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Bollettino Luglio - Settembre 2012 3

Bollettino - Diocesi Di Rimini€¦ · Bollettino Diocesano 2012 - n.3 8 Dalla Santa Sede Ogni cosa, ogni rapporto, ogni gioia, come anche ogni difficoltà, trova la sua ragione ultima

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BollettinoLuglio - Settembre

20123

Direttore responsabile: Baffoni don RedeoSped. in abbonamento postale 70%Filiale di Forlì

Direz. Amministr.: Curia Vescovile, via IV Novembre, 35Rimini – Tel. 0541. 24244Pubblicazione TrimestraleCon approvazione ecclesiastica

Progetto grafico e impaginazione - KaleidonStampa: Tipolito Garattoni - Rimini

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Indice

Bollettino Diocesano 2012 - n. 3

Dalla Santa Sede ....................................................................................................................5

Atti del Vescovo ...................................................................................................................... 9

Omelie ......................................................................................................................................... 11

Lettere e messaggi .................................................................................................................. 21

Decreti e Nomine ................................................................................................................... 47

Visita Pastorale .......................................................................................................................61

Diario del Vescovo .................................................................................................................81

Organismi Pastorali ............................................................................................................87

Avvenimenti Diocesani ......................................................................................................97

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Dalla Santa Sede

Bollettino Diocesano 2012 - n.3

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Al Venerato FratelloMonsignor FRANCESCO LAMBIASI

Vescovo di Rimini

Desidero rivolgere il mio cordiale saluto a Lei, agli organizzatori e a tutti i partecipanti al Meeting per l'Amicizia tra i Popoli, giunto ormai alla XXXIII edizione. Il tema scelto quest'anno - «La natura dell'uomo è rapporto con l'infi-nito» - risulta particolarmente significativo in vista dell'ormai imminente inizio dell'«Anno della fede», che ho voluto indire in occasione del Cinquantesimo anniversario dell'apertura del Concilio Ecumenico Vaticano II.

Parlare dell'uomo e del suo anelito all'infinito significa innanzitutto ricono-scere il suo rapporto costitutivo con il Creatore. L'uomo è una creatura di Dio. Oggi questa parola - creatura - sembra quasi passata di moda: si preferisce pen-sare all'uomo come ad un essere compiuto in se stesso e artefice assoluto del proprio destino. La considerazione dell'uomo come creatura appare «scomoda» poiché implica un riferimento essenziale a qualcosa d'altro o meglio, a Qualcun altro - non gestibile dall'uomo - che entra a definire in modo essenziale la sua identità; un'identità relazionale, il cui primo dato è la dipendenza originaria e ontologica da Colui che ci ha voluti e ci ha creati. Eppure questa dipendenza, da cui l'uomo moderno e contemporaneo tenta di affrancarsi, non solo non nasconde o diminuisce, ma rivela in modo luminoso la grandezza e la dignità suprema dell'uomo, chiamato alla vita per entrare in rapporto con la Vita stessa, con Dio.

Dire che «la natura dell'uomo è rapporto con l'infinito» significa allora dire che ogni persona è stata creata perché possa entrare in dialogo con Dio, con l'Infinito. All'inizio della storia del mondo, Adamo ed Eva sono frutto di un atto di amore di Dio, fatti a sua immagine e somiglianza, e la loro vita e il loro rap-porto con il Creatore coincidevano: «Dio creò l'uomo a sua immagine; a imma-gine di Dio lo creò: maschio e femmina li creò» (Gen 1,27). E il peccato origi-nale ha la sua radice ultima proprio nel sottrarsi dei nostri progenitori a questo rapporto costitutivo, nel voler mettersi al posto di Dio, nel credere di poter fare senza di Lui. Anche dopo il peccato, però, rimane nell'uomo il desiderio strug-

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Dalla Santa Sede

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gente di questo dialogo, quasi una firma impressa col fuoco nella sua anima e nella sua carne dal Creatore stesso. Il Salmo 63 [62] ci aiuta a entrare nel cuore di questo discorso: «O Dio, tu sei il mio Dio, dall'aurora io ti cerco, ha sete di te l'anima mia, desidera te la mia carne, in terra arida, assetata, senz'acqua» (v. 2). Non solo la mia anima, ma ogni fibra della mia carne è fatta per trovare la sua pace, la sua realizzazione in Dio. E questa tensione è incancellabile nel cuore dell'uomo: anche quando si rifiuta o si nega Dio, non scompare la sete di infini-to che abita l'uomo. Inizia invece una ricerca affannosa e sterile, di «falsi infiniti» che possano soddisfare almeno per un momento. La sete dell'anima e l'anelito della carne di cui parla il Salmista non si possono eliminare, così l'uomo, senza saperlo, si protende alla ricerca dell'Infinito, ma in direzioni sbagliate: nella dro-ga, in una sessualità vissuta in modo disordinato, nelle tecnologie totalizzanti, nel successo ad ogni costo, persino in forme ingannatrici di religiosità. Anche le cose buone, che Dio ha creato come strade che conducono a Lui, non di rado corrono il rischio di essere assolutizzate e divenire così idoli che si sostituisco-no al Creatore.

Riconoscere di essere fatti per l'infinito significa percorrere un cammino di purificazione da quelli che abbiamo chiamato «falsi infiniti», un cammino di conversione del cuore e della mente. Occorre sradicare tutte le false promesse di infinito che seducono l'uomo e lo rendono schiavo. Per ritrovare veramente se stesso e la propria identità, per vivere all'altezza del proprio essere, l'uomo deve tornare a riconoscersi creatura, dipendente da Dio. Al riconoscimento di questa dipendenza - che nel profondo è la gioiosa scoperta di essere figli di Dio - è legata la possibilità di una vita veramente libera e piena. È interessante notare come san Paolo, nella Lettera ai Romani, veda il contrario della schiavitù non tanto nella libertà, ma nella figliolanza, nell'aver ricevuto lo Spirito Santo che rende figli adottivi e che ci permette di gridare a Dio: «Abbà! Padre!» (cfr 8,15). L'Apostolo delle genti parla di una schiavitù «cattiva»: quella del peccato, della legge, delle passioni della carne. A questa, però, non contrappone l'auto-nomia, ma la «schiavitù di Cristo» (cfr 6,16-22), anzi egli stesso si definisce: «Pa-olo, servo di Cristo Gesù» (1,1). Il punto fondamentale, quindi, non è eliminare la dipendenza, che è costitutiva dell'uomo, ma indirizzarla verso Colui che solo può rendere veramente liberi.

A questo punto però sorge una domanda. Non è forse strutturalmente impossibile all'uomo vivere all'altezza della propria natura? E non è forse una condanna questo anelito verso l'infinito che egli avverte senza mai poterlo soddisfare totalmente? Questo interrogativo ci porta direttamente al cuore del cristianesimo. L'Infinito stesso, infatti, per farsi risposta che l'uomo possa spe-rimentare, ha assunto una forma finita. Dall'Incarnazione, dal momento in cui il Verbo si è fatto carne, è cancellata l'incolmabile distanza tra finito e infinito: il Dio eterno e infinito ha lasciato il suo Cielo ed è entrato nel tempo, si è im-merso nella finitezza umana. Nulla allora è banale o insignificante nel cammino della vita e del mondo. L'uomo è fatto per un Dio infinito che è diventato carne, che ha assunto la nostra umanità per attirarla alle altezze del suo essere divino.

Scopriamo così la dimensione più vera dell'esistenza umana, quella a cui il Servo di Dio Luigi Giussani continuamente richiamava: la vita come vocazione.

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Bollettino Diocesano 2012 - n.3

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Dalla Santa Sede

Ogni cosa, ogni rapporto, ogni gioia, come anche ogni difficoltà, trova la sua ragione ultima nell'essere occasione di rapporto con l'Infinito, voce di Dio che continuamente ci chiama e ci invita ad alzare lo sguardo, a scoprire nell'adesio-ne a Lui la realizzazione piena della nostra umanità. «Ci hai fatti per te - scriveva Agostino - e il nostro cuore è inquieto finché non riposa in te» (Confessioni I, 1,1). Non dobbiamo avere paura di quello che Dio ci chiede attraverso le cir-costanze della vita, fosse anche la dedizione di tutto noi stessi in una forma particolare di seguire e imitare Cristo nel sacerdozio o nella vita religiosa. Il Signore, chiamando alcuni a vivere totalmente di Lui, richiama tutti a riconosce-re l'essenza della propria natura di esseri umani: fatti per l'infinito. E Dio ha a cuore la nostra felicità, la nostra piena realizzazione umana. Chiediamo, allora, di entrare e rimanere nello sguardo della fede che ha caratterizzato i Santi, per poter scoprire i semi di bene che il Signore sparge lungo il cammino della no-stra vita e aderire con gioia alla nostra vocazione.

Nell'auspicare che questi brevi pensieri possano essere di aiuto per coloro che prendono parte al Meeting, assicuro la mia

vicinanza nella preghiera ed auguro che la riflessione di questi giorni possa introdurre tutti nella certezza e nella gioia della fede.

A Lei, Venerato Fratello, ai responsabili e agli organizzatori della manife-stazione, come pure a tutti i presenti, ben volentieri imparto una particolare Benedizione Apostolica.

Da Castel Gandolfo, 10 agosto 2012

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Omelie

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Siamo mendicanti. Nella Pentecoste 1998 Don Giussani in una piaz-za san Pietro stracolma di fedeli di tutti i vari movimenti ecclesiali, affermava: "Il vero protagonista della storia è il mendicante: Cristo mendicante del cuore dell'uomo e il cuore dell'uomo mendicante di Cristo".

Siamo mendicanti, non siamo vagabondi, anche se spesso ci smarria-mo erranti e confusi. Ci è assegnata una meta, ci è stata tracciata una strada. La meta è la santa casa del Padre, il santuario della santa Trinità. La strada non è una astratta ideologia, una formula vaga, un valore pur nobile, ma impalpabile. E' l'umanità reale e tangibile - che cioè si può vedere, odorare, abbracciare - di Colui che ha detto: "Io sono la via".

Non siamo vagabondi condannati a girovagare a vuoto. Siamo chiamati a diventare pellegrini, ma restiamo mendicanti affamati e insoddisfatti. Abbia-mo fame - una fame assillante, struggente - di vita, di infinito. Abbiamo fame di una vita infinita: infinitamente felice, sconfinata, immortale. Questa, che ci è data, ci pare troppo corta, troppo dura, troppo sofferta: la vita dei nostri affetti e dei nostri bisogni, del nostro lavoro e di qualche festa, del nostro riso e del nostro pianto.

Oggi, in un solo versetto, il vangelo ci consegna la chiave della vita, quella eterna, sovrumana, e perciò pienamente umana: "Io sono il pane vivo disceso dal cielo. Se uno mangia di questo pane vivrà in eterno e il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". In appena due righe ci viene fornita la grammatica di base del vivere da umani, con un sostantivo: la vita, appunto, intesa nella sua accezione più alta, più larga e profonda: la "vita del mondo" (v. 51); con un aggettivo (il pane "vivo"); con un verbo: "vivrà in eterno" (v. 51). Da evidenziare anche una preposizione: "per". "Il pane che io darò è la mia carne per la vita del mondo". Il pane disceso dal cielo, come tale, preesiste alla nostra fame e ha come unico scopo quello della vita dell'umanità di tutti i luoghi, di tutti i tempi. La pre-esistenza della Parola (il Verbo del Padre) si fa pro-esisten-za: la Parola si è fatta carne per noi, per la vita del mondo. Il pane che tiene in vita il mondo è lo stesso che mantiene in via il pellegrino: è il suo viatico.

