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i cardini di

Il castello oltre le muraRicerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)

a cura di Enrico GIORGI ed Erika VECCHIETTI

Baanche nche datiCOMMUNICATINGC U L T U R A LH E R I T A G E

b r a d y p u s . n e t

BraDypUS s.a.COMMUNICATING CULTURAL HERITAGE

Comune diACQUAVIVA PICENA

gI S B N 9 7 8 - 8 8 - 9 0 4 2 9 4 - 1 - 5

7 8 8 8 9 0 9 4 2 9 4 1 5

roma3

Ministero dei Beni e delle Attività Culturalie del Turismo

Soprintendenza per i Beni Archeologicidelle Marche

ALMA MATER STUDIORUMUniversità di BolognaDipartimento di Storia

Culture Civiltà

Provincia di Ascoli PicenoMedaglia d’oro al Valor Militare

per attività partigiana

Bologna 2014

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La genesi e lo sviluppo del progetto Groma sono profondamente legati ad Acquaviva Picena. Proprio intorno alle attività promosse da alcuni giovani archeologi dell’Ateneo bolognese tra le mura medievali del borgo acquavivano sono fiorite molte delle idee divulgate poi attraverso le iniziative editoriali della collana Groma.

Finalmente, con il terzo Cardine, si torna alle origini del progetto.Argomento di questo volume sono dunque le ricerche archeologiche condotte nella fortezza e nel borgo

di Acquaviva Picena a partire dal 2004. I temi ispiratori della collana, ossia l’attenzione agli aspetti metodologici e alla prospettiva adriatica, sono qui pienamente sviluppati.

Al racconto delle ricerche si è tentato di affiancare anche quello dell’esperienza maturata dai giovani archeologi che vi hanno preso parte, che ha portato alla costituzione del Centro Studi di Palazzo Celso Ulpiani. Proprio la strutturazione di questo polo culturale, insieme con gli enti locali e le Soprintendenze competenti, vuole essere la traccia che lasciamo nel territorio e il punto di origine di molte iniziative future.

Enrico Giorgi, curatore di Groma

I contenuti della collana “I cardini” di Groma vengono diffusi nella versione cartacea ed elettronica secondo la licenza Crea-tive Commons, Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate 3.0 Italia, il che significa che i lettori sono liberi di: riprodurre, distribuire, comunicare ed esporre in pubblico quest’opera, a condizione che il suo contenuto non venga alterato o trasformato, che venga attribuita la paternità dell’opera al curatore/i del volume e ai singoli autori degli interventi, e che infine l’opera non venga utilizzata per fini commerciali.Gli autori e l’editore difendono la gratuità del prestito bibliotecario e sono contrari a norme o direttive che, monetizzando tale servizio, limitino l’accesso alla cultura. Per questo motivo rinunciano a riscuotere eventuali royalties derivanti dal prestito biblio-tecario di opere di questa collana. L’editore garantirà inoltre sempre il libero accesso ai contenuti dei volumi, senza limitazioni alla loro distribuzione in alcun modo.

BraDypUS s.a.via A. Fioravanti, 72, 40129 Bolognawww.bradypus.net; [email protected]. e P.IVA 02864631201

la collana “I cardini” di Groma è diretta daEnrico Giorgi

la cura e la redazione del presente volume è diEnrico Giorgi ed Erika Vecchietti

editing, progetto grafico, composizione a cura diBraDypUS s.a. (Julian Bogdani ed Erika Vecchietti)

Bologna 2014ISBN: 978-88-904294-7-7

Questo volume è disponibile online all’indirizzohttp://books.bradypus.net

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l castello oltre le mura

Saluti delle autorità AndreaMariaAntonini(AssessoreallaCultura dellaProvinciadiAscoliPiceno) PierpaoloRosetti(SindacodiAcquavivaPicena) TarcisioInfriccioli,TeodoricoCompagnoni (exSindacoedexVicesindacodiAcquavivaPicena) NoraLucentini(SoprintendenzaperiBeniArcheologicidelleMarche) GiuseppeSassatelli(DirettoredelDipartimentodiStoriaCultureCiviltà dell’UniversitàdiBologna) AntonioGottarelli(DirettorediTe.M.P.L.A.,DipartimentodiStoriaCulture Civiltàdell’UniversitàdiBologna)Introduzione AndreaAugenti

La linea d’ombra della Rocca di Acquaviva. Riflessioni sull’esperienza e sul metodo di lavoro EnricoGiorgi

IlprogettoelavalorIzzazIone

Palazzo Celso Ulpiani da Centro Studi a polo culturale ErikaVecchietti

Il progetto acquavivanellastoria.Il contesto topografico e la sintesi dei risultati EnricoGiorgi,ErikaVecchietti

laStorIadellerICerCHeeIdoCumentId’arCHIvIo

Storia dell’archeologia nel territorio di Acquaviva Picena MonicaCameli

La Rocca e il borgo di Acquaviva nei documenti d’archivio. Dati preliminari SerenaDeCesare

INDICE

I Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)

V

VIIIX

XIXIII

XIV

1-2

3-10

11

13-21

23-36

37

39-49

51-62

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l’evoluzIonedelborgo

Il castello tra urbanistica medievale e architettura fortificata EnricoRavaioli

Lo scavo nel complesso dell’ex-Ospedale di Sant’Anna ErikaVecchietti

lerICerCHearCHeologICHenellaroCCa

Esperienze di topografia e geofisica FedericaBoschi,MicheleSilani

La lettura degli elevati nella Rocca EnricoRavioli

Lo scavo archeologico nella piazza d’armi della Rocca AndreaBaroncioni

Le indagini nei Settori SE e SO: i reperti GildaAssenti

Analisi Mineralogico-Petrografica, Analisi Diffrattometrica ai Raggi X (XRD) su pietra ollare OrestinaFrancioni

Reperti paleofaunistici e considerazioni sugli usi alimentari FabioVisani

appendICI

Membri del gruppo di lavoro di Acquaviva Picena

Partecipanti dei primi tre laboratori (2004-2006)

Livello professionale dei responsabili di settore nel 2004 e nel 2013

63

65-85

87-100

101

103-111

113-125

127-137

139-177

179-182

183-196

197

199-200

201-202

203

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Acquaviva Picena è certamente uno dei borghi più affascinanti della Provincia di Ascoli Piceno. Può vantare preziosi gioielli di arte, alcuni di essi ben visibili ed integrati col paesaggio come la Roc-ca altri più difficili da scovare nel fitto tessuto di vie cittadine, ma di non minor valore, come l’Ar-chivio Storico comunale, recentemente riordinato, valorizzato e aperto al pubblico grazie al progetto “Memorie di carta”.

La valorizzazione dei patrimoni culturali passa anche, e soprattutto, attraverso collaborazioni im-portanti, come quella con l’Università di Bologna, dalla quale è scaturito un significativo lavoro sul Borgo e la Rocca di Acquaviva Picena, illustrati in questo volume, e una prima risistemazione di Pa-lazzo Celso Ulpiani, che anche grazie al contributo della Provincia di Ascoli Piceno ha potuto iniziare a essere quel polo culturale che oggi vediamo, am-pliato nelle sue funzioni (oggi ospita la Biblioteca Civica e l’Archivio Storico) e potenziato.

E forse questa realtà può essere letta come una linea guida per altre esperienze sul territorio: rac-cogliere in un unico polo diverse funzioni di pub-blica utilità, ottimizzando l’impatto economico e fornendo al cittadino una serie integrata di servizi di base, fondamentali per migliorare la vita di una comunità.

È quindi indispensabile continuare a lavorare per il proprio territorio sulla scia di questa esperienza, che ha visto una così proficua collaborazione tra enti locali (il Comune e la Provincia), enti di tutela dei beni culturali sul territorio (la Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche), enti di ri-cerca e di didattica (il Dipartimento di Storia Cul-ture Civiltà dell’Università di Bologna e il Centro Studi per l’Archeologia dell’Adriatico) intorno alla promozione dell’unico valore che va al di là degli interessi particolaristici: la cultura.

AndreA MAriA AnTOniniAssessore alla Cultura della Provincia di Ascoli Piceno

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VII

La conoscenza della storia, del territorio e dei suoi cambiamenti, è anche scoperta di se stessi e delle proprie origini, importante premessa per im-parare ad amare le infinite ricchezze che rendono il nostro Paese unico al mondo, e per avere le giuste motivazioni per assicurarne conservazione e valo-rizzazione, nell’ambito di una vera e propria batta-glia contro l’ignoranza e la superficialità.

La Pubblica Amministrazione e, soprattutto, i Comuni, insieme a tutti i cittadini, ciascuno nel ri-spetto del proprio ruolo, devono promuovere que-sta conoscenza e alimentare il desiderio di consi-derare realmente ogni angolo e ogni scorcio della nostra Italia come parte di una unica grande casa, insegnando ai più giovani a rispettare il bene co-mune e a viverlo in modo sempre più responsabile e sostenibile.

L’esperienza del Comune di Acquaviva Picena, piccolo borgo poco distante dal mare, costantemen-te animato da una profonda vocazione alla promo-zione della cultura e della condivisione, raccontata nelle pagine di questo libro, rappresenta una con-creta espressione del ruolo che le amministrazioni locali sono chiamate a svolgere, in un momento in cui le difficoltà economiche fanno apparire come non prioritario il sostegno alla cultura.

Tra le sue antiche mura si sono svolte molte at-tività di ricerca e divulgazione, alcune delle qua-li esposte in questo volume, e la sua Rocca è un elemento pregnante e caratteristico del paesaggio circostante, che stiamo cercando di valorizzare con ancora più energia proprio in forza del grande va-lore storico che porta dentro.

In un paese come l’Italia abbandonare il sostegno alla ricerca e alla cultura è un po’ come dimentica-re chi siamo, smettendo pian piano di meravigliarci di ciò che ci circonda.

Facciamoci quindi forti di questa costante mera-viglia, e continuiamo a essere un caso particolare, un’istituzione che ha sempre profondamente cre-duto nel valore dell’istruzione, della conservazio-ne della memoria collettiva, della conoscenza delle proprie radici storiche, e che ha promosso la pro-secuzione dell’attività della Biblioteca Civica, il riordino e l’apertura dell’Archivio Storico, la crea-zione di spazi comuni in cui cultura ed esperienze possano essere condivise tra i cittadini.

Perché il “lavoro culturale” ripaga sempre, e la nostra vanga (anche se più metaforica), come quella degli archeologi a cui qui lascio la parola, è lucente.

PierPAOlO rOseTTisindaco di Acquaviva Picena

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IX

La valorizzazione del patrimonio culturale del territorio è stata da sempre al centro delle scelte dell’Amministrazione comunale che ci siamo tro-vati a rappresentare per ben due mandati. Acco-gliemmo quindi con entusiasmo, nel 2004, il gio-vane e colorato gruppo di ricerca dell’Università di Bologna coordinato da Enrico Giorgi, che per di-verse settimane l’anno ha popolato il piccolo borgo medievale di Acquaviva Picena.

Il progetto Acquaviva nella storia, in collabo-razione con Soprintendenza per i Beni Archeolo-gici delle Marche, Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna, Centro Studi per l’Ar-cheologia dell’Adriatico e Comune di Acquavi-va Picena non si è limitato alle sole campagne di scavo e ricerca: è culminato, nel 2006, nell’alle-stimento a polo culturale e biblioteca di Palazzo Celso Ulpiani, edificio storico nel cuore del borgo, prima non agibile. La vita del centro studi è stata

possibile grazie al supporto di un’altra importante istituzione territoriale, la Provincia di Ascoli Pice-no, che ha finanziato quattro borse di studio per attività di valorizzazione del borgo e del territorio.

È all’interno di Palazzo Celso Ulpiani, attrezzato dall’équipe bolognese con scaffalature e postazioni internet, che è stato possibile poi aprire la Biblio-teca Civica, servizio fondamentale per la comunità acquavivana.

La collaborazione e l’amicizia con i ragazzi dell’Università di Bologna è poi proseguita ne-gli anni grazie a una periodica serie di incontri, conferenze, visite guidate che hanno rafforzato il rapporto il gruppo di ricerca e l’Amministrazione comunale.

È nostro auspicio che tutto questo lasci un buon ricordo nel cuore di tutti, e che porti a sempre nuo-vi frutti.

TArCisiO inFriCCiOli, TeOdOriCO COMPAGnOniex sindaco ed ex Vicesindaco di Acquaviva Picena

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XI

Il progetto Acquaviva nella storia ha rappresen-tato un esempio felice di collaborazione tra enti lo-cali, Soprintendenza e Università.

Il territorio comunale acquavivano era ben noto all’archeologia grazie ad alcune scoperte occasio-nali, ma anche a diverse ricerche portate avanti proprio dalla Soprintendenza per Beni Archeolo-gici delle Marche. Tra questi si possono ricordare, a titolo meramente esemplificativo, i resti del sito neolitico di Monte Tinello o il ripostiglio di asce bronzee di Contrada Fonte Paterno. Di questi rin-venimenti viene tracciato un utile quadro di sintesi in questo stesso volume, e si vogliono qui citare in quanto di fondamentale importanza per la rico-struzione delle dinamiche del popolamento antico nella zona della bassa valle del Tronto.

Il progetto dell’Università di Bologna si è rivol-to, invece, soprattutto all’analisi del borgo medie-vale, concentrandosi inizialmente sulla Rocca, per poi allargare le ricerche al contesto circostante, an-che attraverso l’ausilio di metodologie di ricerca

innovative. I risultati di queste indagini, che sono sicura abbiano portato buoni frutti al gruppo di ri-cerca, sia sul piano scientifico, sia su quello uma-no, rappresentano un importante punto di arrivo.

Come un significativo risultato è stato promuovere l’analisi di un fortilizio rinascimentale e di un borgo storico attraverso un approccio “archeologico”, ossia particolarmente attento alla stratificazione degli eventi umani che si sono susseguiti all’interno delle sue mura.

Tra i risultati importanti conseguiti nell’ambito di questa collaborazione mi fa piacere ricordare in particolare lo scavo dell’ex-Ospedale di Sant’An-na, che ci ha permesso di giungere alla compren-sione più accurata e alla pubblicazione di un no-tevole contesto archeologico emerso nel corso di precedenti scavi di emergenza. È nostro auspicio che simili esperienze di proficua collaborazione e condivisione tra Università e Soprintendenza si possano replicare, per una migliore e più efficace conoscenza, tutela e valorizzazione del territorio.

nOrA luCenTinisoprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche

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XIII

Il progetto Acquaviva nella storia mi ha visto coinvolto fin dalle prime fasi del lavoro sia come attività del Dipartimento di Archeologia, ora Di-partimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna, sia come iniziativa collegata al Centro Studi per l’Archeologia dell’Adriatico di Ravenna. I frutti di quelle fatiche furono tanto convincenti da indurci a inaugurare nel 2006 a Palazzo Celso Ulpiani la sede acquavivana del Centro Studi ra-vennate. Questo obiettivo è stato raggiunto anche grazie all’impegno del Comune di Acquaviva Pice-na e della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche, oltre che al sostegno iniziale della Provincia di Ascoli Piceno.

Il clima di entusiasmo e di impegno degli stu-denti e della comunità locale mi parve subito chia-ra quando visitai Acquaviva, proprio in occasione dell’ inaugurazione il 27 maggio 2006, nell’ambito della tavola rotonda L’Adriatico un ponte d’acqua. Nello stesso anno si svolse la prima edizione del-la Scuola estiva internazionale In profondità sen-za scavare, promossa dall’Ateneo bolognese, che rappresentò il primo passo di un’esperienza ancora in corso attraverso i laboratori didattici del nostro Dipartimento, finalizzata a una formazione nuova, più efficace e competitiva sul piano professionale

dei nostri studenti. Proprio in quell’occasione si strinsero gli accordi che portarono alla nascita di un importante progetto di ricerca italo-croato che ancora oggi è si svolge nel sito dell’antico castrum di Burnum in Dalmazia e che pensiamo di sostene-re ancora in futuro e se mai di rafforzare.

Numerose altre iniziative, promosse da altri colleghi, spesso con taglio internazionale, hanno contribuito a far crescere l’attività del Centro Stu-di acquavivano negli anni a seguire. Tutte queste iniziative si sono normalmente mosse tra due nu-clei tematici principali: l’archeologia adriatica e la metodologia in campo archeologico. Alla linea metodologica si ispirano anche le iniziative edito-riali di Groma, che hanno dato diffusione a stam-pa e sul web ai progetti del Centro Studi. Sempre nell’ambito di Groma è stato elaborato un recente manuale di diagnostica per l’archeologia, presen-tato e discusso a Bologna da Andrea Carandini nel maggio del 2010.

L’esperienza di Acquaviva Picena, in questi anni, si è dunque rivelata una palestra importante per tanti giovani archeologi e, seppure oggi si avvici-ni alla sua conclusione, possiamo considerare quel percorso ancora utile per i nostri progetti futuri.

GiusePPe sAssATellidirettore del dipartimento di storia Culture Civiltà dell’università di Bologna

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XV

Il progetto Acquaviva nella storia è stato un momento di crescita importante, sia per il Dipar-timento di Archeologia dell’Università di Bologna (ora Dipartimento di Storia Culture Civiltà), di cui è diventato sede periferica sul territorio, sia per il network di ricerca (NADIR) che fa capo al centro multimediale Te.M.P.L.A., che dirigo, di cui rap-presenta un “nodo” fondamentale.

Palazzo Celso Ulpiani infatti, che ospita un polo culturale coraggiosamente promosso dalle istitu-zioni comunali e provinciali, è divenuto un centro di aggregazione fondamentale, nei cui piani sono alloggiati e fruibili Archivio storico, Biblioteca Ci-vica e Biblioteca del Centro Studi per l’Archeolo-gia dell’Adriatico, una preziosa raccolta specializ-zata sull’archeologia e la storia dei territori tra le due sponde del Mar Adriatico.

Il Centro, in quanto nodo del network archeolo-gico di ricerca NADIR, è stato dotato di connes-sione internet e postazioni informatiche, che hanno consentito il collegamento del piccolo centro ac-quavivano con una più ampia rete di istituzioni di ricerca e conservazione del patrimonio storico, ar-

cheologico e culturale (in particolare la Soprinten-denza per i Beni Archeologici delle Marche).

La decentralizzazione delle strutture di ricerca che si è voluta mettere in atto ad Acquaviva Pi-cena, e la parallela valorizzazione delle strutture periferiche, è un passo importante che l’Università di Bologna sta compiendo con successo nella ge-stione delle strutture complesse: consente infatti di disporre di poli periferici efficienti e funzionali in cui esercitare attività didattiche e convegnistiche, nonché di promuovere, nei partecipanti a queste at-tività, una migliore e più profonda conoscenza del territorio, in particolare delle aree, come Acquavi-va Picena, sede dei progetti di ricerca sul campo del Dipartimento.

Non rimane quindi che augurare lunga e profi-cua vita al polo culturale acquavivano e ringraziare coloro che, insieme a me, hanno collaborato atti-vamente alla sua costituzione e al suo allestimento come nodo del network: in particolare gli allora studenti, ora giovani ricercatori Pietro Baldassarri, Ivano Devoti, Federica Proni e Massimo Zanfini.

AnTOniO GOTTArellidirettore del Centro Te.M.P.l.A. del dipartimento di storia Culture Civiltà dell’università di Bologna

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Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 1-2

Ci sono molti motivi per apprezzare questo li-bro. Al primo posto metto di sicuro la validità dell’operazione che lo ha generato. E cioè un pro-getto concepito per indagare su un sito dalla storia lunga e pluristratificata attraverso più sistemi di fonti: documentarie, cartografiche, archeologiche. Un approccio integrato che rientra nel canone del-la più avanzata modalità di ricerca sui contesti di età storica, declinato qui in maniera davvero ec-cellente. Vale anche la pena di sottolineare le mol-te direzioni in cui è stata indirizzata in particolare la ricerca archeologica: indagini geofisiche, scavo, ovviamente (anzi, più interventi di scavo); ma an-che archeologia dell’architettura e analisi urbani-stica. E voglio sottolinare in modo particolare la presenza di quest’ultimo filone di studio, perché, continuo a ritenerlo, di fondamentale importanza; un campo – putroppo – ancora non sufficiente-mente frequentato dagli archeologi del Medioe-vo, a differenza di quanto non accade nel settore dell’antichistica.

Un altro elemento di grande interesse è il fatto che le Marche sono una regione nella quale, tutto sommato, l’archeologia medievale stenta ancora a decollare. È un fatto che colpisce ancora di più se si considera quanti contesti e monumenti di grande rilievo esistano o siano documentati nella regione. E colpisce anche che, nonostante il notevole suc-cesso dell’incastellamento proprio in quest’area, il fenomeno sia al momento molto più conosciuto sul piano delle fonti scritte che su quello delle fonti archeologiche. Il progetto di Acquaviva, quindi, costituisce un ottimo passo in direzione di una conoscenza più approfondita dell’incastellamento nelle Marche.

Ma qui bisogna fare una considerazione più ge-nerale: se alziamo il tiro, e diamo uno sguardo alla situazione del nostro paese, allora ci rendiamo con-to che in realtà, anche nelle altre regioni, sono piut-tosto pochi i progetti di questo tipo realizzati fino-ra; pochi, in generale, i castelli che possano vantare un dossier di dati così articolato ed elaborato.

Vorrei aggiungere poi che la validità dell’ope-razione si vede, oltre che dalla sua ottima impo-stazione, anche da un elemento per me davvero fondamentale. Se è vero che questo volume è allo stesso tempo una messa a punto delle conoscenze e il resoconto di nuove indagini, che accrescono la quantità e la qualità dei dati disponibili, è anche vero che il volume è in un certo senso un’opera aperta, che non intende chiudere, sigillare l’argo-mento, ma – al contrario – suggerisce nuove piste di ricerca. Insomma: da qui si potrà ripartire per gli approfondimenti futuri.

Un esempio di quanto sto dicendo? Leggendo la parte documentaria, personalmente mi sono con-vinto che i dati disponibili su quel versante non siano sufficienti a indicare per Acquaviva una origine altomedievale, come alcuni vorrebbero. Però… Però gli scavi indicano la presenza nelle stratificazioni di materiali romani e tardoantichi (nonché altomedievali), che sembrano suggerire delle preesistenze. Di che tipo? Al momento non sappiamo bene, non ne conosciamo bene l’esatta natura, e quindi non è davvero possibile sbilan-ciarsi sulla loro interpretazione. Però, tra le righe di questo progetto, si potrebbe anche iniziare a leggere qualcosa di analogo a uno dei modelli di genesi dell’incastellamento messo a punto da Ric-cardo Francovich, soprattutto grazie allo scavo del

ntroduzione

AndreA AuGenTidipartimento di storia Culture Civiltà dell’università di Bologna

I

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andrea augentI

2

sito di Montarrenti: una precoce risalita in altura di alcuni gruppi in età tardoantica (VII secolo) che sfocia nella nascita di villaggi, successivamente divenuti poli insediativi nell’ambito del sistema curtense (VIII-IX secolo) e infine trasformati in castelli (intorno al X secolo). È una possibilità, che solo altre indagini stratigrafiche da condurre in fu-turo ad Acquaviva potranno sottoporre a verifica ed eventualmente rafforzare con nuovi dati, più sostanziali. Però di sicuro grazie a questo proget-to, e al volume che ha prodotto, iniziamo ad avere dei materiali sui quali impostare il dibattito. Non è poco: un eccellente punto di partenza.

Concluderei sottolineando che tutto questo è stato reso possibile dall’opera di un valido gruppo di studenti di Bologna, alcuni dei quali ho avuto modo di conoscere e seguire durante la loro forma-zione. Il gruppo è cresciuto nel tempo, e ha operato davvero al meglio sotto la guida di Enrico Gior-gi. Questo libro, però, non è soltanto l’esito di un buon percorso formativo nelle aule universitarie, e sul campo, in maniera autonoma; la sua ottima

qualità dipende anche dalla forte dose di coinvol-gimento con la quale questi studiosi hanno vissuto con il contesto nel quale si trovavano a lavorare. Il rapporto tra gli archeologi e i luoghi in cui la-vorano può essere di varia natura, ma sappiamo tutti che le cose funzionano davvero bene e vanno a buon fine soltanto quando si sviluppa una vera sintonia, quasi un’empatia tra gli studiosi, il luogo e la comunità locale. Questa empatia, questo coin-volgimento traspaiono molto bene, qua e là, dalle pagine del libro; e sono – credo – il vero segreto della sua buona riuscita.

Il progetto di Acquaviva potrà senz’altro confi-gurarsi nel futuro come un modello di ricerca, e non solo per la regione delle Marche, dove ha in-dicato come si può affrontare con ottimi risultati il tema di un castello medievale con continuità di vita fino ai nostri giorni. E credo che la comunità di Acquaviva abbia già adesso dei buoni motivi per essere molto grata a questi archeologi, che stanno aggiungendo alla sua storia nuove e importanti pa-gine, finora mai lette.

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Attorno alla Rocca di Acquaviva Pi-cena, nell’arco di qualche anno a partire dal 2004, si è sviluppato un progetto, in-centrato su alcune linee di ricerca legate soprattutto ai temi dell’archeologia, del-la topografia e dell’archeologia dell’ar-chitettura. Questo progetto per alcuni dei partecipanti si è rivelato anche un importante percorso di crescita profes-sionale, tanto che il modo stesso di la-vorare del gruppo di giovani ricercatori coinvolti ha rappresentato di per sé un risultato significativo (a questo allude il brano di Joseph Conrad). Per questa ra-gione nelle pagine che seguiranno verrà dato spazio non solo alla presentazione generale del progetto, ma anche al rac-conto di come è nato e si è sviluppato.

Le persone, le istituzioni, le risorse, le occasioni che fecero il progetto

Il progetto di ricerca Acquaviva nella storia (fig. 1) ha avuto inizio grazie ad alcune fortunate circostanze, nella primavera del 2004, quando Andrea

a linea d’ombra della Rocca di Acquaviva Picena.L

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 3-10

Si entra in un giardino dove anche le ombre sembrano promessee ogni svolta del sentiero è una seduzione.

non è una terra inesploratasi riconoscono le orme precedenti

si va avanti sulla propria strada.e anche il tempo va avanti

finché si scorge una linea d’ombrae la giovinezza deve essere lasciata indietro.

Tratto dalla nota introduttiva a La linea d’ombradi Joseph Conrad

Fig. 1. La locandina dell’evento di presentazione del progetto Acquaviva nella storia. la Fortezza di Acquaviva Picena (2005)

enriCO GiOrGidipartimento di storia Culture Civiltà dell’università di Bologna

direttore del Progetto acquaviva nella storia

Riflessioni sull’esperienza e sul metodo di lavoro

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enrICO gIOrgI

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Infriccioli, allora Assessore al Turismo del Comune di Acquaviva Picena, ci invitò a partecipare a un’iniziativa di promozione del territorio. Nella medesima circostanza l’archeologa acquavivana Letizia Neroni, formatasi alla scuola bolonese, ci coinvolse nell’organizzazione di un incontro di carattere culturale sul tema del vino nell’antichità, al quale collaborò anche l’amico Giuseppe Lepore.

In quell’occasione nacque l’idea di struttura-re un progetto del Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna (ora Dipartimento di Storia Culture Civiltà), da sottoporre al Sindaco Tarcisio Infriccioli. Si trattava di un laboratorio di-dattico sui moderni metodi di diagnosi archeologi-ca, come parte di un più ampio progetto di ricerca e valorizzazione storica. Venne subito coinvolta la Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Mar-che, grazie alla consueta sensibilità del compianto Soprintendente Giuliano de Marinis e alla disponi-bilità e competenza di Nora Lucentini, funzionario di zona già esperto di archeologia acquavivana. Così il laboratorio ebbe inizio nell’estate del 2004.

Quasi contemporaneamente, grazie all’inizia-tiva di Alessandro Campedelli, giovane studio-so dell’antica Dalmazia, si andava strutturando

un’analoga iniziativa sull’altra sponda dell’Adriatico, nell’an-tico castrum romano di Bur-num, non lontano da Sebenico, nel Parco Nazionale della Krka in Croazia.

Per chi si affaccia dal mastio della Rocca di Acquaviva Pice-na per scrutare l’orizzonte ver-so levante, è evidente che questi due luoghi, pur lontani, hanno in comune il tratto di Adriatico che li bagna.

Il legame tra i due progetti, partito da una suggestione e da una circostanza occasionale, di-venne un fatto concreto grazie alla fiducia accordataci da Giu-seppe Sassatelli, allora Preside della Facoltà di Lettere e Filo-sofia di Bologna, che ci accolse sotto l’egida del Centro Studi per l’Archeologia dell’Adria-tico. I due progetti iniziarono

così in parallelo, avvalendosi in origine del me-desimo team di giovani ricercatori. Si giunse così nel 2005 a una Convenzione tra il nostro Diparti-mento, la Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche, il Comune di Acquaviva Picena e i partner croati dell’Università di Zara e del Museo Civico di Drniš. L’accordo, poi rinnovato fino al 2011, fu sancito il 27 maggio del 2006 con una ce-rimonia nel Palazzo Comunale di Acquaviva, tra le pareti dipinte da Adolfo De Carolis. Allora fu inau-gurata anche la sede locale del Centro Studi per l’Archeologia dell’Adriatico, accolto nel Palazzo Celso Ulpiani, sulle mura del borgo che si snoda ai piedi della Rocca. Questo è potuto accadere grazie alla volontà dell’Amministrazione comunale e in particolare del Sindaco Tarcisio Infriccioli, allora fortemente coadiuvato da Andrea Infriccioli e poi da Teodorico Compagnoni, Francesco Sgariglia e Roberto Fulgenzi (per citare solo alcuni degli amministratori più coinvolti). La continuità è at-tualmente assicurata dal lungimirante impegno del Sindaco Pierpaolo Rossetti e dal lavoro quotidiano di Margherita Verdecchia. Il progetto si è avvalso anche del supporto della Provincia di Ascoli Pice-no, e in particolare prima di Emidio Mandozzi e Olimpia Gobbi, poi di Andrea Maria Antonini. Più

Fig. 2. La locandina dell’evento l’Adriatico. un ponte d’acqua (2006)

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recentemente l’attuale Am-ministrazione comunale, in particolare il Sindaco Pier-paolo Rosetti, con grande sensibilità, ha voluto rin-novare il sostegno a questo progetto. Il Centro Studi è stato costituito nel 2006 grazie alla competenza e al lavoro concreto di Antonio Gottarelli, impavido dinan-zi alle nuove imprese e già maestro di metodo in arche-ologia. A lui e al gruppo di lavoro che coordina si deve molto, comprese la proget-tazione e la realizzazione dei laboratori e delle aule di lettura. Così nacque la piccola Biblioteca del Cen-tro Studi, genitrice dell’at-tuale raccolta comunale, che ancora si affaccia sulla valle del Tronto e il mare Adriatico, davanti alla costa dalmata. In quella giornata di inaugurazione del Centro si tenne l’incontro: L’Adriatico, un ponte d’acqua. Così fu intitolato il primo seminario di studi1, con una citazione dal giornalista Raffaele Nigro2 (fig. 2). Tra i convenuti voglio ricordare studiosi come Giuliano de Mari-nis e Nora Lucentini (Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche), Gino Bandelli (Uni-versità di Trieste), Lorenzo Braccesi (Università di Padova), Gianfranco Paci (Università di Macera-ta), Antonio Curci, Pier Luigi Dall’Aglio, Sandro De Maria, Antonio Gottarelli, Giuseppe Lepore, Giuseppe Sassatelli, Maurizio Tosi (Università di Bologna); Nenad Cambi, Miroslav Glavičić, Željko Miletić (Università di Zara), Joško Zanino-

1 L’adriatico, un ponte d’acqua. giornata inaugurale della sede di acquaviva Picena del Centro Studi per l’archeologia dell’adriati-co, seminario internazionale (Palazzo Celso ulpiani, 27 maggio 2006). Gli Atti della Giornata di studi sono pubblicati in groma 1. archeologia tra Piceno, dalmazia ed epiro, Bologna 2007, a cura di e. Giorgi, e. Vecchietti e J. Bogdani (books.bradypus.net/gro-ma1).

2 «Osservo il mare, la linea dell’orizzonte, come una linea di difesa o un ponte d’acqua» (r. nigro, diario Mediterraneo, roma-Bari 2001).

vic e Davor Gaurina (Museo Civico di Drniš). Il filo rosso che ha collegato queste persone si

è dunque dipanato e poi riannodato proprio nel borgo di Acquaviva, e ha portato alla realizzazione di un luogo di incontro per l’archeologia, con una prospettiva locale e insieme internazionale. L’idea era quella di dare spazio agli aspetti storici del Piceno e della Dalmazia ma anche dell’intero contesto adriatico. Una scommessa che non poteva che sorprendere. Ne fu conferma lo stupore di Richard Hodges, noto archeologo medievista anglosassone, quando seppe che per partecipare al seminario sulle ricerche archeologiche nell’Albania meridionale, promosso da Sandro de Maria alla fine di novembre del 20063, doveva raggiungere questo piccolo luogo delle Marche e non la prestigiosa sede bolognese. Nella stessa occasione, oltre agli amici Anna Gamberini, Giuseppe Lepore, Riccardo Villicich, intervennero anche alcuni importanti

3 nuove ricerche archeologiche nell’albania meridionale a ottanta anni dai primi scavi di Phoinike (1926-2006), seminario interna-zionale (Palazzo Celso ulpiani, 23-25 novembre 2006), anch’es-so pubblicato in groma 1 (books.bradypus.net/groma1).

Fig. 3. La locandina dell’evento nuove ricerche Archeologiche nell’Albania meridionale a ottanta anni dai primi scavi di Phoinike (2006)

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archeologi stranieri, come gli albanesi Julian Bogdani, Dhimitër Çondi, Shpresa Gjongecaj e Luan Përzhita, ma anche gli inglesi William Bowden dall’Università di Nottingham e Oliver Gilkes dalla Butrint Foundation, oltre alla danese Inge Lyse Hansen, sempre dalla Butrint Foundation, e allo statunitense David Hernandez dall’Università di Cincinnati. La discussione finale fu moderata dalla giornalista Cinzia Dal Maso (fig. 3).

Seguirono negli anni molte altre notevoli inizia-tive. Tra queste ricordo il seminario sulle ricerche di Acquaviva e del territorio limitrofo del 2008, a cui parteciparono Andrea Augenti, archeologo medievista del nostro Ateneo, con Nora Lucen-tini e Andrea Rosario Staffa, funzionari di zona nell’ascolano e nel teramano. Inoltre aggiungerei almeno il secondo seminario sull’archeologia al-banese promosso ancora da Sandro De Maria nel 2009, a cui parteciparono Inge Lyse Hansen e Pier-re Cabanes, con altri esperti internazionali di storia

antica dell’Illiria e dell’Epiro4 (fig. 4).

A queste iniziative di carattere scientifico occorre aggiungere l’attività divulgativa, con vari cicli di conferenze promosse, tra il 2006 e il 2009, nell’ambito del Centro Studi e della libera università ascolana UPLEA5. Queste attività, che avevano lo scopo precipuo di aprire l’edificio agli abitanti del borgo e della vallata, hanno goduto della forza propulsiva dell’Assessore alla Cultura Teodorico Compagnoni, allora Vicesindaco, e soprattutto della capacità organizzativa di Erika Vecchietti. Si deve a lei l’enorme e incessante lavoro sotterraneo che ha posto le basi per la buona riuscita della maggior parte delle attività del centro (figg. 6-7). Dietro il successo di molte iniziative dei primi anni, ma anche dietro le fatiche misconosciute degli ultimi tempi, che ci stanno portando ora a questa bella chiusura del progetto, c’è appunto il suo lavoro competente e infaticabile.

Sempre a lei si lega non solo questo volume conclusivo, ma l’intero progetto editoriale che ha portato alla nascita di Groma, il contenitore di idee che ha diffuso a stampa e sul web, grazie a Julian Bogdani, i risultati del gruppo di ricercatori

4 Formazione e sviluppo del modello urbano nell’epiro Settentrio-nale, Tavola rotonda internazionale (Palazzo Celso ulpiani, 21 maggio 2009).

5 università per la libera età di Ascoli Piceno.

Fig. 4. La locandina dell’evento Formazione e sviluppo del mo-dello urbano nell’epiro settentrionale (2009)

Fig. 5. Le copertine dei volumi Groma 1. Archeologia in Piceno, dalmazia ed epiro (2009) e Groma 2. in profondità senza scavare (2010)

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ai metodi di indagine archeologica non distruttiva, disciplina che attualmente è sulla cresta dell’onda e si chiama Archeologia Preventiva. A questa scuola, che oggi è un laboratorio didattico del nostro Dipartimento, hanno preso parte tanti docenti e studenti provenienti da ogni parte del mondo. La prima edizione, nel maggio-giugno 2007, si svolse proprio ad Acquaviva Picena e a Burnum in Croazia.

Un’attività come quella appena descritta dovrebbe essere alimentata con risorse economiche adeguate, a meno che non si pensi di far coincidere molte operazioni con i doveri istituzionali di alcune delle strutture coinvolte, oppure con interessi su cui si era già deciso di investire. Ovviamente questa seconda ipotesi ci è subito parsa appetibile. L’inaugurazione di un laboratorio di ricerca e di

cresciuti intorno al progetto di Acquaviva. Groma è il nome della serie di quaderni promossi dal Centro Studi di Acquaviva Picena6. Con questo termine, che indica lo squadro agrimensorio utilizzato dagli antichi romani, si è cercato di richiamare i due temi che ci sono sempre stati a cuore: l’innovazione tecnica e lo studio del passato, nel nostro caso in ambito adriatico. Un primo quaderno è uscito nel 2007, dedicato all’archeologia di Piceno, Dalmazia ed Epiro. Un secondo ha visto la stampa nel 2009, dedicato all’archeologia senza scavo (fig. 5). Si tratta del tema di una fortunata Scuola Estiva Internazionale dell’Ateneo di Bologna (fig. 11), curata in particolare da Federica Boschi, dedicata

6 www.groma.info, books.bradypus.net.

Figg. 6-7. un momento di attività sul campo degli studenti dell’uPLea coordinati dal Centro Studi di acquaviva Picena: la ricognizione e schedatura delle cisterne romane nel territorio ascolano

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didattica universitaria ha rappresentato uno sforzo in questa direzione, perché si tratta di assolvere a compiti che sono già propri del nostro Dipartimento (figg. 8-9). Nello stesso tempo i risultati di questo lavoro hanno creato terreno fertile per la valorizzazione culturale e turistica di un borgo come Acquaviva Picena, che ha una naturale vocazione in questo senso e che perciò investe già molto in questa direzione. Questo non toglie che si debbano comunque ampi ringraziamenti al Sindaco e al Comune più in generale, per aver assicurato ampio sostegno logistico ed eccezionale ospitalità.

Una scelta così lungimirante è poi stata premiata nel 2006 dalla Provincia di Ascoli Piceno, che ha finanziato alcune borse di studio annuali per ga-rantire la fase di inaugurazione e avvio del Centro Studi. Grazie a queste scelte e all’accoglienza degli abitanti del borgo acquavivano, il progetto ha otte-nuto significativi risultati pur con risorse economi-che limitate.

E infine: quale archeologia?

Come abbiamo già accennato, il progetto Acquaviva nella storia è nato come labora-torio sul campo con finalità di didattica e di ricerca. La ricerca, però, non era indiriz-zata all’indagine archeologica tradiziona-le, ossia allo scavo. Piuttosto, si intendeva sperimentare tutte le possibili metodologie di diagnosi prima di giungere allo scavo, inteso piuttosto come riscontro finale delle ipotesi formulate e ovviamente come com-pletamento inevitabile della ricerca (in que-sto senso l’archeologia preventiva si pone in antitesi con l’archeologia d’emergenza e perciò non riesco a spiegarmi perché ancora si finisca per confonderle).

Dato questo obiettivo, e costruite le pre-messe istituzionali già dette, si strutturò il gruppo di ricerca in base alle competenze necessarie. Trattandosi di argomenti ancora giovani, il coinvolgimento di ricercatori in erba fu una logica conseguenza.

Questo poneva il problema della collabo-razione tra studiosi non ancora troppo navi-

gati, ma già in possesso di proprie metodologie di ricerca. Dati i ruoli di ciascuno, tale collaborazione si doveva svolgere in assenza di un’autorità univer-sitaria di tipo tradizionale. Diversamente da quanto accade di solito, infatti, l’esperienza acquavivana non ha visto il coinvolgimento di nessun docente accademicamente affermato nella direzione del progetto. Il lavoro ha tuttavia avuto un buon esito, grazie alla condivisione di alcune linee essenziali della ricerca e nel rispetto delle reciproche compe-tenze. Si è trattato dunque di una regia non invasiva e condivisa.

Sul campo, questa esperienza si è sviluppa-ta attraverso alcune tappe. La prima fase è stata l’analisi degli studi precedenti e la lettura delle principali fonti scritte (o iconografiche), tra cui quelle d’archivio. Di questo lavoro preliminare si è occupata Erika Vecchietti e con lei Serena De Cesare7. Quindi si giunse al laboratorio sul campo dell’estate del 2004 e del 2005, a cui parteciparo-

7 Vd. il contributo di s. de Cesare sulle fonti scritte.

Fig. 8. Il più recente Laboratorio topografico del dipartimento di archeologia dell’università di Bologna ad acquaviva Picena (febbraio 2009)

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tempo Julian Bogdani, aiutato da Michele Silani, si è occupato dell’inquadramento topografi-co e del rilievo delle murature. Federica Boschi ha curato le indagini geofisiche9, per cerca-re di riconoscere eventuali trac-ce di quanto Luigi Ferdinando Marsili, nel 1708, aveva dise-gnato nella corte della Rocca. Nell’inverno del 2005 Tomma-so Casci Ceccacci, con lo scavo nel complesso dell’ex-Ospedale di Sant’Anna, posto all’altro estremo del borgo, sulla “Terra Nuova”, ebbe modo di acquisi-re altri dati utili nell’ottica della comprensione più generale del contesto urbano. Tale scavo fu fortemente incentivato da Nora Lucentini (fig. 10). Erika Vec-chietti ha poi raccolto quei dati e li ha studiati10. Nel 2005 e nel 2006 si sono svolte le due prin-cipali campagne di scavo nella Rocca, coordinate da Andrea Baroncioni. Quindi siamo giun-ti alla fase finale di studio e di edizione, che ha visto impegnato gran parte del “gruppo storico” con qualche defezione, dovuta ad altri impegni professionali, e il significativo contributo di al-cuni specialisti, come Gilda As-senti e Orestina Francioni11.

Credo che questo percorso, al di là dei risultati della ricerca, sia stato utile per tutti. Questo mi pare testimoniato anche dalla crescita dei componenti del grup-

po di ricerca tra l’inizio del progetto

9 Vd. il contributo di F. Boschi e M. silani sulle analisi geofisiche e l’inquadramento topografico della rocca.

10 Vd. il contributo di e. Vecchietti sugli scavi del complesso dell’ex-Ospedale di sant’Anna.

11 Vd. i contributi di G. Assenti sui materiali dallo scavo e di O. Francioni sulle analisi archeometriche compiute su campioni di pietra ollare.

Fig. 9. La seconda edizione del Laboratorio di topografia del dipartimento di archeologia dell’università di Bologna (maggio 2005)

Fig. 10. La fortezza settentrionale del borgo di acquaviva Picena (“terra nuova”)

no, tra gli altri, Mauro Altini, Michele Massoni e Fabio Visani. Andrea Baroncioni ed Enrico Rava-ioli si sono occupati dell’analisi degli elevati della Rocca e poi, nel 2005 e nel 2006, Enrico Ravaioli ha esteso l’analisi al resto del borgo8. Nello stesso

8 Vd. i contributi di A. Baroncioni, sullo scavo nella rocca, e di e. ravaioli, sull’analisi degli elevati dell’edificio e la ricostruzione urbanistica del borgo.

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Fig. 11. Locandina dell’edizione 2006 della Scuola estiva dell’università di Bologna “In profondità senza scavare”

nel 2004 e la sua conclusione nel 201212. Voglio coltivare la speranza che l’esperienza acquavivana abbia rappresentato una tappa significativa anche della loro crescita professionale. La parte finale di questo volume contiene perciò una serie di appen-dici che servono proprio a chiarire schematicamen-te quanto scritto in queste pagine.

Dopo il Centro Studi

Con la pubblicazione del presente volume giunge dunque a compimento un percorso quasi decenna-le, del quale abbiamo illustrato le tappe fondamen-tali. Prima di concludere, tuttavia, ci è parso dove-roso lasciare un segno tangibile del lavoro svolto su questo territorio. Per tale ragione si è lavorato, insieme al Comune, per fare in modo che attorno al Centro Studi di Palazzo Celso Ulpiani si aggre-gassero altre funzioni, trasformandolo in un polo culturale del borgo acquavivano. In questo senso si giustifica la decisione di mettere l’arredo del Cen-

12 Vd. l’ Appendice a p. 203.

tro Studi a disposizione della Biblioteca Comunale, posta al piano terra. Tale Biblioteca, grazie a uno sforzo comune, è ormai da tempo aperta al pubbli-co ed è accessibile per le attività didattiche rivolte ai giovanissimi alunni delle scuole acquavivane. Si è deciso inoltre di liberare il piano inferiore, prece-dentemente adibito a sala convegni, per consentire la ristrutturazione dell’Archivio Storico, recente-mente inaugurato. Infine, il piano superiore è stato trasformato in area polifunzionale, dove sono al-lestiti poster informativi sui risultati delle ricerche archeologiche sul territorio13.

Si è inteso in questo modo restituire questi spazi alla comunità cittadina.

Grazie a questa eredità abbiamo dunque ragione di nutrire buone speranze per il futuro.

13 Per una più ampia esposizione delle attività più recenti e di quelle ancora in corso si rimanda al contributo seguente di e. Vecchietti.

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La sfida più difficile che un progetto di ricerca come quello qui descritto deve affrontare non è, come si potrebbe pensare, la fase iniziale o cen-trale del suo sviluppo: il successo e l’efficacia di

un’operazione come Acquaviva nella storia risie-dono in ciò che ci si lascia alle spalle, in quel deli-cato e a volte difficile rapporto di familiarità che si crea quando per un lungo periodo un piccolo paese

alazzo Celso Ulpiani da Centro Studi a polo culturalePerikA VeCChieTTi

dipartimento di storia Culture Civiltà dell’università di Bologna, Bradypus

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 13-21

[...] acquaviva, è un paesello così piccolo e così oscuro, che indarno se ne cercherebbe il nome in molti dizionari storici e in molte carte geografiche, salvo non fossero carte

e dizionari speciali delle più piccole terre d’Italia. [...] Io mi son proposto di studiare un piccolo paese rurale in tempo di rivoluzione. Sono naturalmente le città, e le grandi città, che fanno le rivoluzioni; le città piccole, le borgate, le campagne, non fanno che seguirle,

più o meno a malincuore. Ma gli storici delle rivoluzioni, nel descriverle, poco o nulla badano e ai modi e alle forme che i mutamenti politici, economici, sociali assumono in queste, che pure hanno l’importanza loro, e non piccola, nella vita d’uno Stato, e sono come le radici capillari del grande albero della nazione e quelle che trasmettono dal

suolo alla pianta buona parte di succo e di vita.

Amedeo Crivellucci, una comune delle Marche nel 1798 e 99 e il brigante Sciabolone, Pisa 1893,

Prefazione

Fig. 1. Veduta del borgo di acquaviva Picena dall’esterno del versante meridionale delle mura. Sulla sinistra, Palazzo Celso ulpiani

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viene “colonizzato”, per un mese all’anno, da un gruppo di ragazzi provenienti da tutt’Italia e non solo. E questo passaggio, ben rappresentato dalla metafora della “linea d’ombra” suggerita da En-rico Giorgi nel contributo precedente, ha assunto ad Acquaviva Picena, per chi scrive, un carattere molto speciale.

L’intero progetto, sin dal suo nascere, è stato robustamente sostenuto da una profonda volontà di condivisione con il paese dei risultati della ricerca, nella ferma convinzione che il passato sia un bene collettivo, importante per chi studia, come noi archeologi, ma anche e soprattutto per chi lo vive quotidianamente, come l’abitante di un borgo storico. Scavo quindi, studio e analisi ma anche valorizzazione, attenzione per le esigenze dei residenti del paese, didattica alle classi dell’Istituto Comprensivo acquavivano, conferenze. Attività che sono state possibili grazie a una encomiabile iniziativa del Comune, la concessione in uso di Palazzo Celso Ulpiani, divenuto nel 2006 sede del Centro Studi per l’Archeologia dell’Adriatico (e della sua biblioteca) e dell’allora Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna, oggi Dipartimento di Storia Culture Civiltà (fig. 1).

Tale convivenza tuttavia non è stata scevra da difficoltà e incomprensioni, errori di gioventù da parte nostra, che ci siamo fatti travolgere dall’en-tusiasmo del compiere un’impresa che sentivamo come profondamente “nostra”, entusiasmo che non siamo sempre riusciti a trasmettere tempesti-vamente a tutte le nostre controparti. Come sempre accade, chi è troppo coinvolto in un progetto non riesce a vedere con lucidità ciò che lo circonda.

Ciononostante, il progetto ha funzionato. Con gli unici strumenti che aveva a disposizione: la volon-tà di condividere ciò che era venuto alla luce, la te-nacia (o protervia) di voler veder apprezzato quello in cui si crede, l’ottimismo un po’ ingenuo di chi crede che per ottenere qualcosa sia necessario met-tersi in gioco per primi1.

È con questo intento di condivisione che ogni anno, a conclusione della campagna di scavo, l’area indagata2 veniva corredata da pannelli espli-

1 Mi piace considerare le campagne acquavivane come la no-stra risposta al celebre motto di steve Jobs, idolatrato e discusso cofondatore di Apple: Stay hungry, stay foolish.2 l’area di scavo si trovava nella piazza d’armi della rocca, pun-

Fig. 3. uno dei pannelli esposti nella piazza d’armi nel 2005, dopo la fine del cantiere archeologico

Fig. 2. Manifesto di presentazione dei risultati della campagna di scavo 2006 e dell’inaugurazione del Centro Studi a Palazzo Celso ulpiani

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cativi che spiegassero ai visitatori perché si era scelto di scavare in quel punto e cosa fosse emer-so; un piccolo accorgimento per risarcire, almeno in parte, Amministrazione Comunale e visitato-ri del disagio causato dalla presenza del cantiere all’interno in un monumento storico regolarmente aperto al pubblico. Inoltre, sono state regolarmente organizzate giornate di presentazione dei risultati della campagna, rivolte alla cittadinanza, alle auto-rità e ai giornali locali3 (figg. 2-3). In particolare, si è scelto di mostrare non solo l’area di scavo in sè e per sè, con le strutture e i ritrovamenti, ma il meto-do stesso dell’operatività dell’archeologo, calando il pubblico nel vivo dei lavori in corso e accenden-do la sua curiosità attraverso l’impiego delle più moderne tecnologie in uso nel cantiere.

L’attenzione alla comunicazione e alla didattica ha caratterizzato anche le scelte di arredo del Cen-tro Studi di Palazzo Celso Ulpiani, come già detto sede acquavivana del Centro Studi per l’Archeo-logia dell’Adriatico e del Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Ateneo bolognese (fig. 4). Ol-tre infatti ai quasi mille volumi della Biblioteca del Centro Studi, dedicati agli studi storico-archeolo-gici sul contesto adriatico4 (fig. 5), a Palazzo Celso

to di attrazione turistica di tutto il territorio. A fine lavori lo scavo doveva necessariamente venir richiuso, per garantire la sicurezza dei visitatori.3 Colgo qui l’occasione per ringraziare, per la sua sempre pie-na collaborazione e fiducia, la dott.ssa nora lucentini, ispettore della soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche re-sponsabie per il territorio ascolano. 4 la scelta di raccogliere ad Acquaviva Picena una biblioteca tematica così ricca e specifica è nata dalla vocazione “adriatica”

della città, che ha ospitato nel tempo, grazie al progetto ac-quaviva nella storia, una folta agenda di incontri internazionali dedicati all’archeologia nei territori del Piceno, della Croazia e dell’Albania (vd. ancora il contributo introduttivo di e. Giorgi). dal 2010, grazie agli sforzi dell’Assessore alla Cultura Teodo-rico Compagnoni, essa ospita anche la Biblioteca Comunale di Acquaviva Picena. in tal modo, si sono potute utilizzare ancora più proficuamente le postazioni informatiche predisposte alla consultazione degli archivi bibliografici online donate dal dipar-timento di storia Culture Civiltà di Bologna.

Fig. 4. Segnaletica esterna del Centro Studi a Palazzo Celso ulpiani. da notare che Palazzo celso ulpiani, grazie alla presenza del dipartimento di archeologia dell’ateneo bolognese (oggi dipartimento di Storia Culture Civiltà), è diventato parte del network di ricerca archeologica nadir (responsabile, antonio gottarelli, centro te.M.P.L.a. - dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’università di Bologna)

Fig. 5. Manifesto di inaugurazione della Biblioteca tematica dedi-cata all’archeologia dei territori tra le due sponde dell’adriatico all’interno del Centro Studi di Palazzo Celso ulpiani

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Ulpiani hanno trovato spazio i pannelli didattici di approfondimento sulla Rocca, sul borgo fortificato e sulle tecniche produttive antiche (figg. 6-9). La volontà dei fondatori del Centro era infatti quella di creare uno spazio pubblico e aperto, che funges-se, oltre che da luogo di studio e di incontro, da centro informativo sulle attività svolte dall’équipe dell’Università di Bologna tra le mura del castello e più in generale sugli aspetti del mondo antico più direttamente attinenti a quanto si stava approfon-dendo sul contesto acquavivano.

A rafforzare il volto “adriatico” del Centro Studi di Acquaviva Picena, anche in relazione al legame con la Croazia e il sito archeologico di Burnum5, le sale di lettura della biblioteca e le aule didattiche sono divenute spazi espositivi di due mostre foto-grafiche di un allora giovane (oggi affermato) fo-

5 Che ha ospitato, insieme ad Acquaviva Picena, la prima edi-zione della scuola estiva del Centro studi per l’Archeologia dell’Adriatico “in profondità senza scavare. Metodologie d’inda-gine non invasiva e diagnostica per l’Archeologia” (2007). Vd. anche il contributo introduttivo di e. Giorgi.

Figg. 6-7. due dei pannelli didattici del Centro Studi di Pa-lazzo Celso ulpiani, dedicati alle tecni-che produttive della ceramica romana (a sinistra) e medievale (in basso). disegni di giorgio giorgi

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tografo ascolano: Pierluigi Giorgi6. La prima mo-stra, trasformata poi in allestimento permanente, dedicata alle attività archeologiche ad Acquaviva Picena e a Burnum (figg. 10-11), la seconda, di più ampio respiro, dedicata a un reportage fotografico realizzato in territorio albanese nel 2003: Impres-sioni di Albania, già esposta a Bologna nel com-plesso monumentale di San Giovanni in Monte. Le belle immagini fotografiche di Pierluigi Giorgi sono andate ad arricchire la varietà dei paesaggi che si possono ammirare dal Centro Studi di Pa-lazzo Celso Ulpiani, dotato di una straordinaria vi-sta panoramica sulla valle del Tronto dalla quale si comprende bene il valore strategico che l’altura su cui sorse il borgo acquavivano rivestì nella storia e nell’evoluzione del territorio.

Dalla fine del 2006, grazie all’aiuto della Provincia di Ascoli Piceno7, in particolare

6 www.pierluigigiorgi.com.7 Grazie a uno specifico progetto di finanziamento la Provincia ha consentito, attraverso il bando di specifiche borse di studio, di mantenere attivo il Centro studi e la Biblioteca per il primo anno di attività (2006-2007), apertura di cui negli anni successivi e a seguito dell’apertura della Biblioteca Civica si è fatto carico il Comune.

dell’Assessore alla Cultura Andrea Maria Antonini e alla collaborazione con l’Assessore alla Cultura del Comune di Acquaviva Picena Teoderico Compagnoni, è stato possibile organizzare ogni anno diversi cicli di conferenze, dedicate alla cittadinanza, agli interessati e agli studenti, che hanno visto, tra l’altro, la partecipazione attiva e interessata dei membri dell’UPLEA8. Fin dai primi mesi di vita del Centro Studi è infatti emersa la necessità di affiancare ai convegni scientifici dedicati all’archeologia adriatica9 una più ampia attività di comunicazione archeologica, in grado di avvicinare il maggior numero possibile di persone ai temi della conoscenza e della valorizzazione del patrimonio storico, nell’intento di sensibilizzare il pubblico verso una più consapevole difesa e fruizione delle emergenze storico-archeologiche del proprio territorio10. Sono stati scelti temi storici

8 università Popolare itinerante del tempo libero e della li-bera età di Ascoli Piceno. Colgo l’occasione per ringraziare Pina imperatori, nostra storica referente dell’uPleA, per la passione e la dedizione con cui ha seguito e diffuso le iniziative cui qui si fa cenno. 9 Ampiamente illustrati da e. Giorgi nel contributo introduttivo.10 Anche nell’ottica della promozione della “formazione per-

Figg. 8-9. due dei pannelli didattici del Centro Studi, dedicati ai risultati delle ricerche in corso ad acquaviva Picena: lo scavo archeologico nella rocca (a sinistra) e il borgo (a destra)

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trasversali e di ampio respiro, appositamente approfonditi ed esposti da giovani studiosi, raccolti in cicli annuali intitolati Incontri con il

manente”. sempre in questa prospettiva si è realizzato anche, nel 2008, un progetto didattico che ha visto il coinvolgimento degli allievi dell’istituto Comprensivo di Acquaviva Picena nella visita ai principali monumenti storici del borgo in occasione del-le Giornate internazionali del FAi.

passato (fig. 12). È infatti ferma opinione di chi scrive che il passato, l’archeologia in particolare, rivesta un ruolo fondamentale nell’immaginario della maggior parte delle persone, per quel carattere frammentario (rovine, cocci, ecc.) con cui le informazioni giungono fino a noi. Se quindi, come archeologi, abbiamo dalla nostra parte enormi potenzialità comunicative, dall’altra

Figg. 8-9. due immagini fotografiche della rocca scattate nel 2005 da Pierluigi giorgi, ora parte dell’allestimento permanente del Centro Studi di acquaviva Picena

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solo di rado il mondo dell’archeologia ufficiale, quello accademico, si è sforzato di raggiungere un ampio pubblico; tale atteggiamento ha avuto come risultato un’esponenziale crescita dell’interesse, mediatico e non, verso la “fantarcheologia” e le interpretazioni anticonvenzionali e senza fondamento scientifico di fenomeni storici, monumenti o reperti archeologici. Il tono delle conferenze dei cicli Incontri col passato è andato invece nella direzione di un avvicinamento del pubblico alle tematiche dell’archeologia e del territorio, affrontate con leggerezza ma senza pressapochismo scientifico. Con lo stesso spirito, i cicli di conferenze sono stati integrati da incontri con autori di libri a tema storico-archeologico, come il volume Morte nell’arena di Federica Guidi11, ancora nell’ottica di una sensibilizzazione dell’uditorio verso gli argomenti della storia antica che maturi attraverso la curiosità e gli spunti d’interesse, e sia in grado di indirizzare gli spettatori verso strumenti di approfondimento di buon livello critico e divulgativo, esposti e discussi con il pubblico dagli scrittori stessi (fig. 13).

