorniciassero la
fronte e gli piovessero sugli occhi, che avevano assunto un’espressione
attenta e malevola.
Fece ritorno in salotto e si fermò davanti al manifesto del suo eroe: non
c’era più alcuna differenza.
Scese in garage, montò nell’auto dopo aver deposto un asciugamano
pulito sul sedile del posto di guida, e mise in moto.
In pochi minuti raggiunse una delle bettole più malfamate della zona.
Parcheggiò ed entrò.
Gli sembrava di muoversi nel suo habitat naturale. Loschi figuri che si
aggiravano attorno ai tavoli da biliardo, avventori ubriachi al bancone del
bar, urla sguaiate e bestemmie come caramelle.
Si sedette su un alto sgabello ed osservò il suo mondo.
Lo guardavano con rispetto. Sapevano che era uno di loro. Ignoravano
che fosse il loro capo.
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Un uomo sulla quarantina ben piazzato, ma quasi distinto, sonnecchiava
appoggiato ad un angolo vicino ad una porta con il capo inclinato contro
lo stipite.
Si alzò.
“Hey, tu. Bello, dico a te”, grugnì un energumeno poco distante.
“Vuoi me, amico?”, la sua vecchia voce non aveva lasciato alcuna traccia
della primitiva esistenza.
“Non ti ho mai visto da queste parti, sei nuovo?”.
“Sono appena nato”, replicò ridendo.
“Sentito il tipo?”, disse l’uomo corpulento e tatuato che gli aveva rivolto
la parola diretto a quattro tizi intenti a giocare l’ennesima partita a stecca.
“Sei spiritoso, e la tua mamma dov’è?” Chiese ridendo.
Dominus, Jack era sparito e non sembrava intenzionato a tornare, gli si
avvicinò e gli prese la gola fra il pollice e l’indice serrando la morsa e
costringendo l’uomo ad inginocchiarsi.
“E’ con tua madre a sollazzare due bravi signori, mio caro fratellino”, disse
mollando la presa e lasciandolo stramazzare al suolo paonazzo e
rantolante.
Guardò gli altri avventori con aria di sfida.
“Pace, amico”, fu tutto ciò che un uomo alto, con dei folti baffi biondi da
texano, replicò tornando a dedicarsi al biliardo.
Si sedette di fianco al signore addormentato, gli assestò un paio di pacche
su un braccio, ottenendo come unica reazione un buffo brontolio
disarticolato.
Lo issò in piedi appoggiandoselo sulla una spalla ed uscì.
Anno2‐Numero6del5dicembre2018 Pag.35
Nessuno ebbe interesse, o coraggio, di seguirlo.
Caricò lo sconosciuto in macchina sdraiandolo sul sedile posteriore in
modo che non si lordasse con il sangue della pettegola.
Gli frugò in tutte le tasche e trovò una patente sgualcita.
“Theodor Brown”, lesse, “piacere di fare la tua conoscenza, Ted”,
aggiunse sogghignando, “nato in Alabama quarantatre anni fa, bene,
bene, bene. Ti facevo più giovane amico. Stato civile: celibe. Almeno non
lascerai una vedova inconsolabile”, rise.
Tornò a casa.
Trasportò a fatica Ted su per le scale, si sincerò di non essere né visto né
seguito, ed entrò nell’appartamento.
Tutto pronto, era ora di terminare lo show.
Trascinò il cadavere di Amanda in camera, lo scaraventò sul letto, quindi
prese dall’armadietto sotto il lavello della cucina una bottiglia di acido
muriatico.
Ted, intanto, stava bofonchiando qualcosa d’incomprensibile.
Stappò la bottiglia di vetro trasparente con l’immagine dell’immancabile
teschio, con le tibie incrociate ad indicarne la pericolosità, stampata
sull’etichetta.
Si mise a cavalcioni sopra Ted.
“Bene, mio buon amico, è ora che tu tolga il disturbo. È ora che tu prenda
congedo dalla tua misera vita e permetta alla mia meravigliosa esistenza
di avere inizio”.
Baciò Ted sulla fronte e lo soffocò con un cuscino.
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Non ci volle molto. Il poveretto non oppose neanche una gran resistenza.
Passò dal sonno del brandy a quello della morte senza troppe proteste e,
forse, senza neppure rendersene realmente conto.
“Bravo amico mio”, disse Dominus, “tu sì che sei un uomo di classe”.
Versò l’acido sul volto dell’uomo rapito nel bar. Il liquido a contatto con la
pelle emise un sinistro sfrigolio, come d’olio che bolle. La carne si arrossò,
si gonfiò, ed infine si macerò con zelo, scoprendo in più punti il candore
dell’osso. Gli occhi scomparvero in due piccole esplosioni di sangue
lasciando le orbite nere e vuote a fissare l’infinto.
Fu la volta delle mani, era meglio non lasciare le impronte digitali. Se il
buon vecchio Ted aveva a suo carico qualche pendenza penale, il suo
meticoloso piano si sarebbe infranto come una bolla di sapone.
Fu la volta dei denti.