Sono varie domeniche che ascoltiamo Cristo martellare con ostinata insistenza su questo tema del pane vivo. Ma oggi il brano comincia con lo stes-so versetto che chiudeva il vangelo di domenica scorsa: "Io sono il pane vivo

Mendicanti affamati di Infinito

Omelia dal Vescovo in occasione della Messa per l'apertura del MeetingRimini, 20 agosto 2012

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Atti del Vescovo

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disceso dal cielo". Questo versetto registra la "svolta eucaristica", che fa da spar-tiacque tra la storia precedente di Gesù e quella successiva: la sua incarnazione, anzitutto. L'espressione si trova già nel prologo del quarto vangelo: "E il Verbo si fece carne e venne ad abitare in mezzo a noi" (Gv 1,14). Dio diventa "pane" per noi facendosi uno di noi, entrando nella nostra storia, fatta di spazio e di tempo, di orizzonti sterminati e di piccoli passi, fatta di polvere di Infinito impastata di fragile argilla. Così l'uomo può entrare nella sfera di Dio, nella comunione con lui, attraverso la carne del Signore; e ciò contro ogni interpretazione spiritualista della sua incarnazione.

Ma nel contempo il "pane" rimanda alla sua passione futura: al suo sacrificio "per" la vita del mondo. Ora il pane non è più soltanto da accogliere nella fede; ma nella fede, è carne da mangiare, è sangue da bere. Qui il linguag-gio si fa crudo e scandaloso, il tono ardito, destabilizzante: "Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita". La condizione è tassativa, senza appello: "se non mangiate... non avete". E' que-stione di vita o di morte.

L'uomo è un animale che assimila a sé le cose che mangia, ma quando mangia la carne di Cristo, è Cristo che assimila l'uomo a sé. "Partecipare al cor-po e al sangue di Cristo non tende ad altro che a trasformarci in quello che rice-viamo" (Leone Magno). Qualcuno aveva detto: "L'uomo è ciò che mangia", ma ha sbagliato il primo verbo della proposizione: non "è", ma "diventa". Se mangia Cristo, diventa un altro Cristo. Con san Paolo posso dire: "Non vivo più io, ma Cristo vive in me" (Gal 2,20). Il Figlio di Dio ci ha amati fino a farsi divorare dal suo amore per noi; noi, amando e mangiando lui, diventiamo figli di Dio.

Questo è Gesù: un Dio che non dice: "datemi, sacrificatevi per la mia causa toglietevi il pane di bocca per me", ma dice: "prendetemi, mangiatemi, bevetemi". Soeren Kierkegaard vi scorgeva la prova suprema della più bella sto-ria d'amore: "Ogni altro modo di rivelarsi sarebbe, per l'amore, un inganno".

La vita eterna consiste nel vivere da figli, amando il Padre e i fratelli, con un amore più forte della morte. Questo amore è pegno di risurrezione nell'ultimo giorno: "Noi sappiamo che siamo passati dalla morte alla vita, per-ché amiamo i fratelli" (1Gv 3,14a). Infatti, se è vero che "chi non ama rimane nella morte" (1Gv 3,14b), è altrettanto vero che chi ama non rimane nella morte, perché dimora in Gesù e Gesù in lui.

Ma "si può vivere così?", si chiedeva con stupore intriso di intensa com-mozione Don Giussani.

Siamo mendicanti di cielo, affamati di Cristo, assetati di Dio. Non siamo noi i fornitori del pane che ci sazia la fame del cuore né i produttori del vino che ci estingue la sete bruciante di Infinito. Siamo pellegrini, invitati a mangiare il pane disceso dal cielo per diventare a nostra volta pane per la vita dei fratelli.

Siamo mendicanti, sfamati e mandati a dire ad altri mendicanti, dove insieme possiamo trovare da mangiare.

Questa è vita vera ed eterna. Questa è perfetta letizia.

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Omelie

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Anche Dio ha sete. "Ha sete che si abbia sete di lui". Dio è amore e, se il sole non può fare a meno di risplendere, se il fuoco non può fare a meno di ardere, forse che Dio Amore potrà fare a meno di amare e di bramare di essere riamato? Niente affatto. Noi sappiamo che quando ha per soggetto Dio, il verbo amare si può coniugare solo all'infinito - poiché Dio ama "da Dio", e dunque il suo amore è un infinito amare - ma questo infinito non va declinato solo all'at-tivo bensì anche al passivo. In altre parole, l'amore da parte di Dio è un infinito donare amore a noi, e un altrettanto infinito mendicare amore da noi. Il tutto, con una noticina che vale un trattato: Dio non ha sete del nostro amore per essere felice, ma per farci felici.

1. Questa sete di dare e di ricevere amore il Figlio di Dio l'ha sperimen-

tata con cuore d'uomo, l'ha vissuta con sensibilità d'uomo, l'ha patita con una tenace arsura bruciante, quando dopo il battesimo al Giordano ha cominciato a percorrere le strade polverose della Galilea, andando per città e villaggi a chiamare umili pescatori e pubblici peccatori, a cercare poveri, malati e inde-moniati, a salvare pubblicani scomunicati e donne penosamente trattate come cose 'usa e getta'.

Nel quarto vangelo per ben due volte viene esplicitamente rimarcata questa implacabile sete d'amore, provata da Gesù. La seconda volta è stata all'ora nona del 14 di nisan dell'anno 30. Racconta l'evangelista Giovanni che, dall'alto della croce, ormai agli estremi Gesù gridò: "Ho sete", e gli diedero da bere una spugna imbevuta di aceto. Ricordiamo quanto a quel grido sia stata sensibile Madre Teresa di Calcutta. Era la fatidica sera del 10 settembre 1946, quando, mentre era in treno diretta alla sede degli esercizi spirituali, durante tutta la notte continuò a martellarle nella testa il grido dolente di Gesù in croce: “Ho sete!”. Un misterioso richiamo che col passare delle ore si fece sempre più chiaro e pressante: lei doveva lasciare il suo confortevole convento per andare a servire i più poveri dei poveri. Quel genere di persone che non sono niente, che vivono ai margini di tutto, il mondo dei derelitti che ogni giorno agonizzavano sui marciapiedi di Calcutta, senza neppure la dignità di poter morire in pace. Per suor Teresa quella fu l'ora della "seconda chiamata": qualche tempo dopo avrebbe lasciato il convento di Entally con cinque rupie in tasca e il sari orlato di azzurro delle indiane più povere, dopo quasi 20 anni trascorsi nella congre-gazione delle Suore di Loreto. La piccola Gonxha di Skopje diventava Madre Teresa e iniziava da quel momento la sua corsa da gigante.

Anche Dio ha seteOmelia tenuta dal Vescovo per la solennità della dedicazione della Cattedrale e per l’ammissione agli ordini sacri di Filippo Rosetti ed Eugenio SavinoRimini, Basilica Cattedrale, 22 settembre 2012

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Atti del Vescovo

Bollettino Diocesano 2012 - n.3

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La prima volta che Giovanni registra la sete ardente di Gesù, lo fa quasi con meticolosa precisione: "era circa mezzogiorno", durante una giornata di spossante viaggio attraverso la Samaria. Il rabbi galileo si trova affaticato e stan-co presso il pozzo di Giacobbe. Ecco, improvvisamente si staglia in controluce, sotto un cielo allagato da un sole abbagliante, la figura di una Samaritana che viene a fare provvista d'acqua. Finora ha cercato di spegnere la sua sete d'amore attingendo a cisterne screpolate, andando a mendicare tenerezza da un amo-re all'altro. Ma prima un uomo, poi un altro fino all'attuale, il sesto, le hanno fornito solo acqua melmosa, con il retrogusto di un amaro stomachevole. Ma chi è ora costui che chiede da bere e promette di dissetare? Di richieste e di promesse del genere quella donna infelice, assetata d'amore, ne aveva sentite tante, troppe, ma erano venute tutte da sguardi famelici, da pensieri obliqui, da cuori torbidi e voraci. Quel giorno invece la Samaritana incontrò il primo uomo che le chiedeva solo un sorso d'acqua, e le dava in cambio l'acqua della vita. Quel giorno la sventurata riuscì finalmente a placare la sete ardente del suo cuore: nel rabbi Gesù per la prima volta incontrò la tenerezza, conobbe la felici-tà. Così cominciava per lei una vita nuova: non doveva più andare a comprarsi il favore divino nel santuario degli antenati, sul monte Garizim. Non doveva ne-anche recarsi a Gerusalemme, sul monte Sion, a piatire la compassione di una divinità straniera, nel santuario di un popolo cordialmente ostile ai Samaritani. Finalmente si inaugurava per quella donna l'alba della libertà: si deve adorare il Padre, ma solo in spirito e verità, aveva detto quel misterioso profeta (che non fosse proprio lui addirittura il Messia?).

2. A questo punto viene da chiedersi: se i veri adoratori di Dio non

sono più tenuti ormai a frequentare templi di pietra, allora perché i discepoli di Cristo, appena hanno potuto, si sono messi a costruire chiese, a innalzare splendidi santuari e sontuose cattedrali? La risposta è la seguente: perché, da quando si è attendato in mezzo a noi, Cristo non se ne è più andato e continua a rendersi reperibile nella santa assemblea dei suoi discepoli. Il culto in spirito e verità, infatti, si oppone a culto esteriore e formale, non a culto esistenziale: anzi è proprio questo il vero culto spirituale, gradito a Dio, poiché è strettamen-te aderente alla vita e, per essere integralmente umano, non può fare a meno di riti, di segni e di simboli e finanche di strutture. In buona sostanza, non può fare a meno di una casa, di un tempio o chiesa che si voglia chiamare.'

Per farcene una ragione dobbiamo ricordare che nell'Antico Testamen-to era il tempio a 'fare' in senso proprio il sacrificio: uccidere un animale fuori dell'area sacra non era fare un sacrificio, ma quando la stessa cosa si faceva secondo le rubriche rituali all'interno del recinto sacro, allora veniva conside-rata un sacrificio a Dio. Invece per noi, nuovo Israele, popolo della nuova ed eterna alleanza è il sacrificio che costituisce il tempio. E' la divina liturgia, è la santa eucaristia, celebrata da una comunità cristiana, da una Chiesa viva, a fare di un edificio sacro una vera chiesa. Il tempio materiale rimanda alla realtà spirituale della comunità cristiana. Le chiese costruite dai cristiani hanno senso unicamente perché rimandano alla Chiesa, corpo di Cristo, animata dallo Spi-rito. Celebrare l'anniversario della dedicazione di una chiesa è sottolineare che

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Omelie

Bollettino Diocesano 2012 - n.3

continua, in un luogo preciso, una storia d'amore e di tenerezza che comprende tutta la comunità che lì si raduna. Del resto che cosa sarebbe una chiesa senza una comunità che lo abita e lo anima? una casa vuota, al massimo un fred-do museo, che, per quanto interessante, sarebbe ormai privato del suo senso originale. Ma d'altra parte che cosa sarebbe una comunità cristiana che non esprimesse più in maniera visibile la vita profonda di una concreta comunità di discepoli e testimoni di Cristo?

