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Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione a cura di: Chiara Pignaris Alessandro Giangrande Elena Mortola INTERVENTI DEI PARTECIPANTI Introduzione: Chiara Pignaris Elena Mortola Relatori: Laura Basco, Cristina Mattiucci - Supersantòs: un pallone e una città Luigi Daponte - Territori Narranti: animare comunità, valorizzare spazi, tutelare culture. Daniela Festa - Dalla rete di cittadini attivi all’occupazione dell’Ex-Cinema Palazzo: verso uno spazio pubblico Lucia Lancerin - Scuola, partecipazione, ambiente: Consigli dei Ragazzi per il Parco Regionale dei Colli Euganei Carla Majorano - decrescita e infanzia Carla Majorano - società della decrescita e spazio pubblico Viviana Petrucci, Irene Ausiello, Laura Moretti - “Smonti e RImonti” Forum dei bambini e delle bambine del Rione Monti Anna Lisa Pecoriello - bambini e spazio pubblico Daniela Renzi, Antonella Prisco - Il progetto internazionale “la città dei bambini” Linda Russo – Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione Mauro Smith, Sila Barracco – Salerno scuole verdi

Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

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Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

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Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione a cura di: Chiara Pignaris Alessandro Giangrande Elena Mortola INTERVENTI DEI PARTECIPANTI Introduzione: Chiara Pignaris Elena Mortola Relatori: Laura Basco, Cristina Mattiucci - Supersantòs: un pallone e una città Luigi Daponte - Territori Narranti: animare comunità, valorizzare spazi, tutelare culture. Daniela Festa - Dalla rete di cittadini attivi all’occupazione dell’Ex-Cinema Palazzo: verso uno spazio pubblico Lucia Lancerin - Scuola, partecipazione, ambiente: Consigli dei Ragazzi per il Parco Regionale dei Colli Euganei Carla Majorano - decrescita e infanzia Carla Majorano - società della decrescita e spazio pubblico Viviana Petrucci, Irene Ausiello, Laura Moretti - “Smonti e RImonti” Forum dei bambini e delle bambine del Rione Monti Anna Lisa Pecoriello - bambini e spazio pubblico Daniela Renzi, Antonella Prisco - Il progetto internazionale “la città dei bambini” Linda Russo – Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione Mauro Smith, Sila Barracco – Salerno scuole verdi

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Nell’autunno 2010 l’Italia ha ospitato l’appuntamento biennale internazionale “Child in the city”, organizzato dalla Child in the City Foundation e dalla Rete Europea delle Città Amiche dei Bambini (ENCFC), che si è svolto a Firenze e ha visto 275 delegati di 38 Paesi del mondo, discutere dell’applicazione dei diritti dell’infanzia e affrontare il problema della qualità della vita dei bambini in ambienti urbani sempre più complicati e squilibrati. Quando fu candidata a ospitare questo evento, l’Italia era vista, grazie alla recente L. 285/2007, come esempio da imitare per la diffusione di buone pratiche e sperimentazioni innovative, generate da leggi avanzate e da un ampio movimento culturale. A pochi anni di distanza, però, la situazione italiana sembra completamente cambiata: con un ritardo di due anni il Governo ha approvato nel maggio 2011 il Piano Infanzia, che però è privo di risorse finanziarie e vede fortemente ridimensionato il tema diritto dei bambini alla partecipazione. Nulla è rimasto dell’idea rivoluzionaria di coinvolgere i bambini nella progettazione degli spazi urbani e il progetto Città Sostenibili delle Bambine e dei Bambini del Ministero dell’Ambiente, che aveva prodotto anche un interessamento del mondo accademico (in particolare di alcune facoltà di Architettura e di Urbanistica), dell’INU e del Consiglio Nazionale degli Architetti, è stato definitivamente accantonato.

Parallelamente l’Europa affida alle città un ruolo strategico nelle politiche di coesione: ad esse si chiede di sviluppare nuove idee per mettere in moto la ripresa economica e migliorare l’inclusione sociale, pur in un contesto di risorse pubbliche sempre più scarse. In questa situazione, la capacità di attirare investimenti diventa sempre più determinante e lo spazio pubblico assume un ruolo fondamentale nella corsa alla competitività delle città, poiché dalla sua qualità dipendono non solo il benessere dei cittadini e lo sviluppo di relazioni sociali positive, ma anche l’attrattività della città per investitori economici e city users. Questa maggiore attenzione rischia però di comportare delle conseguenze negative, prima fra tutte la tendenza a specializzare e privatizzare lo spazio urbano collettivo, dove tradizionalmente convivevano più funzioni in equilibrio più o meno conflittuale, estromettendo gli usi che non comportano ricadute economiche. Così gli spazi veramente “pubblici” si riducono, e gli abitanti che non producono o consumano ricchezza, come i bambini, gli anziani, i poveri, rischiano di essere confinati nelle periferie o in “riserve” ad essi dedicate. Nel contesto nazionale emergono tuttavia alcuni elementi positivi: nel versante dell’urbanistica, dell’architettura e del design si sta manifestando, soprattutto da parte dei giovani professionisti, una nuova sensibilità sociale ed ecologica, conseguenza

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forse anche della crisi economica che stiamo attraversando, che rende possibile riproporre alcune idee che dieci anni fa, in un quadro di sviluppo basato sulla crescita economica e sulla speculazione immobiliare, sembravano utopie, come ad esempio la progettazione partecipata, l’autocostruzione, il co-housing, l’economia solidale, la ri-naturazione urbana, l’arredo urbano autoprodotto.

La sessione tematica “Bambine e bambini, spazi pubblici e partecipazione” è stata occasione per approfondire alcune di queste questioni insieme a esperti provenienti dalle più diverse professioni (architetti, insegnanti, pedagogisti, educatori, ricercatori universitari, studenti o semplici cittadini/e) che a diverso titolo sono impegnati in varie parti d’Italia a promuovere un tipo d’approccio che ormai sembra “passato di moda”. La prima parte dell’incontro è stata dedicata alla presentazione collettiva delle esperienze raccolte attraverso la call for papers promossa dal sito della Biennale dello Spazio Pubblico. Molto interessanti le esperienze svolte in alcune scuole di Roma, come il processo partecipativo presentato da Elena Mortola (Laboratorio TIPUS dell’Università di Roma Tre), legato al concorso la riqualificazione degli spazi didattici all’aperto di nidi, scuole dell’infanzia e elementari del Municipio VI di Roma, che ha portato alla realizzazione di tre parchi progettati insieme alle insegnati e ai bambini, oppure l’esperienza del 61° Circolo Didattico di Montespaccato, presentata dalla consulente del progetto Linda Russo, che ha utilizzato metodologie di coinvolgimento dei bambini consolidate ed efficaci, quali le analisi sensoriali, le camminate esplorative, le “mappe affettive”. Rivolti invece a stimolare la solidarietà intergenerazionale i progetti delle associazioni “Interazioni Urbane” e “Cantieri Comuni”. La prima associazione ha promosso l’iniziativa “Una giornata a corte”, illustrata da Elisa Maceratini, finalizzata a promuovere nel quartiere di Prati la riappropriazione da parte degli abitanti dei loro cortili. La seconda associazione ha presentato due esperienze raccontate da Viviana Petrucci, Irene Ausiello e Laura Moretti: l’esperienza “Smonti e Rimonti”, che ha attivato due forum locali, uno di bambini e uno di adulti, con l’obiettivo di aprire una prospettiva nuova e condivisa per la ricostruzione delle nostre città, e il progetto “Cantieri Animati”, che ha coinvolto quattro classi elementari una classe di un Istituto per Geometri del Comune di Ladispoli in attività di progettazione partecipata e cantieri di autocostruzione. Bellissime esperienze di autocostruzione di giochi, laghetti, orti e giardini sono anche quelle promosse nell’area

fiorentina dall’Associazione “La città bambina”, raccontate da Annalisa Pecoriello, che ha collaborato con Giancarlo Paba (Università di Firenze) e il Comune di Firenze a un progetto di coinvolgimento dei bambini di dieci scuole nella riappriazione di spazi di autonomia e partecipazione sociale. Molto interessante anche il coinvolgimento delle istituzioni e del “mondo adulto” attivato da tre esperienze svolte al Nord: il “Consiglio dei ragazzi per il Parco Regionale dei Colli Euganei”, promosso da Lucia Lancerin (Laboratorio Città di Bassano del Grappa) in collaborazione con l’Associazione Camina di Bologna; e i processi partecipativi svolti dalla Cooperativa ABCittà di Milano per la progettazione della Piazza Centrale di Rozzano e del Parco delle Acque a Cormano, presentati da Raymond Lorenzo. Di riqualificazione di aree verdi si occupa anche il “Progetto Salerno scuole verdi” presentato da Mauro Smith e Sila Baracco, promosso dal Comune di Salerno e dalla Fondazione Napoli Novantanove al fine di attivare forme di gestione partecipata del sistema ecologico cittadino. Un taglio più sociale hanno invece tre esperienze napoletane realizzate in quartieri fortemente degradati: “Il mito del mammut”, promossa nel quartiere Scampia dal Centro territoriale Mammut (presentata da Giovanni Zoppoli); “Supersantos un pallone una città, dove ancora resiste il giocare per strada”, presentata mediante un ben video da Laura Basco, Cristina Mattiucci e Francesca Amitrano dell’Associazione Indizi Terrestri; il progetto “Territori narranti” promosso dall'associazione culturale "ArticoloNove" in collaborazione con diversi Istituti Scolastici della provincia napoletana (presentato da Luigi D'Aponte).

Alla tavola rotonda hanno partecipato, oltre alle coordinatrici Chiara Pignaris e Elena Mortola, alcuni esperti che hanno avuto un ruolo attivo nella promozione di reti di esperienze e ricerche internazionali, nazionali o regionali sul tema del coinvolgimento delle bambine e dei bambini nella

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costruzione dello spazio pubblico: Daniela Renzi e Antonella Rissotto (Progetto internazionale La città dei bambini, ISTC-CNR Roma); Raymond Lorenzo (Cooperativa ABCittà di Milano); Annalisa Pecoriello (Associazione La Città Bambina); Carla Majorano (architetta, Napoli); Fanny Di Cara (architetta, Prato); Riccardo Poli (pedagogista CNCA); Giovanni Zoppoli (operatore culturale Rete Mammut); Lucia Lancerin (architetto Associazione Camina); Mauro Smith (Fondazione Napoli Novantanove); Luigi D’Aponte (associazione Articolo Nove). La discussione ha evidenziato la necessità attivare una profonda riflessione sulla presenza e sul ruolo dei bambini nelle nostre città, a partire dalle esperienze di progettazione partecipata portate avanti dalla stagione della L. 285/97 e alla luce dei cambiamenti sociali, economici e politici avvenuti negli ultimi anni, che vada oltre il compiacimento dei risultati raggiunti dalle esperienze ancora attive in tante realtà urbane, ma getti le basi per una nuova stagione di attenzione, più interdisciplinare e lungimirante. La stagione della L. 285 ha rappresentato un cambiamento epocale, poiché ha ribaltato il ruolo del bambino facendolo diventare da minore oggetto di tutela a “soggetto competente” e portatore di diritti. Il fatto che la legge prevedesse finanziamenti, da un lato ha reso più facile proporre ai sindaci l’attivazione di progetti, sollecitando una buona competizione tra le amministrazioni, dall’altro ha prodotto un “mercato” a volte non sufficientemente motivato e qualificato. Nonostante tutto, esistono ancora nei diversi territori molte esperienze di qualità, che riescono a sopravvivere grazie alla tenacia e alla creatività di persone fortemente motivate, attingendo ai canali di finanziamento ordinari, al supporto delle fondazioni bancarie, ai fondi europei, oppure a forme creative di autofinanziamento. Oggi la questione del coinvolgimento dei bambini nella progettazione degli spazi urbani è quanto mai

attuale, poiché lo spazio pubblico è tra i beni comuni che sono stati più erosi. In questo periodo di crisi diventa fondamentale riaprire i cortili e i giardini scolastici, superando il problema della sicurezza e lavorando in modo intergenerazionale. In un periodo in cui l’urbanistica appare in difficoltà, il bambino ci può aiutare a individuare alcuni problemi delle città che a noi appaiono “invisibili” perché “fa cose diverse”, ha una sensibilità particolare, possiede inoltre una progettualità molto ricca ma anche molto pratica, molto ricca di saggezza. Può aiutare a superare il “blocco” in cui oggi si trova l’urbanistica, dovuto anche alla carenza di strumenti d’interpretazione (Cerami: “L’urbanistica non ha più immaginazione”). In Italia possiamo ancora trovare diversi professionisti e studiosi appassionati, responsabili di associazioni, scuole, enti di ricerca, ma anche amministratori e funzionari pubblici motivati, che potrebbero “far rete” e incidere sulle politiche, ma il problema è che manca un punto di coordinamento forte, manca una strategia generale. Diventa inoltre indispensabile superare alcuni ostacoli:

• Lo scetticismo dei tecnici e del mondo accademico, la “chiusura” degli uffici e dei dipartimenti universitari.

• L’apprensione nei confronti della sicurezza dell’ambiente urbano, che negli ultimi anni è peggiorata e con l’obiettivo della “protezione” ha soffocato tutte le esperienze di autonomia.

• I tempi brevi della politica (mandato del sindaco), che non sono sufficienti per creare strutture comunali permanenti capaci di incidere nella costruzione delle politiche pubbliche.

• La tendenza a produrre su questo tema molta politica d’immagine, centrata sul protagonismo dei sindaci e soggetta a strumentalizzazioni anche da parte degli architetti e urbanisti.

Per quanto riguarda le proposte, l’opinione comune è che sia necessario superare le politiche di settore, che sia necessario “non isolare il bambino” ma vederlo come parte di un tutto, insieme ai ragazzi, agli adulti e alle famiglie, non negando i problemi o i conflitti ma trasformandoli in opportunità (es. la strada può essere vista come luogo pericoloso ma anche come spazio dell’imprevisto e della possibilità). In questa visione, anche il problema della sicurezza può essere superato con il “capacity approach” (conoscenza come sviluppo delle capacità) o mediante “patti generazionali” tra diversi soggetti. Un approccio intergenerazionale potrebbe anche aiutare nel reperimento dei finanziamenti, ad esempio collegando

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le politiche per i bambini a quelle per gli anziani, più ricche di risorse, o nella promozione dell’auto-costruzione e dell’auto-finanziamento di piccoli interventi da parte dei famigliari. Altro punto condiviso è la necessità di superare l’improvvisazione, divulgando strumenti metodologici già sperimentati positivamente sul campo, ma anche studiando nuovi modelli d’approccio alla progettazione partecipata con i bambini, più consoni al nuovo quadro sociale ed economico e al “nuovo tipo di bambino” che tale contesto sta contribuendo a formare. Emerge la necessità di una maggior “etica professionale”: la progettazione partecipata con i bambini non è cosa banale, ci vogliono professionalità adeguate ed esperienza; è necessario inoltre, parallelamente, sensibilizzare i tecnici e fornire ai politici un accompagnamento formativo e strumenti di coordinamento. Le strategie per il futuro sono di continuare ad agire su più dimensioni: se da un lato si sente l’esigenza di inserire l’attenzione ai bambini nelle politiche di sviluppo ad ampio orizzonte, in particolare quelle relative alla mobilità sostenibile e alla rigenerazione urbana integrata, dall’altro si avverte la necessità di agire mediante piccoli passi concreti capaci di “dare risposta” ai bambini (“Meglio fare solo piccole cose concrete che andare incontro a delusioni”).