11 Federica Guidi, Morte nell’arena. Storia e leggenda dei gladia-tori, Mondadori 2006.

Fig. 12 (a destra). Locandina dell’edizione 2007 del ciclo incontri con il passato

Fig. 13 (in alto). Incontro con l’autore ad acquaviva Picena: Federi-ca guidi (al centro) presenta il suo libro Morte nell’arena. storia e leggenda dei gladiatori (Milano, Mondadori, 2006), introdotta da enrico giorgi (a sinistra) e teoderico Compagnoni (a destra) nella chiesa di San rocco ad acquaviva Picena (19 febbraio 2011)

Fig. 14. una delle tavole della storia di Acquaviva Picena a fumetti di giorgio giorgi

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Fig. 15. L’accurata ricostruzione dell’ambientazione (chiesa di San rocco) in una delle tavole della storia di Acquaviva Picena a fumetti (giorgio giorgi)

Ancora sulla linea di una comunicazione basata sulla contaminazione tra diversi generi, nel 2005 è uscito, grazie al genio e al talento del maestro Giorgio Giorgi, artista ascolano, il primo episo-dio della Storia di Acquaviva Picena a fumetti12, dedicato a un episodio storico avvenuto ad Ac-quaviva nel XIII secolo: le nozze tra Forasteria, figlia del Duca di Acquaviva, e il nobile di Sarna-no Rainaldo di Brunforte. Il fumetto, o meglio la graphic novel, mira a una restituzione accurata e storicamente affidabile di ambientazioni e perso-naggi, frutto della sinergia tra l’autore e i membri del gruppo di lavoro dell’Università di Bologna impegnato nella ricostruzione archeologico-docu-mentaria del sito, e rappresenta un ulteriore sforzo creativo verso una divulgazione ampia e critica, entusiasticamente aperta ai diversi media comuni-cativi (figg. 14-15)13.

12 Giorgio Giorgi, Sponsalia, storia di Acquaviva Picena a fu-metti, i episodio, Bologna 2005.13 Sponsalia è stato presentato (25 luglio 2005) in occasione

Come però ripetevo all’inizio di questo contributo, la buona riuscita di un proget-to si misura, la maggior parte delle volte, dalla sua eredità, ossia da quanto riesce, dopo la sua conclusione, ad attirare anco-ra attenzione e contributi, a essere vivo nel tessuto degli abitanti, a entrare nella programmazione del Comune e degli Enti Territoriali14.

E non senza orgoglio posso ammettere che noi siamo riusciti anche in questo, che a mio avviso è il più difficile dei compiti, soprattutto per un team giovane come il nostro. La costituzione del Centro Studi a Palazzo Celso Ulpiani ha stimolato l’im-piego dell’edificio come polo della vita cittadina e un crescente interesse da parte del Comune, fattore che ha comportato, nel 2009, lo spostamento a Palazzo Cel-so Ulpiani dell’intero Archivio Storico Comunale, preservato e ordinato grazie all’interessamento della Soprintendenza regionale ai Beni Archivistici e soprattut-to al contributo della Provincia di Ascoli Piceno, recentemente molto attenta alle problematiche che il delicato patrimonio archivistico, soprattutto quello dei piccoli centri, subisce riguardo a conservazione e fruibilità15. Nel giugno 2013 è stato quindi

inaugurato il nuovo Archivio Storico acquavivano, collocato nel piano inferiore di Palazzo Celso Ul-piani, appositamente reso idoneo a questo specifi-co scopo. Al piano terra le scaffalature del Centro Studi ospitano ora, in via permanente, i volumi del fondo bibliotecario comunale di Acquaviva Picena, reso anch’esso fruibile per interessamento

della rassegna annuale “Acquaviva nei fumetti”.14 intendo in tal senso inserire a pieno titolo il progetto acqua-viva nella storia nel novero delle esperienze riuscite, in italia, di “archeologia pubblica”, ossia quel modo di intendere l’archeo-logia non solo come disciplina che si occupa di ricerca, ma che promuove il rapporto con la società civile, stimola la creazione di una sinergia forte tra ricerca archeologica e comunità (attra-verso specifiche azioni di tasferimento culturale e tecnologico), incide nei tre settori chiave della sua portata “sociale”: comuni-cazione, economia e politiche (governance) del patrimonio ar-cheologico. sul tema vd. di recente G. Vannini (a c.), archeologia Pubblica in toscana. un progetto e una proposta, Firenze 2012.15 si vuole qui menzionare l’encomiabile iniziativa di riordino degli archivi comunali del Piceno “Memorie di Carta”, promosso dalla Provincia in sinergia con la soprintendenza Archivistica per le Marche, la regione e la Fondazione Carisap.

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del Comune, in primis dell’Assessore alla Cultu-ra e Vicesindaco Teoderico Compagnoni, e grazie all’impegno quotidiano di Margherita Verdecchia, acquavivana d’adozione, attiva e competente col-laboratrice del Comune e del nostro team sulle po-litiche didattiche e culturali rivolte agli abitanti e soprattutto alle scuole.

Tra 2012 e 2013 il processo si può dire conclu-so, con la creazione, a Palazzo celso Ulpiani, di un vero e proprio Palazzo della Cultura, grazie a un fi-nanziamento europeo16 facente capo al Comune di San Benedetto del Tronto17. Grazie a questo contri-buto è stato possibile il potenziamento delle strut-ture informatiche funzionali alle biblioteche e alla didattica, il rinnovo degli ambienti del primo e del secondo piano della struttura e la sua conversio-ne a spazio polifunzionale, utilizzabile come area per mostre temporanee, allestimento permanente e aula didattica/sala conferenze. L’assegnazione di questo finanziamento ha rappresentato, per il Co-mune come per noi, un importante punto di svolta e un definitivo passaggio delle consegne tra il nostro gruppo di lavoro e il Comune di Acquaviva Picena.

Grazie infatti ai fondi ottenuti, che abbiamo ge-stito a nome del Comune, è stato possibile una par-ziale ristrutturazione dell’edificio (in particolare adeguando il sistema antincendio e gli impianti di sicurezza), la dotazione al Palazzo di più postazio-ni informatiche per la ricerca-didattica (di cui una portatile), l’arredamento del piano superiore con un’installazione dedicata al territorio acquavivano dalla preistoria ai giorni nostri (Il paesaggio piceno tra montagna e mare), a pubblicazione dei risultati delle nostre ricerche, ora editi in questo volume, e infine l’impiego di una persona che, part-time, si occupasse dell’apertura al pubblico della bibliote-ca e dell’archivio.

La concezione degli interventi si è basata sul con-cetto della “reversibilità”: Palazzo Celso Ulpiani non è più solo un’appendice della nostra avventura universitaria, è uno spazio finalmente fruito dagli abitanti del Comune, che vi organizzano corsi teo-

16 Progetto finanziato nell’ambito del POr-Fesr CrO MAr-Che 2007/2013 – Asse 5 “Valorizzazione dei Territori”: Proget-tazione integrata – PiT “Paesaggio marino”.17 Coordinato da sergio Trevisani. il collegamento con san Be-nedetto del Tronto risulta fondamentale per l’azione “in rete” delle realtà locali dell’entroterra, che ricevono dal collegamento con la riviera un benefico flusso di visitatori.

rici e pratici, letture pubbliche, piccole mostre foto-grafiche, didattica e doposcuola per i bambini; era quindi necessario che la nostra presenza si facesse sempre più “trasparente”, e si limitasse a intreventi sempre più tecnici e gestionali, e soprattutto “mo-bili”: postazioni leggere, computer portatili, picco-li videoproiettori che potessero essere liberamente mossi e utilizzati in tutti e tre i piani dell’edificio, utilizzo, per le stampe, di tessuto, adatto a essere ripiegato e riposto in poco spazio (in caso di neces-sità di impiegare i locali per altri scopi).

Sto constatando in questi giorni che l’operazione del polo culturale acquavivano a Palazzo Celso Ul-piani sta ricevendo l’appoggio entusiastico anche della nuova giunta comunale, recentemente inse-diatasi e presieduta dal Sindaco Pierpaolo Roset-ti. E questo rappresentare un riferimento costante, “sistematico”, al di là delle amministrazioni che si susseguono, al di là dei legami personali (credo di parlare a nome di tutto il gruppo che ha portato avanti, davanti a mille difficoltà, questa operazio-ne) è il miglior ringraziamento che da Acquaviva ci potesse giungere.

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enriCO GiOrGidipartimento di storia Culture Civiltà dell’università di Bologna

direttore del Progetto acquaviva nella storia

erikA VeCChieTTiProgetto acquaviva nella storia, Bradypus studio associato

Uno sguardo superficiale al panorama storico e geografico circostante

Il borgo ‘medievale’ di Acquaviva sorge nelle Marche meridionali, in Provincia di Ascoli Pice-no, su un’altura che domina la valle del Tronto e la costa adriatica, a una decina di chilometri di di-stanza dal mare. L’abitato è cresciuto sull’ultima propaggine di un crinale che si sviluppa, da ovest verso est, tra i torrenti Albula e Ragnola, frapposto tra i bacini del Tronto e del Tesino1. Come vedre-

1 il corso dell’Albula si trova a nord e quello del ragnola a sud di Acquaviva Picena. Per una descrizione ulteriore si rimanda a CasCi CeCCaCCi 2007 («Groma 1»); NeroNi 2002 («Orizzonti»).

mo, proprio la posizione di confine tra i territori di Ascoli e di Fermo, insieme alla sua vocazione al controllo del territorio, ne hanno determinato lo sviluppo storico.

Il paesaggio circostante è caratterizzato da un’ampia distesa di colline dal profilo arrotonda-to, ricche di sorgenti e incise sui fianchi da ripidi torrenti, con vallecole profonde e incassate (fig. 1). La maggior parte di queste dorsali drena verso sud e rientra nel sistema di colline che delimita la me-dia e bassa valle del fiume Tronto a settentrione. Si tratta di un esteso complesso di alture che pren-de le mosse dall’interno appenninico, diminuendo gradualmente di quota, di pendenza e di antichità mano a mano che avanza verso l’area adriatica,

l progetto Acquaviva nella Storia.I Il contesto topografico e la sintesi dei risultati

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 37-50

Fig. 1. Il paesaggio collinare in cui sorge il borgo di acquaviva Picena

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fungendo da spartiacque tra il bacino del Tronto e quello del Tesino ancora più a nord. Queste colline dal profilo dolce, coperte di vigne e ulivi, percorse da una fitta trama di strade di crinale e rese celebri dalle astrazioni di Tullio Pericoli2, rappresentano l’aspetto caratteristico e preponderante del paesag-gio agrario marchigiano dall’antichità ai giorni no-stri. L’azione dei mezzi meccanici – che modellano le superfici e permettono piantate disposte lungo la linea di pendenza, aumentando il colluvio che scivola verso valle – ha di certo addolcito questo paesaggio, che un tempo doveva essere più irre-golare, contenuto da muretti di terrazzamento, col-tivato con filari trasversali. Alcune testimonianze del precedente aspetto della campagna ascolana si possono trarre dalle vedute del pittore e archeologo Nazzareno Gabrielli3.

Dalla sommità del mastio della Rocca di Acqua-viva, se si spinge lo sguardo all’interno risalendo il corso del fiume, si scorge l’alta valle del Tronto, che si è scavata la sua strada tra i fianchi ripidi dei Monti della Laga a sud e del massiccio dei Sibilli-ni a nord (dominato dalle cime dei monti Vettore, Sibilla e Priora), dove si congiungono l’Appennino umbro e quello marchigiano. Dietro la dorsale che separa il Tronto dal Vibrata, già in territorio abruz-zese, si trovano i Monti Gemelli (la Montagna dei Fiori e il Monte Piselli), mentre sullo sfondo si intravedono i massicci della Maiella e del Gran Sasso d’Italia. Lungo la valle, nel punto di raccor-do tra l’area montana e quella collinare, si apre il bacino di Ascoli, centro egemone dei piceni prima, città romana e medievale poi, da sempre baricentro dell’alta e media valle del Tronto4. Da qui lo sguar-do può discendere lungo le colline di cui abbiamo già parlato, più estese sulla riva destra e a ridosso del fiume su quella sinistra5. A nord, lungo la costa, si può riuscire a vedere il promontorio del Cone-ro che interrompe la cimosa costiera marchigiana

2 silvia Ballestra, Le colline di fronte. un viaggio intorno alla vita di tullio Pericoli, Catalogo della mostra Sedendo e mirando , i pa-esaggi (1966 al 2009), Ascoli Piceno, Galleria d’Arte Contem-poranea (21 marzo-13 settembre 2009), Milano (rizzoli) 2011,

3 Catalogo della mostra, 2011.

4 GiorGi 2004; Id. 2005; GiorGi, luCeNtiNi 2007.

5 lo scorrimento asimmetrico dell’asta fluviale, che in quest’ul-tima fase tende a erodere i terrazzi a ridosso dello spartiacque meridionale, è una caratteristica che il Tronto condivide con molti fiumi marchigiani (BisCi, Dramis 1991).

con il suo profilo brusco a picco sul mare. Verso mezzogiorno, la valle del Tronto si apre, all’altezza della Sentina, con una foce ampia, un tempo palu-dosa e movimentata da cordoni costieri, oggi quasi del tutto urbanizzata. Qui, in posizione molto più vicina alla foce di quanto non sia l’odierna Martin-sicuro, sorgeva l’antico porto di Castrum Truenti-num6, che la tradizione vorrebbe di antica origine liburnica, e che fu dall’età romana sino all’inizio del Medioevo il punto di riferimento della porzio-ne di territorio che comprendeva anche l’area di Acquaviva7.

Il fiume Tronto, dunque, con le sue dorsali di spartiacque e la sua foce, è l’elemento centrale del paesaggio. Il suo corso ha rappresentato un tratto di unione, ma a uno sguardo più approfondito esso configura anche una divisione tra le due sponde, specialmente nelle fasi storiche più antiche. Que-sto spiega, ad esempio, l’importanza dei punti di guado e la necessità di risalire in parte il corso con le imbarcazioni8. In questo senso sono particolar-mente interessanti le testimonianze archeologiche del sito di Casale Superiore, a Colli del Tronto nel-la media valle, che si sviluppa tra la fine dell’età del Bronzo e l’inizio dell’età del Ferro (XIII-VIII a.C.), proprio in connessione con un guado. Con il fiorire della cultura picena, nella piena età del Ferro (in particolare nel VI sec. a.C.), emerge an-che sul piano archeologico l’importanza del po-polamento sui siti d’altura e Acquaviva fu proba-bilmente uno di questi9. La romanizzazione (III-II a.C.), successivamente, rivoluzionò il paesaggio truentino, come quello del resto della penisola. L’appoderamento di gran parte del fondovalle e poi

6 in età antica si ritiene che il Tronto sfociasse alcuni chilo-metri più a sud nell’area significativamente denominata “Tronto Vecchio” (CampaGNoli-GiorGi 2004, pp. 42-54). importanti scavi archeologici sono stati condotti in località Case Feriozzi a Mar-tinsicuro, dove è presente un’occupazione che va dal iV sec. a.C. al Vii sec. d.C.. Per una sintesi su Castrum truentinum si vedano staffa 2000; Id. 2009.

7 Come diremo meglio in seguito, Acquaviva Picena occupa una posizione marginale, di confine tra il bacino del Tronto e quello del Tesino; per questo motivo, le sue vicende si legano alternativamente a queste due aree.

8 una delle più antiche testimonianze archeologiche di que-sta direttrice commerciale è data dalla presenza di ceramica micenea a Monsampolo, nella media valle del Tronto (GiorGi-luCeNtiNi 2007, p. 9).

9 GiorGi, luCeNtiNi 2007, pp. 10-12; CasCi CeCCaCCi, NeroNi 2007, pp. 17-19; CiuCCarelli 2012.

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Il progetto Acquaviva Picena nella storia. Il contesto topografico e la sintesi dei risultati

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delle colline circostanti (III a.C.-I d.C.), oltre alla strutturazione del sistema itinerario della via Sala-ria (II a.C.-I d.C.), ridisegnarono il paesaggio, con-ferendogli un aspetto più regolare. In questo perio-do si consolidò anche il popolamento rurale, con casali, fattorie, insediamenti sparsi in parte simili a quelli di qualche decennio addietro i nostri tempi10. Uno scavo recente ha riportato in luce la necropoli di uno di questi insediamenti sviluppati lungo la via Salaria, nei pressi di Spinetoli11. Quindi la de-strutturazione del paesaggio antropizzato, il ritorno a forme più naturali e selvatiche, causata dalla di-minuzione del presidio antropico e dal peggiora-mento storico e ambientale di epoca tardoantica, pose le basi per la rinascita del paesaggio agrario. Questo nuovo cambiamento fu promosso dai centri monastici altomedievali e dai castelli medievali12. Proprio l’incastellamento, che caratterizzò la piena età medievale, portò nuovamente in primo piano il ruolo dei siti d’altura come Acquaviva Picena13. Un momento che viene spesso sottovalutato dagli archeologi, infine, è l’epoca del tardo Medioe-vo e del Rinascimento. Fu invece proprio questo il periodo nel quale si prese forma la fisionomia architettonica dei borghi e il paesaggio rurale cir-costante, nei modi che oggi apprezziamo e in gran parte tentiamo di conservare. In quel territorio tale rinascita si collega alle vicende delle contese terri-toriali tra i comuni di Ascoli e di Fermo, poi al do-minio dello Stato Pontificio, fino alla Rivoluzione Francese e al travagliato periodo del brigantaggio, che portò alla distruzione dell’Archivio Storico acquavivano (1799)14. A tal proposito, per il borgo di Acquaviva è certamente istruttivo il noto dise-gno di Luigi Ferdinando Marsili, conservato nella Biblioteca Universitaria di Bologna, che ci mostra un’ottima sintesi della consistenza materiale del borgo nell’anno 1708.

10 CampaGNoli, GiorGi 2004.

11 luCeNtiNi, miritello, pasqualiNi 2007.

12 Ibid.

13 CampaGNoli, GiorGi 2007.

14 il crinale principale si ramifica ulteriormente verso est in due piccoli spartiacque tra i Fossi della Fornace e degli Zingari.

Le terre acquavivane

L’altura di Acquaviva si trova a ridosso del mare e si espande su una serie di dorsali minori perpen-dicolari alla costa15. A differenza del sistema di colline della media valle che drenano nel Tonto, le alture a ridosso del mare sono collegate ma si dispongono con un diverso orientamento. I corsi del Ragnola e dell’Albula, infatti, che delimitano il crinale principale a nord e a sud, sono presso-ché paralleli alla linea di foce del Tronto e hanno scavato i fianchi della collina, rendendoli piuttosto acclivi. Per questa ragione il sito risulta in posizio-ne dominante, naturalmente difeso, ma abbastanza accessibile (con un percorso di crinale che proceda da ovest verso est). In particolare l’abitato occu-pa due alture diverse, una maggiore a ovest (circa metri 360 s.l.m) e una lievemente più bassa a est. Una piccola sella divide i due colli. Sull’altura oc-cidentale, denominata ‘Terra Vecchia’, oggi sorge la Rocca; a est, sulla ‘Terra Nuova’, si trova il pre-sidio verso il mare; nel mezzo, la Torre dell’Oro-logio e la chiesa di San Nicolò delimitano la sella. Verso sud-ovest il crinale si ramifica e, tra il fosso degli Zingari e il fosso Ragnola, si incontra il colle di San Francesco e l’Abbadetta. A sud del poggio di Acquaviva si trova il monte Tinello, a nord la Contrada Paterno, con il brusco pendio collinare che degrada verso il torrente Albula.

Il toponimo “Acquaviva”, infine, dipende forse dalla presenza di sorgenti o dal nome di una nobile famiglia locale16, che fu anche per un certo periodo proprietaria della Rocca. Sapere se dal primo derivi il secondo o viceversa è cosa ardua e forse inutile.

Da questa breve descrizione geografica emerge come Acquaviva abbia da sempre rappresenta-to un’area privilegiata di insediamento. Per certi aspetti il suo territorio si presenta abbastanza con-cluso, anche se la sua comprensione non può pre-scindere da quella del contesto più ampio entro cui si pone. In questo senso la sua storia si collega a quella della genesi degli insediamenti protostorici

15 A questo sito si aggiungono alcune segnalazioni di reperti della stessa epoca in località solagna ragnola. Per entrambi si vedano luCeNtiNi 1995, NeroNi 2002, p. 107, 111-112. l’inse-diamento di Monte Tinello parrebbe continuare sino all’età del Bronzo.

16 Gli Acquaviva, duchi d’Atri, piccolo Comune nel teramano (vd. il contributo di s. de Cesare in questo volume).

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nelle Marche meridionali e allo sviluppo della cul-tura picena. La conformazione del paesaggio ac-quavivano, così compatto intorno all’altura princi-pale, è adattissimo alle dinamiche del popolamento di quest’epoca, fatto di piccoli centri che control-lano aree abbastanza limitate. L’esclusione dalle grandi vie di transito e l’isolamento geografico del territorio spiegano forse il fatto che la romanizza-zione paia lasciare tracce più anonime, ma questo dipende certamente anche dalla persistenza dell’in-sediamento medievale, che si arrocca sull’altura e copre, con l’espansione di età quattro-cinquecente-sca, tutta la superficie del pianoro.

L’archeologia acquavivana

La presenza umana nel territorio di Acquaviva Picena è archeologicamente nota sin dalla Preisto-ria. Al Neolitico si riferisce, infatti, l’insediamento di Monte Tinello, che si data indicativamente alla seconda metà del IV millennio e si sviluppò su un rilievo a sud dell’abitato principale di Acquaviva17. Si tratta dei resti di un abitato, indagato dalla So-printendenza per i Beni Archeologici delle Marche, con fondi di capanna con tracce di intonaco e foco-lari, riferito al ‘cultura di Ripoli’18. Alla successiva età del Bronzo si riferisce un importante ripostiglio di asce rinvenuto in Contrada Fonte Paterno, ap-pena a nord di Acquaviva19. Con l’inizio dell’età del Ferro, in tutta l’area medio-adriatica si assiste all’emergere di raggruppamenti culturali omoge-nei, dove gli aspetti culturali originali maturano grazie al contatto con le altre culture italiche e con l’altra sponda adriatica (X-IX a.C.)20.

Si giunge così al fiorire della civiltà picena, a cui è forse possibile riferire il primo abitato stabile sull’altura di Acquaviva. Questa ricostruzione, che non è suffragata da dati archeologici nella zona del paese (forse a causa della stessa continuità di occu-

17 sivestriNi lavaGNoli 1993; silvestriNi, CarliNi 2005; ZamaGNi 2005. Vd. anche, anche per i rinvenimenti citati in seguito, il con-tributo di M. Cameli in questo volume.

18 Altri rinvenimenti occasionali sono riferiti all’età del Bronzo (NeroNi 2002; CasCi CeCCaCi, NeroNi 2007).

19 NeroNi 2002; CasCi CeCCaCi, NeroNi 2007.

20 Per una panoramica dei rinvenimenti dell’età del Ferro nel territorio vd. BalDelli 1995.

pazione del sito), si spiega per la presenza di alcuni sepolcreti disposti nelle zone circostanti (databili tra VIII e V a.C.). In alcuni casi, come per le tom-be del colle di San Francesco e le vicine strutture produttive del colle dell’Abbadetta (secc. VIII-VII a.C.), sembra che almeno per un certo lasso di tem-po la necropoli si associ a un suo contesto abitativo, diverso da quello egemone. Resta da capire se si tratti di un centro produttivo satellite, di un altro abitato minore che concorse alla genesi di quello principale, o addirittura di due veri e propri inse-diamenti distinti. Altro elemento che documenta la facies picena ad Acquaviva è il rinvenimento, nel 1848, di una stele, riconosciuta come sud-picena, in località Fonte Mercato; se si accetta l’interpretazio-ne del reperto come un’offerta votiva, il volto “pi-ceno” di Acquaviva si andrebbe a completare con la presenza, nel territorio, di un’area santuariale21.

Il cambiamento del paesaggio, che abbiamo detto tipico della romanizzazione, non ha lascia-to tracce particolarmente significative in questo territorio22. Si segnala solo il rinvenimento di due epigrafi, quella dell’architetto Publio Buxu-rio Tracalo del municipio romano di Castrum Truentinum e quella del commerciante di porpora Caio Marcilio Eros, che fu magistrato municipale (quinqueviro)23. La vocazione agricola del territo-rio è testimoniata, poco lontano, dal rinvenimento di un insediamento rustico con vocazione produt-tiva nel territorio di Offida24.

Sporadiche le notizie e i rinvenimenti archeolo-gici utili alla ricostruzione delle vicende del ter-ritorio successive all’età romana; possiamo però ipotizzare che la posizione estremamente favore-vole dal punto di vista strategico del territorio ac-quavivano sia stato, durante il burrascoso periodo successivo alla caduta dell’Impero Romano, parte della «situazione “di frontiera” degli insediamenti che gravitano intorno alla Salaria [...] interpretati come baluardo contro possibili e prevedibili attac-chi bizantini da est e da sud»25.

21 Vd. il contributo di M. Cameli in questo volume, con bibl. prec.; sugli aspetti religiosi vd. CapDeville 2006. sul popolamento e le dinamiche insediative vd., da ultimo, BioCCo, silvestriNi 2009.

22 NeroNi 2002; CasCi CeCCaCi, NeroNi 2007.

23 Ibid.

24 piGNoCChi 1998.

25 profumo 2000, pp. 389-390, con bibl. prec.

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La nascita del castello nelle notizie storiche e nei documenti d’archivio

Le notizie sulla nascita dell’insediamento forti-ficato di Acquaviva Picena, difficilmente indivi-duabili sul piano archeologico, sono invece conte-nute nei documenti scritti conservati negli archivi; da questo punto di vista, la perdita dell’Archivio Storico di Acquaviva Picena, incendiato durante i moti antifrancesi del 1799, risulta di indubbio dan-no. Cionondimeno, preziose notizie riguardanti le vicende del castello di Acquaviva sono presenti nell’Archivio di Stato di Ascoli, nell’Archivio di Stato di Fermo, e nell’Archivio Storico Comuna-le di Ripatransone, centri limitrofi direttamente coinvolti nella storia del territorio in esame. Non minore importanza ha avuto, dato il peso politico dei centri di potere religioso nell’Italia dell’alto Medioevo, l’analisi dei documenti dell’Abbazia imperiale di Santa Maria di Farfa, i cui possedi-menti comprendevano ampie porzioni del territo-rio ascolano26.

Gabriele Nepi27, storico acquavivano, ritiene che il primo riferimento al toponimo “Aquaviva”, rife-rito all’insediamento a cui, dopo l’Unità d’Italia, verrà affiancata la specifica di “Picena”, risalga all’anno 947, come attestato nel Chronicon Far-fense. Di diversa opinione, in anni relativamente recenti, Lucio Tomei28, il quale ritiene troppo de-bole l’identificazione del castello di Acquaviva Picena col toponimo “Aquaviva”, diffuso in area marchigiana e genericamente riconducibile a un territorio ricco di acque. Il castello d Acquaviva, secondo quest’ultima ipotesi, mai entrato tra i pos-sessi farfensi, sarebbe sorto a seguito del graduale processo d’incastellamento che interessò, tra X e XI secolo, le Marche meridionali, risultato di un quadro politico caratterizzato da una debole pre-senza dei poteri pubblici e di un progressivo ruolo di marginalità della marca fermana29.

26 Vd. il contributo di s. de Cesare in questo volume. sull’uti-lizzo “critico” delle fonti farfensi per la ricerca topografica vd. maNCiNelli 2006.

27 Nepi 1982. Tale ipotesi è stata confermata, più recentemen-te, da Tiziana Marozzi (maroZZi 1998).

28 tomei 1998.

29 BerNaCChia 2006, p. 343.

Le vicende tacciono fino a un altro momento si-gnificativo: la cessione del castello di Acquaviva, che fino a questo momento possiamo ritenere pro-prietà di potentati locali, al comune di Fermo, pas-saggio che, seguendo la ricostruzione del Tomei, possiamo ricostruire avvenuto non prima dell’anno 140730. Successivamente, la Rocca tornò agli Ac-quaviva31 fino al 1447, quando i fermani la ricon-quistarono (infliggendole seri danni) nel più ampio quadro storico dell’espansione Francesco Sforza nella Marca meridionale. Lo Sforza vinse e occupò tutte le terre del duca d’Atri, compresa Acquaviva, che rimase sotto il controllo fermano fino al termi-ne della dominazione sforzesca (1448), quando fu incamerata dalla Santa Sede insieme a tutti i domi-ni del conte. Acquaviva rimase però sempre stret-tamente legata al vicino comune di Fermo, di cui costituiva una piazzaforte.

Sappiamo che nel 1481 fu ricostruita la Porta Vecchia, nel tratto sud-orientale delle mura del borgo e forse contestualmente iniziarono i lavori di aggiornamento dell’architettura della fortezza, che potrebbero essere durati per un certo lasso di tempo, anche a causa delle molte interruzioni det-tate dalle vicende storiche che coinvolsero il sito, in particolare la guerra tra Ascoli e Fermo (1484-1486). Dal 1487 siamo sicuri dei lavori in corso da parte del comune di Fermo, che giunsero a compi-mento nel 1495.

In questo periodo (1486/1487-1494) fu ampliata l’urbanizzazione del borgo su tutta la dorsale col-linare, con la distruzione della cortina muraria nel tratto dove oggi sorge la Torre dell’Orologio, sulla sella di collegamento tra le due alture (quella su cui oggi sorge la Rocca e quella, sul lato opposto del borgo, su cui insiste la fortezza orientale). Verso est l’ampliamento comportò la costruzione, a pre-sidio del versante orientale32, di un torrione circola-re, chiamata prima ‘Rocca Nuova’ e poi ‘Fortezza verso il mare’, sulla sommità dell’altura del colle.

30 su questa data G. nepi e T. Marozzi dissentono da l. Tomei, vd. il contributo di s. de Cesare in questo volume.

31 nel novembre del 1432 il centro si staccò dalla soggezione di Fermo per risottomettersi a Giosia d’Acquaviva.

32 il ruolo preminente della fortezza verso mare nel XVi se-colo, testimoniato dall’impegno posto dal comune fermano nel suo mantenimento, è da mettere in relazione anche con il co-stante rischio degli attacchi della pirateria sul fronte del mar Adriatico.

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Simboli di un potere di stampo feu-dale, giogo per la popolazione del territorio, le strutture difensive acqua-vivane furono danneggiate in almeno due occasioni nel corso di sollevazioni popolari: nel 1503-1504 (alla notizia della morte di Papa Alessandro VI) e nel 1534 (per opera degli ascolani). I fermani di nuovo (1535) si fanno ca-rico della risistemazione della piazza-forte, a testimonianza dell’importanza strategica di Acquaviva Picena ancora durante il XVI secolo.

Per tutto il Seicento, periodo in cui Acquaviva rimase sotto l’influenza di Fermo (all’interno dello Stato Pontificio), le fonti riguardo alle vicende costruttive della Rocca per lo più tacciono, per tornare a fornire importanti informazioni nel corso del XVIII secolo: da una parte, la veduta a volo d’uccello del borgo fortificato di Luigi Ferdinando Marsili (1708), che mostra la situazione della Rocca, occupata al suo interno da edifici oggi non più visibili33; dall’altra Amedeo Crivellucci34, che riporta le vicende della fine del XVIII secolo35, quando le conseguenze della Rivoluzione Francese toccarono il territorio marchigiano36. Nel 1799 i briganti delle montagne intorno ad Ascoli si organizzano in bande armate (gli “insorgenti”) e iniziarono azioni di guerriglia a danno delle truppe francesi che avevano occupato Roma due anni prima. Il 6 luglio Giuseppe Costantini da Lisciano, detto “Sciabolone”, capo della rivolta antifrancese nell’ascolano, espugnò i giacobini acquavivani mettendo a ferro e fuoco il borgo e dando alle fiamme l’Archivio Comunale.

33 Tra cui gli alloggiamenti per le truppe e un piccolo edificio religioso (la “Chiesa di s. Barbara”) i cui resti sono stati indivi-duati attraverso le prospezioni geofisiche e portati in luce grazie allo scavo (vd. anche l’intervento di M. silani e F. Boschi in questo volume).

34 CrivelluCCi 1893. da segnalare la descrizione che Crivel-lucci offre del borgo di Acquaviva: «dentro, il paese è brutto; brutte le case, brutte le chiese, brutte le strade e strette, brutte le piazze; ed è anche mal tenuto e mal curato dal lato dell’igiene e dell’ornato» (p. 4),

35 se si esclude il documento iconografico del 1708 di luigi Ferdinando Marsili, vd. infra.

36 Vd. Le ripercussioni della rivoluzione 1990.

L’assedio degli “insorgenti” è l’ultimo rilevante avvenimento in cui Acquaviva e il suo apparato difensivo assumono un ruolo di rilievo. Dall’Ot-tocento in poi si registra una sequenza di cambi di proprietà e di destinazioni d’uso, testimonian-za dell’ormai definitivo tramonto dell’utilità del-le fortificazioni rinascimentali. La Rocca divenne una neviera, le mura del fossato e il ponte che lo scavalcava per dare l’accesso al castello furono di-strutti e sostituiti da un ponte ad arco (1815-1870).

Il ripristino della Rocca, in condizioni di grave degrado, è in gran parte dovuto, dopo l’Unità d’Ita-lia, al restauro conservativo curato da Giuseppe Sacconi, per conto della Soprintendenza Regionale ai Monumenti (1891-1894).

Dal 1891 la Rocca è entrata in possesso del Co-mune di Acquaviva Picena, che la destinò a usi diversi (fig. 2). La cronologia dei restauri promos-si dalla Soprintendenza regionale ai Monumenti nella Rocca proseguì nel secondo dopoguerra, nel 1955 (per riparare i danni subiti durante il conflit-to) e nel 1974. L’ultimo significativo intervento di restauro è stato promosso dal Comune di Acqua-viva Picena all’inizio degli anni Novanta (1993-1997), finalizzato alla valorizzazione a fini turisti-ci del complesso.

Fig. 2. Pianta della rocca di acquaviva Picena. dall’immagine si percepisce chiaramen-te la destinazione d’uso della piazza d’armi come area ortiva (da NepI 1982, p. 216).

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La fisionomia attuale della Rocca

La Rocca, sorta nel Medioevo e ricostruita in epoca rinascimentale, è il caposaldo del sistema difensivo dell’intero borgo fortificato37. Sorge alla sommità del colle occidentale, domina il resto dell’abitato e sbarra l’accesso alla via di crinale che procede dall’interno verso la costa. Lo svilup-po planimetrico si adegua alla morfologia del pia-noro sommitale, con una pianta romboidale che si protrae con un puntone a ovest e il mastio a est.

L’attuale fisionomia dell’apparato difensivo del-la Rocca, caratterizzata dagli ultimi significati-vi interventi edilizi di fine Quattrocento, è frutto soprattutto delle importanti modifiche apporta-te dal noto architetto militare Baccio Pontelli tra il 1484 e il 1487. L’intervento si rese necessario dopo le distruzioni operate dai fermani guidati da Francesco Sforza nel 1447, per adeguare le difese al progresso dell’artiglieria e delle tecniche obsi-dionali. A questo scopo fu realizzata la scarpa a rinforzo delle cortine murarie, il terrapieno della corte interna e gli alloggi per l’artiglieria, senza modificare, nella sostanza, l’impostazione origina-le trecentesca dell’edificio, con il suo caratteristico sviluppo verticale. Secondo lo stesso criterio, le due torri angolari di forma pentagonale sono frut-to della rifasciatura esterna a scarpa degli originari puntoni medievali.

L’intervento più vistoso di Baccio Pontelli è vi-sibile nel mastio cilindrico, che andò a inglobare il precedente torrione ottagonale38. In questo modo, senza snaturare la concezione iniziale, furono in-trodotti alcuni necessari ammodernamenti che portarono la Rocca acquavivana verso la fisiono-mia caratteristica delle fortificazioni dell’“epoca di transizione”: l’aumento dello spessore della muratura, per opporsi all’impatto frontale dei pro-iettili, il profilo curvo e inclinato del paramento a scarpa, che offre superfici sfuggenti al tiro, e infine il tradizionale apparato aggettante alla sommità, che viene fornito di un ampio numero di alloggi per le bocche da fuoco (troniere) e la manovra del-le artiglierie.

37 Vd. l’intervento di e. ravaioli sulla rocca in questo volume. sul metodi di analisi di un contesto fortificato vd. anche fioriNi 2011.

38 il perimetro ottagonale è ancora visibile nella pianta interna del torrione.

Il circuito murario che cinge il versante occi-dentale del colle, quello di più antica occupazio-ne (Terra Vecchia), si configura, a un’analisi dei singoli elementi difensivi39, come un insieme di-somogeneo, frutto di successivi apprestamenti di tradizionale architettura militare medievale, con limitati interventi rinascimentali (condotti in paral-lelo all’aggiornamento dell’architettura della Roc-ca per opera di Baccio Pontelli).

Diversa la situazione della porzione orientale del colle (‘Terra Nuova’), frutto di un ampliamen-to pianificato dal comune di Fermo successivo al 1487. Le difese di Terra Nuova40 rientrano infatti in un progetto unitario e omogeneo, di stampo piena-mente rinascimentale, connesso all’ampliamento del centro abitato.

L’evoluzione della Rocca e del borgo fortificato

In base alle fonti scritte possiamo dunque pre-sumere che esistesse un primo castello di epoca medievale, forse già intorno al Mille41. In realtà la questione è piuttosto controversa, poiché molte delle attestazioni contenute nei documenti farfensi potrebbero riferirsi a siti omonimi. Tuttavia, pur con tutte le necessarie cautele, almeno la donazio-ne effettuata nel primo trentennio dell’XI secolo da parte di Longino di Azone di alcuni suoi beni, tra cui il castello de Aqua Viva, a favore dell’Abbazia

39 Tali apparecchiature difensive sono: il puntone a presidio dell’angolo nordoccidentale del borgo; l’attuale Torre dell’Oro-logio, nella sella tra le due sommità del colle, a difesa del primi-tivo abitato di Acquaviva, che non comprendeva l’ampliamento verso est; la torre quadrangolare ora inglobata in Palazzo Celso ulpiani; la Porta da sole, ingresso meridionale del borgo.

40 Porta di Piazza, ingresso meridionale; del borgo; Porta da Bora e la torre nord a presidio dell’accesso settentrionale; la torre sud-est accanto all’area poi occupata dall’ex-Ospedale di sant’Anna e la Fortezza a Mare, a chiusura della porzione orien-tale della cinta muraria. Vd. l’intervento di e. ravaioli sul castello e il borgo in questo volume.

41 Come detto supra, sulla base dell’attestazione del toponimo aquaviva nei documenti dell’Abbazia di Farfa.

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di Farfa, potrebbe essere presa in considerazione42. Al di là dell’attendibilità della fonte citata al fine di ricostruire le fasi più antiche dell’insediamento fortificato acquavivano, i dati archeologici sem-brano confermare l’esistenza di un insediamento e una successiva fortificazione anteriori alla Rocca di pieno Medioevo.

Le indagini nella piazza d’armi (2005-2006) hanno infatti riportato in luce i resti di una pode-rosa struttura muraria che si imposta su precedenti livelli d’uso risalenti all’alto Medioevo43. Questi livelli d’uso, che non sembrano associati a struttu-re, rappresentano la primissima fase di occupazio-ne del sito, attuata direttamente sulla roccia basale con strutture abitative fatte di materiali deperibi-li e focolari a terra che hanno restituito materiale principalmente di IX-X secolo44. Una situazione di questo tipo, con un castello impostato, in epoca altomedievale, su una preesistenza, è in linea con quanto affermato da R. Bernacchia per la Marca fermana: «la scelta del mons ad castellum facien-dum fu condizionata nel secolo X dall’esistenza di centri demici rurali, alcuni dei quali di origine anti-ca. L’aristocrazia fondiaria incastellò delle località sede di curtes, di villaggi e di chiese, nelle quali si era mantenuto un nucleo di popolazione e di liberi possessori. Furono questi centri, e non in genere fondazioni ex novo di signori rurali, a costituire l’ossatura della rete castellare nella regione»45.

La struttura riconosciuta come fortificazione (USM 1059) è un tratto di muro rettilineo composto

42 longino di Azone concede a uberto, vescovo di Fermo, il castrum Stabli presso il fiume Tesino, ricevendone in cambio il castello di Monticelli, con la torre e la chiesa nonché quattrocen-to moggi di terra posti tra i torrenti ragnola e Albula che «[...] habet finis da capo fine ipsa pertinentia de aqua Viva quomodo vadi in alvori et araniolum, da pede fine ipsa pertinentia da Monte aquilini et quomodo vadi in alvori et araniolu, ab uno lato fine arbori, ab alio lato fine araniolum» (paCiNi, avaruCCi, paoli 1996, p. 113). secondo BerNaCChia (2002, p. 320) la data è il 1039.

43 Vd. il contributo di A. Baroncioni in questo volume.

44 Vd. il contributo di G. Assenti in questo volume, in part. n. 2006/500. Anche senza identificare questo primitivo insedia-mento con quello del 947 riconosciuto dal nepi nel Chronicon Farfense, tuttavia la fase abitativa più antica finora riconosciuta all’interno del borgo risale proprio a questo periodo (vd. supra)..

45 BerNaCChia 2006, p. 348. la continuità di vita dall’epoca tardoantica viene inoltre suggerita dal rinvenimento, nelle uni-tà stratigrafiche più profonde toccate dallo scavo, di materiale collocabile in età tardoantica/altomedievale, iV-Viii secolo (vd. il contributo di G. Assenti in questo volume, unità stratigrafiche 99, 107 e 105).

da ciottoli legati con malta, e potrebbe costituire la porzione inferiore di una fondazione, di cui abbiamo perduto alzato e piani di frequentazione. Si tratta con ogni probabilità di ciò che ci rimane della prima massiccia opera di difesa della sommità del colle, che potremmo identificare con quella citata all’inizio dell’XI secolo (in relazione a Longino di Azone), e coerente con le forme più elementari di presidio, rappresentate dagli arroccamenti sulle posizioni elevate, a scopo di difesa e controllo del territorio.

La costruzione della Rocca di pieno Medioevo inglobò, cancellandole, le tracce delle fortificazioni altomedievali, facendo assumere alla Terra Vecchia la fisionomia attuale. La struttura oggi visibile con-serva ancora alcune tracce di una fase precedente a quella rinascimentale, riconducibile all’edificio di XIV secolo46. Le strutture murarie in questione, individuate attraverso l’analisi degli elevati47, sono rappresentate dalla torre quadrata di nord-est, dal puntone nord e dal puntone ovest, questi ultimi ca-ratterizzati da una pianta pentagonale e riferibili a una tipologia diffusa nelle Marche settentrionali e centrali nel Trecento48.

La fase della Rocca di XIV secolo si inserirebbe bene nel generale fenomeno di sviluppo dell’inca-stellamento, tipico del periodo comunale49. A que-sto periodo si data anche la costruzione della cinta muraria intorno alla porzione più antica del borgo, o ‘Terra Vecchia’ (comprendente anche la chiesa di San Rocco), sviluppatasi intorno al primitivo girone fortificato ed evidentemente divenuta stabi-le e popolosa. Le mura difensive intorno al borgo andarono a definire il primitivo castello, raccorda-to al cassero sulla sommità. Sono questi i termini (cassero e castello) utilizzati con preciso signifi-cato tecnico sia nell’atto di vendita di Francesco d’Acquaviva in favore del comune di Fermo nel

46 si tratta di quello attestato nel 1325, anno in cui nell’atto di vendita da parte di Francesco d’Acquaviva in favore di Fermo viene menzionata la presenza del cassero di Acquaviva (Nepi 1982, p. 200; maroZZi 1998, p. 9).

47 sul metodo dell’archeologia dell’architettura e l’analisi di dettaglio dei prospetti citati vd. il contributo di e. ravaioli sulla rocca in questo volume.

48 tomei 2002, pp. 70 ss.

49 Vd., ad esempio, l’esempio “maggiore” di Forte Malatesta ad Ascoli Piceno.

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132550, sia nella Cronaca fermana del notaio Anto-nio di Niccolò del 143251.

Nel secolo XV si ebbe quindi l’adeguamento della Rocca ai nuovi dettami della strategia mili-tare (a cura di Baccio Pontelli), e l’espansione del-le sistema difensivo alla Terra Nuova, sul poggio orientale, che venne probabilmente a suggellare una situazione di incremento demografico già am-piamente in atto. In questo disegno rientra la co-struzione della rocca minore o ‘Fortezza a Mare’ (iniziata nel 1486/1487-1494) e l’inizio della fab-brica della chiesa di San Nicolò, terminata nel suc-cessivo XVI secolo.

Nello scorcio del XV secolo cessa la fase di espansione e sviluppo della cinta fortificata acqua-vivana e inizia il lento periodo di declino dell’ope-ra, causata dalla progressiva perdita di significato della posizione strategica dell’altura acquavivana Dal XVII secolo la Rocca e il borgo cinto di mura hanno definitivamente perso il loro ruolo difensi-vo52 e lo spazio immediatamente a ridosso delle mura diviene oggetto di occupazione edilizia53. Lentamente, le mura vengono inglobate negli edi-fici a esse addossate, e spesso rasate a livello del-le fondazioni per consentire un ampliamento al di fuori del circuito54.

Grazie a uno sviluppo urbanistico coerente, no-nostante i porfondi rimaneggamenti avvenuti in epoca moderna e contemporanea, l’aspetto me-dievale del borgo, il cui circuito murario è perfet-tamente ricostruibile, quando non ancora visibile all’interno del tessuto urbano, si è sostanzialmente

50 Vd. supra.

51 tomei 1998, p. 142.

52 maroZZi 1988, pp. 13-14, nota 9.

53 numerose le concessioni da parte del comune di Fermo ad addossare le abitazioni alla cinta, talvolta facendole sporgere all’esterno, e si fa pressante la necessità di risarciture a seguito della realizzazione di aperture nel perimetro murario conse-guenti all’edificazione di abitazioni direttamente appoggiate a esso (BorZaCChiNi 1998, p. 36; maroZZi 1998, p. 19 e nota 33; tomei 1998, pp. 154-155).

54 evidenti tracce di questo fenomeno sono state rinvenute all’interno del fabbricato dell’ex-Ospedale di sant’Anna, indaga-to archeologicamente nel dicembre 2005 (vd. il contributo di e. Vecchietti in questo volume). la posizione di questo fabbricato all’interno del borgo consente di avere una testimonianza di-retta delle le dinamiche che interessarono la cinta urbana dopo la cessazione della sua utilità difensiva, che portarono alla pro-gressiva “privatizzazione” dei tratti di mura e al loro successivo parziale smantellamento.

conservato. La recente urbanizzazione ha infatti interessato principalmente le zone a valle del pro-montorio, soprattutto sul versante orientale, pro-spiciente il centro di San Benedetto del Tronto.

Grazie a questo carattere conservativo dell’urba-nistica, caratteristica di molti borghi fortificati del territorio, e grazie alla disponibilità e all’apertura di un Comune e dei suoi abitanti, è stato possibile ricostruire, oltre alla macrostoria, ossia l’evoluzio-ne di una fortezza e del suo borgo, la microstoria55, vale a dire quello che la storia in genere tace, e per cui bisogna interrogare, direttamente, gli oggetti.

Appunti di microstoria: la vita in un borgo medievale

Lo scavo ha restituito una discreta quantità di ma-teriali archeologici, purtroppo i più in stato molto frammentario, attraverso i quali è stato possibile ri-costruire uno spaccato della vita quotidiana del bor-go medievale e rinascimentale e dei suoi abitanti56.

I contesti più interessanti per la definizione del-la più antica fase dell’incastellamento (rinvenuta negli strati obliterati dalla costruzione della Rocca trecentesca) hanno restituito materiale collocabi-le in età tardoantica/altomedievale, confrontabile con esemplari provenienti dalle aree di Pescara e Castrum Truentinum. Sempre a questo periodo fa riferimento il vasellame in pietra ollare, la cui ori-gine è da ricondursi tra Valchiavenna e Val Malen-co (arco alpino lombardo)57. Questi dati, uniti alle tipologie insediative a cui i materiali erano perti-nenti (abitazioni in materiale deperibile con foco-lari a terra) indicano un tenore di vita sostanzial-mente modesto, tuttavia non povero, poiché nella cultura materiale troviamo sia oggetti provenienti da circuiti commerciali di piccolo-medio raggio (le ceramiche comuni confrontabili con quelle di area abruzzese), sia reperti d’importazione, come le pentole pietra ollare, provenienti dall’arco alpi-no. Dato di non poca importanza, le importazioni di pietra ollare perdurano anche posteriormente al IX secolo (periodo di maggior vitalità del territorio

55 sulla scia della magistrale lezione di Carlo GiNZBurG (Il for-maggio e i vermi, Torino 1976).

56 Vd. il contributo di G. Assenti in questo volume.

57 Vd. il contributo di O. Francioni in questo volume.

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della Marca fermana come via di collegamento tra nord-sud della Penisola), indicando per l’area di Acquaviva una ancor vivace capacità di attrazione per determinate tipologie di prodotti58.

Per quanto riguarda le scelte alimentari, i resti osteologici rinvenuti nel corso dello scavo consen-tono di associare alle fasi più antiche specifiche ti-pologie di alimenti e cotture; le forme ceramiche più ricorrenti sono quelle dell’olla/pentola in pietra ollare e del catino-coperchio in ceramica comune, entrambi con evidenti tracce esterne di fumigazio-ne59. Questi dati indicano senza dubbio un consu-mo preferenziale di carne dura (come quella degli ovicaprini60), che necessita per essere consumata di una cottura molto lunga (sotto forma di zuppa o stufato61) e di contenitori capaci di resistere al calore prolungato, posti a fianco del focolare e co-perti (parzialmente o completamente) dalle braci62. L’economia di questo periodo precedente al primo incastellamento acquavivano si caratterizza quindi, in base ai resti materiali, come sostanzialmente ba-sata sull’allevamento di ovicaprini (sia per la car-

58 la Marca fermana aveva rivestito, durante i sovrani carolingi e in particolare ludovico ii (decenni centrali di iX secolo), un ruolo di primo piano nei collegamenti nord-sud della Penisola. Tale ruolo cessò progressivamente quando i re italici succedet-tero agli imperatori carolingi alla guida del regnum Langobardo-rum (BerNaCChia 2006, p. 343).

59 Vd. il contributo di F. Visani in questo volume.

60 i cui resti, in percentuale, superano il 50% nei periodi fino all’Xi secolo.

61 la cottura della carne in forma di zuppa o stufato consen-tiva di trattenere maggiormante la parte grassa, che veniva così consumata interamente, senza sprechi.

62 moNtaNari 1979.

ne, sia per il latte e i derivati, le pelli e la lana); il commercio appare sviluppato, se a fianco della ce-ramica comune di produzione regionale appaiono manufatti porvenienti da circuiti commerciali ad ampio raggio come la pietra ollare. Essenzialmen-te assenti i materiali decorati o di pregio, indice di uno stile di vita parco e frugale.

Per le epoche successive, fino all’epoca post-rinascimentale, il dato materiale indica uno stret-to legame della cultura materiale acquavivana, in particolare la ceramica, con la coeva riscontrabi-le nell’area centroitalica ed emiliano-romagnola (areee entrambe appartenenti allo Stato Pontificio), ma soprattutto abruzzese63. La ceramica più diffu-sa, all’interno del campione rinvenuto durante gli scavi nella Rocca, è la ceramica comune (IX-XIII secolo), da cucina e da conserva, con o senza ri-vestimento in vetrina sparsa, caratterizzata da una certa omogeneità delle caratteristiche tecniche e produttive. La forte presenza di ceramica comune, in particolare nell’epoca corrispondente alla pri-ma fase della Rocca acquavivana (XVI secolo) o a quella immediatamente precedente, indica, anco-ra, uno stile di vita modesto degli abitanti dell’area (ormai definitivamente riconducibile a un castrum fortificato), i quali intrattenevano scambi commer-ciali per lo più con le aree limitrofe, in particolare quella abruzzese. La standardizzazione dei manu-fatti inoltre porta a pensare a un’approvvigiona-mento comune (con l’area abruzzese) dei manufat-ti piuttosto chea una pluralità di centri produttivi

63 A questo orizzonte rimanderebbe la ceramica acroma, la ceramica acroma a vetrina sparsa, le smaltate policrome rinasci-mentali e post-rinascimentali, le invetriate post-medievali (vd. il contributo di G. Assenti in questo volume).

Fig. 3. Calendario (l’aratura), 1000 ca., miniatura (da p. de VecchI, e. cerchIarI, i tempi dell’arte, 1, Milano 1999)

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Il progetto Acquaviva Picena nella storia. Il contesto topografico e la sintesi dei risultati

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(che comporterebbe difformità morfologiche, di impasto e di cottura negli esemplari). Un’econo-mia quindi lontana dalle grandi vie di commercio64, ma comunque dotata di una certa “strutturazione” produttiva, articolata in centri specializzati che ri-fornivano interi comprensori territoriali.

Il panorama dei rinvenimenti di ossa animali fa emergere, per le fasi XI-XV secolo, un aumento percentuale della presenza di suini e bovini sugli ovicaprini, che comunque rimangono attestati ma in proporzione numericamente inferiore. Aumento del consumo di carne suina, quindi, ma incremen-to anche degli esemplari dei bovini che, quasi del tutto assenti nelle fasi di vita più antiche, aumen-tano considerevolmente, fornendo un significativo apporto all’economia del sito sia dal punto di vista dell’alimentazione (carne e derivati, quali latte e pelli), sia da quello della forza lavoro65. L’aumento dei bovini può inoltre indicare una trasformazione

64 Vd. ad esempio la quasi completa assenza di maiolica arcaica.

65 dato testimoniato dall’età di abbattimento, sempre adulta o sub-adulta.

nel sistema economico, che, prima principalmente basato sullo sfruttamento della pastorizia, si evol-ve verso l’estensione della pratica dell’agricoltura estensiva. Le migliori condizioni di alimentazione (apporto di proteine nobili della carne e di maggior quantità di prodotti agricoli) e di lavoro (impiego dei bovini in agricoltura) produssero, con ogni pro-babilità, quell’esplosione demografica che portò, nel corso del XIV secolo, alla decisione di cingere com mura difensive il borgo sviluppatori ai piedi della Rocca nella ‘Terra Vecchia’ e, alla fine del se-colo successivo, a espandere l’insediamento anche sul poggio orientale del colle.

Appunti di metodo: quando sbilanciarsi è prudente

Il Progetto Acquaviva nella storia è stato impo-stato, fin dale sue prime fasi, con due forti voca-zioni: la prima sperimentale, vale a dire finalizzata all’applicazione di nuove tecnologie sul caso di studio di un’evidenza monumentale complessa e pluristratificata, la seconda didattica, ossia vol-

Fig. 4. Lo scavo archeologico, nell’ambito del Laboratorio didattico (2005)

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ta alla trasmissione del sapere ai partecipanti del Laboratorio di Rilievo (fig. 4). Entrambe queste due anime potevano convivere solo con una forte e coerente base di metodo, e solo con un costante controllo del valore dei risultati di volta in volta raggiunti.

Perché quando si sommano sperimentazione e didattica è forte il rischio di ridursi a insegnare ai ragazzi a utilizzare questa o quell’applicazione, questo o quello strumento (cosa che, pur utile, non ha certo bisogno della cornice di un laboratorio universitario!).

Noi abbiamo sempre cercato di sbilanciare lo sforzo, anche quando esso fosse volto all’appli-cazione di strumentazioni o tecnologie particola-ri, verso l’interpretazione critica del dato, la sua contestualizzazione e inserimento all’interno del processo interpretativo del manufatto o dell’even-to storico in esame. Perché, in fin dei conti, è vero che l’archeologia si serve di discipline diverse per “crescere”, ma è ancor più vero che il nostro compito è quello di ricostruire gli eventi, non di testare macchinari.Ecco perché, nelle prime fasi della ricerca, quando si è voluta mettere alla prova l’affidabilità delle prospezioni geofisiche in una situazione urbana fortemente rimaneggiata come una fortezza medievale, seguendo la suggestione della rappresentazione a volo d’uccello del bor-go acquavivano realizzata da Luigi Ferdinando Marsili nel 1708, le risposte che si sono cercate si sono subito sbilanciate sull’interrogazione storica dei fatti: quanto fosse attendibile la veduta marsi-liana66, quanto fosse attendibile l’uso di uno stru-mento in quel determinato contesto, quali fossero i benefici di procedere a un’indagine preliminare prima dello scavo.

66 la veduta in questione risulta essere una fonte estrema-mente affidabile, provenendo da uno studioso di formazione galieiana, profondamente convinto che nella formazione dell’in-gegnere militare vi fossero «[...] l’architettura militare e civile, la prospettiva, la planimetria, l’aritmetica, la geografia» (Del NeGro 2012, p. 14).

Procedendo in tal modo, la ricerca ha assunto una fisionomia sempre più aperta, abbracciando la dimensione di una riflessione stessa sul metodo di lavoro. Dati di diversa origine che dialogano tra di loro e producono altri dati. Indagini d’archivio che chiariscono la lettura degli elevati, scavo archeo-logico che colma le lacune documentarie, analisi, anche archeometrica, dei reperti archeologici che aiuta a comprendere quello che dalla storia uffi-ciale non è narrato. Perché non è la linearità, ma la complessità la chiave interpretativa della storia, soprattutto quando di questa storia i protagonisti siamo noi.

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La storia delle ricerche e i docuLa storia delle ricerche e i documenti d’archivio

La storia delle ricerche

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Il territorio di Acquaviva Picena, nonostante la modesta estensione, ha restituito nel corso dei secoli un consistente numero di testimonianze archeologiche, in grado di suggerire una vicenda antica e stratificata, molto più complessa di quan-to adombrato dalla tradizionale identificazione del centro storico con la Rocca tardomedievale, che nei secoli ne è divenuta simbolo (figg. 1, 4).

L’interesse per l’archeologia nasce al principio del secolo XIX, quando era ancora viva l’eco per gli eccezionali ritrovamenti nelle città vesuviane, e risponde a una passione antiquaria che trova in am-bito locale i suoi appassionati cultori a partire dalla

fine del Settecento, quando si trovano i primi studi che tentano di delineare un quadro storico locale. Essi esplorano dimensioni più o meno ampie, che vanno dall’orizzonte regionale a quello munici-pale: dalla monumentale opera dell’abate Colucci sulle Antichità picene al volume del Vicione sulla supposta origine etrusca della vicina Ripatranso-ne, che associa a dati storici interpretazioni oggi alquanto discutibili. Cresce nel frattempo anche la mole di reperti archeologici venuti alla luce, spes-so in casi fortuiti o in scavi non scientificamente controllati. Le ricerche erano infatti compiute, più che per ricostruire le diverse fasi storiche, per in-crementare le collezioni. Esse quindi tenevano in

toria dell’archeologia nel territorio di Acquaviva Picena

MOniCA CAMeliMinistero dei Beni e delle Attività Culturali e del Turismo, Museo Archeologico nazionale di Ascoli Piceno

S

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 39-49

Fig. 1. Veduta del borgo fortificato di acquaviva Picena

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MOnICa CaMeLI

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scarsa considerazione i contesti di appartenenza, privilegiando l’aspetto estetico e il pregio artistico dell’oggetto in sé.

La notizia più antica risale alla metà dell’Otto-cento e riguarda un corredo funerario databile al V-IV sec. a.C. rinvenuto il 29 marzo 1845 in con-trada Madonna delle Piane. Filippo Bruti Liberati (antiquario di Ripatransone) ne fornisce una parti-colareggiata descrizione. Si trattava di pezzi unici e di straordinaria importanza quali un cratere attico a figure rosse che potrebbe essere identificato con quello conservato presso il Museo di Ripatransone, un’applique in bronzo che ritraeva le metà ante-riori di due cavalli e un candelabro, anch’esso in bronzo, di probabile produzione etrusca. La de-scrizione degli oggetti e i disegni eseguiti da Luci-dio Benvignati furono inviati al fermano Gaetano De Minicis perché li studiasse. Purtroppo questi disegni non sono stati ancora rintracciati a causa dello smembramento e della parziale dispersione dell’archivio dello studioso, in gran parte conser-vato presso la Biblioteca Civica di Fermo insieme al ricco patrimonio librario suo e del fratello Raf-faele. Una sezione del suo archivio è reperibile a Bologna presso la famiglia Zenobi, che ne è entrata

in possesso per questioni ereditarie, e custodisce il carteggio tra Gaetano De Minicis, Filippo Bru-ti Liberati e il canonico Gian Bernardino Masca-retti riguardo uno dei più importanti ritrovamenti acquavivani: la stele sud-picena di contrada Fonte Mercato (figg. 2-3). La stele fu trovata nel 1848 in un terreno appartenente alla chiesa prevostale, e fu quasi immediatamente dispersa, ma ci è nota grazie a un calco effettuato con carta bagnata da Pio Neroni, da cui sono poi derivati gli apografi del De Minicis e del Mommsen. La sua interpretazione è controversa, ma l’ipotesi più accreditata è che si tratti di un ringraziamento a una divinità per una preghiera esaudita1.