Nel libro del profeta Ezechiele (al cap. 47) si legge che il profeta fu condotto in spirito all'ingresso del tempio di Gerusalemme e vide che sotto la soglia del tempio usciva acqua verso oriente. I padri della Chiesa interpretano questa visione in senso spirituale: quell'acqua della vita è l'acqua che sgorga dal fianco squarciato del Crocifisso e porta vita e salvezza all'umanità redenta. E' l'acqua dello Spirito che, nella colletta iniziale abbiamo chiesto a Dio Padre con queste parole: "Effondi sulla chiesa il tuo santo Spirito, perché edifichi il popolo dei credenti che formano la Gerusalemme del cielo".

Quanto fin qui affermato è ancor più vero per la cattedrale. Leggiamo nel Vaticano II:

"Bisogna che tutti diano la più grande importanza alla vita liturgica del-la diocesi intorno al vescovo, principalmente nella chiesa cattedrale: con-vinti che la principale manifestazione della Chiesa si ha nella partecipazio-ne piena e attiva di tutto il popolo santo di Dio alle medesime celebrazioni liturgiche, soprattuto alla medesima eucaristia, alla medesima preghiera, al medesimo altare cui presiede il vescovo circondato dal suo presbiterio e dai suoi ministri" (SC 41).

3. In questa solenne liturgia si incastona il vostro sì, carissimi Eugenio e Filippo. Questo sì dice la definizione di un discernimento riguardo all'autenticità della vostra vocazione e dice pure il proposito di proseguire il cammino forma-tivo verso il presbiterato. Questo vostro sì è un messaggio.

Innanzitutto per i vostri coetanei. In questa cultura della distrazione che spesso seduce e disorienta molti giovani, il vostro sì afferma la cultura della vocazione, per cui la vita non è né caso fortuito né cieco destino, ma è disegno pieno d'amore proposto alla nostra spesso capricciosa ma sempre inalienabile libertà. La vita non è avventura solitaria; non è neanche una più o meno pia-cevole crociera che veleggia tranquilla verso il porto della felicità. La vita è una storia d'amore, che se genera dedizione gratuita e appassionato servizio, cono-sce l'appagamento del centuplo evangelico.

Il vostro sì è un messaggio per la nostra pastorale, che se non arriva a trafiggere il cuore e a porre un giovane davanti alla domanda strategica e dram-matica - "che cosa devo fare nella mia vita?" - non si può dire pastorale cristiana, ma si autoriduce a innocua ipotesi di lavoro.

Il vostro sì è un messaggio per le nostre comunità, che se non vivono la dinamica del pane spezzato, non possono celebrare la vita come dono ricevuto, e quindi non possono educare a spenderla come dono da condividere per sal-vare la vita degli altri.

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Atti del Vescovo

Bollettino Diocesano 2012 - n.3

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Ecco allora il mio augurio: che voi, Eugenio e Filippo, possiate ogni gior-no della vostra vita ascoltare il grido di Gesù: "Ho sete" e rispondergli come Teresa di Calcutta, come don Oreste Benzi, a cui è intitolato il nostro seminario. Che ogni giorno possiate spegnere la vostra sete d'amore al fiume di acqua viva che sgorga dal cuore trafitto del Crocifisso-Risorto. Che la vostra vita diventi una fontana zampillante per la sete di tanti fratelli e sorelle che incrocerete sul vostro cammino.

Che la vostra vita diventi il canto di una sorgente...

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Omelie

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1. Intolleranza zero. La Chiesa di Gesù di Nazaret non è una setta arci-gna e scontrosa né una intransigente, preclusa casta elitaria.

"Non è dei nostri". Ma chi sono i 'nostri'? I discepoli di Gesù - i 'suoi' - hanno appena hanno visto un tale che, pur non facendo parte del gruppo dei Dodici, va in giro usando il nome di Cristo per scacciare i demoni. Ma come si permette? non hanno fatto bene Simone e compagni a proibirglielo? domanda Giovanni, inflessibile e petulante. I discepoli hanno coscienza di appartenere al piccolo gregge di Cristo, e hanno buone ragioni per pensarlo. Ma la loro vi-suale è rimpicciolita dai paraocchi del particolarismo più gretto, chiamiamolo pure con il suo giusto nome: settarismo. E si tradiscono, quando affermano: "Volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva". Ecco l'abbaglio dei discepoli: si sono messi al posto del Maestro o comunque chiedono che quel tale, per accreditarsi come un autentico seguace di Gesù, debba seguire loro. Ora Gesù, certo, è e resta il Maestro dei Dodici, ma non è e non potrà mai essere il loro geloso monopolio. Infatti i cristiani sono solo di Cristo, ma Cristo non è solo dei cristiani. Ecco perché lo stesso Maestro che aveva detto un'altra volta: "Chi non è con me è contro di me", questa volta risponde con altrettanta nettezza: "Chi non è contro di noi è per noi".

Dunque intolleranza zero! Dunque disco rosso ad ogni esclusivismo fazioso e partigiano, che porta a dividere gli uomini in due categorie: i nostri, gli altri. Infatti lo Spirito di Cristo può operare e di fatto opera il bene anche oltre la cerchia di quanti appartengono visibilmente a lui, e quindi i discepoli del Signore non possono non rallegrarsi nel vedere anche i più piccoli germogli di bene, da qualsiasi parte provengano, perché in ultima analisi provengono da Dio stesso. Lo affermava anche s. Tommaso d'Aquino: ogni scintilla di verità, ogni frammento di bellezza, ogni germe di bontà “da qualsiasi parte provenga, viene ultimamente dallo Spirito Santo”.

Dunque no ad ogni forma di fondamentalismo, e alla nuvola nera dei suoi tristi sinonimi: integralismo, particolarismo, settarismo. La Chiesa è una casa aperta, non una nicchia sprangata né una serra riservata ai pochi "puri e duri".

2. Oggi però bisogna francamente riconoscere che per noi, cristiani-cattolici dell’Occidente, il pericolo numero uno sembra quello opposto al fon-damentalismo, ed è il relativismo: per noi è vera la nostra fede, per gli altri la

Né fondamentalismo né relativismoOmelia tenuta dal Vescovo nel corso della celebrazione eucaristica, al termine del Festival FrancescanoRimini, Basilica Cattedrale, 30 settembre 2012

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loro. Così non pochi figli della Chiesa intendono il dialogo interreligioso come una trattativa diplomatica, come se la questione fosse semplicemente di stabili-re rapporti di buon vicinato o di evitare reciproche interferenze o di scongiurare odiose invasioni di campo. Oggi occorre liberarsi da quella che papa Benedetto chiama “la dittatura del relativismo”: non è vero che una religione vale l’altra. La Chiesa nasce a Pentecoste con questa certezza irrinunciabile per ognuno che ne voglia far parte: “In nessun altro (all’infuori di Gesù Cristo) c’è salvezza; non vi è infatti altro nome dato agli uomini sotto il cielo nel quale è stabilito che possiamo essere salvati” (At 4,12). Pertanto “il dialogo deve essere sempre condotto e attuato con la convinzione che la Chiesa è la via ordinaria di salvezza e che solo essa possiede la pienezza dei mezzi di salvezza”, ha scritto Giovanni Paolo II.

Però, a pensarci bene, forse il discorso sulla situazione delle comunità cristiane oggi appare ancora più complesso. Se infatti il relativismo sembra connotare i rapporti ad extra della Chiesa - con i seguaci di altre religioni - il clima interno alla Chiesa sembra attraversato dalle correnti gelide di quello che si potrebbe chiamare una sorta di "campanilismo di gruppo", che rende gli uni intolleranti, aspri e taglienti con i fratelli stessi di fede, ma appartenenti a un altro gruppo, diverso dal nostro.

3. Anche in questo campo dobbiamo tornare umilmente alla scuola di Francesco. Sappiamo che Francesco ha mandato i suoi discepoli in missione, ma non ad imporre la fede, perché sapeva bene che la fede non può essere imposta ma solo proposta, e dunque chiedeva ai suoi frati di annunciare il van-gelo anche a persone di altra religione, senza mai vergognarsi del Vangelo. Non la spada, ma la croce: questo è l'ideale di Francesco, quale lui stesso ha seguito quando è andato in Oriente e ha incontrato il sultano Malek-el-Kamel. Questo è l'ideale che Francesco propone nella Regola non bollata, al cap. XVI: Di coloro che vanno tra i Saraceni e altri infedeli. Sono due i modi per fare evangelizzazio-ne: "Un modo è che (i frati) non facciano liti né dispute, ma siano soggetti ad ogni creatura umana per amore di Dio e confessino di essere cristiani". L'altro modo è che "quando vedranno che piace al Signore, annunzino la parola di Dio, perché (gli infedeli) credano e si facciano battezzare". Dunque né fondamen-talismo né relativismo. Ma missione nel rispetto e nella tolleranza. Insomma è l'evangelicità la strada maestra per l'evangelizzazione: vivere evangelicamente per evangelizzare la vita; vivere il Vangelo della carità per annunciare la carità del Vangelo.

Ma questa carità evangelica va vissuta e annunciata prima di tutto ad intra, dentro la Chiesa. Vengono in mente due casi. Il primo è quello dei "preti poverelli" e peccatori, nei confronti dei quali Francesco nutre e proclama un sacro rispetto: "Non voglio in loro considerare il peccato, poiché in essi io rico-nosco il Figlio di Dio e sono miei signori" (FF 113). L'altro caso è costituito dal comportamento che il superiore deve avere nei confronti dei frati peccatori del-la sua fraternità. Per questo è sufficiente riprodurre la Lettera a un ministro: "E questo sia per te più che stare in romitorio. E io stesso riconoscerò che tu ami il Signore e se ami me servo suo e tuo, se farai questo e cioè che non ci sia alcun

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Omelie

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frate al mondo, che abbia peccato quanto più poteva peccare, che dopo aver visto i tuoi occhi, non se ne ritorni via senza il tuo perdono, se egli lo chiede; e se non chiederà perdono chiedi tu a lui se vuol essere perdonato. E se compa-risse davanti ai tuoi occhi mille volte, amalo più di me per questo, affinché tu lo possa conquistare al Signore e abbi sempre misericordia per questi frati" (FF 235).

Quanto a Chiara, la "pianticella del santo padre Francesco" - come lei stessa amava definirsi - anch'essa scrive nella sua Regola, ispirandosi chia-ramente al suo maestro e modello: "L'abbadessa e le sue sorelle si guardino dall'adirarsi e turbarsi per il peccato di alcuna (sorella), perché l'ira e il turba-mento impediscono la carità in se stessa e nelle altre" (FF 2802; cfr FF 18; 160). E quando i Saraceni vanno all'assalto di Assisi e arrivano fin dentro il chiostro di san Damiano, Chiara va loro incontro disarmata e li respinge pacificamente, con la sola forza della preghiera e del santissimo Sacramento. Questo mi fa pensare che se fosse vissuta ai nostri giorni, a proposito di talune tensioni che esplodono all'interno della Chiesa tra gruppi e movimenti, avrebbe detto con le parole di un'altra Chiara (Lubich): "Ama il gruppo dell'altro come il tuo".