Senza una riflessione politica di ampio respiro ogni sforzo rischia di venire vanificato, ma per coinvolgere le persone è necessario anche “partire dal basso”, lasciare piccoli segni concreti di cambiamento, “tracce di cittadinanza”. Non è facile cambiare una mentalità ancora predominante: questo senso globalista dello spazio omnicomprensivo (quello delle “grandi firme”) che pervade tutto, che considera i piccoli interventi e la manutenzione urbana “cosette da niente”. Ma è possibile far capire, anche attraverso piccole esperienze concrete (riaprire cortili, riaprire giardini scolastici, riportare la natura in città, ridare dignità a spazi degradati, recuperare spazi “interstiziali”...), che è possibile relazionarsi con lo spazio pubblico in modo diverso, e aprire nuovi mondi di esperienze. Emerge anche il desiderio di confrontarsi tra professionisti appartenenti a diverse discipline, di coinvolgere gli psicologi, i pedagogisti, gli insegnanti, i genitori, di fare “massa critica”. È necessario affrancarsi dall’idea che si debba dipendere da un fondo e da una legge, ma continuare a portare avanti il tema sia dal basso (“Dobbiamo essere come 100 punture di spillo”) sia dall’alto, rapportandosi con le politiche per la cittadinanza attiva portate avanti dal Consiglio d’Europa e dalle diverse Regioni, e anche coinvolgendo tutti gli organismi e centri di ricerca che potrebbero mostrare interesse per il tema.

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Supersantòs: un pallone e una città.

Una ricerca in forma di video a cura di IndiziTerrestri*

Siamo partiti da una mappatura nata in modo casuale, allenando lo sguardo, rubando immagini in movimento con il telefonino (la forma del campetto, le linee immaginarie, i palleggi, i pali di legno inchiodati, i margini segnati con le pietre o con cataste di giubbotti e felpe) e intercettando piccole squadre e spezzoni di partite per strada. Abbiamo così realizzato in forma di video un atlante di piccoli spazi liberati, autocostruiti e vitali, realizzando al latere interviste ai piccoli giocatori ed ai loro spettatori che ci hanno permesso di carpire i segreti e le regole del calcio di strada. Scoprendo progressivamente la decisione di “costruire” collettivamente un campetto, la denominazione dello spazio di incontro, i pali “materiali” disegnati o recuperati, le linee segnate e le pozzanghere a centrocampo, le sfide e le traiettorie fuorvianti della palla leggera. La città del calcio di strada invade gli interstizi urbani e prende vita in luoghi imprevisti. Il bambino giocatore occupa in maniera transitoria, lasciando dei segni più o meno permanenti, riadattando ed adattandosi allo spazio scelto come campo (una strada in pendenza, uno slargo disseminato di vasi come un campo minato, uno spazio avanzato dalla cantierizzazione di una piazza, un intermezzo tra due rampe di scale); sviluppa una capacità di progettare il gioco in maniera collettiva e condivisa. Spazi differenti nella stessa città, luoghi in

mutazione, luci e condizioni meteorologiche disparate, scandiscono una partita che può durare anche un'intera giornata. Il gioco - nel suo svolgersi - mette in atto una risignificazione degli spazi della città; diventa in questo caso costante atto di creazione, dove l’attività spontanea di gioco e il suo dispiegarsi in spazi della città (spazi pubblici o semi pubblici) mette in una relazione autonoma il bambino giocatore con lo spazio e con gli altri. La città in questo caso è una “macchina educante” 1 e l’unico medium è il pallone. A Napoli, dove lo spazio pubblico è spesso utilizzato in modo privato, lo spazio conquistato dal pallone è spazio ludico condiviso ed allo stesso tempo conteso. Il dualismo che associa la morfologia della città storica ed il gioco di vicinato si spezza. Esiste infatti una diffusa autonomia di movimento, per cui i bambini- giocatori arrivano a spostarsi nel centro storico della città, come se i gli spazi eletti fossero un sottotesto di una rete di campi di gioco, dove “la logica del playground è data dalla presenza di ambiti la cui sicurezza è ottenuta grazie ad un continuo processo di appropriazione dello spazio da parte del soggetto e dove è possibile il verificarsi di opportunità stimolanti”2 Le traiettorie del pallone disegnano spazi tridimensionali che si rivelano nella loro condizione contemporanea di spazi collettivi, in forme non necessariamente definite e stabili, talvolta estensione di spazi “privati” (un passaggio, una quinta di un negozio...) che si carica di usi temporanei che lo trasformano. Il gioco come situazione temporanea3 genera e riconfigura quegli spazi, mediante una pratica, non sancita da regole o ordinamenti ,ma capace di costruire confini e margini - spesso non congruenti con la città costruita e normata – mediante l'azione di un soggetto collettivo che li costruisce come spazi pubblici.

1 Cit. : Colin Ward, (1978), The Child in the City, London, A rchitectural Press, 2 Luciana Bozzo, (1995), Il gioco e la città, in Paesaggio

urbano n.2, pp. 30-33. 3 “Temporanea come situazione intermedia tra un uso dello spazio che si da’ una sola volta o per un tempo breve ed un uso pure provvisorio, ma che non esclude la durata. Il suo carattere è in questo scarto.” in Cristina Bianchetti (2008) Urbanistica e sfera pubblica, pag. 76, Donzelli Editore, Roma

Ci sono alcuni paesi e villaggi del Brasile che non hanno una chiesa, ma non ne esiste neanche uno senza un campo di calcio.

Eduardo Galeano

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Tale genesi è processuale, coerentemente con la continua negoziazione dei rapporti di potere e autorità, in rapporto alla sfera pubblica ed ai suoi spazi, ivi compresa la negoziazione tra i micropoteri delle piccole squadre che si contendono la piazza. La relazione tra gli spazi e la sfera pubblica cui ineriscono nel momento della partita, non è sempre chiaramente riconoscibile e definibile. Le partite fanno emergere piuttosto spazi insorgenti, una sorta di micro espressioni e rivelazioni dello spazio pubblico, che non si comprende più solo in termini geometrico-spaziali, ma attraverso le interazioni e le comunicazioni che ospita. Lo spazio del pallone si fa inoltre spazio di socializzazione e rappresentazione, che a Napoli identifica anche la “conquista di uno spazio”. Nella compagine difficile di una città ove ogni interstizio è conteso, ogni slargo residuale è un potenziale spazio che la città si (ri)prende. La palla si insinua spesso, infatti, tra le maglie di uno “spazio liberato” ovvero in quei luoghi dove si erano insediate (o normalmente si insediano) altre cose ed altre attività, nelle piazze liberate dalle auto e dai parcheggi abusivi4, tra le transenne dei cantieri in corso oppure ancora laddove si svolge il teatro dei mercati o di altre attività mattutine. Il pallone carica di ulteriori significati le cose, le relazioni e gli spazi normalmente deputati ad altro e ci lascia intravedere le potenzialità di alcuni fenomeni. Abbiamo provato a interpretare il gioco per strada come dispositivo per leggere alcune qualità dello spazio pubblico (a Napoli) ed articolare - a partire dalle visioni della ricerca in corso - una riflessione più ampia. Un gioco universale legato al territorio e allo stesso tempo influenzato da immagini archetipiche. Un gioco dotato di un linguaggio in cui si possono cogliere aspetti prettamente “locali” e una “globalità” di fondo sbalorditiva.

4 Per una comprensione del fenomeno delle “piazze liberate” si veda – tra gli altri - Ugo Rossi (2003) La città molteplice.

Il processo di cambiamento urbano nel centro storico di

Napoli in “Archivio di studi urbani e regionali” n. 77.

SuperSantòs è un lavoro di IndiziTerrestri con la collaborazione di Francesca Amitrano. * INDIZITERRESTRI è un collettivo attivo dal 2002 nel campo della ricerca urbana e della video-documentazione come spazio strutturante della stessa. È composto da giovani ricercatori e videomaker. Aderendo alla filosofia del lavoro in network, il gruppo ha sempre mantenuto una struttura aperta per favorire la più ampia collaborazione e partecipazione ai progetti sia all’interno che all’esterno della propria organizzazione. L’ultimo lavoro del gruppo è stato l’audioracconto Giù Napoli.

La ricerca Supersantòs - in fase di produzione tramite il network Produzioni dal Basso come videodocumento - è iniziata nel 2009.

PER CHI VOLESSE VISIONARE IL PROMO DEL VIDEO E SOSTENERE IL PROGETTO: http://www.produzionidalbasso.com/pdb_411.html

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Territori Narranti:Territori Narranti:Territori Narranti:Territori Narranti: aaaanimare comunità, valorizzare spazi, nimare comunità, valorizzare spazi, nimare comunità, valorizzare spazi, nimare comunità, valorizzare spazi, tutelare culture.tutelare culture.tutelare culture.tutelare culture. Laboratorio itinerante Laboratorio itinerante Laboratorio itinerante Laboratorio itinerante di ricercadi ricercadi ricercadi ricerca----azione azione azione azione e didattica del territorioe didattica del territorioe didattica del territorioe didattica del territorio

“Territori Narranti per la città”, dove “per” ha significato di preposizione indicante il moto attraverso lo spazio, un invito a ripartire “dal basso”, a mettere in movimento i piedi sull’asfalto delle strade, ad osservare il territorio ad altezza d’occhio, a superare l’idea della “città di carta” interpretata unicamente attraverso la visione “dall’alt(r)o”, sovente distante dal reale, di cartografie e tabelle di dati. Un invito alla riconquista degli spazi pubblici anche come antidoto all’individualismo ed all’ “addomesticamento del vissuto”. “Territori Narranti x la città”, dove “per” assume significato di preposizione indicante il vantaggio che può maturare a favore di cittadini e contesti, quando analisi e organizzazione del territorio si arricchiscono di una “ricerca-azione” di matrice socioantropologica ed artistica, in grado di leggere e decodificare le molteplici dinamiche umane/urbane nel loro sempre più polverizzato manifestarsi, e di accompagnare successivi processi decisionali partecipati da coloro che questi contesti vivranno e influenzeranno col loro agire. Un invito a favorire la riorganizzazione della comunità intorno al tema urbano, favorendo il diffondersi di concrete e tangibili esperienze di democrazia partecipativa.

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I luoghi di una città parlano ed il territorio si racconta come un testo narrativo o poetico: custodisce memorie, registra cambiamenti, subisce stravolgimenti, si veste di storie. Presente, passato, futuro, il territorio in cui viviamo è dentro e fuori di noi in ogni momento della vita: lo percorriamo, lo osserviamo, lo assaporiamo, lo respiriamo, è simbolo, luogo della mente e delle emozioni, racconto della nostra realtà. I territori non sono solo paesaggio, sono anche comunità, insiemi di persone che condividono quel territorio, un genere di vita e di cultura, in un determinato momento storico. Comunità e territorio come fondamenti della dimensione locale, della territorialità, dei “luoghi”. Il progetto di ricerca-azione “Territori Narranti” è un laboratorio itinerante di didattica del territorio, ideato da Luigi D’Aponte (sociologo/antropologo urbano) e dall’ associazione ArticoloNove di Napoli che svolge, sotto la guida operativa di Ilaria Moscato (esperta di didattica dell’arte) attività di ricerca, formazione e didattica sui temi del territorio e del patrimonio culturale materiale e immateriale; il progetto, avviato nel 2009 ed attualmente in corso d’opera, è stato ad oggi realizzato in collaborazione con Istituti Scolastici ed altre realtà Istituzionali campane, individuati sulla base delle specifiche caratteristiche urbanistiche, socioculturali ed ambientali caratterizzanti i contesti territoriali in cui essi insistono: - quartieri Bagnoli e Fuorigrotta della città di Napoli: vasta area urbana interessata da azioni di rigenerazione conseguenti alla dismissione dell’ insediamento industriale siderurgico Italsider (fasce cittadinanza coinvolte: bambini scuola elementare, docenti scuola elementare, anziani); - Afragola e Nola: come esempi di grandi comuni gravitanti nell’area metropolitana napoletana (fasce cittadinanza coinvolte: adolescenti frequentanti scuole secondarie superiori); - Pomigliano d’Arco: il laboratorio è stato qui realizzato in una area marginale della città, all’interno di un insediamento 219 di edilizia popolare calato dentro un territorio che sta scontando, da anni, in maniera fortemente negativa gli effetti connessi alla crisi industriale del polo industriale automobilistico partenopeo Fiat-ex Alfa Romeo (fasce cittadinanza coinvolte: donne-madri);

- Foreste di Cuma e Roccarainola: casi unici di foreste demaniali regionali presenti nella provincia di Napoli e presso le quali ArticoloNove è partner ufficiale nelle attività di fruizione e valorizzazione, con interventi che prevedono il coinvolgimento diretto di studenti anche nella progettazione di iniziative di promozione a fini di turismo scolastico e culturale (fasce cittadinanza coinvolte: studenti e docenti scuole elementari, secondarie di primo e secondo grado); - Comune di Pertosa (Sa) e bassa valle del Tanagro: esempio di contesto territoriale caratterizzato da una eccezionale commistione di patrimonio paesaggistico-ambientale-culturale, ma vittima di un asfissiante fenomeno di spopolamento dell’area. Grazie alla collaborazione della Fondazione regionale “MIdA, Musei Integrati dell’Ambiente”, si potrà così intervenire nel campo di ricerca riguardante il rapporto fra prodotti tipici locali e tutela/valorizzazione del territorio (fasce cittadinanza coinvolte: studenti scuola elementare e secondaria di primo grado). “Territori Narranti” indaga dunque le mutazioni degli spazi identitari, relazionali e storici costituenti i luoghi urbani ed extraurbani: raccoglie, elabora e diffonde memorie, vissuti, visioni, sogni, denunce e progettualità che i cittadini, piccoli e grandi, vengono elaborando rispetto agli spazi del proprio quotidiano. La narrazione come strumento per ritessere legame fra cittadinanza e territorio, l’intero progetto come attività propedeutica a possibili successivi interventi urbanistici e socioeconomici di governo del territorio. Il progetto intende aiutare a ritessere un legame, quello fra comunità e territori, a partire dai luoghi del quotidiano, che sono spazi relazionali, identitari e storici; e lo fa a partire dalla considerazione che la radicale riduzione del vissuto in strada sta generando nelle giovani generazioni una sorta di infermità sociale: essi si muovono come estranei nella loro stessa città. In contrasto a tale deriva culturale agiscono le iniziative del laboratorio itinerante “Territori Narranti”, che viene così promuovendo esperienze di “orientamento” fra i paesaggi naturali e antropizzati di un territorio e lungo i sentieri culturali tracciati dalle comunità nel corso del tempo. Muovendo dagli insegnamenti di Kevin Lynch e del Situazionismo, i temi centrali dei nostri interventi sono dunque:

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- l’analisi del grado di “leggibilità” del contesto territoriale ed il modo in cui vengono organizzandosi le suggestioni/informazioni spaziali, a partire dalle esperienze che in esso si producono; - la scoperta, l’elaborazione e la condivisione delle “mappe mentali, emotive, culturali” elaborate/adottate dalle persone per percepire e vivere lo spazio del quotidiano; - la comparazione delle “mappature” prodotte dai cittadini (bambini, giovani, adulti, anziani) con i livelli tangibili di vivibilità/leggibilità del contesto territoriale di riferimento. Ma lo spazio, gli ambienti in cui viviamo e ci muoviamo, sono anche elementi fondamentali e di riferimento costante per l’Arte. Letteratura, pittura, scultura, musica, ognuna di queste con il proprio linguaggio ha interpretato immagini di paesaggi reali e immaginari che vivono nel nostro mondo e nella nostra mente. Così, una specifica fase dell’attività laboratoriale è rivolta alla scoperta delle potenzialità poetiche insite nello spazio che ci circonda e negli elementi naturali e antropici che lo compongono: adottando i codici espressivo-comunicativi propri delle forme artistiche contemporanee e sulla base dei dati raccolti attraverso le “mappature”, si accompagnano i cittadini partecipanti nella progettazione e realizzazione di “guide sensoriali ed emozionali” che divengono utili strumenti comunitari in grado aiutare residenti, amministratori pubblici e visitatori a meglio osservare, ascoltare, comprendere e pensare il territorio. “Territori Narranti” è dunque un “cantiere” all’interno del quale si erige, su fondamenti teorici di diversa provenienza disciplinare, una “casa comune”, un luogo di sperimentazione di pratiche e di idee nascenti dall’incontro fra le scienze sociali (antropologia e sociologia urbana), con il loro ricercare, comprendere e spiegare il modo in cui l’uomo si è mosso e si muove nello spazio e nel tempo alimentando le diverse sue storie, e l’arte (nelle forme e nei linguaggi contemporanei), attività tesa a creare, attraverso forme, colori e suoni, prodotti ai quali riconoscere valore estetico e culturale. Dall’unione del “contenuto/significato” socioantropologico con la “forma/significante” artistica, viene definendosi il

“segno” riflessivo, tangibile e partecipato inciso direttamente dalle comunità locali e narrante i luoghi e le dinamiche che in essi accadono. Il metodo di matrice socioantropologica è così finalizzato ad offrire ai partecipanti una maggiore consapevolezza analitica che favorisca dunque il confronto dialettico nella comunità su temi e spazi pubblici; il metodo espressivo-comunicativo, derivato dal linguaggio artistico, tramuta invece le esperienze percettive, sensoriali ed emozionali che viene favorendo, in vere e proprie azioni propedeutiche alla riappropriazione “fisica” dello spazio pubblico. La metodologia di lavoro, sviluppata intorno al concetto ispiratore della “Partecipazione”, è finalizzata all’attivazione del corredo di potenzialità di cui sono in possesso tutti gli individui, adulti e ragazzi, normodotati e diversamente abili e le diverse comunità alle quali apparteniamo. Un metodo che individua, stimola e alimenta la responsabilità individuale e collettiva nel determinare i propri percorsi di sviluppo culturale e sociale e la reale partecipazione nei processi decisionali afferenti territorio e cittadinanza, gestione, mutazione, tutela e valorizzazione dello spazio e del bene pubblico. Il progetto viene così promuovendo partecipazione ed esperienze di cittadinanza attiva che vengono realizzandosi: - all’interno dei diversi spazi del nostro vissuto quotidiano (strada, casa, scuola/lavoro) attraverso attività di riscoperta e rilettura inedita (interviste residenti; esperienze di arte in strada; derive situazioniste; costruzioni di mappature sensoriali degli ambienti; costruzione di mappe dei sentieri urbani; raccolta ed elaborazione di storie di vita e di racconti di comunità connessi con il territorio e la sua storia; azioni di valorizzazione/promozione del patrimonio materiale e immateriale caratterizzante l’area); - nell’ambito dello spazio laboratoriale, che diviene anche il momento dell’elaborazione del vissuto territoriale e della sua graficizzazione; - nella condivisione dei risultati raggiunti attraverso iniziative svolte in luoghi pubblici significativi del territorio e con la partecipazione diretta dei cittadini nella progettazione degli stessi eventi. Il laboratorio si articola così in diverse sezioni:

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sezione I.a “il territorio”: con gli occhi degli altri, con gli occhi dell’Arte; sezione I.b “il territorio”: la poetica dello spazio; sezione II.a “la comunità”: l’albero dei destini incrociati, famiglie, gruppi sociali e territorio; sezione II.b “la comunità”: le radici e le ali, racconti di comunità; sezione III “dinamiche sociali, storiche, culturali”: psicogeografia e mappatura sensoriale degli spazi; sezione IV “comunità virtuali”: dalla strada alla rete; sezione V “partecipazione e protagonismo civile”: esercizi di governance Territori Narranti è dunque un invito per ritornare a studiare ed operare nella città, ripartendo dal basso, mettendo in movimento i piedi sull’asfalto delle strade, superando l’idea della “città di carta” derivante unicamente da una lettura dall’alto e distante prodotta da cartografie e tabelle di dati; al tempo stesso esso intende moltiplicare le occasioni di riflessione e partecipazione dei cittadini intorno ai temi della città. Dal raggiungimento della molteplicità di obiettivi fissati dal progetto vengono determinandosi le condizioni per il raggiungimento della finalità più ampia perseguita: quella di accrescere la consapevolezza, la disponibilità a mettersi in gioco, così come le conoscenze necessarie a favorire il concreto coinvolgimento dei cittadini in azioni di governo del territorio centrate su principi e metodi realmente partecipativi. Camminare è raccontare. Ogni strada una nuova storia.

LUIGI DLUIGI DLUIGI DLUIGI D’’’’APONTEAPONTEAPONTEAPONTE

ssssociologo/ociologo/ociologo/ociologo/antropologo urbanoantropologo urbanoantropologo urbanoantropologo urbano associazione Articolonove Napoliassociazione Articolonove Napoliassociazione Articolonove Napoliassociazione Articolonove Napoli

Page 12: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

Dalla rete di cittadini attivi all’occupazione dell’Ex-

Cinema Palazzo: verso uno spazio pubblico

L’occupazione dell’Ex-Cinema Palazzo è il risultato di

un percorso di oltre un anno durante il quale i residenti

di San Lorenzo, organizzati in rete, hanno iniziato a

incontrarsi per combattere il degrado culturale e sociale

del quartiere, cercando di contenere gli effetti della

cosiddetta “movida” e della dilagante presa di spazi e

poteri da parte delle lobbies affaristiche e degli

spacciatori.

Nell’arco di questo periodo, la rete ha realizzato

numerosi incontri, eventi e manifestazione per cercare

di ridare slancio al tessuto sociale del quartiere,

sensibilizzare sulle problematiche del territorio e

portare avanti un’azione politica collettiva di denuncia

e di proposta.

Durante le numerose riunioni tra i cittadini che si sono

tenute regolarmente, prima in spazi sociali, poi alla

Casa della Partecipazione del Municipio di

appartenenza (Municipio Roma 3), emerge l’allarme

sul bellissimo spazio dell’Ex-Cinema Palazzo nel

quale, nello scorso marzo, sono iniziati i lavori di

ristrutturazione finalizzati all’apertura di un casinò.

Si tratta di un luogo privato ma con una forte valenza

nella memoria collettiva. Un tempo cinema e teatro, in

questo bel palazzo, hanno recitato Totò e Petrolini,

Esso ha rappresentato un luogo simbolo per i cittadini

di San Lorenzo, sia per coloro che lo hanno

frequentato, sia per coloro che, dichiarano numerosi

anziani del quartiere, sognavano un giorno di poterlo

frequentare. Successivamente esso è stato adibito a sala

da Biliardo e più recentemente a Sala Bingo

rapidamente chiuso per non chiare irregolarità

gestionali.

I cittadini, dopo una serie di verifiche, nel mese

d’aprile decidono, dunque, di intervenire per impedire

l’apertura di un casinò nel cuore del quartiere già

vessato da una forte speculazione commerciale ed

edilizia e, per poter rilanciare affinché lo spazio

diventi un luogo pubblico culturale.

Dal momento dell’ingresso nell’Ex Cinema Palazzo

molte cose sono cambiate e hanno superato idee e

aspettative.

Gli abitanti, il mondo dello spettacolo e numerose

istituzioni hanno supportato i cittadini e le realtà che

hanno avviato l’occupazione.

Alla Sala è stato dato un nome: Sala Vittorio Arrigoni,

lo spazio è stato cioè, prima denominato, quindi ha

progressivamente iniziato a definirsi, trasformarsi,

«reificarsi» ed infine, a strutturarsi in relazioni interne

ed esterne e a mettersi in prospettiva con un passato, un

presente e una possibile idea di futuro per quel

territorio.

L’esperienza che qui presentiamo narra una storia di partecipazione spontanea e di autorganizzazione, uno tra i molti possibili percorsi di co-produzione di uno spazio pubblico. Quando uno spazio è pubblico? Quando è tale il suo statuto giuridico o quando esso è vissuto, rivendicato e appropriato in modo pubblico? Quest’esperienza mostra quanto i cittadini in forme organizzate possano giocare un ruolo centrale nei processi di significazione dei luoghi. Benché il processo sia in una fase nascente, l’esperienza dell’EX-Cinema Palazzo sottolinea il processo di costruzione di senso ed il ruolo delle conoscenze “militanti” collettive nella costruzione di un modello “altro” di territorio e di città. Partendo da un senso di appartenenza al quartiere-città-mondo aperto e reticolare, i cittadini di San Lorenzo tessono una storia collettiva che prova a trovare una sintesi tra resistenza e creatività, tra radicamento locale e connessioni globali, tra impegno politico, arte e cittadinanza attiva.

Page 13: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

E’ iniziato, cioè, un vero processo di

territorializzazione1 sia dell’Ex Cinema sia della piazza

antistante che, da parcheggio disordinato, ha

cominciato a divenire luogo di nuovi passaggi e

attraversamenti multipli.

Questa esperienza appare complessa e innovativa. Si

colloca nella contemporaneità di questioni che toccano

diversi livelli di lettura e di politiche.

La progressiva chiusura di spazi dedicati alla cultura a

livello nazionale, la concessione di una serie di

autorizzazione per l’apertura di Casinò, le inchieste

giornalistiche di livello (Repubblica e Report) che

hanno acceso i riflettori sulle scottanti vicende che si

nascondono dietro il nuovo business delle sale da

gioco, la generale crisi del settore teatrale nella

Capitale (con numerose chiusure di teatri importanti), i

tagli al FUS e l’ulteriore precarizzazione della

condizione dei lavoratori dello spettacolo, la mancanza

di governo delle dinamiche speculative immobiliari cui

non si oppone, in molti casi, un disegno strategico

complessivo sulla città.

Ciò appare emblematico a San Lorenzo, quartiere

fragilizzato da dinamiche di microcriminalità, spaccio,

degrado e di un’attrattività impoverita di valori

culturali e sociali e schiacciata su un’offerta bassa e

caotica. Dall’idea iniziale di un’occupazione lampo e

simbolica, la variegata rete di cittadini che ha preso 1 A. Turco, 1988, Verso una teoria geografica della complessità, Unicopoli, Milano. 2 J.M. Jacobs 1969, Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane, Torino, Einaudi 3 C. Cellamare e F. Cognetti, 2007, Quartiere e reti sociali,

questa iniziativa, si trova confrontata con la temporalità

via via più lunga e pur sempre incerta di questa

occupazione.

La divisione in gruppi di lavoro, l’utilizzo di una

comunicazione plurimedia e in tempo reale, la

programmazione artistica di alto livello (con

testimonial quali Sabina Guzzanti, Mario Martone,

Franca Valerii, Elio Germano…e molti altri)

rappresentano tasselli di una strategia complessa che si

sta inventando giorno per giorno nel tentativo di tener

assieme diversità, di far circolare conoscenze, di

mobilitare competenze.

Le esperienze storiche di mobilitazione sociale presenti

nel quartiere come “il 32” di Via dei Volsci (storico

centro sociale della sinistra antagonista romana) o le

occupazioni abitative (la più nota quella di Via de

Lollis), le nuove forme di attivismo politico quali

quella dell’Onda che nel quartiere trova uno dei suoi

spazi di confronto, la tradizione storica di resistenza e

autorganizzazione, il forte associazionismo e

l’attivismo anche di singoli cittadini, sono le leve da

cui prende le mosse l’occupazione ed in questa

esperienza trovano terreno di contaminazione e

trasformazione.

Si susseguono esperienze di riappropriazione simbolica

attraverso azioni creative (laboratori, happening,

mostre, laboratori con bambini e anziani).

Page 14: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

Pratiche di riappropriazione dello Spazio: viene ripulita e ritinteggiata la facciata, vengono riorganizzati gli spazi, vengono organizzate attività per farvorire la conoscenza e l’incontro tra generazioni.

Si studiano le buone pratiche di gestione culturale, ci si

interroga sulle modalità per avviare un processo

partecipativo democratico e stringente, si raccolgono

competenze e visioni, si tracciano scenari possibili per

la gestione futura di questo spazio.

La mobilitazione, che ha avuto una fortissima

risonanza sui media locali e nazionali e raccolto oltre

diecimila firme, è solo all’inizio. La prossima tappa

delicatissime che si delinea in questi giorni è l’avvio di

un tavolo di concertazione con le autorità che dovrebbe

servire, altresì, a liberare dal senso d’urgenza e

iscrivere la mobilitazione nella continuità e nel

processo politico e negoziale di una riappropriazione

dello Spazio come Luogo di Cultura e di

Partecipazione.

L’esperienza denuncia un rinnovato bisogno di spazi

pubblici, sempre più rari nell’era delle progressive

privatizzazioni e di una speculazione immobiliare che

incoraggia le grandi opere a scapito degli spazi preposti

alla quotidianità e alla socialità nei quartieri2.

Numerosi i fronti su cui i cittadini organizzati si sono

mossi. Innanzitutto una programmazione artistica e

culturale densissima e di livello scaturita dalle relazioni

e dalle reti dei singoli componenti, messe in campo con

rapidità e successo, e cumulate per un fine collettivo.

Esse hanno garantito la vitalità del luogo e confermato

l’esistenza di una domanda culturale e sociale

insoddisfatta, non solo nel quartiere ma alla più ampia

scala urbana. Inoltre, sempre partendo dal patrimonio

socio-culturale dei singoli e dei gruppi attivi, la rete dei

cittadini attivi, ha compiuto una serie di ricerche e

perizie che fanno emergere da un lato ipotesi di

connessioni poco chiare dietro l’imminente apertura

del casinò e approfondimenti sulle incongruenze delle

nuove concessioni per tali attività rispetto al tessuto di

città storica in cui la piazza dove si trova la struttura

del Cinema ricade.

2 J.M. Jacobs 1969, Vita e morte delle grandi città. Saggio sulle metropoli americane, Torino, Einaudi

Page 15: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

La costruzione di queste conoscenze, che si sono

accumulate nel susseguirsi di incontri e dibattiti con

esperti e giornalisti, ricerche condotto attraverso le

conoscenze individuali o collettive (poiché già

strutturatesi come tali negli altri percorsi di militanza

sociale presenti all’interno della rete) ha dato vita ad

una vera e propria contro-perizia di tipo collettivo che

ha costituito da un lato una forma di produzione di

conoscenza corale significativa e dall’altro ha offerto

argomenti di carattere politico capaci di catalizzare in

un primo momento l’attenzione dei media e

successivamente di numerose forze politiche.

Inoltre, già dai primi mesi di occupazione, la rete dei

cittadini ha creato relazioni con realtà di prossimità,

quali il vicino Dipartimento “Arte e Spettacolo”

dell’Università La Sapienza, con il quale sono state

avviate una serie di collaborazioni anche didattiche e

con reti tematiche di livello nazionali, come il gruppo

dei lavoratori dello spettacolo che qui hanno trovano

uno spazio di incontro e discussione dal quale ha preso

le mosse il movimento di Occupazione del Teatro

Valle di Roma.

