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(testo per esclusivo uso interno: la relazione rispecchia la forma colloquiale e
ovviamente priva di note dell'intervento tenuto da Sr. Lisa Cremaschi, Comunità di
Bose, il giorno 5 novembre.)
Diocesi di Fidenza
Scuola diocesana di formazione
5 novembre 2018
BASILIO DI CESAREA
L. Cremaschi
Introduzione
“Come la Parola vuole che siano i cristiani: quali discepoli del Cristo, modellati solo su ciò
che vedono in lui o che da lui odono”1. Così scrive Basilio nella sezione conclusiva delle Regole
morali, un’ampia raccolta di testi biblici sapientemente accostati e congiunti da brevi e densissime
parole di commento. Queste parole mi sembrano sintetizzare e sigillare il cammino di Basilio,
discepolo del Signore, che nella sua instancabile e fecondissima attività di fondatore della vita
monastica in Cappadocia e di pastore colmo di sollecitudine per tutte le chiese, non cercò altro che
l’obbedienza alla parola del Signore “lottando secondo le regole” (2Tm 2,5).
Nel 355 Basilio, che all’epoca aveva circa venticinque anni, si reca ad Atene a perfezionare i
suoi studi, ma qui una crisi esistenziale e spirituale lo induce a tornare in patria dove riceve il
battesimo; poco dopo, parte per un pellegrinaggio nei luoghi monastici dell’Egitto, della Palestina,
della Siria e della Cappadocia. Rientrato, si stabilisce ad Annisoi, nel Ponto, dove dà vita a una
comunità di lavoro, preghiera, studio biblico ispirata agli insegnamenti di Eustazio, vescovo di
Sebaste. Eustazio rimproverava alla chiesa del suo tempo d’aver ceduto allo spirito di
mondanizzazione e predicava il ritorno a un’obbedienza fedele all’evangelo. La sua sete di
radicalità evangelica e il suo amore appassionato per il Signore gli avevano guadagnato molti
discepoli; la sua figura carismatica attrasse a sé, tra i tanti, anche la famiglia di Basilio. Basilio
1 Basilio di Cesarea, Regole morali 80,1 (Cito le Regole morali da: Basilio di Cesarea, Opere ascetiche, a cura di U.
Neri e M. B. Artioli, Torino 1980).
2
stesso fu affascinato dal suo desiderio di radicalità evangelica, ma la sua adesione al movimento
eustaziano non fu acritica. Uomo di raro equilibrio e dotato di profondo senso ecclesiale, se da un
lato fece proprio il radicalismo di Eustazio e il suo profondo desiderio di una chiesa più fedele alle
istanze evangeliche, si tenne lontano d’altra parte dal suo rigorismo ascetico e dal suo spirito
settario. Fu un grande riformatore della chiesa del suo tempo: riformatore del movimento
“monastico eustaziano”, fedele alla tradizione teologica ma pronto a riesprimerla preparando il
Concilio di Costantinopoli del 381; riformatore in campo liturgico; uomo di comunione, lavoratore
instancabile di unità e comunione con le Chiese d’oriente e con le Chiese d’occidente. La sua vita si
snoda tra il 330 circa e il 379; nemmeno cinquant’anni. Due anni più tardi, il secondo Concilio
ecumenico a Costantinopoli raccolse la sua eredità.
“Riformare” la Chiesa: tornare alla “forma” della Parola di Dio
Nel 360, Basilio si ritira ad Annisoi, tra i boschi del Ponto, e qui compone La lettera sulla
concordia, un testo severo, in cui rimprovera con estremo vigore la chiesa del suo tempo. Testo
sconcertante, rigoroso questo breve scritto di Basilio. Eppure volutamente severo, volutamente
provocatorio. Non vuole esporre una dottrina, non ha intenti didattici, intende piuttosto provocare,
destare dal sonno una chiesa sonnolenta, che come vergine stolta si è addormentata e non ha
provveduto all’olio per la sua lampada (cf. Mt 25,1-13).
Il titolo dato da Basilio a questo testo - Lettera sulla concordia2 - è stato sostituito dalla
tradizione successiva che l’ha voluto chiamare Il giudizio di Dio o ancora Prologo sul giudizio di
Dio. Ogni incontro è giudizio. La relazione con l’altro implica sempre un giudizio, un
discernimento attraverso il quale si approva o si rifiuta ciò che l’altro propone. Anche Dio, entrando
in relazione con gli uomini, discerne ciò che è secondo il suo disegno di amore e ciò che non lo è; il
suo amore opera in noi un giudizio tra ciò che è in vista della vita e della comunione con lui e ciò
che genera odio, divisione, morte. Già oggi in ogni nostro incontro con il Signore nell’ascolto della
Parola e dell’Eucaristia veniamo giudicati. Dichiara la lettera agli ebrei: “La Parola di Dio è viva,
efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio; essa penetra fino al punto di divisione
dell’anima e dello spirito, delle giunture e delle midolla e scruta i sentimenti e i pensieri del cuore.
Non v’è creatura che possa nascondersi davanti a lui, ma tutto è nudo e scoperto agli occhi suoi e a
2 Cito questo testo da: Basilio di Cesarea, Lettera sulla concordia, a cura di L. Cremaschi, Testi dei padri della Chiesa
92, Magnano 2008.
3
lui noi dobbiamo rendere conto” (Eb 4,12-13). Tuttavia, oggi, nella nostra storia, non vediamo il
compiersi di questo giudizio. C’è ancora del tempo, ci è dato ancora del tempo prima dell’incontro
ultimo con il Signore, tempo per la conversione, tempo per il ritorno. Tacere sul tema di giudizio,
come avviene talora nella Chiesa, significa tacere sull’esigenza della conversione, o se, preferiamo,
dell’incessante riforma che ci viene richiesta a livello personale e a livello ecclesiale. Lo scritto di
Basilio si traduce in un accorato, pressante appello alla sua Chiesa perché non si lasci travolgere
dalla mondanità e perseveri fedelmente nell’attesa del ritorno del Signore.
In quali circostanze fu redatto questo testo? Nel passo autobiografico che apre questa Lettera
sulla concordia, Basilio ricorda la formazione cristiana ricevuta in famiglia, i viaggi compiuti in
giovinezza, che furono occasione di riflessione e di maturazione umana, e infine fa cenno a un
momento di crisi, di turbamento dinanzi alla constatazione della divisione che regnava nella Chiesa
di Dio. Dice: “Vedevo che quelli che la presiedevano si trovavano in tale diversità di giudizio e di
opinione, si opponevano a tal punto ai comandamenti del Signore Gesù Cristo, laceravano senza
misericordia la Chiesa di Dio, turbavano senza pietà il suo gregge ... In un primo tempo mi trovavo
in una profonda tenebra e, come fossi su una bilancia, oscillavo ora da una parte ora dall’altra,
poiché uno mi traeva a sé per la sua lunga esperienza degli uomini, e poi di nuovo ero spinto in
senso contrario a motivo della verità che avevo riconosciuto nelle divine Scritture. Soffrii a lungo
per tale situazione e, come ho detto, ne ricercavo la causa”3.
Vi è forse qui un riferimento a un episodio che segnò profondamente il giovane Basilio. Nel
360 questi partecipò, al seguito del vescovo di Cesarea, Dianio, al concilio di Costantinopoli, sul
quale siamo purtroppo poco informati; tale concilio si concluse con la sottoscrizione di una formula
semiariana4 da parte dei vescovi, che si piegarono alla volontà dell’imperatore. Basilio, turbato da
questo evento, rientrò nel Ponto, nella solitudine di Annisoi, e qui si dedicò a un’assidua
meditazione delle Scritture che lo portò alla composizione delle Regole morali. Il termine hóros (=
regola) verrà attribuito da Basilio a quest’unica raccolta; le altre, le Regole diffuse e le Regole brevi,
saranno così chiamate dalla tradizione, ma dal loro autore vengono definite semplicemente come
Domande – Risposte. Hóros del credente è soltanto la Scrittura e le Regole morali sono costituite da
circa millecinquecento versetti del Nuovo Testamento raggruppati per temi e introdotti da sentenze
3 Basilio di Cesarea, Lettera sulla concordia 1-2.
4 Ario (256-336), presbitero della chiesa di Alessandria, considerava il Padre, il Figlio e lo Spirito come subordinati
l’uno all’altro. In particolare, vedeva nel Figlio di Dio una creatura, per quanto superiore alle altre, generata dal Padre,
dissimile da lui quanto a sostanza. Il concilio di Nicea del 325 respinse le formulazioni ariane e affermò la
consustanzialità del Padre e del Figlio. Lungo tutto il IV secolo le controversie suscitate dai sostenitori della dottrina
ariana si mescolarono a contrasti d’ordine politico originando persecuzioni nei confronti dei cristiani rimasti fedeli a
Nicea.
4
lapidarie. A una Chiesa in cui ciascun credente rivendica “pensieri e regole proprie”5 viene
ricordato il primato assoluto della Scrittura, regola di vita donata dal Signore. La divisione che
lacera dolorosamente la Chiesa - si pensi alla controversia ariana, ma non soltanto a quella! - nasce
dal non ascolto della parola del Signore.
Basilio fu uomo di grande comunione; cercò la comunione con il suo vescovo, nonostante i
dissensi e i contrasti che segnarono il loro rapporto; cercò la comunione con le Chiese dell’Asia
minore, cercò la comunione con le Chiese di Occidente. La concordia, il “buon ordine”, per usare
un’altra espressione a lui cara, nascono dall’obbedienza alla volontà di Dio; l’unanimità tra i
cristiani nasce dall’avere nell’anima l’unica Parola, non dalla conformità a quelle che Basilio
chiama “tradizioni umane”, che altro non sono se non usanze, abitudini mondane.