Preghiamo il Signore, per intercessione di san Francesco e santa Chiara, perché nell'imminente anno della fede, accenda nel nostro cuore il fuoco della missione e ci aiuti ad intraprendere l'opera della nuova evangelizzazione con un massimo di comunione tra di noi e con l'ardore della carità apostolica. Lo facciamo con le parole della liturgia: "Infondi in noi, Padre santo, la dolcezza del tuo amore, perché amandoti in ogni cosa e sopra ogni cosa, otteniamo i beni da te promessi che superano ogni desiderio".

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Atti del Vescovo

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Carissimi Fratelli e Amici,

a Dio piacendo, esattamente tra un mese – in coincidenza con la festa del nostro patrono, s. Gaudenzo - in comunione con papa Benedetto e con i Vescovi di tutto il mondo, apriremo la celebrazione dell’anno della fede. Come già annunciato, nella nostra Chiesa particolare, lo vivremo come anno della confermazione della fede. Ecco il dono prezioso che la benevola Provvidenza di Dio Padre ci mette a disposizione: un tempo di grazia per risvegliare, conferma-re, professare la nostra fede e per riaffermare la “gioia e il rinnovato entusiasmo dell’incontro con Cristo” (Porta fidei, 2). Se lo celebreremo bene – con lealtà, con sincerità di cuore e coerenza di vita - l’anno della fede porterà a sua volta un dono pregiato: la passione e l’impegno per la nuova evangelizzazione. E’ proprio al tema della nuova evangelizzazione che ho dedicato la lettera pasto-rale, di imminente pubblicazione: Noi non possiamo tacere. Ad ogni copia ho pensato di allegare un libretto, dal titolo: Ma Tu chi sei? Ri-conoscere Gesù, con l’obiettivo di stimolare e favorire esercizi di primo annuncio.

Come presbiterio, siamo interpellati da tre domande che ricaviamo da altrettante autorevoli indicazioni del santo Padre. La prima: siamo convinti che “il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede”? Il Papa lo af-fermava nel discorso alla Curia romana il 22 dicembre 2011, e aggiungeva: “Se ad essa (crisi della fede) non troviamo risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione e una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre riforme rimarranno inefficaci”. Inoltre condividiamo cordialmente quanto afferma ancora il Papa in Porta fidei, 2? E cioè: “Capita ormai non di rado che i cristiani si diano maggior preoccupazione per le con-seguenze sociali, culturali e politiche del loro impegno, continuando a pensare alla fede come un presupposto ovvio del vivere comune. In effetti questo pre-supposto non è più tale, ma spesso viene perfino negato”. C’è una terza affer-mazione del Papa che ci interpella: “La porta della fede che introduce alla vita di comunione con Dio e permette l’ingresso nella sua Chiesa è sempre aperta per noi. E’ possibile oltrepassare quella soglia quando la parola di Dio viene annun-ciata e il cuore si lascia plasmare dalla grazia che lo trasforma” (PF 1). Se è vero che “con il cuore si crede e con la bocca si fa la professione di fede” (Rm 10,10), la domanda capitale per ognuno di noi è: come “far sì che io sia un credente e lo diventi sempre di più: che io mi veda nella mia verità, con gli occhi di Cristo” (cfr PdV, 73)?

Lettera ai Sacerdoti per l'inizio dell'Anno Pastorale

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A trovare una riposta a quest’ultima domanda sono finalizzati gli eserci-zi spirituali, che avremo la grazia di vivere insieme a Loreto dal 19 al 23 novem-bre, accompagnati dal nostro carissimo “don Vanni”. Permettetemi di rinnovarvi un appello accorato: facciamo del tutto per partecipare, e se proprio non ci sarà possibile, cerchiamo almeno di agevolare la partecipazione di quanti potranno. In quei giorni daremo un segnale forte ai nostri fedeli: che noi presbiteri l’anno della fede lo prendiamo sul serio innanzitutto per noi stessi, e per aiutare così i nostri fedeli a fare altrettanto. Le iscrizioni sono aperte: vi prego di prenotare quanto prima la vostra partecipazione, in modo che se - come ci auguriamo - ci fossero problemi di posti, li possiamo affrontare in tempo e risolverli adeguata-mente.

Per prepararci ad aprire l’anno della fede, potrà essere molto utile par-tecipare e invitare a partecipare alla settimana biblica che si svolgerà dal 24 al 27 settembre sera in Sala Manzoni, sul tema “Il vangelo della grazia e del perdono” (Lettera ai Romani).

Per l’apertura dell’anno pastorale come anno della confermazione del-la fede, ricordo l’incontro con i consigli Pastorali che si terrà in Sala Manzoni venerdì 12 ottobre, con la presentazione del tema dell’anno pastorale e la pro-grammazione diocesana.

Invito inoltre tutti e singoli i presbiteri, come pure i diaconi e larghe delegazioni di fedeli a partecipare alla solenne concelebrazione eucaristica do-menica 14 ottobre, alle 17,30 in cattedrale.

Inoltre vi ricordo altri momenti forti di questo inizio di anno pastorale: l’incontro coi sacerdoti e diaconi sull’iniziazione cristiana, martedì 18 settem-bre; il festival francescano dal 28 al 30 settembre; le diverse proposte forma-tive per gli operatori pastorali: il nuovo percorso presso l’Istituto Superiore di Scienze Religiose (ISSR) denominato “Scuola diocesana di teologia pastorale” a partire dal prossimo ottobre; la Scuola Diocesana per Operatori Pastorali, lo stesso ISSR, la proposta di riflessione a livello parrocchiale o zonale sul Concilio Vaticano II. Infine, siamo chiamati come Chiesa di Rimini a rinnovare in questo primo periodo dell’anno il Consiglio Pastorale Diocesano.

Con queste proposte diocesane e con tutto il lavoro pastorale che verrà portato avanti nelle singole parrocchie, siamo chiamati a metterci in ascolto dello Spirito che, donato nel battesimo e confermato con il dono della cresima, ci chiama come singoli e come Chiesa. Ci ricorda il vangelo di Giovanni “Il Para-clito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome: lui vi insegnerà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26).

Se questi sono i principali appuntamenti di questo primo scorcio dell’anno pastorale, saremo impegnati a portare avanti le grandi scelte che abbiamo fatto come diocesi nel recente passato:

- In primo luogo il percorso di sperimentazione sull’iniziazione cristia-na, a partire dalla pastorale battesimale rinnovata. Anche nelle situazioni in cui non si ritiene opportuno iniziare in questo momento la sperimentazio-ne proposta, è comunque necessario porre attenzione, a partire da questo anno della confermazione della fede, alla preparazione e alla celebrazione del secondo sacramento.

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- Il cammino di studio e di concretizzazione della pastorale integrata, messa a tema nella recente tre giorni sacerdotale di giugno.Lo Spirito Santo discenda abbondantemente sulla nostra Chiesa e su cia-

scuno di noi e ci renda capaci di ascolto e di discernimento. Ci dia inoltre la forza e la gioia di camminare insieme sulla strada tracciata. Con grande affetto vi saluto e vi benedico.

Rimini, 14 settembre 2012Esaltazione della S.Croce

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Carissimi, con la riapertura delle scuole torno a vedere dalle mie finestre, e a

incrociare per strada, folti gruppi di ragazzi e ragazze, carichi di libri e di pen-sieri, avviati verso i diversi istituti, mentre la città si rimette in moto. Intercetto occhiate fugaci e raccolgo frammenti di racconti. Basta uno sguardo, in questi giorni, per indovinare molte delle domande che portate con voi al nuovo suono della campanella. Cosa succederà quest’anno a scuola? Ce la farò a sostenerne il peso? Come sarà il rapporto con i compagni? E con i professori?

Se tornate con la mente indietro, a un anno fa, vi sembra che sia passa-to un secolo: tante cose sono accadute; molte persone si sono rivelate diverse dalle aspettative, nel bene e nel male; voi stessi fatichereste quasi a riconoscer-vi, per come vi trovate cambiati. E così, anche adesso, si inseguono dentro di voi l’orgoglio per il percorso fatto e le ansie per le incognite future, fragilità e corazze, dubbi e certezze, slanci audaci e paurosi testacoda.

Fra i tanti interrogativi, permettete che ve ne suggerisca uno anch’io. Mentre vi chiedete cosa incontrerete sulla vostra strada, pensate anche a chi vi può essere davvero di aiuto nel cammino della vita. Non si cresce da soli e - ce ne accorgiamo o meno - siamo sempre alla ricerca di persone realmente felici e pienamente soddisfatte, da cui cogliere il segreto della loro energia e serenità. Talvolta ci affascina chi si mostra sempre sicuro e sprezzante, capace di affron-tare le cose con spirito di autonomia assoluta e noncuranza per le regole. Poi ci accorgiamo, però, che i più cinici e ribelli sono in realtà persone ferite, senza fiducia, profondamente sole. E subentra la tentazione di chiuderci in noi stessi, di guardare scorrere la realtà come fossimo semplici spettatori.

Anche se siete giovanissimi, conoscete bene sia i picchi dell’entusiasmo che gli strapiombi della delusione. Per questo credo che, anche nell’esperienza scolastica, avete giustamente bisogno di una compagnia sicura, che appassioni senza tradire. Nella mia vita, è nella comunità cristiana che ho trovato risposta a questa sete. È grazie a lei che ho scoperto Gesù di Nazaret come un maestro diverso da tutti gli altri. L’unico capace di dare la vita per me e mostrarmi la via dell’amore. Alla sua scuola conosciamo il significato di quelle che a volte sembrano solo parole: verità, gioia, fedeltà, perdono. E il senso misterioso del dolore.

Anche quest’anno ho un dono da chiedervi. In questi stessi giorni cade il quinto anniversario del mio arrivo a Rimini. Cinque anni sono pochi, ma sono anche tanti. Voi sapete bene come, in un simile arco di tempo, si possa concen-trare una straordinaria densità di esperienze, di incontri, di progetti. Da parte

Lettera agli studenti in occasione dell'inizio dell'anno scolastico

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mia, sono commosso e grato per quanto ho ricevuto, anche da tantissimi ra-gazzi come voi, in questa “scuola di vita e di fede” che sono la nostra comunità cristiana e le nostre città. Allora, ecco il regalo che vi chiedo: non temete di approfittare di tutte le occasioni possibili per portare ancora più vicino al mio cuore ciò che riempie di bellezza, di desiderio e di inquietudine la vostra vita. Io non mancherò di ascoltarvi.