Con l’unità d’Italia mutano gli approcci alla ma-teria e si assiste al tentativo di ricostruire la sto-ria locale nell’ambito del nuovo contesto culturale nazionale. Guglielmo Allevi, appassionato di an-tichità nato a Offida nel 1834 e nominato Regio Ispettore per l’impegno dimostrato nella difesa del

1 De miNiCis 1849.

Fig. 3. apografo dell’epigrafe aP1 (da de MINIcIs 1849, p. 413)

Fig. 2. Lettera manoscritta di g. B. Mascaretti all’avv. de Minicis, con la trascrizione dell’epigrafe aP1 (archivio privato della Famiglia Zenobi C, VI, II)

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Storia dell’archeologia nel territorio di acquaviva Picena

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patrimonio archeologico del territorio piceno con-tro gli scavi clandestini, esemplifica appieno il pas-saggio tra i due tipi di ricerca. Nelle opere Offida preistorica, Alla ricerca del tempio dell’Ophis, Tra le rupi del Fiobbo, Allevi descrive, tra gli altri, il sito databile all’età del bronzo recente (1300-1150 a.C.) in contrada Laferola di Acquaviva (al confine con il territorio di Offida). Sul ciglio di una rupe volta a occidente lungo il fosso San Savino, l’Alle-vi rinvenne vari resti litici, ceramici e zoologici, al-cuni dei quali sono stati idenficati tra quelli conser-vati nel Museo Civico di Offida. Il nucleo primitivo e più consistente di tale museo è costituito proprio dai materiali raccolti da Allevi ed è stato riordinato negli anni Settanta del Novecento da un gruppo di lavoro coordinato da Vincenzo D’Ercole2.

Gli anni Settanta dell’Ottocento ebbero una straordinaria importanza nella diffusione della pratica e delle conoscenze archeologiche. La vitalità economica e culturale che investì la società italiana determinò un maggiore interesse per il patrimonio storico-artistico e archeologico del nostro paese, anche nelle classi sociali che fino a quel momento non vi avevano preso parte. Nascono in questi anni

2 D’erCole 1977.

numerose associazioni per divulgarne la ricchezza e la varietà, tra le quali si distingue l’Archeoclub d’Italia.

In questo panorama di rinnovato interesse si vo-gliono ricordare, per l’opera svolta ad Acquaviva nell’ambito del volontariato archeologico, due personaggi diversi per indole e formazione: Paride Marini e Gabriele Angellotti. Essi contribuirono a focalizzare l’attenzione dell’opinione pubblica su problemi quali il pericolo causato al patrimonio ar-cheologico da uno sviluppo urbanistico incontrol-lato, e a sollecitare un intervento più consistente della Soprintendenza Archeologica marchigiana.

Marini si appassionò all’archeologia durante gli anni universitari trascorsi a Roma. Tornato nella natale Castel di Lama, fondò numerosi Archeo-club, tra i quali anche quello acquavivano. Il suo nome è legato alle numerosissime segnalazioni che compaiono nel testo di Gioia Conta sul territorio di Ascoli in età romana3. In compagnia dell’acquavi-vano Elio Fontana, Marini fu autore della scoperta di una delle evidenze archeologiche marchigiane

3 CoNta 1982, finora, purtroppo, l’unica trattazione organica sui rinvenimenti archeologici del territorio della Provincia di Ascoli Piceno (vd. anche la nota bibliografica in fondo).

Fig. 4. Veduta del borgo fortificato di acquaviva Picena

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MOnICa CaMeLI

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più importanti riferibili all’età del neolitico supe-riore: il sito in località Monte Tinello.

Di diverso tenore si presenta l’opera di Gabriele Angellotti, anch’egli profondo indagatore del terri-torio acquavivano alla ricerca di tracce archeologi-che (fig. 5 e tavole in fondo all’articolo). Angellotti nacque ad Acquaviva nel 1932 e, al contrario di Marini, non poteva vantare una preparazione cul-turale di alto livello. Egli poteva invece contare su un ottimo intuito e su un formidabile spirito d’os-servazione, che gli permisero, durante le sue escur-sioni, di rintracciare abbondanti materiali archeo-logici dei quali però non sempre fornì notizia alle autorità competenti. Invero la pubblicità che egli diede ai suoi ritrovamenti fu assai parziale, ed è probabile che molti reperti abbiano preso la strada del mercato antiquario. Sulle pagine locali di alcu-ni quotidiani negli anni Settanta Angellotti compa-re spesso come autore di fortuiti ritrovamenti: una freccia in bronzo, un pugnale in corno di cervo, un peso da telaio, cinque rocchetti, un chiodo di carro, due piastrelle incise in arenaria.

Ad avvalersi dell’attività della sede acquavivana dell’Archeoclub fu Gabriele Nepi nella stesura del suo volume Storia di Acquaviva Picena4. Quella di Nepi è ancora oggi la trattazione più estesa e organica dell’intera storia di Acquaviva dalle ori-gini al periodo attuale. L’autore ha utilizzato le no-tizie di ritrovamenti compiuti dall’Archeoclub per la redazione del capitolo V della sua opera, in cui presenta una descrizione e un ampio apparato fo-tografico dei reperti venuti alla luce proprio negli anni immediatamente precedenti la pubblicazione del suo volume. I capitoli precedenti sono occupati dalla ricostruzione della storia dei secoli prima del

4 Nepi 1982.

Mille, attraverso fonti scritte di carattere più ge-nerale che riguardano l’intera zona e non precisa-mente l’abitato in questione. La parte più corposa è dedicata al periodo medievale e rinascimentale, ed è sostanzialmente basata sull’analisi delle fonti documentarie, in particolar modo quelle contenu-te nell’Archivio di Stato della città di Fermo (che conserva i documenti più numerosi e interessanti), nell’Archivio di Stato di Ascoli Piceno, in quello Comunale di Ripatransone, nell’Archivio Arcive-scovile di Fermo, nell’Archivio Vaticano e nelle numerose biblioteche civiche della zona.

Le indagini più approfondite e più numerose sono state compiute dalla Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche che, a più riprese, dopo il 1978 si è occupata del territorio in esame (figg. 6-7). L’insediamento databile al neolitico su-periore in località Monte Tinello fu indagato in due successive campagne di scavo nel 1983 e nel 1984. I ritrovamenti riferibili alla cultura picena del colle dell’Abbadetta portarono nel 1979 al rinvenimen-to di stratigrafie significative che giungono sino all’età romana. Sempre alla cultura picena appar-tiene la necropoli sul colle di San Francesco, inda-gata sempre in quegli anni, mentre all’età romana vanno ascritti i ritrovamenti in contrada Fonte Pez-zana (relativi a un insediamento rustico), in con-trada Sant’Angelo (dove furono rintracciati i resti di un impianto di canalizzazione), lungo il torren-te Albula (dove è presente una cisterna inglobata in una casa colonica), in contrada Fonte Paterno e nell’attuale zona industriale (con materiali ascrivi-bili a ville rustiche romane). Tra gli Ispettori della Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Mar-che attivi nell’assiduo compito di ricerca scientifica ricordiamo in particolare Nora Lucentini, Mara Sil-vestrini e Gabriele Baldelli, il cui lavoro ha affian-cato l’opera di tutela che, negli ultimi trent’anni, ha dovuto spesso confrontarsi con situazioni difficili.

Fig. 5. gabriele angellotti durante le sue ricerche (foto da «Il resto del Carlino», 7 maggio 1971)

Fig. 6. Contrada Fonte Paterno, ripostiglio di asce in bronzo (archi-vio Fotografico della Soprintendenza archeologica delle Marche)

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Negli ultimi anni il lavoro della Soprintenden-za ha potuto avvalersi della collaborazione di un gruppo di giovani archeologi del Dipartimento di Archeologia dell’Ateneo bolognese, coordinati da Enrico Giorgi, che si sono concentrati sull’analisi delle fasi medievali del centro abitato utilizzan-do metodologie all’avanguardia5 per l’analisi de-gli elevati e lo scavo stratigrafico della Rocca e dell’Ex-Ospedale di Sant’Anna6 e confrontando i risultati ottenuti con i documenti medievali conser-vati presso l’Archivio di Stato di Fermo e altri ar-chivi del territorio7. In particolare, è stata oggetto di indagine la Rocca medievale, interessata nel 2005 e nel 2006 da due campagne di scavo che hanno portato all’apertura di alcuni saggi8, effettuati sulla scorta del confronto con la più antica testimonian-za iconografica su Acquaviva: un disegno di Lui-

5 Vd. anche, in particolare, i contributi di F. Boschi, M. silani ed e. ravaioli in questo volume.

6 Vd. anche il contributo di e. Vecchietti sull’ex-Ospedale di sant’Anna in questo volume.

7 Vd. anche il contributo di s. de Cesare in questo volume.

8 Vd. anche il contributo di A. Baroncioni in questo volume.

gi Ferdinando Marsili9, datato 1708 e conservato presso la Raccolta Marsiliana della Biblioteca Uni-versitaria di Bologna. I risultati degli scavi e delle campagne di indagine sono stati regolarmente pre-sentati a Palazzo Celso Ulpiani, residenza nobilia-re di Acquaviva Picena di proprietà del Comune, attualmente sede locale del Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna e del Centro Studi per l’Archeologia dell’Adriatico10.

9 luigi Ferdinando Marsili (o Marsigli, Bologna, 1658-1730), scienziato, militare, geologo e botanico. il disegno che rappre-senta la rocca di Acquaviva Picena testimonia la sua passione per l’architettura militare. Vd. da ultimo La scienza delle armi 2012.

10 inaugurata il 27 maggio 2006, vd. anche il contributo intro-duttivo di e. Giorgi in questo volume.

Fig. 7. Contrada Monte tinello, rilievo delle strutture antropiche (archivio Fotografico della Soprintendenza archeologica delle Marche)

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MOnICa CaMeLI

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«Il Messaggero»,19 maggio 1970

«Il Messaggero»,10 agosto 1972

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«Il resto del Carlino», 18 gennaio 1978

«Il resto del Carlino», 23 settembre 1974

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«Il Messaggero», 22 settembre 1979

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Storia dell’archeologia nel territorio di acquaviva Picena

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Storia dell’archeologia nel territorio di acquaviva Picena

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Il presente contributo nasce dall’esigenza di ana-lizzare, prima di procedere alla presentazione dei risultati delle nuove ricerche, la documentazione d’archivio e la cronologia dei principali interventi edilizi e di restauro che hanno interessato il com-plesso architettonico della Rocca di Acquaviva Pi-cena e dell’intero borgo fortificato.

Su questo argomento risulta infatti estremamente utile fare riferimento agli importanti studi intrapre-si negli anni passati, basati sulla lunga e paziente disanima della documentazione d’archivio, poiché il recupero, sia sotto il profilo storico sia struttura-le, di un patrimonio architettonico di questo tipo, legato ab origine a criteri di ordine difensivo o co-munque a esigenze di presidio del territorio, non può prescindere dal confronto stringente con le fonti archivistiche e storiografiche. Va doverosa-mente premesso che lo studio della Rocca di Ac-quaviva Picena è stato reso ostico dalle difficoltà oggettive che hanno costituito un forte limite per la trattazione della problematica, a partire dalla di-spersione del materiale dovuto alla quasi totale di-struzione dell’archivio comunale di Acquaviva nel corso dell’insorgenza antifrancese del 17991.

Gli Archivi

Lo studio dell’evoluzione del complesso archi-

1 Nepi 1982, pp. 269-270. l’avvenimento è descritto, nel XiX secolo, da Amedeo Crivellucci: «diedero fuoco ad otto o nove case, fra le quali restò anche incendiata la sala del Palazzo [mu-nicipale, n.d.a.] e l’Archivio, quale era ricchissimo e conservavasi in esso copie e protocolli di tanti notari e tutte le pubbliche scritture, il che è riuscito di un danno incalcolabile» (CrivelluCCi 1893, p. 199). Vd. anche infra.

tettonico attraverso le fonti e i documenti è pos-sibile non solo grazie al lavoro già svolto da al-cuni studiosi2, che hanno fornito preziosi rimandi ai documenti d’archivio a supporto delle proprie trattazioni, ma anche attraverso l’analisi delle fon-ti, in particolare delle Cronache Fermane3, che forniscono un utile resoconto dei fatti avvenuti nel periodo medievale.

Questo tipo di lavoro, che sarebbe auspicabile approfondire e proseguire, si è limitato per ora a una ricognizione preliminare che ha riguardato in

2 Nepi 1982, maroZZi 1998, tomei 1998.

3 aNtoNio Di NiCColò, Cronaca fermana dall’anno 1176 all’an-no 1447, in De miNiCis 1870.

a Rocca e il borgo di Acquaviva nei documenti d’archivio.L Dati preliminari

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 51-62

serenA de CesAreProgetto acquaviva nella storia

Fig. 1. Veduta aerea (da ovest) del borgo di acquaviva Picena; in primo piano, la rocca (da seVerI 1992, p. 25)

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Serena de CeSare

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particolar modo tre archivi: l’Archivio di Stato di Ascoli, l’Archivio di Stato di Fermo e l’Archivio Storico Comunale di Ripatransone4, i Comuni che hanno svolto il ruolo più rilevante nella storia di Acquaviva. In particolar modo, l’Archivio di Stato di Fermo si è rivelato una vera e propria miniera d’informazioni: la storia della Rocca di Acquavi-va è andata infatti, nei secoli, di pari passo con la storia fermana, motivo per cui le Cronache Fer-mane si sono rivelate di fondamentale importanza per l’orientamento alla consultazione della Serie dei Consigli e delle Cernite del comune fermano e della raccolta delle lettere spedite e ricevute. L’Archivio Storico del Comune di Ripatransone è parimenti ricco di documenti, anche se meno densi di informazioni per lo studio del complesso architettonico. Appunto per via dell’incendio cau-sato dal bandito Sciabolone nel 1799, l’Archivio di Acquaviva, oggi interamente riordinato e aperto

4 Per una rassegna degli strumenti inventariali degli archi-vi statali (Archivi di stato di Ascoli e Fermo), vd. D’aNGioliNi, pavoNe 1981-1994; per gli archivi non statali (Archivio storico Comunale di ripatransone), la situazione si fa frammentaria a seconda delle aree geografiche: per quanto riguarda le Marche vd. loDoliNi 1960.

al pubblico dopo un cambio di ubicazione5, non ha sino a ora fornito notizie utili alla ricerca, così come l’Archi-vio di Stato di Teramo, ricco però di documenti riguar-danti soprattutto la storia della famiglia degli Acqua-viva, duchi d’Atri, piccolo Comune nel teramano.

Lo studio in questione, fi-nalizzato alla ricostruzione delle fasi architettoniche del-la Rocca e del borgo di Ac-quaviva Picena attraverso le fonti archivistiche, si è limi-tato agli archivi citati, esclu-dendo, ad esempio, un’in-dagine più dettagliata sulla prima fase d’incastellamento tramite l’analisi diretta dei

documenti dell’Abbazia di Farfa6. Si sono inoltre rivelate utilissime, su questo frangente, le perga-mene tratte dall’elenco dell’Hubart7, quasi tutte re-lative agli atti di vendita e acquisto della Rocca, in particolar modo nel periodo in cui gli Acquaviva influivano sul territorio marchigiano.

Breve storia degli studi

Lo storico acquavivano Gabriele Nepi ha pub-blicato, nel 1982, il volume Storia di Acquaviva Picena, un minuzioso lavoro di ricostruzione stori-ca che l’autore fa partire dall’anno 947 d.C.8 e che ripercorre le tappe più importanti della vicenda del

5 il riordino e la valorizzazione dell’Archivio storico Comuna-le di Acquaviva Picena, prima conservato all’interno dell’edificio comunale e ora allestito a Palazzo Celso ulpiani, è stato possibi-le grazie alla sinergia tra il Comune e la Provincia di Ascoli Pice-no, come parte della più ampia iniziativa di riordino degli archivi comunali del Piceno “Memorie di Carta” (in collaborazione con la soprintendenza Archivistica per le Marche, la regione e la Fondazione Carisap). Vd. anche il contributo introduttivo di e. Vecchietti in questo stesso volume.

6 Tuttavia sono stati considerati in questa sintesi i più significa-tivi riferimenti alle carte farfensi, già noti da studi precedenti (vd. l’edizione del Chronicon Farfense del 1903).

7 huBart 1624.

8 Nepi 1982, p. 60.

Fig. 2. Veduta aerea (da ovest) della rocca (da NepI 1982, p. 222)

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La rocca e il borgo di acquaviva nei documenti d’archivio. dati preliminari

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comune acquavivano. Nepi trae la data dal Chro-nicon Farfense9 di Gregorio da Catino, citando un documento considerato il più antico in cui viene utilizzato il toponimo Aquaviva riferito all’inse-diamento che qui si sta analizzando, che solo dopo l’Unità d’Italia prese il nome di Acquaviva Picena. Sarà proprio questo documento a far sostenere a Nepi che il territorio acquavivano appartenesse alla potente Abbazia di Farfa. Per questo motivo si è te-nuto conto di altri documenti attestanti donazioni e acquisti dove compare il toponimo Aquaviva.

L’ipotesi addotta da Nepi è stata confermata dal-lo studio di Tiziana Marozzi10, la quale ha cercato di fornire un quadro storico organico ed esaustivo delle fasi edilizie della Rocca di Acquaviva Picena attraverso l’analisi dei documenti11. La studiosa ha preso spunto dal volume dello storico, accettando come buoni i documenti consultati ed effettuan-do, soprattutto per il X e l’XI secolo, soltanto una verifica di essi prima di riconfermarli. Molto det-tagliata è invece l’analisi dei documenti, apparte-nenti soprattutto all’Archivio di Stato di Fermo, tratti dai Consigli e dalle Cernite, dei secoli in cui Acquaviva è stata sottomessa al potere di tale

9 GreGorio Da CatiNo, Chronicon Farfense, a cura di ugo Balza-ni (roma 1903), ii, p. 308, carta 350 b.

10 maroZZi 1998.

11 l’analisi di Tiziana Marozzi, concentrata sui documenti che riguardano le vicende del borgo fortificato di Acquaviva, risul-ta oltremodo più stringentedi quella di nepi, che amplia il suo studio all’intero territorio fornendo al lettore un quadro molto generale ma assai dispersivo.

adiacente città. La studiosa ha fornito un buon numero di notizie utili sul va-lore e la funzione del centro fortificato nel periodo bassomedievale, in parti-colar modo sulla Rocca e sulle distru-zioni e ricostruzioni che quest’ultima ha subito, informazioni importanti da confrontare con i risultati delle indagi-ni archeologiche.

Rimanendo sempre nell’ambito degli studi d’archivio, Lucio Tomei è stato l’ultimo a fornire un dettagliato esame dei documenti che aiutano a ricostruire le fasi storiche della Rocca di Acqua-viva. Tomei ha collaborato con Mau-rizio Mauro nella stesura dell’articolo pubblicato nel 1998 dall’Istituto Italia-

no Castelli in Rocche torri cinte fortificate delle Marche12, ed è interessante notare come lo studio-so smentisca la maggior parte delle informazioni fornite da Nepi e Marozzi, soprattutto per quanto riguarda i documenti che attestano l’appartenenza di Acquaviva all’Abbazia di Farfa. Secondo Tomei l’ipotesi dei due studiosi risulta troppo semplicisti-ca e affrettata, tenendo conto del fatto che il topo-nimo Aquaviva era piuttosto comune nel territorio marchigiano, ricco di acque e di sorgenti. Perciò afferma, riportando documenti a sostegno della sua tesi, che l’Abbazia non è mai entrata in possesso del centro acquavivano, nato invece a seguito del processo d’incastellamento che ha interessato le Marche meridionali. Altro dato rilevante che To-mei prova essere errato è la vendita e il passaggio di proprietà del castello di Acquaviva da Anto-nio degli Acquaviva al comune di Fermo. Nepi e Marozzi, basandosi su due pergamene conserva-te nell’Archivio di Stato di Fermo13, asseriscono che il castello diventò di Fermo nell’anno 132514, Tomei fa invece risalire tale vendita a non prima dell’anno 140715, adducendo come prova la Crona-ca del notaio Antonio di Niccolò, la quale smenti-sce, incontrovertibilmente, l’ipotesi di un’apparte-nenza del castello acquavivano a Fermo nel 1325,

12 tomei 1998.

13 s.A.s.Fe, A.s.C.Fe., serie “diplomatico”: pergamene nn. 1035, 1036.

14 Nepi 1982, p. 200; maroZZi 1998, p. 9.

15 tomei 1998, p. 142.

Fig. 3. Veduta aerea (da sud) della rocca (da NepI 1982, p. 223)

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dato che nell’anno 1432 vi si afferma che «die VIII mensis novembris, homines castri Aquavive a comitatu Firmi recesserunt et tradiderunt se et dictum castrum comiti de Sancto Flabiano et duci Adriae, qui vocabatur “lo sor Iosia”, et habuerunt cassarum, quia castellanus erat de Monte Granario et dictum fuit quod ipse habuit intus signa et ideo reddidit cassarum, sed quomodo fuit hoc nesci-tur bene [...] quod castrum venerat ad manus Fir-manorum in anno domini MCCCCVII., die .XX. mensis februarii, ut supra apparet»16 ovvero «l’otto novembre, gli uomini del castello di Acquaviva si staccarono dal potere di Fermo e affidarono se stessi ed il detto castello al potere di San Flaviano [attuale Giulianova, n.d.a.] e al Duca d’Atri che era chiamato “lo Sor Iosia” ed ebbero il cassero, poi-ché il castellano era di Monte Granaro e si disse che questo ricevette ordini all’interno e per questo consegnò il cassero, ma in che modo ciò accadde non si sa bene [...] il castello era giunto in mano Fermana il venti febbraio dell’anno del Signore 1407, come si legge sopra».

Anche se le carte contenenti i particolari dell’ac-quisizione da parte di Fermo nel 1407 sono cadute nel manoscritto che ha conservato la Cronaca, dato che la narrazione si interrompe al dicembre 1401 per riprendere dal maggio 1407, la precisazione è più che esauriente per dimostrare che Acquaviva venne in possesso di Fermo non nel 1325, ma nel 1407 e per di più solo temporaneamente , visto che nel novem-bre del 1432 si staccò dalla soggezione al comune fermano per risottomettersi a Giosia d’Acquaviva.

16 aNtoNio Di NiColò, Cronaca, in De miNiCis 1870, p. 65.

Sicuramente la vendita era stata avviata nel XIV secolo ma, per ragioni sconosciute appunto a causa della mancanza di attestazioni, non avvenne prima della data indicata da Tomei, ossia il 1407.

I tre studiosi dunque, per quanto riguarda la sto-ria acquavivana dal X al XV secolo, sembrano es-sere in forte disaccordo su diversi punti ma soprat-tutto sviluppano teorie completamente diverse sia per quanto riguarda l’origine del castrum, sia sulle sue sorti negli anni seguenti la dominazione degli Acquaviva, quando divenne dominio fermano.

Cronologia degli interventi sulla Rocca

La documentazione si fa più chiara e meno fram-mentaria a partire dalla prima metà del XV secolo, quando, precisamente nell’anno 1447, la città di Fermo riprese con la forza il castello. Nel luglio del 1438 Francesco Sforza, che fin dal 1433 aveva imposto la sua signoria su Fermo e l’intera Marca meridionale, aprì le ostilità con Giosia d’Acquavi-va, che nel 1432 aveva riportato il centro fortifica-to al nome della sua famiglia, che per anni aveva dominato nel territorio. Lo Sforza vinse e occupò tutte le terre del duca d’Atri, compresa Acquaviva, che rimase sotto dominio fermano fino al termine della dominazione sforzesca, quando fu incamerata dalla Santa Sede insieme a tutti i domini del conte.

Sarà una bolla papale dell’anno 144817 a chia-rire questi passaggi di proprietà, pergamena tra l’ altro poco considerata sia da Nepi, sia da

17 s.A.s.Fe, A.s.C.Fe, serie “diplomatico”: pergamena n. 1048.

Fig. 4. La posizio-ne elevata della rocca nell’attuale profilo urbanistico di acquaviva Pi-cena (campagna 2004)

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Marozzi, ma invece molto importante. Dal do-cumento emerge non solo il fatto che la Chiesa rivendicava a sé il possesso di Acquaviva ma soprattutto, dato importantissimo per lo studio dell’architettura della Rocca, che quest’ultima sarà letteralmente rasa al suolo dai fermani nel 1447. La pergamena dice, a partire dalla terza riga: «nuper siqidem ex relazione nostra sumus certiores effecti quod nos castrum Aquavive fir-mane diocesis ad Romanam ecclesiam pertinens absque sedis apostolicae licentia hostiliter inva-dendo ad vestram iurisdictionem longo tempore subiectum fuerat reduxistis et eius arcem demo-liri» ovvero «dalla nostra relazione noi siamo stati informati di ciò che è accaduto invadendo il

castello di Acquaviva appartenente alla Diocesi di Fermo contro il permesso della Sede Aposto-lica, dal momento che recentemente l’avete ri-condotta sotto la vostra giurisdizione come era stata soggetta per lungo tempo e che la sua rocca faceste abbattere radendola al suolo».

A partire da questa data le notizie si fanno sempre più ricche e interessanti e risultano di grande ausilio per comprendere i cambiamenti e le trasformazioni subite nel corso dei secoli dall’edificio. Nel complesso si tratta di un impianto trecentesco che ha subito notevoli interventi di aggiornamento nel tempo, fino agli inizi del Cinquecento, che hanno determinato un’interessante disomogeneità architettonica. Per questo motivo la Rocca si

Fig. 5. archivio di Stato di Fermo, Fondo archivio Storico Comunale di Fermo. Serie Consigli e Cernite. evidenziata in rosso, la menzione della rocca di acquaviva Picena (1487)

Fig. 6. archivio di Stato di Fermo, Fondo archivio Storico Comunale di Fermo. Serie Consigli e Cernite. evidenziata in rosso, la menzione della rocca di acquaviva Picena (1491)

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propone come un laboratorio di sperimentazione delle tecniche fortificatorie per almeno tre secoli.

L’analisi della bibliografia sopra indicata, in par-ticolar modo dell’opera di Tomei, la più completa ed esaustiva, e lo spoglio delle fonti citate in biblio-grafia, sono quindi risultate un importante lavoro preliminare alle campagne di rilievo nella Rocca del progetto Acquaviva nella storia, e hanno for-nito una prima indagine documentaria in grado di restituire una cronologia assoluta delle distruzioni e ricostruzioni del monumento.

Come è stato detto, nel dicembre del 1447 i fer-mani rasero al suolo un’arx già esistente; da questo momento in poi, fino all’anno 1486, non si rinven-gono più, nei documenti analizzati, notizie di inter-venti di architettura militare relativi alla Rocca di Acquaviva. È opportuno però precisare che man-cano, nell’Archivio di Stato fermano: i Copialet-tere delle missive in arrivo e in partenza, i Verbali delle Sedute dei Consigli, che si sono perduti per le intere annate 1482-1485 e 1489; i Registri della contabilità del Comune, che si arrestano al 1476 e riprendono soltanto nel 1486.

Una data però, il 1481, potrebbe risultare utile per la ricostruzione della cronologia degli inter-venti sulla Rocca. In quell’anno fu infatti ricostrui-to l’accesso sud-occidentale della cinta muraria, detto oggi Porta Vecchia, e ciò è provato da un mattone murato al di sopra della cuspide dell’ arco con incisa la data. Non è da escludere l’ipotesi che fu proprio quella la data d’inizio dei lavori di ri-costruzione della Rocca, tenendo conto delle lacu-ne documentarie che vanno proprio dal 1482 fino al 1486. Probabilmente i lavori furono interrotti e ripresi qualche anno dopo, o più semplicemente proseguirono, ma purtroppo non ci è dato saperlo, vista la lacuna documentaria.

A partire dall’aprile del 1487 è chiara la ripresa dei lavori sulla Rocca, e le Lettere inviate dal co-mune di Fermo ne rappresentano la prova. I lavori proseguirono fino al 1494, data in cui la fortezza fu portata definitivamente a termine. Un documento ci mostra come i Priori del comune di Fermo aves-sero ordinato, nell’agosto del 1495, ad Apollonio di Gianfilippo Guerrieri, che in quel bimestre era castellano della Rocca di Acquaviva, di trasferirsi

«in la torre rotonda et magistra in quessa rocha»18 ma il Guerrieri si rifiutò di obbedire, adducendo come motivazione che le stanze erano sguarnite di ogni minima comodità che le rendesse vivibili. No-nostante il rifiuto del castellano, la Rocca poteva dirsi nel complesso ultimata.

I lavori si protrassero così a lungo perché gli anni in cui vennero svolti furono ricchi di avve-nimenti storici che ebbero come teatro proprio il territorio di Acquaviva. Dal 1484 al 1486 ebbe luogo l’accanita guerra tra Ascoli e Fermo, e più volte Acquaviva venne assediata in quanto alleata di quest’ultima19.

Non si hanno notizie rilevanti sul borgo forti-ficato fino all’anno 1503, quando la popolazione del castello si sollevò e, dall’analisi dei documen-ti tratti dai consigli e dalle cernite del 1503-1505, risulta che sia la Rocca sia il caposaldo orientale del borgo, la fortezza verso mare20, furono distrut-te dalla popolazione del castello, anche se i danni inferti ai due manufatti devono essere stati molto meno gravi di come si prospettano nelle fonti per-ché furono ben presto riparati.

La notizia della morte di un pontefice, in questo caso Alessandro VI, dava quasi sempre occasione e incentivo a ribellioni, a lotte faziose e a disordini nei territori, come è il caso del nostro sotto esa-me, che appartenevano alla sfera d’influenza dello Stato della Chiesa, «eran banditi che cercavano di rientrare nelle loro terre; faziosi che ponevan mano ad opprimere od a cacciare i loro avversari; tutte

18 s.A.s.Fe, A.s.C.Fe, serie “lettere”: registro delle lettere spedite n. 9 (1494-1495), c.322r.

19 sulla guerra tra Ascoli e Fermo vd. faBiaNi 1975.

20 Vd. infra.

Fig. 7. estensione del “borgo” (in rosso) di acquaviva. In grigio, la localizzazione della rocca (elaborazione sulla base della Carta tecnica regionale numerica, regione Marche, scala 1:10.000)

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le passioni più violente degli oppressi e degli op-pressori prorompevano» per citare le parole esatte usate da Nepi21. L’ Anonimo racconta così «Fu a dì 19 agosto sparsa la nuova della morte del papa. La città fece assediare tutte le rocche che stavano in mano dè forestieri, quali trovandosi sprovisti le re-sero, eccetto quella di Magliano che bisognò com-battere alquanti giorni, che poi si arrese. Le due rocche di Acquaviva da terrazzani furono buttate a terra»22.

Se infatti le fortezze, in quanto emanazione del potere feudale dominante, difendevano i borghi dai nemici esterni, materializzavano al contempo l’oppressione che i feudatari stessi esercitavano sulla popolazione all’interno. Ecco il motivo per cui il popolo di Acquaviva, sollevatosi alla morte di Alessandro VI, cercò di distruggerle. La rico-struzione fu subito avviata dal comune di Fermo, e presto conclusa nell’arco di due anni. Dalla let-tura delle carte tratte dai Consigli e dalle Cernite degli anni 1503-1505 è molto interessante notare come l’arx vetus (la Rocca) fosse considerata an-cora prior et maior23 ma allo stesso tempo non ad tutamen24. Durante i lavori della sue riedificazio-ne, nell’anno 1487, il comune fermano cominciò a realizzare ex novo l’urbanizzazione della zona extra moenia orientale (sul fronte adriatico) con

21 Nepi 1982, p. 268

22 aNtoNio Di NiColò, Cronaca, in De miNiCis 1870, p. 239.

23 s.A.s.Fe, A.s.C.Fe, serie “Consigli e cernite”: verbali n. 7 (1503-1507), c.95r.

24 Ibid., c.147r.

l’abbattimento della vecchia cortina muraria di le-vante, dove si trova oggi la torre dell’orologio, e la dilatazione dell’abitato sul ripido versante occi-dentale dell’altura chiamata “il colle”, costruendo sulla sommità di essa una torre a base circolare, con la quale andavano a raccordarsi le mura, che fu detta “Rocca nuova” più tardi rinominata “for-tezza verso mare” (fig. 7). Nel XVI secolo il co-mune si impegna a ricostruire quest’ultima, ormai preminente, dal punto di vista difensivo, rispetto alla Fortezza maggiore, probabilmente in relazione al costante rischio degli attacchi della pirateria sul fronte del mar Adriatico.

Non si hanno notizie di altri interventi sulla Roc-ca fino al 1534: «Cominciò le gare con Asculani per la Potestaria de San Petre quali Asculani se n’erano impadroniti [...] gl’Asculani essendo spar-sasi la morte del Papa, nel mese d’agosto adunate gente, de notte scalate le mura d’Acquaviva, entrati dentro cominciarono ammazzare quanti incontra-rono e mettendo foco alle case, per il che levato il rumore, corsero contro nemici e dopo molte oc-cisioni gli cacciarono fori del castello portandosi bene tutti i terrazzani [...]. Rebuttati d’Acquaviva se misero a predare e bruciare il territorio del detto loco e anco negli altri confinanti; vedendo la guer-ra rotta se mise a fare le provesioni necessarie e, prima rechiamati tutti i banditi gli mise nelle fron-tiere quali cominciarono a fare delle prede, guasti e bruciamenti»25. Così scrive l’Anonimo che, in data 16 novembre, preciserà che le mura di Acquaviva

25 aNtoNio Di NiColò, Cronaca, in De miNiCis 1870, p. 264.

Fig. 8. Luigi ferdinando Marsili, Veduta di acquaviva Picena (1708, Biblioteca universitaria di Bologna)

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furono restaurate26. Nel maggio del 1535 si concessero al borgo di

Acquaviva duemila salme di calce occorrenti per i lavori e nella Rocca venne ripararata la pare-te caduta nel cortile a seguito delle sollevazioni dell’anno precedente27. Nel gennaio del 1536 ven-ne inviato dal comune di Fermo uno dei Regolari (ispettori), per riferire se la Rocca di Acquaviva fosse riparabile o addirittura in che punti dovesse essere ricostruita («An arx Aquevive reparanda vel ubi construenda sit»)28.

Nel settembre del 1619 venne sistemato il ponte levatoio29. Questa è una delle ultime notizie certe che abbiamo sulla manutenzione e ricostruzione della Rocca che, con certezza, rimase nelle mani del comune fermano per tutto il Seicento e oltre, come testimonia Amedeo Crivellucci ricostruen-do la vicenda del paese tra 1798 e 1799: «Egli

26 Ibid.

27 Nepi 1982, p. 318.

28 rubrica Conciliorum et Cernitarum Illustrissimae Civitatis Fir-manae, iii, p. 90.

29 s.A.s.Fe., A.s.C.Fe., serie “Consigli e cernite”: verbali anno 1619, cc.62v., 63r.

stesso [D. Giacomo Gatti, n.d.a.] soleva raccontare che, caduta Acquaviva, si recò nella rocca, e, tro-vate due pistole in una buca, se le prese. Saputolo Sciabolone [il brigante, vd. infra], lo chiamò, e gli chiese: Sai tu a chi appartiene la rocca di Acqua-viva? – Alla città di Fermo – rispose il Gatti. Io ti dico che appartiene a me, che l’ho conquistata, ripigliò Sciabolone»30.

È chiaro però come il ruolo difensivo del borgo acquavivano fosse via via andato declinando, te-nendo conto anche della mancanza di documenti utili a una ricostruzione delle fasi edilizie e degli avvenimenti storici di cui la Rocca fu protagonista.

Nelle fonti si torna a parlare della Rocca di Ac-quaviva soltanto intorno alla fine del XVIII seco-lo, quando la rivoluzione francese arrivò anche nel territorio marchigiano. Nel 1797 Roma fu occupata dai Francesi, e i briganti delle montagne attorno ad Ascoli si organizzano in bande armate e iniziaro-no azioni di guerriglia a danno delle truppe stra-niere. Essi vennero chiamati non più briganti ma “insorgenti”, e loro capo fu Giuseppe Costantini da Lisciano detto “Sciabolone” che, il 6 luglio 1799, per parte di Federico IV re delle due Sicilie, mosse contro i giacobini di Acquaviva portando morte e distruzione al paese. Così racconta il già menzio-nato Amedeo Crivellucci: «Acquaviva [...] serviva di rifugio ai repubblicani più compromessi dei pa-esi vicini, i quali uniti ai non pochi repubblicani del luogo, mantennero in piedi l’ albero della libertà fino al 18 messidoro (6 luglio), che fu ivi l’ultimo della libertà, e parve dovesse essere l’ ultimo del paese. Insieme coi repubblicani d’ Acquaviva [se-gue un elenco di nomi, n.d.a.] avevano occupato la rocca». Lo storico chiude la narrazione di quel triste giorno con la frase: «pur troppo sui particola-ri della difesa ed espugnazione non abbiamo altra fonte che la tradizione. Tanto il Pastori quanto la tradizione attribuiscono a Sciabolone tutto il van-to di quell’espugnazione»31. Le frasi di Crivellucci rappresentano l’unica fonte utile a testimonianza dell’ennesima occupazione e conquista della Roc-ca, anche se il testo non è sufficiente per affermare con certezza che l’arx fosse distrutta poi ricostrui-ta. Come ho già accennato nelle pagine precedenti, l’Archivio Comunale di Acquaviva fu incendiato

30 CrivelluCCi 1893, p. 206.

31 CrivelluCCi 1893.

Fig. 9. Mappa del Catasto Pontificio del 1815, in cui viene rappresentato l’abitato di acquaviva. Si nota l’assenza della rampa d’accesso che conduce alla porta d’ingresso alla corte centrale della rocca (archivio di Stato di ascoli Piceno)

Fig. 10. La mappa, risalente al 1888, indica la presenza della scala di accesso alla rocca (archivio di Stato di ascoli Piceno)

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durante l’assedio di Sciabolone, avvenimento che ha causato la perdita di molti documenti; tuttavia, da alcune Delibere del XIX secolo, ultima quella del 15 giugno 1845, si comprende facilmente come la Rocca fosse ormai in completo disuso. Nel 1840 appare scritto: «E quindi mal soffrì il nostro cuore quando usurpata questa rocca negli scorsi dal Si-gnor Canaletti, fu travisata e danneggiata nel suo formale col ridurre i locali a neviera»32. E ancora in una Delibera del 1845: «Corroso già da tempo, e geli, in modo da non potersene più distinguere la forma per cui fu costruito [...]. Conserva dunque il nome di fortezza da quel che fu e non è altro che un piccolo aggregato di mura diroccate e corrose di nessun uso e profitto»33.

Nulla si sa riguardo a eventuali manutenzioni o rifacimenti della Rocca dalla data dell’ultima de-libera citata fino al restauro di Giuseppe Sacconi (1891-1894), a parte un particolare a mio avviso

32 A.s.C.Acq.Pic., registro degli atti consiliari, delibera del 3 maggio 1840.

33 Ibid., delibera del 15 giugno 1845.

molto interessante. Dal confronto di due mappe del Catasto pontificio conservate nell’Archivio di Stato di Ascoli, una dell’anno 1815 e l’altra del 1870 (figg. 9-10), è possibile supporre che il ponte ad arco che conduce alla pusterla d’ingresso alla Rocca sia stato costruito proprio nel periodo che va dal 1815 al 1870, forse anche in seguito alle di-struzioni dell’assedio del 1799. Quando sia andato distrutto il muro del fossato non è certo, ma sicura-mente la data è posteriore al 1708, come testimo-nia una stampa di Luigi Ferdinando Marsili (fig. 8), appunto di quell’anno, molto utile alla ricostru-zione dell’assetto del borgo di Acquaviva, sia nella fortezza maggiore che in quella minore. A seguito della demolizione del muro del fossato si è sicura-mente sentita l’esigenza di raggiungere la pusterla d’ingresso con una rampa, in modo da permettere il proseguimento della strada di accesso alla Piazza del Forte (la piazza sottostante la Rocca a est). A parte questa informazione fornitaci dal confronto fra le due mappe, negli atti notarili sui passaggi di proprietà della Rocca, compreso il documento dell’enfiteusi concessa dal Papa al conte Gugliel-mo Neroni-Cancelli e l’affrancamento dell’enfi-

Figg. 11-12 (in alto e sopra). La rocca di acquaviva Picena in due foto d’epoca, prima dei restauri del Sacconi (da NepI 1982, p. 194 e seVerI 1994, p. 51)

Fig. 13. La rocca di acquaviva Picena in una foto d’epoca, durante i restauri del Sacconi: la sommità della torre appare restaurata, i merli invece mostrano ancora i segni del degrado (da NepI 1982, p. 78)

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teusi da parte di quest’ultimo, non si fa riferimento alcuno allo stato di conservazione dell’edificio. La descrizione dell’immobile sembrerebbe omessa anche nell’atto di passaggio di proprietà dalla fa-miglia Neroni-Cancelli alla famiglia Rossi-Panelli, avvenuto nel 1870.

Nel 1891 Giuseppe Sacconi, funzionario della Sovrintendenza Regionale ai Monumenti, effettuò una serie di interventi volti a salvaguardare l’inte-grità fisica della Rocca, che versava in un grave sta-to di degrado. L’architetto eseguì sostanzialmente un restauro conservativo, con interventi piuttosto estesi ed evidenti, che verranno chiariti nei capitoli seguenti.

Nel 1910 la Rocca entrò in possesso del Comune di Acquaviva Picena, che la destinò a una moltitu-dine di usi diversi: è stata impiegata come magaz-zino comunale, vi è stato sistemato il serbatoio di raccolta delle acque dell’intero paese, e più recente-

mente è stata utilizzata come ristorante e discoteca, senza comunque che venissero effettuate significa-tive modifiche all’impianto tardorinascimentale. I lavori svolti si sono limitati al recupero e al conso-lidamento di parti in grave stato di degrado: come ad esempio nel 1955, quando la Sovrintendenza ai Monumenti ha dato inizio a lavori di restauro per i danni della guerra e nel 1974 quando, per il lato nord, ci fu una vera e propria opera di smantella-mento e ricostruzione. Nel 1990 l’amministrazione comunale di Acquaviva sentì l’esigenza di un re-stauro globale e unitario della Rocca e il progetto, sviluppato dall’ingegner Poli, fu avviato nel 1993 e terminato nel 1997, con lo scopo di offrire al ter-ritorio una valida offerta turistica legata ai valori storici e culturali delle tradizioni locali, compresa anche la funzionalizzazione di alcuni ambienti da dedicare a mostre permanenti di oggetti connessi alla funzione originaria della Rocca.

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L’evoluzione del borgo

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Il seguente contributo nasce come naturale svi-luppo del progetto di analisi e rilievo della Roc-ca di Acquaviva Picena (2004-2006) condotto nell’ambito del Laboratorio di Rilievo organizzato dal Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna1 (ora Dipartimento di Storia Culture Ci-viltà), e costituisce un aggiornamento e un riesame dei precedenti scritti relativi all’argomento2.

L’attività del Laboratorio ha focalizzato la pro-pria attenzione sulla Rocca di Acquaviva, già al centro dell’interesse scientifico3, analizzando la fortezza rinascimentale con un approccio multi-disciplinare (rilievo strumentale planoaltimetrico, analisi stratigrafica degli elevati, ricostruzione 3D, indagini georadar, scavo archeologico, ecc.)4, volto alla comprensione globale del complesso fortifica-to, superando posizioni ormai consolidate e limi-tate all’architettura militare. Fin dalle prime fasi della ricerca è tuttavia emersa la necessità di con-testualizzare il complesso della Rocca nel più am-pio ambito del castello di Acquaviva, a sottolineare il legame reciproco tra la parte difensiva e quella abitativa di un insediamento medievale. Il progetto si è quindi evoluto e le ricerche sono state este-se al borgo fortificato di Acquaviva, allo scopo di definire con precisione lo sviluppo della cinta mu-raria e dei singoli elementi di difesa, analizzando-ne i caratteri tipologici nel tentativo di definire un orizzonte cronologico di riferimento dell’apparato

1 responsabile del laboratorio di rilievo del dipartimento di Archeologia dell’università di Bologna: enrico Giorgi.

2 ravaioli, veCChietti 2007a; ravaioli, veCChietti 2007b.

3 BorZaCChiNi 1998; maroZZi 1998; palloNi 1998.

4 Vd. gli interventi di F. Boschi e M. silani e di A. Baroncioni in questo stesso volume.

difensivo. Tali ricerche, rivolte principalmente allo studio dell’architettura militare del castello, hanno tuttavia portato a delineare elementi utili alla defi-nizione delle direttrici dell’evoluzione urbanistica del centro abitato5.

Metodologia d’indagine applicata

Per quanto riguarda il borgo fortificato, ovvero la parte abitativa cinta da mura, l’approccio me-todologico è stato graduale, articolato in due di-stinte campagne di acquisizione dei dati nel 2006 e nel 2009: mentre la prima era formalmente una ricognizione preliminare finalizzata alla conoscen-za del complesso6, la seconda è stata indirizzata all’approfondimento di alcuni elementi emersi nel-la fase intermedia di analisi dei dati, per definire quali siano stati i modi e i tempi dello sviluppo del castello di Acquaviva. Considerando le dimensio-ni del contesto (fig. 1), le eterogenee condizioni di conservazione della cinta muraria e la sostanzia-le tenuta del tessuto urbano a livello planimetrico piuttosto che volumetrico, si è ritenuto opportuno applicare un approccio metodologico volto a una conoscenza preliminare diffusa a tutto il castello, per poi focalizzare le analisi verso gli elementi più significativi emersi nel corso della ricerca, ottenen-do così una visione d’insieme e razionalizzando gli sforzi. Optare per un approccio più propriamente topografico piuttosto che archeologico è stata una decisione dettata dall’evidente impossibilità di

5 uno status quaestionis metodologico, è, per il vicino territo-rio romagnolo, in ravaioli 2012.

6 ravaioli, veCChietti 2007a; ravaioli, veCChietti 2007b.

l castello tra urbanistica medievale e architettura fortificataI

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 65-85

enriCO rAVAiOlidipartimento di storia Culture Civiltà dell’università di Bologna

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applicare una consueta metodologia stratigrafica al contesto in oggetto che, come già accennato, si presenta gravemente compromesso da numerosi interventi costruttivi e distruttivi di età moderna e contemporanea. La ricognizione del perimetro del-la cinta muraria e del tessuto urbano ha permesso di definire una mappatura dettagliata delle emer-genze materiali ascrivibili al Medioevo e al Ri-nascimento, realizzata sulla base dell’incisione di Luigi Ferdinando Marsili (Disegno ed elevazione della città di Acquaviva, 1708, fig. 2). A un’analisi preliminare della fonte iconografica appare eviden-te come i principali elementi difensivi di Acquavi-va si siano conservati in modo pressochè integrale, a esclusione di due torri che erano localizzate nel-la parte settentrionale di Terra Vecchia (c.d. torre nord-ovest e torre nord).

Analisi delle strutture difensive

L’analisi delle strutture difensive del castello di Acquaviva consente di comprendere in modo ade-guato l’originale sviluppo delle fortificazioni, seb-bene il limitato stato di conservazione delle stes-se e la varietà tipologica che le contraddistingue rappresentino due elementi che complicano una corretta ricostruzione dell’assetto del castello. La sintesi proposta è quindi volta a illustrare gli ele-menti che attualmente si conservano, analizzando-ne i caratteri peculiari e calandoli nel contesto del complesso fortificato.

La Rocca costituisce il caposaldo del sistema di-fensivo del castello di Acquaviva, posta sulla som-mità del rilievo che non solo domina l’abitato (fig. 3) e il territorio circostante, ma anche l’unica pos-sibile direttrice di attacco rappresentata dalla via di crinale. Tale potenzialità è stata intuita e quin-di sfruttata fin dalle prime fasi di occupazione del sito, anche se probabilmente la fortificazione ven-

Fig. 1. Planimetria schematica del centro storico di acquaviva Pice-na: in rosso la rocca, in arancio terra Vecchia, in giallo terra nuova

Fig. 2. elaborazio-ne del disegno ed elevazione della città di Acquaviva di L.F. Marsili con indicazione dei principali elementi difensivi citati nel testo

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ne realizzata solo nei secoli centrali del Medioevo. Lo stesso assetto planimetrico della Rocca è indice della volontà di assecondare la morfologia del sito e del territorio circostante, allo scopo di integrare le difese naturali con quelle artificiali. Il fortilizio si configura infatti a pianta romboidale piuttosto dilatata nel senso nord-sud, in maniera da chiude-re i due versanti, mentre oppone alla direttrice di crinale due lunghi prospetti murari interrotti da un poderoso puntone a ovest (figg. 1, 4).

La Rocca nelle forme attuali, in base allo studio

delle fonti scritte7 e all’analisi dei caratteri archi-tettonici dell’apparato difensivo, pare ascrivibi-le alla fine del XV secolo, benchè siano evidenti numerose tracce del precedente fortilizio che, danneggiato dai fermani nel 1447, venne modifi-cato dall’architetto Baccio Pontelli tra il 1484 e il 1487, per adeguarlo alle nuove necessità difensive imposte dal progresso della tecnologia militare8. Tale ammodernamento pare evidente poiché apporta limitate trasformazioni al cassero trecen-tesco, circoscritte alla realizzazione della scarpa di

7 Vd. anche il contributo di s. de Cesare in questo volume.

8 mauro, tomei 2002, pp. 146-147, 154.

Fig. 3. Panoramica della rocca da ovest

Fig. 4. ricostruzione dell’assetto rinascimentale della rocca (elabo-razione 3d dell’autore)

Fig. 5. ricostruzione ipotetica dell’assetto trecentesco della rocca (elaborazione 3d dell’autore)

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rinforzo alle cortine, del terrapieno nella corte della Rocca e alla creazione di troniere per le artiglierie. L’impostazione di massima del fortilizio conserva, invece, l’impronta tradizionale, estranea ai precetti dei trattati di ingegneria militare dell’“epoca di transizione” (seconda metà XV-prima metà XVI secolo)9. Le torri e le cortine murarie presentano infatti un notevole sviluppo in verticale, testimo-nianza della conservazione dell’impianto forti-ficato trecentesco (fig. 5), compensato in parte dall’altissima scarpa che risale fino ai beccatelli del precedente apparato a sporgere, semplicemente rifasciato per aumentare la difesa passiva ai colpi delle artiglierie. L’espediente di addossare un pa-ramento murario inclinato a una cortina difensiva già esistente e di colmare lo spazio di risulta con terreno e pietrame ha la duplice funzione di opporre ai colpi di artiglieria una superficie sfuggente, sulla quale i proiettili vadano a impattare con minore

efficacia, e di creare una difesa passiva capace di assorbire l’urto dei colpi dissipandone la forza e permettendo quindi una maggiore resistenza della

9 Cassi ramelli 19962, pp. 324-326; fraNChetti parDo 2001, pp. 331-360.

retrostante fortificazione10. Tale pratica, diffusa in Italia dal XV secolo, trova numerosi parallelismi nel fermano11.

La forma pentagonale di due delle tre torri angolari della Rocca (fig. 6) apparentemente precorre il profilo tardocinquecentesco delle cinte bastiona-te12, ma a un’osservazione più attenta si intuisce che si tratta invece di ciò che resta di anacronistici puntoni trecenteschi così comuni nel fermano. Le ricerche di archeologia dell’architettura condotte a partire dal 2004 hanno confermato tale ipotesi, ri-velando al contrario l’anteriorità delle torri rispetto alla scarpatura che le fascia. La tipologia delle due torri a base pentagonale (c.d. puntoni) della Rocca trova numerosi confronti nelle Marche settentrio-nali e centrali, in particolare nella cinta muraria più esterna di Fermo, costruita tra il 1365 ed il 1366 da Giovanni Visconti da Oleggio13. Per i puntoni della Rocca si è proposta una datazione al XIV secolo14, sebbene sia stata avanzata anche l’ipotesi di una cronologia più alta al XIII secolo15; la prima teoria pare maggiormente sostenibile in base agli strin-genti confronti disponibili a Fermo.

L’apporto principale di Baccio Pontelli si indivi-dua nella trasformazione radicale del mastio, ora di forma cilindrica ma in origine presumibilmente a base ottagonale16. Si tratta quindi della trasfor-mazione di una preesistenza e dunque si conserva l’impianto originario e il relativo limite formale. L’alta e massiccia torre non segna di certo una ce-sura netta con l’architettura tipicamente medievale, ma lascia intravedere alcuni caratteri fondamentali della riforma dell’ingegneria militare, introducen-done i principi fondanti: in primo luogo il profilo curvo e inclinato del paramento a scarpa per of-frire ai proiettili d’artiglieria superfici sempre più sfuggenti, notevoli spessori murari per meglio as-sorbire l’impatto dei proiettili e numerose troniere orizzontali per un agile brandeggio delle armi17. La

10 Cassi ramelli 19962, pp. 334-336.

11 mauro 2002a, p. 96.

12 Id. 1985, p. 196.

13 tomei 2002, pp. 70 ss.

14 mauro, tomei 2002, p. 160.

15 palloNi 1998.

16 mauro 1985, p. 196; palloNi 1998, p. 160.

17 mauro 1985, p. 196.

Fig. 6. Puntone ovest (a sinistra) e sud (a destra) della rocca

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battagliera sommitale sintetizza le trasformazioni dell’epoca della transizione, periodo di passaggio in cui l’architetto non rinuncia al tradizionale ap-parato aggettante a cui associa un buon numero di troniere (figg. 7-9).

Le fortificazioni di Terra Vecchia testimoniano un’origine cronologicamente varia, frutto di suc-cessivi interventi susseguitisi nel corso del Medio-evo e del primo Rinascimento. Il quadro generale dello stato di conservazione della cinta muraria è piuttosto desolante, risultato di successivi inter-venti di demolizione, trasformazione e progressi-va appropriazione da parte dell’edilizia privata, al punto di rendere difficoltosa persino la ricostruzio-ne del tracciato murario (fig. 10). La cinta muraria, conservata in gran parte in Terra Nuova ma di dif-

Fig. 7 (in alto a sinistra). Panoramica del mastio della rocca vista da Piazza della Libertà

Figg. 8 e 9 (a sinistra e in alto). Panoramiche del mastio dalla corte interna della rocca

Fig. 10. Mappatura delle fortificazioni conservate (tratto nero)

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ficile lettura per la continuità d’uso a fini abitativi, è pressochè scomparsa in Terra Vecchia, a esclu-sione di un breve tratto sul versante settentrionale in prossimità della Rocca; la parte alta delle mura, culminante con tracce di apparato a sporgere, con ogni probabilità è da ricondurre alla fine del XV secolo e quindi contemporanea alla fase di trasfor-mazione della Rocca, mentre una piccola sezione della base conserva ancora elementi che lasciano ipotizzare un’origine più antica. La porzione di prospetto murario in oggetto (Campione 1) presen-ta una tessitura irregolare organizzata in filari sub-orizzontali tra loro paralleli, con sdoppiamento dei corsi. La muratura, realizzata prevalentemente in pietra, presenta tuttavia l’utilizzo di materiale estremamente eterogeneo, dove conci di pietra are-naria sono alternati a ciottoli fluviali e blocchi di conglomerato naturale, con l’uso sporadico di mat-toni per regolarizzare i corsi (fig. 11). Allo stato at-tuale della ricerca non è stato possibile ricondurre il paramento in oggetto a una cronologia assoluta, né tantomeno proporre confronti in quanto si tratta di un unicum nell’edilizia storica della zona, dove il laterizio è il materiale predominante.

In tale situazione è tuttavia ancora possibile indi-viduare alcuni elementi caratteristici dell’architet-tura fortificata, utili a creare una precisa mappatura delle strutture conservate.

Il puntone che difende l’angolo nord-ovest del-la cinta difensiva di Acquaviva presenta stringenti analogie con le due torri pentagonali della Rocca e pare quindi opportuno assimilarlo a queste ultime, sia per tipologia sia per cronologia di riferimento, tanto da porre le opere difensive nella medesima fase costruttiva (fig. 12). Pare possibile affermare che il puntone sia stato realizzato nel XIV secolo

a difesa della precedente cinta muraria del castel-lo, presso un angolo concavo che rappresentava un punto debole dell’impianto difensivo18 e che in precedenza risultava sguarnito. Articolato su due livelli oltre alla battagliera sommitale, il puntone presentava in origine una gola aperta sul retro19, mentre rivolge la cuspide in direzione della Rocca, unica direzione da cui poteva giungere un attacco diretto da parte di artiglierie nemiche. Il puntone non costituiva solo una difesa passiva ma era do-tato di alcune postazioni di tiro costituite da bom-bardiere a raggiera, feritoie circolari strombate sia all’interno sia all’esterno20, prive di mira e quindi destinate al tiro di sbarramento21 e di fiancheggia-mento a difesa della cortina muraria precedente; delle due feritoie poste al piano terra solo quella nord è conservata interamente, mentre la presenza di quella sud è testimoniata da poche tracce nel pa-ramento murario. Ulteriori bocche da fuoco dove-vano trovarsi a livello della battagliera, al di sopra dei beccatelli, come testimoniato dalle tracce di una

18 Cassi ramelli 1964, pp. 234-235.

19 mauro 2002a, p. 102.

20 Cassi ramelli 1964, p. 332.

21 mauro 2002a, p. 112.

Fig. 11. Particolare del Campione 1

Fig. 12. Puntone

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ghiera circolare. In considerazione del fatto che le bombardiere a raggiera sono in genere ascrivibili al XV secolo22, pare evidente che siano state aggiun-te al puntone trecentesco in un secondo momento e poste in relazione al più ampio progetto di am-modernamento del castello di Acquaviva avvenuto nel corso dell’ultimo quarto del XV secolo, a cui appartiene anche l’ampliamento rappresentato da Terra Nuova; le medesime feritoie circolari compa-iono infatti anche nelle difese di quest’ultima, ma in questo caso in fase con la costruzione dell’im-pianto difensivo.

La cinta muraria di Terra Vecchia a est del pun-tone era difesa da altre due torri, così come testi-moniato dall’incisione di Marsili (fig. 2), che allo stato attuale non sono conservate. La prima torre doveva trovarsi nei pressi del puntone, nella zona retrostante alla residenza comunale e da notizie raccolte in loco pare sia stata demolita prima del XIX secolo per permettere lo sviluppo della viabi-lità attuale. Tale ipotesi pare avvalorata dall’assen-za della torre nella cartografia catastale pontificia del 181523.

22 Ibid.

23 Vd. de Cesare in questo volume, fig. 9,

La seconda torre, posta in prossimità dell’attua-le Porta da Bora, è stata con ogni probabilità in-globata da edifici privati e non ne rimane traccia evidente.