Basilio ripensa con nostalgia alla Chiesa di Gerusalemme e il ricordo della comunità
primitiva da cui è in certo senso “ossessionato” diventa appello alla Chiesa tutta chiamata a
realizzare “quello che è detto negli Atti: La moltitudine dei credenti era un cuore e un’anima sola
(At 4,32). Nessuno, cioè, imponeva la propria volontà, ma tutti insieme, nell’unico Spirito santo,
cercavano la volontà dell’unico Signore Gesù, che ha detto: Sono disceso dal cielo non per fare la
mia volontà, ma la volontà di colui che mi ha mandato (Gv 6,38) ... Per queste ragioni e altre che
taccio, è nata in me la chiara e inconfutabile convinzione che la concordia è necessaria per tutta la
Chiesa di Dio secondo la volontà di Cristo nello Spirito santo e che è pericoloso e mortifero
disobbedire a Dio dividendoci gli uni dagli altri”6.
Occorre ritornare all’obbedienza alla Parola, lasciare che la vita intera sia plasmata dalla
volontà di Dio, senza esenzioni, senza compromessi. “Ci ha tratto in inganno abitudine; dunque,
causa di grandi mali è diventata per noi la perversa tradizione degli uomini, che ci fa evitare certi
peccati mentre ne ammette altri con indifferenza, e contro alcuni finge di indignarsi violentemente,
quali ad esempio l’omicidio, l’adulterio e peccati simili a questi; gli altri non li giudica degni
neppure del più piccolo rimprovero”7. Basilio non reagisce qui contro la penitenza canonica - egli
stesso redasse lettere canoniche – ma contro la mentalità che essa può generare nei cristiani. Che
cosa sia male, che cosa sia peccato ce lo dice la Scrittura; scrive Basilio nelle Regole morali: “Se
tutto ciò che non è dalla fede è peccato (Rm 14,23), come dice l’Apostolo, ma la fede è dall’udito e
5 Basilio di Cesarea, Lettera sulla concordia 2.
6 Basilio di Cesarea, Lettera sulla concordia 4.
7 Ibid. 7.
5
l’udito poi mediante la parola di Dio (Rm 10,17): allora tutto ciò che è al di fuori della Scrittura
ispirata, non essendo dalla fede è peccato”8.
Peccato è camminare al di fuori della via di Dio, in qualunque modo questo avvenga. La
preoccupazione di stabilire gradi diversi di peccato, di elencare colpe lievi e colpe gravi induce
sovente a trovare un’autogiustificazione per la propria disobbedienza al Signore, a trincerarsi dietro
una pericolosa pretesa di giustizia. La stessa ignoranza è colpevole e non può essere invocata a
giustificazione dei nostri peccati.
Nella chiusura della Lettera, Basilio ricorda il monito di Gesù: “Il cielo e la terra
passeranno, ma le mie parole non passeranno” (Mt 24,35)9. La parola del Signore resterà per
sempre, e anche della nostra vita, delle nostre parole e del nostro agire resterà ciò che è stato
generato dalla Parola.
Questo Basilio ha voluto proporre alla sua Chiesa di cui nel corso di pochi anni sarà
chiamato a essere pastore. Ma la nostra Chiesa è forse così diversa da quella di Basilio?
Il primo grave rimprovero che Basilio rivolge alla sua Chiesa è quello di ignorare la
Scrittura. Una Chiesa che non conosce la parola di Dio, che non vive di essa, né ad essa vuole
sottomettersi seguirà inevitabilmente quelle che egli chiama le “tradizioni umane” o le convenienze
umane. Basilio rispetta la Tradizione della Chiesa ma critica il cedimento all’abitudine che
trasforma in “sacre tradizioni” consuetudini umane nate in un tempo e in un contesto precisi e
dunque passibili di mutamento. Forse dovremmo interrogarci sullo spazio che diamo alla Parola di
Dio e su che cosa intendiamo per tradizione.
Basilio “monaco”
Per ragioni di comodità impiego il termine “monaco”; le virgolette sono doverose perché, in
realtà, questo termine Basilio non lo usa mai.
Sovente nei detti dei padri del deserto egiziano troviamo sulla bocca del discepolo che si
reca in visita dall’anziano queste parole: “Sono venuto per la preghiera, abba”. Se dovessimo
trasportare questa richiesta del discepolo in Cappadocia, in una comunità basiliana, dovremmo
8 Id., Regole morali 80,22.
9 Id., Lettera sulla concordia 8.
6
riformularla in questi termini: “Sono venuto per la carità, padre”. E questo non perché Basilio non
sia un uomo di preghiera, o perché nelle sue comunità si dia scarso peso alla preghiera, ma perché i
cristiani a cui si rivolge nutrono forti simpatie per il movimento spirituale di Eustazio di Sebaste e si
lasciano trascinare dal suo radicalismo poco equilibrato, carente di senso ecclesiale, certamente più
disponibile alla preghiera che alla carità concreta, effettiva nei confronti dei fratelli. Basilio, se da
un lato fa suoi l’intensa sete di radicalismo evangelico e il profondo desiderio di una chiesa più
fedele alle istanze evangeliche propri di Eustazio, rifugge sempre, però, da ogni forma di settarismo,
dalla tentazione della fuga da una chiesa per molti aspetti infedele all’evangelo. Uomo di pace e di
comunione, sa mostrare comprensione per gli eustaziani che vivevano ai margini della comunità
ecclesiale e rivolge ogni sua fatica a ricondurli nell’alveo della chiesa pur senza frenare il loro
entusiasmo evangelico. Lo stesso Asceticon (= “regole” per le sue comunità) basiliano va letto e
compreso in un rapporto di continuo dialogo e confronto con la cerchia eustaziana di cui Basilio
divenne guida quando il loro maestro carismatico fu esiliato in Dardania dal sinodo di
Costantinopoli del 360.
Al cuore delle preoccupazioni di Basilio vi è dunque la koinonía, la comunione con il
Signore vissuta nella frequentazione delle Scritture, nella preghiera, nella partecipazione
all’eucarestia che si deve tradurre in comunione reale, effettiva con i fratelli e le sorelle.
Nel 355 Basilio lascia improvvisamente Atene, interrompendo gli studi di retorica, e fa
ritorno in patria richiamato dall’attrazione irresistibile esercitata da Eustazio, che già aveva
influenzato la madre, il fratello Naucrazio e la sorella Macrina, ritiratisi a vivere in una proprietà
familiare ad Annisoi sulle rive dell’Iris. Gregorio di Nissa attribuisce il brusco mutamento di
Basilio all’influenza di Macrina, la quale, “resasi conto che era oltremodo orgoglioso a motivo della
coscienza delle sue capacità oratorie ... attirò rapidamente anche lui all’ideale della vita
monastica”10
.
Ma le origini del progetto di vita comune sono anteriori; le troviamo già ad Atene, in quel
sodalizio con Gregorio di Nazianzo che, tra alterne vicissitudini, durerà tutta la vita. Così scrive
Gregorio dopo la morte dell’amico ricordando gli anni di giovinezza: “Con il passare del tempo ci
confessammo vicendevolmente il nostro profondo desiderio, che ambedue cercavamo la vita
monastica (philosophía). Da quel momento fummo tutto l’uno per l’altro, condividendo lo stesso
10
Vita di Macrina 6.
7
tetto, la stessa tavola, i medesimi sentimenti, gli occhi rivolti a un unico scopo, sentendo crescere
ogni giorno in calore e forza il nostro affetto reciproco”11
.
Troviamo già in queste poche righe gli orientamenti di fondo della successiva vita comune.
Mi pare che a quell’essere “tutto l’uno per l’altro” corrispondano, nella più matura esperienza
dell’Asceticon, le parole della Regola breve 146 che definiscono il cristiano che vive in comunità
come uno che “nell’amore di Cristo ha consegnato se stesso e tutte le sue membra agli altri perché
ne facciano uso”12
. E la Regola diffusa 7 ci parla dell’abitare sotto uno stesso tetto, avendo come
unico scopo la gloria di Dio, mentre la Regola breve 242 afferma:
“L’affetto esprime l’intensità dell’amore, nel desiderio e in un vivo sentimento d’amore di
chi ama verso l’amato. Perché l’amore fraterno non sia superficiale, ma profondo e ardente, è stato
detto: Amatevi gli uni gli altri con affetto fraterno (Rm 12,10)”13
.
Basilio, rientrato da Atene, parte per il Ponto deciso a concretizzare quel progetto di vita
cristiana che con il passare degli anni ha acquistato un volto più preciso. Con alcuni compagni si
stabilisce in un luogo solitario difficile da raggiungersi, ai piedi di un alto monte coperto da una fitta
foresta. Un bosco rigoglioso cingeva la distesa pianeggiante irrorata dalle acque che discendevano
dalla montagna. Per accedervi vi era un’unica via, poiché il luogo era attorniato da burroni ai lati, da
un fiume che scorreva a cascate, dai monti che costituivano una naturale protezione, quasi
abbracciando le povere costruzioni della comunità e proteggendole da visitatori indiscreti.
Aggiunge Basilio: “Abbiamo qualcosa di più importante da dire di questo luogo, e cioè che, adatto
per la sua felice posizione a produrre ogni sorta di frutti, fa maturare il frutto che più mi è gradito: la
quiete”14
.
Agli occhi trasognati di Basilio tutto è incantevole e trasfigurato dalla gioia di chi ha
abbandonato tutto per seguire il suo Signore. Non altrettanto incantevole apparve Annisoi agli occhi
di Gregorio che, dopo una breve visita, confidò all’amico le sue impressioni “sulla sua tana nel
Ponto”, su “quella corona di monti scoscesi che più che incoronarvi vi imprigiona, quell’aria
misurata, quel sole che tanto sospirate e che vedete come attraverso un camino”15
. Le lettere
successive procedono sullo stesso tono rievocando la misera casa dai muri fatiscenti, il cibo povero,
11
Gregorio di Nazianzo, Discorso 43,19. 12
Basilio di Cesarea, Le regole, a cura di L. Cremaschi, Bose 1993, p. 320.
13 Id. Regola breve 242.
14 Id., Lettera 14,2.
15 Gregorio di Nazianzo, Lettera 4,3-4, in Id., A un amico, a cura di L.Cremaschi, Testi dei padri della Chiesa 62,
Magnano 2003.