Rimini, 17 settembre 2012

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Noi non possiamo tacereLettera pastorale 2012

Carissimi Fratelli e Sorelle, ho pensato di dedicare questa Lettera Pastorale al tema della fede e della

nuova evangelizzazione. Ma prima di tutto desidero rivolgervi un saluto grato e affettuoso, con la preghiera di voler accogliere queste riflessioni con animo aperto e cuore disponibile. E fin d’ora vi ringrazio per l’attenzione che, ne sono sicuro, vorrete riservarmi.

Il tracciato che invito a percorrere è molto semplice: in un primo capitolo mi soffermerò sugli scenari della nuova evangelizzazione (il perché); in un se-condo, cercherò di declinare le attenzioni da avere (il come); in un terzo, vorrei riflettere con voi su alcune situazioni e preziose opportunità (il quando).

I. Il perchè di una nuova evangelizzazione

1. La questione numero 1. Ogni volta che le ascolto o le rileggo, mi re-stano tenacemente scolpite nel cuore le parole che con mite fermezza il Papa continua a martellare sulla questione “prima-primaria” della Chiesa in questo straordinario e delicatissimo tornante della storia: la questione della fede. Se si prova a fare una ricerca sul sito www.vatican.va e si clicca alla voce “Benedetto XVI e crisi della fede”, si trovano ben 1290 risultati. Segni di un allarmante dram-ma in corso? Il Papa li riscontra nel numero declinante e nell’età sempre più avanzata delle persone che vanno regolarmente in chiesa; nella preoccupante stagnazione delle vocazioni al sacerdozio; nel persistente dilagare di scettici-smo e incredulità; ma soprattutto nella diffusione pervasiva – dentro la Chiesa stessa – di una certa stanchezza del credere e addirittura di una assuefatta noia nel “fare” i cristiani. A questa crisi della fede il Papa riconduce tutti i mali che ci affliggono e le crisi che stiamo attraversando, come quella – gravissima – eco-nomica e finanziaria, che a sua volta deriva dalla crisi etica, e anche questa va ultimamente ricondotta alla crisi della fede. Di qui la domanda: che cosa dob-biamo fare? Ecco la risposta del Papa:

Esistono infinite discussioni sul da farsi perché si abbia una inversione di tendenza. E certamente occorre fare tante cose. Ma il da fare da solo non risolve il problema. Il nocciolo della crisi della Chiesa in Europa è la crisi della fede. Se ad essa non troviamo una risposta, se la fede non riprende vitalità, diventando una profonda convinzione e una forza reale grazie all’incontro con Gesù Cristo, tutte le altre rifor-me (della Chiesa) rimarranno inefficaci. (Benedetto XVI, 22.12.2011)

Pertanto “il rinnovamento della fede deve essere l’impegno prioritario nella

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missione della Chiesa ai nostri giorni” (12.7..2012). Il Papa è seriamente preoc-cupato del frangente, ma preoccupazione non equivale a pessimismo, nono-stante che di questo pontificato continuino a circolare rappresentazioni ormai piuttosto usurate, ma che i fatti smentiscono puntualmente, giorno dopo gior-no. In effetti Benedetto non si ferma a una diagnosi impietosa della situazione, e non lascia margine alcuno a catastrofismi di sorta. Lo si vede dal suo coraggio nello stilare una terapia efficace, adeguata alla corrispettiva inquietante patolo-gia: la “grande medicina” per la nostra sindrome sta appunto nel risveglio della fede e nella gioia di essere cristiani.

2. Noia o gioia? La gioia, come antivirus alla noia di essere cristiani. Esplo-rando nei labirinti di internet, ho ritrovato un articolo che il card. Joseph Ratzin-ger aveva scritto quasi al termine del grande Giubileo del 2000. Ne riporto il brano centrale:

La vita umana non si realizza da sé. La nostra vita è una questione aperta, un pro-getto incompleto ancora da completare e da realizzare. La domanda fondamentale di ogni uomo è: come si realizza questo diventare uomo? come si impara l’arte di vivere? quale è la strada alla felicità? Evangelizzare vuol dire: mostrare questa strada – insegnare l’arte di vivere. Gesù dice all’inizio della sua vita pubblica: ‘Sono venuto per evangelizzare i poveri’ (Lc 4,18). Questo vuol dire: ‘Io ho la risposta alla vostra domanda fondamentale; io vi mostro la strada della vita, la strada alla felici-tà – anzi: io sono questa strada’. La povertà più profonda è l’incapacità di gioia, il tedio della vita considerata assurda e contraddittoria. Questa povertà è oggi molto diffusa, in forme ben diverse sia nelle società materialmente ricche sia anche nei paesi poveri. L’incapacità di gioia suppone e produce l’incapacità di amare, pro-duce l’invidia, l’avarizia – tutti i vizi che devastano la vita dei singoli e il mondo. Perciò abbiamo bisogno di una nuova evangelizzazione – se l’arte di vivere rimane sconosciuta, tutto il resto non funziona più. Ma questa arte non è oggetto della scienza – questa arte la può comunicare solo chi ha la vita – colui che è il Vangelo in persona. (Card. Joseph Ratzinger, Osservatore Romano11-12.12.2000)

Dobbiamo riconoscerlo: abbiamo smarrito l’arte di vivere, perché non sap-piamo più rispondere alle tre domande capitali, che, da quando è apparso sulla faccia della terra, l’homo sapiens sapiens e tutti i figli di Eva si portano in cuore: “chi siamo? da dove veniamo? dove andiamo?”. Nella sua Storia ecclesiastica del popolo inglese, il Venerabile Beda racconta come la fede cristiana fece il suo ingresso nel nord dell’Inghilterra. Quando i missionari venuti da Roma arri-varono nel Northumberland, il re Edwino convocò un consiglio dei dignitari per vedere se permettere loro, o meno, di diffondere il nuovo messaggio. Si alzò uno di loro e disse:

Immagina, o re, questa scena. Tu siedi a cena con i tuoi ministri e condottieri: è inverno, il fuoco arde nel mezzo e riscalda la stanza, mentre fuori mugghia la tem-pesta e cade la neve. Un uccellino entra da una apertura della parete e subito esce

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dall’altra. Mentre è dentro, è al riparo dalla tempesta invernale; ma dopo aver go-duto del breve tepore, subito scompare dalla vista perdendosi nel buio inverno da cui è venuto. Tale ci appare la vita degli uomini sulla terra: noi ignoriamo del tutto ciò che la segue e ciò che la precede. Se questa nuova dottrina ci reca qualcosa di più sicuro su tali questioni, dico che la si deve accogliere.

Ecco perché non possiamo non tornare ad evangelizzare. Perché la gente del Terzo Millennio si porta dentro i grandi interrogativi di ieri, di oggi, di sem-pre. E l’evangelo di Gesù è l’unica risposta sicura e pienamente valida a quelle domande insopprimibili. La fede cristiana sta o cade con questa certezza.

3. I nuovi scenari. Ma c’è un’altra ragione che rende urgente una nuova evangelizzazione, ed è la crisi indotta dalla secolarizzazione, intesa nella sua versione secolarista. Il secolarismo è sinonimo di temporalismo e indica la ri-duzione del reale alla sola dimensione terrena. È stato detto che “la caduta dell’orizzonte dell’eternità ha sulla fede l’effetto che ha la sabbia gettata su una fiamma: la soffoca, la spegne” (R. Cantalamessa, Come la scia di un vascello, 2012, 104).

All’inizio della diffusione del cristianesimo, l’idea cristiana di una vita eter-na per la persona umana – nella sua componente non solo spirituale, ma anche corporea – aveva trionfato sull’idea pagana del “buio oltre la morte”. La fede nell’aldilà ha trasformato l’intera esistenza e ha informato una nuova civiltà. Ricordiamo la storia dei due spaccapietre. Un giorno, nel lontano Medioevo, un pellegrino si trovò a passare per una stradina che costeggiava una cava di pietra. Si avvicinò al primo scalpellino e gli chiese: “Cosa stai facendo?”. L’uomo, visibilmente contrariato da quella domanda, rispose: “Non lo vedi? Mi sto ammazzando di fatica, per scheggiare queste pietre”. Si voltò verso l’altro scalpellino e gli pose la stessa domanda. “Non lo vedi? – rispose l’uomo, sor-ridendo con fierezza – “Sto costruendo una cattedrale”. Il Medioevo è stata una delle epoche più impregnate di fede cristiana, ma forse che la verità della vita eterna ha impedito di realizzare le grandi opere d’arte che tutti possiamo ancora ammirare?

Eppure due secoli fa è stato gettato il sospetto sulla credenza in una vita dopo la morte, sotto pretesto che “i cristiani guardano al cielo e chiudono gli occhi alla terra”. A poco a poco, con l’incubo della alienazione, la parola eterni-tà è stata silenziata nel vocabolario corrente. Purtroppo questo fenomeno ha avuto un pesante contraccolpo in casa nostra. Quando abbiamo sentito l’ultima predica sulla vita eterna e sulla risurrezione dei morti? Così il materialismo e il consumismo nelle nostre società opulente hanno verificato il detto paolino, riferito a quanti negano la risurrezione della carne e la vita eterna: “Mangiamo, beviamo, domani moriremo”. L’insopprimibile desiderio umano di vivere per sempre (1 Cor 15,32) si è rovesciato nell’angoscia e in una ossessiva frenesia di sopravvivere il più a lungo possibile, tentando in tutti i modi di rimanere – o, meglio, di apparire – sempre giovani. Ecco l’unico disco rosso che vige

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in Italia: vietato invecchiare. Ecco l’unico comandamento dell’ultima religione “secolare”: mostrarsi fisicamente giovani. Fare di tutto per sottrarsi alla realtà più democratica in assoluto, il tempo, che scorre inarrestabile con ritmo fatalmente imparziale, per tutti: per piccoli e grandi, per potenti ed emarginati, per i divi e i loro irriducibili fans. Da noi, quasi nessuno “ammette” la vecchiaia, che, secondo il dogma più diffuso, comincerebbe solo dopo gli ottant’anni. In altri termini, vista l’aspettativa della vita, in Italia si “diventa” vecchi soltanto dopo la morte! Intanto, siamo secondi solo al Giappone, nella classifica dei Paesi più vecchi della terra.

Due sono state di fatto le reazioni alla cancellazione dell’orizzonte dell’eter-nità, effettuata dal secolarismo. Una è la credenza nella reincarnazione, conside-rata come la via per bypassare la tremenda serietà della vita e della morte. Al ri-guardo occorre demistificare l’abbaglio macroscopico e il colossale travisamento dell’idea originaria della reincarnazione, che considera il ciclo delle rinascite un male, un terribile castigo. Nella nostra cultura occidentale, di stampo edonistico e utilitaristico, il mito orientale della reincarnazione è stato stravolto e ulteriormen-te “mitizzato” come il sogno dorato di progresso indefinito. Ma si può appendere il senso della vita a un “gancio” così fragile e per giunta paurosamente sospeso nel vuoto? Del resto quanti cristiani si dicono tali, ma non credono più nella risur-rezione della carne e la rimpiazzano con la reincarnazione?