In questa esperienza emerge in modo chiaro come

cittadini in forma organizzata conducano un’azione

collettiva che doppiamente incardina e travalica l’idea

di quartiere.

Da un lato questa occupazione attraverso iniziative

specifiche che intendevano dare visibilità a

problematiche micro locali (incontri e dibattiti sulle

singolo istanze spaziali presenti nel territorio del

quartiere, programmazione artistica destinata a gruppi

specifici di pubblico locale, iniziative di carattere

sociale) si è rafforzata come “rete sociale locale”

denotando una forte attitudine alla presa in carico

diretta dei problemi di quartiere3.

Numerosi personaggi della Cultura e dello Spettacolo partecipano attivamente alle iniziative organizzate all'Ex-Cinema. Qui vediamo Elio Germano, Sabina Guzzanti e Franca Valeri in momenti di dibattito pubblico con cittadini e politici per difendere il destino di questo Spazio.

3 C. Cellamare e F. Cognetti, 2007, Quartiere e reti sociali, un interesse eventuali, in Archivio di studi urbani e regionali, n. 90

Page 16: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

D’altro canto ciascun cittadino di questa rete

rappresenta nodi di rete locali e sovralocali che nella

Rete San Lorenzo cambia cambia San Lorenzo prima e

poi nell’Occupazione dell’Ex Cinema Palazzo hanno

trovato un terreno di convergenza, disegnando una

forma di appartenenza al quartiere-città-mondo aperta

e reticolare4.

Non è ancora chiaro il destino di questo luogo,

continuano iniziative e dibattiti anche in sedi

istituzionali in una fase ancora complessa della

vicenda. Ciò che è chiaro e che l’azione condotta da

questi cittadini su diversi fronti e a diversi livelli, ha

modificato in pochi mesi le pratiche spaziali dei

cittadini del quartiere che hanno ri-trovato uno spazio

“pubblico” d’incontro, ha creato e rafforzato percorsi

individuali e collettivi di cittadinanza attiva, ha offerto

uno spazio di fruizione culturale a pubblici provenienti

dall’intera città. Tutto ciò ha trasformato il senso di

questo spazio, il quale non è più, di fatto, uno spazio

privato ma un luogo pubblico d’incontro, creazione e

partecipazione: al di là delle verità catastali, delle

concessioni urbanistiche e delle politiche urbane,

difficilmente questo statuto potrà essergli sottratto.

Testo a cura di Daniela Festa Video a cura di Daniele Martinis 4 A. Bagnasco, 1992, «La ricerca urbana fra antropologia e sociologia», introduzione a U. Hannerz, Esplorare la città. Antropologia della vita urbana, il Mulino, Bologna, (ediz. orig. 1990).

Progetto ed eventi che valorizzano il ruolo dei cittadini nella proposta e diffusione di stili di vita sostenibili. Qui vediamo due immagini relative ad un laboratorio di giardinaggio per bambini per portare il verde nella piazza antistante al Cinema e un progetto di sensibilizzazione sulla mobilità sostenibile co-organizzata con i musicisti del gruppo Tetes de bois e la rete delle Ciclofficine.

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Scuola, partecipazione, ambiente:

Consigli dei Ragazzi per il Parco Regionale

dei Colli Euganei

Le scuole e i loro cortili costituiscono una rete di spazi pubblici che può avere un ruolo fondamentale, non solo per bambini e ragazzi, ma per la comunità e l’ambiente di cui fa parte integrante. La “mission” educativa della scuola, anche se talvolta ostacolata da difficoltà economiche e strutturali, da sempre è legata ai temi della sostenibilità e del paesaggio. Paesaggio come bene comune, come cultura, come risorsa preziosa che è importante conoscere e far conoscere per condividerne il valore e imparare ad averne cura. Paesaggio che è la scuola stessa, con edificio e cortile più o meno felicemente integrato nell’ambiente circostante, anch’esso a volte curato, a volte assai degradato. Paesaggio vicino alla scuola che è a portata di mano per “fare esperienza”, quella che troppo spesso ai giovani non viene concessa o viene rinviata ad oltranza, unico modo perché ragazze e ragazzi possano camminare, scoprire e conoscere anche sporcandosi le mani. Bambini e ragazzi del Parco Regionale dei Colli Euganei hanno fatto esperienza di paesaggio e hanno costituito una rete tra scuole dei comuni di Monselice, Torreglia, Bastia di Rovolon, Este ed Arquà Petrarca che ha coinvolto quasi 1000 ragazzi con insegnanti, via via sempre più appassionati, e raggiunto direttamente e indirettamente tutta la comunità scolastica e le loro famiglie. La riflessione è partita dall’esperienza dei ragazzi e delle loro conoscenze soffermandoci sul ruolo che ciascuno di noi può avere nel migliorare l’ambiente e pensando insieme come i Consigli dei Ragazzi potrebbero aiutare l’Ente Parco a progettare e realizzare un futuro migliore. ■ La scuola, agenzia educativa e spazio pubblico, può essere una risorsa molto importante per il territorio, se si apre ad esso diventando nodo attivo di una rete che accoglie e propone in modo condiviso azioni di partecipazione rivolte alla tutela e al miglioramento dell’ambiente di cui fa parte.

La cronaca quotidiana di disastri ambientali sempre più frequenti da un lato e la crisi economica che ci attanaglia dall’altro indica quanto sia urgente prenderci cura del nostro ambiente di vita e delle risorse che esso ci da: aria, acqua, terra e fuoco sono gli archetipi del territorioi da cui ripartire con consapevolezza verso una rifondazione dell’etica individuale, sociale e professionale.

■ Il progetto “AAA Cercasi … Consigli dei Ragazzi per il Parco”, è stato proposto dal Parco Regionale dei Colli Euganei a tutte le scuole del territorio, con l’Associazione Nazionale Camina di cui il Parco è socio. La costituzione del Consiglio dei Ragazzi per il Parco (di seguito detto CRP), nasce dalla volontà di coinvolgere direttamente bambini ed ragazzi che vivono e frequentano il Parco, sia per farne conoscere il suo valore e le sue caratteristiche, che per gettare le fondamenta di una reale e concreta partecipazione al miglioramento della qualità ambientale a partire dai nostri singoli comportamenti quotidiani, immaginando insieme il futuro e piccole-grandi azioni che ci aiutino a preservare e migliorare le risorse ambientali. Coinvolgere i ragazzi ha significato favorire la condivisione e la comprensione delle regole, il rispetto della legalità e contribuito a sviluppare il senso di appartenenza alla propria comunità. ■ La fase start up del progetto, rivolto a tutte le scuole primarie e secondarie di I° dei 15 Comuni del Parco Veneto situato in provincia di Padova (Abano Terme, Arquà Petrarca, Baone, Battaglia Terme, Cervarese S. Croce, Cinto Euganeo, Este, Galzignano Terme, Lozzo Atestino, Monselice, Montegrotto Terme, Rovolon, Teolo, Torreglia, Vò), ha richiesto tempi lunghi nella comunicazione e creazione di una rete tra scuole di cui il gruppo di lavoro degli insegnanti referenti è diventato nucleo portante e prezioso collegamento tra scuola e territorio. Il lavoro minuzioso di contatti ed incontri rivolti a dirigenti scolastici ed insegnanti interessati di tutti gli Istituti Comprensivi e le Direzioni Didattiche del territorio, ha permesso di promuovere in modo capillare la conoscenza del progetto, con l’intento di attivare un sistema “leggero” di co-gestione. Infatti le scuole hanno partecipato fattivamente a costruire il CRP attraverso momenti di

Page 19: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

dibattito e confronto tra Ente Parco, Camina, dirigenti e insegnanti. La rete di scuole ha creato un legame importante con il proprio territorio, generando un maggiore desiderio di partecipazione, con una maggiore attenzione e cura delle sue risorse. ■ Le attività previste dal Progetto, a partire dall’Anno Scolastico 2009/2010, il Ventennale dell’atto fondativo del Parcoii, sono state sviluppate a partire dai temi di IDENTITÀ, per aiutare i ragazzi a riconoscere ed essere consapevole dei propri valori e della propria potenzialità; APPARTENENZA, per conoscere, utilizzandole, regole basilari di convivenza nella vita di relazione, comprendere concretamente i propri diritti e doveri rispetto al contesto socio- ambientale; PARTECIPAZIONE, per promuovere il confronto ed esercitare un ruolo attivo e propositivo nella vita quotidiana del Parco. Partendo dalle proprie esperienze quotidiane, bambini e ragazzi hanno riflettuto su questi temi e approfondito le loro conoscenze tramite le attività proposte da laboratori ed insegnanti. E’ emerso che i giovani leggono la situazione attuale con grandi ansie, sentono la necessità di messaggi di speranza, sono orgogliosi di avere un ruolo importante nel loro ambiente di vita, prendono questo impegno molto seriamente e trasmettono con immediatezza le loro scoperte e i motivi dei loro “nuovi” comportamenti anche a genitori e adulti che accompagnano la loro crescita, confrontandosi, per una volta, sullo stesso piano.

■ I laboratori proposti alle classi con il supporto dei docenti, si sono inseriti nelle attività didattiche curricolari fornendo un supporto “esperto” che con modalità interattive talvolta diverse da quelle usuali (in alcuni casi il lavoro individuale poi sviluppato in piccoli gruppi non era pratica usuale), hanno introdotto conoscenze e spunti per riflessioni e approfondimenti sviluppati poi dagli insegnanti delle diverse materie: scienze, geografia, arte e immagine, cittadinanza e costituzione, italiano, matematica ed informatica. Le attività di laboratorio declinate su ciascuna classe in base alle indicazioni degli insegnanti, hanno avuto il loro culmine nelle attività proposte con escursioni nei pressi delle scuole: - LEGGIAMO IL TERRITORIO DEL PARCO CON LE

MAPPE BIOREGIONALI per saper leggere il territorio anche attraverso le mappe e saperne costruire alcune in modo semplice;

- CONOSCIAMO LA BIODIVERSITÀ NEL PARCO, per toccare con mano alcuni elementi naturali che caratterizzano l’ambiente e che sono sempre più rari;

- MUOVERSI NEL PARCO SENZA INQUINARE: la mobilità dolce, per capire l’impatto ambientale del muoversi con o senza motore e promuovendo l’utilizzo di modalità alternative all’auto;

- TURISMO SOSTENIBILE PRODOTTI DEL PARCO A KM

0, in collegamento con le aziende agricole e i coltivatori diretti locali;

- PROGETTIAMO E CURIAMO INSIEME IL NOSTRO

Page 20: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

AMBIENTE, percorso di progettazione partecipata a partire dagli “Archetipi di Territorio” per sperimentare concretamente un percorso di progetto “sostenibile”;

- PARTECIPAZIONE E DIRITTI DELL’INFANZIA E

DELL’ADOLESCENZA per conoscere da vicino la Convenzione Internazionale dei Diritti dell’infanzia e dell’adolescenza (ONU, 1989).

■ Le classi, dopo le attività di laboratorio, diverse tra loro ma con uno “sfondo” comune su diritti dei bambini, conoscenza condivisa del territorio e necessità di tutela per l’ambiente del Parco, hanno nominato i propri portavoce. Questo momento è stato molto importante perché ha permesso di “costruire” in modo condiviso come la classe, e il suo portavoce, sia parte del CRP. Tre gli aspetti salienti di questo momento: - la DICHIARAZIONE DI INTERESSE AD ESSERE

PORTAVOCE DELLA CLASSE, per rendere bambini e ragazzi consapevoli del ruolo del portavoce e creare una lista di candidati, ciascuno ha dichiarato la propria volontà ad essere o meno portavoce della classe e ne ha motivato la scelta (con classi in cui tutti aspiravano a questo incarico e classi in cui solo pochissimi erano invece interessati);

- le MODALITÀ ATTRAVERSO CUI IL PORTAVOCE SI

IMPEGNERÀ A RAPPRESENTARE LA CLASSE, dal consultare la classe, riferire quanto è stato deciso nel CRP e produrre materiali e discussioni per l’incontro successivo al come riporterà al CRP le

opinioni della classe tenendo conto anche dei pareri “minori”, discutendo e quindi decidendo non tendono conto solo della propria opinione; - la CONDIVISIONE DELLE REGOLE PER LA ELEZIONE,

ad esempio in alcune classi si è scelto la pari opportunità per maschi e femmine, in altre la doppia votazione (una prima per una scrematura delle candidature e una seconda per la scelta del portavoce), ma anche come effettuare la votazione a scrutinio segreto, palese o per acclamazione, ma anche con proposte di fantasia nate spontaneamente dalla classe. Il Consiglio dei Ragazzi per il Parco così formato ha permesso a tutti di sperimentare cosa significhi il rispetto per le diverse opinioni, il senso della maggioranza e della minoranza e l’utilizzo consapevole della democrazia rappresentativa.

■ Gli incontri di CRP si sono svolti nella sede del Parco e in orario scolastico (da metà mattina a metà pomeriggio), a conferma dell’importanza del progetto anche dal punto di vista didattico educativo. Il bus che è passato in tutte le scuole, ha fatto comprendere ai ragazzi qual’era il filo (la collocazione, la distanza, i tempi) che unisce la rete delle scuole del CRP. Anche il pasto, proposto in modo molto frugale e semplice, è stata un’occasione per assaggiare specialità locali e prodotti a km zero.

Page 21: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

Al CRP ciascuno ha portato idee, riflessioni e proposte della propria classe, quindi attraverso un dibattito in piccoli gruppi sono state scelte azioni e proposte che, elaborate con rappresentazioni grafiche, sono state presentate al Comitato Esecutivo ed al Consiglio del Parco Regionale dei Colli Euganei, che si è impegnato a rispondere e a prendere seriamente in considerazione tutte le loro proposte. ■ Questo progetto sposa pienamente le indicazioni della Convenzione Europea del Paesaggio, fondamentale accrescere la sensibilizzazione della società civile al valore dei paesaggi, al loro ruolo e alla loro trasformazione anche con misure specifiche di formazione ed educazione (CEP Firenze, 2000 – art. 6). La rete di scuole che costituiscono il CRP riconosce il paesaggio come bene comune, come cultura, come risorsa preziosa che è importante conoscere e far conoscere, per condividerne il valore e imparare ad averne cura. Nel territorio del Parco il fatto che ciascuna scuola con edificio e cortile più, o meno felicemente integrato nell’ambiente circostante si

riconosca come parte del paesaggio e lo accolga come opportunità di arricchimento di conoscenze e di possibilità di “fare esperienza” può essere considerata una buona pratica da estendere ad altri territori. La tutela attiva del paesaggio è un progetto molto ambizioso ma improcrastinabile. Non comprende solo azioni protezionistiche - specialistiche ma si realizza, con il coinvolgimento di tutta la comunità e anche attraverso piccole azioni quotidiane che tutte insieme possono produrre davvero un cambiamento considerevole. Piccole azioni quotidiane che, per poter radicare nel territorio, non solo devono essere ricche di significato ma anche comunicate con forza, immaginazione e determinazione. Quella che talvolta nasce in modo straordinario dalle generazioni più giovani.

LUCIA LANCERIN

(Associazione Nazionale CAMINA)

i Vedi A. Marson, Archetipi di territorio, Alinea, Firenze, 2008. ii Legge Regione del Veneto n° 38/1989, istitutiva del Parco.