8
il faticoso lavoro nell’orto ... Eppure, nonostante l’asprezza del luogo e le dure condizioni di vita,
Gregorio conserva nel cuore un’intensa nostalgia dei giorni trascorsi ad Annisoi. Scrive a Basilio:
“Tutto quello che abbiamo scritto finora riguardo al nostro soggiorno nel Ponto era uno
scherzo, niente di serio, ma quello che scrivo adesso è quanto mai serio. Chi potrà ridarmi i giorni
passati, nei quali con te era dolce patire? La pena sopportata volentieri è più preziosa che il piacere
gustato controvoglia. Chi mi restituirà quelle preghiere dei salmi e le veglie e quell’andare a Dio
nella preghiera e quella vita in certo modo fuori dalla materia e dal corpo? E quella fusione
(symphyían) e unità d’animo (sympsychían) tra i fratelli che grazie a te si divinizzano e si elevano?
E quell’emulazione e quella gara nella virtù che noi avevamo assicurata mediante regole e leggi
scritte? E quello zelo per le parole divine e quella luce che scoprivamo nella guida dello Spirito? O,
per parlare di cose più piccole e più quotidiane, chi mi darà quei lavori quotidiani: la legna da
trasportare e le pietre da tagliare, le piante da curare e da innaffiare”16
.
É una descrizione idilliaca, che ben corrisponde al sorgere di una vita comune, segnato da
una forte carica emotiva, dal fervore, da una straripante carità che fa superare fatiche e difficoltà.
“Con te era dolce patire”, scrive Gregorio. Le “regole e leggi scritte” (hórois graptoîs kaì kanósin)
cui si fa cenno nella lettera di Gregorio vengono identificate da Jean Gribomont con le Regole
morali17
, l’unica raccolta cui Basilio stesso attribuisce la definizione di hóros (regola), una
collezione di circa millecinquecento versetti ordinati per temi il cui nucleo primitivo fu composto in
quest’epoca. Non vi è il tempo di fermarsi a commentare questo testo. Vorrei citare soltanto la
Regola morale 80,22:
“Che cos’è proprio del cristiano? La fede operante mediante l’amore (Gal 5,6). ... Che cos’è
proprio del credente? Il conformarsi con tale piena certezza al significato delle parole della
Scrittura, e non osare togliere o aggiungere alcunché. ... Che cos’è proprio del cristiano? Amarsi gli
uni gli altri come anche il Cristo ha amato noi (cf. Ef 5,2). Che cosa è proprio del cristiano? Vedere
sempre il Signore davanti a sé (cf. Sal 15,8). Che cosa è proprio del cristiano? Vigilare ogni giorno
16
Id., Lettera 6. 17
Cf. J. Gribomont, Histoire du texte des Ascétiques de saint Basile, Louvain 1953 (Bibliothèque du Muséon 32), pp.
257-258. Non tutti concordano con tale datazione delle Regole morali; vi è chi propone di situarle verso la fine della
vita di Basilio (cf. ad es. L. Lèbe, ‘Saint Basile et ses Règles Morales’, in Revue Bénédictine 75 [1965], p. 196) o nei
primi anni dell’episcopato (cf. P. J. Fedwick, ‘A Chronology of the Life and Works of Basil of Caesarea’, in Basil of
Caesarea: Christian, Humanist, Ascetic. A Sixteen-Hundredth Anniversary Symposium, I-II, a cura di P. J. Fedwick,
Toronto 1981, p. 14) trovando difficile attribuire a Basilio non ancora presbitero una serie di esortazioni rivolte non solo
ai semplici cristiani, ma anche ai predicatori della fede e alle autorità della chiesa.
9
e ogni ora (cf. Mt 25,13) ed essere pronto nel compiere perfettamente ciò che è gradito a Dio (cf.
Mc 13,34), sapendo che all’ora che non pensiamo il Signore viene (cf. Lc 12,40)”18
.
Emerge qui la preoccupazione di fondare tutta la vita sull’evangelo, norma di vita, criterio di
giudizio, fonte di comunione. L’evangelo e la vita sono i due momenti strutturanti la comunione
comunitaria. La vita interroga l’evangelo e l’evangelo fonda la vita.
Se la prima comunità basiliana sorge tra le montagne del Ponto, in un luogo isolato, forse in
una ritraduzione, in un adattamento all’ambiente, del deserto egiziano, le successive comunità sono
disposte in prossimità di villaggi, di grosse borgate o addirittura alla periferia della città, come
quella di Cesarea, che verrà in seguito denominata Basiliade. Le comunità, spesso doppie - maschile
e femminile -, crebbero rapidamente. Modello concreto della comunità basiliana è la chiesa
primitiva di Gerusalemme. Il ricordo e la nostalgia della comunità cristiana primitiva, da cui Basilio
è in certo modo “ossessionato”, diventa progetto concreto e proposta di riforma per la chiesa tutta.
La realtà comunitaria nasce da un instancabile confronto con le fonti. Lavoro, preghiera comune,
servizio dei poveri nella sottomissione fraterna e nella carità scandivano la giornata del fratello e
della sorella basiliani. Diverse le attività praticate, da quella del falegname, del fabbro, del
muratore, a quella del contadino (cf. Regola diffusa 38). La vicinanza ai luoghi abitati favoriva
l’esercizio dell’ospitalità che in taluni casi, ad esempio nella Basiliade, si strutturava con caratteri
peculiari e si apriva all’accoglienza di orfani e malati.
Ordinato presbitero, dopo breve tempo, di fronte a malintesi sorti con il vescovo di Cesarea,
egli ritorna ad Annisoi e da qui, sostituendo Eustazio condannato all’esilio, guida le comunità
cristiane che a lui si ispiravano. Se la prima comunità basiliana sorge tra le montagne del Ponto, in
un luogo isolato, forse in una ri-traduzione, in un adattamento all’ambiente, del deserto egiziano, le
successive comunità sono disposte in prossimità di villaggi, di grosse borgate o addirittura alla
periferia della città come quella di Cesarea, che verrà in seguito denominata Basiliade. Le comunità,
spesso doppie - maschile e femminile - crebbero rapidamente.
Basilio riconosce l’esistenza di diverse vocazioni, ma ribadisce che le singole vocazioni non
sono che modi particolari per realizzare lo scopo della vita cristiana che è unico per tutti e che è
quello di “piacere a Dio”. Tutti, senza distinzione, dobbiamo vivere radicalmente il battesimo. Non
troviamo mai negli scritti di Basilio alcun termine tecnico per caratterizzare la vita della comunità,
non si parla mai di “monaco”, bensì semplicemente di “fratello”; non si ricorre mai al termine
“monastero”, ma a quello evangelico di adelphótes, “fraternità, comunità”. ma a quello di
18
Basilio di Cesarea, Regola morale 80,22.
10
adelphótes, che mi sembra corretto tradurre con “comunità”. Adelphótes, termine neotestamentario
(cf. 1Pt 2,17; 5,9), nel corso del tempo è soggetto a usura fino a subire nel III secolo una forte
limitazione semantica: “fratello” viene a indicare non più il semplice cristiano, ma l’ecclesiastico, il
presbitero. Basilio rivitalizza il termine, lo rifonda biblicamente, lo applica ai cristiani impegnati a
vivere la radicalità evangelica in unità di intenti nella vita comune.
Basilio non ha mai avuto intenzione di comporre una regola; hóros, regola, è per lui soltanto
la Scrittura e, per estensione, le Regole morali, cui già si è accennato. Le altre regole, chiamate così
da alcuni copisti del VI secolo, sono in realtà una raccolta di “Domande e Risposte”, conformi a un
genere assai diffuso nell’antichità.
Per Basilio la comunità è un corpo, in cui le diverse membra, i diversi carismi sono posti a
servizio l’uno dell’altro, compaginati, ordinati in modo da formare un tutto armonico. Per sette
volte Basilio cita il testo di 1Cor 14,40: Tutto avvenga con decoro e con ordine; a più riprese parla
di eutaxía19
, il buon ordine che va custodito in comunità, che non è semplicemente l’obbedienza a
una disciplina, ma è sempre legato all’immagine paolina del corpo e delle membra: “Bisogna sapere
che per ciascun membro del corpo non è di certo esente da pericoli trascurare quanto è richiesto dai
suoi doveri oppure non servirsi di un altro membro rispettando i doni che quello ha ricevuto da Dio
che lo ha creato”20
.
Un altro testo sovente citato è quello di 1Cor 7,24: Ognuno rimanga là dov’era quando è
stato chiamato. Viene applicato a un fratello interpellato da un ospite senza essere stato incaricato
del ministero dell’accoglienza (Regola breve 91 e 100), a chi non svolge il lavoro che gli è stato
richiesto ma fa qualcos’altro di propria iniziativa (Regola breve 125), a chi è assente all’ora del
pasto per obbedienza a un incarico assegnatogli (Regola breve 136 e 147), a chi disturba gli altri
nelle ore di lavoro (Regola breve 141).
Che cosa significhi vivere in comunità, l’Asceticon lo esprime quasi per inciso, mentre sta
trattando un problema spicciolo e concreto, il caso di un fratello che nega uno strumento di lavoro al
priore. Afferma la Regola breve 146: “Chi nell’amore di Cristo ha consegnato se stesso e tutte le
sue membra agli altri perché ne facciano uso, come può rifiutare un attrezzo al priore, dal momento
che a lui compete anche la cura degli attrezzi?”21
.
19
Va osservata nel rimproverare il priore (Regola diffusa 27), nella distribuzione del necessario in comunità (Regola
breve 156), nel parlare (Regola breve 173), nel pregare (Regola breve 238), nell'obbedire (Regola breve 303), nel
guidare la preghiera (Regola breve 307).