Proseguendo lungo il perimetro di Terra Vecchia, la c.d. Torre dell’Orologio, malgrado l’attuale aspetto dovuto a interventi ottocenteschi testimo-niati dalla lapide murata alla base della torre e data-ta 1811, tradisce un’origine spiccatamente medie-vale, nell’ambito dell’architettura difensiva tipica di un orizzonte due-trecentesco24. I rimaneggia-menti ottocenteschi hanno comportato la mancata conservazione del coronamento originario, sosti-tuito con la realizzazione dell’apparato a sporgere e del campaniletto a vela di gusto neogotico; allo stesso intervento sono associabili anche le aperture ogivali e l’addizione della scarpa alla base del pro-spetto orientale (fig. 13). A un’attenta analisi tutta-via la Torre dell’Orologio conserva ancora alcuni elementi che permettono di formulare un’ipotesi sulla funzione originaria della struttura. In primo luogo è importante notare la posizione topografi-ca della torre nel contesto urbano di Acquaviva, ubicata alla base di via Marziale nelle immediate adiacenze della sella compresa tra i due colli forti-ficati, ovvero sul limite estremo di Terra Vecchia. La lettura degli elevati della torre ha evidenziato la presenza di due diverse aperture ora tamponate, una posta sul prospetto ovest e l’altra, al medesimo livello su quello nord; mentre la prima è identifica-bile con l’accesso alla torre, posto al primo piano per motivi difensivi, la seconda sembra di incerta funzione, forse connessa alla lesione nel paramen-to murario limitrofo che pare attestare la demoli-zione di un settore di mura. Dagli elementi emersi dall’analisi pare plausibile l’ipotesi che l’apertura nord, rivolta su via Marziale, servisse come colle-gamento tra la cinta muraria del castello e la torre che difendeva una porta ormai scomparsa a essa connessa.

Il versante meridionale del centro storico, tra Porta da Sole e Porta di Piazza, conserva una torre rompitratta in parte inglobata da edifici moderni. La torre sud-ovest, riportata nell’incisione del Marsili (fig. 2), restaurata di recente e attualmente sede del Polo Culturale di Acquaviva Picena25,

24 mauro 2002a, p. 102.

25 Palazzo Celso ulpiani.

Fig. 13. torre dell’Orologio

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presenta trasformazioni che ne hanno alterato in parte la fisionomia, mantenendo tuttavia alcuni elementi utili alla corretta comprensione del fortilizio. La torre, a base quadrangolare, era posta in aggetto rispetto alle mura cittadine sulle quali svettava, culminata da un coronamento di

merli c.d. “a coda di rondine” di cui si conserva traccia nella muratura dell’ultimo piano (figg. 14-15). L’analisi degli elementi costitutivi della torre permette di delinearne una datazione di massima. In primo luogo è da escludere che la torre sia ascrivibile al Rinascimento, dato che l’elevata altezza e la presenza dei merli rappresentano elementi anacronistici nell’ambito del periodo di transizione26; tale ipotesi è sostenuta dalla presenza di una bombardiera a raggiera alla base della torre, realizzata in frattura nel paramento murario e quindi posteriore alla costruzione originaria della torre, pone quest’ultima quindi prima del XV secolo. Inoltre la presenza di merli, diffusi a partire dall’XI-XII secolo27, e la concomitante assenza di apparato a sporgere, largamente presente nell’architettura fortificata a partire almeno dalla prima metà XIV secolo28, delimitano un orizzonte cronologico bassomedievale. Alcuni elementi indiretti di carattere topografico contribuiscono a definire con maggiore precisione una possibile datazione: la torre si pone a difesa della cinta muraria trecentesca del castello, presumibilmente in fase con quest’ultima e quindi pressochè coeva

26 Cassi ramelli 1964, p. 332.

27 Ivi, p. 253; Cassi ramelli 1970, p. 31.

28 Cassi ramelli 1964, pp. 254-256.

Fig.g 14-15. torre sud-ovest e particolare della merlatura (sopra)

Fig. 16. Porta da Sole

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alla più antica fase riconoscibile della Rocca, al puntone di nord-ovest, alla c.d. Torre dell’Orologio e a Porta da Sole. È inoltre certo che queste difese siano precedenti rispetto agli apprestamenti fortificati di Terra Nuova, ascrivibili alla fine del XV secolo.

L’ingresso meridionale del castello è difeso da Porta da Sole, nota anche come Porta Vecchia o Por-ta Gotica (fig. 16). La struttura difensiva si configu-ra come una torre portaia a unico fornice, inquadra-to da un arco a sesto acuto decorato con un fregio vegetale (fig. 17), sul modello delle porte urbiche di Fermo, con particolare riferimento a Porta San Giuliano e Porta Santa Caterina, pertinenti all’am-pliamento delle difese cittadine voluto dall’impe-ratore svevo Federico II tra il 1241 e il 1254. Tale tipologia di porta si pone tuttavia, nell’ambito del contado fermano, in un orizzonte cronologico tre-centesco. Oltre ai confronti citati, Porta da Sole tro-va riscontri stringenti in Porta Levante a Mogliano (MC), Porta San Basso a Monterubbiano (AP) e Porta San Nicolò a Montegiorgio29 (AP). Rispetto ai modelli fermani Porta da Sole presenta un mi-nore slancio verticale, a causa degli interventi di

29 mauro 2002a, pp. 98-99.

restauro che ne hanno alterato l’aspetto originario ricreando parte dell’apparato a sporgere30. La por-ta, preceduta da una ripida rampa e difesa da una saracinesca di cui si conservano tuttora i binari verticali, è posta in posizione avanzata rispetto alla cinta muraria, sintetizzando sia la funzione di torre rompitratta sia di baluardo angolare. La posizione particolare non è di certo casuale, ma accuratamen-te pianificata in modo da conformare l’ingresso a curva a gomito, espediente progettato per spezzare l’impeto degli assalitori, già rallentati dalla rampa in salita e dalle difese passive della porta.

Mentre le fortificazioni di Terra Vecchia si confi-gurano come un insieme disomogeneo di elementi difensivi realizzati nell’ambito della tradiziona-le architettura militare del Medievo, sebbene con alcuni limitati interventi rinascimentali, le difese di Terra Nuova rientrano in un progetto unitario e omogeneo, connesso all’ampliamento del centro abitato. Le torri e le cortine murarie di Terra Nuo-va che ancora si conservano testimoniano inoltre come i nuovi principi dell’architettura e dell’inge-gneria militare del periodo della transizione siano stati recepiti ancora una volta e applicati coerente-mente come nel caso della Rocca. Il tracciato delle mura e la posizione delle torri permettono infatti un controllo completo del territorio circostante e un eventuale tiro di fiancheggiamento in caso di assalto, sebbene la distanza tra le torri paia troppo elevata rendendo di difficile attuazione una effica-ce difesa reciproca. La realizzazione di Terra Nuo-va prevede l’apertura di due nuove porte, Porta da Bora sul versante nord e Porta di Piazza su quello meridionale, entrambe affacciate sulla medesima piazza che occupa la sella posta tra i due colli.

Porta di Piazza allo stato attuale non conserva particolari apprestamenti che ne rivelino l’origi-ne difensiva, se si esclude la conformazione stes-sa della struttura (fig. 18). Viene infatti riproposto il principio già adottato in precedenza nel caso di Porta da Sole, ovvero la realizzazione di un pas-saggio coperto dallo sviluppo planimetrico curvi-lineo e dall’accentuata pendenza. Nella realizza-zione di Porta di Piazza la precedente esperienza viene perfezionata, mantenendo alcuni elementi nelle forme già note e accentuandone altri: ritor-na infatti l’espediente della rampa che precede il

30 tomei 2002, pp. 69-70.

Fig. 17. Porta da Sole: particolare del fregio vegetale che bordeggia l’arco a sesto acuto

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fornice, ma in questo caso la rampa prosegue in salita all’interno, fino al piano della piazza; si ripe-te inoltre il tracciato a curva a gomito per spezzare l’impeto della carica, raddoppiato per aumentare l’effetto difensivo. Infine, l’allungamento della corte interna compresa tra i due ingressi amplifica ulteriormente il sistema, oltre a creare una sovra-stante battagliera molto ampia.

Di Porta da Bora non rimane testimonianza se non nel rifacimento della stessa, attuato nel corso del XIX secolo31, affiancata a ovest da una tor-

31 mauro, tomei 2002, p. 158.

re realizzata all’incirca nel medesimo periodo (fig. 19). Sull’effettiva origine della porta in questione è possibile esprimere alcune perplessità, in quanto compare nomina-ta solo in documenti piutto-sto recenti, tanto da indurre a pensare che l’attuale Porta di Bora non sia effettivamente una ricostruzione ottocentesca dell’originale, ma che possa addirittura trattarsi di un fal-so storico di gusto romantico, costruita per favorire il traffico veicolare. L’analisi dell’inci-sione del Marsili (1708, fig. 2) d’altra parte pare sostene-

re tale ipotesi, in quanto evidenzia che nei pressi dell’attuale Porta da Bora è assente sia un varco nelle mura, sia una strada che nel caso possa ser-virla. La torre nord, adiacente a Porta di Bora, al contrario, appartiene alla fase originaria della fine del XV secolo, come si può desumere dai caratteri architettonici peculiari del principio dell’epoca di transizione; un confronto stringente del particolare apparato a sporgere trilobato è rintracciabile in una torre del vicino centro costiero di Grottammare. La torre, che nel contesto attuale ha perso l’origina-

ria funzione di rompitratta, è provvista di una base a scarpa poco accentuata, forse in par-te coperta dall’attuale livello stradale, priva di cordonata e caratterizzata da beccatelli polilobati sormontati da ar-chetti pensili che completano l’apparato aggettante; non ri-sulta visibile alcuna bocca da fuoco.

La torre nord presenta ca-ratteristiche formali simili alle restanti due torri di Terra Nuova, poste rispettivamente nel vertice nord-est della cin-ta e lungo la cortina sud della stessa sud. Tuttavia, mentre sul piano formale le difese passive costituite da apparato a sporgere e base a scarpa ri-

Fig. 18. Panoramica di Porta di Piazza

Fig. 19. Porta da Bora e la torre nord

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sultano elementi ricorrenti e omogenei per caratte-ristiche in tutte e tre le torri, esiste una sostanziale differenza dovuta alla diversità di funzione che si riflette sulla disposizione e sulla tipologia delle di-fese attive rappresentate dalle bocche da fuoco. La torre sud-est, adiacente al successivo Ex-Ospedale di Sant’Anna32, presenta una bombardiera a rag-giera per il tiro di fiancheggiamento a difesa delle mura, assimilabile a quelle già ricordate e presen-ti nel puntone e nella torre sud di Terra Vecchia e ascrivibili al XV secolo33, funzionale alla necessità di difendere le mura da un attacco ravvicinato (fig. 20). Al contrario la torre di nord-est è caratterizzata dalla presenza di una feritoia orizzontale ascrivi-bile per tipologia al XVI secolo34, evidentemente

aggiunta alla torre della fine del XIV per permette-re una migliore difesa della stessa e dell’area circo-stante, grazie al maggiore arco visivo rispetto a una bocca da fuoco verticale (fig. 21).

Assimilabile per tipologia alle torri poste a difesa della cinta muraria di Terra Nuova, ma certamente maggiore per proporzioni, la Fortezza

32 ravaioli, veCChietti 2007a, pp. 222-226; IId. 2007b, pp. 129-131.

33 mauro 2002a, p. 112.

34 Ibid..

a Mare rappresenta il secondo nucleo difensivo del castello di Acquaviva. Pare interessante notare la presenza di un grande arco nella parte retrostante della fortificazione, elemento che induce a ipotizzare una torre a gola aperta piuttosto che una “fortezza” vera e propria; è evidente che si trattasse di un’ulteriore torre della cinta muraria, sebbene di proporzioni maggiori rispetto alle altre. I caratteristici elementi architettonici ricorrenti nelle altre torri di Terra Nuova compaiono anche nella Fortezza a Mare (beccatelli trilobati, cordonata, base a scarpa), oltre a tre feritoie orizzontali ancora visibili nel paramento murario rivolto verso est e verso sud. La prima bocca da fuoco, posta

Fig. 20. torre sud-est

Fig. 20. torre sud-est

Fig. 22. Fortezza a Mare

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al di sotto della cordonata, trova uno stringente confronto con quella presente nella torre nord-est, anch’essa quadrangolare e sormontata da un piccolo architrave di pietra, oltre che con le tre che servono la battagliera del mastio della Rocca. Le restanti due, poste al di sopra della cordonata e ormai in disuso, sono definite da una ghiera di mattoni disposti ad arco a sesto ribassato, variante che non trova confronti ad Acquaviva. Della battagliera, che in origine doveva essere provvista di copertura35, si conservano pochi elementi in originale, ma il rimando al mastio della Rocca appare evidente (fig. 22).

35 mauro, tomei 2002, p. 157.

Evoluzione urbanistica di un centro medievale

Illustrati gli elementi costitutivi delle fortificazioni di Acquaviva, pare ora necessario analizzare il contesto urbano a cui tali opere difensive sono connesse. Il centro abitato di Acquaviva Picena è localizzato su un crinale appenninico a circa 7,5 km dal Mare Adriatico, sulla sinistra idrografica del fiume Tronto, compreso tra il torrente Albula a nord e il Rio Ragnola a sud. Il centro storico in particolare occupa interamente un rilievo del crinale, costituito da due poggi e dalla sella compresa tra essi. La posizione dominante rispetto

Fig. 23. Panoramica del centro storico di acquaviva Picena da sud: a sinistra il poggio della rocca, a destra quello di terra nuova

Fig. 24. ripresa satellitare del centro storico di acquaviva Picena

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al territorio circostante e la conformazione del luogo hanno contribuito alla scelta del sito come insediamento fortificato (figg. 23-24). Il rilievo più elevato, posto a chiusura della direttrice di crinale a ovest, è occupato dalla mole della Rocca a partire da cui si sviluppa l’abitato di Terra Vecchia, articolato in due parti: la parte alta costruita su terrazzamento dai bordi scoscesi e la parte bassa a occupare il versante digradante della sella. L’abitato si imposta inoltre su un banco roccioso costituito da arenaria estremamente friabile ma compatta, materiale che consente di realizzare ambienti e gallerie sotterranee con lavori di scavo di semplice esecuzione. Dal centro pianeggiante della sella fino a risalire sul secondo poggio si sviluppa Terra Nuova, dominata dalla Fortezza da Mare. La descrizione della morfologia del terreno rispecchia in linea di massima quella che deve essere stata la direttrice di sviluppo, nonché la sequenza urbanistica del centro storico. Nel tentativo di illustrare un’ipotesi ricostruttiva dell’assetto del castello e delle sue trasformazioni nel corso del Medioevo e del Rinascimento è stato ritenuto opportuno servirsi di una serie eterogenea di fonti informative, a partire dal dato materiale derivante dallo studio degli elementi difensivi conservati di Acquaviva, dall’analisi della morfologia del sito e del tessuto urbano e infine delle testimonianze desunte dalle fonti scritte36, incrociando i dati in modo da delineare un profilo ipotetico dello sviluppo urbano. La ricerca ha previsto anche la ricognizione di una campionatura di scantinati e sotterranei dell’abitato, senza tuttavia rilevare tracce evidenti di fortificazioni in disuso ma

36 Vd. anche il contributo di s. de Cesare in questo volume.

attestando al contrario la costante e diffusa presenza del banco arenaceo su cui dovevano impostarsi le difese (fig. 25).

Una fonte indispensabile per la ricostruzione dell’assetto medievale dell’abitato è costituita dallo studio della cartografia moderna, a partire dall’incisione di Luigi Ferdinando Marsili fino alle mappe del Catasto Pontificio ottocentesco, che restituisce un’immagine del tessuto urbano di Ac-quaviva in un periodo precedente alla radicali tra-sformazioni avvenute a partire dalla seconda metà del XX secolo.

L’aspetto del castello di Acquaviva e il suo as-setto urbanistico nel corso del Medioevo rappre-sentano elementi che ancora sfuggono alla nostra comprensione, benchè sussistano alcuni indizi che possono esserci d’aiuto nella formulazione di ipo-tesi ricostruttive. In tal senso le fonti scritte rive-stono un’importanza particolare, poiché sono pres-sochè le uniche fonti documentarie conservate che possono fornirci elementi utili alla ricostruzione di Acquaviva nel Medioevo. La prima attestazione della località Acquaviva pare risalire al 94737, ben-chè il documento contenuto nel Chronicon Farfen-se sembri piuttosto indicare una località nella val-le del Fiume Chienti38 e quindi non identificabile con il centro urbano attuale; anche le successive menzioni, pur essendo di maggiore pertinenza, non permettono tuttavia un’identificazione inequivo-cabile39. In particolare si tratta di due documenti datati 1034 e 1038 in cui compare rispettivamen-te il toponimo Aqua Viva e Aquaviva che tuttavia,

37 Nepi 1982, pp. 160-161, 623-625.

38 mauro, tomei 2002, p. 138.

39 Nepi 1982, pp. 162-172.

Fig. 25. Localizzazione degli scantinati e dei sotterranei ricogniti

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a causa della diffusione del toponimo nell’area, difficilmente possono essere identificabili con il centro abitato attuale40. La prima attestazione do-cumentaria certa del toponimo riferibile all’attuale Acquaviva risale quindi al 1039, benchè anche in tal caso sussistano pareri discordanti41; in tale data comunque Longino di Azone donò all’Abbazia di Farfa alcuni beni di sua proprietà, tra cui la sua parte del «castello de Aqua Viva»42. L’attestazione del castello nell’XI secolo si pone quindi in linea con il periodo più florido dell’incastellamento mar-chigiano (X-prima metà XI secolo), caratterizzato da un modello consolidato in cui il fortilizio si im-posta su un precedente insediamento43, nel nostro

40 BerNaCChia 2002, pp. 320-321.

41 BerNaCChia 2002, p. 320.

42 Nepi 1982, pp. 178, 640.

43 BerNaCChia 2002, p. 169; miNGuZZi, mosCatelli, soGliaNi 2003, p. 598; aNtoNGirolami 2005.

caso rinvenuto nel corso di scavi archeologici44, che hanno evidenziato la presenza di un’occupa-zione altomedievale (Fase I; fig. 26) del sito su cui attualmente insiste la Rocca rinascimentale. Gli scavi archeologici condotti dal Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna all’inter-no della Rocca (2005-2006) hanno infatti portato al rinvenimento di materiale ceramico databile al IX-X secolo, attestando un’occupazione del sito in età altomedievale sebbene in forme che allo stato attuale delle ricerche sfuggono alla nostra com-prensione45.

Gli scavi archeologici hanno inoltre portato all’individuazione di una struttura muraria che, per caratteristiche tecniche e posizione peculiare sulla sommità del punto più elevato della zona, potreb-be essere riconosciuta come una primitiva opera

44 Vd. anche il contributo di A. Baroncioni in questo volume.

45 ravaioli, veCChietti 2007b, pp. 126-127.

Fig. 26. Fase I, frequentazione altomedievale dell’altura più elevata

Fig. 27. Fase II, castello de Aqua Viva. Ipotesi di sviluppo urbanistico

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di fortificazione dell’area (XI secolo circa), forse identificabile con il castello menzionato nel 1039, la cui consistenza materiale non è attualmente nota. Le strutture murarie rinvenute, costituite da un muro in ciottoli legati da malta, tagliano strati che restituiscono materiale anteriore all’XI seco-lo; è possibile ipotizzare che la struttura muraria appartenesse alle prime fasi di fortificazione del sito, anche in considerazione del notevole spes-sore del muro46. È probabile che solo l’area som-mitale fosse munita di strutture difensive in mu-ratura, mentre allo stato attuale della ricerca non risulta possibile individuare nessun’altra struttura appartenente al castello (Fase II; fig. 27). La forma più antica ed elementare di difesa è rappresentata dall’arroccamento in posizione elevata, fattore che si dimostra favorevole sia in ambito difensivo, sia per il controllo del territorio circostante. Tale prin-cipio venne mantenuto nel corso dei secoli, anche a seguito dell’introduzione di nuove tecnologie e tecniche militari, tanto che i trattati di ingegneria militare rinascimentali sostenevano che il requisi-to fondamentale per la costruzione di una fortifica-zione fosse rappresentato dal contesto morfologico a cui il fortilizio doveva adattarsi, assecondandone le forme. Resta ovvio che non meno importante era la scelta del luogo, tenendo debito conto dei possibili vantaggi difensivi concessi dalla natura del terreno47.

Nella fase centrale del Medioevo la vita del ca-stello è meglio attestata dalle fonti scritte, a cui si

46 Ibid.

47 fraNChetti parDo 2001, p. 348.

affiancano alcuni dati materiali di natura architet-tonica. Nel 1280 e nel 1291 sono nominati il borgo (un insediamento limitrofo ma esterno a un castello e quindi generalmente privo di difese), e il girone (l’abitato cinto da un circuito murario, prossimo al cassero ma diviso da quest’ultimo da apprestamen-ti difensivi) del castello di Acquaviva48 e, benchè non sia ricordata in modo esplicito, è ipotizzabile che esistesse ancora una fortificazione sommitale, caposaldo del sistema difensivo (Fase III; fig. 28). Rispetto alla precedente Fase II, nel XIII secolo il castello di Acquaviva dovette conoscere uno svi-luppo demografico tale da imporre non solo un am-pliamento dell’insediamento, ma anche un’artico-lazione precisa degli elementi che lo costituivano. Troviamo infatti la presenza di un primo nucleo in-sediativo fortificato (il girone) e di un ampliamen-to esterno a carattere abitativo (il borgo), elementi menzionati come costitutivi del castello in modo unitario ma comunque distinti, a caratterizzarne la diversa natura e funzione. La mancata conserva-zione di strutture difensive non permette di indivi-duare con certezza l’estensione e la conformazione del castello della Fase III, tuttavia l’analisi della morfologia del sito e del tessuto urbano suggeri-sce che il girone, ovvero il nucleo abitativo forti-ficato, possa essere localizzato nell’area compresa tra le attuali piazza della Libertà, via Pietro Assal-ti e piazza San Rocco. L’area si configura come un terrazzamento pressochè pianeggiante posto a mezza costa tra la sommità occupata dalla Rocca e la sella tra i due rilievi di Acquaviva, ora piazza Risorgimento; i fianchi tuttora scoscesi rendono il

48 Nepi 1982, pp. 188, 197.

Fig. 28. Fase III, Girone e borgo al 1280. Ipotesi di sviluppo urbanistico (al tratto il perimetro del circuito murario, a retino l’area dell’abitato)

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sito naturalmente munito e di facile difendibilità. Il girone, all’interno del quale sarebbe quindi sorta la chiesa di San Rocco, di forme romaniche e ascri-vibile al XIII secolo, era probabilmente dotata di un accesso localizzabile alla confluenza di via Pie-tro Assalti con via Marziale, in corrispondenza del passaggio coperto che ancora si conserva, riportato anche nell’incisione di Marsili secondo un’icono-grafia simile a quella utilizzata per Porta di Piazza (fig. 2). Il borgo quindi si sarebbe sviluppato lungo il pendio, disposto ai due lati della direttrice stra-dale ora nota come via Marziale. Si noti che la base delle mura settentrionali, in adiacenza con il varco carrabile aperto nel 1908, presentano un paramento murario realizzato in ciottoli, conci di pietra e late-rizi frammentati, ascrivibile a una fase precedente alla costruzione delle mura trecentesche in lateri-

zio che vi si sovrappongono; è quindi ipotizzabile che possa trattarsi di un tratto conservatosi della cinta muraria del girone.

Nel 1325 il castello, il cassero (ridotto fortificato interno al castello, che a sua volta poteva conte-nere il palatium residenziale e la torre maestra o mastio) e il girone compaiono menzionati nell’atto di vendita da parte di Francesco d’Acquaviva in favore di Fermo49 (Fase IV; fig. 29). Quest’ultimo documento risulta di estrema importanza in quan-to appare evidente che i termini cassero e girone non vengano utilizzati, come spesso accade, come sinonimi, ma assumono una valenza propria, a de-scrivere una realtà di fatto, come d’altra parte era necessario in un atto di vendita. Il termine casse-ro può infatti avere vari significati a seconda del contesto, identificandosi anche con il girone, ma in

49 Ivi, p. 200.

Fig. 29. Fase IV, Cassero e girone al 1325. Ipotesi di sviluppo urbanistico (al tratto il perimetro del circuito murario, a retino l’area dell’abitato, in rosso le principali strutture difensive conservate)

Fig. 30. Porte e varchi di acquaviva

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linea di massima indica il ridotto fortificato, sino-nimo di arx, rocca e dongione, ovvero la struttura difensiva posta in posizione elevata rispetto al resto del castrum a costituire un punto di avvistamento, di controllo del territorio, di estrema resistenza in caso di attacco e di ostentazione del potere50. Nel tentativo di ricostruire il profilo del castello in que-sta fase concorrono anche dati di natura architetto-nica, derivanti dall’analisi degli elementi difensivi della cinta muraria e della Rocca. A tale fase dob-biamo far risalire la costruzione delle mura conser-vate in parte fino a ora, databili indicativamente al XIV secolo, così come la Rocca che presenta al-cuni elementi similari. La datazione degli elemen-ti difensivi di Acquaviva al momento è possibile esclusivamente su base tipologica, confrontandoli con quelli presenti a Fermo, principale centro forti-ficato dell’area e riferimento politico di Acquaviva a partire dal primo quarto del XIV secolo. A questo periodo o di poco posteriore è la costruzione, o ri-costruzione, della Rocca sulla sommità del colle, forse edificata per volontà di Antonio di Acquaviva († 1395) nell’ultimo ventennio del XIV secolo51.

Un ulteriore ingresso doveva trovarsi alla base dell’asse stradale che attraversava il castello lon-gitudinalmente seguendo la pendenza del crinale da monte verso valle, coincidente con l’attuale via Marziale, in adiacenza con torre nota come “Tor-re dell’Orologio”; le tracce visibili nella muratura della torre possono essere associabili alla presenza

50 Betti, settia 1993, p. 393; settia 2000, p. 301.

51 mauro, tomei 2002, pp. 153-154.

di una cortina muraria che vi si addossava e che venne poi demolita in concomitanza con l’addizio-ne di Terra Nuova e la costruzione di Porta di Piaz-za e, ammessa una sua ipotetica esistenza, di Porta di Bora (fig. 30).

La ricostruzione dell’assetto urbanistico di Ter-ra Nuova non presenta significative difficoltà, in quanto le principali attività edilizie di ambito mi-litare sono testimoniate da un cospicuo numero di documenti d’archivio. In particolare la costruzio-ne della cinta fortificata è da porsi tra il 1486 e il 149452, anticipata forse nel 1486 da un «disigno» per l’ampliamento di Acquaviva a opera di Apol-lonio di Gianfilippo Guerrieri, da intendersi come un progetto voluto dal governo fermano53. L’ulti-ma struttura fortificata realizzata a completamento dell’apparato difensivo è rappresentata dalla rocca minore, nota anche come “fortezza a Mare”, costru-ita sul rilievo giustapposto a quello della Rocca. La rocca minore, iniziata con ogni probabilità a parti-re dal 1486, contestualmente al complesso di Terra Nuova, venne terminata nell’arco di un decennio e menzionata nel 149554 e nel 149955. Le due rocche acquavivane vennero «buttate a terra» dai fermani nel 1503, ma la notizia della presunta distruzione è da interpretare piuttosto con un parziale disarmo delle strutture fortificate, oppure di danneggiamen-

52 Ivi, p. 146.

53 Ivi, p. 148.

54 Ivi, p. 153.

55 Nepi 1982, p. 311.

Fig. 31. Fase V, La rocca, terra Vecchia e terra nuova alla fine del XV secolo. Ipotesi di sviluppo urbanistico (al tratto il perimetro del circuito murario, a retino l’area dell’abitato, in rosso le principali strutture difensive conservate)

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ti successivi a un attacco esterno56. Il quesito che rimane aperto è costituito dalla relazione cronolo-gica tra la costruzione delle mura di Terra Nuova e l’insediamento al suo interno; sebbene non ci siano prove documentarie, né tantomeno materiali, è da ipotizzare che la costruzione della cinta muraria alla fine del XV secolo andasse a circoscrivere una situazione insediativa già consolidata (Fase V; fig. 31), un’espansione urbana esterna alle mura del ca-stello di Terra Vecchia, in quanto il circuito della cinta muraria è essenzialmente da intendersi come il prodotto della forma della città e della morfolo-gia del luogo dove sorge57, così come postulato alla metà del XV secolo circa da L.B. Alberti nel De re aedificatoria. L’origine di tale ampliamento è forse da ascrivere al periodo successivo alla conquista di Acquaviva da parte di Fermo nel 144758: Terra Nuova è infatti caratterizzata da uno sviluppo piut-tosto regolare, articolato lungo assi viari paralleli che delimitano isolati rettangolari, elementi che tradiscono l’esistenza di una pianificazione urba-nistica piuttosto che il consolidamento di uno stato di fatto. Anche a una prima sommaria analisi risul-ta infatti evidente che l’espansione di Terra Nuova non possa essere associata a quella già avvenuta a Terra Vecchia, sviluppatasi nel corso del tempo lungo una direttrice stradale ma in modo sponta-neo, come spesso accade nei centri medievali59, priva di una regolamentazione urbanistica, con una conquista progressiva degli spazi a partire dal cen-

56 Ivi, p. 312.

57 fraNChetti parDo 2001, p. 346.

58 Nepi 1982, p. 293.

59 GuiDoNi 1991, pp. 6, 35.

tro fortificato in quota per poi scendere lungo la dorsale del crinale.

Nel caso di Terra Nuova si osserva al contrario una chiara programmazione degli interventi co-struttivi, con una regolamentazione degli spazi pubblici e privati. Benchè la morfologia del sito imponga allo sviluppo dell’abitato limiti fisici ben precisi e tutt’altro che regolari, lo spazio interno risulta ottimizzato con un bilanciato equilibrio tra viabilità pubblica ed edilizia privata, risultato di un intervento programmatico da parte di un’auto-rità forte come quella del governo di Fermo. Al medesimo progetto urbanistico è da attribuire la costruzione della chiesa dedicata a San Nicolò, realizzata a partire dalla fine del XV e completa-ta verso la seconda metà del XVI60, giunta fino ai nostri giorni nell’ampliamento ottocentesco che, alterando i volumi originali, impedisce una cor-retta lettura delle mura in un settore significativo come quello della piazza centrale di Acquaviva. Il medesimo intento può essere osservato nella co-struzione delle mura e delle torri di Terra Nuova, intesa come realizzazione di un progetto unitario e come tale caratterizzata dagli stessi elementi ti-pici dell’architettura militare (Fase VI; fig. 32). Il consolidamento del dominio fermano ad Acqua-viva si manifesta dunque con un duplice progetto di ammodernamento del castello, posto al confine con i territori ascolani, che interessa sia l’apparato difensivo, sia il tessuto insediativo.

60 Nepi 1982, p. 529.

Fig. 32. Fase VI, La rocca, terra Vecchia e terra nuova alla fine del XV secolo. Ipotesi di sviluppo urbanistico (al tratto il perimetro del circuito murario, a retino l’area dell’abitato, in rosso le principali strutture difensive conservate)

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Conclusioni

La tradizionale articolazione dell’abitato in due settori rispecchia non tanto una separazione fisica tra Terra Vecchia e Terra Nuova, quanto piuttosto la netta distinzione ideologica tra lo sviluppo spon-taneo della medievale Terra Vecchia e quello piani-ficato della rinascimentale Terra Nuova.

Le ricerche effettuate nell’ambito del progetto hanno evidenziato come le trasformazioni più si-gnificative subite dal tessuto urbano siano avve-nute solo in tempi recenti, a partire dalla seconda metà del XX secolo, mentre in precedenza l’abi-tato medievale e rinascimentale aveva sostanzial-mente mantenuto le forme originali, così come la cinta muraria del castello, demolita e obliterata in più tratti ma per lo meno ricostruibile nel perime-tro. In sintesi è corretto sostenere che malgrado si possa osservare una sostanziale tenuta del tessuto urbano medievale e rinascimentale, al tempo stesso si denuncia una scarsa conservazione del circuito murario: paradossalmente, il contenuto si conser-va in condizioni migliori rispetto al contenitore. Il progressivo smantellamento delle mura del castel-lo ebbe inizio con ogni probabilità nel XVI secolo e proseguì nei secoli successivi; si tratta di un fe-nomeno diffuso in tutta la società europea, nelle grandi città tanto quanto nei piccoli centri rurali, giustificato da innumerevoli motivazioni quali la volontà di miglioramento delle condizioni igeni-che, la necessità di ampliamento urbano, il mutato rapporto con il contado, lo sviluppo economico e industriale. Tali giustificazioni tuttavia non avreb-bero potuto cambiare una situazione in essere tanto radicata nella società, se alla base non si fosse ma-nifestata una volontà comune di creare una cesura netta con il passato, caratterizzato appunto dalla “chiusura” fisica e ideologica rappresentata dalle mura cittadine, divenute capro espiatorio di un pro-gresso voluto e atteso61. Un esempio significativo di questa dinamica di disarmo delle difese cittadine risale al 1564, ed è costituito dall’autorizzazione concessa a un privato di costruire al di sopra di una torre della cinta cittadina62. Appare evidente che la funzione difensiva delle mura non doveva apparire più così pressante come in precedenza e che era in-

61 varNi 2005, p. 9.

62 Nepi 1982, p. 325.

vece necessario concedere spazio allo sviluppo ur-bano; altrettanto significativa è la concessione, da-tata 1742, di aprire varchi nelle mura settentrionali di Terra Nuova63. Le mura cittadine in età moderna e contemporanea si rivelano dunque come un osta-colo allo sviluppo dell’abitato. L’incisione di Mar-sili del 1708 è nuovamente una valida testimonian-za per lo studio del passato di Acquaviva, in quanto testimonia l’occupazione di gran parte del circuito murario da parte di abitazioni private64, elemento che almeno in due occasioni, nel 1447 e nel 1487, permise l’ingresso degli assedianti all’interno del castello attraverso abitazioni addossate alle mura65.

Al contrario, alla Rocca veniva riconosciuta an-cora una qualche dignità, se si assiste a interventi di restauro nel 153566 e nel 173567; doveva trattarsi di un preciso interesse conservativo che rientrava nel-la logica del costante rafforzamento dei confini del-lo Stato di Fermo (di cui Acquaviva costituiva un caposaldo), tanto che nel 1536 i fermani inviarono un funzionario per riferire sullo stato della Rocca, in modo tale da decidere se fosse stato più oppor-tuno ripararla oppure ricostruirla in altro luogo68.

63 Ivi, p. 348.

64 BorZaCChiNi 1998, p. 3; maroZZi 1998, p. 19; mauro, tomei 2002, pp. 154-155.

65 Nepi 1982, pp. 233 e nota 35, 254; mauro, tomei 2002, p. 145.

66 Nepi 1982, p. 318.

67 Ivi, p. 348.

68 Ivi, p. 324.

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Il castello tra urbanistica medievale e architettura fortificata

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Tra il 28 novembre e l’8 dicembre 2005 il Diparti-mento di Archeologia dell’Università di Bologna1, ora Dipartimento di Storia, Culture, Civiltà, in ac-cordo con il Comune di Acquaviva Picena e la So-printendenza per i Beni Archeologici delle Marche (Ispettrice archeologa, Dott.ssa Nora Lucentini) ha intrapreso un’indagine archeologica all’interno dello stabile dell’Ex-Ospedale di Sant’Anna2, sito nel settore orientale, o “Terra Nuova”, del borgo acquavivano (fig. 1).

I lavori sono stati condotti ampliando e appro-fondendo un’area di scavo già precedentemente indagata da un’équipe del Dipartimento di Scien-ze, Storia dell’Architettura, Restauro e Rappre-

1 Più precisamente il laboratorio di Topografia, diretto da en-rico Giorgi. del presente contributo è già stata pubblicata una relazione preliminare in ravaioli, veCChietti 2007, pp.

2 l’Ospedale di sant’Anna è un edificio costruito intorno al 1881 (come si evince dalla documentazione d’archivio) e adibi-to a ricovero. Tale datazione appare confermata dalla sua pre-senza nella mappa del 1881 conservata nell’Archivio storico di Ascoli Piceno (vd. de Cesare in questo volume, fig. 10).

sentazione della Facoltà di Architettura e Beni Culturali (Università “G. D’Annunzio” di Chieti-Pescara), e hanno avuto come fine quello di inda-gare la stratigrafia archeologica residua ancora in situ, per giungere a una situazione planimetrica-mente significativa3.

All’interno dello stabile le indagini hanno riguar-dato gli ambienti 3 e 4 (fig. 2), e sono state condotte con l’intento di chiarire due aspetti fondamentali:

1. l’evoluzione storica della cinta muraria edi-ficata in conseguenza dell’ampliamento in

3 i precedenti lavori si erano infatti interrotti prima del com-pletamento della bonifica archeologica dell’area, preliminare alla realizzazione di lavori di ristrutturazione dello stabile per un cambio di destinazione d’uso. si sono avute a disposizione le relazioni di scavo dell’équipe di Chieti-Pescara, parzialmen-te utilizzati per ricostruire la situazione prima dello scavo. la struttura, come indica chiaramente il nome, è stata edificata nel 1881 come Ospedale; dopo un recente periodo di inutilizzo, il Comune aveva voluto destinarlo a casa protetta. la ricerca si è avvalsa per quanto possibile, oltre ai dati storico-archeologici, delle testimonianze orali sulle più recenti fasi di vita del com-plesso, secondo un indirizzo metodologico esposto in milaNese 2005 [2006].

o scavo nel complesso dell’Ex-Ospedale di Sant’AnnaL

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 87-100

Fig. 1. Circuito murario di acquaviva Picena: tracciato conservato (in grigio scuro) e ipotetico (in grigio chiaro). La campitura in arancio indica l’area dell’ex-Ospedale di Sant’anna (rielaborazione dalla mappa catastale)

erikA VeCChieTTidipartimento di storia Culture Civiltà dell’università di Bologna, Bradypus

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direzione est dell’abitato acquavivano (Terra Nuova), individuata nell’area oggetto di in-dagine (ambienti 3-4);

2. la destinazione d’uso dell’area posta in cor-rispondenza dell’ambiente 3 (vd. la pianta in fig. 2), interessata dalla costruzione, in epoca moderna, di una serie di strutture pro-duttive (probabilmente legate al ciclo di la-vorazione del laterizio)4 precedenti alla rea-lizzazione dell’Ospedale di Sant’Anna e da esso obliterate.

Quanto al primo punto dell’elenco, all’interno

4 ipotesi suffragata dal rinvenimento di copioso materiale la-terizio (intero e in frammenti) utilizzato come riempimento e livellamento dell’area (us 4002), in particolare dell’ambiente 4.

del fabbricato dell’Ex-Ospedale di Sant’Anna si trovano in parte inglobate nelle pareti, in parte ra-sate a livello delle fondazioni delle strutture suc-cessive, le mura urbiche di Acquaviva. La posizio-ne di quest’ultimo all’interno del borgo consente quindi di avere una testimonianza diretta delle le dinamiche che interessarono la cinta urbana anche dopo la cessazione della sua utilità difensiva, di-namiche che portarono alla progressiva “privatiz-zazione” dei tratti di mura e a un loro successivo parziale smantellamento.

Come già scritto dettagliatamente in preceden-za5, l’ampliamento tardo quattrocentesco del bor-

5 Vd. il contributo di e. ravaioli sull’evoluzione del castello e del borgo in questo volume.

Fig. 2. acquaviva Picena, area dell’ex-Ospedale di Sant’anna: planimetria di fine scavo con evidenziazione delle strutture rinvenute. In grigio, le mura urbiche

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Lo scavo nel complesso dell’ex-Ospedale di Sant’anna

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go acquavivano verso la Terra Nuova assunse un aspetto razionale e ordinato di fondazione6; lo sviluppo urbano procedette da due tracciati via-ri paralleli in senso est-ovest (che collegavano le due sommità del colle), ai quali si aggiungevano i percorsi lungo le mura, lasciati obbligatoriamente liberi per le operazioni militari e in caso di assedio. Il terreno tra i due tracciati viari venne poi suddi-viso in lotti (5,958 m sul fronte strada per 7,447 m in profondità) destinati a edifici privati7. Dal XVII secolo la Rocca e il borgo cinto di mura iniziarono a perdere il loro ruolo difensivo8 e lo spazio imme-diatamente a ridosso delle mura divenne oggetto di occupazione edilizia: sempre maggiori si fanno le concessioni da parte del comune di Fermo, sotto il cui dominio allora Acquaviva era sottoposta, ad addossarsi con le abitazioni alla cinta, talvolta fa-cendole sporgere all’esterno, e si fa pressante la ne-

6 Analogo assetto urbanistico regolare nell’ampliamento dell’abitato è riscontrabile nel sito di Monte Copiolo nel Mon-tefeltro (ermeti, saCCo, voNa 2008 e 2012; saCCo 2013).

7 tomei 1998, pp. 154 ss.

8 maroZZi 1988, pp. 13-14, nota 9.

cessità di risarciture a seguito della realizzazione di aperture nel perimetro murario conseguenti all’edi-ficazione di abitazioni direttamente appoggiate a esso9. Il rischio insito in tale pratica, e, per contro, la diffusione della medesima anche in periodi an-teriori alla perdita di efficacia difensiva della cinta urbica emerge chiaramente da due episodi, avve-nuti nel corso del XV secolo, in cui gli assedianti utilizzarono, per entrare nel castello, varchi nelle abitazioni addossate alle mura10.

Lo scavo stratigrafico

Lo scavo all’interno dello stabile dell’Ex-Ospe-dale di Sant’Anna è avvenuto all’interno dei due vani (3 e 4 in fig. 2) interessati dai lavori edilizi di ristrutturazione. La suddivisione in due vani è stata mantenuta per comodità, in quanto risultante dalla disposizione planimetrica degli spazi dell’Ospeda-le, costruito ad Acquaviva Picena intorno al 1881 e smantellato durante il secolo scorso11.

Al momento dell’inizio dei lavori, l’area di scavo dell’ambiente 4 era già stata parzialmente indagata: era stato messo in luce il settore meridionale del-la cisterna 2 e la testa delle due cortine costituenti le mura urbiche della città (USM 3079 e 4700, in grigio in fig. 2), a lato delle quali era stata aperta una trincea. Era stata inoltre svuotata la cisterna 1 (posta nella porzione nord-orientale dell’edificio), in cui scolava una canaletta individuata nel settore settentrionale dell’ambiente (USM 4011).

È apparso immediatamente evidente come le mura urbiche della città fossero costituite, in que-sto tratto, da una doppia cortina prodotta da due di-stinti interventi costruttivi. Contestualmente al se-condo intervento edilizio, finalizzato a raddoppiare lo spessore delle mura, è stata realizzata quella che potrebbe essere identificata come una torre a pianta quadrata. Partendo da questi rinvenimenti, lo sca-vo nel fabbricato dell’Ex-Ospedale di Sant’Anna

9 BorZaCChiNi 1998, p. 36; maroZZi 1998, p. 19 e nota 33; tomei 1998, pp. 154-155.

10 i due episodi sono documentati nel 1447: Nepi 1982, p. 233 e nota 35; tomei 1998, p. 145 con bibl. prec., e nel 1487: Nepi 1982, p. 254.

11 Seguono trattazione analitica di ciascuno degli ambienti, ma-trix ed elenchi uuss (in fondo al contributo).

Fig. 3. Sezione delle mura della “terra nuova”, visibili all’interno della sezione delle murature dell’ex-Ospedale di Sant’anna. Si vede la cortina muraria con andamento a scarpa evidenziata dal-la linea nera (foto ed elaborazione di e. ravaioli, raVaIolI VecchIettI 2007, fig. 21)

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ha aperto nuovi problemi sulla cronologia e le fasi dell’ampliamento del borgo fortificato attraverso la costruzione della cinta urbica della Terra Nuo-va. Tradizionalmente, essa viene riferita a un solo intervento costruttivo (1486-1494)12; la presenza di una struttura che ha l’apparenza di una torre quadrata appoggiata alle mura (con indizio di scar-pa), peraltro di una tipologia ampiamente presente nel circuito murario acquavivano più antico (Ter-ra Vecchia), ma del tutto assente nella cinta del-la Terra Nuova, caratterizzata da torri cilindriche scarpate con beccatelli trilobi (una delle quali, la Torre Sud, è inglobata nello stesso stabile dell’Ex-Ospedale, a breve distanza da quella in questio-ne13), rende complessa e pluristratificata un’opera di fortificazione che, dalla testimonianza delle fon-ti, sembrerebbe invece frutto di un unico interven-to costruttivo. L’assenza di questa torre quadrata nella veduta del Marsili (1708)14, e nel Catasto del 181515, indurrebbe a supporre una sua obliterazio-ne già prima del 170816.

12 Vd. nota 5.

13 Vd. fig. 1 e il contributo di e. ravaioli in questo volume, fig. 21.

14 Vd. il contributo di s. de Cesare in questo volume, in part. fig. 8.

15 Ibid., fig. 9.

16 l’ipotesi di una sua connessione con la cinta urbica e non con il tessuto abitativo cresciuto a ridosso delle mura, all’interno del borgo, risulta avvalorata anche dall’allineamento della tor-re con la cinta stessa, mentre le strutture rinvenute all’interno

L’area di scavo dell’ambiente 3 era stata anch’essa parzial-mente indagata in precedenza: come nel caso dell’ambiente 4, era stata scavata una trincea che correva a lato delle mura ur-biche, di cui era stata messa in luce la parte superiore. La vasca 1 era stata parzialmente svuotata come la vasca 2, di cui era stata asportata una parte del riempi-mento. La struttura stratigrafica-mente più alta, oltre l’Ospedale, appariva evidentemente costitu-ita dalla canaletta USM 3083.

La stratigrafia residua si con-centra intorno ai resti di una for-nace (fig. 4), in parte obliterata

dalle mura dell’Ospedale, e nel settore meridiona-le dell’ambiente, tra le mura urbiche delle città e le pareti dell’Ospedale medesimo. In particolare, un’attenta pulizia del deposito archeologico loca-lizzato in quest’area ha consentito di individuare la quota di due pavimenti pertinenti l’Ospedale, posti il superiore a una quota di -0,17 m (US 3001), l’in-feriore a una quota di -0,24 m (US 3002); tutte le stratigrafie residue recavano inoltre traccia di uno spesso riporto (US 4002) posto al di sotto del piano pavimentale più basso, costituito prevalentemente da mattoni interi, senza traccia di precedenti utiliz-zi, e da alcuni frammenti laterizi. È probabile che questa US costituisse uno strato di livellamento, steso per obliterare la strutture presenti al di sotto dell’Ospedale, tramite l’utilizzo di materiali di fa-cile reperimento (l’analisi dei moduli dei mattoni ha rivelato l’identità tra i campioni di laterizi interi provenienti dall’US 4002 e i mattoni utilizzati per rialzare il fondo della vasca 2).

Nell’ambiente 3, infine, era ben visibile anche un profondo taglio circolare (US 3023) sulla cui data-zione rimangono ancora numerosi dubbi.

delle mura, di certo posteriori, risultano già orientate secondo gli assi viari che percorrono il borgo in senso est-ovest, e che rappresentano le direttrici di espansione verso est del borgo. se non interpretabile come torre, tale struttura deve comunque essere intesa come un annesso funzionale alla struttura difensiva (almeno a giudicare dallo spessore medio delle murature, assai prossimo a quello della cinta muraria), accessibile dall’esterno attraverso un’apertura a livello della scarpa.

Fig. 4. una delle due fornaci individuate nell’ambiente 3

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Lo scavo nel complesso dell’ex-Ospedale di Sant’anna

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Le mura urbiche

Nell’ambiente 4 l’indagine ha riguardato sia l’area a sud delle mura, posta all’esterno della struttura interpretabile come torre quadrata, sia l’interno della torre, dove sono state messe in luce le fondazioni di entrambe le cortine murarie17,

17 Quota fondazione delle mura urbiche (usM 1079): -1,26 m.Quota fondazione della torre (muro laterale = usM 4700): -0,99 m. Quota fondazione della torre (muro frontale = usM 4004): -1,31 m. le quote si riferiscono allo 0 di cantiere, posto a una quota di circa + 1,42 m rispetto il piano stradale esterno, risultato di un intervento moderno volto a livellare la scarpata esterna alle mura medievali.

costruite contro terra sul fronte interno, con muratura a sacco e paramento in filari di laterizi all’esterno. I riempimenti della torre sono stati scavati fino a giungere allo strato sterile (US 4006). Asportato lo strato più alto, tagliato dalla fossa di fondazione della torre (US 4016), è stata individuata una profonda buca (US 4021) posta immediatamente a ridosso delle mura e caratterizzata da due distinti riempimenti (US 4005, 4035). I materiali rinvenuti in questo strato (maioliche e ceramica comune)18, tagliato dalla cortina meridionale della torre, sono genericamente riferibili a un orizzonte cronologico di XV-XVI secolo, e cosentono di ipotizzare una datazione della torre stessa di poco posteriore alla realizzazione della prima cinta muraria di fortificazione della Terra Nuova (1486-1494, vd. supra).

Lo scavo dell’area esterna alla torre (fig. 6) ha messo in luce, fino a una profondità di -0,72 m, parte del suolo (obliterato dall’Ospeda-le e tagliato dalle fondazioni del-la torre) recante evidenti tracce di uno sfruttamento a scopi agricoli dell’area immediatamente prospi-cente le mura urbiche del borgo (US 4007).

La cisterna 2 (fig. 7) ha rivelato una stratigrafia piuttosto comples-

sa. L’asportazione del riempimento ha consentito di mettere in luce le pareti in laterizio della cisterna (USM 4027), il cui lato meridionale poggia diret-tamente sulle mura urbiche, pesantemente intacca-te da interventi successivi volti alla demolizione e al probabile reimpiego dei laterizi. Le pareti della cisterna sono state inoltre tagliate da un setto mu-rario che corre in direzione est-ovest lungo l’asse mediano della struttura (USM 4033), e su cui si ap-poggia un secondo setto murario (USM 4079) ca-

18 rinvenuti in stato estremamente frammentario. Confronti in sCioli, troiaNo, verroCChio 2002; verroCChio 2003 [2004].

Fig. 5. un tratto delle mura urbiche, rasate all’altezza delle fondazioni dell’Ospedale, messo in luce durante lo scavo

Fig. 6. un angolo della torre quadrata. Si vedono il profilo esterno a scarpa e l’interruzione della muratura in corrispondenza della porta d’accesso.

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ratterizzato un andamento leggermente divergente. L’USM 4033 è coperta dal muro dell’Ospedale, che divide gli ambienti 3 e 4 e appare, quindi, pre-cedente alla realizzazione di quest’ultimo.

Sono stati messi in luce, inoltre, fondo (in calce, posto a una quota di -1,74 m, US 4026) e sottofon-do della cisterna stessa (US 4025).

Un frammento di maiolica datato 1786 (fig. 8), rinvenuto nel riempimento della cisterna 2, forni-sce un terminus post quem della defunzionalizza-zione della medesima.

Anche nell’ambiente 3 si è proceduto a scavare i riempimenti del settore ovest della torre, tagliati dalla canaletta (USM 3083), abbassando il piano prospicente il tratto di mura indagato fino giunge-re a una quota significativa. In particolare, è stato messo in luce un focolare (US 3038) posto nell’an-golo sud-occidentale dell’Ospedale, e un piano con evidenti tracce di fuoco, entrambi realizzati nel de-posito archeologico tagliato dalle fondazioni delle mura e della torre. Queste unità stratigrafiche, in-sieme al coltivo rinvenuto nell’ambiente 4, costitu-iscono un chiaro indizio di attività svolte nell’area di Terra Nuova prima del suo inglobamento all’in-terno delle mura.

Il muro perimetrale della torre (USM 3033, USM 3053) si interrompe in corrispondenza di quella che è plausibilmente un’apertura posta in corrispon-denza dell’angolo nord-occidentale della medesi-ma (fig. 6). Le indagini svolte in quest’area han-no inoltre consentito di mettere in luce l’imposta della scarpa della torre, individuata a ridosso della fondazione della facciata dell’Ospedale e messa in luce fino a una quota massima di -1,17 m19.

La fornace

I resti della fornace (fig. 4) sono costituiti da un piano concottato e parzialmente vetrificato (US 3054), che costituiva il fondo del piano di cottura o del prefurnio, e da due spallette in laterizio (US 3030A e 3030B), vetrificate nei lati reciprocamente prospicienti. Immediatamente a nord dell’US 3054 è stata scavata la cisterna 3, costituita da pareti in laterizio e dai resti dell’imposta della volta.

Il riempimento era costituito in gran parte da cenere, mentre il fondo (individuato a una quota massima di -1,50 m) appariva rubefatto.

19 la quota non si riferisce al fondo della fondazione, ma alla profondità massima a cui, a causa dell’angustia dell’ambiente, è stato possibile arrivare.

Fig. 8. Frammento di maiolica con data 1786 rinvenuto all’interno della cisterna 2 (brocca)

Fig. 7. Panoramica della cisterna 2. Sulla destra le mura urbiche a cui la struttura si appoggia

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Lo scavo nel complesso dell’ex-Ospedale di Sant’anna

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Le vasche

Le vasche 1 e 2, poste rispettivamente nei setto-ri nord ed est dell’ambiente 3, sono state svuotate fino a metterne in luce il fondo.

La vasca 1 (USM 3040), coperta da uno strato di tritume laterizio finissimo e compatto (US 3039), presentava un fondo costituito da laterizi di spesso-re contenuto ordinatamente allettati in tenace mal-ta di calce; la parete S di questa struttura risultava inoltre rasata (taglio US 3046).

La vasca 2 (US 3084) era riempita da laterizi ordinatamente disposti in più corsi non legati con malta (US 3087). Il fondo della vasca 2 era costi-tuito da laterizi affogati in una malta molto tenace (US 3086), degrassata con sabbia fine.

Conclusioni

Le indagini condotte sul campo consentono di raggruppare la evidenze archeologiche indagate, grazie ai reciproci rapporti stratigrafici individuati, in quattro fasi qui di seguito esposte e corrispon-denti ai principali interventi costruttivi realizzati nell’area dell’Ex-Ospedale di Sant’Anna:

Fase I (1486-1494): costruzione della cinta muraria a fortificazione della Terra Nuova (1486-1494, USM 3079);

Fase II (post 1494): fasciatura della prima cinta muraria e costruzione della struttura (torre?) qua-drata (UUSSMM 4700, 4004, 3033, 3053, 3081);

Fase III (post 1494-1786/1815): vita dell’im-pianto produttivo, probabilmente destinato alla produzione del laterizio, nell’area a ridosso delle mura (vasche 1-2; cisterne 2-3; fornace). Lo sman-tellamento dell’impianto produttivo è databile tra 1786 (terminus post quem dello riempimento della cisterna 2) e 1815, data della mappa del Catasto Pontificio20), in cui la cinta muraria appare già obli-terata da un altro fabbricato;

20 Vd. de Cesare in questo volume, fig. 9.

Fase IV (post 1815 ca.): obliterazione delle mura urbiche e costruzione dello stabile che poi verrà occupato dall’Ospedale di Sant’Anna (1881 ca.); nel complesso dell’Ospedale si possono riconosce-re, a una prima analisi, due distinte fasi edilizie:

fase IV.a , costruzione delle mura perimetrali e portanti dell’edificio (che coprono o includono al loro interno le mura urbiche), con contestuale rea-lizzazione delle canalette USM 3083 e USM 4011 con cisterna 1;

fase IV.b, realizzazione, all’interno dei vani analizzati, di tramezzi murari non portanti (USM 3048, USM 4079);

Fase V (fine del XX secolo): smantellamento dell’Ospedale e lavori edilizi.

Ci si augura, grazie al recente riordino e riaper-tura al pubblico dell’Archivio Storico del Comu-ne di Acquaviva Picena21, di poter approfondire la vicenda storica dell’area dell’Ex-Ospedale di Sant’Anna alla luce dei documenti in esso conte-nuti, verificando le ipotesi desunte dall’analisi dei dati archeologici.

21 l’Archivio storico comunale di Acquaviva Picena è ora aperto e fruibile a Palazzo Celso ulpiani. Vd. anche il contributo introduttivo di e. Vecchietti in questo volume.