Page 22: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

Territorio, insediamenti, comunità e infanzia nell‟era

della decrescita felice. Carla Majorano

La crisi planetaria del modello di sviluppo capitalistico

che stiamo vivendo ha reso attuale, nel dibattito

culturale, il modello decrescita teorizzato, con varie

articolazioni , da insigni studiosi quali Nicholas

Georgescu-Roegen, Jean Baudrillard, André Gorz, Ivan

Illich, Serge Latouche considerato il principale

promotore dell‟idea della “decrescita”.

Anche in Italia sono presenti insigni studiosi della

decrescita e sono nati movimenti molti attivi nel

proporre pratiche e iniziative come il Movimento della

Decrescita Felice che ha come punto di riferimento

Maurizio Pallante.

Per questa corrente di pensiero, esiste un diretto

rapporto causa-effetto fra la crescita del P.I.L. e

l‟esaurimento delle risorse vitali, l'incremento

esponenziale delle varie forme d‟inquinamento, la

progressiva devastazione degli ambienti naturali e

storicamente antropizzati, la disoccupazione, le guerre,

il degrado sociale. Inoltre la crescita del P.I.L. non

misura la crescita dei beni prodotti da un sistema

economico, ma la crescita delle merci scambiate con

denaro. Non sempre le merci sono beni, perché nel

concetto di bene è insita una connotazione qualitativa -

qualcosa che offre vantaggi - che invece non attiene al

concetto di merce. Viceversa, non necessariamente i

beni sono merci, perché si può produrre qualcosa senza

scambiarla con denaro, ma per utilizzarla in proprio o

per donarla.

Questi studiosi, anche se con accenti diversi,

sostengono la necessità di una de-crescita economica e

produttiva, descrivendone i vantaggi in termini di

felicità individuale, di sollievo per gli ecosistemi

terrestri, di relazioni più eque e serene tra gli individui

e tra i popoli. La “decrescita” è per loro un passaggio

obbligato per la costruzione di una nuova cultura

capace di superare i terribili problemi che il sistema

economico industriale, fondato sulla crescita illimitata

della produzione di merci, pone all'umanità e a tutte le

specie viventi.

L‟idea della decrescita rappresenta una vera e propria

rivoluzione poiché non solo preconizza un modello

economico e sociale alternativo al capitalismo e

all‟economia di mercato, ma prefigura una società

fondata su valori e stili di vita completamente diversi,

dove l'economia è rimessa al suo posto come semplice

mezzo della vita umana e non come fine ultimo.

Le riflessioni sulla decrescita si sviluppano non

soltanto come speculazioni teoriche ma anche come

pratica concreta e diffusa come testimoniano le

innumerevoli iniziative realizzate nell‟ultimo decennio

in tutto il mondo.

Nella società della decrescita il rapporto fra territorio,

ambiente e insediamenti umani vive una profonda

trasformazione, si fa strada un nuovo modo di abitare e

vivere, vicino al modello comunitario pre-industriale.

Le comunità umane si preparano ad affrontare la

doppia sfida costituita dal sommarsi del riscaldamento

globale e del picco del petrolio e quindi le città si

trasformano e ricercano stratagemmi per ridurre

l'utilizzo di energia ed incrementare la propria

autonomia a tutti i livelli. In questo senso rivestono

grande importanza iniziative quali: la difesa e la

diffusione della biodiversità vegetale, la creazione di

orti comuni e di piccoli allevamenti animali seguendo i

principi della permacultura, la riforestazione urbana

diffusa (orizzontale e verticale), l‟intercettazione e

raccolta delle acque meteoriche con la creazione di

vasche e di canali urbani con sistemi di

fitodepurazione, il riuso e riciclaggio delle acque di

scarico depurate, la creazione di percorsi ciclo-

pedonali, la condivisione dell‟auto (car-sharing),

l‟incentivazione del paratrasporto, l‟incremento

nell‟uso di fonti energetiche rinnovabili, il risparmio

energetico in edilizia, il riscaldamento e raffrescamento

passivo attraverso un approccio progettuale che segue i

principi dell‟architettura bio-climatica e che fa tesoro

delle antiche tecniche costruttive spesso dimenticate, il

riciclaggio di materie di scarto come materie prime per

altre filiere produttive, la riparazione di vecchi oggetti

non più funzionanti in luogo della loro dismissione

come rifiuti.

Sono rivalutate le antiche regole del costruire perché i

modi di costruzione tradizionali, elaborati quando

l‟energia era poca e costava tanto, erano finalizzati a

fare in modo che la struttura degli edifici fosse in grado

di costituire un riparo dagli effetti indesiderati del

clima, il freddo d‟inverno e il caldo d‟estate, mentre le

tecnologie edili che li hanno sostituiti in nome della

modernità li hanno resi dipendenti da protesi

energetiche per svolgere le stesse funzioni, col risultato

che oggi gli edifici dei paesi moderni assorbono circa

la metà di tutti i consumi energetici, costituendo la

principale fonte di emissione di CO2 e del potenziale

autodistruttivo insito nel modo di produzione

industriale.

Gli insediamenti umani devono evolversi verso

l‟autosufficienza alimentare ed energetica

sperimentando discipline di frontiera e pioneristiche

finora poco utilizzate come la permacultura, la biologia

quale modello per la progettazione , idea sviluppata dal

New Alchemy Institute già negli anni „60, nuove

tecniche come l‟acquacultura, nuove tipologie edilizie

come bioricoveri, serre e shadehouse.

Nella società della decrescita si da vita a nuove forme

di convivenza tali da rispondere all‟attuale

Page 23: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

disgregazione dell‟organizzazione familiare, culturale e

sociale della condizione postmoderna e globalizzata. Si

rivalutano i legami comunitari nelle famiglie, si

rompono i limiti mononucleari in cui la famiglia è stata

ristretta, si riscopre l'importanza dei rapporti di

vicinato, si ricostruiscono forme di solidarietà

comunitaria per libera scelta tra persone con sensibilità

comune (banche del tempo, gruppi d‟acquisto solidale,

co-housing, eco villaggi), si restituisce ai nonni il loro

ruolo educativo e di trasmissione del sapere nei

confronti dei nipoti: tutto ciò comporta una decrescita

del P.I.L. attraverso una riduzione della mercificazione

nei rapporti interpersonali e al contempo forti

miglioramenti della qualità della vita.

Il lavoro nella società della decrescita assume nuove

connotazioni: l‟orario di lavoro può essere ridotto sia

per re-distribuire lavoro e ridurre la disoccupazione e il

precariato, sia perché si riducono le esigenze di reddito

per comprare merci. Il lavoro domestico, di

autoproduzione, di cura, di scambio e gratuito, la

prestazione di servizi alla persona sono rivalutati.

Questo nuovo modello lavorativo consente che

entrambi i genitori accudiscano ai figli, la donna

soprattutto nei primi mesi, ma la cura dei bambini può

trovare arricchimento da una dimensione comunitaria e

attraverso forme di auto-organizzazione di quartiere.

Anche la scuola subisce una profonda trasformazione,

fra le materie di studio si reintroduce il saper fare

accanto alle materie teoriche. Tutte le scuole hanno

l‟orto scolastico: il bambino conosce e vede le piante,

la terra, i cicli produttivi, impara la trasformazione e la

conservazione dei prodotti agricoli. Le scuole si

arricchiscono di laboratori creativi e di officine per

costruire e riparare attrezzi e giochi. La scuola si apre

al territorio, alla comunità e alle famiglie perché i

bambini non hanno bisogno di oggetti, ma di tempo, di

attenzione, di sensibilità, di fare delle esperienze

insieme ai genitori e agli altri membri della comunità,

esercitando il loro ruolo di cittadini competenti e

responsabili.

La società della decrescita felice è orientata al

recupero, alla valorizzazione e al miglior utilizzo delle

risorse e dei beni comuni attraverso percorsi di

condivisione e partecipazione degli utenti finali. Mille

progetti e iniziative possono partire dal basso, dai

cittadini che quelle risorse e beni conoscono perché

parte del loro vissuto quotidiano. Queste competenze

sociali sono la nuova cassetta degli attrezzi per pratiche

di co-progettazione e di auto-costruzione, per il

recupero di spazi pubblici e sociali e per la definizione

di servizi innovativi. Questo nuovo protagonismo

sociale non è uno spot, ma un processo di

arricchimento e di condivisione fra diversi che ha

bisogno di lentezza e di sedimentazione.

Un cambiamento di mentalità così profondo come

quello delineato, ha bisogno di una nuova cultura.

Quale mito potrà sostituire quello della crescita? Quali

paradigmi potranno guidarci nella società della

decrescita? La cultura che meglio si adatta all‟era in cui

stiamo entrando, è quella della convivialità, fatta di

condivisione, semplicità, amicizia, dialogo,

valorizzazione delle diversità. La società conviviale

permette all‟uomo l‟azione più feconda e creativa. Se

alla filosofia del mercato subentrerà diffusamente un

modello alternativo fondato sulla trasformazione e

sulla crescita (questa volta sì crescita) personale, sul

consolidamento della comunità e della coscienza

ambientale, si potranno gettare le fondamenta

intellettuali per l‟avvento di un‟era post mercato.

Bibliografia e sitografia.

S. Latouche. Manifesto del dopo sviluppo, tratto da

www.decrescita.it

S. Latouche. Breve trattato sulla decrescita serena.

Bollati Boringhieri Editore.

S. Latouche. La scommessa della decrescita. Feltrinelli

Editore.

M. Pallante. La decrescita felice. Editori Riuniti.

M. Pallante. La felicità sostenibile. Rizzoli Editore.

M. Pallante. La virtù della sobrietà. Sintesi in

www.decrescita.it

G. Bologna. Invito alla sobrietà felice. EMI Edizioni.

B. Mollison e R. M. Slay. Introduzione alla

permacultura. Terra Nuova Edizioni.

N. Jack Todd e J. Todd. Progettare secondo natura.

Elèuthera Editore.

S. Bartolini. Manifesto per la felicità. Come passare

dalla società del ben-avere a quella del ben-essere.

Donzelli Editore.

Daniel Tarozzi. Maurizio Pallante e la Decrescita

Felice. Terranauta.

www. decrescitafelice.it

www.decrescita.it

www.terranauta.it

www.cittadelfare.it

Page 24: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

Società della decrescita e spazio pubblico: dalla

partecipazione dei cittadini alla cooperazione

comunitaria. Carla Majorano.

Il Rapporto globale sugli insediamenti umani 2011

dell‟ONU rileva che abbiamo superato la soglia del

50% della popolazione mondiale che vive in aree

urbane. Non ci sono mai state sulla terra così tante

persone per le quali alimentazione, riscaldamento e

altri bisogni primari dipendono da luoghi altri e così

distanti. Gli stessi elementi che hanno reso possibile

questa vertiginosa urbanizzazione, il consumo

massiccio di petrolio e gas naturale, sono responsabili

del picco del petrolio e dei cambiamenti climatici,

questioni che minacciano di destabilizzare il mondo

contemporaneo, urbano e globalizzato.

Le città moderne sono l‟espressione fisica del modello

economico dominante: la crescita materiale e

quantitativa. Gli attuali modelli insediativi comportano

un alto consumo di risorse naturali non rinnovabili –

materie prime, combustibili fossili, acqua, suolo- e

l‟emissione di sostanze inquinanti in atmosfera, nel

suolo e nelle acque.

Tutte le città sono cresciute inglobando il territorio

agricolo circostante per cui gli antichi modelli

economici e sociali basati sull‟interdipendenza fra

insediamenti urbani e campagna, sono entrati

progressivamente in crisi fino al collasso attuale.

“Noi viviamo ancora nella città produttivista, pensata e

strutturata in funzione dell‟automobile sotto forme che

pretendono di essere razionali (basta pensare alla città

radiosa di Le Corbusier) con le sue segregazioni degli

spazi, le sue zone industriali, i suoi quartieri

residenziali senza vita”1).

Che livello d‟insostenibilità potrà mai avere un tale

tipo di agglomerato il giorno che la produzione di

petrolio e di gas naturale scenderà anche solo di

qualche punto percentuale? E cosa accadrà quando si

presenteranno in tutta la loro evidenza, gli effetti dei

cambiamenti climatici: forti ondate di calore,

concentrazione delle precipitazioni in pochi giorni

alternata a prolungati periodi di siccità, emergenza

idrica?

Le comunità umane dovranno prepararsi ad affrontare

la doppia sfida costituita dal sommarsi del

riscaldamento globale e del picco del petrolio e quindi

le città dovranno trasformarsi e ricercare stratagemmi

per ridurre l'utilizzo di energia ed incrementare la

propria autonomia a tutti i livelli (energetica, idrica,

alimentare, ecc).

Affinché le città possano avviarsi alla transizione verso

una nuova era post-picco le comunità locali dovranno

saper ripensare, ridisegnare, ristrutturare l‟ambiente

urbano e l‟economia locale in base alle nuove esigenze

e per aumentarne la resilienza.

Quali città potranno affrontare meglio queste sfide

epocali?

Le città che hanno investito in un sistema di trasporti

diversificato con un maggior numero di persone che si

sposta in bicicletta, a piedi e con i mezzi pubblici. Gli

insediamenti urbani dove è facile trovare prodotti locali

abbondanti e a basso prezzo grazie alla presenza di

mercati di quartiere, fiere contadine, fattorie urbane.

I comuni che hanno incoraggiato pratiche sostenibili

come la bioedilizia, le reti di economie locali, il

riutilizzo dell‟acqua meteorica, il riciclo e il riuso dei

materiali di scarto. Soprattutto le città in cui la società

civile è protagonista dei cambiamenti attraverso un

atteggiamento pro-attivo e creativo. Città nelle quali i

cittadini prendono parte alla vita della comunità locale

su base volontaria, fondando associazioni, comitati di

quartiere, dando avvio a iniziative che riguardano un

modello sociale ed economico alternativo, in certi casi

anche con un carattere sovversivo, ai confini del

rispetto delle norme imposte dal sistema politico

dominante.

In questo scenario incomincia a farsi strada nelle città il

progetto della decrescita, vale a dire, come sostiene

Latouche, il progetto di costruzione di una società di

abbondanza frugale e prosperità senza crescita.

Il progetto della decrescita mette in discussione il

modello di sviluppo capitalistico nel suo complesso e

quindi passa attraverso una rifondazione del politico,

ma ridefinisce anche il concetto di polis, di città e del

suo rapporto con la natura.

“La città decrescente dovrebbe essere una città con una

impronta ecologica ridotta, trattenendo un rapporto

forte con l‟ecosistema (una bio-regione). In un primo

tempo, la città decrescente, potrebbe essere la città

attuale dalla quale siano stati eliminati la pubblicità, le

auto e la grande distribuzione e dove siano stati

introdotti i giardini condivisi, le piste ciclabili, una

gestione pubblica dei beni comuni (acqua, servizi di

base) e anche la coabitazione e le «botteghe di

quartiere». Una riconversione sarà necessaria ma anche

una certa deindustrializzazione. In sintesi, la città

decrescente, primo passo verso una società di

abbondanza frugale, preserverà l‟ambiente che è in

ultima analisi la base di tutta la vita, aprirà a ciascuno

un accesso più democratico all‟economia, ridurrà la

disoccupazione, rafforzerà la partecipazione (e dunque

l‟integrazione) e anche la solidarietà, fortificherà la

salute dei cittadini grazie alla crescita della sobrietà e

alla diminuzione dello stress.”2)

In Italia stanno maturando significative esperienze in

ambito urbano che possono ascriversi all‟orizzonte

culturale della decrescita e della transizione verso

un‟era post-picco: la rete del Nuovo Municipio, la rete

Page 25: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

delle Città Lente, le Città in Transizione, le Città post-

carbone, le numerose esperienze di Città Virtuose.