20 Regola diffusa 24.
21 Regola breve 146.
11
La traduzione di Rufino (Domanda 106) - in alterius potestatem propter mandatum Domini
(in potere di un altro a motivo del comandamento del Signore) - modifica il senso dell’espressione
di Basilio e sembra già un adattamento alla mentalità abbaziale dell’occidente monastico. L’intento
di Basilio è un altro: il fratello che ha consegnato, ha donato interamente se stesso ai suoi fratelli,
alla sua comunità, non può disporre di sé di propria iniziativa, a proprio piacimento. Troviamo un
testo parallelo nella Lettera 22,1: “Non bisogna che alcuno sia padrone di se stesso, ma in ogni cosa
deve sentire e deve agire come consegnato da Dio al servizio dei fratelli, che sono con lui un’anima
sola, mantenendo ciascuno il proprio posto”22
.
Le Regole diffuse si aprono con tre Domande-Risposte interamente dedicate al duplice
comandamento dell’amore di Dio e del prossimo, che costituiscono una sorta di introduzione;
inoltre, quindici sono espressamente dedicate a questo tema e molte altre trattano le conseguenze
pratiche di una vita vissuta nella carità. Se nella Regola diffusa 2 Basilio ha affermato che l’amore
per Dio non lo si può insegnare, perché è deposto in germe dentro di noi e va dunque
semplicemente risvegliato alla scuola dei comandamenti, nella Regola diffusa successiva ricorda
che il Signore ci ha dato in anticipo anche i semi dell’amore per il prossimo. C’è un’azione
preveniente di Dio che, prima ancora di una nostra risposta, ci ha dato le forze necessarie per
mettere in pratica la sua parola. La carità è un seme che va coltivato; come c’è qualcosa da
disimparare quando si comincia a vivere l’evangelo: le abitudini passate23
, così c’è qualcosa da
imparare: una carità sempre più profonda, radicata nell’animo24
, che giunge fino all’amore per il
nemico25
. L’essere umano è fatto per la koinonía, per la comunione e non per l’isolamento26
.
Quali sono i caratteri distintivi dell’amore fraterno? É un amore che esige stabilità di
pensieri, di volontà, di sentimenti (l’ameteóriston), poiché “non possiamo osservare nessun altro
comandamento e neppure l’amore stesso per Dio o per il prossimo se vaghiamo qua e là con la
nostra mente da un’occupazione all’altra. Non è possibile imparare a perfezione un’arte o una
scienza se si passa costantemente dall’una all’altra”27
.
A chi gli chiede: “Con quale disposizione d’animo dobbiamo servire i fratelli?” Basilio
risponde: “Come se prestassimo servizio al Signore stesso, che ha detto: Tutto quello che avete fatto
a uno di questi più piccoli dei miei fratelli, l’avete fatto a me (Mt 25,40)”28
.
22
Basilio di Cesarea, Lettera 22,1,51-54. 23
Regola diffusa 13. 24
Regola breve 242. 25
Regola breve 176. 26
Regola diffusa 3,1. 27
Regola diffusa 5,1. 28
Regola breve 160.
12
E se, come ha insegnato il Signore, l’amore consiste nel dare la vita per gli amici, “quanto
più dobbiamo mostrarci premurosi nelle singole cose”29
. Ma non c’è possibilità di vivere l’amore
per il fratello se non si è abitati dal desiderio di “assomigliare al Signore”30
; l’amore non è legge
esteriore, non consiste in una serie di gesti imposti dall’esterno, ma è una disposizione interiore31
,
intima, profonda, e suoi caratteri propri sono quelli di “rattristarsi e preoccuparsi per ciò che fa male
a colui che amiamo e rallegrarsi e lottare per il suo bene”32
. Chi offende la vita comune parlando
male di un altro, va separato dalla comunità33
; e chi mormora, dando prova di mancare di fede e di
speranza, si rende estraneo alla comunità34
. Tale comportamento è ritenuto talmente pericoloso e
malvagio che anche il lavoro di chi ha mormorato non va unito a quello degli altri perché non è
frutto di fede e di amore, non può trovare posto nell’armonia comunitaria. Nella Regola breve 186
Basilio, spiegando quali devono essere i caratteri propri dell’amore fraterno, cita 1Ts 2,7-8: “Come
una madre ha cura delle proprie creature, così, desiderandovi ardentemente, vogliamo trasmettervi
non solo l’evangelo, ma la nostra stessa vita, perché ci siete diventati cari”.
La carità può essere vissuta da tutti, senza esclusioni. In ogni situazione, anche nella
malattia, nella debolezza, nella vecchiaia, si può mostrare quel germe d’amore deposto in ciascuno
di noi. Tale disposizione d’animo, dice Basilio, gli anziani la mostreranno “sul volto e in ogni
atteggiamento” e “manifesteranno inoltre i caratteri propri dell’amore enumerati dall’Apostolo” in
1Cor 13. Basilio nei suoi scritti ama parlare “di forma e di impronta lasciate impresse sull’anima
dalle cose viste e udite”35
o di “impronta e forma dell’insegnamento del Signore”36
; nella Regola
morale 80,1 definisce i cristiani “discepoli di Cristo che ricevono forma da ciò che in lui vedono o
da lui ascoltano”37
. Mi pare che qui ci dica che il discepolo del Signore che ha veramente vissuto
nell’amore alla fine della sua vita porta impresso sul suo volto, sul suo corpo la forma e l’impronta
di una vita vissuta nella carità.
Jean Gribomont scriveva che Basilio “insegna una via senza regola né abate”38
. L’unica
regola, lo si è detto, è la Scrittura, e quanto all’autorità non esiste nelle comunità di Cappadocia un
29
Regola breve 162. 30
Regola breve 163. 31
Cf. Regola breve 176. 32
Regola breve 175. 33
Cf. Regola breve 26. 34
Cf. Regola breve 39. 35
Regola diffusa 6. 36
Id., Il Battesimo I,2. 37
Regola morale 80,1.
38 J. Gribomont, ‘Les commentaires d'Adalbert de Vogüé et la grande tradition monastique’, in Commentaria in S.
Regulam I, a cura di J. Gribomont, Roma 1982, p. 128.
13
abba sul genere di quello che ritroviamo nel monachesimo egiziano. Il termine proestós è riferito da
Basilio sia a quelli che presiedono la chiesa, i vescovi, sia alla guida o alle guide della comunità. E
il priore non ha altra funzione che quella di discernere, nella concretezza della realtà, le esigenze
dell’evangelo. É l’occhio della comunità39
. Il suo discernimento proviene da un’assidua
meditazione delle Scritture40
, che più di ogni altro deve studiare e amare. Deve amare i fratelli come
medico e servo di tutti41
, con mitezza e umiltà42
, con affetto materno, temendo di dire qualcosa che
non sia secondo le Scritture43
. A tutti provvede dando a ciascuno secondo il suo bisogno (At 4,35).
“Non è possibile stabilire un’identica regola per tutti ... ma vi sia quale unico fine comune a tutti la
soddisfazione dei bisogni”44
.
Il passo di Atti è citato otto volte nelle Regole diffuse e nelle Regole brevi; esso diventa
norma essenziale a cui deve attenersi il priore o chiunque abbia l’incarico di distribuire qualcosa ai
fratelli, perché si realizzi una vera vita fraterna sul modello di quella della primitiva comunità di
Gerusalemme.
L’obbedienza che il proestós chiede è sottomissione alla parola di Dio e ai fratelli. Afferma
la Regola breve 1: “In ogni modo è necessario sottomettersi, o a Dio in conformità al suo
comandamento, o agli altri a motivo del suo comandamento.
E bisogna sottomettersi a tutti, senza distinzioni: “La diversità delle persone che danno
ordini non deve per nulla pregiudicare l’obbedienza di chi li riceve”45
.
In un solo caso non si deve obbedire: quando viene chiesto qualcosa che va contro
l’evangelo. E si deve obbedire “considerandosi ultimi di tutti e servi di tutti”46
, con la disposizione
d’animo con cui il bambino affamato obbedisce alla madre che lo chiama a mangiare47
. E a chi
domanda quale sia la misura dell’obbedienza, Basilio risponde categoricamente: “La morte”48
. La
morte è il limite ultimo dell’amore, della sottomissione fraterna, dell’obbedienza reciproca. Questa
sottomissione esige la lotta contro la volontà propria, “cicatrice e lebbra che deturpa il precetto”49
.
39
Cf. Regola diffusa 24; 35,1. 40
Cf. Regola breve 235. 41
Cf. Regola diffusa 30. 42
Cf. Regola diffusa 43. 43
Cf. Regola breve 98. 44
Regola diffusa 19,1.
45 Regola breve 114.
46 Regola breve 115.
47 Regola breve 166.
48 Regola breve 317.
49 Il battesimo I,2.
14
La vita cristiana è una vita di obbedienza alla sequela del Signore disceso dal cielo non per fare la
propria volontà, ma la volontà del Padre che l’ha inviato50
. In una vita comunitaria il ruolo
dell’ascesi è ridotto, o meglio muta. L’ascesi principale è la rinuncia a se stesso per sottomettersi
all’altro; “la temperanza - scrive Basilio - non consiste nell’astenersi dai cibi materiali ... ma nella
completa astensione dalla propria volontà”51
, poiché questa rende estranei alla vita cristiana52
. Chi
non accetta di sottomettersi e rivendica a sé le propria volontà non ha motivi per restare in
comunità; “resistere e contraddire è indice di molti mali: fede malata, speranza vacillante, carattere
orgoglioso e superbia”53
.
La vita solitaria conosce il pericolo di cedere al compiacimento di sé, credendosi giunti a
perfezione. Chi vive solo “in che cosa darà prova di umiltà, se non ha nessuno di cui mostrarsi più
umile? In che cosa darà prova di misericordia, se è separato dalla comunione con gli altri? E come
potrà esercitarsi nella pazienza, se non c’è nessuno che si oppone alle sue volontà? ... A chi laverai i
piedi? Di chi ti prenderai cura? Di chi ti farai ultimo, tu che vivi solo con te stesso? Come si potrà
realizzare, nella vita solitaria, la bellezza e la gioia dell’abitare insieme tra fratelli, gioia che lo
Spirito santo paragona al profumo che emana dalla testa del sommo sacerdote (cf. Sal 132,1-2)?”54
.
Sostituire all’unico scopo della vita cristiana, quello di piacere a Dio, il desiderio di piacere
a se stessi o agli uomini (l’anthroparéskeia)55
costituisce una grave minaccia per la vita cristiana.