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Lo scavo nel complesso dell’ex-Ospedale di Sant’anna

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AMBIENTE 3MATRIX

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AMBIENTE 3ELENCO US E RAPPORTI STRATIGRAFICI

US/USM DESCRIZIONE RAPPORTI

US 3001 Primo livello pavimentale individuato alla quota più alta, corrispondente al pavimento più recente dell'Ospedale

Copre US 3002

US 3002 Secondo livello pavimentale dell'Ospedale, realizzato in mattonelle di cotto

Coperto da US 3001; copre US 3003

US 3003 Strato decoeso costituito da macerie (frammenti di laterizi, ciotoli, calce), costituente il riempimento di US 3004

Coperto da US 3002; riempie US 3004

US 3004 Taglio Taglia US 3005, 3006, 3011; riempito da 3003

US 3005 Strato compatto di cocciopesto, possibile livello pavimenta-le immediatamente precedente la costruzione dell'Ospedale

Tagliato da UUSS 3004, 3008; copre UUSS 3009, 3011, USM 3033; coperto da US 3007

US 3006Strato poco compatto composto da argilla, calce, mattoni; la parte sommitale dello strato risulta maggiormente coesa

Uguale a US 3011; coperto da UUSS 3005, 3009; tagliato da UUSS 3004; copre UUSS 3036, 3038, USM 3081; gli si appoggia US 3037, USM 3033

US 3007 Strato di accumulo del cocciopesto (US 3005) asportato dal taglio della canaletta (US 3008)

Copre US 3005

US 3008Taglio effettuato per la realizzazione della canaletta (USM 3083)

Taglia UUSS 3005, 3009, 3011, 3014, 3028, 3041, 3045, 3047, UUSSMM 3020, 3079, 3084; riempito da USM 3083

US 3009 Strato di allettamento del cocciopesto (US 3005) Coperto da US 3005; copre US 3011

US 3011Strato decoeso di macerie con polvere di calce, scheggie laterizie e pietrame; la parte superiore dello strato risulta compattata

Uguale a US 3006

US 3013 Strato poco compatto e incorente di laterizi e ciotoli Copre UUSS 3018, 3014, USM 3016; coperto da UUSSMM 3022, 3090, 3085, 3088

US 3014 Strato marrone scuro molto compatto a matrice limo-argillosa

Tagliato da UUSS 3008, 3015, 3017, 3021, 3023, USM 3090; coperto da US 3013

US 3015 Taglio effettuato per la costruzione di USM 3016 Taglia US 3014; riempito da USM 3016

USM 3016 Struttura con perimetro rettangolare realizzata in laterizi. Riempie US 3015; coperto da US 3013; gli si appoggia US 3018

US 3017 Taglio per la costruzione di USM 3020 Taglia US 3014; riempito da USM 3020

US 3018 Strato di colore grigio chiaro costituito da cenere Copre US 3019; si appoggia a USM 3016; coperto da US 3013

US 3019 Strato a matrice limo-argillosa, di colore rosso, rubefatto dal contatto con la cenere (US 3018)

Copre US 3014; coperto da US 3018

USM 3020 Struttura muraria a ovest della canaletta (USM 3083) e a nord di USM 3016

Riempie US 3017; coperto da USM 3090; tagliato da US 3008

US 3021Taglio effettuato per la costruzione di USM 3022 (tramezzo murario non portante appartenente alla fase edilizia più recente dell'Ospedale)

Taglia UUSS 3014, 3024; riempito da USM 3022

USM 3022 Tramezzo in laterizi, appartenente alla fase edilizia più recente dell'Ospedale, posto a nord-ovest dell'ambiente 3

Uguale a USM 3048; riempie US 3021; copre USM 3083; gli si appoggia US 3013

US 3023Taglio di forma circolare, posto nel settore nord dell'am-biente 3, con pareti verticali e fondo piatto, riempito da US 3024

Taglia US 3014; riempito da US 3024

US 3024 Riempimento del taglio US 3023 Riempie US 3023; tagliato da US 3021

US 3028 Strato rossastro rubefatto probabilmente dal calore della fornace USM 3030

Tagliato da UUSS 3008, 3029; coperto da US 3054, USM 3030

US 3029 Taglio effettuato per la costruzione della fornace USM 3030 Taglia US 3028; riempito da USM 3030, US 3054

USM 3030Struttura in laterizi probabile muretto del prefurnio della fornace USM 3030; la parte meridionale (3030B) è vetrifica-ta a causa del calore

Riempie US 3029; copre US 3028

USM 3033 Struttura muraria localizzata a sud delle mura urbiche, coperta da USM 3005

Coperto da USM 3005; gli si appoggia US 3011; è coperto da USM 3090; è coperto da US 3035

US 3034 Taglio effettuato per la costruzione dei muri laterali e della facciata sud dell'Ospedale

Taglia USM 3006; riempito da USM 3090, US 3035

US 3035Riempimento del taglio per la realizzazione dei muri late-rali e della facciata sud dell'Ospedale, composto di ghiaia, framenti laterizi e malta di calce

Riempie US 3034; si appoggia a USM 3090; copre USM 3033

US 3036 Strato di terreno limo-argilloso tagliato dalle fondazioni di USM 3081

Tagliato da US 3052; coperto da UUSS 3006, 3011, 3038; copre 3050

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US/USM DESCRIZIONE RAPPORTI

US 3037 Taglio su USM 3081 Taglia US 3006; riempito da 3049

US 3038 Focolare costituito da piano rubefatto dal calore, delimita-to da ciotoli di medie dimensioni

Tagliato da USM 3052; copre US 3036; coperto da US 3006

US 3039 Stato di laterizi sbriciolati frammisto a scaglie di pietra, riempie la vasca 1 (USM 3040)

Copre USM 3040, UUSS 3041, 3045; si appoggia a USM 3048

USM 3040 Vasca (vasca 1) con pareti e fondo in laterizio posta a nord del vano

Coperto da UUSS 3039, 3045; tagliato da US 3046 copre US 3047

US 3041Strato di argilla sabbiosa marrone con ghiaia, frustuli di carbone e grumi di malta

Coperto da US 3039; tagliato da UUSS 3008, 3046gli si appoggia US 3045

US 3042 Taglio a ridosso della vasca in laterizi (vasca 2) USM 3084 Riempito da US 3043 e da USM 3044

US 3043 Riempimento US 3042 Riempie US 3042; copre USM 3044 si appoggia a USM 3084

USM 3044 Piano di laterizi Coperto da US 3043; si appoggia a USM 3084

US 3045 Riempimento Riempie US 3046; copre USM 3040, US 3047; si appoggia a UUSS 3041, 3047, USM 3048

US 3046 Taglio effettuato nella vasca 1 (USM 3040) per la realizza-zione della fondazione del setto murario (USM 3048)

Taglia UUSS 3041, 3047, USM 3040; riempito da US 3045, USM 3048

US 3047 Strato argilloso, di colore bruno scuro, posto a E della vasca 1 (USM 3040)

Tagliato da UUSSMM 3040, 3048, 3090, US 3008; 3046

USM 3048Tramezzo murario con andamento est-ovest, posto nel set-tore N dell'ambiente 3; costruito in fase con USM 3022

Uguale a USM 3022; riempie US 3046; gli si appoggia US 3045; si appoggia a USM 3090

US 3049 Riempimento del taglio US 3037 su USM 3081 Riempie US 3037; si appoggia a US 3006

US 3050Strato concottato (potente 30 cm ca.), tagliato dalle fosse di fondazione (UUSS 3051, 3052) delle strutture UUSSMM 3033, 3081

Tagliato da UUSS 3051, 3052; coperto da UUSS 3036, 3053

US 3051 Taglio effettuato per la fondazione di USM 3033 Taglia US 3050; riempito da USM 3033

US 3052 Taglio effettuato per la fondazione di USM 3081 Taglia UUSS 3036, 3038 3050; riempito da USM 3081

US 3053 Strato costituito da argilla e poca calce posto tra USM 3081 e 3033, probabile resto di un setto murario

Coperto da 3011; copre US 3050

US 3054 Zona superiore di US 3028, concottata a causa del calore Copre US 3028

US 3079 Mura urbiche (struttura più antica) Gli si appoggia USM 3081; tagliato da USM 3008; coperto da USM 3080

US 3080 Struttura pertinente al camino dell'Ospedale Copre UUSSMM 3081, 3079

US 3081 Struttura muraria Si appoggia a 3079; riempie US 3052; coperto da US 3006, USM 3080

US 3083 Canaletta Riempie 3084: si lega a USM 3090

USM 3084 Vasca 2, in laterizi Coperta da 3087; tagliata da 3008

US 3085 Soglia posta a nord-ovest dell'ambiete 3 Uguale a USM 3090; copre US 3013

US 3086 Stato di calce posto sul fondo della vasca 2 Copre USM 3084; coperto da 3087

US 3087 Strato di mattoni legati da scarsa calce rinvenuto all'interno della vasca 2

Copre USM 3086

USM 3088 Struttura muraria in laterizi posta in corrispondenza della porta ovest dell'ambiente 3

Uguale a USM 3090

USM 3090

Muri laterali e facciata sud dell'Ospedale Uguale a UUSSMM 3085, 3088; si lega a USM 3083; riempie US 3034; copre UUSSMM 3033, 3020; taglia UUSS 3047, 3014; gli si appoggia USM 3048

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AMBIENTE 4MATRIX

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AMBIENTE 4ELENCO US E RAPPORTI STRATIGRAFICI

US/USM DESCRIZIONE RAPPORTI

US 4001 Strato di terreno limo-argilloso di colore marrone scuro con piccole lenti di calce e sabbia

Copre US 4002; si appoggia a USM 4018

US 4002Strato di scaglie di pietra calcarea e di laterizi prive di legante ma con sporadiche concrezioni calcaree che legano alcuni frammenti

Coperto da US 4001; copre US 4003; si appoggia a USM 4018

US 4003 Strato costituito da sabbia e argilla con inclusi laterizi, ciotoli, grumi di malta di calce

Coperto da US 4002; copre UUSS 4007, 4019, USM 4700; si appoggia a USM 4018

USM 4004Struttura muraria realizzata a sacco, con paramento in laterizi legati da malta di calce e con andamento est-ovest (torre)

Contemporaneo a USM 4700; coperto da USM 4018, US 4003; gli si appoggiano UUSS 4017, 4020

US 4005 Strato compatto di matrice argillosa mista a calce Coperto da UUSS 4017, 4019; tagliato da US 4016; riempie US 4021; copre US 4035

US 4006 Strato bruno scuro molto compatto, di matrice limo-argil-losa

Tagliato da UUSS 4015, 4016, 4021, 4034; coper-to da US 4019; copre 4032

US 4007Strato di colore bruno scuro a matrice argillosa ricco di carboncini, compatto e posto ad est di USM 4700 e a sud di USM 4004. Possibile suolo agricolo

Tagliato da UUSS 4008, 4016, 4018; coperto da UUSS 4003, 4019

US 4008 Taglio di forma rettangolare a est di USM 4700 e perpendi-colare a esso

Taglia US 4007

US 4009 Strato compatto di colore bruno scuro a nord di USM 4079 Tagliato da US 4012; coperto da US 4030; gli si appoggia US 4024; coperto da US 4022

US 4010 Taglio della fondazione del tramezzo USM 4079 Taglia 4024; riempito da 4079

USM 4011 Struttura a nord di USM 4079 da interpretare come cana-letta

Riempie 4012; copre 4030; coperta da USM 4018, US 4022

US 4012 Taglio effettuato per la realizzazione di USM 4011 Taglia US 4009; riempito da US 4030, USM 4011

US 4015 Taglio per la realizzazione di USM 4018. Taglia US 4006; riempito da US 4020, USM 4018

US 4016 Taglio per la realizzazione di UUSSMM 4700 e 4004 Taglia UUSS 4005, 4006, 4007; riempito da 4017

US 4017 Terreno di riempimento a matrice argillosa poco compatta con frammenti di laterizi, malta di calce, ciotoli

Riempie US 4016; copre US 4005 tagliato da US 4015; si appoggia a UUSSMM 4004, 4700 coperto da UUSS 4019, 4020

USM 4018Setto murario dell'Ospedale posto tra gli ambienti 3 e 4 Gli si appoggiano UUSS 4001, 4002, 4003, 4019,

4020; copre USM 4004; taglia US 4007; riempie US 4015

US 4019 Strato di terreno a matrice limo argillosa, rubefatto in più punti dall'azione del fuoco

Copre UUSS 4005, 4006, 4007, 4017, 4020; si appoggia a USM 4018; coperto da US 4003

US 4020 Riempimento di US 4015 Riempie US 4015; copre US 4017; si appoggia a UUSSMM 4018, 4004; coperto da US 4019

US 4021 Taglio Taglia UUSS 4006, 4035; riempito da US 4005

US 4022 Uguale a 3014, strato argilloso di riporto Si appoggia a UUSSMM, 4029, 4079; copre UUSS 4009, 4024, USM 4011

US 4023 Taglio effettuato per l'asportazione delle pareti della cisterna 2

Taglia US 4026, USM 4027; riempito da US 4024

US 4024Riempimento posteriore alla distruzione della cisterna 2 costituito da materiale decoeso composto da laterizi e numerosi frammenti ceramici

Riempie US 4023; copre UUSS 4025, 4026, USM 4027; tagliato da US 4010; si appoggia a USM 4033, US 4009; coperto da US 4022

US 4025 Strato di terreno argilloso compatto sottostante la cisterna 2

Coperto da UUSS 4024, 4026, UUSSMM 4027, 4033; tagliato da US 4028

US 4026 Strato di calce compatto costituente il probabile fondo della cisterna 2

Coperto da US 4024, USM 4033; tagliato da US 4023; si appoggia a USM 4027; copre US 4025

USM 4027

Pareti della cisterna 2 in laterizi, si appoggiano alle mura urbiche (USM 3079)

Si appoggia a USM 3079; riempie US 4028; co-perto da US 4024, UUSSMM 4033, 4079; tagliato da US 4023; copre US 4025; gli si appoggia US 4026

US 4028 Taglio effettuato nel terreno per la realizzazione della cisterna 2

Taglia US 4025; riempito da USM 4027

USM 4029Setto murario pertinente all'Ospedale, posto a nord-est del-la cisterna 2, copre le mura urbiche (USM 3079) e le pareti della cisterna 2

Copre UUSSMM 3079, 4027; gli si appoggia US 4022

USM 4030 Fondo della canaletta (USM 4011) Copre US 4009; riempie US 4012; coperto da USM 4011

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US/USM DESCRIZIONE RAPPORTI

US 4032 Strato di colore grigio scuro, su cui si appoggiano le mura urbiche (USM 3079)

Coperto da USM 3079, US 4006

USM 4033 Setto murario Coperto da UUSSMM 4029, 4079; copre UUSS 4025, 4026, USM 4027; gli si appoggia US 4024

US 4034 Taglio Taglia US 4006; riempito da US 4035

US 4035 Riempimento del taglio US 4034 Riempie US 4034; tagliato da 4021; è coperto da US 4005

USM 4079 Tramezzo murario pertinente alla più recente fase edilizia dell'Ospedale

Riempie US 4010; copre USM 4027; gli si appog-gia US 4022; si appoggia a USM 4029

USM 4700Struttura muraria realizzata a sacco, con paramento in laterizi legati da malta di calce e con andamento nord-sud (torre)

Contemporaneo a 4004; gli si appoggia US 4017; si appoggia a USM 3079

USM 3079 Struttura muraria realizzata a sacco, costituente parte della cinta muraria più antica della città

Copre US 4032; gli si appoggiano UUSSMM 4700, 4027; coperto da USM 4029

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Le ricerche archeologiche

Le ricerche archeologiche nella Rocca

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Tra il 2004 e il 2007, nell’ambito delle ricerche del Laboratorio di Rilievo delle Strutture Archeolo-giche del Dipartimento di Archeologia dell’Univer-sità di Bologna (ora Dipartimento di Storia Culture Civiltà), la Rocca di Acquaviva Picena è stata tra-sformata in un autentico cantiere sperimentale per differenti tecniche di rilievo topografico e geofisi-co1. Alle attività hanno partecipato specializzandi e studenti in Archeologia, che hanno beneficiato, contribuendovi in prima persona, dell’impostazio-ne didattica e formativa dei lavori (fig. 1).

1 sulle ricerche del laboratorio di Topografia ad Acquaviva si vedano GiorGi, veCChietti, BoGDaNi 2007, § 5.1; altiNi et al. 2005.

Accanto alla sperimentazione, anche l’integra-zione di metodi e strumenti è stata alla base delle ricerche, ma sempre all’insegna della “sostenibilità economica” del progetto, che ha dunque fatto te-soro della motivazione e della sete di conoscenza dei più giovani, ma anche del ricco apparato stru-mentale in dotazione del Laboratorio di Topografia del Dipartimento di Archeologia, anche attraverso la felice collaborazione con una giovane società di geofisica del territorio (Exploro s.a.s.).

sperienze di topografia e geofisica

FederiCA BOsChi, MiChele silAnidipartimento di storia Culture Civiltà dell’università di Bologna

E

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 103-111

Fig. 1. Il Laboratorio di topografia ad acquaviva Picena (foto di Pierluigi giorgi, 2005)

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FederICa BOSChI, MICheLe SILanI

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gli standard richiesti per l’analisi architettonica e archeologica, mentre non si può dire lo stesso per il rilievo tridimensionale che, sulla base degli stru-menti in dotazione e del tempo a disposizione, si è deciso di limitare alla resa di un ingombro com-plessivo della Rocca.

Alla luce delle esperienze parallelamente condot-te dal Laboratorio di Topografia in altri contesti di area adriatica in tempi successivi4, dove l’utilizzo di strumenti topografici di ultima generazione come le stazioni robotizzate ad alta precisione5 e i laser scanner ambientali hanno permesso di ottenere ri-sultati di qualità superiore (anche attraverso col-laborazioni interdisciplinari), si può avanzare una riflessione critica sulle attività di rilievo svolte ad Acquaviva Picena. Da questo punto di vista, infatti, l’esperienza acquavivana meriterebbe un aggiurna-mento che auspichiamo per il futuro.

In termini generali, emerge come il rilievo to-pografico realizzato per la Rocca, pur di estrema accuratezza dal punto di vista planimetrico, non possa essere equiparato, per integrità di dato, a una restituzione tridimensionale di alto livello. Se da un punto di vista archeologico il risultato appare comunque funzionale e soddisfacente, la mancan-za di un rilievo 3D di alto livello, come quelli ma-turati ad esempio a Burnum o a Suasa mediante laser scanner o tecniche fotogrammetriche, riduce le possibilità e il livello di dettaglio per le analisi stratigrafico-murarie e soprattutto di tipo statico-ingegneristico. Allo stesso modo, benché i dati ricavati dalla lettura degli elevati siano imprescin-dibili per la comprensione dell’evoluzione della storia dell’edificio, la mancanza di un modello tri-dimensionale raffinato non ha permesso la restitu-zione ideale di tutte le informazioni raccolte.

Anche le sperimentazioni di fotogrammetria dei vicini, condotte mediante l’utilizzo di software professionali, non hanno portato a risultati ottima-li6. Sul cantiere di Acquaviva Picena si è testato il

4 in particolare si fa riferimento alle città romane abbandona-te di Suasa (Ancona) e Burnum (Croazia). sull’argomento ci si limita a segnalare GiorGi 2009; GiorGi, BosChi, silaNi 2010; GiorGi et al. 2012.

5 Attualmente sono in fase di sperimentazione la stazione ro-botizzata ad alta precisione Topcon is e il relativo software image Master Pro della ditta Geotop.

6 i test sono stati condotti in particolare da Julian Bogdani e da chi scrive. sui risultati delle ricerche si rimanda a altiNi et al.

Il rilievo topografico

Il rilievo topografico ha riguardato in primo luogo la restituzione plano-altimetrica dell’inte-ro complesso della Rocca acquavivana (fig. 2). In virtù della valenza didattica del laboratorio e del-la strumentazione disponibile al momento delle attività, si sono utilizzati una stazione totale sen-za prisma (Topcon GPT 2009) per il rilievo delle murature e un GPS differenziale (Aschtech) per la georeferenziazione dei capisaldi della poligonale d’inquadramento.

I dati acquisiti durante le campagne 2004 e 2005 sono stati elaborati mediante software specifici di topografia professionale per il calcolo delle co-ordinate dei singoli punti e per l’esportazione in formato grafico vettoriale2. La restituzione grafica è avvenuta utilizzando programmi CAD3 e ha per-messo la realizzazione della planimetria comples-siva dell’edificio e di un modello tridimensionale semplificato dello stesso. L’accuratezza dal punto di vista metrico del rilievo topografico realizzato, in funzione delle caratteristiche strumentali, può dirsi compatibile con l’obiettivo preposto e valida per le esigenze di documentazione archeologica. Il grado di precisione sub-centimetrica ottenuto per la restituzione planimetrica è dunque in linea con

2 il software utilizzato è stato Meridiana Geotop, v. 320.

3 nello specifico AutoCAd, v. 2004.

Fig. 2. rilievo plano-altimetrico della rocca di acquaviva Picena realizzato durante le attività del Laboratorio di rilievo

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esperienze di topografia e geofisica

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software RFD Evolution, versione 200 (Geotop)7.Il settore della Rocca scelto per la ricerca è una

parte della facciata interna della torre sud, caratte-rizzato dalla presenza di una cannoniera che gene-ra una rientranza e un particolare gioco di volumi. L’ortofoto ottenuta in seguito all’elaborazione dei dati rivela i limiti del software e del procedimento impiegato8. Nel nostro caso, infatti, le dimensioni limitate della torre non hanno permesso di avere una distanza camera-oggetto sufficientemente am-pia per ottenere una corretta visione stereoscopica e quindi un DTM metricamente corretto, da cui ri-cavare ortofoto esatte.

Se da un lato questo risultato era dovuto alla giovane esperienza in campo fotogrammetrico de-gli operatori, gli stessi software fotogrammetrici e le tecnologie legate alla fotogrammetria digitale si trovavano allora in una fase di test e di perfe-zionamento, rivelando limiti reali di applicazione, mentre si sono notevolmente evolute da quel mo-mento a oggi.

Di certo però, gli sforzi e le esperienze maturate negli anni ad Acquaviva hanno portato il Labora-torio di Topografia a raggiungere oggi una marcata professionalità, con competenze collaudate in di-versi settori, dalla fotogrammetria aerea a quel-la dei vicini, anche attraverso l’acquisizione e la conoscenza di nuovi programmi di fotogramme-tria professionale9 e speditiva10. Parallelamente,

2005 e a BoGDaNi et al. 2007.

7 la strumentazione hardware utilizzata era composta da una fotocamera digitale nikon CoolPix 5400, un PC Toshiba satelli-te P10-792, Os XP home ed., monitor esterno sony Trinitron Multiscan e220 e corredo per la visione stereoscopica nuVision 60GX-nsr con occhiali attivi. Per la misurazione dei punti sul campo è stata utilizzata una stazione totale Topcon GPT2900 senza prisma.

8 il limite particolare riscontrato riguarda il secondo piano dell’immagine, quello più lontano dalla camera. durante la no-stra esperienza, abbiamo osservato come questo limite fosse sempre più evidente nei casi di grande profondità dell’oggetto da rilevare. Viene stabilito quindi un rapporto diretto tra distan-za camera-oggetto e profondità dell’oggetto. Maggiore è questo coefficiente, migliori sono i risultati. naturalmente, il problema non si pone nel caso della stereofotogrammetria aerea perché, per quanto siano grandi i dislivelli del terreno, la distanza came-ra-oggetto risulta maggiore, e il coefficiente rimane sempre alto. il problema è trascurabile anche per il rilievo di ampie superfici architettoniche, dove il coefficiente è comunque consistente (altiNi et al. 2005, pp. 17-21).

9 da ultimo si sta utilizzando Micromap v.2.0.0.135 della ditta Geoin di Firenze.

10 Tra gli altri sono utilizzati attualmente Photomodeler scan-

l’evoluzione in campo tecnologico degli schermi 3D, delle schede video e dei personal computer, in grado di sopportare una sempre maggiore potenza di calcolo, ha permesso di migliorare e velocizzare la restituzione fotogrammetrica.

Anche nel campo dell’inquadramento topogra-fico il Laboratorio di Topografia ha recentemente implementato la propria strumentazione e il know-how degli operatori. L’utilizzo di GPS differenzia-li11, sia per l’inquadramento topografico dei siti indagati mediante rilievi di tipo statico, sia la rea-lizzazione di rilievi in modalità cinematica per la creazione di Modelli Digitali del Terreno (DTM), o di tipo RTK (Real Time Kinematic) per il rilievo speditivo delle emergenze, è diventata una comune prassi di lavoro anche in campo archeologico12.

Altrettanto consolidata è poi la gestione informa-tizzata di tutte le informazioni raccolte, mediante l’utilizzo di banche dati dedicate, di GIS 2D e 3D (Geographical Information System) per la gestione spaziale del dato e per la restituzione cartografica, fino ad arrivare al WebGIS per la fruizione del dato in rete13.

Sebbene durante le ricerche acquavivane l’utiliz-zo di questi strumenti fosse ancora in una fase em-brionale, i risultati che il Laboratorio di Topografia è oggi in grado di conseguire scaturiscono senza dubbio anche da questa esperienza. Non è azzarda-to riconoscere nelle attività avviate, nelle persone e nel gruppo di lavoro nato intorno alla Rocca di Acquaviva, un importante punto d’avvio dei tempi e dei successi più recenti.

Il rilievo geofisico

Le attività di rilievo eseguite nella Rocca di Ac-quaviva Picena hanno previsto anche un’indagine geofisica condotta nel cortile interno della Rocca con metodo georadar, in collaborazione con la so-cietà Exploro s.a.s. (Ascoli Piceno).

ner e Agisoft Photoscan.

11 Attualmente lo strumento utilizzato è un GPs differenziale Topcon hyper Pro e relativo software di elaborazione Topcon Tools.

12 sull’argomento ci si limita in questa sede a segnalare GiorGi 2009, § 3.

13 sulle banche dati e sul Gis in archeologia si veda GiorGi 2009, § 7.

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L’idea del survey georadar è nata non solo come elemento preventivo e propedeutico allo scavo, ma anche in relazione all’analisi della documen-tazione d’archivio, che lasciava desumere l’esi-stenza di alcuni edifici ormai scomparsi nel piaz-zale della fortezza. In particolare, il disegno del 1708 di L.F. Marsili riporta, in corrispondenza dei lati nord e ovest della corte interna, diverse co-struzioni, tra cui un edificio designato come Chie-sa di S. Barbara14.

L’indagine geofisica ha riguardato l’intera su-perficie strumentalmente accessibile, con una riso-luzione spaziale tra i profili di m 0,50, e un suc-cessivo approfondimento di dettaglio lungo il lato settentrionale del piazzale, con profili distanti m 0,25, per un’estensione complessiva di m2 586 ca.

14 Vd. de Cesare in questo volume, fig. 8.

Lo strumento utilizzato per il rilievo è un geo-radar GSSI SIR 3000, equipaggiato con antenna monostatica da 400 MHz e impostato in modo da raggiungere m 3,00 ca. di profondità (fig. 3)15.

In fase di elaborazione, i dati sono stati tratta-ti mediante software GPR Viewr e GPR Process, che hanno permesso di realizzare mappe d’insie-me riguardanti differenti profondità del volume del sottosuolo investigato, note come time-slices16. At-traverso la lettura correlata delle slices e dei singoli profili radar (fig. 4) si è cercato poi di interpretare i principali fenomeni di riflessione del segnale radar visibili sulle mappe ottenute. In esse, le riflessioni radar sono riprodotte tramite un’opportuna sca-la cromatica, dove il colore blu indica una bassa amplificazione del segnale, mentre il rosso le più

alte amplificazioni generate da contra-sti dielettrici nel sottosuolo. Le slices sono state calcolate ogni 7 n/sec, corri-spondenti approssimativamente a ogni cm 30 ca. del sottosuolo investigato.

L’indagine ha rivelato in generale una buona penetrazione del segnale radar, con alcuni rilevanti fenomeni di riflessione a sviluppo lineare attestati a profondità comprese tra m 2,20-2,80, significativamente coincidenti con i settori del piazzale dove la cartografia di XVIII secolo riporta edifici e strut-ture (fig. 5). Questa convergenza di elementi ha costituito un importante indizio nella definizione della strategia di scavo, in particolare nella scelta di dove scavare.

In corrispondenza del pozzo al centro del cortile è invece leggibile con chia-rezza la cisterna interrata, anch’essa og-getto del rilievo tridimensionale della fortezza realizzato durante le ricerche.

15 sul metodo georadar e sul principio di funzionamento si ri-manda a BosChi 2009; CoNyers 2004; CoNyers, GooDmaN 1997.

16 Grazie ai software di trattamento dei dati radar utilizzati, le slices sono state restituite in seguito all’interpolazione di tutti i profili e le tracce registrate. Questa interpolazione permette infatti di generare una matrice tridimensionale che rappresenta il volume di dati nella finestra temporale adottata (BosChi 2009).

Fig. 3. Indagine georadar nel cortile interno della rocca. un momento dell’acquisizio-ne dei dati (in collaborazione con exploro s.a.s., ascoli Piceno)

Fig. 4. uno dei profili radar acquisiti durante l’indagine

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Dalla Rocca al territorio: uno sguardo sulla media valle del Tronto

La collaborazione con la Soprintendenza per i Beni Archeologici delle Marche (nella persona dell’Ispettrice archeologa, Dott.ssa Nora Lucen-tini) e con il Comando Carabinieri Tutela Patri-monio Artistico ci ha permesso di allargare lo sguardo sul territorio attraverso due voli di rico-gnizione aerea sulla media valle del Tronto, con-dotti nell’estate del 2006 (mesi di maggio e luglio). La nuova esperienza ha favorito la raccolta di una nuova documentazione costituita da fotografie ae-ree oblique, acquisite durante i voli mediante una fotocamera reflex digitale Canon Eos 400D con

obiettivo zoom 18-55 mm. In comune interesse con la Soprintendenza, gli obiettivi principali delle ricognizioni erano il monitoraggio dall’alto alcune zone di rilevanza archeo-logica e l’individuazione di eventuali nuovi siti17.

L’aeroporto di Falconara ha costituito la base di partenza dei voli, effettuati a bordo dell’elicottero del Nucleo Carabinieri (fig. 6, a). Entrambe le leva-te sono state organizzate in giornate di cielo sereno

17 sulle attività aerotopografiche del dipartimento di storia Culture Civiltà dell’università di Bologna si rimanda a BosChi 2008; ead. 2010a-b; ead. 2012a-b; GiorGi, BosChi, silaNi 2010; Giorgi et al. 2012. sull’archeologia aerea in generale ci si limita a ricordare CerauDo, piCCarreta 2004, 2007 e 2008; Guaitoli 2003; mussoN, palmer, CampaNa 2005; CerauDo, BosChi 2009; CerauDo 2010.

Fig. 5. Time slices relative a varie profondità. I colori dal giallo al rosso rappresentano le più alte amplificazioni del segnale radar

Fig. 6. ricognizioni aeree sulla media Valle del tronto. a sinistra (a), una parte del team di lavoro dei survey aerei;a destra (b), la rotta seguita durante i voli

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Fig. 7. Veduta aerea del sito di Contrada Casale Mastrangelo (ascoli Piceno) esempio di soilmark

Fig. 8. Tracce tipo cropmark presso Contrada Maliscia (loc. Montalto, Ascoli Piceno)

e di buona visibilità, preferendo le prime ore del mattino. La rotta seguita durante le ricognizioni ha previsto un rapido attraversamento del settore più vicino alla costa, e un sorvolo più dettagliato delle zone di versante della media valle, per una durata complessiva superiore a 2 ore per ciascuna volata.

Oltre alla realizzazione degli scatti fotografici, si è provveduto al posizionamento della rotta di volo e dei siti fotografati utilizzando un GPS palmare cartografico con precisione di 3-5 m (fig. 6, b).

Eseguendo i voli a distanza di due mesi circa l’uno dall’altro è stato possibile osservare i suo-

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Fig. 9. esempio di soilmark in località Casale Inferiore (loc. Colli del tronto, ascoli Piceno)

Fig. 10. Tracce riferibili ad antiche attività idrografiche

li con differenti condizioni, stati vegetazionali, e diversi gradi di visibilità delle tracce. Questo si è riscontrato in alcune aree di noto interesse archeo-logico che era intenzione monitorare, come il sito di Contrada Casale Mastrangelo (fig. 7), e in al-tre situazioni in parte conosciute e potenzialmente rilevanti (ad esempio a Montalto presso Contrada Maliscia, in località Colli del Tronto presso Casale Inferiore, e a Treazzano di Monsanpolo, figg. 8-9,

11). La ricognizione aerea di inizio maggio ha re-gistrato una prevalenza di tracce tipo cropmark, in corrispondenza di colture cerealicole o di campi coltivati a erba medica, mentre nel mese di luglio si è attestata una maggiore frequenza di tracce tipo soilmark, in stretta relazione ai ritmi di raccolta e di lavorazione dei suoli. Le tracce al suolo indi-viduate durante i due voli riferibili con sicurezza a strutture sepolte o ad antiche attività antropiche

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sono in generale poche, mentre numericamente prevalenti sono le cicatrici lasciate da attività idro-grafiche precedenti o da modificazioni geomorfo-logiche (fig. 10). Occorre però segnalare che nel 2006 i mesi precedenti le ricognizioni hanno regi-strato abbondanti precipitazioni e anche il tasso di umidità dei suoli deve avere inciso sulla visibilità delle tracce come sui cicli di maturazione delle col-ture e di formazione dei cropmarks.

In fase di trattamento dei dati, le fotografie aeree selezionate sono state inserite in un sistema GIS, georeferenziate sulla base cartografica vettoriale di riferimento (CTR) e interpretate con restituzione grafica delle evidenze riconosciute. Una volta geo-referenziate, le prese oblique sono state rettificate mediante il software Airphoto 3.3118.

La fase della fotointerpretazione vera e propria e della restituzione grafica delle evidenze è avvenu-ta sempre in ambiente GIS, mediante la creazione di diversi livelli informativi per la restituzione dei vari tipi di tracce (fig. 11).

18 la correzione cartografica delle immagini oblique è neces-saria poiché, com’è noto, ogni fotografia aerea obliqua è affetta da distorsioni superiori a quelle normalmente insite in una foto-grafia verticale. AirPhoto è uno dei software più frequentemente impiegati per la rettifica, la georeferenziazione e l’elaborazione delle foto aeree verticali e oblique. lavorando su una base al-goritmica permette di trasformare un’immagine obliqua con un minimo di quattro punti di controllo e con un buon grado di accuratezza (sCollar 1998; palmer 2000; Id. 2005).

Fig. 11. un esempio di rettifica, georeferenziazione e restituzione grafica per una traccia individuata in località Treazzano di Monsan-polo (Ascoli Piceno)

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La Rocca di Acquaviva Picena (fig. 1), posta su un rilievo che domina l’abitato e il territorio cir-costante, a una prima osservazione pare rientra-re nel numero delle fortificazioni rinascimentali meglio conservate delle Marche. Tuttavia, a una più approfondita analisi, tale constatazione risulta esatta solo in parte: se infatti la medesima osser-vazione può essere estesa in modo corretto ad altri fortilizi marchigiani come Urbino, Sassocorvaro, San Leo e Mondavio per citare i più noti1, il caso

1 piraNi 1988; puGNaloNi 1988; mauro 1998.

di Acquaviva merita di essere analizzato con una maggiore attenzione, in modo da giungere a una definizione più adeguata alle travagliate vicen-de della Rocca. Questa, nelle sue forme attuali, è infatti il risultato di una serie di interventi edilizi culminati nell’ammodernamento del fortilizio vo-luto dai fermani nell’ultimo quarto del XV secolo, onde adeguarlo alle nuove necessità difensive im-poste dal progresso della tecnologia militare2. Pre-cedenti studi hanno delineato i tratti caratteristici

2 mauro, tomei 2002, pp. 146-147, 154.

a lettura degli elevati della RoccaLenriCO rAVAiOli

dipartimento di storia Culture Civiltà dell’università di Bologna

Fig. 1. Panoramica della rocca di acquaviva Picena

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 113-125

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enrICO raVaIOLI

dell’assetto medievale della Rocca: impostata su un impianto romboidale, trova nell’asse est-ovest la propria direttrice principale, occupata all’estre-mità est dall’imponente mastio rivolto verso l’abi-tato e da un puntone che sopravanza la linea del-le cortine nord-ovest3 (fig. 2). L’angolo sud della Rocca è protetto da un puntone minore, mentre a nord-est sorge una torre a pianta quadrata. Il trat-to caratteristico della Rocca di Acquaviva è senza dubbio costituito dalla mole massiccia, conferita dalla presenza delle murature a scarpa che si svi-luppano fino a raggiungere l’apparato aggettante di torri e cortine murarie, interrotte solo dalle scu-dature e dalle aperture di cannoniere e feritoie. Il mastio cilindrico è caratterizzato da un notevole sviluppo verticale, elemento che lo accomuna alle cortine murarie e alle torri, culminate da apparato a sporgere e, in origine, coronate da merli a coda di rondine attestati dall’incisione settecentesca di L.F. Marsili4. Il mastio è coronato da un appara-to a sporgere con beccatelli realizzati in laterizio con tre aggetti progressivi stondati che trovano stringenti analogie con quelli presenti nelle for-tificazioni di Terra Nuova (fig. 3). Il mastio del-la Rocca di Acquaviva si articola attualmente su quattro livelli, l’ultimo dei quali rappresentato dal-

3 mariaNo 1995; puGNaloNi 1988; palloNi 1998.

4 Vd. anche il contribito di e. ravaioli sulle fasi edilizie della rocca e del borgo in questo volume, fig. 2.

Fig. 2 (a sinistra). Il puntone nord della rocca

Fig. 3 (in basso a sinistra). Panoramica del mastio della rocca

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La lettura degli elevati della rocca

la battagliera sulla sommità. Cilindrico all’esterno, il mastio presenta internamente ambienti a pianta ottagonale, testimonianza dell’originario assetto della torre maestra rifasciata nel corso del Rinasci-mento5. Da questa rapida descrizione della Rocca emerge con evidenza che i tratti salienti del forti-lizio siano ascrivibili a interventi edilizi non per-tinenti a un orizzonte cronologico omogeneo, ma bensì relativi ad attività costruttive che si distribui-scono in un arco temporale esteso dal Medioevo al Rinascimento.

Metodologia applicata e risultati dell’indagine

Tale situazione estremamente composita ha im-posto l’adozione di un approccio di tipo “archeo-logico”, incentrato sulla trasposizione del metodo stratigrafico, proprio dell’indagine archeologica, allo studio del complesso architettonico, indivi-duando quindi quelle parti delle murature costrutti-vamente omogene per materiali e tecniche edilizie impiegati che costituiscono il risultato di attività costruttive unitarie; queste parti, utilizzando un termine mutuato dall’archeologia, vengono dette Unità Stratigrafiche Murarie (USM). Analogamen-te a quanto avviene per gli strati archeologici, i rap-porti fisici tra le USM sono stati tradotti in rapporti cronologici. Questo procedimento ha permesso di ottenere una cronologia relativa degli interventi edilizi individuati che, alla luce delle osservazioni effettuate sul complesso architettonico della Roc-ca, ha consentito di comprendere meglio la storia costruttiva di questo importante edificio. L’analisi degli elevati ha riguardato esclusivamente i pro-spetti della corte interna della Rocca, caratterizzati da una buona leggibilità e liberi da superfetazioni moderne, mentre gli ampi restauri a cui sono state sottoposte le cortine esterne hanno indotto a non procedere a indagini di archeologia dell’architet-tura, in quanto ritenuti compromessi e dunque di scarso valore rappresentativo. La successione di interventi eseguiti sulla Rocca nel corso dei secoli e i restauri moderni hanno pregiudicato una corret-ta lettura delle murature, consentendo una ricostru-zione parziale del complesso fortificato, limitata

5 mauro 1985, p. 196; palloNi 1998, p. 160.

ai soli tratti salienti. Lo studio delle murature ha infine avuto come scopo primario quello di indivi-duare la sequenza relativa degli interventi edilizi, con l’intento di definire le attività costruttive della Rocca e reperire chiavi interpretative per conte-stualizzarle nelle vicende storiche del complesso fortificato.

Il primo approccio al complesso monumentale si è concretizzato con una preliminare fase documen-taria, costituita da un’accurata battuta fotografica e da una puntuale ricerca d’archivio volta a reperire materiale informativo relativo ai restauri eseguiti sulla Rocca6. La successiva fase operativa ha com-portato la realizzazione di un rilievo topografico planoaltimetrico e di ortofotopiani in scala dei pro-spetti considerati, utilizzati come base documen-taria per la lettura stratigrafica e le successive ela-borazioni, oltre che come texture per i modelli 3D ricostruttivi realizzati.

Il Prospetto 16 (fig. 4) presenta nella parte bas-sa due porzioni di muratura (USM 50 e USM 57) che corrispondono all’azione costruttiva più antica individuata in questo prospetto: le due USM, assi-milabili alla medesima tipologia (Tipo 1), sono ca-ratterizzate dalla presenza di alcune buche pontaie (USM 51-54, USM 64) e dal tipo di apparecchia-tura muraria in cui i mattoni sono disposti secon-do lo schema ricorrente testa-costa-costa, con un modulo dimensionale costante (31 x 6 x 15 cm). Tali strutture murarie sono in parte obliterate dal terrapieno creato per innalzare la quota di calpestio della corte interna della Rocca. Inoltre, USM 50 e USM 57 sono realizzate con laterizi del tutto simi-li, per modulo e caratteristiche, a quelli delle USM 34 e 39 del Prospetto 2, posti in opera secondo la medesima apparecchiatura. Quest’ultima tipolo-gia (Tipo 1) è inoltre rintracciabile nelle murature che costituiscono le pareti interne delle gallerie in prossimità delle torri e, a un’analisi preliminare, anche nella cortina muraria verticale a cui si ap-poggia la scarpa rinascimentale della Rocca. Suc-cessivamente si assiste alla rasatura (US -66 e US -58) della muratura precedente e alla ricostruzione della cortina muraria (USM 48 e USM 59) che, in base alla quota delle buche pontaie (USM 37-41 e USM 42-46), con ogni probabilità ripropone lo sviluppo verticale originale. In seguito si assiste a

6 Vd. anche il contributo di s. de Cesare in questo volume.

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una serie di interventi di restauro della corti-na muraria, forse limi-tate al solo paramento interno, mentre un importante intervento di ammodernamento dell’apparato difen-sivo è rappresentato dall’apertura di due cannoniere (USM 5 e USM 56) e la crea-zione di una serie di beccatelli (USM 9) utili ad ampliare la su-perficie del sovrastan-te cammino di ronda per consentire la crea-zione di postazioni di tiro per artiglieria. La lettura stratigrafica del Prospetto 16 ha evi-denziato che l’inca-miciatura del mastio, prospicente il lato de-stro del prospetto, si sovrappone a all’ulti-mo beccatello (USM 9), ponendosi quindi in una fase successi-va. È significativo notare che le due cannoniere presenti nel Prospetto 16 siano state realizzate in frattura (US -4 e US -55) nelle precedenti strutture murarie e rifinite in larga misura con un accurato cuci-scuci che ne ha reso difficoltosa l’individua-zione; tuttavia, la suddetta tecnica non è stata uti-lizzata in modo omogeneo, ma affiancata a ben più sbrigative martellature delle strutture precedenti, rifinite poi a sega e a scalpello, rendendo così pos-sibile il rapporto di posteriorità delle postazioni di tiro rispetto alle murature in cui sono ricavate.

L’analisi del mastio (fig. 5) non evidenzia ele-menti di rilevanza particolare a causa dei diffusi in-terventi di restauro che ne hanno reso omogenea la superficie muraria. Tuttavia emergono alcuni trat-ti significativi, benchè non siano collocabili in un orizzonte cronologico preciso: in particolare pare importante notare che la porta d’ingresso appare aperta in frattura nel prospetto murario, mentre dell’accesso originario si conserva solo una traccia

nella muratura posta a una quota superiore. L’in-gresso avveniva attraverso una porta trasformata attualmente in finestra e corrispondente, interna-mente, a una sorta di pianerottolo della scala eli-coidale ricavata nello spessore del muro7. Esterna-mente, poco al di sopra di questa finestra, è inoltre visibile lo scasso a scomparsa per il ponte levatoio che permetteva l’accesso al mastio dal cammino di ronda della cortina muraria meridionale.

Altrettanto significativa per la ricostruzione del-le vicende costruttive della Rocca risulta l’analisi stratigrafica del Prospetto 2 (fig. 6), per la com-plessa sequenza di attività costruttive e distrutti-ve susseguitesi nel tempo. Il Prospetto 2 presenta nella parte più bassa due USM (USM 34 e USM 39) ascrivibili alla fase edilizia più antica qui indi-viduata, caratterizzate dall’utilizzo della tipologia

7 palloNi 1998, pp. 21-22.

Fig. 4. Prospetto 16

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di apparecchiatura già individuata nel Prospetto 16 (Tipo 1). Appare interessante notare come l’ap-parecchiatura testa-costa-costa in questo caso non venga rispettata in maniera rigorosa, ma sia suscet-tibile di modifiche imputabili alla necessità di rica-vare buche pontaie a distanze regolari, rivelando quindi l’esistenza di una gerarchia di attività nelle tecniche costruttive. Su USM 34 e USM 39 si im-postano una serie di successivi interventi costrut-tivi volti a innalzare il paramento murario. L’area dell’ingresso si configura come una complessa ad-dizione successiva alla cortina originaria, caratte-rizzata dalla presenza di due porte, una carrabile e una pedonale, che dovevano essere dotate di ponti levatoi, come attestato dalla presenza di monofore pertinenti all’apparato di sollevamento. La succes-sione stratigrafica ha evidenziato una prima edifi-cazione relativa alla struttura principale (USM 17 e USM 27), alla quale venne ammorsato un pilastro di sostegno US 23, forse già durante lo svolgimento dei lavori di costruzione. Una struttura aggettante (USM 1), di cui si conservano evidenti tracce, cul-minava il prospetto, alloggiando presumibilmente gli argani del ponte levatoio.

La peculiarità più rappresentativa del Prospetto 7 (fig. 7) è la presenza dalla torre ovest (USM 1) allineata con l’attuale cortina muraria. La presenza

all’interno della torre di una feritoia murata dalla successiva addizione muraria (USM 21) risulta es-sere un utile indicatore dell’assetto originario della Rocca precedente alle ricostruzioni rinascimentali. La feritoia consentiva il tiro di fiancheggiamento della cortina ovest, a difesa della torre nord, in un periodo precedente alle modifiche apportate alla cinta muraria della Rocca che ne implicarono l’in-spessimento e la scarpatura della base.

La torre nord (Prospetto 17) si configura come un puntone a gola aperta, articolato su due livelli dei quali l’inferiore in parte interrato dal terrapieno ri-nascimentale. La torre è stata interessata da nume-rosi interventi che non ne hanno alterato la fisiono-mia, permettendo una lettura pressochè completa (fig. 8). La struttura originaria conservata (USM 3 e USM 19) presenta stringenti analogie di posa in opera, modulo e tipologia architettonica con USM 3 del Prospetto 18. Le altre USM individuate sono ascrivibili a limitate risarciture della muratura e alla ricostruzione del coronamento (USM 1).

Il Prospetto 12 (fig. 9) presenta una situazione stratigrafica piuttosto semplice, caratterizzata da una vistosa risarcitura in adiacenza alla torre nord del Prospetto 17 (USM 2) e da recenti interventi di restauro (USM 17 e USM 19) impostati diret-tamente su una precedente fase pressochè unitaria (USM 1) che interessa la massima parte del pro-spetto; si noti che USM 1 è assimilabile a USM 6 del Prospetto 16 per posa in opera e modulo dei mattoni. Da un’osservazione attenta del prospetto appare evidente come quest’ultimo sia posteriore al corpo della torre nord-est (Prospetto 18), sia per l’ammorsatura realizzata con cuci-scuci, sia per la netta sfalsatura nell’allineamento tra la cortina nord e la limitrofa torre. Questo elemento induce a ipotizzare che il Prospetto 12 sia stato realizzato a sostituzione di una struttura precedente che doveva avere un allineamento lievemente diverso se non uno spessore maggiore.

La torre di nord-est (Prospetto 18) presenta una principale fase unitaria (USM 3) interessata da suc-cessive risarciture della muratura (USM 4) e della ghiera dell’arco a sesto acuto (USM 2); malgrado siano evidenti recenti interventi di restauro (USM 1 e US 5), questi ultimi non alterano l’integrità della struttura (fig. 10). La particolarità della torre è che in origine era caratterizzata da un notevole slancio verticale, ora annullato dall’interramento rinascimentale della corte interna che ha portato

Fig. 5. Panoramica del mastio

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ad articolare la struttu-ra su due livelli men-tre invece l’impianto originale doveva pre-sentarsi a gola aperta. Inoltre appare eviden-te che la torre sia stata realizzata in preceden-za rispetto alle struttu-re che costituiscono il limitrofo Prospetto 16, in quanto una parte di quest’ultimo (USM 1) si pone in appoggio, obliterandone in par-te la luce inquadrata dall’arco a sesto acuto.

L’indagine ha inte-ressato anche le galle-rie interne alla cortina muraria (figg. 11a-c), confermando l’ipote-si secondo cui la loro costruzione risalga al periodo in cui all’ori-ginario paramento verticale si aggiunse il nuovo con andamento a scarpa. Nella galle-ria nord-est, attraverso una lacuna nella volta, è possibile scorgere il paramento verticale su cui è stata appoggiata la scarpa, costituita da una cortina laterizia ammorsata al paramento verticale tramite dei setti murari. Lo spazio di risulta tra i due paramenti murari è stato colmato di terreno per assorbire gli impatti dei proiettili senza appesantire eccessivamente la struttura.

Conclusioni

Gli esiti della ricerca di archeologia dell’archi-tettura eseguita sui prospetti murari della Rocca di Acquaviva Picena non si sono rivelati sufficienti per delineare una sequenza stratigrafica associata a una cronologia assoluta, ma hanno tuttavia per-messo di formulare alcune ipotesi sulla possibile datazione delle USM più significative.

Sono infatti emersi numerosi spunti di riflessio-ne che hanno permesso di delineare alcune ipotesi sulle vicende costruttive del complesso monumen-tale. Sull’assetto del nucleo difensivo originario di Acquaviva permangono numerosi quesiti che inevitabilmente rimarranno insoluti malgrado le ricerche effettuate; tuttavia l’analisi stratigrafica degli elevati ha permesso di delineare un’ipotesi di sviluppo delle strutture della Rocca.

Allo stato attuale della ricerca non risulta possi-bile individuare con precisione il momento della fondazione della Rocca, sebbene gli scavi archeo-logici condotti dal Dipartimento di Archeologia dell’Università di Bologna (2005-2006, ora Dipar-timento di Storia Culture Civiltà) abbiano portato all’individuazione di una struttura muraria che, per le caratteristiche tecniche e per la posizione pe-

Fig. 6. Prospetto 2

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La lettura degli elevati della rocca

culiare sulla sommità del punto più elevato della zona, potrebbe essere riconosciuta come una pri-mitiva opera di fortificazione dell’area (XI secolo circa)8, forse identificabile con il castello menzio-nato nel 10399. La prima attestazione certa della Rocca pare risalire al 1325, anno in cui nell’atto di vendita da parte di Francesco d’Acquaviva in favore di Fermo viene menzionata la presenza del cassero di Acquaviva10. In base all’analisi degli elevati, le strutture murarie conservate che testimo-niano la fase più antica della fortificazione (Fase I) sono rappresentate dalla torre quadrata di nord-est, dal puntone nord e dal puntone ovest; questi ultimi, tipologicamente affini, sono caratterizzati da una pianta pentagonale e appartengono a una tipologia comunemente diffusa nelle Marche settentrionali e centrali, in particolare nel fermano, dove trova-

8 ravaioli, veCChietti 2007b, pp. 126-127. Vd. anche il contribu-to di A. Baroncioni in quesro volume.

9 Nepi 1982, pp. 178, 640.

10 Ivi, p. 200.

no stringenti confron-ti nella cinta muraria più esterna di Fermo, costruita tra il 1365 e il 136611. In parti-colare per i puntoni della Rocca si è pro-posta una datazione al XIV secolo12, ipotesi plausibile in base agli stringenti confronti disponibili a Fermo. Le torri nella versio-ne trecentesca dove-vano essere prive di scarpa alla base, ana-logamente al puntone della cinta muraria del castello, elemento desumibile dall’osser-vazione delle strutture della galleria setten-trionale, dove è evi-dente la verticalità dei prospetti murari della torre nord-est. Tuttora caratterizzate

da un notevole sviluppo verticale, le torri erano culminate da un apparato a sporgere costituito da slanciati beccatelli e da un coronamento di merli a terminazione bifida o a coda di rondine, conservati almeno fino all’inizio del XVIII secolo. Postazioni di tiro dovevano essere dislocate solo all’interno delle torri e poste al livello della corte, destinate al tiro di fiancheggiamento per la difesa delle mura, come testimoniato dalla presenza di una feritoia tamponata nel puntone meridionale. L’impianto del mastio nella sua forma primitiva potrebbe es-sere anch’esso ascrivibile al fortilizio trecentesco, benchè non sussistano prove evidenti tali da con-fermare l’ipotesi.

Successiva a tale momento iniziale si può indi-viduare la Fase II, testimoniata dalla già ricordata muratura di Tipo 1 individuata nei prospetti 16 e 2, oltre che nella parete più interna delle gallerie settentrionale e occidentale. I dati in nostro posses-

11 tomei 2002, pp. 70 ss.

12 mauro, tomei 2002, p. 160.

Fig. 7. Prospetto 7

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so, seppur frammentari, portano a ricostruire un assetto pressochè iden-tico a quello preceden-te, con alcune sfalsature nell’allineamento tra il tracciato delle corti-ne murarie originarie e quello delle nuove; tale discordanza è riscontra-bile presso la torre nord-est e il puntone ovest, dove la ghiera dell’arco a sesto acuto è in par-te coperta dal muro di cinta in appoggio. Non è ancora chiaro se il co-ronamento con apparato aggettante sia ascrivibi-le a tale fase oppure alla precedente, sebbene l’irregolarità nella co-struzione dei beccatelli potrebbe testimoniare un’addizione posterio-re a una situazione già consolidata.

La Fase III è indivi-duabile con certezza nel Prospetto 16, da cui si evince che vennero realiz-zati una serie di beccatelli sul prospetto interno, in parte coperti nella Fase IV dall’incamiciatura del mastio.

Nel corso della Fase IV si assiste a un progetto di ammodernamento dell’apparato difensivo che interessa tutto l’impianto fortificato della Roc-ca: si tratta di una serie di interventi mirati che apportano limitate trasformazioni al cassero tre-centesco, circoscritte alla realizzazione di scarpa di rinforzo alle cortine, del terrapieno nella corte della Rocca e alla creazione di troniere per le ar-tiglierie. La fisionomia del fortilizio rimane pres-sochè intatta, conservando torri e cortine murarie di notevole sviluppo verticale, introducendo tutta-via una serie di apprestamenti difensivi capaci di evolvere il concetto di fortezza da semplice difesa passiva a macchina da guerra attiva. L’alta e mas-siccia torre del mastio, sebbene rifasciata e muni-ta di numerose postazioni di tiro, conserva l’im-pianto originario e il relativo limite formale, già

evidenziato dalla progressiva affermazione delle artiglierie sui campi di battaglia, senza segnare dunque una cesura netta con l’architettura tipica-mente medievale. Tuttavia le modifiche apportate lasciano intravedere alcuni caratteri fondamentali della riforma dell’ingegneria militare del “perio-do di transizione” (seconda metà XV-prima metà XVI secolo)13, introducendone i principi fondanti: il profilo curvo e inclinato del paramento a scar-pa per offrire ai proiettili d’artiglieria superfici sempre più sfuggenti, notevoli spessori murari per meglio assorbire l’impatto dei proiettili e nume-rose troniere orizzontali per un agile brandeggio delle armi14. La Fase IV, considerata la tipologia delle attività edilizie individuate, può essere as-sociata al nome dell’architetto fiorentino Baccio

13 Cassi ramelli 19962, pp. 324-326; vd. anche il contributo di e. ravaioli sulle fasi edilizie del castello in questo volume.

14 mauro 1985, p. 196.

Fig. 8. Prospetto 17

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Pontelli che, tra il 1484 ed il 1487, apportò signi-ficative trasformazioni alla Rocca, adeguandola alle sopraggiunte necessità difensive imposte dal progresso della tecnologia militare15. La cronolo-

15 mauro, tomei 2002, pp. 146-147, 154.

gia dell’intervento trova conferma nel confronto tipologico dei beccatelli polilobati del mastio, analoghi a quelli che ornano l’apparato a sporgere delle torri cilindriche di Terra Nuova, espansione del castello di Acquaviva realizzata tra il 1486 e

Fig. 9. Prospetto 12

Fig. 10. Prospetto 18

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il 149416.Le successive fasi individuate sono da identi-

ficarsi con i numerosi interventi di restauro che hanno interessato la Rocca, benchè non sia sempre possibile individuare una corrispondenza precisa: degli interventi ricordati dalle fonti scritte nel 1505, 1535, 1619, 1891-1894, 1955, 1974, 1993-199717, solo alcuni sono rintracciabili nella sequenza stratigrafica muraria. L’intervento più consisten-te tuttora visibile è quello riferibile all’attività di Giuseppe Sacconi che, al termine del XIX secolo, intraprese un sistematico restauro integrativo del-

16 Ivi, p. 146.

17 De Cesare 2004-2005, pp. 22-29; ead. in questo volume.

la Rocca, riportandola all’aspetto rinascimentale: traccia di tale attività è visibile nei prospetti 7 e 17, dove parte della cortina muraria è stata reintegrata. L’intervento del 1974 ha interessato il Prospetto 12, che è stato demolito e ricostruito in modo qua-si integrale, come peraltro evidenziato dall’analisi del paramento murario. Infine i lavori di restauro degli anni ’90 del XX secolo sono evidenti pres-sochè ovunque nei prospetti della Rocca, nella ri-stilatura della malta e nella copertura degli ultimi corsi di mattoni dei parapetti e dei camminamenti.

Figg. 11 a-c. tre immagini delle gallerie interne alla cortina muraria della rocca

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Appendice. Ricostruzione tridimensionale della Rocca di Acquaviva Picena

Lo studio di un complesso architettonico esteso e articolato come la Rocca di Acquaviva Picena presuppone la possibilità di analizzare il monu-mento nel suo sviluppo integrale, non solo a livello planimetrico, ma soprattutto in un ambiente tridi-mensionale. Fin dalle fasi preliminari di approccio analitico all’edificio è stata dunque evidente la ne-cessità di disporre di uno strumento che rispondesse all’esigenza primaria di visualizzare la Rocca nel suo insieme, fattore che non pareva esauribile con una tradizionale documentazione grafica e fotogra-fica, data la vasta articolazione spaziale del fortili-zio. In linea con l’approccio multidisciplinare del progetto si è quindi ritenuto opportuno produrre un modello ricostruttivo tridimensionale dell’impian-to fortificato, strumento che permettesse una mag-giore comprensione della Rocca e che al contempo potesse prestarsi a elaborazioni realizzate sulla base dei dati raccolti dalla ricerca in oggetto18. La scelta di utilizzare un software freeware come SketchUp della @Last Software19 è stata determinata dalla vo-lontà di rispettare i principi che hanno motivato il Laboratorio di Rilievo fin dalle prime esperienze, ovvero sperimentare applicazioni tecnologiche che rispondessero alle esigenze di semplicità di realiz-zazione e di applicazione all’oggetto dell’indagine.

18 BaroNCioNi, BosChi, ravaioli 2005, pp. 124-125; ravaioli, veCChietti 2007a, pp. 210-212; ravaioli, veCChietti 2007b, pp. 123-124.

19 Ora Google sketchup (it.wikipedia.org/wiki/sketchup).

Sebbene nella pratica il procedimento non si sia rivelato effettivamente così speditivo e di sempli-ce realizzazione come ipotizzato sulle prime, il risultato è stato considerato tuttavia soddisfacente per quanto riguarda le priorità di accuratezza del dato e di rapidità di elaborazione. Alla creazione del modello 3D hanno concorso principalmente il rilievo topografico planoaltimetrico realizzato nel corso delle campagne del Laboratorio di Rilievo dell’Università di Bologna nel 2004 e del 2005, e in misura minore un precedente rilievo archi-tettonico effettuato dalla Facoltà di Architettura dell’Università di Pescara; l’integrazione dei due diversi rilievi ha portato alla creazione di un mo-dello ricostruttivo metricamente corretto e accura-to per quanto concerne gli elementi architettonici.

La ricostruzione tridimensionale virtuale ottenu-ta ha quindi permesso di disporre di un modello che rispecchiasse lo stato attuale di conservazio-ne, prestandosi al contempo alle elaborazioni con-nesse all’analisi del complesso fortificato. Inoltre, il modello 3D è stato utilizzato come base per sviluppare ipotesi ricostruttive dell’assetto della Rocca nel corso del Medioevo (fig. 12) e del Ri-nascimento (fig. 13), evidenziando le sostanziali trasformazioni avvenute nel passaggio tra le due epoche. Per raggiungere un tale livello di appro-fondimento è stato necessario attingere da altre fonti informative, che andassero oltre i rilievi stru-

Fig. 13. Ipotesi ricostruttiva virtuale della rocca alla fine del XV secolo

Fig. 12. Ipotesi ricostruttiva virtuale della rocca nel XIV secolo

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mentali dell’esistente, rivolgendosi quindi ai risul-tati ottenuti dall’analisi stratigrafica degli elevati e dallo studio dei caratteri peculiari dell’architettura militare della Rocca. I modelli tridimensionali così ottenuti si presentano quindi come una ricostruzio-ne ipotetica dell’originale, ma caratterizzati da una stringente attinenza al dato reale. Infine è opportu-no ricordare come la ricostruzione tridimensionale rappresenti uno strumento di divulgazione capace di consentire un approccio conoscitivo al comples-so architettonico anche ai non addetti ai lavori, ov-vero ai visitatori del monumento che potrebbero

rappresentare la principale utenza dello strumento. Un’altra delle elaborazioni rese possibili dalla mo-dellazione trimensionale dell’impianto fortificato è rappresentato dalla visualizzazione delle letture stratigrafiche dei diversi prospetti in un’unica so-luzione. Applicando infatti i fotopiani prospettici al modello come se fossero texture è possibile pro-durre una ricostruzione realistica della situazione stratigrafica, permettendo al contempo di creare una periodizzazione delle USM in un contesto più ampio (fig. 14).

Fig. 14. esempio di lettura stratigrafica degli elevati in contesto 3d

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La lettura degli elevati della rocca

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L’apertura di due saggi di scavo (fig. 1) all’in-terno della corte della Rocca di Acquaviva, oltre a costituire un passo verso la conoscenza delle vi-cende storiche dell’edificio1, rappresenta una felice eccezione nel panorama dell’archeologia medieva-le delle Marche.

Se infatti la disciplina vive per molti versi un momento felice in questo ambito regionale2, sono relativamente pochi, al momento in cui si scrive questo contributo, gli studi relativi all’edilizia in materiale deperibile e in particolare all’associa-zione castello-edilizia povera che costituisce un valido indicatore per la lettura di processi storici più generali3.