Nel panorama delle sperimentazioni che si stanno

attuando in Italia, Napoli rappresenta una realtà

peculiare, fortemente spinta verso forme di auto-

organizzazione creativa. Napoli da sempre città

problematica, sommersa da una perenne emergenza ma

animata da uno spirito appassionato, creativo, un po‟

avventuriero e un po‟ visionario, sperimenta nuove e

alternative forme di convivenza, promosse e animate da

piccole comunità resistenti.

Le iniziative promosse da questi gruppi di cittadini

riguardano principalmente la riappropriazione del

rapporto città-campagna, la valorizzazione di spazi

pubblici degradati o abbandonati, nuovi modelli di

produzione e consumo, sperimentazioni nel campo

della mobilità sostenibile.

I casi di studio presentati di seguito sono alcune delle

realtà più significative e innovative operanti in città.

Decine di coltivatori, allevatori e artigiani si sono uniti

contro le logiche economiche e le regole calibrate

sull‟agroindustria, per difendere la libera lavorazione

dei prodotti agricoli e l‟immenso patrimonio di saperi e

sapori della terra. Da questa rete è nata la campagna

Genuino Clandestino per contrastare l‟insieme delle

norme che, equiparando i prodotti contadini trasformati

a quelli delle grandi industrie alimentari, li rendono

fuorilegge. Insieme si sono incontrati nell‟aprile 2011 a

Napoli in Piazza Mercato per una grande

manifestazione nazionale per fare rete e portare in

Campania agricoltori, pastori, artigiani, movimenti che

in altre parti d‟Italia sono impegnate in forme di

resistenza contadina.

I Friarielli Ribelli sono guerrilla gardening che si

battono per la riappropriazione degli spazi verdi urbani

lasciati al degrado e all‟incuria, organizzano azioni

clandestine di piantumazione e mini-restyling urbano

in vari punti della città coinvolgendo di volta in volta

cittadini, associazioni e comitati civici delle varie aree

interessate.

Gruppi di Acquisto Solidale, artigiani, produttori,

cooperative ed associazioni stanno costruendo un

Distretto di Economia Solidale per praticare e

diffondere un alternativo modello di consumo, di

economia, di relazioni sociali e di rispetto

dell‟ambiente. Le Piazze dell‟Economia Solidale sono

periodici mercati temporanei e luoghi d‟incontro

conviviale fra produttori e cittadini nel centro storico,

nella città consolidata e in periferia con banchetti

espositivi, momenti di confronto e musicali.

In una città in cui non esistono piste ciclabili e con un

traffico intenso, chi va in bicicletta lo fa a suo rischio e

pericolo. E‟ per questo che si è creato il gruppo Critical

mass che si incontra attraverso la rete in piazza per

pedalate collettive. Si parte costringendo le macchine

ad andare a velocità di bici. Per evitare problemi con la

polizia municipale non ci sono organizzatori ufficiali

né percorsi pianificati.

Alla Ragnatela aderiscono 50 produttori della

Campania che organizzano ogni mese uno Spaccio

Popolare Autogestito, in una zona temporaneamente

autonoma, occupando zone simbolo o quartieri a

rischio. All‟interno degli spacci è presente un centro di

documentazione dove si può visionare il catalogo dei

prodotti e le schede di autocertificazione in cui sono

descritte le caratteristiche di ciascun prodotto esposto,

le tecniche di coltivazione/realizzazione utilizzate, le

caratteristiche del terreno, la provenienza dei semi e

l'indicazione del prezzo.

Il Coordinamento cittadino per lo spazio pubblico

nasce a Scampia, quartiere simbolo della città, per

promuovere le realizzazioni di reti sociali per un uso

alternativo dello spazio pubblico e per una sua

rivitalizzazione. Negli anni il comitato ha realizzato

strutture sportive e spazi verdi autogestiti e ha lavorato

nei campi rom. Nel giugno 2008, promuove il

programma „Oplà, riprendiamoci la città‟ che vede per

la prima volta le reti sociali di diversi quartieri della

città organizzare insieme un mese di azioni sullo spazio

pubblico urbano.

Cineforum della decrescita, corso di auto-formazione

sulla transizione, coltivazione di orti sinergici, corsi del

saper fare, queste le iniziative ad oggi intraprese dal

neo-nato Circolo della decrescita felice di Napoli.

Note 1) e 2) relazione di Serge Latouche al meeting

«The architecture of well tempered environment -

Un'armonia di strumenti integrati», promosso

dall'Unione internazionale degli architetti e dall'Union

internationale des architectes, architecture and

renewable energy sources da www.carta.it

Sitografia

postcarboncities.net

genuinoclandestino.noblogs.org

www.guerrillagardening.it

www.desnapoli.it

criticalmassnapoli.jimdo.com

ragnatela.noblogs.org

comitatospaziopubblico.blogspot.com

Page 26: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

“Smonti e RImonti”

Forum dei bambini e delle bambine del Rione Monti

Smonti e RImonti, il forum dei bambini e delle bambine del rione

Monti di Roma, nasce all’interno di un’esperienza di progettazione

partecipata realizzata dal lab. Tipus-dipSU dell’università Roma

Tre, in collaborazione con l’associazione CantieriComuni e con il

sostegno del programma della Comunità Europea “Quartier en

Crise-ERAN”.L’esperienza è finalizzata al coinvolgimento degli

abitanti nella riqualificazione fisica e sociale del rione Monti,

contesto profondamente segnato da un processo di gentrificazione

che ha generato la rottura di due riferimenti fondamentali per la

qualità della vita umana: la comunità ed i luoghi. Per i bambini del

rione questo ha significato il venir meno delle condizioni sociali ed

ambientali fondamentali alla realizzazione dell’ esperienza di

conoscenza autonoma del proprio ambiente di vita, che è parte

integrante della loro crescita e socializzazione.Smonti e RImonti,

sostenendo il diritto dei bambini a vivere e muoversi nella città in

modo autonomo e libero e considerando quest’ultima come un

tavolo da gioco, ha indagato la condizione attuale dello spazio

pubblico e avanzato proposte d’intervento per reinserire la funzione

del gioco nella città.

“Smonti e Rimonti” è un’esperienza di progettazione

partecipata realizzata tra il 2007 e il 2009 con le

bambine ed i bambini del rione Monti nella città di

Roma, dal laboratorio Tipus-dipSU dell’Università di

RomaTRe e dall’associazione CantieriComuni, con il

contributo della Comunità Europea (programma

ActiveCitizenship- DG Education and Culture e

“Quartiere en crise-ERAN”).

Il rione Monti si trova nel centro storico, negli ultimi

anni è stato investito da un processo di gentrificazione

che ha generato la rottura di due riferimenti

fondamentali per la qualità della vita umana: la

comunità ed i luoghi.

La perdita della comunità e del senso di appartenenza

ai luoghi ha un impatto significativo sulla qualità della

vita di tutte quelle categorie sociali che trascorrono

molto tempo nel Rione, tra le quali i bambini e gli

anziani. Nel caso specifico dei bambini vengono meno

le condizioni sociali ed ambientali fondamentali alla

realizzazione dell’ esperienza di conoscenza autonoma

del proprio ambiente di vita, che è parte integrante

della loro crescita e socializzazione.

Nel Rione si vedono ancora i bambini giocare in piazza

Madonna dei Monti e aggirarsi per le strade da soli, ma

lo spazio a loro disposizione si sta drasticamente

riducendo a causa della preponderanza del fattore

economico rispetto alla gestione dello spazio pubblico

e si stanno amplificando i conflitti tra le diverse

generazioni che aumentano proporzionalmente alla

riduzione dello spazio libero disponibile.

Il progetto ha coinvolto gli abitanti nel processo di

riqualificazione del rione per mettere in atto dinamiche

di riappropriazione del territorio, rafforzare la coesione

sociale e lo scambio intergenerazionale e per favorire

l’autonomia dei bambini nel vivere gli spazi pubblici.

Sono stati costituiti due forum locali, uno degli adulti e

uno dei bambini, che hanno lavorato parallelamente per

creare una congiunzione concreta tra le vecchie e le

nuove generazioni e costruire una prospettiva nuova e

condivisa per la ricostruzione delle nostre città che

sono contemporaneamente deposito di memoria e

preparazione di futuro.

Il forum dei bambini e delle bambine “Smonti e

RImonti” si è interrogato e ha sperimentato modalità

possibili per reintrodurre la funzione del gioco in città,

considerando tutto lo spazio pubblico come ipotetico

tavolo da gioco.

Sono stati coinvolti gli abitanti del Rione di età

compresa tra gli 8 e 12 anni.

Il progetto è stato suddiviso in due fasi: Smonti e

RImonti.

Nella fase Smonti, i bambini/e hanno simbolicamente

“smontato” il rione individuandone i limiti e le

potenzialità.

Nella fase RImonti, lo hanno “rimontato” avanzando

proposte progettuali sugli spazi individuati.

Piazza Madonna dei Monti. Foto di Alessia Cerqua

Page 27: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

Fase Smonti

In questa fase i bambini hanno “smontato” il rione,

individuando quegli elementi che impediscono di vivere

la città in autonomia ed in sicurezza.

Il loro approccio allo spazio urbano è olistico ed

ecologico, per questo gli strumenti ludici utilizzati per

l’analisi del territorio sono stati pensati per lavorare

contemporaneamente ed in maniera trasversale sia sulla

dimensione fisica che su quella sociale, perché solo se

queste due dimensioni coesistono e si completano, i

bambini possono realizzare il proprio modo di vivere la

città.

Gli strumenti utilizzati hanno fatto emergere tutte quelle

“incoerenze architettoniche” che sono un impedimento

alla loro autonomia: le alzate dei marciapiedi troppo

alte, l’assenza degli scivoli in corrispondenza delle

strisce pedonali, le alberature stradali posizionate lungo

l’asse centrale dei marciapiedi, che costringono i pedoni

a dover scendere sulla carreggiata, l’assenza di

coperture e sedute alle fermate degli autobus. Tali

incoerenze dimostrano come chi progetta la città perde

di vista i bisogni quotidiani dei cittadini.

Allo stesso tempo sono emersi anche i conflitti sociali

che si creano naturalmente quando bisogni e culture

differenti, che normalmente coesistono nello stesso

luogo, si scontrano perché lo spazio disponibile si

riduce. Nel Rione Monti “non ci sono molti spazi per la

gente comune che vuole leggere il giornale o giocare”.1

In piazza Madonna dei Monti (la piazzetta) gli anziani

allontanano i bambini ed i ragazzi più grandi che

giocano a calcio poco distanti da loro, in quanto, pur

riconoscendo il diritto al gioco, manifestano il timore di

venire raggiunti dalle pallonate.

Allo stesso modo, bambini e ragazzi sono infastiditi

dagli anziani, detrattori del loro diritto di tirare quattro

calci ad un pallone, pur riconoscendo l’importanza della

loro presenza, “gli anziani sono la nostra miniera

d’oro”, dice un piccolo monticiano. I tavolini degli

esercizi commerciali che offrono accoglienza

confortevole agli avventori dei locali, di fatto derubano

i residenti di spazio utile e necessario allo svolgimento

della loro vita quotidiana: “nella piazzetta i gestori dei

locali dicono di andarcene perché, ad esempio, se

giochiamo a palla, la palla può finire tra i tavolini e

dare fastidio ai clienti” ma “non c’è spazio per noi

bambini per giocare”. L’unico luogo dove i bambini si

1 Le frasi in corsivo sono le opinioni espresse dai bambini durante la

realizzazione dei processi partecipativi.

Preparazione delle strisce pedonali. Foto di Alessia Cerqua.

Page 28: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

sentono legittimati a stare è il cortile della chiesa

Madonna dei Monti da loro rinominato “spazio della

Madonna”. Questo cortile nonostante sia “piccolo e

circondato da alte mura” è stato considerato uno spazio

minimo di gioco e le sue dimensioni sono state

utilizzate come riferimento per individuare nel rione

altri possibili spazi minimi di gioco da riprogettare.

I piccoli “smontatori” si sono resi conto di una profonda

disuguaglianza nell’uso dello spazio pubblico: la

maggior parte di esso è di dominio degli adulti, di

attività a loro dedicate o delle loro automobili. Questo

atteggiamento da parte dell’Amministrazione Pubblica,

che considera gli interessi dei commercianti e in

generale degli adulti, superiori a quelli dei bambini, è

una violazione al diritto al gioco sancito nella

Convenzione dell’ONU sui diritti del fanciullo (legge

176 /1991).

Nel processo di analisi i bambini hanno intercettato

conflitti già presenti tra gli abitanti del rione Monti

come quello legato all’occupazione del suolo pubblico,

la questione del traffico e della sicurezza stradale, il

conflitto tra vecchi e nuovi abitanti del rione (che

appartengono a classi sociali diverse) e quello

intergenerazionale. Hanno denunciato la mancanza di

spazi accessibili che garantiscono il diritto pubblico

all’incontro e al gioco “perché la città non deve essere

solo degli adulti, la città è di tutti”.

Fase RImonti

Nella fase RImonti sono stati individuati dei luoghi e

dei percorsi da riprogettare sulla base delle potenzialità

del rione emerse durante la fase di analisi. La domanda

di spazio pubblico da parte dei bambini non si concentra

su un luogo unico, ma su una rete di luoghi a statuto

differente, che inizia dallo spazio sotto la propria casa e

si estende a tutta la città. I bambini hanno progettato

una rete di percorsi pedonali protetti, con zone di sosta e

riposo diffuse, recuperando gli spazi minimi di gioco

individuati e ricreando le condizioni per muoversi in

autonomia

La proposta avanzata dai bambini del Forum è stata

quella di iniziare la riprogettazione del rione da via

Frangipane che è la strada che ogni mattina percorrono

per andare a scuola e può diventare un luogo di sosta e

di gioco capace di accogliere grandi e piccoli.

La riqualificazione della strada rappresenterebbe un

primo passo importante per avviare il processo di

miglioramento della qualità di vita dell’intero rione.

I bambini hanno organizzato una giornata di

presentazione del lavoro, durante la quale hanno

consegnato all’Assessore alle Politiche Educative e

Scolastiche del Municipio Roma I il loro progetto.

Le parole di un bambino:

“L’opinione mia è che questi posti sono un po’ brutti e

vanno modificati. Cominciando da via Frangipane che

devono proprio pulire non si può tenere questo posto

così. Per esempio noi stiamo cercando di modificare e

spero che il nostro progetto riuscirà, andrà bene”

Le parole dell’Assessore:

“Faremo un sopralluogo su via Frangipane con la

commissione lavori pubblici e con i tecnici. In modo

che loro possano vedere il vostro progetto, disegnarlo

insieme, fare un preventivo. E così vediamo di farvi

realizzare via Frangipane per il momento”.

Le frasi dell’Assessore sembrano dimostrare che

l’amministrazione pubblica ha “l’orecchio acerbo” di

cui parla Gianni Rodari, ascolta i loro desideri e

garantisce il diritto al gioco, alla sicurezza, alla

partecipazione e all’autonomia.

Analisi del territorio

Page 29: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

Un anno dopo…

Via Frangipane non è stata riqualificata2.