L’orientamento del cammino spirituale allora non è più il “noi” comunitario, ma l’io, la
concentrazione di ogni preoccupazione su se stessi, fino a ripiegarsi su di sé e a considerarsi misura
delle cose, della realtà, degli altri. É questa per Basilio la tentazione massima di chi vive in
solitudine, è un male che come ci ricorda nella Lettera sulla concordia può cogliere la chiesa tutta e
lacerarla dolorosamente. E allora l’opzione comunitaria di Basilio si fa radicale, categorica e non
dimentica di ricordare e ammonire che anche in una comunità ci sono tanti modi, tante vie per
sottrarsi alla sottomissione reciproca ed estraniarsi dai fratelli.
Proprio perché non siamo ancora nel regno, ma conosciamo le ferite del peccato, l’armonia,
la bellezza della vita comune esigono la misericordia vicendevole, una misericordia che non si
svilisce a compromesso con il male, con quella che Basilio chiama indifferenza (adiaphoría), la
50
Cf. Gv 6,38 citato sei volte nelle Regole diffuse e nelle Regole brevi.
51 Regola breve 128.
52 Cf. Regola breve 74.
53 Regola diffusa 28,2.
54 Regola diffusa 7,4.
55 Cf. Regola breve 117; 118; 138; 298. Piacere agli uomini: Regola diffusa 5,3; 20,1; Regola breve 33; 34; 52; 282;
298; 299.
15
mancanza di sensibilità nei confronti di Dio e dei fratelli. Misericordia per il fratello è custodia,
amorevole vigilanza, correzione fraterna.
“É senza misericordia chi tace e non muove rimproveri, così come è senza misericordia chi
lascia il veleno dentro a chi è stato morso da un animale velenoso e non chi lo toglie”56
.
E quando uno “pretende di vendicare la disobbedienza al comandamento del Signore”
sappia che “non c’è affatto bisogno di collera, ma di misericordia e di compassione”57
. La Regola
breve 184 aggiunge alla compassione un affetto simile a quello della madre per i suoi figli (cf. 1Ts
2,7-8). La sottomissione all’altro giunge fino a “sopportare con mitezza chi si comporta come un
bambino”58
. La correzione è frutto di un amore ordinato59
, cioè che discende da Dio, e va adempiuta
con “la stessa disposizione d’animo di un padre e di un medico che cura sapientemente il proprio
figlio con compassione e misericordia, soprattutto quando provoca sofferenza e il genere di cura è
doloroso”60
.
Anche il priore dovrà essere corretto se richiede qualcosa che è in contrasto con la
Scrittura61
; ma nel farlo si avrà la cura di custodire il buon ordine, lasciando questo compito ai più
anziani62
. Assistiamo nelle Domande-Risposte a una certa evoluzione: all’interno della comunità si
delinea un gruppo di fratelli anziani, resi sapienti dalla vita e dagli anni, che senza avere un ruolo
istituzionale ben preciso, collaborano più strettamente con il priore.
Basilio teologo e liturgista
Nel 370 Basilio è eletto vescovo di Cesarea. In Cappadocia infuria la persecuzione
dell’imperatore ariano Valente. Basilio resiste con fermezza e coraggio alle sue minacce,
riorganizza la Chiesa di Cappadocia istituendo una serie di nuove diocesi e affidandole alla guida
dei suoi amici fedeli alla fede di Nicea, stringe legami di comunione con le Chiese d’oriente e di
occidente, supplica il vescovo di Roma di inviare una delegazione occidentale a visitare le Chiese
56
Regola breve 4.
57 Regola breve 29.
58 Regola diffusa 43,2.
59 Regola breve 183.
60 Cf. Regola breve 99.
61 Cf. Regola diffusa 47.
62 Cf. Regola diffusa 27.
16
d’oriente. Di fronte al prefetto Modesto che tenta con intimidazioni e minacce di piegarlo alla
confessione di fede ariana adottata dall’imperatore Valente, Basilio reagisce con fermezza e
coraggio. Al prefetto che gli fa notare che molti altri vescovi si sono piegati al volere
dell’imperatore, “della religione del re”, risponde: “Il mio Re non ammette queste cose, né io
accetto di prostrarmi ai piedi di una creatura, dal momento che anche io sono una creatura di Dio,
che ha ricevuto l’invito ad essere Dio”. Di fronte alla fermezza e al coraggio di Basilio il prefetto
disse: “Nessuno fino ad ora si è rivolto a me in questo modo e con una simile libertà di
espressione”. “Tu, forse - risponde Basilio - non hai mai incontrato un vescovo, altrimenti ti
avrebbe di certo parlato allo stesso modo, battendosi in difesa di simili cause. Infatti, prefetto, noi
siamo placidi in altre circostanze, e umili più di chiunque altro, perché i comandamenti prescrivono
che non solo con un’autorità di tale importanza, ma anche con il primo venuto non bisogna alzare il
sopracciglio. Però, quando Dio è messo in discussione e in pericolo, Lui soltanto guarda,
trascurando ogni altra cosa. Fuoco, chiodi, bestie feroci, unghie che lacerano le carni per noi sono
godimento più che spavento. Per questo tu sii pure prepotente e non ci convincerai ad accordarci
con voi nell’empietà, anche se rivolgerai minacce più crudeli”63
.
Nel 372 l’imperatore Valente, nella sua lotta contro i fedeli a Nicea, cambia tattica; non più
la persecuzione violenta, diretta, ma indiretta. Divide la Cappadocia in due province: questa riforma
significava un rapido declino dell’attività economica e dell’importanza politica di Cesarea ed
essendovi una sostanziale coincidenza tra la struttura statale e quella ecclesiastica, Basilio vedeva
ridotta drasticamente la sua autorità sulla Cappadocia. Vescovi che aderivano all’arianesimo,
appoggiati dal potere politico, inaugurarono una guerra spietata a quanti erano rimasti fedeli al
Credo di Nicea. Le inimicizie mai sopite che avevano contrassegnato l’elezione di Basilio a
vescovo trovarono l’occasione per riaccendersi. Per contrastare il crescente numero di vescovi
ariani, Basilio procedette alla fondazione di nuove diocesi; sovente si trattava di piccole borgate, ma
era importante avere la maggioranza di vescovi ortodossi nelle riunioni sinodali. Fu così che
nominò il fratello Gregorio vescovo di Nissa e l’amico Gregorio vescovo di Sasima.
Basilio è il grande difensore della fede del concilio di Nicea (325). Annota con tristezza che
ai suoi giorni: “Si sono disprezzati i dogmi dei padri, vengono annullate le tradizioni apostoliche,
invenzioni di uomini nuovi trovano accoglienza nella Chiesa; ormai gli uomini fanno della
tecnologia, non teologia”64
. Ricorre sovente nei cappadoci la contrapposizione tra la “tecnologia”,
cioè uno sterile dibattito in cui le parole divengono armi contro l’avversario, e la “teologia”, la 63
Gregorio di Nazianzo, Discorsi 43,48.50, in Id., Tutte le orazioni, a cura di C. Moreschini, Milano 2000, pp.
1083.1085. 64
Basilio di Cesarea Lettere 90,2, in Id., Appello alle chiese di occidente, a cura di L. Cremaschi, Magnano 2001, Testi
dei padri della chiesa 50, p. 22.
17
riflessione su Dio in spirito di fede e di preghiera65
. Se Basilio si trova a lottare con gli ariani, sul
fronte opposto viene accusato di essere troppo prudente e di non pronunciarsi chiaramente sulla
divinità dello Spirito santo. L’amico Gregorio in una lettera riferisce le severe critiche mosse a
Basilio e a lui stesso da alcuni monaci. Dicevano: “Questi uomini si possono lodare su tutto il resto,
se vi pare, non mi oppongo; ma non accetto il punto più importante: sull’ortodossia invano si fa
l’elogio di Basilio, invano quello di Gregorio. L’uno con i suoi discorsi tradisce la fede, l’altro è suo
complice perché lo lascia dire … Vengo ora dalla riunione in onore del martire Eupsichio - ed era
vero - e là ho udito il grande Basilio trattare la teologia del Padre e del Figlio in modo meraviglioso,
perfetto, insuperabile, ma quanto allo Spirito evitava di parlarne … Basilio presenta in modo non
chiaro e, per così dire, si limita ad abbozzare il discorso, non proclama con franchezza la verità; più
attento alla politica che alla pietà inonda le nostre orecchie e, con la potenza della sua parola,
maschera la sua doppiezza”66
.
Basilio è stanco, avvilito; tutti lo criticano da fronti opposti.
In una sua lettera Lettera 207 si difende da altre calunnie che circolano sul suo conto:
“Costoro pronunciano pubblicamente contro di noi cose dicibili e indicibili e, in ogni caso, si
rifiutano di incontrarsi con noi. Perché? ... Se sono interrogati sulla causa di questa guerra non
dichiarata e senza tregua, sanno solo citare i salmi e il tenore della melodia - un poco discostato
dalla consuetudine invalsa presso di voi - e altre quisquiglie del genere di cui dovrebbero
vergognarsi”.
Continua dicendo che si vanta di avere fratelli e sorelle la cui abitazione è nei cieli, che non
si preoccupano del cibo e del vestito ma, “senza mai distrarsi”, protesi verso il Signore attendono
giorno e notte alla preghiera. Spiega poi come cantano i salmi a cori alterni. “Durante la notte da noi
il popolo si alza per recarsi nella casa di Dio e con fatiche, tribolazioni e lacrime ininterrotte si
confessa la fede in Dio; alla fine ci si alza dalle preghiere e si passa alla salmodia. Allora, divisi in
due cori, i fedeli cantano i salmi rispondendo gli uni agli altri dando così maggior solidità alla
meditazione delle parole della Scrittura e, contemporaneamente assicurano a se stessi l’attenzione e
la stabilità del cuore. Poi si cambia, si affida a uno solo il compito di iniziare il canto e gli altri gli
rispondono. Così dopo aver trascorso la notte in preghiera con una salmodia molto variata, come
splende il giorno, tutti insieme come con una sola bocca e un solo cuore, fanno salire al Signore il
salmo della confessione (Sal 50 [51]) e ciascuno fa proprie le parole di pentimento … Ma non era
65
Cf. Id., Contro Eunomio 1,9; Sullo Spirito santo 3; Gregorio di Nazianzo, Discorsi 31,18; Gregorio di Nissa, Contro
Eunomio 1,3. 66
Gregorio di Nazianzo, Lettere 58,5.7-8, in Id., Lettres I, a cura di P. Gallay, Paris 1964, pp. 74-75.