L’apertura di due saggi, anziché di uno scavo estensivo, è il frutto della volontà di mantenere la fruibilità della Rocca (fig. 2), cercando una sinergia tra archeologia, valorizzazione del sito e fruizione turistica. È comunque indubbio che questa scelta ponga problemi nell’interpretazione delle evidenze forzatamente indagate in maniera solo parziale, pur consentendo, comunque, di valutare le forti poten-

1 i saggi sono stati effettuati nelle campagne 2005 e 2006 del laboratorio di Topografia del dipartimento di Archeologia dell’università di Bologna, oggi dipartimento di storia Culture Civiltà. sulle problematiche relative allo studio del complesso monumentae vd. BaroNCioNi, BosChi, ravaioli 2005, p. 117. Più in dettaglio, si sono allargati i limiti del saggio già precedentemente indagato nel 2005, indicato nella pianta in fig. 1 come settore sud-ovest (settore sO) e aprendo un nuovo settore di scavo nell’area sud-est (settore se).

2 GNesi 2007, con bibl. prec. sull’archeologia dei castelli del Montefeltro: CerioNi 2009 ed ermeti, saCCo, voNa 2008, entram-bi con ampia bibl. prec.

3 valeNti 2008, pp. 75-79. Vd. anche l’analisi del contesto di santa Maria in Portuno (Corinaldo, Ancona) in BaroNCioNi 2010.

zialità del deposito sepolto4. Lo scavo ha permesso di comprendere come i

lavori di ammodernamento delle difese della Roc-ca, effettuati sullo scorcio del XV secolo, abbiano coinciso con un sostanziale riassetto anche dello

4 la forma e la posizione dei saggi sono state determinate dalla presenza di sottoservizi, che non è stato possibile interrompere, e dalla vicinanza della cisterna (al di sotto del pozzo al centro della piazza d’armi), il cui taglio, realizzato in epoca moderna, ha distrut-to le stratigrafie superstiti di epoca altomedievale e medievale. sono presenti in entrambi i saggi le us 0-2 (500-502 nel setto-re se), testimoni delle ultime vicende che hanno interessato la rocca nell’epoca moderna e contemporanea: sostanzialmente abbandonata e in disuso dai primi decenni dell’800, essa venne adibita a svariati utilizzi (magazzino, fienile, abitazioni, giardino, ci-sterna: maroZZi 1998, pp. 19-20); la pavimentazione più recente (us 0-1) è stata realizzata attorno agli anni settanta del ’900, in occasione della riconversione dello stabile in spazio all’aperto con discoteca e ristorante (BorZaCChiNi 1998, p. 39).

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 127-137

AndreA BArOnCiOnidipartimento di storia Culture Civiltà dell’università di Bologna

o scavo archeologico nella piazza d’armi della RoccaL

Fig. 1. Localizzazione dei due saggi di scavo (in grigio) all’interno della corte interna della rocca (in giallo). in arancio, l’ingombro delle muratiure del monumento

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spazio corrispondente all’attuale corte interna, o piazza d’armi5.

Il cantiere per la realizzazione del terrapieno del-la corte, condotto contestualmente alla rifasciatura delle cortine murarie e all’asportazione di parte del deposito già presente, ha prodotto un livellamento dell’area (fig. 3), che doveva presentare in antico un aspetto altimetricamente molto più mosso di quello riscontrabile attualmente6.

5 palloNi 1998, p. 27. si tratta dei lavori di aggiornamento dell’architettura militare del complesso nei confronti delle più recenti innovazioni delle tecniche obsidionali del cd. “periodo di transizione”, descritto in dettaglio da e. ravaioli nei suoi due contributi in questo volume.

6 Al di sotto dell’attuale pavimentazione (uuss 500-501), è stato rinvenuto, coperto dal deposito di coltivo scuro (us 502), un pacco di terriccio a matrice sabbioso-argillosa di colore gial-lo-ocra (us 505), che copre un sottile strato di battuto di calce (us 506, quota di ca. -1,10 m dall’attuale p.d.c.) interpretabile come la pavimentazione della rocca realizzata dopo il rialza-mento tardoquattrocentesco del piano di calpestio della piazza d’armi. il pavimento us 506 è stato rinvenuto alla stessa quota nel settore sO (us 1091 in fig. 8). sigillato dall’us 506 è presen-te un potentissimo strato composto da terreno a matrice sab-bioso-argillosa con ciottoli, frustuli carboniosi e rari frammenti ceramici (us 509), che scende oltre i -3,20 m dall’attuale p.d.c.

Nella parte settentrionale del saggio sud-ovest (Settore SO, fig. 4) l’asportazione del deposito, perpetrata nei secoli recenti, quando la Rocca fu impiegata per varie funzioni7, ha prodotto un profondo scasso che ha comportato la perdita di gran parte del potenziale informativo di questo settore. La rimozione dei piani di calpestio antichi rende poi difficilmente contestualizzabili due profonde buche, i cui riempimenti non hanno

l’us 509 è interpretabile come il riempimento-terrapienatura dell’interno della piazza d’armi conseguente all’aggiornamento dell’architettura della rocca rispetto alle rinnovate tecniche os-sidionali: per offrire una più efficace resistenza alle armi offensi-ve rinascimentali, le mura perimetrali vengono fasciate con una poderosa scarpa in muratura, e il piano di calpestio della corte interna viene cospicuamente rialzato tramite successivi riempi-menti. È interessante notare che i riempimenti componenti l’us 509 presentano tutti una pendenza in direzione se, e nell’area del settore se la terrapienatura risulta molto più potente che nel settore sO (us 1052, vd. infra): tale dato risulta indicativo del fatto che le mura della rocca fasciavano la cima del dosso, che evidentemente presentava il versante di maggiore strapiombo, necessitante della massima quantità di materiale di riporto per il livellamento, proprio in corrispondenza del settore se (fig. 3).

7 Vd. gli interventi di s. de Cesare ed e. ravaioli in questo volume.

Fig. 2. uno dei due saggi aperti nella rocca nel 2006 (sud-ovest). Visibile la struttura muraria uSM 1059, in ciottoli legati da calce

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restituito materiale diagnostico8. Altrettanto significativa appare la presenza di una struttura (USM 1059) in ciottoli e calce terrosa giallastra.

8 si tratta delle buche individuate con i numeri -9 e -1116 (tagli).

Meglio conservato appare il settore sud-est del medesimo saggio (fig. 4), dove il verso di deposi-zione degli strati scavati e il differente spessore del terrapienamento tardoquattrocentesco mostrano chiaramente come la parte sudorientale della corte fosse caratterizzata dalla presenza di un dosso che

Fig. 3. Settore Se, sezione ovest. In grigio, il potente strato di terrapienatura operato per regolarizzare e rialzare il piano di calpestio della corte interna della rocca (fine del XV secolo)

Fig. 4. Settore SO, planimetria generale con evidenziazione delle uSM citate nel testo

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Figg. 5-6. Il saggio di scavo denominato Set-tore SO in due vedute: da nord (in alto) e da est (a sinistra)

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declinava da sud-est verso ovest. In corrispondenza di questo dosso lo scavo ha

consentito di mettere in luce una serie di livelli di frequentazione, di seguito brevemente descrit-ti (US 37), di quello che può essere interpretato come un edificio in materiale deperibile caratte-rizzato da una lunga continuità di vita o, in alter-nativa, di due edifici distinti e sovrapposti con la stessa destinazione d’uso, caratterizzata dalla pre-senza di un semplice focolare impostato diretta-mente sul terreno.

La lettura di queste evidenze è ostacolata, oltre che dai lavori tardorinascimentali, dalla presen-za di un edificio in laterizio (USM 29, figg. 4-6), rinvenuto parzialmente, e da una fossa per lo spe-gnimento della calce pertinente all’edificio stesso: questi interventi hanno intaccato in profondità i depositi archeologici preesistenti. Di questa strut-tura (USM 29), posta nell’angolo nordorientale del saggio di scavo9, sono stati messi in luce due pareti perpendicolari in laterizi, di cui una caratterizzata dalla presenza di un arco di scarico a sesto acuto che con tutta probabilità andava ad appoggiarsi al lato nordorientale della Rocca. Il riempimento della fossa di spogliazione dell’USM 29 non ha restituito materiale datante, ma un frammento di ceramica graffita rinascimentale, collocabile tra la fine del XV e l’inizio XVI secolo, è stato rinve-nuto in uno degli strati tagliati dalla fossa e costi-tuisce un terminus post quem per la datazione di questa struttura10.

Scavati i riporti tardorinascimentali, al di sot-to dell’US 35, costituita da un deposito a matri-ce limo-sabbiosa di colore scuro con un numero considerevole di ciottoli e conci appena sbozzati, riferibili con buona probabilità alla demolizione di una struttura, è stato rinvenuto un primo piano di frequentazione (US 73, fig. 8): si tratta di un riporto scuro, caratterizzato dalla presenza di una profonda fossa di forma sub-circolare, riempita parzialmente da un nucleo in malta poco tenace e ciottoli e da un focolare. La mancanza di una struttura o di una semplice fossa terragna fanno

9 Questa struttura è posta in corrispondenza dell’edificio indi-cato come “Chiesa di santa Barbara” nella veduta a volo d’uccello della rocca redatta nel 1708 da l.F. Marsili. Vd. i contributi di s. de Cesare ed e. ravaioli in questo volume, e maroZZi 1998, p. 11. sui materiali provenienti dallo scavo, vd. G. Assenti in questo volume.

10 BaroNCioNi, BosChi, ravaioli 2005, pp. 120-121.

pensare che questo piano sia derivato da semplici cataste di legna fatte ardere direttamente a contat-to con il suolo.

Non sono stati rinvenuti, qui e nei depositi sot-tostanti, resti prodotti dal disfacimento di intona-cature in terra o altri tipi di rivestimento, mentre la mancanza di chiodi deve essere riferita a un largo impiego di legacci in materiale deperibile o punto-ni in legno, che non hanno lasciato traccia. Questo livello di frequentazione (US 73) ha restituito un catino coperchio (fig. 7) inquadrabile tra IX-X se-colo11 oltre ad alcuni frammenti di pareti di cerami-ca depurata riferibile probabilmente a un orizzonte cronologico più tardo.

È difficile ricondurre le evidenze rinvenute a una tipologia costruttiva precisa. La profonda fossa con un nucleo in conglomerato si trova sul prolun-gamento della struttura in ciottoli legati con una malta molto terrosa (USM 1059), rinvenuta a li-vello delle fondazione nella parte settentrionale del saggio, ma la reciproca pertinenza di queste due evidenze non trova conferme su basi stratigrafiche, anche a causa delle condizioni molto rimaneggiate in cui ci è giunta l’area di scavo.

Particolarmente interessante, inoltre, appare il rinvenimento di una piccola fossa di forma circolare con pareti poco inclinate e fondo piatto che taglia sempre il livello di frequentazione (US 80): pareti e fondo appaiono rubefatti, a tratti quasi vetrificati da una forte esposizione al calore (fig. 9). Nel riempimento della fossa, caratterizzato dalla presenza di una cospicua quantità di resti carboniosi, si segnala il rinvenimento di numerosi frammenti

11 ravaioli, veCChietti 2007, p. 215. Vd. anche Assenti in questo. volume, us 73, n cat. 2006/500.

Fig. 7. Il catino coperchio durante il rinvenimento (uS 73)

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Fig. 8. Settore SO, sezione dei lati sud-ovest e sud. In colore, le principali uS, a cui si fa riferimento nel testo

di una pentola in pietra ollare12. Questa piccola fossa sembrerebbe trovare un preciso confronto con un’analoga rinvenuta a Pescara, in questo

12 la pentola, di forma troncoconica, si caratterizza per la resa delle pareti esterne a scanalature ad arco di cerchio alte tra i 0,2 e i 0,3 cm. le pareti sono spesse tra i 0,9 e i 1,2 cm, con orlo indistinto, lievemente assottigliato nella parte terminale, e pre-sentano tracce di fumigazione e concrezioni. Al disotto dell’orlo è presente un listello alto circa 0,8 cm che sporge dal corpo del vaso di circa 0,2 cm. la porzione di listello conservata non presenta tracce riferibili alla presenza di un nastro metallico. lo spazio tra orlo e listello è liscio. Vd. anche il contributo di G. Assenti in questo volume.

caso immediatamente a ridosso di un focolare, e interpretata come punto per l’allocazione di olle/pentole parzialmente o completamente ricoperte dai carboni ardenti13: questo sistema di cottura è stato ricondotto alla necessità di lunghe esposizioni al calore dei cibi, in particolare a quelle riservate alle carni ovine, dato che testimonia specifiche abitudini alimentari14.

Le analisi a cui è stata sottoposta la pentola rin-venuta nel corso dello scavo permettono di ascri-vere questo reperto alle cave delle Alpi centrali e al Gruppo D della classificazione Mannoni-Pfei-fer15. Questo rinvenimento sembra inserirsi in un quadro piuttosto coerente, che vede da un lato la mancanza di rinvenimenti di contenitori in pietra ollare provenienti dall’arco alpino nordoccidentale in area padana in contesti posteriori alla metà del VII secolo16 e, dall’altro, individua nel rinvenimen-to in Toscana di contenitori in pietra ollare prove-nienti dalle Alpi centrali un marcatore cronologico di X-XI secolo17. Sempre dalle Alpi centrali, inol-tre, proviene una serie di contenitori rinvenuti in Abruzzo e Marche, recentemente oggetto di analisi

13 staffa 1998.

14 Vd. il contributo di F. Visani in questo volume.

15 maNNoNi, pfeifer, semeels 1987. Vd. anche il contributo di O. Francioni in questo volume.

16 malaGuti 2005, p. 173.

17 alBerti 2009, p. 632.

Fig. 9. Settore SO, piccola fossa di forma circolare con pareti incli-nate e fondo piatto, rubefatti a causa della forte esposizione al calore (si tratta di due focolari posti uno al di sopra dell’altro)

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petrografiche ma di cui purtroppo è fornita una da-tazione generica tra X e XIV secolo18.

Le caratteristiche morfologiche e petrografiche di questa pentola, quindi, permettono di collocarla prudentemente tra IX e X secolo19, periodo in cui i centri che si affacciavano sull’Adriatico centrome-ridionale, e nello specifico quelli della costa mar-chigiana, erano interessati da scambi commerciali, svolti molto probabilmente via mare, che li met-tevano a contatto con i centri produttori di conte-nitori in pietra ollare delle Alpi centrali20. Sarebbe interessante comprendere inoltre se questi prodotti poi dalla costa fossero commercializzati anche nei centri dell’entroterra, secondo analoghe dinamiche ipotizzate per la Toscana21.

Lo strato di frequentazione che stiamo analizzan-do (US 73), in sintesi, con il focolare individuato sulla superficie e la piccola fossa con i frammenti della pentola in pietra ollare (fig. 9), sembra costi-tuire un contesto unitario databile al X-XI secolo, sulla base delle considerazioni precedenti sulla pie-tra ollare e al rinvenimento del catino coperchio.

Al di sotto di questo primo piano di vita ne è sta-

18 saNti, aNtoNelli, reNZulli 2005.

19 malaGuti 2005, pp, 173-179, con ampia bibliografia di rife-rimento.

20 Per la diffusione e i rinvenimenti di contenitori in pietra ollare nell’italia adriatica centro-meridionale vd. staffa 1986; al-Berti 1997; staffa 1991; Id. 2000; Id. 2004; Id. 2005; eBaNista 2009.

21 Vd. alBerti 2009.

to trovato un secondo (US 76), simile al preceden-te per colore e consistenza. Questo era tagliato da due buche di palo (ben visibili in figg. 10-11), di forma circolare, senza zeppe o tracce di riuso, con un diametro compreso tra 20-30 e 60 cm: la pre-senza di consistenti tracce carboniose nel riempi-mento è riconducibile a pali lignei rimasti in loco, o solo parzialmente asportati, dopo l’abbandono della struttura22. Le limitate dimensioni dell’area di scavo non ci consentono di ipotizzare quale svi-luppo planimetrico potesse avere quest’edificio, né quale funzione architettonica avessero i pali che riempivano queste buche. Questo secondo pia-no di frequentazione appare caratterizzato inoltre dalla presenza di un semplice focolare a terra, po-sto esattamente in corrispondenza del precedente (fig. 9).

L’asportazione dell’US 76 ha messo in luce una buca, di diametro leggermente maggiore delle pre-cedenti, posta grossomodo al centro dell’area.

L’elemento che pare emergere chiaramente dallo scavo è la lunga e complessa diacronia dell’occu-pazione del sito, dato enfatizzato dal rinvenimento, nella parte più bassa del deposito, di un frammento di ceramica costituito da un fondo ad anello in ver-nice nera23 che, in via del tutto ipotetica, potrebbe

22 valeNti, froNZa 1997, pp.172-173; valeNti 2008 p. 80.

23 Vd. Assenti in questo. volume, us 113, n cat. 2006/243.

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Fig. 10. Settore SO, veduta generale da sud-est. nella parte alta dell’immagine di vedono le buche di palo in uS 76

Fig. 11. Settore SO, veduta generale da est. Si noti l’arco di scarico della struttura uSM 29

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Lo scavo archeologico nella piazza d’armi della rocca

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attestare una qualche frequentazione del sito già a partire dal I secolo a.C.24

Le strutture in materiale deperibile precedenti all’impianto pienamente medievale della Rocca sembrano legittimare l’ipotesi che, anche in que-sto scorcio delle Marche meridionali, sul colle di Acquaviva, come nel vicinissimo Abruzzo e in Toscana, si siano sviluppate quelle dinamiche del popolamento che portarono a una precoce occu-pazione di determinati siti, in particolare d’altu-ra, che saranno oggetto di incastellamento a par-tire dal X secolo. In particolare, per l’Abruzzo teramano, l’incastellamento «non sembrerebbe presentarsi come un momento di rottura così im-mediato e totale con le precedenti forme di oc-cupazione del territorio, ma piuttosto una fase di riassetto in cui confluiscono nuove fondazioni, centri d’altura già esistenti, strutture insediative localizzate in aree occupate in epoca romana»25.

La persistenza dell’occupazione della parte som-mitale del colle sembra principalmente il frutto del-la capacità dell’ambiente di condizionare le logiche del popolamento in epoche anche molto lontane.

24 Vd. il contributo di G. Assenti in questo volume.

25 staffa 1986, p. 459.

La sommità del colle deve aver rappresentato un luogo con una naturale vocazione ad accogliere l’insediamento umano, anche con destinazio-ni d’uso diverse26. In conclusione, se i dati che ci giungono dai molti castelli scavati in Toscana permettono di comprendere che l’incastellamento interessò soprattutto realtà insediative preesistenti e stabilmente popolate27, lo studio, condotto attra-verso ricognizioni territoriali e l’analisi delle fonti scritte, sembra confermare per le Marche meridio-nali questa stessa tendenza28. Le scelte insediative, cioè, sembrano rispondere principalmente a strin-genti motivazioni geografiche e ambientali, che hanno portato il popolamento a persistere anche in epoca medievale in siti occupati in età romana e picena29: è quindi possibile, come documentato anche in Toscana, che «ragioni simili spinsero, a distanza di secoli, popolazioni rurali, culturalmen-te diverse, ad adottare scelte insediative in parte sovrapponibili»30.

26 settia 2007, p. 29.

27 fraNCoviCh 2004, p. XVii.

28 aNtoNGirolami 2005, p. 334.

29 staffa 1996, p. 319.

30 fraNCoviCh 2004, p. XVi.

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vAlEnti 2004 = M. vAlEnti, L’insediamento alto-medievale nelle campagne toscane: paesaggi, popolamento e villaggi tra VI e X secolo, Fi-renze 2004.

vAlEnti 2008 = M. vAlEnti, Edilizia nel villaggio altomedievale di Miranduolo (Chiusdino, SI), in «Archeologia Medievale» XXXV, 2008, pp. 75-100.

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Alcune considerazioni sulle ceramiche da Acquaviva Picena

Lo studio dei reperti provenienti dai due settori di indagine aperti negli anni 2005 e 20061 è stato preceduto da una fase di selezione del materiale da trattare: sono stati presi in considerazione, infat-ti, solo i reperti più significativi ai fini dello stu-dio, come orli e pareti decorate, mentre sono stati esclusi da questa trattazione i materiali provenienti dalle pulizie superficiali dell’area, che hanno re-stituito ceramiche smaltate, invetriate, ingobbiate graffite, ma anche pietra ollare e tegami riferibili a un orizzonte cronologico medievale2.

Pur rimandando al catalogo per la trattazione dei singoli pezzi e la bibliografia specifica di confronto, pare opportuno, in questa sede, fare alcune osser-vazioni preliminari sulla cultura materiale emersa.

Lo studio dei pezzi è stato condotto facendo ri-ferimento, per le singole classi ceramiche, a quan-to già noto in regione, per poi ampliare lo spettro di confronto con i territori limitrofi, quali Lazio, Abruzzo ed Emilia-Romagna. Bisogna evidenzia-re, però, la mancanza, nel territorio marchigiano, di pubblicazioni riguardanti le ceramiche medievali e post-medievali da contesti stratigrafici, mentre sono note corpose sintesi sulle maioliche di produzione regionale, ma provenienti da collezioni o sterri3.

1 Vd. il contributo di A. Baroncioni in questo volume.

2 la documentazione grafica e fotografica è a cura di chi scri-ve; i colori della argille delle ceramiche sono stati indicati facen-do riferimento alla tavola muNsell 2000.

3 Ci si riferisce alle pubblicazioni inerenti alle maioliche delle Marche settentrionali, con particolare riferimento alle produzio-ni di Pesaro, urbino e Casteldurante; vd., a titolo esemplificativo, papaGNi 1978; Maioliche Pesaro 1979; BerarDi 1984; fioCCo, Ghe-

In riferimento alle ceramiche rivestite, si eviden-zia una prevalenza delle ceramiche smaltate sul-le ingobbiate, queste ultime perlopiù graffite. Per quanto riguarda le smaltate – definizione entro cui ricadono le maioliche arcaiche, le produzioni rina-scimentali e post-rinascimentali – il quadro, sebbe-ne si tratti di un nucleo ristretto, appare articolato.

La maiolica arcaica è scarsamente attestata e in contesti non affidabili: purtroppo si tratta di fram-menti poco indicativi, che non permettono valuta-zioni in merito ai luoghi di produzione4. Più con-sistenti risultano, invece, le smaltate policrome di epoca rinascimentale e post-rinascimentale, rap-presentate in maggioranza da pareti; esse presen-tano decori tipici dell’area centro italica, come il motivo a scalette ed elementi floreali nelle tonalità del blu, affiancati da esiti ornamentali che riman-dano in modo specifico, invece, alle fabbriche del sito produttivo di Castelli5. Si ricordano, a titolo esemplificativo, la decorazione ad archetti arancio-ni sulla ciotola in maiolica compendiaria 2006/4 (fig. 5, n. 5), o il motivo a scalette, affiancato da al-tri elementi ornamentali nei colori del blu, arancio

rarDi 1997; CiaroNi 2004.

4 Per la diffusione della maiolica arcaica nelle Marche si veda Blake 1972, pp. 366-367, 372; GeliChi 1992a, p. 13; ermeti 1997, pp. 19-29, con particolare riferimento a p. 29 per le osservazioni in merito ad Ascoli Piceno.

5 il centro produttivo di Castelli (Teramo), piccolo borgo lo-calizzato alle pendici del Gran sasso d’italia, è noto per la pro-duzione di ceramiche ingobbiate graffite e smaltate, le prime prodotte probabilmente già a partire dalla fine del XiV-inizi XV secolo, le altre dalla prima metà del ‘500. Per un inquadramento generale si rimanda a Le maioliche cinquecentesche di Castelli 1989; De pompeis 1989a; riCCi 1989a; paNNuZi 1997; De pompeis 2005; per le indagini archeologiche condotte presso le fabbri-che castellane De pompeis, De ColliBus, fraNCesChilli 1981; De pompeis 1985.

e indagini nei Settori SE e SO: i repertiLGildA AssenTi

dipartimento di storia Culture Civiltà dell’università di Bologna

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 139-177

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e giallo, riscontrato nei pezzi 2006/244 e 2006/245 (fig. 27, nn. 1-2). Un discorso analogo vale per il motivo decorativo ad archetti sulle ceramiche in-gobbiate graffite, per il quale pare di riconoscere nuovamente una stretta connessione con il cen-tro produttivo di Castelli6, dove sono noti bacini analoghi per forma e decorazione al frammento 2006/9 (fig. 6, n.1). Non mancano, però, pezzi che mostrano maggiori affinità con il repertorio morfo-logico e ornamentale della graffita di area padana, come testimoniato dai frammenti 2006/413 (fig. 1, n. 2), 2006/440 (fig. 4, n. 2), 2006/10 (fig. 6, n. 2), 2005/91 (fig. 12, n. 1)7; in particolare, il motivo a denti di lupo riconosciuto sulla coppa 2006/10 pare estraneo alle fabbriche castellane. Si segnala, infi-ne, il frammento di catino in ceramica ingobbiata graffita monocroma verde 2006/96,100,101 (fig. 6, n. 3) che, al momento, sembra riconducibile a una produzione veneta.

Per quanto concerne le ceramiche invetriate post-medievali, si riscontrano sia tipologie da mensa sia da fuoco, con un repertorio formale in accordo con quanto noto dalle indagini archeologiche dell’Emi-lia-Romagna e del Lazio, come esemplificato dai frammenti 2006/400 (fig. 3, n. 1), 2006/401 (fig. 3, n. 2), 2006/412 (fig. 1, n. 1), 2006/441 (fig. 4, n. 1), 2006/2 (fig. 5, n. 2), 2006/67 (fig. 17, n. 2).

Un’attenzione particolare, però, merita il nucleo costituito dalle ceramiche comuni di uso domesti-co e da fuoco di epoca medievale. Anche in questo caso, come già osservato in via generale, si lamen-ta un’assenza di studi specifici su tali classi cera-miche nel territorio marchigiano, a esclusione di alcuni lavori pioneristici di Liliana Mercando8 e Gabriella Maetzke9 e una recente sintesi di Maria Cecilia Profumo10. Pertanto si è fatto ricorso all’ab-bondante documentazione di area laziale, con par-ticolare riferimento alle pubblicazioni della Crypta Balbi11, e ai recenti studi di Andrea Rosario Staffa

6 la probabile connessione fra le ingobbiate graffite delle Mar-che centro-meridionali e i centri produttori dell’italia centrale, quali Todi e, soprattutto, Castelli, è già espressa in GeliChi 1986a, pp. 399-401; GeliChi 1992a, pp. 15-16.

7 GeliChi 1992a, p. 15.

8 merCaNDo 1970.

9 maeZtZke 1978.

10 profumo 2004.

11 maNaCorDa et al. 1986; riCCi 1990.

e dei suo collaboratori in merito alle produzioni medievali dal territorio abruzzese12.

I reperti che rientrano in queste classi, collocabili fra IX e XI secolo, con alcune persistenze fino al XIII, costituiscono la maggioranza del materiale rinvenuto e si segnalano per una certa omogenei-tà delle caratteristiche tecniche. Essi presentano, infatti, impasto duro e non sempre ben depura-to, frequentemente con inclusi bianchi calcarei e brillanti micacei, raramente scuri, mentre il colore dell’argilla varia dal rosso al marrone, spesso an-che nello stesso pezzo, con frammenti che presen-tano corpo esterno rosso-marrone e sezione interna grigia. La difformità riscontrata sui singoli reperti è indice di un ambiente di cottura non omogeneo, con temperatura e apporto di ossigeno incostanti. Per quanto riguarda la distinzione effettuata nel ca-talogo fra uso domestico e da fuoco, essa si basa essenzialmente sulla presenza o meno di tracce di annerimento dovute all’esposizione a fonti di calo-re, sebbene tale criterio non sia totalmente affida-bile, data la conservazione esigua dei frammenti. Tuttavia, dal momento che forme identiche veni-vano usate tanto per la cottura dei cibi quanto per la conservazione, la differenziazione non influenza la definizione cronologica. I reperti si presentano, inoltre, in grande maggioranza lisci, ma non man-cano esemplari decorati; anche in tal caso risulta impossibile, vista la frammentarietà del materiale, definire se i pezzi rinvenuti privi di decorazione fossero realmente tali. Tale dubbio nasce da due considerazioni: la prima è la compresenza, negli strati, di orli lisci con numerose pareti decorate, forse pertinenti agli stessi orli, ma non ricostruibili (fig. 14, n. 7; fig. 32, n. 9); la seconda è che, gene-ralmente, tale lavorazione si sviluppa dalla spalla del vaso verso il fondo. La decorazione è costituita da sottili linee incise, rese probabilmente duran-te la lavorazione del pezzo mediante l’utilizzo di uno strumento a pettine, come rilevabile nelle olle 2006/273 (fig. 29, n. 1), 2006/408 (fig. 32, n. 2), 2006/405 (fig. 32, n. 5), ma anche nelle forme aper-te, quali tegami, catini, ciotole e forni-coperchio, esemplificati da 2006/253 (fig. 27, n. 6), 2006/181 (fig. 14, n. 5), 2006/45 (fig. 15, n. 1), 2006/75 (fig. 17, n. 4), 2005/43 (fig. 7, n. 1), 2005/44 (fig. 7, n.

12 in particolare staffa 1991; staffa, oDoarDi 1996; staffa 2004; sieNa, terriGNi 2004.

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Le indagini nei Settori Se e SO: i reperti

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2), 2006/198 (fig. 16, n. 2), 2006/199 (fig. 16, n. 3). Alcune pareti, come quelle rinvenute in US 38 (fig. 14, n. 7), mostrano una lavorazione “a stuoia”, ossia con fasci di linee dall’andamento differente che ricoprono la superficie del vaso, ben nota nella produzione abruzzese di questo periodo13.

Dalle considerazioni in merito alle ceramiche acrome di questo orizzonte cronologico non posso-no essere scisse le produzioni a vetrina sparsa, di cui sono stati rinvenuti solo due manufatti; essi pre-sentano vetrina giallo-verdastra, concentrata solo in alcuni punti, generalmente in corrispondenza dell’orlo. Si può osservare che il repertorio formale, sebbene si tratti di frammenti di dimensioni ridotte, non sembra discostarsi da quello della produzio-ne in ceramica comune coeva, trattandosi di olle o probabili brocche con orlo leggermente svasato e arrotondato; il fenomeno della produzione di forma analoghe, sia rivestite sia acrome, è ben attestato anche in Abruzzo14. A ulteriore riprova della con-nessione stretta fra le due produzioni è l’analogia del corpo ceramico, che nei frammenti a vetrina sparsa si presenta anch’esso con inclusi micacei frequenti e colore delle argille che varia dal rosso al marrone. Proprio le somiglianze elencate induco-no a non escludere con certezza che materiale clas-sificato come ceramica comune di uso domestico sia in realtà ceramica a vetrina sparsa, di cui si è conservato un frammento privo di rivestimento. Si può pertanto ipotizzare che le produzioni acrome e a vetrina sparsa fra IX e XII secolo circa dell’Italia centrale fossero piuttosto standardizzate e, sebbe-ne esistessero certamente centri produttori diversi sparsi nel territorio, il repertorio formale fosse piut-tosto ridotto, per favorire una produzione in serie15.

Un’ultima riflessione meritano, infine, gli impa-sti con cui sono realizzate le ceramiche comuni e

13 il motivo decorativo a stuoia appare in Abruzzo fra iX e X secolo ed è ampiamente diffuso fra Xi e Xii (staffa, oDoarDi 1996, p. 206; staffa 2004, p. 228); la concentrazione di linee con andamento divergente rispetto ai fasci con sviluppo orizzontale si verifica, generalmente, nella parte bassa del vaso e tale dato è stato spiegato con la probabile impossibilità, da parte degli artigiani, di usare il pettine in modo verticale in corrispondenza del fondo del recipiente (sieNa, terriGNi 2004, p. 237).

14 si veda sieNa, terriGNi 2004, p. 237, dove le due classi cera-miche sono trattate contestualmente proprio per la coincidenza di forme e decorazioni.

15 un’osservazione analoga è già stata fatta dalla Paroli in me-rito ai contenitori in ceramica a vetrina sparsa: paroli 1990, p. 349.

quelle a vetrina sparsa: la produzione di vasi con argille che variano dal rosso al marrone, con pre-senza di inclusi bianchi e micacei, è tipica dell’area abruzzese16, ma si riscontra anche nel materiale da Acquaviva e in reperti, afferenti allo stesso oriz-zonte cronologico, venuti in luce nel settore cen-trale della regione, come testimoniano le recenti indagini presso il sito di Santa Maria in Portuno-Corinaldo (Ancona)17. Tuttavia si può osservare come il materiale proveniente da Corinaldo, ancora in corso di studio, al momento non sembri presen-tare motivi decorativi incisi come quelli riscontrati ad Acquaviva e nelle produzioni abruzzesi. Pare di rilevare pertanto che, sebbene il repertorio formale adottato da tali produzioni coincida nel territorio centrale e meridionale della regione, le caratteristi-che decorative dei reperti da Acquaviva leghino il territorio ascolano alla realtà abruzzese, come già osservato in precedenza per le produzioni rivestite medievali e post-medievali. Ulteriore spia di que-sta differenziazione sembra essere il materiale pro-veniente da Matelica (Macerata)18, dove il vasella-me, frequentemente conservato per buona parte del profilo, non mostra una decorazione esterna della superficie, in accordo con quanto emerge attual-mente dagli scavi di Santa Maria in Portuno. Tali ipotesi andranno comunque verificate ampliando il panorama sullo studio di tali classi ceramiche e potendo fare riferimento a un campione regionale più ampio.

Un breve accenno meritano anche i materiali ro-mani e tardoantichi/altomedievali venuti in luce. Nel primo caso il materiale a disposizione è scar-so: si tratta di due fondi in ceramica a vernice nera e un frammento di parete, chiaramente residuali, che possono, per le caratteristiche dell’argilla, ro-

16 si veda, per le produzioni acrome di iX-X secolo, staffa 2004, p. 220; per il vasellame in vetrina sparsa di Xi-Xii secolo staffa 2004, pp. 226-227; per la ceramica acroma e a vetrina sparsa sieNa, terriGNi 2004, p. 237.

17 le indagini sono condotte dal dipartimento di Archeolo-gia dell’università di Bologna sotto la direzione dei Proff. s. de Maria e G. lepore, a partire dal 2001. i materiali provenienti da una delle aree indagate, il saggio F, sono stati oggetto della tesi di specializzazione della scrivente, discussa nella terza sessione A.A. 2008/2009. Per le osservazioni sulle ceramiche medievali di uso domestico vd. asseNti 2008-2009, pp. 76-78, 90-95; per una sintesi generale sui reperti del saggio F si rimanda a quanto edito in asseNti 2010.

18 merCaNDo 1970.

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sa-beige molto polverosa, definirsi genericamente di “produzione locale”. Per quanto riguarda la ce-ramica tardoantica/altomedievale, invece, si sono riconosciuti pochi frammenti riferibili a questo orizzonte cronologico, ma da contesti coerenti e databili al V-VIII secolo; anche in tal caso, trattan-dosi di ceramica acroma, il confronto con la situa-zione abruzzese19 è molto attinente.

19 Per le ceramiche abruzzesi di V-Vii si rimanda a staffa 1998; oDoarDi 1998; sieNa, troiaNo, verroCChio 1998.

Per concludere questa premessa al catalogo, si fa riferimento ai reperti in pietra ollare20 emersi nel corso delle indagini, per la cui analisi si è de-ciso di fare riferimento alle tipologie individua-te da Chiara Malaguti21, la quale, nello scavo del Castello di Piadena (Cremona), ha verificato una specifica corrispondenza fra differente lavorazio-ne esterna dei manufatti, spessore dei vasi e varia-zioni cronologiche.

20 Per le analisi condotte sul frammento 2006/406 e le osser-vazioni in merito al rapporto fra i centri costieri adriatici e le alpi centrali, alle cui cave è riferibile il frammento in questione, si rimanda al contributo di A. Baroncioni in questo volume.

21 malaGuti 2005.

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Le indagini nei Settori Se e SO: i reperti

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Catalogo22

I materiali dal saggio sud-est (Settore SE)

US 502

2006/412 (fig. 1, n. 1)Invetriata. Diam. orlo: 12 cm. Arg.: compatta e poco depurata, con inclusi di picco-

le dimensioni bianchi e brillanti frequenti, di medie di-mensioni bianchi e meno frequenti; 2.5 YR 6/8 (rosso).

Riv.: vetrina int., compatta e lucida; 5YR 4/6 (mar-rone).

Olla con orlo leggermente svasato, arrotondato e for-mante esternamente una fascia modanata, e corpo glo-bulare. Trova analogie con olle dallo scavo del giardino del Conservatorio di Santa Caterina (BARtoloni 1985, tav. LXVI, nn. 786 e 788, pp. 479-480), ma invetriate anche esternamente, tra le quali la 786 è riconducibile, sulla base dei confronti, alla fine del XVIII-XIX secolo.

22 le abbreviazioni utilizzate nel Catalogo sono le seguenti: diam. = diametroAlt. = AltezzaArg. = Argillariv. = rivestimentoint. = interno/a, internamenteest. = esterno/a, esternamenteFr./Frr = Frammento/isez. = sezionePer il calcolo dell’ampiezza del diametro, ci si riferisce, dove non diversamente specificato, alla misura presa internamente per gli orli ed esternamente per i fondi.il riferimento metrico posto nelle figure è riferito ai disegni; le foto dei pezzi inserite nelle figure hanno ciascuna un proprio riferimento metrico.

Molto simili sono, invece, delle olle provenienti dalla Pieve di Argenta, che presentano le medesime caratteri-stiche d’impasto e vetrina (Minguzzi 1992, fig. 65, nn. 20-21, p. 136) e rinvenute in contesti databili fra la fine del XVII e tutto il XVIII secolo.

2006/413 (fig. 1, n. 2)Ingobbiata graffita. Diam. orlo: 12 cm. Arg.: compatta e depurata; 2.5 Y 8/3 (beige). Riv.: vetrina incolore-giallastra int., est. fin sotto

l’orlo. Ciotola leggermente carenata con orlo verticale arro-

tondato e ingrossato esternamente; presenta una linea graffita internamente, sotto l’orlo, sottolineata da una fascia dipinta verde e si riconosce un ulteriore elemento graffito obliquo. Per i confronti e la cronologia si veda quanto detto per il frammento 2006/440, in US 508 (fig. 4, n. 2). Non si esclude, essendo le US 502 e 508 due stra-ti di riporto funzionali al rialzamento della piazza, che i frammenti siano pertinenti alla stessa coppa, vista la so-stanziale identità di impasto, forma e motivo decorativo.

2006/414 (fig. 1, n. 3)Smaltata. Diam. piede: 10 cm. Arg.: depurata, leggermente polverosa e con vacuoli;

10 YR 8/4 (rosa-beige). Riv.: smalto, int. ed est., ma con fondo risparmiato. Frammento di piede a disco di boccale, con decora-

zione costituita da un motivo a nastro blu. Il pezzo si può riferire, probabilmente, alla seconda metà del XVI secolo.

Fig. 1. Materiali dal Settore Se, uS 502

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US 503

2006/423 (fig. 2, n. 1)Ingobbiata graffita. Diam. piede: 10 cm. Arg.: compatta e depurata; 2.5 Y 8/4 (beige). Riv.: vetrina giallo-verde solo int. Piede ad anello di piatto, che presenta una decorazio-

ne interna fortemente deteriorata: si riconoscono un’in-cisione centrale da cui si dipartono, da un lato, altre due perpendicolari a essa, mentre dall’altro è presente un motivo graffito interpretabile come un elemento fito-morfo, forse una foglia, e un elemento romboidale non identificabile. Difficile è stabilire quale fosse il disegno generale, tuttavia elementi simili, seppur disposti in modo diverso, si riscontrano su ceramiche ingobbiate graffite da Argenta (BRunEtti 1992, fig. 4, nn. 12 e 16; fig. 5, nn. 6-7, p. 69), collocabili nel XVII secolo.

US 505

2006/400 (fig. 3, n. 1)Invetriata da mensa. Diam. orlo: 13 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni bianchi e rari; 2.5 YR 6/6 (rosso-arancio).

Riv.: vetrina marrone-rossiccia compatta int., est. sono presenti solo colature.

Ciotola emisferica, con orlo verticale appiattito supe-riormente e a profilo quadrangolare, che presenta ester-namente un listello arrotondato. Il pezzo mostra una for-te analogia con ciotole da Rimini (gElichi 1986b, tav. IX, nn. 1-7, 10-11, pp. 131-133), simili per forma, carat-teristiche tecniche e dimensioni, datate al XIV secolo.

2006/401 (fig. 3, n. 2)Invetriata da fuoco. Diam. orlo: 10 cm. Arg.: compatta e poco depurata, con inclusi bianchi di

piccole e grandi dimensioni, brillanti piccoli e frequenti; 2.5 YR 5/8 (rosso).

Riv.: vetrina int., compatta e lucida; 5YR 4/6 (mar-rone).

Olla con orlo leggermente svasato, arrotondato e for-mante esternamente una fascia modanata, e corpo glo-bulare. Per i confronti e la cronologia si veda quanto detto per il frammento 2006/412, in US 502 (fig. 1, n. 1).

US 508

2006/441 (fig. 4, n. 1)Invetriata da fuoco. Diam. orlo: 20 cm circa. Arg.: compatta e poco depurata, con inclusi di piccole

dimensioni bianchi e brillanti abbastanza frequenti, scu-ri e rari; 5 YR 6/4 (marrone-rossiccio).

Riv.: vetrina marrone int., est. fin sotto l’orlo. Olla con orlo estroflesso arrotondato, simile a fram-

menti dallo scavo del castello di Ferrara (coRnElio cAs-sAi 1992, fig. 2, n. 3, p. 187; nEgRElli, liBREnti 1992, fig. 24, n. 6, p. 233), provenienti da contesti di tardo XV-metà XVI secolo e metà XVI-prima metà XVII secolo.

2006/440 (fig. 4, n. 2)Ingobbiata graffita. Diam. orlo: 12 cm. Arg.: compatta e depurata; 2.5 Y 8/3 (beige). Riv.: vetrina incolore-giallastra int., est. fin sotto

l’orlo. Ciotola leggermente carenata, ricomposta da due

frammenti, con orlo verticale arrotondato, ingrossato esternamente; presenta una linea graffita internamente, sotto l’orlo, sottolineata da una fascia dipinta verde e si riconoscono all’interno tre ulteriori elementi graffiti curvilinei, sempre dipinti in verde, facenti parte di un decoro non identificabile. La forma ricorda un esempla-

Fig. 2. Materiali dal Settore Se, uS 503

Fig. 3. Materiali dal Settore Se, uS 505

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Le indagini nei Settori Se e SO: i reperti

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re da Lugo con motivo decorativo geometrico-vegetale (tAMpiERi, cRistoFERi 1991, tav. XVII, n. 141, pp. 98 e 104), databile alla seconda metà del XV secolo, una ciotola di Sant’Antonio in Polesine, in graffita arcaica tardiva (guARniERi 2006, fig. 14, n. 94, p. 150), collo-cabile fra il secondo e il terzo venticinquennio del XV secolo, e una da Ferrara (coRnElio cAssAi 1992, fig. 3, n. 3, p. 190), inseribile nella tipologia diffusa sia nella produzione “arcaica tardiva” sia in quella “pre-rinasci-mentale”.

Non essendo riconoscibile il motivo decorativo del frammento da Acquaviva, non sono possibili ulteriori valutazioni, ma appare plausibile una datazione al XV secolo. Si veda, per il contesto di rinvenimento, quanto detto a proposito di 2006/413, in US 502 (fig. 1, n. 2).

2006/424 (fig. 4, n. 3)Smaltata. Arg.: depurata e leggermente polverosa; simile a 2.5

Y 8/4 (giallo). Riv.: smalto bianco int. ed est. Frammento di parete di forma chiusa con decorazione

dipinta in blu, costituita da tre linee orizzontali, di cui quella superiore e inferiore con andamento irregolare. Probabilmente collocabile fra XV-XVI secolo.

I materiali dal saggio sud-ovest (Settore SO)

US 2

2006/1 (fig. 5, n. 1)Invetriata da mensa. Diam. orlo: 4 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni bianchi e rari, di medie dimensioni scuri e rari; 2.5 YR 6/6 (rosa).

Riv.: vetrina marrone int. ed est. deteriorata. Bottiglia con orlo leggermente svasato, formante

esternamente una fascia a profilo concavo, collo stretto e ansa che s’imposta fra l’orlo e il collo. Il pezzo tro-va analogia con un esemplare abruzzese (vERRocchio 2002b, figg. 313 e 316, n. 4.10, p. 320), ma in maiolica monocoroma bianca e collocabile nei secoli XVI-XVII.

2006/2 (fig. 5, n. 2)Invetriata da fuoco.Diam. orlo: 12 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni bianchi e brillanti poco frequenti; 2.5 YR 6/6 (rosso).

Riv.: vetrina marrone-verdastra int., est. solo sull’orlo. Olla con orlo svasato, indistinto e arrotondato, che

presenta esternamente una leggera solcatura, sotto la quale s’imposta l’ansa a nastro. Trova confronto con una pentola invetriata da Ferrara, ma con orlo dal profi-lo interno leggermente concavo (coRnElio cAssAi 1992,

Fig. 4. Materiali dal Settore Se, uS 508

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fig. 8, n. 5, pp. 201-204) e con decorazione a ingobbio sotto vetrina, non presente nel frammento da Acquavi-va. Il pezzo da Ferrara si data al XVI-XVII secolo.

2005/2 (fig. 5, n. 3)Ingobbiata graffita. Arg.: depurata e compatta; 2.5 YR 7/6 (rosa-arancio).Riv.: vetrina giallo-verde solo int. Frammento di parete di probabile catino, che conser-

va parte della tesa. Il decoro graffito posto sulla vasca non è definibile, mentre nel pezzo di tesa conservato è riconoscibile un motivo a onda, con la concavità rivolta verso l’esterno, sottolineato da una dipintura verde. Per i confronti e la cronologia si veda quanto detto per il frammento 2005/10, in questa stessa unità stratigrafica (fig. 5, n.4).

2005/10 (fig. 5, n. 4)Ingobbiata graffita. Diam. orlo: 22 cm. Arg.: depurata e compatta; 7.5 YR 8/4 (rosa). Riv.: vetrina molto deteriorata, che tende a sfaldarsi. Catino con orlo a tesa inclinata verso l’interno ed

estremità ribattuta internamente. La tesa presenta una de-corazione graffita a onda o ad archetti penduli eseguiti in modo molto corsivo, con concavità rivolta verso l’ester-no della tesa. Il motivo è ben attestato nelle Marche (gElichi 1986a, figg. 48-51, 53-54, pp. 401-402) da una serie di bacini murati in alcune chiese della provincia di Macerata, databili alla prima metà del XV secolo. Essi si distinguono dalla produzione della “graffita arcaica” di area emiliano-romagnola per le decorazioni eseguite con bruno manganese, verde ramina e giallo ferraccia e per la presenza, in alcuni casi, di tacche incise sull’orlo. Tali caratteristiche conducono Gelichi a isolare le graffite presenti a sud di Ancona, che trovano, invece, maggiori analogie per forma, decorazione e uso dei colori con le tipologie abruzzesi, come ad esempio quelle di Castelli (gElichi 1986a, p. 401). Tuttavia bisogna osservare che il motivo ad archetti o onde con concavità rivolta verso l’esterno non sembra essere attestato, al momento, nella produzione castellana, come osserva De Pompeis in me-rito a un frammento con tale fregio decorativo rinvenu-to nella Grotta dei Piccioni presso Bolognano (Pescara) (dE poMpEis 2005, p. 49). Un ulteriore riscontro proviene da Matelica, dove un catino frammentario presenta sulla tesa una decorazione analoga, definita “serie continua di semicerchi” (BiAnchi 1999, tav. XV, n. 46, p. 106).

2006/4 (fig. 5, n. 5)Smaltata. Diam. orlo est.: 12 cm. Arg.: depurata e compatta; 2.5 YR 8/4 (giallo-beige).Riv.: smalto bianco int. ed est. Ciotola con orlo a breve tesa, leggermente convessa

superiormente e arrotondata all’estremità, e parete con-vessa. Sulla tesa è presente una decorazione dipinta in arancio costituita da una serie di archetti con concavità rivolta verso l’interno, eseguiti in modo piuttosto corsi-vo. Il pezzo, che è riferibile a una produzione di maio-lica di tipo compendiario, sebbene conservato in modo esiguo, ricorda come profilo un piatto da Castelli, ma di

dimensioni maggiori (Ricci 1989d, tav. IV, n. 73, forma 8, tipo I, 2, p. 151) e con decorazione su smalto ber-rettino, collocabile nella seconda metà del XVI secolo. Tuttavia un motivo decorativo identico a quello di Ac-quaviva è noto nelle produzioni compendiare su fondo bianco castellane, prodotte dalla seconda metà del ’500, con il culmine nell’ultimo terzo del XVI secolo, e pro-gressivamente in decadenza a partire dal primo trenten-nio del XVII secolo (Ricci 1989c, tav. 5, n. 26, p. 136).

2005/7 (fig. 5, n. 6)Smaltata. Diam. orlo: 28 cm. Arg.: depurata e compatta; 7.5 YR 8/3 (rosa). Riv.: smalto int. ed est. Piatto, costituito da due frammenti, con orlo a tesa ar-

rotondata pendente verso l’interno, e indistinta all’estre-mità, vasca poco profonda e piccolo piede ad anello. Il frammento risulta analogo a un esemplare da Faenza, ma con smalto decorato (guARniERi 2009, fig. 62, n. 11, p. 57), collocabile nella seconda metà del XVIII secolo.

2005/9 (fig. 5, n. 7)Smaltata. Diam. piede: 9 cm. Arg.: depurata e compatta, ma con vacuoli; 10 YR 8/3

(nocciola). Riv.: smalto bianco, int. ed est., ma con fondo rispar-

miato.Piede a disco di boccale, che conserva esternamente

una decorazione dipinta blu, non ricostruibile. Generi-camente collocabile fra XV e XVI secolo.

2005/13 (fig. 5, n. 8)Smaltata. Arg.: leggermente polverosa e depurata; 2.5 Y 8/4

(nocciola). Riv.: smalto bianco int. ed est. Frammento di parete di boccale decorato con motivo

“a scaletta” in blu. A titolo esemplificativo, boccali con decorazione analoga, più o meno complessa e arricchi-ta di altri particolari ornamentali, sono noti in Veneto (ERicAni 1986, nn. 128-130, pp. 172-173), Romagna guARniERi 2009, fig. 148, pp. 113 e 118), nel territorio laziale (Ricci 1985, fig. 104, n. 118, fig. 105, n. 119, pp. 382-386), ma anche in Abruzzo, di produzione castella-na, dove però raramente si riscontra il motivo decorati-vo tutto in blu. È di gran lunga più attestata la versione bicolore di tale disegno ornamentale, con i segmenti orizzontali in arancio, racchiusi entro due linee verticali blu (dE poMpEis 1985, tav. 6, n. 2, p. 19). La datazione dei boccali con motivo a scaletta è, genericamente, alla seconda metà del XV-XVI secolo.

2005/8 (fig. 5, n. 9)Porcellana. Diam. piede: 7 cm. Impasto bianco, duro e compatto. Riv.: coperta int. ed est. Due frammenti che ricompongono parte di un piccolo

piede ad anello, con parete carenata. Il pezzo è colloca-bile verosimilmente fra XIX e XX secolo.

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Le indagini nei Settori Se e SO: i reperti

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Fig. 5. Materiali dal Settore SO, uS 2

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2005/5 (fig. 5, n. 10)Terraglia. Diam. orlo: 24 cm. Impasto abbastanza duro e compatto; 2.5 YR 8/3

(beige). Riv.: vetrina int. ed est. Piatto con orlo a tesa indistinta, arrotondata e inclina-

ta verso l’interno. La decorazione a stampo è costituita da una fascia esterna campita da un puntinato marrone, separata dal decoro interno, di tipo floreale, dal classi-co motivo dello steccato. Non si è riscontrato un con-fronto puntuale, vista anche l’esiguità del pezzo, ma è forte l’analogia con materiale proveniente da Sulmona (vERRocchio 2002c, fig. 376, nn. 9-11, p. 361, nota 15; p. 368), da un contesto databile fra XIX e primi decenni del XX secolo, con motivi ornamentali del tipo “Colandine”, ditta inglese produttrice di terraglie. I piatti di tale fabbri-ca si caratterizzano per decorazione centrale costituita da paesaggio con pagode e piante orientali e il bordo riem-pito con intrecci di fiori. Non si esclude che il frammento da Acquaviva possa essere un’imitazione locale.

2005/12 (fig. 5, n. 11)Terraglia (?). Impasto abbastanza duro e compatto; 2.5 Y 8/3 (beige). Riv.: vetrina int. ed est. Frammento di parete, verosimilmente vicina al punto

di attacco del piede, di probabile piatto, con decorazione interna dipinta costituita da petali rosa sovrapposti. Pro-babile cronologia di XVIII-XIX secolo.

2005/15 (fig. 5, n. 12)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 12 cm circa. Arg.: polverosa e depurata; 5 YR 8/4 (rosa). Probabile brocca con orlo verticale, ingrossato e a se-

zione triangolare.

2005/16 (fig. 5, n. 13)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 26 cm. Arg.: polverosa e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni brillanti e poco frequenti; 5 YR 7/6 (rosa-arancio).

Probabile piatto con orlo svasato, indistinto e arroton-dato, che presenta esternamente una scanalatura.

2005/17 (fig. 5, n. 14)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 28 cm circa. Arg.: polverosa e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni brillanti e poco frequenti; 2.5 YR 7/6 (rosa).

Forma aperta con orlo svasato e ingrossato, a sezio-ne leggermente triangolare, separato dalla parete da una leggera concavità.

2005/400 (fig. 5, n. 15)Moneta da lire 50 della Repubblica italiana; anno di

coniazione 1956.

US 12

2006/9 (fig. 6, n. 1)Ingobbiata graffita. Diam. orlo: 20 cm; diam. piede: 11 cm; alt.: 4,7 cm. Arg.: depurata compatta; 5YR 7/4 (rosa). Riv.: si conserva solo l’ingobbio, fortemente deterio-

rato, presente int. ed est. fin sotto l’orlo, con tracce di colature.

Profilo intero di catino con orlo a tesa inclinata ver-so l’interno ed estremità ribattuta internamente, corpo tronco-conico e fondo piatto; presenta sulla tesa un mo-tivo decorativo graffito ad archetti continui. Il profilo rientra, nella classificazione eseguita da Ricci sul ma-teriale graffito da Castelli, nella Forma 2 (Ricci 1989a, tav. 4, n. 27, pp. 38-39), con particolare affinità con il tipo 8, collocabile fra la fine del XIV e il tardo XV se-colo; si tratta di una forma già presente in Italia centrale nella tarda maiolica arcaica e nella prima produzione di maiolica rinascimentale del XV secolo, mentre nella produzione ingobbiata e graffita è attestata soprattutto nelle produzioni padane e in quella umbra (Ricci 1989a, p. 39).

Il motivo decorativo sulla tesa è del tipo più sempli-ce ad archetti, ampiamente attestato dalle indagini negli scarichi delle fabbriche ceramiche castellane (dE poM-pEis, dE colliBus, FRAncEschilli 1981, tav. LII, 155; dE poMpEis 1985, tav. 2, p. 18; dE poMpEis 1989a, tav. A, nn. 3a, 5a, 6, 11-12; tav. C, nn. 2-3; tav. D, n. 14; tav. E, n. 10; tav. H, n. 3; tav. L; tav. N, n. 9a; tav. P, nn. 4, 9; tav. Q, nn. 1a, 6, 8-9), sia sui frammenti dipinti in verde ramina, bruno manganese e giallo ferraccia, sia sui pez-zi mancanti della seconda cottura; questo disegno or-namentale è stato riscontrato anche in altre località del teramano (dE poMpEis 1985, tav. 3, nn. 1-2, pp. 17-18; coRRiERi 2006, fig. 5, p. 32; fig. 12, p. 38). Il motivo ad archetti costituisce, come già osservato da De Pom-peis (dE poMpEis 2005, p. 43), uno dei tipi decorativi più costanti della ingobbiata graffita italiana, a partire dal XIV secolo e per tutto il XVI secolo. In particolare egli analizza come gli archetti siano «il motivo più diffuso e più duraturo del repertorio decorativo della graffita ca-stellana, in cui è ampiamente utilizzato a partire dalle più antiche attestazioni fino a quelle più recenti. Un suo uso così frequente non ha riscontri nelle altre tipologie di “ingobbiata e graffita” italiane attualmente conosciu-te» (ibid.).

Si vedano, per i pezzi mancanti la seconda cottura con decoro analogo al catino da Acquaviva, anche i ritrova-menti da Penne (dE poMpEis 1989b, nn. 24-25, pp. 17 e 29), dove era attivo un centro di produzione di ingob-biata graffita, in parte imitante il repertorio formale e decorativo di Castelli. I pezzi provenienti dalle botteghe castellane si collocano fra la prima metà del XV secolo e i primi decenni del XVI secolo.

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2006/10 (fig. 6, n. 2)Ingobbiata graffita. Diam. orlo: 12 cm. Arg.: depurata e compatta; 10 YR 8/5 (rosa-beige).Riv.: vetrina incolore int. ed est. Ciotola emisferica costituita da 2 frammenti, con orlo

leggermente estroflesso arrotondato; presenta interna-mente una decorazione graffita e dipinta nei colori del verde ramina e del giallo ferraccia. Il motivo centrale sul fondo non si è conservato, ma quello periferico posto sulla vasca è costituito da due sequenze di denti di lupo, realizzate in modo speculare e delimitate superiormente da una doppia linea incisa e inferiormente da una solco solo, oltre il quale comincia la decorazione centrale, non leggibile. La decorazione dipinta è costituita da fasce verticali, poste a distanze irregolari, alternate in verde e giallo, che non sottolineano la decorazione graffita, eccetto nel caso delle linee orizzontali di delimitazione poste superiormente e inferiormente. Non sembra una

produzione connessa alle botteghe di Castelli e abruzze-si in genere, con le quali non si è trovato riscontro. Af-finità si ritrova, invece, per la forma, con materiale in-gobbiato da San Giovanni in Persiceto (Minguzzi 1986, tav. XV, n. 6, p. 60), mentre la decorazione, seppur con esiti non identici, ricorda quella di ingobbiate graffite dal medesimo contesto (Minguzzi 1986, tav. VII, As 12, p. 65). Si tratta di materiale riconducibile, sulla base dei dati di scavo, alla prima metà del XVI secolo. Sempre da San Giovanni in Persiceto, ma dalle indagini con-dotte nell’area del Palazzo Comunale, proviene una cio-tola, dal profilo diverso, ma con decorazione periferica costituita dal motivo a dente di lupo posto su due fasce speculari e alternate (gElichi, cuRinA 1993, fig. 16, n. 2, p. 86) sempre riferibile alla produzione della prima metà del XVI secolo. La decorazione a denti di lupo sistemati su due file è nota anche a Lugo su piatti e coppe (tAM-piERi, cRistoFERi 1991, fig. 20, nn.135 e 141, pp. 98, 102, 104), ma i motivi decorativi non sono speculari, bensì

Fig. 6. Materiali dal Settore SO, uS 12

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opposti e alternati. La datazione di tali manufatti è alla seconda metà del XV secolo.

2006/96,100,101 (fig. 6, n. 3)Ingobbiata graffita. Diam. orlo: 26 cm circa. Arg.: abbastanza depurata e compatta, con inclusi di

piccole dimensioni bianchi e brillanti rari; 2.5 YR 6/8 (arancio).

Riv.: vetrina verde solo int. ed est. sull’orlo, con trac-ce di colature sulla superficie est.