Come il suo alter‐ego, Jack Hamilton, sapeva bene avendo inventato
avventure simil‐poliziesche per tutta la sua defunta esistenza, anche
l’arcata dentaria poteva essere riconoscibile.
Prese un martello dalla cassetta degli attrezzi e lo smagliante sorriso di
Theodor andò in frantumi, insieme a buona parte del suo osso mascellare.
Indietreggiò per osservare meglio la scena: perfetto.
Ed ora il tocco di maestria. Pura arte, credetemi, pura arte.
Accese lo schermo del personal computer che Jack a volte usava per la
corrispondenza in rete, e su un immacolato documento di word, scrisse
poche righe. Lasciò il monitor acceso ed uscì.
La sigla del telegiornale nazionale risuonò puntuale come ogni giorno.
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Il presentatore, impomatato e leggermente ingessato nell’abito blu,
raccontò ad un pubblico intento a cenare distrattamente di fronte alla
televisione accesa, gli accadimenti che avevano sconvolto il globo in ogni
sua parte nelle precedenti ventiquattro ore di un giorno normale, banale
e presto dimenticato.
“Ed ora una notizia dalle tinte forti.
Sono stati rinvenuti questa mattina nell’appartamento del noto
disegnatore di fumetti Jack Hamilton, due corpi orrendamente trucidati.
Quello di Amanda Jergens, giornalista del Tomorrow News, e quello di un
uomo non ancora identificato, che si presupporrebbe essere lo stesso
Hamilton.
La donna è stata rinvenuta distesa sul letto della camera padronale con il
cranio fracassato da diversi colpi inferti con un pesante corpo
contundente. L’uomo è stato ritrovato dalle forze dell’ordine disteso sul
divano con il volto orrendamente sfigurato e reso irriconoscibile.
Gli agenti hanno effettuato la macabra scoperta dopo essere stati
chiamati da una vicina di casa che non aveva notizie del signor Hamilton
da diversi giorni, e che sentiva provenire dall’appartamento un odore
sgradevole.
È stato ritrovato anche un delirante messaggio scritto dall’autore
dell’efferato delitto, nel quale l’omicida afferma di essere Dominus, il
personaggio dei fumetti ideato dal defunto Hamilton, e di essere
finalmente libero dalla noia. Nessun altro dettaglio è trapelato, a parte la
scomparsa della macchina del fumettista”.
Dominus si alzò dalla sedia del ristorante dove aveva consumato un
abbondante pasto, pagò il conto, e dopo aver gettato un ultimo sguardo
divertito al monitor della televisione accesa risalì sulla sua Camaro nera.
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La vecchia Buick del povero Jack era finita in un burrone lungo
l’autostrada, con, chiuso nel portabagagli, il proprietario della Camaro,
troppo riluttante a separarsi dalla sua auto e troppo attaccato ai beni
materiali per avere il diritto di sopravvivere.
Accese la radio.
La strada verso il Messico era ancora lunga, chissà quante persone
interessanti avrebbe incontrato lungo il cammino.
Non sapeva cosa esattamente gli avrebbe riservato il futuro, ma era certo
che avrebbe fatto qualunque cosa pur di uccidere la monotonia e la noia.
Il nuovo romanzo di Maria Elena Cristiano “Me and the Devil” è in vendita
su tutti gli store on‐line: Amazon, Kobo, Kindle, Google Play Store, Ibs, etc.
E per essere aggiornati su tutte le novità editoriali:
www.mariaelenacristiano.com
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Amarcord
di Emilio Sabatino
Ramon Diaz
L’illusione
L’allora manager partenopeo Bonetto, nel 1982, individuò in Ramon Diaz,
centravanti della nazionale argentina under 20 e destinato ai fasti della
nazionale maggiore Albiceleste, come giocatore fondamentale per il
rilancio del Napoli;
il predestinato, come era chiamato, insieme a Maradona aveva dato
spettacolo nelle giovanili, vincendo il campionato mondiale under 20.
Ai mondiali di Spagna c’era e giocò anche contro l’Italia nella famosa
partita terminata 2‐1 a nostro favore.
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Ramon, sembrava un azteco con quella faccia da guerriero; molto
apprezzato da Sivori e da molti giornalisti sudamericani, fu acquistato
come l’anti Maradona, talento incredibile di proprietà dei catalani del
Barcellona.
Promise tanti gol ma ne fece solo 3. L’unica perla resta il gol contro la
Dinamo Tblisi in Coppa UEFA.
L’anno successivo fu ceduto all’Avellino e non riuscì a giocare in coppia con
Maradona, anche perché, forse, non si “amavano” tanto.
Il “puntero triste” giocò 3 anni straordinari ad Avellino cercando di imitare
il grande Diego ma non raggiunse mai, minimamente, i fasti del nativo di
Lanus. Dotato di un gran sinistro ed abile nel dribbling è sempre stato
considerato un 9 ½, un misto tra un centravanti ed un 10 puro.
Si rifece con l’Inter vincendo lo scudetto dell’88‐89, in coppia con Serena.
AZZURRISSIMA torna martedì 11 dicembre, con gli
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