18
questa la prassi sotto il grande Gregorio, si dirà. Ma neppure si usavano le litanie, a cui ora voi vi
applicate!”67
.
Basilio manifesta un grande coraggio di fronte al potere politico. È davvero un uomo
evangelico sul quale regna Cristo!
Uomo di comunione
Basilio è un uomo di comunione, nonostante le asprezze di un carattere non facile,
nonostante una forte propensione all’autoritarismo; l’amico Gregorio ebbe modo di conoscere e
sperimentare da vicino questi limiti e le pesanti conseguenze che ebbero sulla sua vita. Ma in
Basilio la volontà di comunione è più forte dei suoi limiti umani; anche laddove rasenta la rottura
con gli amici più cari, egli sa andare oltre i malintesi, le frizioni, le opposizioni di temperamenti
profondamente diversi per cercare sempre ciò che unisce, perché l’amore, l’amicizia, la fraternità, la
comunione trionfino sempre su ogni tentazione di lacerazione, di divisione, di opposizione. “Ti
prego, scaccia dal tuo animo la convinzione di non aver bisogno della comunione con alcun altro.
Non è infatti degno di chi cammina secondo carità né di chi compie il comando del Signore
separarsi dalla comunione con i fratelli”68
. Queste parole indirizzate ad Atarbio vescovo di Neo-
Cesarea nel Ponto, esprimono la convinzione profonda che ha caratterizzato l’intera vita di Basilio.
Consapevole che la sympnóia, il respiro all’unisono è richiesto dall’evangelo, cerca con ogni mezzo
di lavorare per la pace: cerca la pace con il vescovo di Cesarea, Dianio, che per motivi di gelosia
l’aveva costretto a lasciare la città; con Eustazio, l’antico maestro sedotto dall’eresia; con i vescovi
suffraganei della Cappadocia; con le Chiese dell’Asia minore; con le Chiese di occidente ... Al più
piccolo segno di comunione con le Chiese occidentali esprime una gioia e una riconoscenza senza
misura. Ma ci sono anche appelli alla comunione che non ricevono risposta, lettere respinte, lettere
che talvolta destano una reazione, ma infinitamente sproporzionata alla richiesta e al bisogno. La
prima lettera in ordine di tempo tra quelle indirizzate a Chiese d’occidente è la Lettera 70, scritta a
papa Damaso nel 371, ma inviata ad Atanasio, vescovo di Alessandria, perché la facesse proseguire
per Roma. In essa Basilio chiede a papa Damaso che alcuni delegati della Chiesa d’occidente si
rechino a far visita alle Chiese d’oriente, rinnovando un’antica prassi; un tempo, infatti, il vescovo
di Roma, Dionigi (259-268), confortava con le sue lettere i cristiani della Cappadocia. Atanasio,
67
Basilio di Cesarea, Lettere 207,1.2.4, in Id., Lettres II, a cura di Y. Courtonne, Paris 1961, pp. 184-185. 68
Id., Lettere 65, in Id., Lettres I, a cura di Y. Courtonne, Paris 1957, p. 156.
19
buon conoscitore del mondo occidentale in cui aveva vissuto diversi anni, giudicò inopportuna la
lettera e non le fece proseguire il suo cammino, ma qualche tempo più tardi, fece pervenire a Basilio
una copia della lettera Confidimus quidem, emanata da Damaso e dal suo sinodo.
Nel 371 Basilio scrive una lettera a Valeriano, vescovo di Aquileia e dell’Illirico69
,
ringraziandolo per la missiva da lui ricevuta; seguono una lettera ai fratelli vescovi d’occidente70
e
un’altra, firmata da trentadue vescovi, agli italiani e ai galli71
. Le due lettere, nelle quali viene
descritta la penosa condizione in cui si trovano a vivere i cristiani dell’Asia minore e si richiede
l’aiuto e il sostegno dell’occidente sono respinte e rinviate al mittente. Damaso esigeva la semplice
firma della lettera Confidimus. É in seguito a queste vicende che Basilio esterna la sua profonda
amarezza: “Se il Signore ci fa misericordia, di quale altro sostegno abbiamo bisogno? Se poi la
collera di Dio persiste, quale aiuto ci può venire dall’orgoglio degli occidentali? Quelli non
conoscono la verità, né vogliono conoscerla”72
.
Nel 375 Basilio risponde ad Ambrogio che gli ha reso nota la sua elezione a vescovo73
.
Forse allo stesso anno risale la Lettera 243, un pressante appello alle Chiese d’occidente e una
vivissima descrizione dell’infelice stato in cui versano le Chiese orientali, che ottenne quale risposta
da Roma la sinodale Ea gratia, così chiamata dalle prime parole del frammento a noi pervenuto, che
riporta un’esposizione della fede seguita da una serie di severi ammonimenti contro chi si discosta
da essa. E infine la Lettera 263, redatta da Basilio nella primavera del 377 a nome dei vescovi suoi
amici provocò una terza sinodale romana, di cui ci è giunto un frammento nel quale si condanna
l’apollinarismo74
.
Che dire di queste lettere fallimentari? Lettere che non ricevono risposta, lettere respinte,
lettere che talvolta destano una reazione, ma infinitamente sproporzionata alla richiesta e al
bisogno. A giustificazione dell’atteggiamento dell’occidente si può dire che anche a Roma la
situazione ecclesiale era assai confusa. Nel 366 erano stati eletti a Roma due vescovi da parte delle
due opposte fazioni in cui era divisa la chiesa locale: Damaso e Ursino. Damaso entrò con la forza
nella basilica dove era stato consacrato il suo rivale e fece una strage dei suoi sostenitori. Le
violenze e gli eccidi continuarono; tre settimane più tardi i partigiani di Damaso diedero fuoco alla
porta della basilica di santa Maria Maggiore dove erano riuniti i seguaci di Ursino. La folla fu
69
Id., Lettere 91, in Id., Appello alle chiese di occidente, a cura di L. Cremaschi, Magnano 2001, pp. 13-14. 70
Id., Lettere 90, in Id., Appello, pp. 21-23. 71
Id., Lettere 92, in Id., Appello, pp. 15-19. 72
Id., Lettere 239,2 in Saint Basile, Lettres III, a cura di Y. Courtonne, Paris 1966, p. 61. 73
Id., Lettere 197, in Appello, pp. 25-27. 74
Formatosi alla scuola di Antiochia, Apollinare (310-390), nell’intento di salvaguardare la divinità della persona di
Cristo contro gli ariani, affermò che il Verbo si è unito in Gesù Cristo a un’umanità incompleta; Gesù Cristo dunque
non sarebbe veramente uomo.
20
travolta dalle rovine; si contarono più di centosessanta morti. Seguì un nuovo tumulto a
sant’Agnese, sulla Nomentana. Se dunque la situazione delle Chiese d’oriente era tribolata non lo
era di meno quella della Chiesa di Roma. Ma anche a livello teologico la Chiesa d’occidente, che
prestava il fianco all’accusa di sabellianesimo75
, non poteva non destare la diffidenza dell’oriente. A
tutto questo si aggiungevano difficoltà di carattere pratico: le grandi distanze che separavano le
Chiese orientali da quella di Roma, le difficoltà presentate dai viaggi, la frequenza con cui missive
importanti venivano perse, la pratica assai diffusa della falsificazione delle lettere. E come sempre,
in un clima di difficoltà, vi era chi seminava zizzania, chi profittava delle tensioni per trarne un
guadagno personale, chi si serviva della calunnia, della diffamazione, delle insinuazioni per rendersi
gradito ai potenti e per ottenere un profitto personale.
É in questo clima che Basilio cerca la comunione e la pace, senza facili illusioni, aderendo
alla realtà e alla verità. Di risultati non ne vedrà nella vita terrena; sta scritto: “Se il chicco di grano
caduto in terra non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto” (Gv 12,24). Basilio
è un chicco di grano che deve marcire sotto terra, e sotto terra devono marcire anche la sua fatica, il
suo impegno ... Ogni tanto, a tratti nel corso della storia, Dio ha concesso di vedere momenti di
comunione vera tra i cristiani, qua e là nella Chiesa, primizia, anticipazione di quella pace e quella
comunione piena che ci saranno soltanto nel regno quando si compirà la preghiera di Cristo: “La
gloria che tu hai dato a me, io l’ho data a loro, affinché siano come noi una cosa sola. Io in loro e tu
in me, perché siano perfetti nell’unità” (Gv 17,22-23).
Oggi assistiamo con gioia ai gesti di comunione e fraternità tra il patriarca Bartholomeos e
papa Francesco.
“Il patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartholomeos ha voluto essere presente all’inizio
del pontificato di papa Francesco e ha preso la parola in occasione dell’incontro, diventata una
tappa tradizionale nei primi giorni di pontificato, tra il papa e i rappresentanti delle Chiese e delle
religioni presenti a Roma per l’inizio del pontificato. Da questo momento si è sviluppato un
rapporto tra papa Francesco e il patriarca Bartholomeos con il quale entrambi hanno voluto
testimoniare il loro comune impegno per promuovere la comunione tra i cristiani, nella memoria di
quanto era stato fatto dai loro predecessori e nella definizione di cosa appare necessario da cristiani,
insieme nel mondo: si possono leggere così il viaggio in Terra santa nel cinquantesimo anniversario
del pellegrinaggio di Paolo VI e Athenagoras, e quello di poco dopo in Turchia; l’attenzione nei
confronti della custodia del creato, che ha condotto papa Francesco alla pubblicazione dell’enciclica
75
Secondo tale dottrina Dio si manifesta come Padre nell’Antico Testamento, come Figlio nell’incarnazione, come
Spirito scendendo sugli apostoli a Pentecoste; Padre, Figlio e Spirito costituirebbero tre attività di un unico prósopon e
un’unica ipostasi.