Catino con orlo quasi verticale, leggermente moda-nato esternamente, e corpo tronco-conico con profilo carenato. L’ingobbio bianco è steso all’interno del fram-mento, mentre esternamente ricopre solo parte dell’or-lo, così come anche la vetrina verde. All’interno è stata realizzata una decorazione graffita, costituita da un mo-tivo non leggibile, ma di cui si riconoscono due tratti ad andamento circolare (motivo vegetale?), eseguiti con una punta piuttosto grossolana. Le caratteristiche del rivestimento e dell’impasto, rosa scuro-arancio, duro e abbastanza depurato, lasciano ipotizzare che si tratti di una produzione ingobbiata graffita monocroma verde di area veneta, forse della stessa laguna veneziana. In mancanza di analisi chimico-mineralogiche non si è in grado di attribuire il frammento ad una delle produzioni veneziane a oggi riconosciute, quali le graffite del tipo “spirale-cerchio” e del tipo “San Bartolo”, le prime note almeno a partire dalla metà del XIII secolo, ma forse anche antecedenti, le seconde di qualche decennio suc-cessive (fine XIII secolo) e prodotte ancora alla metà del XIV secolo23. Per quanto riguarda la forma, si se-gnala genericamente che ciotole e catini carenati sono noti nelle produzioni ingobbiate, ingobbiate graffite e invetriate venete del XIV secolo (gElichi 1988, forme 4-6, pp. 15-18, figg. 18-19).

2006/12 (fig. 6, n. 4)Smaltata. Arg.: depurata e compatta; 10 YR 8/3 (rosa). Riv.: smalto bianco int. ed est. Parete di forma chiusa decorata con motivo vegeta-

le dipinto in blu costituito da un fiore a calice con due foglie che si aprono nella parte terminale, affiancato da un motivo ornamentale ricurvo. Si riscontra un’analogia molto stretta con un frammento da Teramo, dallo sterro di Via Scalette (coRRiERi 2006, fig. 7, 1° fr. in alto a si-nistra, p. 32), riconosciuto come maiolica compendiaria di produzione castellana e databile al XVI-XVII secolo.

2006/14 (fig. 6, n. 5)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 10 cm. Arg.: depurata e leggermente polverosa; 2.5 Y 8/3

23 l’individuazione della probabile area di produzione si deve alla disponibilità di enrico Cirelli, che ringrazio. Per un quadro sulle produzioni graffite invetriate veneziane e le loro con-nessioni con le ceramiche di produzione bizantina (Zeuxippus Ware) si rimanda a laZZariNi, CaNal 1983; GeliChi 1986a, pp. 367-386; laZZariNi 1987; GeliChi 1988, pp. 8-11; saCCarDo 1993.

(beige-giallo). Probabile brocca con orlo verticale ingrossato, appiat-

tito superiormente e a sezione quadrata.

US 16

2005/43 (fig. 7, n. 1)Ceramica comune da fuoco. Diam. orlo: 34 cm. Arg.: scarsamente depurata e compatta, con vacuoli

e inclusi bianchi di piccole dimensioni frequenti; 5 YR 5/6 (marrone-rossiccio).

Testo da pane, ricostruito da tre frammenti, con orlo svasato e arrotondato, leggermente ingrossato interna-mente; presenta esternamente una decorazione a gradini poco pronunciati e di spessore irregolare (1-2 mm). Ri-sulta simile a esemplari dalla Crypta Balbi (Ricci 1990, tav. III, n. 24, p. 221), attestati nei periodi VI (prima metà del XIII secolo) e VIII (prima metà del XIV se-colo). In realtà tale forma non sembra sopravvivere ol-tre il XIII secolo (Ricci 1990, pp. 217-219), quindi è da ritenersi residuale nel periodo VIII, e nello specifico il frammento da Acquaviva, per le sue caratteristiche mor-fologiche, si può datare fra XI e XIII secolo (Ricci 1990, p. 219). Sempre da Roma, ma dalle indagini condotte a Santo Stefano Rotondo, proviene un frammento analo-go (MARtin 2004, tav. IV, n. 43, p. 515) e databile ai se-coli VIII-X. In ambito abruzzese un confronto piuttosto puntuale, anche per la decorazione esterna, si ha con un pezzo da Colle San Giovanni di Atri (stAFFA 2004, fig. 17, n. 33, p. 219), collocabile nei secoli IX-X.

2005/44 (fig. 7, n. 2)Ceramica comune da fuoco. Arg.: compatta e poco depurata, con inclusi di piccole

dimensioni bianchi e brillanti frequenti, scuri e rari; 5 YR 5/6 (rosso-marrone).

Frammento di listello leggermente rialzato, pertinen-te a un forno-coperchio o catino-coperchio, con calotta probabilmente rilevata, visto l’andamento della parete. Nella parte sottostante il listello è presente una deco-razione a sottili linee incise. In generale si rimanda a quanto detto per l’esemplare 2006/500, in US 73 (fig. 19, n. 1), ma si può ipotizzare, proprio per quanto detto a proposito del listello, che l’esemplare potesse essere analogo a un pezzo abruzzese da Colle San Giovanni di Atri (stAFFA, odoARdi 1996, fig. 28, n. 86e, p. 200) e collocabile nei secoli IX-X.

2005/47 (fig. 7, n. 3)Pietra ollare. Diam. orlo: 38 cm circa. Spesse tracce esterne di fumigazione. Pentola, composta da tre frammenti, con orlo verticale

arrotondato indistinto, spesso 0,5 cm, che presenta ester-namente un listello a profilo quadrangolare. La parete, il cui spessore oscilla fra 0,8 e 1 cm, è esternamente lavora-ta, al di sotto del listello, con solcature ad arco di cerchio spesse fra 0,25 e 0,3 cm, mentre l’interno è percorso da fitte solcature. Le caratteristiche tecniche sembrano col-locare il pezzo nel pieno X secolo (MAlAguti 2005, p.

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Le indagini nei Settori Se e SO: i reperti

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179) e la pentola da Acquaviva trova confronto con un esemplare da Colle San Giovanni di Atri (stAFFA 2004, fig. 17, n. 5, p. 219) proveniente da un contesto di IX-X secolo. Recipienti analoghi dagli scavi di Santa Giulia a Brescia (AlBERti 1999, tav. CXIII, p. 263) sono colloca-bili nel pieno medioevo.

2005/48 (fig. 7, n. 4)Pietra ollare. Diam. orlo: 40 cm circa. Tracce esterne di fumigazione. Pentola con orlo verticale indistinto arrotondato e pa-

rete liscia internamente ed esternamente; è visibile, cir-ca 1 cm sotto l’orlo, un’impronta spessa 0,6 cm, relativa alla banda metallica. L’orlo è spesso 0,25 cm e la parete 0,5 cm. Il frammento sembra, per le sue caratteristiche, collocabile nel pieno X secolo (MAlAguti 2005, p. 181).

2005/450 (fig. 7, n. 5)Pietra ollare. Tracce esterne di fumigazione. Frammento di parete, con spessore compreso fra 0,5

e 0,6 cm, lavorato esternamente a gradini, alti circa 0,4 cm. Le caratteristiche tecniche sembrano ricondurre a un orizzonte cronologico di fine IX-X secolo (MAlAguti 2005, p. 180).

US 16A

2006/109 (fig. 8, n. 1)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 14 cm. Arg.: abbastanza depurata e compatta, con vacuoli e

inclusi di piccole dimensioni bianchi e rari, brillanti e frequenti; 2.5 YR 6/8 (arancio).

Olla con orlo estroflesso arrotondato e parete estrofles-sa. Trova riscontro con vasi da Santa Cornelia (Roma) (WhitEhousE 1980, fig. 6, n. 62, pp. 137-138), da con-testi genericamente medievali. Si confronta, inoltre, con un vaso in ceramica da fuoco rinvenuto a Santo Stefano Rotondo (Roma) (MARtin 2004, tav. IV, n. 42, p. 515) e collocabile nel X-XI secolo.

Fig. 7. Materiali dal Settore SO, uS 16

Fig. 8. Materiali dal Settore SO, uS 16a

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US 18

2005/53 (fig. 9, n. 1)Invetriata. Diam. orlo est.: 28 cm; diam. piede: 12 cm circa; alt.:

4 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni bianchi e rari, brillanti e frequenti; 2.5 YR 7/8 (arancio).

Riv.: vetrina int. di colore verde-giallo ocra, con co-lature est.

Profilo intero di piatto con orlo a tesa orizzontale ar-rotondata, sulla cui superficie sono presenti due fori, di cui uno parzialmente conservato; corpo tronco-conico

e piede a disco. Il pezzo è databile, verosimilmente, al XIV secolo.

2005/54 (fig. 9, n. 2)Vetrina sparsa. Diam. orlo: 10 cm. Arg.: depurata e compatta; 2.5 YR 6/8 (rosso-arancio).Riv.: vetrina verde est., a macchie. Probabile brocca con orlo svasato, ingrossato e ar-

rotondato e parete leggermente estroflessa. Ricorda un frammento in ceramica a vetrina sparsa, ma che conserva l’ansa, dal Castello di Scorano (Capena) (RoMEi 1992b, fig. 27, p. 451), riferibile alla fine XII-XIII secolo.

Fig. 9. Materiali dal Settore SO, uS 18

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2005/52 (fig. 9, n. 3)Smaltata. Diam. orlo: indefinito. Arg.: depurata e compatta; 2.5 Y 8/4 (rosa). Riv.: smalto bianco int. ed est. Boccale, ricomposto da 7 frammenti, con orlo svasato

e arrotondato, corpo ovoidale e ansa a nastro che s’impo-sta sotto l’orlo. Si confronta con un esemplare da Faenza, mancante però della parte terminale dell’orlo (guARniERi 2009, fig. 166, n. 11, p. 120), proveniente da un conte-sto formatosi entro la prima metà del XVI secolo, e con un’altra brocca smaltata, sempre dalla città romagno-la (guARniERi 2009, fig. 51, n. 1, p. 53), da uno scarico inquadrabile intorno alla fine del XVI secolo. Anche lo scavo della Crypta Balbi ha restituito materiale analogo (MAnAcoRdA et al. 1986, tav. V, n. 15, p. 523), ma collo-cabile fra la fine del XIII e la metà del XIV secolo.

2005/61 (fig. 9, n. 4)Smaltata. Arg.: depurata e compatta; 5 YR 7/4 (rosa). Riv.: smalto int. ed est. Frammento che conserva parte della tesa e della vasca

di una probabile ciotola. Il pezzo presenta al suo interno una decorazione policroma, costituita da elementi vege-tali blu e marroni e altri motivi decorativi frammentari, non identificabili; l’esterno è monocromo marrone.

2005/62 (fig. 9, n. 5) Smaltata. Arg.: depurata e leggermente polverosa; 2.5 Y 8/6

(giallo). Riv.: smalto bianco int. ed est. Tre frammenti, di cui due pareti e un pezzo di proba-

bile versatoio, relativi a un boccale. Presentano esterna-

mente una decorazione dipinta in blu, non ricostruibile nella sua interezza, ma probabilmente relativa a un moti-vo ornamentale di tipo floreale, con ciuffi vegetali com-posti con elementi puntinati e linee curve che lasciano supporre la presenza di un medaglione centrale. Sebbene non si possa fornire un riscontro puntuale si citano, a titolo esemplificativo, boccali da Pesaro (BEttini 1997, n. 27, p. 61; nn. 28-29, p. 62; n. 30, p. 63; n. 31, p. 64; n. 32, p. 65; n. 33, p. 66; n. 34, p. 67; n. 35, p. 68; nn. 36-37, p. 69) con elementi decorativi simili, collocabili fra il 1470 e il 1490. Nell’impossibilità di giungere a un confronto preciso i frammenti si datano al XV secolo, probabilmente alla seconda metà.

2005/56 (fig. 9, n. 6) Terraglia. Diam. orlo: 20,3 cm; diam. piede: 11,5 cm; alt.: 2,4 cm. Impasto bianco, abbastanza duro e compatto. Riv.: vetrina int. ed est. Profilo intero di piatto con orlo a tesa pendente verso

l’interno, vasca bassa e piccolo piede ad anello. Il piatto presenta due linee dipinte blu che sottolineato l’estre-mità esterna della tesa e il punto di passaggio fra questa e la vasca. Il pezzo trova confronto con un frammento dalla Crypta Balbi (cipRiAno, MAnAcoRdA 1984b, tav. XIII, n. 101, p. 83), ma monocromo bianco, noto in con-testi compresi fra il XVIII e il XX secolo.

US 20

2005/72 (fig. 10, n. 1)Maiolica arcaica. Diam. piede: 9 cm. Arg.: compattta e abbastanza depurata, con vacuoli e

Fig. 10. Materiali dal Settore SO, uS 20

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inclusi di piccole dimensioni bianchi e rari; 10 YR 8/3 (beige-nocciola).

Riv.: vetrina int. ed est.Frammento di piede a disco di boccale; esternamente

presenta una decorazione dipinta costituita da tre sottili fasce parallele di colore marrone. Il pezzo, invetriato sia internamente che esternamente, conserva una piccola traccia di smalto solo sulla superficie esterna. L’esem-plare si data alla fine del XIII-inizi del XIV secolo.

2005/73 (fig. 10, n. 2)Smaltata. Arg.: depurata e leggermente polverosa; 2.5 Y 8/4

(giallo-beige). Riv.: smalto bianco int. ed est. Tre frammenti di parete relativi a un boccale. Pre-

sentano esternamente una decorazione dipinta blu, non ricostruibile nella sua interezza, ma probabilmente rela-tiva a un motivo ornamentale di tipo floreale, con ciuffi vegetali e linee curve che lasciano supporre la presenza di un medaglione centrale. Per i confronti e la cronolo-gia si veda quanto detto per il frammento 2005/62, in US 18 (fig. 9, n. 5).

2005/71 (fig. 10, n. 3)Ceramica comune da fuoco. Diam. orlo: 35 cm circa. Arg.: poco depurata, con inclusi di medie dimensioni

bianchi e scuri abbastanza frequenti; 2.5 YR 5/6 (rosso). Tegame con orlo verticale, appiattito superiormente e

ingrossato internamente. Trova confronto con vasella-me abruzzese (stAFFA, odoARdi 1996, fig. 34, nn. 107b-

107c, p. 207) riconducibile all’XI-XII secolo, attestato con impasti sia da mensa sia da fuoco. Forme analoghe sono note anche in contesti precedenti, pienamente al-tomedievali, come dimostrato dai rinvenimenti di San Pietro di Castello (Venezia), dove orli simili sono de-finiti “catini” e presentano impasti grezzi (ARdizzon, BoRtolEtto 1996, tav. 4, n. 3, p. 41).

US 27

2006/34 (fig. 11, n. 1)Maiolica arcaica. Arg.: leggermente polverosa e depurata; 10 YR 8/3

(beige). Riv.: smalto bianco est.; vetrina int. Frammento di parete curvilinea con parte di ansa a

bastoncello, relativa a un boccale. Lo smalto bianco, ben conservato, presenta delle decorazioni in bruno manganese: sull’ansa tacche oblique, mentre nel punto di attacco fra ansa e parete fasci di linee che s’incrocia-no a creare un motivo geometrico. I pochi elementi a disposizione permettono di ipotizzare che si tratti di un boccale ovoide, tipico della prima fase della produzio-ne della maiolica arcaica (per le produzioni di maiolica arcaica si rimanda a BlAKE 1972, con particolare rife-rimento, per il frammento da Acquaviva Picena, alla forma 30, fig. 6, pp. 376-377; per un ulteriore inqua-dramento nEpoti 1986); un generico parallelo si può istituire con un frammento da Argenta (pAndolFi BAsso 1992, fig. 63, n. 1, p. 129), che presenta caratteristiche analoghe e si data fra la seconda metà del 1200 e la pri-

Fig. 11. Materiali dal Settore SO, uS 27

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ma metà del 1300. Il pezzo da Acquaviva è riferibile, probabilmente, agli inizi del XIV secolo.

2006/35 (fig. 11, n. 2)Lucerna. Alt. massima: 3,9 cm; spessore massimo: 0,9 cm. Arg.: depurata e abbastanza compatta; 2.5 Y 7/1 (grigio). Frammento di lucerna di cui si conserva l’intero profi-

lo e l’inizio del canale; il disco non è decorato.

US 34

2005/91 (fig. 12, n. 1)Ingobbiata graffita. Arg.: depurata e compatta; 5 YR 8/4 (rosa). Riv.: vetrina incolore int ed est. Frammento di parete di forma aperta, sul quale si ri-

conosce un motivo graffito costituito da un elemento sinuoso, dipinto in giallo, probabile parte di una corona di raggi, e una serie di incisioni ravvicinate, sottolineate

Fig. 12. Materiali dal Settore SO, uS 34

Fig. 13. Materiali dal Settore SO, uS 35

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dal colore verde. Il pezzo è molto piccolo, ma il motivo decorativo ricorda quello di ciotole e piatti di età rina-scimentale dagli scavi del monastero di Sant’Antonio in Polesine (guARniERi 2006, tav. XXIX, n. 154, p. 156; liBREnti, vAllini 2006, tav. XXXVII, nn. 144a, 145, p. 222), databili dall’ultimo quarto del XV fino alla metà del XVI secolo.

2006/106 (fig. 12, n. 2)Smaltata. Diam. orlo: 24 cm. Arg.: depurata e compatta; 10 YR 8/4 (beige). Riv.: smalto azzurro-grigio int. ed est. Piatto con orlo a tesa pendente verso l’interno ed

estremità a sezione triangolare; il pezzo trova confron-to, come forma, con esemplari dalla Crypta Balbi, ma con smalto decorato (Ricci 1985, tav. XXXIII, n. 334, p. 307), collocabili nel XVIII secolo.

2006/107 (fig. 12, n. 3)Pietra ollare. Spesse tracce esterne di fumigazione. Frammento di parete, dallo spessore massimo di 1,15

cm, con lavorazione esterna a gradini, alti 0,5 cm. Le caratteristiche tecniche riconducono il pezzo a un oriz-zonte di IX secolo (MAlAguti 2005, pp. 179-180).

US 35

2006/134 (fig. 13, n. 1)Ceramica comune da fuoco. Arg.: compatta e poco depurata, con inclusi di piccole

e medie dimensioni bianchi e poco frequenti, di picco-le dimensioni brillanti e frequenti; 10 YR 6/3 (marrone chiaro).

Frammento di listello, leggermente rivolto verso l’al-to, pertinente a un forno-coperchio o catino-coperchio, con calotta piuttosto rilevata visto l’andamento della parete. In generale si rimanda a quanto detto per l’esem-plare 2006/500, in US 73 (fig. 19, n. 1).

2006/132a (fig. 13, n. 2)Pietra ollare. Spesse tracce esterne di fumigazione. Due frammenti, relativi allo stesso contenitore, che

presentano spessore massimo di 0,9 cm e nessun segno di lavorazione sulla parete esterna. L’individuo è collo-cabile verosimilmente nel X secolo (MAlAguti 2005, p. 181).

2006/132b (fig. 13, n. 3)Pietra ollare. Tracce esterne di fumigazione. Sette frammenti di parete che non riattaccano, ma

pertinenti allo stesso contenitore, con spessore massimo di 1,3 cm. I pezzi presentano esternamente solcature ad arco di cerchio, spesse 0,3 cm. L’individuo pare colloca-bile, per le sue caratteristiche, nel X secolo (MAlAguti 2005, p. 179).

US 38

2006/178 (fig. 14, n. 1)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 12 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni brillanti e poco frequenti; 5 YR 6/8 (arancio).

Olla con orlo leggermente svasato e arrotondato, che trova analogie con un esemplare da Colle San Giovanni di Atri (stAFFA 2004, fig. 17, n. 14, p. 219), attestato nei secoli IX-X.

2006/179 (fig. 14, n. 2)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 20 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni scuri e poco frequenti, brillanti e fre-quenti; 2.5 YR 5/8 (rosso-arancio).

Olla con orlo leggermente svasato e arrotondato, che trova analogie con un esemplare da Pianella (Pescara) (siEnA, tERRigni 2004, fig. 3, n. 21, pp. 245-246) e con uno da Colle San Giovanni di Atri (stAFFA, odoARdi 1996, fig. 32, n. 98c, p. 204), quest’ultimo collocabile nei secoli X-XI.

2006/180 (fig. 14, n. 3)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 14 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con vacuoli e

inclusi di piccole dimensioni brillanti e frequenti; 5 YR 6/6 (rosso-arancio).

Olla con orlo svasato e arrotondato e parete estrofles-sa. Si confronta con un frammento da Colle San Giovan-ni di Atri (stAFFA 2004, fig. 17, n. 15, p. 219), databile ai secoli IX-X, e mostra analogie con un vaso da Matelica, che conserva buona parte del profilo (MERcAndo 1970, fig. 12, n. 108, p. 406), collocabile genericamente fra X e XIII.

2006/182 (riferito a fig. 14, n. 2)Ceramica comune di uso domestico. Arg.: polverosa e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni scuri e poco frequenti, brillanti e fre-quenti; 2.5 YR 6/8 (rosso-arancio).

Olla con orlo leggermente svasato e arrotondato; per i confronti e la cronologia si veda quanto detto per il frammento 2006/179, in questa stessa unità stratigrafica (fig. 14, n. 2).

2006/183 (fig. 14, n. 4)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 16 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi

di piccole dimensioni brillanti e frequenti; 2.5 YR 6/8 (rosso-arancio).

Olla con orlo leggermente svasato e attacco di ansa a nastro sormontante; parete estroflessa. È avvicinabile a un frammento da Colle San Giovanni di Atri (stAFFA, odoARdi 1996, fig 30, n. 92e, p. 203; stAFFA 2004, fig. 17, n. 16, p. 219), collocabile nei secoli IX-X.

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2006/181 (fig. 14, n. 5)Ceramica comune da fuoco. Diam. orlo: indefinito. Arg.: compatta e poco depurata, con inclusi di picco-

le dimensioni bianchi e scuri poco frequenti, brillanti e frequenti; est. 5 YR 6/4 (marrone-rossiccio); in sez. 5 YR 6/1 (grigio).

Frammento di forma non identificata, con orlo verti-cale, arrotondato e leggermente ingrossato all’estremità, e parete convessa. La superficie esterna è decorata con sottili solcature.

2006/184,185,186 (fig. 14, n. 6)Ceramica comune da fuoco. Diam. orlo: 32 cm. Arg.: compatta e poco depurata, con inclusi di piccole

dimensioni scuri e rari, brillanti e abbastanza frequenti; 5 YR 5/4-5/5, 5 YR 6/6 (arancio-marrone).

Forno-coperchio o catino-coperchio con orlo svasato indistinto, leggermente squadrato e appuntito esterna-mente, e corpo emisferico. Trova analogie con un fram-mento da Colle San Giovanni di Atri (stAFFA 2004, fig. 17, n. 32, p. 219), attestato nei secoli IX-X, ma legger-mente più arrotondato.

Fig. 14. Materiali dal Settore SO, uS 38

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US 46

2006/45 (fig. 15, n. 1)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 36 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni bianchi e brillanti rari; est. 2.5 YR 6/6 (rossiccio), in sez. 10 YR 5/1-6/1 (grigio).

Catino con orlo svasato, ingrossato esternamente e a sezione triangolare, e corpo emisferico. Il pezzo presen-ta, all’interno, evidenti segni della lavorazione al tornio, mentre esternamente la parete è decorata con sottili li-nee incise. Si confronta con un frammento, che presenta impasto rosso come l’esemplare da Acquaviva, venuto in luce in località Monte del Nibbio (Roma) (WhitEhou-sE 1982, fig. 6.3, D, p. 315); la forma è ritenuta una di quelle base, rimaste invariate o quasi tra il IX secolo e la fine del medioevo.

US 55

2006/201 (fig. 16, n. 1)Ingobbiata. Diam. orlo: 12 cm. Arg.: depurata e compatta; 5 YR 6/6 (rosa-arancio). Riv.: invetriatura int. ed est. Orlo estroflesso arrotondato con parete rettilinea in-

troflessa, probabilmente pertinente ad una ciotola o ad una tazza, con decorazione marmorizzata in azzurro-blu. Per quanto riguarda la forma, il profilo dell’orlo ricorda quello di una ciotola da San Giovanni in Persi-ceto (Minguzzi 1986, tav. XXXII, n. 21, p. 83), riferibi-le, in base ai dati di scavo, al terzo venticinquennio del XVI secolo. La decorazione marmorizzata, invece, si ritrova, nello stesso contesto, su piatti (Minguzzi 1986, fig. 18, n. 21, p. 131) e non su ciotole, confermando comunque la pertinenza del motivo decorativo al XVI secolo.

Fig. 16. Materiali dal settore SO, uS 55

Fig. 15. Materiali dal settore SO, uS 46

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2006/198 (fig. 16, n. 2)Ceramica comune da fuoco. Arg.: compatta e poco depurata, con vacuoli e inclusi

di piccole dimensioni bianchi e poco frequenti, brillanti e frequenti; est. 5 YR 7/4 (rosa scuro), in. sez. 2.5 Y 7/1 (grigio).

Frammento di listello, rivolto verso l’alto, pertinente a un forno-coperchio o catino-coperchio con calotta piut-tosto rilevata, visto l’andamento della parete. Esso pre-senta esternamente, nella parte superiore, delle solcature a distanza di circa 0,1 cm, mentre nella parte inferiore è conservato un foro di sfiato. In generale si rimanda a quanto detto per l’esemplare 2006/500, in US 73 (fig. 19, n. 1), ma nello specifico l’andamento del listello ri-corda quello di un esemplare da Pescara (stAFFA, odo-ARdi 1996, fig. 31, n. 95a, p. 203), collocabile nei secoli X-XI.

2006/199 (fig. 16, n. 3)Ceramica comune da fuoco. Arg.: compatta e poco depurata, con vacuoli e inclusi

di piccole dimensioni bianchi e brillanti frequenti; est. 5 YR 6/6 (rosso-marrone), in sez. 5 YR 5/1 (grigio).

Frammento di listello, rivolto verso l’alto, relativo a un forno-coperchio o catino-coperchio, che presenta esternamente, nella parte inferiore, una decorazione a

linee incise. Si rimanda a quanto detto per l’esemplare 2006/500, in US 73 (fig. 19, n. 1), con particolare rife-rimento all’analogia, per l’andamento del listello, con l’esemplare dal territorio di Pianella (Pescara), in loca-lità Astignano-Masseria Cascini, (stAFFA 2004, fig. 18, n. 140374, pp. 219 e 223), che si data al IX-X secolo.

US 56

2006/93 (fig. 17, n. 1)Invetriata da mensa. Diam. orlo: 10 cm. Arg.: depurata e polverosa, con piccoli vacuoli; 7.5

YR 8/4 (rosa). Riv.: vetrina di colore marrone, fortemente deteriorata

e conservata solo in alcuni punti. Ciotola carenata con orlo verticale indistinto arro-

tondato. Il pezzo ricorda un esemplare dagli scavi della Crypta Balbi, con rivestimento vetroso verde interno ed esterno (MolinARi 1990, tav. LIII, n. 418, p. 390), collo-cabile nella seconda metà del XIV-inizi XV secolo. Non si esclude che il frammento da Acquaviva possa essere anche più tardo.

Fig. 17. Materiali dal settore SO, uS 56

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2006/67 (fig. 17, n. 2)Invetriata da fuoco. Diam. orlo: 12 cm circa. Arg.: compatta e poco depurata, con inclusi di piccole

dimensioni bianchi e molto frequenti, scuri e poco fre-quenti; 2.5 YR 5/8 (rosso).

Riv.: vetrina marrone int., est. solo sull’orlo. Olla con orlo svasato, indistinto e arrotondato, che

presenta esternamente una sottile solcatura; parete estroflessa. Per i confronti e la cronologia si veda quan-to detto per il frammento 2006/2, in US 2 (fig. 5, n. 2).

2006/48 (fig. 17, n. 3)Ingobbiata. Arg.: depurata e compatta; 5 YR 7/4 (rosa). Riv.: vetrina solo int. Frammento di parete di forma aperta, con decorazione

dipinta nei colori giallo ferraccia e verde ramina, generi-camente collocabile nei secoli XV-XVI.

2006/75 (fig. 17, n. 4)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 26 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni brillanti; 5 YR 7/6 (rosa-arancio). Ciotola con orlo verticale, appiattito superiormente

e ingrossato internamente, e corpo emisferico, decora-to esternamente da gradini di spessore irregolare. Per i confronti e la cronologia si veda quanto detto per il frammento 2005/71, in US 20 (fig. 19, n. 3), ma realiz-zato con impasto da fuoco.

2006/83 (fig. 17, n. 5)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 20 cm. Arg.: depurata e compatta; 5 YR 7/4 (rosa). Orlo svasato a breve tesa arrotondata e appiattita su-

periormente, con parete a profilo convesso-concavo.

2006/200 (fig. 17, n. 6)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 14 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con vacuoli e

inclusi di piccole dimensioni bianchi e frequenti, bril-lanti e rari; 10 YR 5/3 (marrone).

Olla con orlo leggermente svasato, arrotondato indi-stinto e accenno di parete estroflessa. Si confronta con un esemplare da Colle San Giovanni di Atri (stAFFA 2004, fig. 17, n. 12, p. 219), databile al IX-X secolo, e con un vaso da Matelica, di cui si conserva l’intero profilo (MERcAndo 1970, fig. 12, n. 50, p. 406), collo-cabile genericamente fra X e XIII secolo. Si confronta, inoltre, con un vaso dall’orlo leggermente più verticale rinvenuto a Quadri (Chieti) (piRAino 1992, fig. 14, n. 10, p. 541), in un contesto inquadrabile fra XI e XIV secolo.

2006/84 (fig. 17, n. 7)Ceramica comune da fuoco. Diam. orlo: 38 cm circa. Arg.: compatta e poco depurata, con inclusi di piccole

dimensioni bianchi, scuri e brillanti abbastanza frequen-ti; est. 2.5 YR 6/6 (rosso), in sez. 10 YR 6/1 (grigio).

Forno-coperchio o catino-coperchio con orlo svasato indistinto, leggermente squadrato e appuntito esterna-mente, e corpo emisferico. Per i confronti e la cronologia si veda quanto detto per il frammento 2006/184,185,186, in US 38 (fig. 14, n. 6).

2006/415 (fig. 17, n. 8)Vetro incolore. Diam. orlo: 9 cm. Probabile orlo di bicchiere, svasato arrotondato e in-

distinto dalla parete rettilinea. L’esiguità del pezzo non permette un’attribuzione.

US 64

2006/204 (fig. 18, n. 1)Smaltata. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole e medie dimensioni scuri e rari; 2.5 Y 8/3 (beige). Riv.: smalto grigio-azzurrino int. ed est. Probabile brocca della quale si conservano quattro

frammenti di parete, due che riattaccano e due perti-nenti, di cui una con attacco inferiore di ansa a nastro. Le pareti presentano una decorazione disposta su due registri e costituita da baccellature impresse. Sebbene non si sia riscontrato un confronto puntuale, si può os-servare come vasi decorati con baccellature, realizzati sia a stampo che durante la lavorazione al tornio, siano diffusi a partire dalla seconda metà del ‘500, come con-seguenza dell’imitazione di prototipi vitrei o metallici. A titolo meramente esemplificativo e sebbene con esiti decorativi solo lontanamente accostabili all’esemplare da Acquaviva, si ricordano vasi abruzzesi, ma in maioli-

Fig. 18. Materiali dal settore SO, uS 64

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Le indagini nei Settori Se e SO: i reperti

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ca di stile compendiario (vERRocchio 2002a, p. 251, con riferimento anche alla nota 6). La datazione della brocca da Acquaviva può essere compresa fra la seconda metà del XVI e il XVIII secolo.

US 73

2006/500 (fig. 19, n. 1)Ceramica comune da fuoco. Diam. orlo: 34 cm; alt. massima: 12,5 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni bianchi e poco frequenti, brillanti e frequenti; 7.5 YR 5/4 (marrone).

Forno-coperchio o catino-coperchio quasi integro, ricomposto da più frammenti, con orlo leggermente svasato e arrotondato esternamente, corpo emisferico e listello rilevato. Il pezzo, già edito (RAvAioli, vEcchiEtti 2007, fig. 7, p. 215, vd. anche il contributo di A. Ba-roncioni in questo volume), è stato in quella sede preli-minarmente accostato a un esemplare abruzzese molto simile (stAFFA, odoARdi 1996, fig. 28, n. 86e, p. 200) e riferibile ai secoli IX-X. Ulteriori analogie si hanno con un esemplare dal Castello di Montella (Avellino) (gAt-to 2004, fig. 2, n. 10, p. 283), da un contesto di IX se-colo, e con un pezzo da Pianella, nella Val Pescara (siE-nA, tERRigni 2004, fig. 3, n. 32, p. 247), ma decorato, che i confronti riconducono al X-XIII secolo. Sempre dal territorio di Pianella (Pescara), località Astignano-Masseria Cascini, provengono due frammenti, riferibili allo stesso esemplare, assolutamente analoghi al pezzo di Acquaviva (stAFFA 2004, fig. 18, n. 140374, p. 223), con datazione al IX-X secolo.

US 75

2006/217 (fig. 20, n. 1)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 15 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi

di piccole dimensioni bianchi e brillanti rari; 5 YR 6/6 (rosa-rossiccio).

Olla con orlo leggermente svasato, arrotondato indi-stinto e parete estroflessa. Per i confronti e la cronologia si veda quanto detto per il frammento 2006/200, in US 56 (fig. 17, n. 6).

US 76

2006/229 (fig. 21, n. 1)Pietra ollare. Spesse tracce esterne di fumigazione. Fondo di pentola convesso esternamente, privo del

raccordo con la parete; presenta internamente ed ester-namente solcature dovute alla lavorazione e il suo spes-sore oscilla fra 1 e 1,8 cm. Le caratteristiche tecniche del pezzo non permettono una definizione cronologica puntuale, ma la posizione stratigrafica lascia supporre una datazione al IX-X secolo.

US 80

2006/406 (fig. 22, n. 1)Pietra ollare. Diam. orlo: indefinito. Tracce esterne di fumigazione. Pentola, composta da quattro frammenti, con orlo ver-

ticale leggermente appuntito, spesso 0,5 cm, che presen-ta esternamente un listello a profilo quadrangolare alto 0,8 cm. La parete, il cui spessore varia fra 0,8 e 1 cm, presenta esternamente un profilo a gradini, alti circa 0,3 cm, mentre l’interno è percorso da fitte solcature. Le ca-ratteristiche tecniche inducono a collocare il pezzo nel X secolo (MAlAguti 2005, p. 180).

Fig. 19. Materiali dal settore SO, uS 73

Fig. 20. Materiali dal settore SO, uS 75

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Fig. 21. Materiali dal settore SO, uS 76

Fig. 22. Materiali dal settore SO, uS 80

Fig. 23. Materiali dal settore SO, uS 99

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2006/407 (fig. 22, n. 2)Pietra ollare. Diam. fondo: 24 cm. Tracce esterne di fumigazione. Pentola, composta da un frammento di fondo e nove

pareti, con fondo piatto e parete estroflessa, che presenta esternamente solcature ad arco di cerchio, spesse circa 0,3 cm, mentre internamente è percorsa da fitte solca-ture; il fondo è spesso circa 1 cm, la parete 1,2 cm. Le caratteristiche tecniche conducono a una datazione del pezzo al X secolo (MAlAguti 2005, p. 179).

US 99

2006/600 (fig. 23, n. 1)Probabile anfora. Arg.: abbastanza depurata e compatta, con inclusi di

piccole dimensioni bianchi e rari, brillanti e abbastanza frequenti; est. 5 YR 7/4 (rosa), in sez. 10 YR 7/1 (grigio).

Frammento di parete che presenta esternamente delle fitte scanalature, poco profonde, e internamente i segni piuttosto marcati della lavorazione al tornio. Il pez-zo, già analizzato in precedenza (RAvAioli, vEcchiEt-ti 2007, p. 215), era stato interpretato come probabile Late Roman Amphora. Data l’esiguità del pezzo è assai difficile definire con certezza se si tratti di un’anfora o di un grande contenitore in ceramica comune, tuttavia il trattamento esterno della parete sembra effettivamente ricondurre a un orizzonte genericamente tardoantico. Si richiamano, a titolo esemplificativo, alcuni frammenti di pareti da Nocciano e dalla Val Pescara (siEnA, tRo-iAno, vERRocchio 1998, fig. 25, nn. 5, 7-8, 10-13, pp. 691 e 695), che si presentano esternamente più o meno fittamente scanalati, come l’esemplare da Acquaviva; per i frammenti da Nocciano nn. 5, 7 e 8 viene ricono-sciuta una pertinenza ad anfore orientali LR2, mentre per gli altri pezzi si ipotizza un’appartenenza a conte-nitori da trasporto di produzione locale. La cronologia di IV-VIII è confermata, comunque, dalla presenza di altri frammenti analoghi dagli scavi condotti a Pescara e attribuiti ad anfore (stAFFA 1991, fig. 65, nn. 121a-b;, p. 327; fig. 68, nn. 147-148, 150, p. 330; periodi II e III, cronologia IV-VIII secolo), le cui caratteristiche

d’impasto lasciano propendere per l’ipotesi di una pro-duzione locale.

US 105

2005/233 (fig. 24, n. 1)Ceramica comune da fuoco. Diam. orlo: 32 cm. Arg.: compatta e poco depurata, con inclusi di picco-

le dimensioni bianchi e frequenti; 5 YR 5/4 (marrone-rossiccio).

Tegame con orlo verticale, appiattito superiormente e leggermente rigonfio internamente, e corpo emisferi-co. Esternamente presenta una decorazione irregolare a sottili linee incise e si nota una probabile ditata obliqua. Trova analogia con una ciotola da Castrum Truentinum (stAFFA, odoARdi 1996, fig. 8, n. 7a, p. 176; stAFFA 1998, fig. 2, n. 7a, p. 441,) proveniente da un contesto di VI secolo. Tuttavia forme analoghe sembrano persi-stere, come dimostrano i rinvenimenti di San Pietro di Castello (Venezia), dove frammenti definiti “catini” e con impasti grezzi sono diffusi in una fase pienamente altomedievale (ARdizzon, BoRtolEtto 1996, tav. 4, n. 3, p. 41).

US 107

2006/420 (fig. 25, n. 1)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 12 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni bianchi e rari, brillanti e frequenti; 10 YR 7/4 (beige-rosa).

Probabile brocca con orlo verticale indistinto ar-rotondato, che trova analogie con materiale da Noc-ciano, Località Casali, nella Val Pescara (siEnA, tRoiAno,vERRocchio 1998, fig. 2, n. 7, p. 665), databile fra VI e primi decenni del VII secolo.

2006/421 (fig. 25, n. 2)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 12 cm.

Fig. 24. Materiali dal settore SO, uS 105

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Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di piccole dimensioni bianchi e scuri rari, brillanti e fre-quenti; 7.5 YR 7/3 (rosa).

Piccola brocca con orlo svasato, leggermente ricurvo verso l’interno, e ansa verticale a nastro che s’impo-sta sull’orlo. Il pezzo trova riscontro con tipologie ben diffuse nella Val Pescara (siEnA, tRoiAno,vERRocchio 1998, fig. 2, n. 5, p. 666), databili fra la metà del VI e gli inizi del VII secolo.

2006/248 (fig. 25, n. 3)Ceramica comune di uso domestico. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con vacuoli e

inclusi di piccole dimensioni bianchi e scuri rari, bril-lanti e frequenti; 10 YR 7/4 (beige).

Parete di forma chiusa, con motivo a onda inciso, composto da più fasci e disposto su due registri, per quanto constatabile dal frammento. Il motivo decorati-vo, piuttosto usuale, riconduce genericamente a un oriz-zonte tardoantico.

US 113

2006/243 (fig. 26, n. 1)Vernice nera. Diam. piede: 4 cm. Arg.: depurata e abbastanza compatta; 10 YR 7/4

(beige-rosa). Riv.: Vernice nero-marrone, poco compatta. Frammento di piede ad anello di forma non identifica-

bile, collocabile in epoca repubblicana.

US 1052

2006/244 (fig. 27, n. 1)Smaltata. Arg.: depurata e compatta; 10YR 8/3 (rosa). Riv.: smalto bianco int. ed est. Parete di boccale, che presenta una decorazione di-

pinta con motivo a scaletta in blu e arancione, da cui si generano dei probabili tralci vegetali della medesima cromia. Non si è riscontrato un confronto puntuale, tut-tavia il motivo ornamentale può essere genericamente accostato a quello riscontrato su frammenti abruzzesi (dE poMpEis 1985, tav. 6, n. 2, p. 19; Ricci 1989b, tav. 5, nn. 1-4, 6, 8-16, 20; tav. 6, nn. 1-3, 5-10, 12, 14-17, 20-21, pp. 49-50; coRRiERi 2006, fig. 7, 1° e 3° frr. in basso a sinistra, p. 32), dove però i segmenti orizzon-tali in blu e arancio sono alternati con combinazioni diverse. L’utilizzo del colore arancione per realizzare le linee interne della scaletta, fra due fasci verticali blu, sembra essere una caratteristica tipica delle produzioni in maiolica castellana del XV-XVI secolo.

2006/245 (fig. 27, n. 2)Smaltata. Arg.: depurata e compatta; simile 10YR 8/2 (beige). Riv.: smalto bianco int. ed est. Parete di probabile boccale, con decorazione dipinta

Fig. 25. Materiali dal settore SO, uS 107

Fig. 26. Materiali dal settore SO, uS 113

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Fig. 27. Materiali dal settore SO, uS 1052

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costituita da un motivo a tondello blu, campito interna-mente di giallo e con una croce sovrapposta arancione. Tale elemento decorativo è affiancato a un probabile motivo a scaletta, di cui si riconoscono una delle due linee verticali blu e i segmenti interni orizzontali aran-cioni, per la cui attestazione si rimanda a quanto detto per 2006/244, in questa stessa US (fig. 27, n. 1). Nella parte sottostante sono localizzati degli elementi decora-tivi nella medesima cromia, ma non meglio identificabi-li. Il pezzo, per il motivo a tondello, trova confronto con materiale dallo sterro di Via Scalette a Teramo (coRRiERi 2006, fig. 7, 2° fr. in alto a sinistra, p. 32), dove un fram-mento del tutto analogo è riconosciuto come maiolica compendiaria di produzione castellana e collocabile fra XVI-XVII secolo.

2006/246 (fig. 27, n. 3)Smaltata. Diam. piede: 10 cm. Arg.: depurata e compatta; 7.5 YR 8/3 (rosa). Riv.: smalto grigio-celeste int. ed est. Piede ad anello di probabile piatto. Trova analogie

con esemplari dalla Crypta Balbi (cipRiAno, MAnAcoRdA 1984a, tav. XII, n. 96, p. 59), ma integri e sovente de-corati, riferibili cronologicamente al XVII-XVIII secolo.

2006/247 (fig. 27, n. 4)Smaltata. Arg.: compatta e depurata; 2.5 Y 8/4 (nocciola). Riv.: smalto bianco int. ed est. Frammento di parete di boccale, decorato con motivo

“a scaletta” in blu. Per i confronti e la cronologia si veda quanto detto per il frammento 2005/13, in US 2 (fig. 5, n. 8).

2006/248,249,250 (fig. 27, n. 5)Maiolica arcaica. Arg.: compatta e depurata; 10 YR 8/3 (beige). Riv.: smalto bianco est.; vetrina gialla int. Tre frammenti di parete che non riattaccano, ma ri-

feribili alla stessa forma chiusa, probabilmente un boc-cale. Lo smalto esterno è deteriorato, ma su due delle tre pareti si intravedono dei motivi decorativi in bruno manganese, interpretabili come elementi vegetali. In particolare, il primo frammento conserva parte di un probabile ramo di pianta e una foglia o frutto, parzial-mente visibili. I pezzi possono genericamente ricondur-si a un orizzonte cronologico di seconda metà XIII-XIV secolo.

2006/253 (fig. 27, n. 6)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 30 cm. Arg.: depurata e compatta; 5 YR 7/6 (rosa-arancio). Ciotola con orlo verticale arrotondato, leggermente

ingrossato esternamente e corpo emisferico, che pre-senta esternamente una decorazione a linee incise. Il frammento, scarsamente conservato, trova analogia con un pezzo dal territorio senese, ma in ceramica grezza (vAlEnti 1996, tav. XVI, n. 2, pp. 147-148), che rientra nel gruppo delle ciotole/coperchio tipiche della secon-da metà del IX-inizi X secolo. Un ulteriore riscontro,

seppure non così puntuale, si ha anche con una cioto-la/coperchio dal territorio abruzzese (stAFFA, odoARdi 1996, fig. 27, 84d, p. 200), ma di dimensioni maggiori, che rimanda sempre ai secoli IX-X.

2006/254 (fig. 27, n. 7)Ceramica comune da fuoco. Diam. orlo: 28 cm. Arg.: compatta e poco depurata, con inclusi di piccole

dimensioni bianchi e brillanti abbastanza frequenti; est. 5 YR 6/6 (rosso), in sez. 2.5 Y 6/1 (grigio).

Forno-coperchio o catino-coperchio con orlo svasato indistinto, leggermente squadrato e appuntito esterna-mente, e corpo emisferico. Per i confronti e la cronologia si veda quanto detto per il frammento 2006/184,185,186, in US 38 (fig. 14, n. 6).

2006/251 (fig. 27, n. 8)Pietra ollare. Tracce esterne di fumigazione. Frammento di parete, con uno spessore massimo di

0,85 cm, che presenta solcature esterne ad arco di cer-chio alte circa 0,1-0,15 cm. Le caratteristiche tecniche riconducono a un orizzonte cronologico di XI secolo (MAlAguti 2005, p. 179).

2006/262 (fig. 27, n. 9)Fuseruola. Diam. superiore: 1,8 cm; diam. inferiore: 2,7 cm; alt:

2,5 cm. Fuseruola in argilla di colore grigio marrone, percorsa

da una linea incisa a circa 1 cm di distanza dalla base.

US 1054

2006/272 (fig. 28, n. 1)Vernice nera. Diam. piede: 4 cm. Arg.: depurata e abbastanza compatta; 10 YR 7/4

(beige-rosa). Riv.: Vernice rossastra, poco compatta. Frammento di piede ad anello di forma non identifica-

bile, collocabile in epoca repubblicana.

2006/417 (fig. 28, n. 2)Ceramica comune di uso domestico.Diam. orlo: 7 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi

di piccole dimensioni bianchi e brillanti rari; 5 YR 5/8 (arancio-marrone).

Orlo svasato, con leggera solcatura interna, di broc-chetta trilobata. Il profilo dell’orlo ricorda quello di un boccale da Matelica (MERcAndo 1970, fig. 15, n. 93, p. 408), ma di diametro maggiore, riferibile a un orizzonte cronologico di X-XIII secolo.

2006/418 (fig. 28, n. 3)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 16 cm. Arg.: compatta e poco depurata, con inclusi di piccole

dimensioni bianchi e brillanti abbastanza frequenti, scu-

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ri e poco frequenti; 7.5 YR 5/4 (marrone). Brocca con orlo leggermente svasato e appiattito supe-

riormente, con ansa verticale a nastro sormontante. Dal momento che il pezzo è fratturato nel punto di attacco dell’ansa, l’orlo è scarsamente conservato e la sua rico-struzione nel disegno è, in parte, ipotetica. Tuttavia l’im-pasto con cui è realizzato il frammento riconduce a un orizzonte medievale, genericamente di IX-XIII secolo.

2006/267 (fig. 28, n. 4)Ceramica comune da fuoco. Diam. orlo: 30 cm. Arg.: poco depurata e compatta, con inclusi di piccole

dimensioni bianchi e brillanti frequenti; est. 5 YR 5/6 (rosso-marrone), in sez. 2.5 Y 7/1 (grigio).

Tegame con orlo verticale, appiattito superiormente e con sezione leggermente quadrangolare; corpo emisferi-co. Il pezzo trova riscontro con materiale riminese (gE-lichi 1986b, tav. III, n. 3, p. 125) e sembra avvicinabile a tipologie note in Abruzzo (stAFFA, odoARdi 1996, fig. 34, n. 107b, p. 207), collocabili nei secoli XI-XII.

2006/416 (fig. 28, n. 5)Ceramica comune da fuoco. Diam. orlo: 18 cm.

Arg.: poco depurata e compatta, con inclusi di medie dimensioni scuri e poco frequenti, di piccole dimensio-ni brillanti e frequenti, bianchi e rari; 7.5 YR 4/2-4/3 (marrone).

Olla con orlo svasato arrotondato e parete estroflessa; si confronta con un esemplare dall’Appia Antica (gAi 1986, tav. 4, n. 36, p. 396), proveniente da uno strato di VII-IX secolo.

2006/419 (fig. 28, n. 6)Pietra ollare. Spesse tracce esterne di fumigazione. Frammento di parete, dallo spessore massimo di 0,9

cm, che presenta esternamente solcature ad arco di cer-chio alte 0,3 cm. Le caratteristiche tecniche potrebbero essere relative a un orizzonte cronologico di X-XI se-colo (MAlAguti 2005, p. 179).

US 1059

2006/273 (fig. 29, n. 1)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 12 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

Fig. 28. Materiali dal settore SO, uS 1054

Fig. 29. Materiali dal settore SO, uS 1059

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piccole dimensioni bianchi e abbastanza frequenti, bril-lanti e poco frequenti, di medie dimensioni scuri e rari; est. 10 YR 8/2 (beige), in sez. 5 YR 7/4 (rosa).

Olla con orlo verticale assottigliato e corpo globulare che presenta esternamente una decorazione a linee in-cise a distanza di circa 0,1 cm l’una dall’altra. L’olla mostra analogie con vasi dallo scavo dell’esedra della Crypta Balbi (Ricci 1990, tav. IV, n. 40, p. 226), ma con parete meno svasata, attestati dagli inizi del XII secolo alla prima metà del XIV secolo e realizzati con impa-sti destinati al fuoco. Un ulteriore confronto è con un frammento, sempre con impasto da fuoco, dallo scavo del giardino del Conservatorio di Santa Caterina (pA-Roli 1985, tav. VIII, n. 65, p. 178), ma da un contesto residuale, e quindi collocabile solo genericamente in età medievale (X-XV secolo). Trova analogie, inoltre, con olle acquarie provenienti dalle indagini sull’Appia an-tica (gAi 1986, tav. 3, n. 21, p. 394), rinvenute in unità stratigrafiche riferibili al X-XIII secolo, e con un fram-mento di vaso da Matelica (MERcAndo 1970, fig. 14, n. 55, p. 406), collocabile genericamente fra X e XIII.

US 1061

2006/402 (fig. 30, n. 1)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 10 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni bianchi e brillanti rari; 2.5 YR 6/8 (rosa-rossiccio).

Olla con orlo leggermente svasato, arrotondato e in-distinto e accenno di parete estroflessa. Per i confronti e la cronologia si veda quanto detto per il frammento 2006/200, in US 56 (fig. 17, n. 6).

2006/274 (fig. 30, n. 2)Pietra ollare. Diam. orlo: 34 cm circa. Spesse tracce esterne di fumigazione. Pentola con orlo verticale arrotondato indistinto, che

presenta esternamente una fascia liscia di 1,5 cm, sotto la quale inizia una lavorazione costituita da scanalature ad arco di cerchio alte 0,5 cm; lo spessore della parete oscilla fra 0,65 e 0,8 cm. Le caratteristiche tecniche tro-

vano confronto con materiale collocabile nel pieno X secolo (MAlAguti 2005, tav. 1, n. 2, p. 179).

US 1063

2006/283 (fig. 31, n. 1)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 10 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi

di piccole dimensioni bianchi e rari; 7.5 YR 7/6 (rosa-arancio).

Piccola olla con orlo estroflesso, a sezione quadran-golare.

2006/284 (fig. 31, n. 2)Pietra ollare. Spesse tracce esterne di fumigazione. Due frammenti di parete che riattaccano, con spessore

massimo di 0,7 cm e leggere solcature sulla parete ester-na, poco evidenti. L’individuo potrebbe essere riferibile all’XI secolo (MAlAguti 2005, p. 182).

Fig. 30. Materiali dal settore SO, uS 1061

Fig. 31. Materiali dal settore SO, uS 1063

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Fig. 32. Materiali dal settore SO, uS 1095

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US 1095

2006/404 (fig. 32, n. 1)Vetrina sparsa. Diam. orlo: 12 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni brillanti e frequenti; 5 YR 5/6 (mar-rone).

Riv.: vetrina verde-gialla est., a macchie. Olla con orlo leggermente estroflesso, arrotondato in-

distinto. Il frammento trova analogie con due olle dagli scavi della Crypta Balbi, la prima in vetrina pesante, la seconda in vetrina sparsa (pARoli 1990, tav. XLV, nn. 350-351, p. 342), riconosciute come tipologie inquadra-bili nel X avanzato-inizi XI secolo.

2006/408 (fig. 32, n. 2)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 18 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni bianchi e scuri poco frequenti, bril-lanti e frequenti; est. 2.5 YR 6/8 (rosso-arancio), in sez. 10 YR 5/1 (grigio).

Olla con orlo verticale assottigliato, su cui s’impo-sta l’ansa, e parete rettilinea estroflessa. Per i confronti e la cronologia si veda quanto detto per il frammento 2006/273, in US 1059 (fig. 29, n. 1), eccetto che per il vasellame da Matelica, dove l’analogia sembra maggio-re con un altro esemplare (MERcAndo 1970, fig. 14, n. 9, p. 406), sempre riconducibile ai secoli X-XIII.

2006/430 (fig. 32, n. 3)Ceramica comune di uso domestico. Diam. orlo: 7 cm. Arg.: compatta e poco depurata, con inclusi di piccole

dimensioni bianchi, scuri e brillanti poco frequenti; 2.5 YR 5/6 (rosso), con sup. est. 7.5 YR 6/3 (marroncino).

Brocca con orlo verticale arrotondato, poco visibile perché il frammento è fratturato proprio in corrispon-denza dell’ansa, di tipo verticale a nastro, leggermente sormontante. Sebbene scarsamente conservato, il pezzo ricorda vasellame abruzzese (stAFFA, odoARdi 1996, fig. 32, n. 101g, p. 206), collocabile nei secoli X-XI.

2006/403 (fig. 32, n. 4)Ceramica comune da fuoco. Diam. orlo: 38 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con rari vacuo-

li e inclusi di piccole dimensioni bianchi e brillanti rari; 2.5 YR 6/6 (rosa-rossiccio).

Forno-coperchio o catino-coperchio con orlo svasato, indistinto e squadrato. Trova confronto con un esempla-re, anch’esso frammentario, da Colle San Giovanni di Atri (stAFFA 2004, fig. 17, n. 35, p. 219), attestato nei secoli IX-X.

2006/405 (fig. 32, n. 5)Ceramica comune da fuoco. Diam. orlo: 24 cm circa. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni bianchi e rari, brillanti e frequenti; 2.5 YR 5/8 (rosso-marrone).

Olla con orlo svasato e squadrato, che presenta ester-namente una decorazione a linee incise parallele. Il pez-zo si confronta con un esemplare in ceramica da fuoco proveniente dalle indagini condotte a Santo Stefano Rotondo a Roma (MARtin 2004, tav. IV, n. 36, p. 514), databile al X secolo.

2006/409 (fig. 32, n. 6)Ceramica comune da fuoco. Diam. orlo: 14 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni bianchi e poco frequenti, brillanti e molto frequenti; 2.5 YR 6/6 (rosa).

Olla con orlo svasato e arrotondato e parete estrofles-sa. Il frammento sembra simile a esemplari da Santa Cornelia (Roma) (WhitEhousE 1980, fig. 4, nn. 28 e 34, pp. 134-137), che rientrano nel gruppo delle forme de-finite «the “standard” medieval cooking pots of central and northen Lazio» (WhitEhousE 1980, p. 134). Tali for-me sono attestate in tutti e tre i periodi riconosciuti nello scavo di Santa Cornelia, che coprono un arco cronolo-gico che va dall’VIII al XIV secolo, con una maggiore presenza nel periodo 3, compreso fra il secondo quarto dell’XI secolo e la prima metà del XIV circa. Un’ulte-riore analogia si riscontra con un pezzo dal Castello di Roccabaldesca in Sabina (RoMEi 1992a, fig. 9 , n. 13, p. 473), collocabile nell’XI secolo.

2006/410 (fig. 32, n. 7)Ceramica comune da fuoco. Diam. orlo: 20 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni bianchi e rari, brillanti e frequenti; 2.5 YR 5/8 (rosso-marrone).

Orlo di olla, leggermente svasato e squadrato, che si confronta con un esemplare in ceramica da fuoco venu-to in luce da indagini condotte a Santo Stefano Rotondo a Roma (MARtin 2004, tav. IV, n. 36, p. 514) e databile al X secolo.

2006/411 (fig. 32, n. 8)Ceramica comune da fuoco. Diam. orlo: 12 cm. Arg.: compatta e abbastanza depurata, con inclusi di

piccole dimensioni bianchi e poco frequenti, brillanti e molto frequenti; est. 2.5 YR 6/6 (rosa), in sez. 5 YR 5/2 (grigio-marrone).

Olla con orlo svasato, arrotondato e indistinto e parete estroflessa. Il frammento si confronta con un esemplare da Santa Cornelia (Roma) (WhitEhousE 1980, fig. 5, n. 41, pp. 134-137), che rientra, come il già citato fram-mento 2006/409 in questa US (fig. 32, n. 6), nel gruppo delle forme definite «the “standard” medieval cooking pots of central and northen Lazio» (WhitEhousE 1980, p. 134). La forma è attestata, oltre che in contesti non stratigrafici, nel periodo 3 dello scavo di Santa Cornelia, che copre un arco cronologico esteso dal secondo quarto dell’XI secolo alla prima metà del XIV secolo circa.

Un ulteriore riscontro si ha con un frammento da lo-calità Madonna dello Spineto (Chieti), da un contesto di scavo riferibile all’XI-XIV secolo (piRAino 1992, fig. 14, n. 7, p. 541).

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Le indagini nei Settori Se e SO: i reperti

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Fig. 33. Materiali dal settore SO, uS 1118

US 1118

2006/425 (fig. 33, n. 1)Pietra ollare. Spesse tracce esterne di fumigazione. Frammento di parete, dallo spessore massimo di 0,8

cm, che presenta esternamente solcature ad arco di cer-chio alte 0,45-0,5 cm e internamente fitte incisioni. Le caratteristiche tecniche riconducono a un orizzonte cro-nologico di pieno X secolo (MAlAguti 2005, p. 179).

Conclusioni: osservazioni sui contesti di rinvenimento

Al termine della disamina sui singoli reperti si presentano alcune considerazioni relative ai conte-sti di rinvenimento. Procedendo dalle unità strati-grafiche più superficiali, si segnala che l’US 2 del settore SO e l’US 502 del settore SE presentano composizione analoga24, con materiale eterogeneo che copre un arco cronologico ampio (dal XV seco-lo alla seconda metà del ’900). A conferma di ciò si segnala, nella US 2, il rinvenimento di una moneta da 50 lire coniata nel 1956. Il materiale, rimesco-lato a causa dei lavori susseguitisi nell’area, di cui gli ultimi negli anni Settanta del secolo scorso, ha pertanto valore essenzialmente per la testimonian-za che ci offre delle produzioni attestate ad Acqua-viva Picena nei secoli XV-XIX, che corrispondono al periodo di utilizzo della Fortezza25. Analogo di-scorso può essere fatto per gli strati 1052 e 1054, il primo un livello di ghiaia di medie dimensioni misto a frammenti laterizi e malta, il secondo uno strato sabbioso nerastro ricco di frustuli carboniosi, entrambi intaccati da lavori moderni. Essi restitui-scono, pertanto, materiale fortemente discrepante: US 1052 ha messo in luce ceramica comune me-

24 la sostanziale identità delle unità stratigrafiche superficiali dei settori se e sO è già segnalata in ravaioli, veCChietti 2007, pp. 212-213.

25 ravaioli, veCChietti 2007, pp. 212-213.