Un’altra reazione “secolare” alla concezione cristiana della unicità e decisività della vita in ordine all’eternità è quella divulgata dal romanzo dello scrittore ceco Milan Kundera, L’insostenibile leggerezza dell’essere. In accordo con il proverbio tedesco einmal ist keinmal – ciò che accade una sola volta è come se non acca-desse mai – l’autore afferma la totale irrilevanza dell’esistenza umana come la prova generale di una rappresentazione che non avrà mai luogo. Non avendo vite anteriori da cui imparare, né vite future in cui riparare, le scelte che compiamo appaiono del tutto insignificanti – e qui sta la loro “leggerezza”; questo rendereb-be il tentativo di dare un senso alla vita uno sforzo “insostenibile”.

Non si può però sottacere quanto di positivo il cristianesimo ha appreso dal confronto con la secolarizzazione. Sia credenti che non credenti si trovano acco-munati da un elemento che li avvicina: l’umano.

Proprio questo elemento dell’umano, che è il punto naturale dell’inserzione della fede, può diventare il luogo privilegiato dell’evangelizzazione. È nell’umanità piena di Gesù di Nazaret che abita la pienezza della divinità. Purificando l’umano a partire dall’umanità di Gesù di Nazaret i cristiani possono incontrarsi con gli uomini seco-larizzati, ma che tuttavia continuano a interrogarsi su ciò che è umanamente serio e vero. Il confronto con questi cercatori di verità aiuta i cristiani a purificare e a maturare la loro fede. (Instrumentum laboris per il Sinodo sulla nuova evangelizzazione, 2012, n.54)

4. Sincretismo e neo-paganesimo. Ora vorrei accennare in modo più succinto ad altri fenomeni che caratterizzano la nostra società e che reclamano anch’essi l’urgenza di una nuova evangelizzazione.

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Oggi in Europa c’è un pluralismo religioso non solo di fatto, ma anche di diritto: sono presenti diverse religioni, alle quali è riconosciuta una uguale le-gittimità di esistere. Ma da ciò non ne segue che tutte le religioni siano uguali, o che una valga l’altra. I cristiani sono impegnati al rispetto e al dialogo con i seguaci di altre religioni per conoscerli correttamente e per essere da loro correttamente conosciuti, per superare pregiudizi e malintesi, per stabilire re-lazioni reciproche di stima, accoglienza e amicizia, in modo che ognuna delle parti possa approfondire la propria esperienza di fede e avvicinarsi di più a Dio. Ma dialogare non può significare cedere al relativismo o al sincretismo. La fede non può essere imposta, ma non può non essere proposta, e pertanto richiede credenti umili e grati per il dono ricevuto, ben consapevoli della pro-pria identità, capaci di rendere ragione della speranza cristiana e di annunciare l’evangelo anche a persone di altra religione, “quando vedranno che piace al Signore” (San Francesco d'Assisi, Regola non bollata, 16) .

Una malintesa concezione del pluralismo religioso è rappresentata dalla deriva del sincretismo. Ci si inventa la propria religione su misura, o, meglio, il proprio cocktail religioso: un po’ di yo-yo (yoga+yogurt), una scorza di eso-terismo e di magia, un pizzico del menù di varie religioni, il tutto frullato con qualche reminiscenza di catechismo, appreso durante l’infanzia e mai del tutto rimosso, ma solo relativizzato in una gradevole miscela fai-da-te, destinata prima di tutto all’appagamento personale.

C’è un’altra considerazione da aggiungere: contro ogni presagio, la secola-rizzazione non ha portato al trionfo dell’incredulità, ma al ritorno del pagane-simo. Tra parentesi: non si può dire che i pagani fossero irreligiosi; in un certo senso lo erano fin troppo, tant’è vero che erano politeisti e idolatri. La nostra epoca post-moderna – che alcuni chiamano anche post-secolare – assiste al proliferare di idoli antichi e nuovi: il denaro, il potere, il piacere, l’immagine, il benessere psico-fisico, il prestigio sociale. Bisogna onestamente ammettere che quando la fede muore, cresce la creduloneria, con il suo lugubre corteo, fatto di spiritismo, astrologia, magia vera e propria, superstizioni varie. Il tutto collegato a un colossale giro di affari che coinvolge quasi 200mila operatori dell’occulto in Italia, e valutato in cifre da capogiro, intorno a centinaia di mi-liardi. In effetti non è che dove la fede svanisce, non si creda più a niente, ma si finisce per credere un po’ a tutto.

La caduta delle grandi ideologie, la desertificazione di senso, l’atrofia spi-rituale hanno prodotto un clima pesante, un’aria piatta e viziata: ci manca il respiro. Si è diffuso uno scetticismo amaro, si è ingenerata una cupa diffidenza per le grandi speranze, si è incallito il sospetto per i grandi progetti. Ci si con-tenta dei frammenti, e ci si rassegna a vivere alla giornata. È come se la nostra società occidentale viaggiasse su una nave, in cui il comando è stato assunto dallo chef di bordo, e ciò che trasmette al megafono del comandante non è più la rotta, ma ciò che si mangerà domani (Soeren Kierkegard). Nel paesaggio culturale prevale in molti la sensazione di una “resistenza molle” alla fede, una sorta di muro di gomma che non permette ai fermenti del vangelo di bucare

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quella cortina di indifferenza che separa la comunità cristiana dalla società civile.

Non si può però negare che il profilarsi di questi nuovi scenari, oltre alle pesanti ombre su richiamate, ha prodotto anche alcune luci, che rappresentano delle interessanti opportunità per la nuova evangelizzazione. Ne cito alcune. Ad esempio, la globalizzazione e il fenomeno migratorio hanno portato i credenti a rendersi conto che la missione deve essere svincolata dai confini geografici: ormai si ritrova in tutti e cinque i continenti. Bisogna riconoscere che anche nei Paesi di antica evangelizzazione esistono settori e ambienti estranei alla fede, perché in essi gli uomini non l’hanno mai incontrata e non soltanto perché se ne sono allontanati.

Un’altra opportunità è costituita dalla diffusione, sempre più rapida e per-vasiva, degli strumenti della comunicazione sociale: i mass-media sono ovun-que attorno a noi fino a diventare delle vere e proprie protesi del nostro corpo. Opportunità e rischi della nuova cultura mediale non vanno minimizzati: pos-sono favorire un nuovo umanesimo o ingenerare una drammatica alienazione dell’uomo da sé e dagli altri. Se il mandato di comunicare l’evangelo è reso oggi più urgente, per altro verso l’evangelizzazione stessa della cultura dipende in gran parte dall’influsso dei media.

Anche l’innalzamento del livello medio della cultura, con la conseguente diffusione dello spirito critico non rappresenta di per sé una condizione sfavo-revole. Il fatto che ci si voglia rendere conto di persona, che si esigano prove e documenti, non è un male. La fede non teme il dialogo con la ragione. Semmai occorre ricordare che l’alternativa al credere non è il ragionare, ma piuttosto il rassegnarsi al “così pensan tutti” e lo scivolare nelle sabbie mobili dell’irrazio-nale e dell’assurdo.

Ma anche dentro la Chiesa stessa gli scenari prima configurati stanno com-portando una salutare presa di coscienza dell’immobilismo e dei ritardi accu-mulati nell’obbedire al mandato missionario del Signore, come pure hanno indotto una severa autocritica per le gravi incoerenze di credenti e comunità cristiane.

Il confronto con il mutato clima culturale e religioso implica anche la pre-ziosa occasione fornita alle nostre comunità cristiane di approfondire la com-prensione della fede e di collaborare con tutti gli uomini di buona volontà per dilatare gli spazi dentro i quali si può collaborare allo sviluppo di costruttive esperienze di pace per una società sempre più umana.

Tutte queste considerazioni portano alla conclusione che oggi una nuova evangelizzazione è urgente, ma è anche opportuna, e tuttavia non vogliono in-generare l’idea che sia prevalentemente il mutato contesto culturale a motivar-ne la messa in opera. La missione di comunicare l’evangelo nasce innanzitutto dall’interno stesso della fede. Per questo si può dire che è sempre tempo di evangelizzazione.

Prima di chiudere questo capitolo, mi veniva da pensare alla nostra Chiesa riminese, e mi sentivo percuotere dalla inquietante domanda di Gesù, l’unica che in tutto il vangelo rimane senza risposta: “Ma il Figlio dell’uomo, quando verrà, troverà ancora la fede” a Rimini? (cfr Lc 18,8) .E dal cuore mi sentivo salire

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una preghiera: se il Signore ci regalasse un altro Alberto Marvelli, un’altra suor Rosa Pellesi, un altro don Oreste!

II. Guardando a Gesù e a San Paolo5. La prassi missionaria di Gesù. È un dato inconfutabile, concordemente

affermato dai racconti evangelici: dopo il battesimo al Giordano, Gesù ha dato inizio alla sua attività pubblica “proclamando il vangelo di Dio” (Mc 1,14). Ha svolto questa attività andando in giro per i villaggi della Galilea, nelle sinagoghe e nelle piazze, sulle rive del lago o su qualche monte, nel deserto o per le stra-de, nelle case e nel tempio. Gesù è un rabbi, ma molto diverso, per esempio, da rabbi Gamaliele – il futuro maestro di Saulo di Tarso – a differenza del quale non ha aperto una scuola per lo studio della santa Legge di Dio a Gerusalem-me. Non si è ritirato a vita nel deserto, come facevano in quegli anni alcuni pii ebrei, in attesa della salvezza d’Israele. Non ha scelto di fondare un movimento di resistenza politica contro l’invasore romano, come gli zeloti o i sicari. Gesù è un maestro diverso, diverso anche dal Battista, che pure ne aveva preparato la venuta: Giovanni predica e battezza nello scenario fisso del Giordano, e da lui si riversa una fiumana di gente che viene da tutta l’area circostante. Gesù invece è sempre in movimento, non si lascia trattenere dalla gente che rimane stupita del suo insegnamento. L’evangelista Marco ci riporta la prima giornata di attività pubblica del Maestro di Nazaret: un trionfo strabiliante, ma all’indomani – con amara delusione di Simone e compagni, Gesù si rimette presto in cammino, per portare altrove il suo messaggio di salvezza.

Ma qual era il cuore della sua predicazione? Non una visione del mondo, ricavata dalla comune esperienza umana. Neppure un complesso di verità reli-giose o di precetti morali, frutto di riflessione particolarmente penetrante. Non era una regola di vita, escogitata per raggiungere una imperturbabile tranquillità dell’anima. Gesù annuncia un avvenimento appena iniziato e in pieno svolgi-mento: Dio ha deciso di instaurare il suo regno sulla terra. Prima di essere un insegnamento, quello di Gesù è un messaggio, un grido di gioia: viene il regno di Dio! e beati sono quelli che lo accolgono! Ecco la notizia sorprendente e ol-tremodo gradita. Una semplice frase, collocata in apertura del vangelo di Marco, riassume tutto l’annuncio che molti attendevano, ma che nessuno aveva ancora comunicato: “Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino; convertitevi e cre-dete al vangelo” (Mc. 1,15). Questo è l’evangelo, il lieto messaggio che Gesù viene a portare. È la causa che lo tiene in vita, la verità che lo incanta, la speranza che lo accende e mette in movimento. Come si può vedere, la frase riportata da Marco si può spezzare in due righe:

Il tempo è compiuto e il regno di Dio è vicino;convertitevi e credete al vangelo.