La mancata risposta dell’amministrazione pubblica ai

bambini e alle bambine rispetto alle loro richieste,

nonostante gli impegni presi, ha alimentato un

sentimento di sfiducia nei confronti dei politici e ha

rafforzato l’idea della marginalità dei bambini

nell’attuale quadro politico cittadino, oltre ad

aumentare la distanza tra i cittadini e le istituzioni.

Per questo, un anno dopo, è stato realizzato un

documento video che raccoglie le impressioni dei

bambini riguardo all’esperienza del forum e torna a

chiedere ai politici l’assunzione delle proprie

responsabilità rispetto alle promesse non mantenute.

Il video è stato presentato pubblicamente nel mercato

di via Baccina il 5 giugno 2008.

I commenti dei bambini:

“Partecipare al forum è stato utile perché all’inizio

credevo che potessimo fare qualche cosa … risolvere

dei problemi … ma è stato anche inutile perché alla

fine le cose che abbiamo fatto sono andate nel nulla.”

“La cosa che non mi è piaciuta del forum è che non

abbiamo proprio risolto il problema di via Frangipane,

uno spazio in cui potevamo almeno provare a giocare,

dove avevamo un po’ di spazio, potevano levare

almeno le cacche … Invece è rimasto come prima …

non per colpa però del forum dei bambini, ma dei

politici!”

Appello ai politici:

“Io vorrei che i politici facessero quello che hanno

detto e non solo per farsi votare”.

“Io chiedo ai nuovi amministratori per favore

mantenete le promesse che non sono state mantenute

dalle persone che vi hanno preceduto, e cercate di

migliorare la città per favore”.

2 Il 13 e 14 aprile 2008 ci sono state le elezioni Amministrative

comunali.

“L’appello è il solito … di cercare di cambiare, perché

tutti in campagna elettorale dicono la solita cosa:

“cambieremo Roma”, però tutti sono capaci di

promettere la luna e darti la monnezza. Quindi a noi ci

andrebbe bene trovare un rione più pulito e molto più

socievole per noi ragazzi senza avere troppi

problemi”..

Nel 2009 la provincia di Roma, giunta Zingaretti, ha

realizzato un parco giochi per bambini su colle Oppio,

all’interno di un progetto più ampio di riqualificazione

degli spazi verdi della città di Roma e provincia.

Con questo intervento l’amministrazione municipale,

che aveva seguito da vicino i lavori del forum Smonti e

RImonti, ha ritenuto soddisfatta la richiesta di spazi di

gioco nel rione, “dimenticando” che i bambini avevano

escluso Colle Oppio come spazio possibile di gioco,

perché troppo lontano, troppo grande e impossibile da

raggiungere in autonomia.

Oggi, i bambini che avevano partecipato al progetto

sono cresciuti aspettando che venisse data continuità e

concretezza al loro lavoro.

Da adolescenti hanno preso coscienza del fatto che

l’orecchio acerbo, che l’amministrazione municipale

sembrava possedere, era un’illusione.

LAURA MORETTI E VIVIANA PETRUCCI

ASSOCIAZIONE CANTIERICOMUNI

I bambini riprogettano via Frangipane

Page 30: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione
Page 31: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

Bambini e spazio pubblico

Le trasformazioni dell’ambiente urbano nella modernità sembrano avere messo in atto un processo sistematico di espulsione dei bambini dallo spazio pubblico che oltre ad essere sotto gli occhi di tutti è stato ampiamente analizzato dalla più attenta letteratura sull'infanzia. Spesso questo processo è avvenuto silenziosamente e in nome di esigenze di controllo e protezione dei bambini stessi, passate attraverso le pratiche educative e la creazione nell'ambito della pianificazione urbana di luoghi per il tempo libero “dedicati” all’infanzia, con effetti di ulteriore segregazione in spazi (e tempi) predeterminati anche oltre il tempo scolastico, già allungatosi considerevolmente. Un esempio di questi spazi è il playground, il parco-giochi, luogo simbolo dell'infanzia moderna ed esito di questa segregazione/protezione. Ora forse siamo in una fase ancora diversa, quella dell'infanzia post-moderna, nella quale gli spazi dei bambini si sono ancora ridotti nella città reale e dilatati nello spazio virtuale o ramificati in spazi chiusi e controllati che ormai si estendono anche all'extra scuola. Ma gli spazi dai quali i bambini sono stati espulsi sono anche gli spazi naturali, soprattutto quelli del “selvatico” in città, spesso i più interessanti perchè offrono maggiori possibilità di accessibilità, gioco immaginativo, trasformativo e di avventura.

La natura per molti bambini rimane fruita negli spazi eterotopici delle riserve naturali, i recinti sacri della natura più o meno incontaminata, o nelle esperienze di “educazione ambientale” guidate dagli operatori specializzati, senza alcuna percezione dell'esistenza di un sistema ambientale che sottende l'ambiente costruito dove si svolge la vita quotidiana. La presenza di bambini liberi di vagabondare per le strade o nelle aree di risulta e abbandonate senza il controllo degli adulti sembra destinata a restare relegata nei ricordi d’infanzia degli adulti di questa ultima generazione. Negli anni 70 Colin Ward è stato uno dei primi ad evidenziare questa tendenza e ad avvertire i rischi di trasformare l’infanzia in una condizione di cattività nella quale il bambino è ridotto a consumatore di merci e servizi a lui dedicati. La consapevolezza di queste trasformazioni ha in questi

ultimi anni dato origine a esperienze innovative ma anche paradossali come i campi gioco d’avventura nei quali si cerca di restituire all’infanzia ciò che le è stato tolto, riproducendo artificialmente le condizioni di un’esperienza che prima avveniva spontaneamente oppure i progetti di percorsi sicuri casa-scuola. Questi ultimi talvolta sono basati su una riconquista dell'autonomia subordinata alla creazione di condizioni di protezione ancora una volta risultanti nella segregazione dei bambini in spazi protetti e controllati (che Giancarlo Paba chiama le bambinovie) per non intralciare il traffico delle automobili, piuttosto che in una riequilibratura dei rapprti di forza nello spazio pubblico che si sia volta in favore dei bambini.

In questi anni infatti la strada ha continuato ad essere il luogo dello scorrimento del traffico automobilistico e non della compresenza democratica di più soggetti, le piazze e gli altri spazi pubblici della città sono sottoposti a un regime di controllo sempre più pervasivo che arriva a coinvolgere il gioco dei bambini come l'arte di strada, l'accattonaggio come il consumo di cibi da asporto nei regolamenti sempre più repressivi della polizia municipale. Insomma pare che il vecchio slogan “Una città che va bene per i bambini è una città che va bene per tutti” debba essere riscritto con la consapevolezza della forte conflittualità sociale che hanno creato le richieste dei bambini (come di altri soggetti devianti dall'ordine costituito della pianificazione) di potere occupare lo spazio pubblico con le modalità a loro proprie. Si è rafforzato in Europa negli anni 90 un settore di studi che, in nome di una visione dell’infanzia non come condizione biologica ma come costruzione sociale che si ridefinisce nello spazio e nel tempo cercano di decostruire l’immagine del bambino come essere in

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divenire bisognoso di protezione e di mostrare come invece i bambini abbiamo competenze, desideri e volizioni proprie, pur se radicalmente diversi dagli adulti, che li rendono tutto sommato irrappresentati e irrappresentabili dalla società. Per questo molti oggi pensano che ai bambini vadano lasciati molti spazi di libertà, di autonomia, che venga loro riconosciuto il diritto ad essere considerati human beings not human becamings, attori possibili della trasformazione del proprio ambiente di vita attraverso la riapertura di spazi di autonomia e di partecipazione alla vita sociale.

Le esperienze di progettazione partecipata che hanno coinvolto i bambini negli ultimi anni tuttavia hanno spesso prodotto molta politica di immagine e poche realizzazioni, in ogni caso mai hanno fatto sitema nè si sono tradotte in cambiamenti delle politiche. Le poche esperienze portate a termine in modo isolato hanno spesso tradito le richieste dei bambini che si sono scontrate con i linguaggi e le regole dei tecnici e con la normazione dello spazio pubblico che plasma gli spazi in nome delle esigenze di sicurezza declinate solo come esigenze di coloro che hanno il carico della gestione degli spazi di non essere implicati nella catena delle responsabilità quando accade ad esempio che un bambino si faccia male. Il tema della possibilità di assumersi un rischio è fondamentale se vogliamo restituire al gioco l'aspetto dell'avventura, dell'esplorazione dei limiti del corpo, e cosa questo significhi in una società di adulti responsabili è un tema ancora irrisolto. Così come è fondamentale il tema del rapporto con gli elementi naturali primari, che viene negato all'interno delle aree di gioco tradizionali: aria, acqua, terra, legno, fuoco sono elementi più stimolanti di costosi scivoli e altalene ma dai quali i bambini vengono tenuti lontani invece di favorirne il contatto, pur essendo a detta di molti esperti strumenti essenziali di crescita e di conoscenza del mondo. Infine c'è il tema delle esigenze manipolative e trasformative che i bambini hanno nei confronti dello spazio. Le aree di gioco così come le aree verdi sono caratterizzate dalla “fissità” degli elementi, dall'orizzontalità, dalla povertà di elementi di “biodiversità”, tutto è determinato dalle esigenze di localizzazione residuale di una funzione secondaria rispetto a quelle di supporto all'attività produttiva e riproduttiva dell'adulto, da quelle di tenere bassi i costi, dalla facilità di manutenzione, dalla

rispondenza alle normative di sicurezza e alle esigenze di controllo degli adulti. Nulla più risponde alle esigenze dei bambini. Come la scuola, i cui orari sono modellati sulle esigenze degli adulti/lavoratori, che siano gli insegnanti che devono accumulare un minimo di ore settimanali per arrivare allo stipendio o i genitori che devono andare a lavorare e avere dei luoghi nei quali lasciare i propri figli, o i ministri che devono fare tornare i conti del debito pubblico. L'attenzione e la cura ossessiva dei bambini nella nostra società paradossalmente hanno sortito effetti oppressivi e repressivi che sono più evidenti proprio nello spazio pubblico. Viceversa altri bambini, in altre condizioni e strati sociali si vivono condizioni opposte di mancanza di cura e attenzione e producono altri tipi di presenze nello spazio pubblico, caratterizzate dal segno della violenza o del vandalismo.

Le esperienze più interessanti svolte in questi anni nei quartieri degradati cercano di lavorare sulla riappropriazione degli spazi e sul senso della cura, nell'ottica di costruire cittadinaza attiva e senso di appartenza a una comunità in grado di riprendere possesso della propria esistenza. In questa direzione vanno le pratiche partecipative orientate alla trasformazione dello spazio attraverso l'autocostruzione che ancora non trovano un statuto all'interno della normazione dello spazio pubblico e si esprimono in forme spesso conflittuali con le istituzioni o contraddittorie con l'esigenza di normalità e di legalità da ripristinare nei contesti fortemente deprivati.Il dialogo tra urbanisti ed educatori in questa fase è fondamentale ed è una delle strade più fertili da percorrere per riportare i bambini nello spazio pubblico ma anche nello spazio della discussione sul concetto di pubblico.

ANNA LISA PECORIELLO (Associazione La città bambina - Firenze)

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Il progetto internazionale “la città dei bambini”

Uno sguardo al passato La società “cosiddetta” moderna ha sviluppato un ampio interesse nei confronti del tema del rapporto tra il bambino e la città. Nel corso degli anni tale interesse si è concretizzato in diversi modi; infatti sono molti i progetti che riguardano il bambino e la città. Esemplificativi a tale proposito: “La città dei bambini”, le “Città sane”, e le “Città educative”. Inoltre, molti Comuni, hanno aderito alla proposta dell’UNICEF (Fondo internazionale di emergenza per l’infanzia delle Nazioni Unite) dei “Sindaci difensori ideali dell’infanzia”, che prevedeva l’impegno da parte del Sindaco a dedicare almeno un Consiglio Comunale l’anno ai bambini, e che hanno istituito i “Consigli Comunali per ragazzi”, in cui è prevista, nelle scuole, l’elezione dei consiglieri, seguendo la modalità delle votazioni degli adulti. Ancora, il bambino è stato protagonista di alcuni progetti di governo, la legge Turco (legge 285/97), si colloca, appunto, a tale livello. Tre sono stati gli aspetti fondamentali di tale legge: innanzi tutto essa presentava un interesse integrato nei confronti dell’infanzia, questo significa che prendeva in considerazione tutti gli aspetti della vita del bambino, dall’assistenza all’educazione, dalla socializzazione al gioco e alla partecipazione alla vita della città. In secondo luogo questa legge non si rivolgeva solo ai bambini disagiati, ma a tutta la popolazione infantile, superando in tal modo l’approccio tradizionalmente assistenzialistico degli interventi che si rivolgono ai bambini. Infine, la legge in questione prevedeva dei cospicui finanziamenti da destinare ai progetti. Sono stati molti, se non tutti, i progetti finalizzati alla promozione dei diritti dell'infanzia, al miglioramento della fruizione dell’ambiente (urbano e naturale) da parte dei bambini e allo sviluppo del loro benessere e della loro qualità della vita a beneficiare di tale finanziamenti ed è stata anche questa la forza di tale legge.

E uno sguardo al presente Nonostante siano passati alcuni anni, molti progetti che hanno avuto la finalità di promuovere la partecipazione dell’infanzia alla vita della città hanno continuato a beneficiare dei finanziamenti erogati da tale legge. Questo, se da una parte è stato un vantaggio, dall’altra ha rappresentato un limite, soprattutto per la continuità dei progetti, nel momento in cui tali finanziamenti non sono stati più disponibili. I finanziamenti hanno rappresentato senza dubbio un valido incentivo per la realizzazione di progetti di questo tipo, che sarebbero dovuti diventare “un modo di fare” delle amministrazioni pubbliche, ma questo spesso non è accaduto. Altro dato significativo e che la legge 285/97 è stata seguita dalla legge 328 del 2000 “Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", che segna un ritorno al “passato assistenzialistico” nei confronti dei bambini. L’importanza di un progetto politico Partendo da tali considerazioni risulta particolarmente evidente la necessità di promuovere un progetto politico che chieda agli amministratori di cambiare il parametro di riferimento nel governo della città e di passare dall'adulto maschio lavoratore ai bambini. Non è un proposta educativa ma politica, per una nuova filosofia di governo della città. È una proposta affidata al sindaco e alla collegialità degli amministratori: una proposta trasversale che coinvolge tutti i settori dell'amministrazione. Sono ancora questi, dopo vent’anni, gli obiettivi del progetto “La città dei bambini” che considera ancora fortemente valido il principio che una città adatta per i bambini è una città adatta per tutti. Non solo ma ritiene che in questa situazione di grave crisi siano solo i bambini a poterci salvare. Le nostre città stanno vivendo una delle più grandi crisi economiche, sociali, morali e ambientali di tutti i tempi. La crisi è economica e tutti se ne sono accorti. È allarme mondiale. La crisi è ambientale: il mondo rischia di non arrivare ad ospitare i bambini quando saranno grandi. La crisi è sociale e morale: per la prima volta le condizioni del bambini sono peggiori di quelle dei loro genitori e dei loro nonni. La nostra è probabilmente la prima generazione che non si sta facendo carico del benessere delle generazioni future. Abbiamo ricevuto molto dai nostri nonni e padri, stiamo sprecando e distruggendo disinteressandoci dei nostri figli e nipoti.