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dievale di IX-X, mescolata a pietra ollare di qual-che secolo più tarda, frammenti di maiolica arcaica di XIII-XIV secolo e smaltate che riconducono lo strato almeno al XVII secolo; US 1054 ha restitui-to un piede in ceramica a vernice nera, associato a materiale, quale ceramica comune e pietra ollare, che copre un arco cronologico dal IX al XIII seco-lo circa, a cui si aggiungono frammenti di pareti in smaltata monocroma, non citati nel catalogo per i criteri selettivi esposti all’inizio della trattazione, ma che certamente riconducono la datazione dello strato almeno al XV secolo.

Facendo riferimento ai materiali medievali pro-venienti da contesti affidabili, si segnalano, invece, le unità stratigrafiche 16, 16A, 16B, 35, 38, 73, 75, 76 e 109526 del settore SO.

Esse ci restituiscono un quadro di frequentazione dell’area fra IX e XI secolo circa, ma risulta as-sai difficile, all’interno di questo raggruppamento, giungere a definizioni cronologiche più puntuali, visto che i confronti spesso segnalano il perdura-re delle forme per più secoli. Fra il materiale non citato nel catalogo, ma comunque significativo ai fini della definizione cronologica di questi livelli, si ricordano le pareti di ceramica comune di uso domestico e da fuoco con decorazione a linee pa-rallele incise e “a stuoia” provenienti dalle unità stratigrafiche 38, 16, 16A e 75; dall’US 16A pro-viene anche una moneta, purtroppo compromessa e illeggibile. Inoltre lo strato 16B, non citato nel catalogo, ha restituito solo un piccolo frammento di pietra ollare e pezzi di pareti acrome, che, per decorazioni e impasto, sono certamente ricondu-cibili a un orizzonte cronologico analogo a quello degli altri livelli elencati (IX-XI secolo).

Ulteriori contesti interessanti per definire l’arco cronologico di frequentazione dell’area sono le unità stratigrafiche 99, 107 e 105. Queste hanno restituito materiale collocabile in età tardoantica/altomedievale, ma in questo caso sembra di poter apprezzare, fra gli strati, alcune differenziazioni cronologiche. In particolare lo strato più super-ficiale, ovvero US 99, ha restituito una parete di grosso contenitore, di difficile attribuzione, la cui decorazione si confronta con reperti abruzzesi col-locabili in contesti che vanno dal IV fino all’VIII

26 una prima notizia sui materiali da questi strati e un provvi-sorio inquadramento cronologico è in ravaioli, veCChietti 2007, pp. 215-217.

secolo. La sottostante US 107, invece, ha messo in luce ceramiche di uso domestico, che i confronti con materiali analoghi da scavi nel pescarese per-mettono di collocare fra VI e inizi VII, mentre il livello più profondo, ovvero US 105, ha restituito una ciotola/tegame che, sulla base delle analogie con materiale da Castrum Truentinum, si data al VI secolo. Sembra di poter apprezzare, pertanto, una sequenza che dal VI giunge fino all’VIII seco-lo, sebbene l’inquadramento dell’unico frammento da US 99 sia da prendere in considerazione con le dovute cautele. Infine si può supporre che una fre-quentazione dell’area sia avvenuta già in epoca ro-mana, come suggeriscono i frammenti di ceramica a vernice nera, purtroppo rinvenuti in livelli non significativi.

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Le indagini nei Settori Se e SO: i reperti

177

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Introduzione

Come è ben noto agli studiosi, il termine pietra “ollare” non ha alcun significato petrografico; con tale denominazione si indicano infatti litotipi che hanno composizione, colore e aspetto molto di-verso, ma hanno in comune alcuni caratteri fisici e chimici: composizione silicatica, stabile rispetto agli agenti atmosferici, refrattarietà termica, bassa porosità, assorbimento e facile lavorabilità.

Dal punto di vista petrografico, evidenze con tali caratteristiche sono riferibili a un ampio gruppo di rocce metamorfiche alpine basiche e ultrabasiche appartenenti alle facies degli scisti verdi.

Dalla vasta letteratura geologica e dagli studi pe-trografici eseguiti su 195 giacimenti di pietra “olla-re” dove sono presenti tracce certe di sfruttamento è stata eseguita una classificazione dei vari litotipi presenti. In base alla loro composizione e tessitura sono stati riconosciuti 11 litotipi1.

Studi archeologici su reperti in pietra “ollare”, hanno dimostrato che tali materiali furono utiliz-zati dall’uomo fin dalla Preistoria per conservare, cucinare cibi, per la fabbricazione di stufe e oggetti ornamentali. Studi archeometrici2 hanno riscontra-to che i litotipi appartenenti al Gruppo D3 rocce tal-cose-carbonatiche a grana fine sono stati rinvenuti in scavi archeologici nelle Marche e nell’Abruzzo. La loro diffusione massima fu nel Medioevo4.

1 maNNoNi, pfeifer, semeels 1987.

2 alBerti 1997; BoNaZZa 1997; maNNoNi, messiGa 1980; saNti, aNtoNelli, reNZulli 2005.

3 maNNoNi, pfeifer, semeels 1987.

4 alBerti 1997; BoNaZZa 1997; maNNoNi, messiGa 1980; saNti, aNtoNelli, reNZulli 2005.

La presente indagine si pone l’obiettivo di ve-rificare se anche per il frammento di pietra “olla-re” rinvenuto negli scavi archeologici di Aquaviva Picena sia ipotizzabile una provenienza dalle cave ubicate in Valchiavenna e Val Malenco (Alpi cen-trali), come riscontrato in altri siti archeologici del-le Marche e dell’Abruzzo5.

Materiali e metodi

La composizione mineralogica e la tessitura del materiale sono state determinate mediante analisi con microscopio ottico a luce trasmessa su sezioni sottili, a luce riflessa su sezioni stratigrafiche luci-de e mediante analisi diffrattometrica (XRD). I dati ottenuti vengono confrontati con quelli riscontrati con altri reperti rinvenuti in altri scavi archeologici di Marche e Abruzzo6.

Risultati

Descrizione macroscopica del manufatto: Frammento di manufatto, di dimensioni cen-

timetriche (circa 4,00 cm di lunghezza e 1,2 di spessore), in materiale lapideo a tessitura scistosa di colore grigio scuro e grigio-verde chiaro, du-rezza 3. Presenti patine rossastre superficiali per ossidazione.

5 saNti, aNtoNelli, reNZulli 2005.

6 Ibid.

OresTinA FrAnCiOniGeo PT studio-laboratorio, Camerano (Ancona)

nalisi Mineralogico-Petrografica, Analisi DiffrattometricaA ai Raggi X (XRD) su pietra ollare

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 179-182

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OreStIna FranCIOnI

180

Risultati analisiRoccia metamorfica con struttura lepidoblasti-

ca deformata a grana molto fine, con inclusioni a chiazze di carbonati (magnesite).

Composizione mineralogicaLa tabella allegata mostra i risultati ottenuti

dall’analisi petrografica al microscopio ottico a luce trasmessa in sezione sottile e luce riflessa in sezione stratigrafica lucida e XRD microscopio ot-tico e XRD.

Stima Semiquantitativa

Composizione mineralogica

Analisi in sezione sottile e sezione stratigrafica lucida

XRD

Talco 50 +++

Magnesite 25,5 ++

Minerali del grup-po delle cloriti (Nimite)

23 ++

Solfuri (Pirite) 1

Magnetite/Ilme-nite

0,5

Simboli per XRD: +++ molto abbondanti

++ mediamente abbondanti

Tale litotipo può essere ascrivibile al Gruppo D7: Rocce talcoso-carbonatiche a grana fine.

Zona di provenienza: Alpi Centrali. Località: Valchiavenna e Val Malenco.

7 maNNoNi, pfeifer, semeels 1987.

Conclusioni

I dati ottenuti hanno messo in evidenza che il manufatto in pietra “ollare” rinvenuto negli scavi archeologici di Aquaviva Picena ha la stessa com-posizione e tessitura di quelli ritrovati in altri siti archeologici delle Marche e dell’Abruzzo8.

Pertanto, anche in questo caso, si avvalora l’ipo-tesi secondo cui nel corso del Medioevo esistesse un fiorente e sviluppato scambio commerciale fra le zone di escavazione Valchiavenna e Val Malen-co e la coste medioadriatiche (Marche e Umbria).

8 saNti, aNtoNelli, reNZulli 2005.

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analisi Mineralogico-Petrografica, analisi diffrattometrica ai raggi X (Xrd) su pietra ollare

181

Fig. 1. tessitura lepidoblastica. roccia com-posta da talco, magnesite e minerali opachi +n, x50 (microfotografia al microscopio ot-tico a luce polarizzata trasmessa e riflessa)

Fig. 2. tessitura lepidoblastica. roccia com-posta da talco, magnesite e minerali opachi //n, x50 (microfotografia al microscopio otti-co a luce polarizzata trasmessa e riflessa)

Fig. 3. tessitura lepidoblastica. roccia composta da talco, magnesite e minerali del gruppo della clorite +n, x 62 (microfotogra-fia al microscopio ottico a luce polarizzata trasmessa e riflessa)

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OreStIna FranCIOnI

182

Fig. 4. Luce riflessa – Pirite e Magnetite (microfotografia al microscopio ottico a luce polarizzata trasmessa e riflessa)

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I repreti ossei rinvenuti durante le due campa-gne di scavo effettuate all’interno della corte della Rocca di Acquaviva Picena1 sono stati oggetto di studio da parte di chi scrive2 con un duplice valore scientifico: da una parte, la conoscenza dell’aspet-to faunistico di un sito attraverso l’analisi dei resti animali in esso rinvenuti (seppur limitatamente al valore del campione recuperato); dall’altra, la cor-relazione di questi dati con quelli desunti dall’azio-ne antropica all’interno del sito stesso, al fine di evidenziare quale rapporto abbia avuto l’uomo con la fauna di questo luogo, in che modo vi si sia rela-zionato e quali modifiche vi abbia apportato.

1 le due campagne di scavo sono state effettuate rispettiva-mente nei mesi di maggio 2005 e maggio 2006 e fanno parte entrambe del più ampio progetto del laboratorio di rilievo (diretto da enrico Giorgi) del dipartimento di Archeologia dell’università di Bologna (ora dipartimento di storia Culture Civiltà), che dal 2004 si occupa dello studio e dell’analisi del bor-go e della rocca di Acquaviva Picena. in riferimento alle ricerche svolte all’interno del laboratorio di rilievo Archeologico, oltre ai diversi contributi contenuti in questo volume, si vedano: altiNi et al. 2005; BaroNCioNi, BosChi, ravaioli 2005, ravaioli veCChietti 2007a e 2007b.

2 lo studio dei resti faunistici del sito della rocca di Acquaviva Picena è stato argomento del Corso di Archeozoologia della scuola di specializzazione in Archeologia dell’università di Bo-logna (ii anno, A.A. 2007/2008) diretto da Antonio Curci, a cui vanno i più sentiti ringraziamenti per il paziente insegnamento e la cordiale disponibilità dimostrati sia per l’analisi e l’identifica-zione dei reperti ossei che per la realizzazione di questo contri-buto. non in ultimo, si coglie l’occasione per ringraziare anche elena Maini, sempre prodiga di utili consigli e fondamentali aiuti per l’intera durata di questa ricerca.

Analisi faunistica e metodo di indagine

Il metodo di analisi adottato, composto da vari passaggi consequenziali, è partito dalla raccolta di tutti i resti osteologici-faunistici che, dopo essere stati lavati e asciugati, sono stati riconosciuti a li-vello anatomico e di specie, grazie all’ausilio di at-lanti di comparazione e di materiali di confronto3. In seguito è stata osservata la presenza di tracce ta-fonomiche sulla superficie di ogni resto, come quel-le dovute ai processi tafici e/o pertotassici (quali la macellazione o la rosicchiatura da parte di carnivo-ri), e dedotta l’età di morte e il sesso di ogni indi-viduo riconosciuto; in ultimo, sono state prese, ove possibile, le misure di ciascun elemento secondo la metodologia proposta da A. von den Driesch4.

Dei 243 resti recuperati ne risultano determina-bili a livello specifico 118 (pari al 48,6%), mentre quelli per i quali non è stato possibile dedurre la specie di appartenenza sono 125 (pari al 51,4%) e sono rappresentati da schegge di diafisi e fram-menti di coste e vertebre inseribili, in base allo spessore e alle loro dimensioni, nelle due classi generiche di mammiferi di taglia medio-grande e mammiferi di taglia medio-piccola (tabella 1 e ta-bella 2). Da subito, però, occorre dire che in base ai dati desunti dallo scavo non tutte le unità strati-grafiche da cui provengono i vari reperti sono state riconosciute come significative, ossia riconducibili

3 in riferimento allo studio dei resti animali in archeologia e ai diversi metodi di analisi esistenti, si vedano sChmiD 1972; BaroNe 1977 e da ultimo De Grossi maZZoriN 2008, con bibl. prec.

4 voN DeN DriesCh 1976.

eperti paleofaunistici e considerazioni sugli usi alimentariRFABiO VisAni

Progetto acquaviva nella storia

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 183-196

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FaBIO VISanI

184

a piani d’uso o di frequentazione5. Ne segue, per-tanto, che il campione faunistico è stato obbligato-riamente ridimensionato nel numero passando da 243 a un totale di 152 elementi osteologici, di cui 83 determinati (pari al 54,6%) e 69 non determi-nati a livello specifico (pari al 45,4%)6. Mentre i primi mostrano una composizione varia ma costi-tuita quasi esclusivamente da animali domestici, i resti per i quali non è stato possibile dedurre la specie di appartenenza sono in gran parte riferibili ad animali di taglia medio-piccola (pari al 82,6%), dato che, come vedremo, si accorda benissimo con la preponderante presenza di ovicaprini e maiali all’interno della porzione determinata del campio-ne (grafico 1).

5 Per una descrizione dettagliata dei dati desunti dallo scavo archeologico, vd. il contributo di A. Baroncioni in questo volume. in effetti diversi dei resti faunistici sono stati recuperati in giacitu-ra secondaria, ossia ritrovati all’interno di strati che non si sono formati in modo naturale, ma sono stati determinati dall’uomo e riconosciuti come riporti di terra finalizzati al rialzamento di quota dei vari piani di calpestio che si sono sovrapposti nel tem-po all’interno del sito. in ordine, le unità stratigrafiche sono: us “pulizia di superficie”, 8, 10, 18, 20, 24, 34, 46, 55, 64, 105, 106, 107, 111, 1052, 1054, 1061, 1063 e 1118 (in nero nelle tabelle 1 e 2). Occorre precisare, però, che le us 105, 106 107 e 1118, seppur da considerarsi molto probabilmente in giacitura prima-ria, sono state individuate all’interno di un saggio di approfondi-mento stratigrafico e quindi non pienamente comprese nel loro modo di formazione e definizione. Pertanto, al fine di evitare errori nel campione da analizzare, non sono state considerate unità stratigrafiche significative, anche se dalla loro asportazio-ne sono stati recuperati, oltre ai resti faunistici elencati, alcuni reperti botanici e il frammento di un fondo ad anello in vernice nera che attesterebbe in maniera molto generica la frequenta-zione del sito già a partire dal i secolo a.C. (vd il contributo di G. Assenti in questo volume).

6 in ordine, le unità stratigrafiche riconosciute come significati-ve sono: us 16, 16A, 35, 38, 73, 75, 76, 78, 502 e 1095 (in rosso nelle tabelle 1 e 2).

Per quanto riguarda i reperti determinati (tabel-la 3), l’analisi complessiva ha evidenziato la quasi totale presenza di faune domestiche7, soprattutto ovicaprini che, nel numero di 45 elementi, corri-sponde a più della metà del campione (per l’esat-tezza al 54,2%); seguono poi i suini con 24 resti (pari al 29%) e infine i bovini con 5 (pari al 6%). In generale, le ossa analizzate sono state ricono-sciute come provenienti da tutti i distretti anatomi-ci8, benché per i bovini risultino assenti quelle del cranio e dell’arto posteriore, lacuna che può essere attribuita più alla casualità nel recupero del reperto in fase di scavo che a una volontà selettiva delle varie parti dell’animale dopo la sua morte.

7 degli 83 resti faunistici, infatti, quelli riconosciuti come ap-partenenti a specie domestiche (ovicaprini, suini e bovini) sono in tutto 74, pari quindi a una percentuale di 89,2% dell’intero campione determinato, mentre il restante 10,8% (rappresentato da 9 elementi ossei) è riferibile a specie selvatiche (tartaruga, volpe, lepre, cervo e orso).

8 Ci si riferisce al cranio, all’arto anteriore, al tronco e all’arto posteriore, escludendo la coda di cui invece non sono state trovate parti. Occorre precisare, infine, che in questa stima sono stati presi in considerazione anche gli elementi che per loro na-tura sono stati definiti indeterminati, ossia le vertebre, le coste e i resti indeterminabili, per l’elenco dei quali si rimanda alla tabella 2.

grafico 1. Composizione del campione faunistico riferito alle unità stratigrafiche significative (espresso in percentuale): a sinistra, rapporto tra i resti determinati (83 elementi) e non determinati (69 elementi); a destra, attribuzione della taglia di riferimento ai reperti non determinati: mammiferi di taglia medio-grande (10 elementi) [tMg], mammiferi di taglia medio-piccola (57 elementi) [tMP] e schegge indeterminabili (2 elementi) [Indet]

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reperti paleofaunistici e considerazioni sugli usi alimentari

185

uS/Ossa determinate maiale Ovicaprini Bovino asino Orso tartaruga volpe Lepre Cervo

pulizia di superficie 3 1

8 1

10 1

16 3 5

16A 1 2 1 1

18 1

20 1 1 1

24 1

34 2

35 4 6 1 1

38 6 8 2 4 1

46

55 3 1

64 1

73 3 4 1

75 4

76 2 3 1

78 1

105 1

106 1

107 1

111

502 1

1052 1 1 3 1

1054 1

1061 1

1063 1 2 1

1095 5 12

1118 2

totale 41 53 14 1 1 5 1 1 1

tabella 1. elenco dei resti faunistici determinati ordinati secondo la specie e l’unità stratigrafica di appartenenza. In rosso, le uS significative

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FaBIO VISanI

186

uS/Ossa indeterminate mammifero taglia medio-grande

mammifero taglia medio-piccola

indeterminabili

vertebre coste varia vertebre coste varia

pulizia di superficie 1 1 3 1

8 1

10 2 1

16 1 1 4

16A 2 3 2

18 1

20 1

24 1

34 1

35 3 1 2 3 2

38 1 1 1 5 4

46 1

55 2 2 2

64

73 3 6 4

75 5 5

76 2

78

105 1 3

106 1 1

107 3

111 1

502 1

1052 1 1 3

1054

1061 3 2

1063 3 1 4 5

1095 1 1 3 2

1118 1 1

totale 6 8 3 14 51 38

tabella 2. elenco dei resti faunistici indeterminati ordinati secondo le dimensioni e l’unità stratigrafica di appartenenza. In rosso, le uS significative

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reperti paleofaunistici e considerazioni sugli usi alimentari

187

SPECIE US ELEMENTO ANATOMICO

LATO CLASSE D'ETà ETà SPECIFICA MODIFICAZIONI / NOTE

Ovicaprini 16 Scapola Sx G – GA – A > 6 mesi

Ovicaprini 16 Scapola Sx G – GA – A > 6 mesi

Ovicaprini 16 Tibia Dx G – GA Tra 6 e 24 mesi

Ovicaprini 16 Emimandibola Sx G – GA – A > 6 mesi

Ovicaprini 16 Metacarpo G – GA Tra 6 e 24 mesi

Ovicaprini 16A Metacarpo G – GA Tra 6 e 24 mesi

Ovicaprini 16A Basioccipitale G – GA Tra 6 e 24 mesi

Ovicaprini 35 Ulna Sx GA < 3 anni

Ovicaprini

35 Bacino Dx A > 1 anni Tracce di morso animale e trac-ce di taglio da macellazione

Ovicaprini 35 Omero Sx GA – A > 12 mesi

Ovicaprini 35 Astragalo Dx GA – A > 12 mesi Appartiene a una pecora

Ovicaprini35 Radio Dx GA – A > 12 mesi Presenta tracce

di rosicchiatura da carnivoro

Ovicaprini35 Femore Dx GA – A > 12 mesi Presenta tracce

di rosicchiatura da carnivoro

Ovicaprini 38 Cranio A Appartiene a una capra

Ovicaprini38 Ulna Sx GG < 6 mesi Tracce di

rosicchiature da carnivoro

Ovicaprini 38 Scapola Dx G – GA – A > 6 mesi

Ovicaprini 38 Scapola Sx G – GA – A > 6 mesi

Ovicaprini 38 Tibia Dx G – GA < 3 anni

Ovicaprini38 Tibia Dx GA – A Tracce di

rosicchiature da carnivoro

Ovicaprini 38 Metacarpo Dx G – GA < 2 anni

Ovicaprini 38 Molare supe-riore

Sx G – GA Tra 6 e 24 mesi

Ovicaprini 73 Scapola Sx A > 8 mesi Tracce di taglio da macellazione

Ovicaprini 73 Scapola Dx G

Ovicaprini 73 Metatarso Nd G – GA – A

Ovicaprini73 Metatarso Dx G – GA – A Tracce di

rosicchiature da carnivoro

Ovicaprini

75 Cranio Sx GG < 6 mesi Appartiene a una capra. Trac-ce di taglio da macellazione

Ovicaprini 75 Sterno G – GA Tracce di taglio da macellazione

Ovicaprini 75 Scapola Sx G – GA > 8 mesi

Ovicaprini 75 Scapola Sx GG < 6 mesi

Ovicaprini

76 Occipitale A Appartiene a una capra. Trac-ce di taglio da macellazione

Ovicaprini76 Scapola Dx GG < 6 mesi Tracce di

rosicchiature da carnivoro

Ovicaprini 76 Tibia Dx A

Ovicaprini 78 Bacino Sx G – GA – A Tracce di taglio da macellazione

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188

SPECIE US ELEMENTO ANATOMICO

LATO CLASSE D'ETà ETà SPECIFICA MODIFICAZIONI / NOTE

Ovicaprini1095 Ulna Dx GA – A Tracce di

rosicchiature da carnivoro

Ovicaprini 1095 Cranio Dx A

Ovicaprini 1095 Cranio Dx GA – A Tracce di taglio da macellazione

Ovicaprini 1095 Epistrofeo

Ovicaprini 1095 Tibia Sx G – GA

Ovicaprini 1095 Radio Dx GG – G

Ovicaprini 1095 Femore Sx G – GA

Ovicaprini 1095 Tibia Sx GA – A

Ovicaprini 1095 Emimandibola Sx A Tra 6 e 10 anni Appartiene a una pecora

Ovicaprini 1095 Molare superiore

Sx GA – A Tra 1 e 3 anni

Ovicaprini1095 Radio Dx GA – A Tracce di

rosicchiature da carnivoro

Ovicaprini1095 Radio Dx A > 3,5 anni Tracce di

rosicchiature da carnivoro

Maiale 16 Emimandibola Sx A 2 anni circa

Maiale 16 Emimandibola Sx GA – A Nd Tracce di taglio da macellazione

Maiale 16 Fibula G

Maiale16A Ulna Sx GA – A Nd Tracce di

rosicchiature da carnivoro

Maiale35 Scapola Dx GA – A Nd Tracce di

rosicchiature da carnivoro

Maiale 35 Femore Sx G Tra 6 e 12 mesi

Maiale 35 Bacino Dx GA – A > 12 mesi

Maiale 35 Omero Sx G < 12 mesi

Maiale38 Calcagno Dx GA Tra 12 e 24 mesi Tracce di

rosicchiature da carnivoro

Maiale 38 Emimascella Sx A

Maiale 38 Incisivo inf deciduo

Dx G Tra 6 e 12 mesi

Maiale 38 Emimandibola Sx

Maiale38 Femore Dx G – GA < 36 mesi Tracce di

rosicchiature da carnivoro

Maiale38 Metacarpo Sx GA – A Nd Tracce di

rosicchiature da carnivoro

Maiale 73 Ulna Sx G < 12 mesi Tracce di taglio da macellazione

Maiale 73 Radio Sx G < 12 mesi Tracce di taglio da macellazione

Maiale 73 Radio Sx GA > 1 anno Tracce di taglio da macellazione

Maiale

76 Scapola Sx GA – A Tracce di macellazio-ne e segni di rosicchiature da carnivoro

Maiale76 Femore Sx GA – A Tracce di

rosicchiature da carnivoro

Maiale 1095 Emimascella Sx G Tra 7 e 12 mesi

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reperti paleofaunistici e considerazioni sugli usi alimentari

189

SPECIE US ELEMENTO ANATOMICO

LATO CLASSE D'ETà ETà SPECIFICA MODIFICAZIONI / NOTE

Maiale 1095 Incisivo infe-riore

Dx A Tra 24 e 36 mesi

Maiale 1095 Emimandibola Dx A > 48 mesi

Maiale 1095 Emimandibola Sx GA Tra 18 e 24 mesi

Maiale1095 Omero Dx G Circa 12 mesi Tracce di

rosicchiature da carnivoro

Bovino 16A Radio – Ulna Sx A Tracce di taglio da macellazione

Bovino35 Scapola Dx GA – A Tracce di

rosicchiature da carnivoro

Bovino 38 Tibia Dx A > 2,5 anni Tracce di taglio da macellazione

Bovino 38 Tibia Dx A

Bovino 502 Femore Sx GA – A < 2,5 anni Tracce di taglio da macellazione

Tartaruga 38 Piastrone Nd Confronto con hermanni

Tartaruga 38 Carapace Nd

Tartaruga 38 Carapace Nd Confornto con hermanni

Tartaruga 38 Carapace Nd Confornto con hermanni

Tartaruga 76 Piastrone Sx Nd Confornto con hermanni

Volpe 73 Omero Sx A

Lepre 35 Femore Sx A Appartiene a una lepre

Cervo 38 Calcagno Sx GA < 3 anni

Orso 16A Metatarso IV Sx A Tracce di bruciatura

tabella 3. elenco dei resti faunistici determinati divisi per specie, uS di appartenenza, elemento anatomico e classe d’età

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190

In base all’eruzione e usura dei denti, alla saldatura delle ossa lunghe e alle loro dimensioni e spessore, è stato possibile stabilire il numero minimo di individui (NMI) per specie9 e indicare in termini più o meno ampi a che età ne sia sopraggiunto il decesso10. Nel complesso sono stati riconosciuti almeno 19 ovicaprini11 (tabella 4), 17 maiali (tabella 5) e 5 bovini (tabella 6), che, variando dagli esemplari giovanissimi, inferiori ai 4 mesi, fino a quelli adulti con più di 6 anni di vita, sono distribuiti in tutte le diverse classi di età, con una generale prevalenza per quella giovane-adulta (GA, ossia compresa fra i 12 e i 24 mesi) e adulta (A, cioè maggiore di 24 mesi).

L’indagine tafonomica ha poi evidenziato come, oltre ai processi tafici dovuti alle particolari condi-zioni chimico-fisiche del sottosuolo, anche i pro-cessi pertotassici abbiano lasciato particolari tracce su diverse superfici ossee. Risulta, infatti, che 14 reperti presentano segni di tagli da macellazione e 19 elementi rosicchiature da carnivoro, segno, quest’ultimo, di un loro momentaneo abbandono al suolo in un contesto all’aperto12.

In ultimo, data la natura dei resti osteologici, che nella maggior parte dei casi sono stati riconosciuti come pertinenti a soggetti non adulti e soprattutto non conservati per intero, non è stato possibile mi-surarne la lunghezza e quindi calcolare, dal punto

9 il numero minimo di individui (nMi) è stato calcolato usan-do come fattore discriminante l’us di appartenenza, ossia con-siderandola come un’unità a sé stante svincolata da tutte le altre. Vedremo in seguito come la correlazione con i dati di scavo permetterà di riunire più unità stratigrafiche fra loro e attribuirle ad alcune fasi di vita del sito andando, così, ad affinare ulterior-mente il nMi proposto.

10 in maniera convenzionele, è stato scelto di suddividere le varie fasi di vita di ogni animale in quattro fasce d’età:• Giovanissimo (GG), inferiore ai 4 mesi;• Giovane (G), tra i 4 ed i 12 mesi;• Giovane-Adulto (GA), tra i 12 ed i 24 mesi;• Adulto (A), superiore ai 24 mesi.

11 non essendosi conservate parti diagnostiche, si è potuto procedere alla distinzione fra capre e pecore solamente in cin-que casi: 3 capre [rispettivamente, 1A (us 38), 1GG (us75) e 1A (us 76)] e 2 pecore [rispettivamente, 1GA (us 35) e 1A (us 1095)].

12 ulteriore informazione desumibile, per via indiretta, dalle tracce di rosicchiatura sui reperti è la presenza, all’interno del sito, di carnivori e quindi anche di cani che, vivendo a stretto contatto con l’uomo, erano molto probabilmente di ausilio nelle attività di allevamento e nella pastorizia che, come vedremo, era una delle principali risorse economiche della comunità che qui risiedeva.

di vista osteometrico, l’altezza al garrese di nessun animale. La stessa difficoltà è stata incontrata per la determinazione del sesso, che non è stato mai ri-conosciuto, se non in un solo caso all’interno della specie suina, dove è stato possibile individuare una femmina di maiale adulta (tabella 5, US 38).

La fauna selvatica (tabella 7), invece, è rappre-sentata da solo 9 reperti (pari al 10,8% del cam-pione), riconducibili, però, a ben 5 specie diverse: due frammenti di piastrone e tre di carapace perti-nenti a 2 tartarughe (di cui una di sesso femmini-le); l’omero di 1 volpe adulta; il femore di 1 lepre adulta; il calcagno di 1 cervo giovane-adulto e il metatarso IV di 1 orso adulto che, fra tutti, è l’uni-co a presentare tracce tafonomiche sulla superficie, riconosciute come segni bruciatura dovuti alla sua esposizione al fuoco.

SPeCie uS n.R. % nmi età e mODiFiCaZiOni

Pecora/Capra

16 5 6 2 2G – GA

16A 2 2,4 1 1G – GA

35 6 7,2 2 1GA (pecora con tracce di rosicchiature) e 1A (tracce di morso e macel-lazione)

38 8 9,6 3 1GG (tracce di rosicchiature), 1G – GA (tracce di rosicchiatu-re) e 1A (capra)

73 4 4,8 2 1G (tracce di rosicchiature) e 1A (tracce di macellazione)

75 4 4,8 2 1GG (capra con tracce di ma-cellazione) e 1G – GA (tracce di macellazione)

76 3 3,7 2 1GG (tracce di macellazione) e 1A (capra con tracce di macel-lazione)

78 1 1,2 1 1G – GA – A (tracce di ma-cellazione)

1095 12 14,5 4 1GG – G, 1G – GA, 1GA – A tra 1 e 3 anni (con tracce di rosicchiature e macellazione) e 1A tra 6 e 10 anni (pecora con tracce di rosicchiature)

totale 45 54,2 19

tabella 4. elenco dei resti di ovicaprini divisi per uS di appartenen-za ed espressi nel numero di resti (n.r.), nella relativa percentuale e nel numero minimo di individui (nMI)

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reperti paleofaunistici e considerazioni sugli usi alimentari

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SPeCie uS n.R. % nmi età e mODiFiCaZiOni

Maiale

16 3 3,7 3 1G, 1GA – A (tracce di ma-cellazione) e 1A (circa 2 anni)

16A 1 1,2 1 1GA – A (tracce di rosicchia-ture)

35 4 4,8 3 1G (tra 6 e 12 mesi), 1G (inferiore a 12 mesi) e 1GA – A (tracce di rosic-chiature)

38 6 7,2 3 1G, 1GA (tracce di rosicchia-ture) e 1A (fem-mina)

73 3 3,7 2 1G (tracce di macellazione) e 1GA (tracce di macellazione)

76 2 2,4 1 1GA – A (tracce di macellazione e rosicchiature)

1095 5 6 4 1G (circa 1 anno e con tracce di rosicchiature), 1GA (tra 1,5 e 2 anni), 1A (tra 2 e 3 anni) e 1A (maggiore di 4 anni)

totale 24 29,0 17

tabella 6. elenco dei resti di maiale divisi per uS di appartenenza ed espressi nel numero di resti (n.r.), nella relativa percentuale e nel numero minimo di individui (nMI)

SPeCie uS n.R. % nmi età e mODiFiCaZiOni

Tartaru-ga

38 4 4,8 1 / (sessofemminile)

76 1 1,2 1 /

Volpe 73 1 1,2 1 1A

Lepre 35 1 1,2 1 1A

Cervo 38 1 1,2 1 1GA (inferiore a 3 anni)

Orso 16A 1 1,2 1 1A (tracce di combustione)

totale 9 10,8 6

tabella 7. elenco dei resti delle 5 specie selvatiche divisi per uS di appartenenza ed espressi nel numero di resti (n.r.), nella relativa percentuale e nel numero minimo di individui (nMI)

SPeCie uS n.R. % nmi età e mODiFiCaZiOni

Bovino

16A 1 1,2 1 1A (tracce di macellazione)

35 1 1,2 1 1GA – A (tracce di rosicchia-ture)

38 2 2,4 2 1A e 1A (mag-giore di 2,5 anni con tracce di macellazio-ne)

502 1 1,2 1 1G – GA (in-feriore a 2,5 anni tracce di macellazione)

totale 5 6 5

tabella 5. elenco dei resti di bovino divisi per uS di appartenenza ed espressi nel numero di resti (n.r.), nella relativa percentuale e nel numero minimo di individui (nMI).

Considerazioni conclusive

Sebbene il numero di resti recuperati non con-senta, per sua natura, calcoli statistici attendibili13, si è comunque tentato di trarre alcune considera-zioni sullo sfruttamento della risorsa faunistica e di correlarle, soprattutto, con i dati desunti dallo sca-vo stratigrafico che, come sopra accennato, hanno permesso di riconoscere diversi piani d’uso e/o di frequentazione e, grazie all’analisi dei materiali re-cuperati, di assegnare loro un inquadramento cro-nologico14. Dalla relazione finale di scavo15, infatti, si evince che nella lunga e articolata occupazione del sito, le unità stratigrafiche che compongono il nostro campione osteologico possono essere rag-

13 Come già detto all’inizio di questo contributo, i resti fauni-stici studiati sono stati recuperati in seguito a due campagne di scavo consecutive effettuate per sondaggi stratigrafici e quin-di soggetti a tutti quei fenomeni tafonomici (processi sullegici) dovuti alla stessa attività archeologica che, sebbene in maniera più o meno inavvertita, portano a un recupero selettivo o a un non recupero degli stessi. Quest’ultimo infatti risulta essere di-rettamente subordinato alla strategia di scavo adottata, che nel caso specifico si concretizza nell’aver scelto di procedere per sondaggi stratigrafici e non per indagine estensiva, o nell’aver optato per la setacciatura (o flottazione) di alcuni campioni dei sedimenti e non per tutti e, non in ultimo, nell’aver operato pro-babilmente una selezione, su base dimensionale, dei reperti già durante la fase di scavo. in riferimento ai processi tafonomici e alla strategia di recupero dei resti osteologici durante lo scavo, si veda in ultimo: De Grossi maZZoriN 2008, pp. 104-115.

14 Ci si riferisce soprattutto ai reperti ceramici, per il cui studio e analisi si rimanda al contributo di G. Assenti in questo volume.

15 Vd. nota 6.

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gruppate fra loro e attribuite a quattro macro fasi di vita così riassumibili:

I. XIX-XX sec. (US 502): livello d’uso rico-nosciuto come strato di coltivo moderno/contem-poraneo riferibile a un momento in cui la corte della fortezza, ormai abbandonata da tempo, era adibita a diversi usi (magazzino, fienile, giardino, cisterna).II. Anteriore alla fine del XV sec. (US 35 e 38): insieme di strati di deposito riferibili con buo-na probabilità a una struttura in ciottoli e conci di pietra distrutta e livellata in seguito ai lavori di am-pliamento della corte e ammodernamento delle di-fese della Rocca realizzati nel tardo Quattrocento.IIIa. IX-XI sec. (US 1095): piano di frequenta-zione riferibile probabilmente a una zona destinata a coltivo e comunque interpretabile come un’area aperta pertinente al sito16.IIIb. IX-XI sec. (US 16A, 73 e 75): insieme di strati riconducibili a un livello di frequentazione (US 73 e 75) caratterizzato dai resti di un edifi-cio in materiali deperibili con focolare a terra (US 16A).IV. VIII-IX sec. (US 16, 76 e 78): insieme di strati riconosciuti come pertinenti a un piano d’uso (US 76 e 78) caratterizzato dai resti di un edificio in materiali deperibili con focolare a terra (US 16).

Nel complesso il quadro che emerge (tabella 8) non è dissimile da quanto fin qui esposto17, anche

16 la definizione di questo piano di frequentazione come area aperta, e la conseguente differenziazione dalla contemporanea fase iiib, sempre riconducibile al periodo tra iX e Xi secolo, è stata dettata, oltre che dalle caratteristiche dello stesso strato us 1095 (ossia il colore, la consistenza, lo spessore e la presen-za di numerosi frustoli di carbone), anche dalla constatazione che una parte delle ossa animali recuperate presentano tracce tafonomiche riconducibili alla rosicchiatura da parte di carnivori, il che indica un loro momentaneo abbandono al suolo in un contesto aperto, adibito probabilmente a zona di discarica. si evidenzia in questo caso quindi una sottofase “funzionale” di vita del sito, per la quale però non è possibile alcuna precisazione cronologica data dai materiale ceramici rinvenuti.

17 resta infatti invariata la maggior presenza di animali dome-stici rispetto quelli selvatici all’interno del campione. lo stesso vale per il numero di resti (n.r.) degli ovicaprini rispetto ai ma-iali e ai bovini, mentre non è così per i numeri minimi di individui (nMi) poiché, nel sommare le varie unità stratigrafiche fra loro, questi risultano minori di alcune unità per specie. nel comples-so per la fauna domestica si hanno: 15 ovicaprini, 14 maiali e 5 bovini, contro rispettivamente i 19, i 16 e i 5 sopra elencati; per la fauna selvatica, invece, il dato non cambia.

se il raggruppamento delle varie unità stratigrafi-che nelle diverse fasi consente di annotare alcune modificazioni nello sfruttamento della risorsa fau-nistica col trascorrere del tempo, come ad esempio il rapporto fra le pecore/capre e i maiali. Infatti, pur restando la specie più rappresentata nel numero di resti e nel NMI, gli ovicaprini sembrano diminui-re la loro prevalenza in favore di quella dei maiali che, sul finire del Quattrocento, crescono nella per-centuale e addirittura divengono numericamente maggiori (anche se solo di un’unità). Ma il dato più interessante è quello offerto dai bovini che, quasi del tutto assenti nelle fasi di vita più antiche, aumentano considerevolmente alla fine del XV se-colo, indice di un loro ruolo più importante all’in-terno dell’economia del sito sia dal punto di vista dell’alimentazione (maggior apporto di carne e de-rivati, quali latte e pelli), sia da quello della forza lavoro18. Dato, quest’ultimo, che trova una natura-le contestualizzazione se associato alle innovazioni tecnologiche avvenute nel campo dell’agricoltura dopo il Mille (quali ad esempio l’aratro pesante o la rotazione triennale delle colture) che, attraverso lo sfruttamento delle faune domestiche (soprattutto bovini) come forza lavoro, migliorano la quantità e qualità dei prodotti coltivati e quindi della dieta alimentare. Infine, la crescita di questa specie nel campione in esame può offrire spunti di riflessione su come si sia molto probabilmente evoluta l’eco-nomia del sito che, basata principalmente sulla pa-storizia, ha trovato poi nell’agricoltura estensiva elemento complementare nella vita della comunità.

Resta comunque innegabile che, nel complesso, lo sfruttamento della risorsa faunistica si sia in-centrato soprattutto sull’allevamento di ovicaprini, seguiti con percentuali inferiori (ma non eccessiva-mente nel NMI) dai suini e in maniera ridotta dai bovini, tutti macellati a qualsiasi età, il che non di-mostra nessuna particolare vocazione economica ma probabilmente uno sfruttamento generalizzato delle mandrie e delle greggi al fine di ottenere sia il maggior quantitativo di carne (soprattutto dai maia-li) sia di prodotti secondari quali il latte, la lana e le

18 A vantaggio di questo dato, infatti, occorre evidenziare che tutti i bovini individuati sono stati abbattuti in età adulta o sub-adulta, segno sia della volontà di ottenere dalla loro macellazio-ne, la maggiore quantità di carne, latte e pelli possibile, sia dal loro impiego nei campi.

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reperti paleofaunistici e considerazioni sugli usi alimentari

193

FaSe SPeCie n.R. % nmi età e mODiFiCaZiOni

i. XiX–XX sec.(US 502)

Bovino 1 100 1 - 1G – GA (inferiore a 2,5 anni con tracce di macellazione)

ii. anteriore fine Xv sec. (US 35+38)

Pecora /Capra

14 42,5 3 - 1GG (tracce di rosicchiature) - 1GA (tracce di rosicchiature) - 1A (capra con tracce di morso e macellazione)

Maiale 10 30,3 4 - 1G (tra 6 e 12 mesi) - 1G (inferiore a 12 mesi) - 1GA (tracce di rosicchiature) - 1A (femmina)

Bovino 3 9,1 3 - 1GA – A (tracce di rosicchiature) - 1A - 1A (maggiore di 2,5 anni con tracce di macellazione)

Tartaruga 4 12,1 1 / (sesso femminile)

Lepre 1 3 1 1°

Cervo 1 3 1 - 1GA (inferiore a 3 anni)

iiia. iX-Xi sec. (US 1095)

Pecora /Capra

12 70,6 4 - 1GG – G - 1G – GA - 1GA – A (tra 1 e 3 anni con tracce di rosicchiature e macellazio-ne)- 1A (tra 6 e 10 anni, pecora con tracce di rosicchiature)

Maiale 5 29,4 4 - 1G (circa 1 anno e con tracce di rosicchiature)- 1GA (tra 1,5 e 2 anni)- 1A (tra 2 e 3 anni)- 1A (maggiore di 4 anni)

iiib. iX-Xi sec.(US 16A+73+75)

Pecora /Capra

10 58,8 4 - 1GG (capra con tracce di macellazione) - 1G (tracce di rosicchiature) - 1G – GA (tracce di macellazione)- 1A (tracce di macellazione)

Maiale 4 23,5 3 - 1G (tracce di macellazione) - 1GA (tracce di macellazione)- 1GA – A (tracce di rosicchiature)

Bovino 1 5,9 1 - 1A (tracce di macellazione)

Volpe 1 5,9 1 1°

Orso 1 5,9 1 - 1A (tracce di combustione)

iv. viii–iX sec.(US 16+76+78)

Pecora /Capra

9 60 4 - 1GG (tracce di rosicchiature)- 1G – GA- 1G – GA (tracce di macellazione)- 1A (capra con tracce di macellazione)

Maiale 5 33,3 3 - 1GA – A (tracce di macellazione e rosicchiature)- 1A (circa 2 anni)

Tartaruga 1 6,7 1 /

tabella 8. elenco delle faune domestiche divise in base alle fasi di vita del sito di appartenenza ed espresse nel numero di resti (n.r.), nella relativa percentuale e nel numero minimo di individui (nMI)

pelli (soprattutto dalle pecore e capre)19. Per quanto riguarda le specie di fauna selvatica,

invece, l’esiguo numero di resti sembra indicare che, pur presente, l’attività venatoria non costituisse una pratica tale da poter influenzare l’economia di sussistenza dell’intera comunità. È interessante constatare che per tutte le specie individuate

19 A tale proposito, occorre evidenziare come il dato sul pre-ponderante allevamento di pecore, capre e maiali rispetto ai bovini acquisti maggior valore se si prendono in considerazione i resti ossei indeterminati (tabella 2) che, nel numero di 57 riferi-bili ad animali di taglia medio-piccola (TMP) contro i 10 di taglia medio-grande (TMG), vanno ad avvalorare il ruolo di risorsa principale che i primi avevano rispetto ai secondi all’interno dell’economia della comunità.

(esclusa la tartaruga20) sono stati recuperati solo elementi ossei pertinenti la parte inferiore dell’arto21. Particolare, questo, che potrebbe trovare una spiegazione se correlato alla volontà di recuperare la pelle/pelliccia dell’animale in seguito al suo abbattimento. In questo modo, si avrebbe

20 la cui presenza all’interno del sito, è spiegabile da un lato per la sua naturale presenza in queste aree geografiche, dall’al-tro, per la possibilità di un occasionale consumo alimentare.

21 si tiene a precisare, infatti, che, oltre ai reperti osteologici dell’orso e del cervo (la cui posizione anatomica è facilmente riconoscibile), l’omero della volpe si è conservato nella porzione mediale e il femore della lepre in quella distale (ossia più lontana dal bacino). Per tutti quindi sono state recuperati elementi ossei pertinenti la parte più bassa dell’arto.

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FaBIO VISanI

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una prima fase di macellazione, in cui il recupero della carne si focalizza sul tronco e sulla parte alta degli arti, e una seconda fase di conciatura, dove ci si concentra sulle estremità restanti; il tutto non necessariamente vincolato allo stesso luogo di lavorazione. Simbolo di questa ricostruzione ipotetica è il caso dell’orso che, catturato in seguito a una battuta di caccia, è stato ucciso e, viste le dimensioni, probabilmente macellato nello stesso luogo di cattura. Da qui trasportato all’interno del sito e la sua pelliccia conciata al riparo della struttura con il focolare (US 16A), dove tutti gli scarti della lavorazione, fra cui lo stesso metatarso IV, sono stati gettati poiché considerati rifiuti da smaltire22.

Un’ultima considerazione, infine, è offerta dal-le fasi di vita più antiche del sito, caratterizzate o dalla presenza di due edifici (uno per fase) in ma-teriale deperibile con focolare a terra, sovrapposti fra di loro e aventi la stessa destinazione d’uso, o di un unico edificio connotato da una lunga diacronia (comprendente almeno le due fasi suddette)23. Per entrambi i livelli di frequentazione, lo scavo strati-grafico ha permesso di recuperare frammenti di ce-ramica da cucina assimilabili, nel primo caso (Fase IIIa-b, IX-XI sec.), alle forme di catino-coperchio (con evidenti tracce di annerimento da fuoco ma privo dei fori per lo sfiato24) e, nel secondo (Fase IV, VIII-IX sec.), alle forme di olla/pentola in pie-tra ollare. Questi ultimi reperti, inoltre, sono stati recuperati all’interno del riempimento di una fos-sa circolare posta nei pressi del focolare (US 16) e con pareti quasi verticali e fondo piatto, entrambi molto rubefatti a causa di una forte esposizione al calore.

Un confronto analogo è stato rinvenuto da An-drea Rosario Staffa in un sito altomedievale a Pescara, dove una buca posta a lato del piano di cottura di un focolare è stata riconosciuta molto probabilmente come «punto per l’allocazione di

22 in riferimento alla pratica umana di gettare le ossa animali all’interno di focolari poiché ritenute rifiuti da smaltire si veda De Grossi maZZoriN 2008, pp. 116-123, in part. p. 121.

23 Vd. il contributo di A. Baroncioni in questo volume.

24 Proprio queste caratteristiche fanno propendere più per una definizione tipologica del recipiente come catino che come coperchio o forno. Vd. ravaioli, veCChietti 2007a, p. 215 con rela-tiva nota 14. sulle tipologie ceramiche rinvenute vd. il contributo di G. Assenti in questo volume.

olle/pentole ubicate a lato del fuoco, e poi parzial-mente coperte (su un lato) o completamente rico-perte dai carboni ardenti»25. Associando questi dati con quelli desunti dalla ceramica da cucina rinve-nuta, lo studioso propone di interpretare queste evi-denze come una variazione dei gusti alimentari e del metodo di cucinare che, nel passaggio dall’età romana a quella medievale, si orientano verso il consumo di carne dura come quella di pecora, che usualmente necessita di una cottura molto più lun-ga e quindi di contenitori capaci di resistere bene al calore prolungato. Applicando queste conside-razioni al nostro caso, è facilmente intuibile come esse si adattino perfettamente al contesto acqua-vivano: esso presenta, infatti, ceramica da cucina (catino/coperchio e olle/pentole in pietra ollare), in grado di garantire un’ottima distribuzione e tenuta del calore, focolari a terra (di cui uno caratteriz-zato da una fossa laterale rubefatta) e frammenti ossei nella maggior parte pertinenti a ovicaprini26; si può quindi affermare con sicurezza che la die-ta alimentare degli antichi abitanti del castello era basata soprattutto sul consumo di carne dura che, oltre a essere cotta direttamente sul fuoco, era mol-to probabilmente consumata sotto forma di zuppa o stufato all’interno di contenitori posti a fianco del focolare e coperti (parzialmente o completamente) dai carboni ardenti.

In conclusione, il quadro che emerge dall’anali-si faunistica dei resti provenienti dallo scavo della Rocca di Acquaviva Picena è quello di una picco-la comunità dedita alla pastorizia e all’agricoltura, attività quest’ultima che, grazie alle innovazioni tecnologiche avvenute fra Alto e Basso Medioevo, assume probabilmente maggior importanza all’in-terno dell’economia del sito, senza però sostituirsi mai alla prima. L’allevamento di ovicaprini doveva essere la prima fonte di sostentamento e di sod-disfacimento delle necessità alimentari, volto sia all’ottenimento della carne sia dei derivati, quali

25 staffa 1998, pp. 467-470, in part. p. 469.

26 si tiene a precisare che buona parte di tutti i resti faunistici pertinenti le due fasi più antiche presentano evidenti tracce ta-fonomiche dovute alla macellazione: dato che, oltre ad aiutare a definire la destinazione d’uso della/e struttura/e e dei foco-lari (probabilmente come edificio/i ad uso abitativo), avvalora maggiormente questa considerazione sugli usi alimentari della comunità che occupava il sito.

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reperti paleofaunistici e considerazioni sugli usi alimentari

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latte, lana e pelli. Ruolo di non secondaria impor-tanza, poi, era assegnato ai maiali, soprattutto in riferimento all’apporto proteico. Infine, seguivano i bovini, anche se sfruttati in primo luogo come for-za lavoro e poi come risorsa di carne e di prodotti secondari. In ultimo, a completare la dieta alimen-tare della comunità, veniva la selvaggina, sebbe-ne la percentuale esigua dei resti recuperati faccia pensare alla pratica della caccia più come a un’at-tività fine a se stessa che a un aspetto integrante dell’economia di sussistenza della comunità che, in

effetti, fondava le sue necessità alimentari sull’al-levamento/sfruttamento degli animali domestici.

Maggior precisione nel ricostruire il contesto pa-leofaunistico del sito non è possibile anche perché, allo stato attuale degli studi, non esistono confronti con le realtà coeve del territorio delle Marche me-ridionali e della valle del Tronto. Occorrerà, per-tanto, aspettare nuove indagini archeologiche e, soprattutto, archeozoologiche per la costruzione di un quadro più completo del rapporto fra uomo, ani-male e ambiente.

Specie uS elemento anatomico Porzione Classe d’età misure

Ovicaprini 16 Tibia Mediale G – GA SD:12,3

Ovicaprini 35 Omero Distale GA – A BT:27,2

Ovicaprini 35 Astragalo Intero GA – A Dm:15,7; Dl:14,4; Bd:17,6; GLl:27,8; GLm:25,5;

Ovicaprini 73 Scapola Prossimale A BG:21,45; GLP:31,7; LG:24,65; SLC:19,4;

Ovicaprini 75 Scapola Prossimale G – GA BG:16,6; GLP:28,6; SLC:15,6;

Ovicaprini 76 Occipitale Intero A 29:23,8; 30: 8,5;

Ovicaprini 1052 Emimandibola P3 – M1 A 9:20,9; P3 = B:6; L:7,3; P4 = B:6,2; L:10; M1 = B:6,7; L:10,4

Ovicaprini 1095 Emimandibola P3 – P4 A 9:21,45; P3 = B:5,9; L:7,2; P4 = B:6,8; L:8,45

Ovicaprini 1095 Radio Prossimale G – GA Bp:28,6; SD:15,5;

Ovicaprini 1095 Radio Intero A Bp:29,6; Bd:26,8; SD:15,3;

Maiali 16 Emimandibola M1 – M3 A 8:65

Maiali PdS Bacino Acetabolo GA – A LA:30

Maiali 1052 Metatarso IV Intero A GL:87; Bd:15,2

Maiali 1095 Omero Distale G Bd:38,5 BT:31,3

Maiali 1118 Tibia Distale A Bd:27,6

Bovini 34 Emimandibola M3 A B:14,6; L:33,3;

Bovino 38 Tibia Distale A Bd:48,6; Db:42,9

Bovini 1052 Metacarpo Prossimale A SD:24,9

Bovini 1054 Omero Distale GA BT:65,7; Bd:71,8

Asino 1052 Metatarso Prossimale Bp:33,1; SD:21,6; [misure Eisenmann] 5:33; 6:24,4; 7:29,4; 8:7,7;

Lepre 35 Femore Distale A Bd:19,7

Orso 16A Metatarso IV Prossimale A Bp:13,9

Misure

Le misurazioni (espresse in mm) e le abbreviazioni usate sono quelle citate dal metodo di a. von den driesch. Si precisa che sono stati considerati tutti gli elementi ossei dell’intero campione compresi quelli provenienti da unità stratigrafiche non significative.PdS = Pulizia di Superficie

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FaBIO VISanI

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Appendici Appendici Appen

Appendici Appendici AppenAppendici

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2005

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embri del gruppo di lavoro di Acquaviva PicenaM

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 199-200

Enrico Giorgi (Direzione del Progetto)

Mauro Altini Serena De Cesare

Andrea Baroncioni Michele Massoni

Julian Bogdani Enrico Ravaioli

Federica Boschi Michele Silani

Alessandro Campedelli Erika Vecchietti

Tommaso Casci Ceccacci Fabio Visani

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aPPendICI

200

Il team del Laboratorio di rilievo ad acquaviva Picena, edizione 2005. a destra, l’allora assessore al turismo andrea Infriccioli

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Laboratorio di Acquaviva Picena 2004 (14 giugno-19 giugno)

Coordinatore: Andrea BaroncioniOperatori: Mauro Altini, Fabio Visani, Margherita Benvenuti, Michela Carletti, Michela Randi,

Enrica Giorgioni, Serena De Cesare, Michele Massoni

Laboratorio di Acquaviva Picena 2005 (30 aprile-7 maggio)

Coordinatori Andrea Baroncioni, Letizia NeroniDocumentazione delle strutture: Mauro Altini, Federica Boschi, Enrico Ravaioli, Fabio Visani, Giulia Marcolli, Michele Silani, Serena De Cesare, Sandra Cameli, Blerina Toci, Valentina Falcioni, Cristiana Capretti, Lara Taccini, Ilaria Rossetti, Ambra Spinelli, Sara Canullo, Rita NobiliScavo e documentazione di scavo: Tommaso Casci Ceccacci, Erika Vecchietti, Julian Bogdani Alessandro Campedelli, Michele Massoni

Laboratorio di Acquaviva Picena, complesso dell’ex-Ospedale di Sant’Anna 2005 (28 novembre-8 dicembre)

Coordinatori: Tommaso Casci Ceccacci, Erika VecchiettiScavo e documentazione di scavo: Andrea Baroncioni, Federica Boschi, Alessandro Campedelli, Serena De Cesare, Federico Luppi, Michele Massoni, Michele Silani Fabio Visani, Giuseppe Frezza

Laboratorio di Acquaviva Picena 2006 (3-25 maggio)

Coordinatore: Erika Vecchietti Responsabili di settore: Andrea Baroncioni, Enrico Ravaioli, Alessandro Campedelli, Tommaso Casci Ceccacci, Julian Bogdani, Federica Boschi , Michele Silani,

Michele Massoni

artecipanti ai laboratori didattici ad Acquaviva PicenaP

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)pp. 201-202

(2004-2009)

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aPPendICI

202

Operatori: Cristiana Capretti, Lara Taccini, Ambra Spinelli, Ilaria Rossetti, Elisa Loprete, Elisa Costa, Giuseppe Frezza, Fabio Visani, Elena Tonini, Tobia Moroder, Serena De Cesare, Eleonora Bruni

Scuola Estiva “In profondità senza scavare”, I edizione 2007 Acquaviva Picena-Burnum (Croazia)28 maggio-9 giugno)

Tutores (Università di Bologna): Julian Bogdani, Alessandro Campedelli, Michele Massoni, Michele Silani, Erika VecchiettiTutores (Università di Siena): Marta Bottacchi, Federica Boschi, Barbara Frezza, Maria Elena Ghisleni, Enrico RavaioliProfessionisti:Michele RicciardonePartecipanti: Anamaria Eterović, Mladen Pesić, Ivana Jadrić, Igor Borzić, Kevin Ferrari, Irene Loschi,

Lizana Dede, Mirco Modolo, Marco Antognozzi, Adelina Ramundo, Domenico Messinò, Silvia Bernardoni, Giulia Spallacci, Stefania De Majo, Dante Abate,

Corinna Ludovica Koch Dandolo, Angela Filazzola, Francesco Ghirardelli, Stefano Santocchi Gerg, Federica Fabbri, Debora Mazzarelli

Laboratorio di Acquaviva Picena 2009 (23-27 febbraio)

Coordinatore: Erika Vecchietti Responsabili di settore: Andrea Baroncioni, Julian Bogdani, Tommaso Casci Ceccacci, Michele Massoni, Enrico Ravaioli, Erika VecchiettiOperatori: Veronica Albanese, Claudia Cappuccino, Cristina Cordoni, Stefania Cua,

Agnese Di Donato, Federico Zaina, Fabio Visani

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ivello professionale dei responsabili di settore nel 2004 e nel 2013L

Il castello oltre le mura.Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)p. 203

2004 2013

Mauro Altini Scuola di Specializzazione in Archeologia (Bologna)

Specialista in Archeologia e insegnante di ruolo per le Scuole Superiori di II grado

Andrea BaroncioniScuola di Specializzazione in Archeologia (Bologna)

Specialista e Dottore di ricerca in Archeolo-gia, Assegnista di Ricerca (Bologna) e libero professionista

Julian BogdaniScuola di Specializzazione in Archeologia (Bologna)

Specialista e Dottore di ricerca in Archeolo-gia, Assegnista di Ricerca (Bologna) e libero professionista

Federica BoschiScuola di Specializzazione in Archeologia (Bologna)

Dottore di ricerca in Archeologia, Tecnico Lau-reato presso il Dipartimento di Storia Culture Civiltà dell’Università di Bologna

Alessandro Campedelli Libero professionista Dottore di ricerca in Archeologia, Assegnista di Ricerca (Bologna) e libero professionista

Tommaso Casci CeccacciScuola di Specializzazione in Archeologia (Bologna)

Ispettore Archeologo presso la Soprintendenza per i Beni Archeologici, Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo

Serena De CesareStudente, Conservazione dei Beni Culturali (Ravenna)

Dottore Magistrale in Conservazione dei Beni Culturali (Bologna-Ravenna) e libero professionista

Michele Massoni Studente, Conservazione dei Beni Culturali (Ravenna)

Dottore in Conservazione dei Beni Culturali (Bologna-Ravenna) e libero professionista

Enrico Ravaioli Scuola di Specializzazione in Archeologia (Università di Bologna)

Specialista, Dottore di ricerca in Archeologia e libero professionista

Michele Silani Studente, Lettere Classiche (Bologna) Dottorando in Archeologia

Erika VecchiettiScuola di Specializzazione in Archeologia (Università di Bologna)

Specialista e Dottore di ricerca in Archeolo-gia, Assegnista di Ricerca (Bologna) e libero professionista

Fabio Visani Studente, Conservazione dei Beni Culturali (Ravenna)

Specialista in Archeologia e libero professionista

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Il volumeIl castello oltre le mura.

Ricerche archeologiche nel borgo e nel territorio di Acquaviva Picena (Ascoli Piceno)

è stato stampato presso:Aslay Plus, Pianoro (BO)

nel mese digennaio 2014

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