21
Laudato si’ e all’istituzione anche da parte cattolica di una Giornata mondiale di preghiera per il
creato, la visita congiunta all’isola di Lesbo, il 16 aprile 2016 … Questo rapporto, così fraterno nei
gesti, nei toni, nelle parole, benché abbia assunto una dimensione e una valenza del tutto
particolare, va letto nell’orizzonte del desiderio di papa Francesco di creare un clima di fraternità tra
cristiani, in particolare con i cristiani orientali, in modo da superare pregiudizi che ancora sembrano
frenare il cammino ecumenico”76
.
Nella Regola diffusa 34 Basilio, che sta parlando dei fratelli incaricati di distribuire il
necessario in comunità, mette in guardia contro le insidie dei demoni nella vita comune: il favorire
alcuni e trascurare altri, lo spirito di contesa che porta a opporre un rifiuto ai fratelli che non godono
delle nostre simpatie. “Questo indica da un lato odio per i fratelli e dall’altro un attaccamento
particolare quanto mai biasimevole”. E, aggiunge Basilio: “Son cose che distruggono il respiro
comune della comunità, che è frutto dell’amore”77
. In qualche misura troviamo in queste parole il
testamento di Basilio ai suoi fratelli; al cuore della comunità non c’è la regola, non c’è l’abate, non
c’è una struttura per quanto sapiente. Basilio chiede non solo di respirare Cristo, come chiedeva
Antonio, ma di respirare all’unisono, insieme. E solo se ciascuno custodisce nel proprio cuore
Cristo, che è l’amore, allora è possibile quel respiro comune che anima la vita comunitaria.
La povertà
Nel 362 Basilio viene ordinato presbitero; resta a Cesarea soltanto un anno. Già alla fine del
363, in seguito a contrasti sopravvenuti con il vescovo Eusebio, torna ad Annisoi. Non sappiamo
cosa sia successo; Gregorio parla di una “divergenza” tra i due, accenna a “un sentimento umano”
dice che è preferibile “tacere sull’origine e i termini” di tale divergenza. Tra l’altro vi fu una
ribellione di monaci che si appoggiavano a Basilio per opporsi al vescovo e allora, su consiglio di
Gregorio, Basilio si ritira, da buon “discepolo del Pacifico”, come lo definisce l’amico78
. Ma gli
eventi degli anni successivi convincono Basilio a rientrare in diocesi. Nel 364 era divenuto
imperatore Valente, un ariano ferocemente ostile agli ortodossi, che cercò di imporre con la forza
l’arianesimo. Le sue minacce sconvolgono anche la chiesa di Cappadocia. È u momento difficile;
Gregorio corre nel Ponto e convince Basilio a mettere da parte i dissidi con Eusebio e a tornare per
76
R. Burigana, “Nota sul cammino ecumenico nei primi quattro anni di papa Francesco (2013-2017)”,
http://www.monasterodibose.it/comunita/finestra-ecumenica/11304... 77
Regola diffusa 34,1. 78
Gregorio di Nazianzo, Discorsi 43,28.
http://www.monasterodibose.it/comunita/finestra-ecumenica/11304
22
difendere la fede dalla prepotenza di Valente. Basilio torna. Pochi anni dopo, nel 368 o 369, la
Cappadocia fu colpita da una violenta carestia.
“Vi era una carestia, la più dura che mai si ricordi. La città languiva. Non vi era soccorso da
alcuna parte, né vi era rimedio a quella sciagura. Le regioni che si affacciano sul mare sopportano
senza difficoltà tali situazioni di indigenza perché danno quello che hanno e ricevono dal mare
quello di cui mancano, ma noi che viviamo in regioni lontane dal mare non possiamo trarre
vantaggio da ciò ci cui abbondiamo né provvederci di quello di cui manchiamo, perché non
abbiamo la possibilità di esportare ciò che abbiamo, né di importare ciò che ci manca”79
.
Situata al cuore dell’attuale Turchia, formata da un altopiano che si eleva fino a circa mille
metri sul livello del mare e comprendente cime montuose che raggiungono in alcuni casi i tremila
metri, la Cappadocia del IV secolo era suddivisa in ampi latifondi concentrati elle mani di un esiguo
numero di proprietari terreni. Regione continentale, la Cappadocia viveva di agricoltura, di
pastorizia e dell’allevamento dei cavalli. Quando, per un motivo o per l’altro, il raccolto era scarso,
gli strati inferiori della popolazione finivano in miseria. Molti erano ridotti alla mendicità, altri
morivano di fame, altri per sfuggire a questa sorte vendevano i figli come schiavi. Scrive
Gregorio:“E ciò che vi è di più triste in simili circostanze è l’insensibilità e l’insaziabilità dei ricchi.
Spiano il momento opportuno, mercanteggiano sulla fame e coltivano le calamità”80
.
Gregorio descrive poi l’atteggiamento di Basilio:
“Con la sua parola e con le sue esortazioni fa aprire ai ricchi i loro granai e adempie le
parole della Scrittura: spezza il pane agli affamati, sazia di pane i poveri, li nutre durante la carestia
e colma di beni le anime affamate. In che modo? Anche questo è motivo di non piccola lode.
Raduna in un solo luogo le vittime della carestia – ve n’erano alcuni che respiravano a stento –
uomini, donne, bambini, anziani, ogni età degna di compassione. Raccoglie ogni genere di viveri,
tutto ciò che può sfamare, e fa disporre delle marmitte ricolme di purè di legumi e di quella
conserva salata che si trova presso di noi e che costituisce il cibo dei poveri. Poi, imitando il modo
con cui Cristo si è fatto servo, lui che cinto di un grembiule non disdegnò di lavare i piedi ai suoi
discepoli, insieme ai suoi servi, o piuttosto compagni di servizio, si mette a curare a un tempo i
corpi e le anime dei bisognosi, unendo all’offerta del necessario manifestazioni di rispetto e
rendendoli contenti nell’uno e nell’altro modo”81
.
79
Id., Discorsi 43,34. 80
Ibid. 81
Ibid. 43,
23
Basilio ha accolto i poveri nelle sue comunità, ma ha anche predicato contro l’ingiusta
ricchezza. Gregorio di Nazianzo scrive che “con la sua parola e le sue esortazioni fa aprire ai ricchi
i loro granai”82
. Di queste esortazioni fanno parte probabilmente anche le omelie 6 e 7 indirizzate ai
ricchi, nelle quali all’intransigente condanna del lusso smodato dei ricchi si unisce una vivissima
perorazione della causa dei poveri, un appello vigoroso a fare obbedienza all’evangelo.
L’Omelia 6 sulle parole dell’evangelo di Lc 12,18: “Distruggerò i miei granai e ne costruirò
di più grandi si presenta come un commento alla parabola dell’uomo ricco. Nuovo Creso che sogna
di trasformare in oro tutto ciò che tocca, il ricco è invitato a rientrare in se stesso. La ricchezza lo ha
reso infelice, preoccupato com’è di custodirla. Il ricco si chiede: “Che farò?”
“Si lamenta come i poveri. Non sono forse queste le parole di chi è oppresso dalla miseria?
Che farò? ... Che farò? La risposta era semplice: ‘Sazierò gli affamati, aprirò i granai e chiamerò
tutti i poveri’ … Su, dunque, distribuisci a destra e a sinistra le tue ricchezze, diventando generoso e
munifico nel prodigare i beni ai bisognosi. Si dica anche di te: Ha distribuito, ha dato ai poveri; la
sua giustizia rimane per sempre (Sal 111 [112],9). Non alzare i prezzi. Non aspettare la carestia per
aprire i granai. Chi accaparra il grano è maledetto dal popolo (Pr 11,26). Non attendere che il
popolo sia ridotto alla fame per accrescere il tuo oro, né la miseria generale per il tuo arricchimento.
Non fare commercio sulle umane disgrazie; non approfittare del tempo dell’ira di Dio per
aumentare le tue ricchezze. Non esacerbare le ferite inflitte dal flagello dell’avversità. Tu volgi lo
sguardo al tuo oro e lo distogli dal tuo fratello, riconosci ogni moneta e sai distinguere quella falsa
da quella vera, ma ignori completamente il fratello che si trova nel bisogno”83
.
Descrive poi il povero che passa in rassegna i suoi figli con la disperazione nel cuore e si
chiede quale può vendere per tentare di salvare gli altri.
Il ricco dice a se stesso:
“‘Distruggerò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi’ (Lc 12,18). Ma se riempi anche
quelli, poi che cosa inventerai? Forse li demolirai di nuovo e di nuovo li costruirai? Che cosa c’è di
più stupido che l’affannarti di continuo, costruire con cura e con cura distruggere? Se vuoi, hai dei
magazzini: le case dei poveri … Che cosa ti impedisce di spartire ora le tue ricchezze? Manca forse
il bisognoso? Non sono colmi i tuoi depositi? La ricompensa non è forse pronta? Il precetto non è
chiaro? L’affamato deperisce, l’ignudo gela di freddo, l’indebitato ha il laccio al collo e tu rinvii la
tua elemosina a domani! Ascolta Salomone: ‘Non dire: Va’, ripassa, te lo darò domani’ (Pr 3,28);
82
Ibid. 83
Basilio, Omelia 6,1-3.
24
non sai infatti che cosa ti riserva il domani … Sai dire soltanto queste parole: ‘Non ho niente, non
posso dar niente, sono povero’. E sei davvero povero e bisognoso di ogni bene; povero di amore per
il prossimo, povero di fede in Dio, povero di speranza eterna”84
.