Nella prima riga Gesù annuncia quello che fa Dio: la storia è arrivata alla svolta determinante, e Dio viene per regnare in modo nuovo, definitivo. Viene

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per aprire un cammino sicuro verso la pienezza della vita e della pace. Il suo regno non è da intendersi in modo statico, quasi fosse un luogo o un territorio recintato, ma in modo dinamico, come sovranità, regalità in atto, da parte di un Dio, che si è fatto vicino: è l’Emmanuele, il Dio-con-noi. E si rivela come amore gratuito e misericordioso, rivolto a tutti, specialmente agli oppressi e ai peccatori.

Dopo aver proclamato quello che fa Dio, solo dopo Gesù indica quello che è chiamato a fare l’uomo: convertirsi e credere a questa buona notizia. Prima viene l’indicativo dell’avvenimento, che Dio ha deciso di compiere per l’uomo; poi viene l’imperativo del comportamento, che l’uomo è chiamato ad assumere nei confronti di Dio. Prima viene l’iniziativa dell’amore gratuito del Padre; poi viene la libera risposta della conversione dei figli. Prima la grazia, poi la morale.

Ora proviamo a inquadrare Gesù evangelizzatore all’opera. Ci lasciamo gui-dare dall’evangelista Luca. È di sabato: Gesù si reca nella sinagoga del suo pa-ese, Nazaret. Mentre si svolge l’ufficio della liturgia, l’illustre concittadino viene chiamato a proclamare la lettura della santa parola di Dio. Gesù, di proposito, sceglie con cura il brano del profeta Isaia e proclama solennemente:

Lo Spirito del Signore è sopra di me;per questo mi ha consacrato con l’unzionee mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio,a proclamare ai prigionieri la liberazionee ai ciechi la vista;a rimettere in libertà gli oppressi,a proclamare l’anno di grazia del Signore.

Gesù si riferisce al profeta Isaia (Is 61, 1-11), ma lo purifica e lo supera. Lo purifica, tagliando appositamente il brano all’annuncio dell’anno di grazia, in modo da eliminare i successivi tratti di carattere particolaristico (ogni riferimento a Sion e alla Giudea) e tralascia tutte quelle espressioni che sapevano di castigo e di rivalsa, come la promulgazione del “giorno di vendetta del nostro Dio”. In bocca a Gesù, il brano è diventato ora un messaggio di salvezza e di gioia non solo per Israele, ma per tutti i popoli. Inoltre il Maestro supera il profeta, poiché Gesù è ben più di Elia, di Geremia, o uno dei profeti. Con Gesù l’evangelo supera la profezia, nel senso che la compie in eccedenza, la realizza in sovrabbondanza. Il profeta parla al futuro e annuncia una promessa che si compirà; Gesù invece annuncia l’avvenuto, smisurato compimento della promessa: “Oggi si è compiu-ta questa Scrittura che voi avete ascoltato”. Ecco la lieta notizia che il Figlio di Dio è venuto a portarci: Dio non si è stancato di prendersi a cuore le sorti dei suoi figli. E Gesù in persona è la nuova, definitiva manifestazione di Dio. Mettendosi a fianco degli oppressi, degli affamati, dei malati, degli afflitti, dei perseguitati, rende visibile con il suo comportamento l’agire stesso del Padre. Quindi Gesù è la trasparenza della salvezza: non solo ne comunica la buona novella, ma la realizza nella sua persona. In lui è Dio stesso che va incontro ai poveri, ai tanti bisognosi, e li chiama ad essere suoi figli, conferendo loro una dignità che nes-suna circostanza esteriore può diminuire o annullare del tutto: né la malattia,

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né l’emarginazione, né l’insuccesso, né alcun’altra avversità. Anzi, una situazione fallimentare può riuscire addirittura vantaggiosa. I poveri, i sofferenti, i peccatori sperimentano acutamente la loro debolezza. Non possono salvarsi da soli. Ma se sono disposti a lasciarsi salvare da Dio e si abbandonano al suo amore di Padre con umiltà e fiducia, possono essere beati perfino in mezzo alle tribola-zioni. Come è beato Gesù stesso: è povero e perseguitato, ma pieno di gioia. Gli basta essere amato come Figlio ed è felice di vivere da Figlio amato. Questo è il segreto della sua incontenibile, esuberante felicità: è grato di ricevere tutto dal Padre e lieto di essere nulla senza di lui. Ma questa gioia di vivere non la tiene per sé, la vuole condividere: “Venite a me voi tutti che siete affaticati e oppressi e io vi ristorerò” (Mt 11,28); “La mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena” (Gv 15,11); “Vi lascio la pace, vi do la mia pace” (Gv 14,27).

Con la Pasqua si registra un salto qualitativo. Risorto da morte, Gesù ha

lasciato ai suoi questo testamento: “proclamate il vangelo a ogni creatura” (Mc 16,15). Così, da annunciatore del regno di Dio, Gesù diventa il Signore annun-ciato dalla Chiesa. Dall’evangelo di Gesù si passa all’evangelo su Gesù. È lui il regno di Dio, instaurato dallo Spirito Santo, in mezzo a noi; è lui l’anticipo della nuova umanità. Dal mattino della Pentecoste il programma fondamentale della Chiesa rimane quello di rivelare l’evangelo di Gesù Cristo. Anche il messaggio di Pietro e compagni si presenta con le caratteristiche di densità nel contenuto e di concisione nella forma, già riscontrate nella predicazione di Gesù. Addirittura il vangelo si può trovare concentrato – nella lingua greca del Nuovo Testamento – in una sola parola: “è risorto” (gr. egherthe). Ma ancora non abbiamo detto tutto: con la Pasqua Gesù non è solo il contenuto dell’evangelizzazione, ma continua ad esserne il protagonista. L’ascensione non costituisce il termine della missione di Gesù, ma la sua espansione nel mondo, come si desume dalla finale del vangelo secondo Marco (Mc 16, 19-20):

Il Signore Gesù, dopo aver parlato con loro,fu elevato in cielo e sedette alla destra di Dio.Allora essi (gli apostoli) partirono e proclamarono (l’evangelo) dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro (synergountos) e confermava la Parola con i segni che l’accompagnavano.

Questa è l’evangelizzazione: è una sinergia di Gesù con noi per la salvezza del mondo. Né Gesù da solo vuole evangelizzare, né noi da soli possiamo evangeliz-zare. La Chiesa è Gesù-con-noi-per-il-mondo.

6. Ora guardiamo a san Paolo. La sua esperienza come evangelizzatore rimane anche per noi esemplare e paradigmatica. Vediamo l’origine di questa esperienza e poi alcuni tratti inconfondibili.

All’inizio è stato decisivo per il fariseo Saulo l’incontro con Cristo sulla strada di Damasco. Paolo stesso vi accenna in due passi sicuramente autobiografici

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(Gal 1,13-17; Fil 3,7-14). Quel giorno Saulo di Tarso si è sentito “conquistato” da Cristo; ha scoperto di essere stato preceduto dall’amore di Dio “fin dal seno di sua madre” e di essere “mandato ad annunciare il vangelo”. L’evangelizzazione è la sua vocazione, e rimane il suo pensiero fisso. Non è una attività marginale o periferica, ma il compito fondamentale, il dovere primario e assolutamente irrinunciabile, per cui non gli è più possibile vivere per se stesso: “Guai a me se non annuncio il vangelo!” (1Cor 9, 16).

Tutta la vita apostolica di Paolo può essere benissimo riassunta in questa semplicissima frase: “Purché Cristo venga annunciato” (Fil 1,18). Votato inte-ramente alla causa dell’evangelo, l’apostolo non si lascia intimidire da nessun rischio, né arrestare da alcun ostacolo. Non si scoraggia per le scarse conversioni tra gli ebrei né per le infedeltà e i tanti problemi delle piccole comunità da lui stesso fondate.

Interessante anche uno sguardo rapido sulla strategia missionaria di Paolo: percorre le grandi arterie militari e le rotte commerciali, punta sulle grandi città, da cui è più facile l’irradiazione missionaria nell’interno. Questo è il suo metodo: annunciare il vangelo nelle città portuali, formarvi una comunità e, appena que-sta ha maturato una discreta autonomia, affidarle la responsabilità della missio-ne nella regione circostante, per poi andare altrove. Ma Paolo non abbandona le comunità da lui fondate: le visita quando può, invia messaggeri, indirizza delle lettere. Soprattutto si preoccupa di “metterle in rete”, in modo che sentano ed esprimano la loro appartenenza all’unica Chiesa di Dio. E si preoccupa che ogni comunità sia quella particolare comunità: ad esempio, la Chiesa di Corinto non può non essere in comunione con quella di Gerusalemme, ma non ne deve diventare una copia conforme.

Un’altra caratteristica dell’esperienza missionaria di Paolo è il primato della

parola, la centralità della predicazione. Di se stesso dice: “Cristo non mi ha man-dato a battezzare, ma ad annunciare il vangelo” (1Cor 1,17). Alla causa dell’e-vangelizzazione Paolo dedica tutta la vita e per essa impegna tutte le sue forze, ma non si limita ad annunciare semplicemente l’evangelo; si sforza di renderlo quasi leggibile nel suo comportamento, come una parola visualizzata, al punto da poter dire: “Fatevi insieme miei imitatori e guardate quelli che si comportano secondo l’esempio che avete in noi” (Fil 3,17). E al centro del centro dell’evan-gelo secondo Paolo c’è sempre l’evento di Gesù Cristo, sintetizzato in questa formula:

Cristo morì per i nostri peccati secondo le Scritturee fu sepolto;è risorto il terzo giorno secondo le Scritturee apparve a Cefa e quindi ai Dodici. (1Cor 15,3 s)

In effetti Paolo nelle sue lettere non racconta la vita di Gesù, non riporta al-cuna parabola né alcun miracolo da lui operato, e non cita alcun episodio della sua vita pubblica. Paolo è tenacemente convinto che nell’annuncio della croce

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gloriosa di Cristo ci sia tutto, e che questo tutto possa e debba bastare.Il Crocifisso-Risorto: questa è e rimane la cellula genetica della fede. Solo se

la luce della Pasqua è accesa, si può comprendere la storia che l’ha preceduta (l’incarnazione, l’infanzia, la vita pubblica di Gesù) e quella che l’ha seguita: la storia della Chiesa.

7. Un decalogo per l’evangelizzazione. Dalla prassi missionaria di Gesù e di Paolo, possiamo ricavare alcune proposizioni sintetiche che ci consentono di fissare ciò che è veramente essenziale per la nuova evangelizzazione.

1.L’evangelizzazione nasce da una autentica e profonda esperienza di Cristo. Gesù può raccontare Dio perché – nella sua preesistenza eterna – ha visto il Pa-dre e nella sua esistenza storica rimane tenacemente, instancabilmente orienta-to verso il Padre. Già a dodici anni Gesù si dice unicamente interessato alle cose del Padre suo. Al Giordano, poi, fa l’esperienza della discesa dello Spirito Santo e dal Padre viene proclamato il Figlio suo proprio, l’unico, l’amato. Gesù non po-trebbe essere la trascrizione fedele dell’amore del Padre, se questo amore non fosse per lui la sorgente zampillante a cui attingere, il baricentro su cui poggiare, la radice da cui assorbire la linfa vitale, al punto da poter dire: “Come il Padre ha amato me, così anch’io ho amato voi”.