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Le città sono diventate invivibili e sono percepite come pericolose, hanno perso il tradizionale ruolo di scambio e di socializzazione per offrire servizi e spazi urbani specializzati. La città ha perso il suo ruolo per il gioco dei bambini, che sono degli indicatori ambientali sensibili e se scompaiono significa che il nostro ambiente soffre ed è malsano. I bambini sono “profeti” perché ci sanno ricordare le cose semplici, necessarie, prioritarie. I bambini, fin da piccoli, sono capaci non soltanto di esprimere i propri bisogni, ma anche di interpretare quelli degli altri, di TUTTI gli altri, e quindi sono possono contribuire al cambiamento delle loro città: “Bisogna ascoltare i bambini perché i bambini sono molto più intelligenti degli adulti, mi vien da dire. Volevo dire che se gli adulti non ascoltano i bambini vanno in guai seri”(frase detta da un bambino di 5 anni di Correggio, provincia di Reggio Emilia). La scelta del Sindaco

Di fronte alla crisi ci si affida a chi può decidere se e come cambiare la città; ci si affida al Sindaco. Il Progetto si muove su due linee principali: promuovere la partecipazione dei bambini al governo della città, restituire ai bambini l’autonomia di movimento nella città che hanno perduto. Propone la partecipazione diretta dei bambini attraverso il “Consiglio dei bambini” (non una imitazione degli organismi adulti, ma un gruppo di bambini di 9 e 10 anni che, animati da un adulto, danno consigli al sindaco) e la “Progettazione partecipata” (un gruppo di bambini che lavora con tecnici adulti per la progettazione di spazi e ambienti urbani).

Propone ai bambini dai 6 anni in su, con l’esperienza “A scuola ci andiamo da soli”, di andare a scuola senza l'accompagnamento degli adulti, come primo passo per il recupero della loro autonomia.

Chiede agli adulti, a partire dagli amministratori delle città, un cambiamento di ottica e di priorità: recupero dei cortili condominiali, una politica a favore dei pedoni e dei ciclisti, restituzione delle strade e delle piazze all'uso pubblico dei cittadini delle varie generazioni, aumento delle autonomie dei cittadini a partire dai più deboli e più piccoli, ricerca della sicurezza urbana non attraverso misure di difesa ma di partecipazione e di “occupazione” degli spazi da parte dei cittadini. Esperienze Nelle città aderenti al Progetto “La città dei bambini” che hanno realizzato esperienze di partecipazione ed autonomia si sono avuti risultati significativi sul piano dell’aumento della sicurezza in concomitanza con la maggiore presenza di bambini nella strade. A Buenos Aires, nei quartieri in cui è stata realizzata l’esperienza dei percorsi “presidiati”, detti “Corredores Escolares”, la microcriminalità è diminuita del 50%; a Pesaro si è verificato un incremento costante dei bambini che vanno a scuola a piedi da soli: dal 12% nel 2001 al 60% nel 2010, con effetti positivi collaterali per la città e per i cittadini quali la riduzione del traffico automobilistico e dell’inquinamento atmosferico; il miglioramento della salute fisica e psicologica dei bambini e l’aumento di sicurezza nella città. Per il progetto “A scuola ci andiamo da soli” il Comune di Pesaro ha ricevuto nel 2010 il prestigioso riconoscimento di Legambiente per “Ecosistema Bambino”. Per quanto riguarda la riappropriazione dello spazio urbano risulta di particolare interesse l’esperienza “Il Giorno del Gioco”, proposta dal Consiglio dei bambini di Roma e approvata dal Sindaco Veltroni e dalla Giunta comunale nel novembre 2004: “Dobbiamo ascoltare i grandi, ma dobbiamo fargli capire che per noi giocare è un nostro diritto” (dal lavoro di gruppo del Consiglio dei bambini di Roma,10 maggio 2007). Prima sperimentato in Argentina a Rosario, col nome di “Día Anual del Juego y la Convivencia”, il Giorno del Gioco si è diffuso in altre città della rete; partendo dall’esigenza di riequilibrare il tempo dedicato al gioco con quello di scuola, i bambini hanno chiesto un giorno per giocare: che sia infrasettimanale, che le scuole siano aperte per giocare e che ogni Municipio o quartiere chiuda al traffico una piazza o una strada per il gioco. Il punto di vista dei bambini e le loro idee possono veramente cambiare il modo di progettare le città: basta saperli ascoltare.

Daniela Renzi, Antonella Prisco Laboratorio di Partecipazione Infantile, Istc-CNR, Roma

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BAMBINE E BAMBINI, SPAZIO PUBBLICO E PARTECIPAZIONE Quartiere Montespaccato - ROMA L’area d’interesse, zona Fogaccia, è individuata dal Contratto di Quartiere – località Montespaccato. La conoscenza del quartiere vista dagli occhi di bambine e bambini che lo vivono o frequentano si ritrovano in un quartiere disagiato, dovuto a una mancanza di servizi primari, essendo un quartiere ex abusivo permette con difficoltà di intervenire, quindi l’obiettivo è di analizzare il quartiere evidenziando gli aspetti negativi e positivi attraverso l’individuazione degli spazi pubblici che lo caratterizzano. Lo studio del quartiere è stato approfondito sull’asse principale delle relazioni, Via Cornelia e Via Bondi, seguendo un iter per l’approfondimento conoscitivo del quartiere attraverso un sopralluogo nell’area di studio e con l’applicazione di diverse tecniche, quali: questionari, disegni, fotografie, mappa emotivo-affettiva; che hanno facilitato l’individuazione dei diversi spazi pubblici all’aperto e al chiuso, dando un proprio giudizio su ognuno di essi. In seguito alle criticità emerse nel quartiere, tra i quali la scarsa presenza di marciapiedi e parcheggi pubblici oltre ai luoghi di relazione all’aperto, i protagonisti del laboratorio hanno espresso le proprie idee su come vorrebbero il quartiere Montespaccato con l’obiettivo di essere realizzate. IMMAGINI DEL CONTESTO ATTUALE L’analisi dell’area d’interesse, Via Cornelia – Via Bondi, è stata svolta attraverso i processi di pianificazione partecipata, basata sostanzialmente per la rimozione di ostacoli o risolvere problemi, o ancora a valorizzare le risorse esistenti nel quartiere. Esse sono: l’Analisi dei problemi, mediante la costruzione di un quadro articolato e ragionato dei problemi esistenti (problem tree – albero dei problemi); l’Analisi SWOT, che all’analisi dei problemi esistenti (debolezze e minacce) si aggiunge la considerazione delle risorse esistenti nel territorio ed esterne a esso (punti di forza e opportunità).

Fig.1: Criticità – mancanza di marciapiede

Fig.2: Pregio – presenza di marciapiede Pertanto sono stati eseguiti dei sondaggi attraverso i questionari e la realizzazione di disegni facendo prevalere determinati aspetti che sono evidenziati da un numero maggiore dei protagonisti.

Fig.3: Sondaggio – criticità dell’area di studio

Fig.4: Sondaggio – punti di forza dell’area di studio

GLI SPAZI PUBBLICI CHE CAUSANO EMOZIONI Oltre alle analisi e ai sondaggi è stata individuata una mappa emotivo-affettiva attraverso un lavoro di gruppo con l’obiettivo di individuare i sentimenti di ogni bambino, che ha partecipato al laboratorio, e di costruire un vocabolario per cogliere i nessi tra pensieri, sentimenti e reazioni. Ogni bambina/o ha espresso le proprie emozioni individuandole sulla mappa del quartiere e correlando una tabella sulla quale si individuano con testo il tipo di emozione, il luogo, il perché di tale emozione e quanti bambini hanno provato la stessa emozione. Le emozioni che hanno prevalso in questa situazione sono state la gioia di giocare nel giardino pubblico e la paura della velocità delle macchine su Via Cornelia, sulla quale prevale la presenza di servizi pubblici per i bambini.

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Fig.5: Individuazione dell’emozione sulla mappa del quartiere BAMBINI: COME VORREBBERO IL QUARTIERE Il quartiere non si sviluppa a caso ma secondo degli elementi di forza, i quali sono: la possibilità economica, la necessità di servizi e trasporti pubblici, ma la conclusione più importante è di sviluppare il quartiere secondo necessità di cultura, d’igiene e di spazio verde per tutti e specialmente per i bambini. In seguito alle analisi svolte sono stati individuati da ogni classe, che ha partecipato al laboratorio, un progetto diverso, come: riqualificazione della piazza centrale come luogo di cultura all’aperto; realizzazione di marciapiedi e parcheggi per rispettare gli spazi dei pedoni; sistemazione del cortile scolastico con dei separatori mobili eco-compatibili per riservare anche ai bambini un’area pedonale. Il laboratorio è stato terminato con la realizzazione di plastici per rendere percepibile i progetti previsti.

Fig.6: Realizzazione del plastico “il nuovo giardino pubblico”

CONCLUSIONI Gli interventi di riqualificazione previsti dall’Amministrazione Pubblica della località Montespaccato corrispondono positivamente agli obiettivi previsti dai protagonisti (bambine e bambini del 61° Circolo Didattico “Carlo Evangelisti” e dei Plessi “Carlo Evangelisti”, “E. Bondi” e “Buonarroti”), nella progettazione partecipata. Attualmente sono in

corso i lavori di miglioramento del quartiere che i bambini attendevano da tempo. BIBLIOGRAFIA P.Ekman e A. Friesen, “Giù la maschera – Come riconoscere le espressioni del viso”, Giunti Edizione, 2007.

LINDA RUSSO Coordinatore del laboratorio e Pianificatore J.

61° CIRCOLO DIDATTICO “C. EVANGELISTI”

Quartiere Montespaccato

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1

SALERNO SCUOLE VERDI

Fondazione Napoli Novantanove o.n.l.u.s. e

Amministrazione Municipale di Salerno

In un recente dibattito pubblico sul tema dell’utilità

dell’opera d’arte, Salvatore Settis diceva: dovremmo

farci raccontare dal patrimonio storico e artistico di

cosa ha bisogno. L’osservazione, solo apparentemente

paradossale, si riferiva alla sempre maggiore distanza

tra il paese e la sua storia, ai provvedimenti che giorno

dopo giorno mortificano il patrimonio intero di una

comunità del tutto indifferente.

Per la progressiva e diffusa perdita di sensibilità e di

interesse, la voce di opere, i gemiti di paesaggi, le urla

orgogliose di borghi e di città, hanno bisogno di

interpreti nuovi, di critici attenti, di commentatori

dalle impressioni ed emozioni incondizionate: i

bambini.

La Fondazione Napoli Novantanove o.n.l.u.s. in circa

venti anni di applicazione e diffusione del programma

didattico La scuola adotta un monumento®, progetto

divenuto pilota europeo, ha legato indissolubilmente ai

beni culturali le voci di decine di migliaia di bambini

ed adolescenti che, interpretando correttamente il

proprio ruolo nella comunità di appartenenza,

raccontano – come forse direbbe Settis – anno dopo

anno con grande entusiasmo la storia di quel

frammento di un più grande e unico patrimonio e,

talvolta, di cosa esso ha bisogno. Negli anni, La scuola

adotta un monumento®, ha dato vita a una rete di 250

comuni.

I monumenti e i centri, però, non riescono più ad

esercitare il ruolo di volto della città che, come dice

Massimo Cacciari, non è possibile abitare se non si

dispone per l’abitare, e cioè non dona i luoghi. Alla

dimensione di degrado urbano e sociale provocato

dall’assenza di spazi per le relazioni, di luoghi di

centralità e per il tempo libero, risponde la Costituzione

della Repubblica Italiana che all’art.9 equipara la tutela

– e la cura – del paesaggio, di cui fanno parte le

componenti urbane e suburbane, a tutto il patrimonio

culturale della Nazione intera. Lo straordinario

principio di uguaglianza alla base dell’art. 9 della

Costituzione è il punto di partenza del confronto tra

bambini e adolescenti e i luoghi della città all’interno

del programma di progettazione partecipata Scuole

Verdi.

Promosso con gli Assessorati alla Pubblica Istruzione e

all’Urbanistica dell’Amministrazione Municipale di

Salerno, che hanno risposto positivamente alla richiesta

di sperimentare la prima applicazione nel territorio

municipale, il programma di riqualificazione

partecipata degli spazi aperti delle scuole ha tra gli

obiettivi prioritari l’incontro tra la sostenibilità

ambientale e le politiche nei confronti dell’infanzia e

dell’adolescenza. La metodologia individuata è una

forma consapevole di gestione del sistema ecologico

cittadino, nel quale i bambini e gli adolescenti sono

indicatori della qualità urbana e gli spazi a loro dedicati

parametri per uno sviluppo sostenibile. Il fine ultimo è

una forma strutturata di partecipazione democratica alla

pianificazione urbana, nella quale sono accolti e

registrati i contributi delle fasce più deboli, destinatari

futuri di un patrimonio la cui cura sembra possibile

solo se determinata da un’ampia politica di

sensibilizzazione e partecipazione.

Avviato nel settembre 2010, il progetto prevede, per

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2

circa 2 anni, il coinvolgimento di 60 alunni

provenienti da due istituti comprensivi della periferia di

Salerno in un percorso formativo e partecipato dalle

finalità molteplici. Oltre alla progettazione e alla

realizzazione condivisa degli spazi aperti delle proprie

scuole, il programma sollecita nei “piccoli progettisti”

l’attenzione e la cura degli spazi della propria città, il

valore dei luoghi di relazione soprattutto in aree

periferiche e degradate, in un avvicinamento

consapevole alla condivisione delle scelte

democratiche.

Contributo conclusivo all’intera comunità cittadina

della prima applicazione del progetto sarà la redazione

di Linee guida per la progettazione partecipata degli

spazi aperti delle scuole della città di Salerno,

strumento attivo per il governo di micro-trasformazioni

urbane concertate, nel quale saranno raccolti dati e

pratiche condivise, protocolli e soluzioni da adottare e

da utilizzare. Le linee guida, realizzate aperte,

serviranno non solo da spunto a programmi analoghi,

ma si offriranno a future integrazioni e correzioni

progressive, in uno spirito di reale scambio e

partecipazione tra cittadinanza attiva e

amministrazione.

Il primo anno ha visto una risposta entusiasta dei

piccoli progettisti. Curiosi e motivati, i bambini e le

bambine hanno appreso interessati principi ecologici e

di sviluppo urbano sostenibile, strumenti attuali per la

lettura e la rappresentazione dei fenomeni urbani

attraverso i quali hanno proposto richieste e soluzioni

alle situazioni di degrado e di disagio presenti nei -

quartieri indagati. I laboratori sono stati il luogo

Page 39: Bambine e bambini, spazio pubblico e partecipazione

3

gioioso nel quale sono emersi sentimenti latenti e

talvolta trattenuti come il senso di appartenenza e di

integrazione ad un contesto locale, culturale e storico.

Tutto ciò ha determinato la formazione di gruppi di

progetto dalla capacità decisionale democratica,

affiatati e solidali, capaci e sereni nell’affrontare le

difficoltà offerte dalle aree da riqualificare.

Alla prima fase testimoniata da schizzi, didascalie e

piccole relazioni, foto e videoclip, svolti in gruppi

sempre più numerosi, nei quali richieste e conseguenti

soluzioni sono state chiaramente espresse e descritte,

seguirà una mostra/convegno sul percorso progettuale.

I progetti diverranno esecutivi e saranno realizzati.

I piccoli progettisti visiteranno il cantiere,

controlleranno le lavorazioni e assisteranno

consapevoli alla nascita di nuovi luoghi della propria

città.

Mauro Smith e Sila Barracco

Fondazione Napoli Novantanove o.n.l.u.s.

Smith Barracco architetti

Coordinatori del programma