Basilio ricorre a immagini usate dagli stoici nella loro critica verso le ricchezze e le
disuguaglianze che esse creano, ma riprende queste immagini con particolare attenzione alle
situazioni realmente vissute dal suo uditorio e le attualizza. La condizione sociale del povero e del
ricco non è voluta da Dio; è frutto del peccato dell’uomo, dell’avaro che muta il superfluo in
necessario, che è ladro perché muta in possesso ciò di cui ha soltanto l’amministrazione. L’omelia
raggiunge tutta la sua forza al & 7, laddove in un passo divenuto giustamente celebre, Basilio
replica al ricco che difende la proprietà dei suoi beni e teorizza l’illegittimità del possesso esclusivo
dei beni.
“A chi faccio torto se mi tengo ciò che è mio?”, dice l’avaro. Dimmi: che cosa è tuo? Da
dove l’hai preso per farlo entrare nella tua vita? I ricchi sono simili a uno che ha preso posto a teatro
e vuole poi impedire l’accesso a quelli che vogliono entrare ritenendo riservato a lui solo suo quello
che è offerto a tutti. Accaparrano i beni di tutti, se ne appropriano per il fatto di essere arrivati per
primi. Se ciascuno si prendesse ciò che è necessario per il suo bisogno, e lasciasse il superfluo al
bisognoso, nessuno sarebbe ricco e nessuno sarebbe bisognoso. Non sei uscito ignudo dal seno di
tua madre? E non farai ritorno nudo alla terra? Da dove ti vengono questi beni? Se dici dal caso, sei
privo di fede in Dio, non riconosci il Creatore e non hai riconoscenza per colui che te li ha donati;
se invece riconosci che i tuoi beni ti vengono da Dio, spiegaci per qual motivo li hai ricevuti. Forse
l’ingiusto è Dio che ha distribuito in maniera disuguale i beni della vita? Per qual motivo tu sei
ricco e l’altro invece è povero? … Chi è l’avaro? Chi non si accontenta del sufficiente. Chi è il
ladro? Chi sottrae ciò che appartiene a ciascuno. E tu non sei avaro? Non sei ladro? Ti sei
appropriato di quello che hai ricevuto perché fosse distribuito. Chi spoglia un uomo dei suoi vestiti
è chiamato ladro, chi non veste l’ignudo pur potendolo fare, quale altro nome merita? Il pane che
tieni per te è dell’affamato; dell’ignudo il mantello che conservi nell’armadio; dello scalzo i sandali
che ammuffiscono in casa tua; del bisognoso il denaro che tieni nascosto sotto terra. Così commetti
ingiustizia contro altrettante persone quante sono quelle che avresti potuto aiutare. ‘Belle parole –
dice il ricco –ma l’oro è ancora più bello’”85
.
L’omelia si conclude con lo scenario del giudizio, quando il Signore sentenzierà: “Via da
me, maledetti, … perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto fede e non mi
84
Id., Omelia 6,6. 85
Omelia 6,7-8.
25
avete dato da bere, ero nudo e non mi avete svestito” (Mt 25,41-43). E Basilio commenta: “Qui non
si condanna chi rapina, ma chi non condivide il suo”86
.
Qualche studioso commentando questi testi parla di comunismo di Basilio.
Nell’Omelia 7 contro i ricchi Basilio commenta l’episodio del giovane ricco di Mt 19,16-26.
Mette in evidenza come costui sia in contraddizione con se stesso: non seguendo il comandamento
del Signore rende vana l’osservanza della legge da lui adempiuta e rivela la falsità di quanto aveva
affermato col dire di aver amato il prossimo. Basilio fa osservare come chi ama non può avere nulla
in più di quanto possiede il suo prossimo; non soffrirebbe nel sentire che deve lasciare tutto perché
già da tempo si sarebbe dedicato a condividerlo con i poveri.
“É chiaro che sei ben lontano da quel comandamento e che hai dato falsa testimonianza di te
stesso affermando di amare il prossimo tuo come te stesso (cf. Mt 19,19). Ecco infatti il
comandamento del Signore mostra che sei ben lontano dalla vera carità. Se fosse vero quello che
hai assicurato, cioè che dalla giovinezza hai osservato il comandamento dell’amore e che hai dato a
ciascuno tanto quanto tieni per te, da dove ti verrebbe questa grande quantità di ricchezze? La cura
dei bisognosi infatti dissipa la ricchezza poiché ciascuno riceve quel poco che gli è necessario, ma
tutti mettono in comune i propri beni e li spendono per i poveri. Così chi ama il suo prossimo come
se stesso non possiede nulla di più del suo prossimo, ma risulta invece che tu abbia molte ricchezze.
Da dove ti vengono? É evidente che hai preferito il tuo godimento personale al conforto di molti.
Quanto più abbondi di ricchezze tanto più manchi di carità. Già da tempo ti saresti impegnato a
distribuire le ricchezze, se tu amassi il tuo prossimo”87
.
Il ricco avaro sotterra il suo oro, ma in tal modo sotterra anche il proprio cuore. Come il
servo pauroso che sotterra il talento pensando di sfuggire al giudizio del suo padrone, così il ricco
sotterra il suo cuore, la propria coscienza pensando di sfuggire al giudizio. Si nasconde dietro
all’osservanza di altri comandamenti, di pratiche religiose, che a suo avviso dovrebbero esonerarlo
dal precetto relativo alle ricchezze. Il suo desiderio non si sazia mai.
“Dici di essere povero e son d’accordo con te. É povero chi manca di molte cose. I desideri
insaziabili vi fanno poveri di molte cose. Ai dieci talenti cerchi di aggiungerne altri dieci; se
diventano venti, ne ricerchi altrettanti, e sempre il guadagno non sazia il tuo desiderio ma ti
accresce la voglia. Gli ubriachi più bevono e più sono spinti a bere, così anche quelli che si sono
arricchiti di recente: hanno acquistato molti beni, desiderano ancor di più, e alimentano la loro
86
Omelia 6,8. 87
Omelia 7,1.
26
malattia con l’aumentare costante dei loro averi e questo affanno si rivolge contro di loro. Non li
rallegrano, infatti, tutti quei beni che possiedono, per quanto grandi, ma li rattrista quello di cui
mancano, quello di cui suppongono di mancare, e così sono sempre in preda all’affanno, in lotta per
avere di più … l’avaro non ha mai detto: ‘Basta!’. Quando userai quello che possiedi? Quando ne
potrai godere, se sei costantemente preso dall’affanno di capitalizzare? Guai a quelli che
aggiungono casa a casa e uniscono campo a campo per strappare qualcosa al prossimo (Is 5,18). E
tu che fai? Non avanzi mille pretesti per prendere quanto appartiene al tuo prossimo? Dice: ‘La casa
del vicino mi fa ombra, è fonte di confusione, è un riparo per i vagabondi’, o con qualche altro
pretesto, continua a girarle attorno, a urtarla, a smuoverla, a provocare fenditure, e non smette prima
di aver costretto i vicini a spostarsi. Chi uccise Naboth, l’israelita? Non fu Acab con il suo desiderio
di possedere la sua vigna?”88
.
Qualchedun altro obietta che la ricchezza è necessaria a motivo dei figli. Basilio è molto
radicale nel rispondere a questa obiezione:
“Questo è un pretesto specioso per la vostra avidità; portate a pretesto i figli, ma rassicurate
il vostro cuore. Non accusate un innocente; ha il suo Signore, il suo tutore; ha ricevuto la vita da un
altro, da lui attende le risorse per vivere. Non è per le persone sposate che sta scritto nel vangelo:
‘Se vuoi essere perfetto, vendi ciò che possiedi e dallo ai poveri’ (Mt 19,21). Quando chiedevi al
Signore una prole numerosa, lo supplicavi di diventare padre di figli, aggiungevi forse anche
questo: ‘Dammi figli perché io possa trasgredire i tuoi comandamenti? Dammi figli affinché non
entri nel regno dei cieli?’. Chi poi sarà garante delle scelte del figlio, cioè che userà rettamente di
quanto ha ricevuto?”89
.
Con altrettanta radicalità risponde alle obiezioni di chi vive nel celibato e non ha figli.
“Questo si è detto per chi ha figli; chi non ha figli quale altro specioso pretesto presenterà
per la sua avarizia? ‘Non vendo ciò che possiedo e non lo do ai poveri perché mi è necessario per
vivere’. Ma allora il Signore non è il tuo maestro, l’evangelo non è la regola della tua vita, ma tu
stesso sei legge a te stesso. Vedi in qual pericolo ti cacci con questi tuoi pensieri, perché se il
Signore ci ha ordinato queste cose come necessarie e tu invece le dichiari impossibili, non dici altro
se non che sei più sapiente del Legislatore. ‘Ma, dopo che avrò goduto delle ricchezze per tutta la
mia vita, alla fine lascerò eredi di tutti i miei beni i poveri e li dichiarerò padroni di essi con lettere e
testamento’. Quando ormai non vivrai più tra gli uomini, allora li amerai? Quando ti vedrò morto,
88
Omelie 7,5-6. 89
Omelie 7,7.
27
allora ti chiamerò benefattore del fratello? Grazie tante per la tua prodigalità; steso nella tomba e
dissolto nella terra, sei diventato generoso nelle spese e magnanimo”90
.
Vorrei citare a conclusione, ancora una volta le parole di Basilio, tratte dalla Regola morale
80,22: “Che cos’è proprio del cristiano? La fede operante mediante l’amore (Gal 5,6). ... Che cos’è
proprio del credente? Il conformarsi con tale piena certezza al significato delle parole della
Scrittura, e non osare togliere o aggiungere alcunché. ... Che cos’è proprio del cristiano? Amarsi gli
uni gli altri come anche il Cristo ha amato noi (cf. Ef 5,2). Che cosa è proprio del cristiano? Vedere
sempre il Signore davanti a sé (cf. Sal 15 [16],8). Che cosa è proprio del cristiano? Vigilare ogni
giorno e ogni ora (cf. Mt 25,13) ed essere pronto nel compiere perfettamente ciò che è gradito a Dio
(cf. Mc 13,34), sapendo che all’ora che non pensiamo il Signore viene (cf. Lc 12,40)”91
.
90
Omelia 7,8. 91
Regole morali 80,22.