Anche Paolo, dopo il battesimo ricevuto a Damasco per mano di Anania, passa un lungo periodo di “incubazione” della nuova rivelazione ricevuta, di almeno tre anni, in Arabia, prima di salire a Gerusalemme, per incontrarsi con Pietro. Come Gesù si è sentito costantemente amato dal Padre, cosi Paolo – dopo essere stato afferrato da Cristo – non si è più svincolato dal suo abbraccio. Non può essere annunciatore dell’amore di Dio un cristiano che non si senta personalmente “inzuppato” – l’espressione è di don Oreste – dall’amore di Dio.

2. La salvezza è grazia, è dono gratuito e sorprendente: non si conquista, ma si accoglie; non si merita, come pensavano i farisei, ma si ospita con stupo-re umile e grato. Con Dio non si fa mercato. Ricordiamo la breve parabola del tesoro nascosto nel campo: appena lo trova, quel tale “va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo”. Certo, per acquistare il tesoro del regno di Dio, bisogna rinunciare a tutti i propri averi, ma tale rinuncia viene dopo la felice scoperta del tesoro ed è vissuta con un “pieno di gioia”. Quindi prima la stupita sorpresa della scoperta; subito la gioia, una gioia incontenibile e strari-pante; dopo – solo dopo – la rinuncia, una rinuncia esigente e intransigente; e infine l’appagante possesso del tesoro. Si possono decodificare in filigrana due messaggi capitali: il primo, che la rinuncia non è fine a se stessa, ma è causata dalla scoperta della via alla felicità e finalizzata al “centuplo”, a una pienezza di vita; secondo, che una rinuncia così radicale è sostenibile, solo a patto che si sia già sperimentata la gioia. La gioia è l’imprescindibile condizione per la rinuncia, e, dopo, una sua immancabile conseguenza.

3. L’evangelizzazione è una esigenza irrinunciabile. Gesù non può fare a meno di andare in giro ad annunciare la misericordia del Padre. Dopo il succes-

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so della sua prima giornata di predicazione a Cafarnao, non cede al richiamo se-ducente di Simone: “Tutti ti cercano”, ma risponde brusco: “Andiamocene altro-ve, nei villaggi vicini, perché io predichi anche là; per questo infatti sono venuto”. E l’evangelista conclude: “E andò per tutta la Galilea” (Mc 1,35-39). Come dirà più avanti: “Gesù percorreva i villaggi d’intorno, insegnando” (Mc 6,6b). Anche per Paolo l’evangelizzazione non è una attività tra le altre, e neanche, semplice-mente, la più importante: è l’avvenimento. Nella prima Lettera ai Corinzi, scrive testualmente: “Annunciare il Vangelo non è per me un vanto, perché è una ne-cessità che mi si impone: guai a me se non annuncio il Vangelo! Se lo faccio di mia iniziativa, ho diritto alla ricompensa; ma se non lo faccio di mia iniziativa, è un incarico che mi è stato affidato” (1Cor 9,16-17).

4. Cristo, insieme oggetto e soggetto dell’evangelizzazione. Ne è l’oggetto, come risulta in lungo e in largo da tutto il Nuovo Testamento. Mi piace qui ri-portare due riferimenti, presi dagli Atti degli Apostoli. Quando Filippo, uno dei Sette, intraprende l’evangelizzazione della Samaria, per farci capire quale era il contenuto della sua predicazione, Luca annota sinteticamente: “annunciava loro il Cristo” (At 8,5). Quando poi lo stesso Filippo si imbatte nell’etìope eunuco, funzionario di Candace, che gli chiede di spiegargli un passo del profeta Isaia, san Luca scrive: “Filippo, prendendo la parola e partendo da quel passo, annun-ciò a lui Gesù”. Anche san Paolo, scrivendo ai Corinzi, dice: “Noi annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i giudei e stoltezza per i pagani” (1Cor 1,23). E ricordando l’inizio della sua evangelizzazione di Corinto, afferma: “Io ritenni di non sapere altro in mezzo a voi se non Gesù Cristo, e Cristo crocifisso” (1Cor 2,2). Tutta l’evangelizzazione non si riassume in una formula, ma in una persona: Gesù Cristo. Ma Cristo non è solo l’oggetto: è e rimane il soggetto primo, l’in-superabile protagonista dell’evangelizzazione. Nella conclusione del vangelo di Marco, si legge che dopo la risurrezione e l’ascensione di Gesù, gli apostoli “par-tirono e annunciarono dappertutto (la buona novella riguardante Gesù: quindi tutta la loro predicazione si riassume in questo oggetto) mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava la Parola con i segni che l’accompagnavano” (Mc 16,20). Quindi il Signore Gesù, proprio perché risorto, continua ad operare in sinergia con gli evangelizzatori e a confermare la Parola della loro predicazione.

5. Il primato spetta alla fede. Non si può ridurre l’evangelizzazione alla organizza-zione della carità, al volontariato e all’impegno per gli altri. Ci è richiesta una umile e fiduciosa docilità per lasciarci istruire da queste efficaci espressioni del Papa:

Spesso ci preoccupiamo affannosamente delle conseguenze sociali, culturali e po-litiche della fede, dando per scontato che questa fede ci sia, ciò che purtroppo è sempre meno realista. Si è messa una fiducia forse eccessiva nelle strutture e nei programmi ecclesiali, nella distribuzione di poteri e funzioni; ma cosa accadrà se il sale diventa insipido? Affinché ciò non accada, bisogna annunciare con vigore e gioia l’evento della morte e risurrezione di Cristo, cuore del cristianesimo, fulcro e sostegno della nostra fede, leva potente delle nostre certezze, vento impetuoso che spazza via qualsiasi paura e indecisione, qualsiasi dubbio e calcolo umano (Bene-detto XVI, Lisbona, 11.6.2010).

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Sono schiettamente convinto di queste parole, e anziché commentarle con parole mie, preferisco affidarmi a quelle del priore di Bose:

Lo sforzo filantropico, l’attenzione alle opere di carità, alla prassi di solidarietà verso gli ultimi e i poveri sono il segno di un salutare risveglio della coscienza cristiana, ma se questo imperativo diventa unilateralmente dominante nella Chiesa e resta sganciato da un primato assoluto della fede, allora rischia di riproporre una frattura tra le molte prestazioni e il comandamento unico del Signore che chiama alla sua sequela, sequela determinata da lui in assoluta signoria e libertà (E. Bianchi, Una nuova evangelizzazione, Bose 1991,17). 6. La buona notizia è scandalosa. Gesù viene per rivelare il vero volto di

Dio, ma spesso si tratta di un volto capo-volto rispetto alle idee correnti. Tutti i credenti in Dio pensano che se apparisse sulla terra, dovrebbero andargli a lavare i piedi e si dovrebbero togliere il pane di bocca per rendergli omaggio. Ma solo Gesù si rivela come il Figlio di Dio che si piega a lavare i piedi dei suoi discepoli e dona il suo corpo come pane di vita per la nostra fame di Dio. Tutti ci aspetteremmo che se Dio vuole rivelarsi a noi, ci venga incontro sulla via della potenza, e invece sulla croce Dio si mostra a noi non attraverso la sapienza e la potenza di segni e prodigi, ma attraverso l’impotenza e la follia dell’amore. Tutte le religioni dicono che dovrebbero essere gli uomini a dare la vita per Dio; solo il cristianesimo sostiene che è Dio che dà la sua vita per noi. Questa buona notizia è segno di contraddizione: da alcuni viene accolta, da altri respinta. È la notizia della croce, che – afferma Paolo – è una sconcezza scandalosa per gli ebrei, una insulsa cretinata per i pagani (cfr 1Cor 1,23). Oggi si potrebbe aggiungere che il messaggio della croce è intollerabile anche per musulmani e buddhisti. E se per tanti di noi cristiani un messaggio così sconvolgente viene tranquillamente ripetuto, non potrebbe essere che questo innocuo consenso sia dovuto più a una stanca assuefazione che a una fede vera e matura?

7. Lo scandalo della croce espone alla persecuzione e al martirio. Gesù lo aveva predetto: “Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi”. E così in effetti è avvenuto, come si evidenzia ampiamente nel libro degli Atti degli Apostoli e in tutta la bimillenaria storia della Chiesa. Il cristianesimo non è nato bellicoso e violento, non si è affermato con la spada, ma con la croce. Così è sta-to non solo per la prima evangelizzazione – quella dell’epoca detta appunto dei martiri – ma anche per l’evangelizzazione del Giappone, della Corea, dell’Ugan-da e di tanti altri Paesi del mondo. Così è avvenuto nel secolo ventesimo, che ha registrato più martiri che non tutti gli altri secoli precedenti. Così avviene ancora oggi. Da noi in Italia non c’è una persecuzione violenta, ma c’è da domandarsi se non continui a verificarsi quanto sosteneva sant’Ilario di Poitiers, dopo l’editto di Milano: “il potere non ci sferza la schiena, ma ci accarezza il ventre”.

8. Non basta annunciare verbalmente il messaggio cristiano: lo si deve an-nunciare vitalmente, con fatti di vangelo. Prima e più che dimostrare la verità della fede, il missionario cristiano ne deve mostrare l’efficacia nella propria vita: prima che evangelizzatore, egli deve provare di essere stato evangelizzato e che il van-

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gelo gli ha cambiato la mentalità, il cuore, lo stile di vita. Domandiamoci onesta-mente: se dovesse scoppiare una persecuzione, e dovessimo essere indagati per sospetta fede cristiana, per quali “fatti di vangelo” dovremmo essere processati e condannati? La fedeltà al messaggio implica nel messaggero l’impegno della coe-renza. Impegno, ma non angoscia. Il testimone non può non cercare in tutti i modi di avvicinarsi il più possibile alla misura alta della vita cristiana, la santità, sapendo però che l’essere perfetti come è perfetto il Padre è traguardo che ci impegna ad andare sempre più in là. L’evangelizzazione perciò non potrà non tradursi anche in amore per i poveri e in opere di solidarietà umana, ma l’evangelizzatore dovrà fare come il Battista: dovrà puntare il dito su Gesù, non su se stesso. Dovrà narrare la storia di Gesù, perché solo Gesù è la perfetta trasparenza dell’amore del Padre. La nostra storia non può pretendere di essere la traduzione perfettamente fedele della carità di Dio; è e rimane solo una traccia sottile, un segno troppo debole per dire il tutto della solidarietà del Dio-Trinità. Sottoscrivo in pieno quanto afferma don Bruno Maggioni, in un suo libro che mi ha aiutato molto a stendere questi pensieri:

Il nostro amore è troppo piccolo per l’uomo! E allora bisogna narrare la sto-ria di Gesù Cristo per comunicare l’evento che davvero ha manifestato in pienezza l’amore di Dio. Questa idea di chiesa trasparente, quasi un vetro, mi piace tantissimo: un vetro non si guarda, è fatto perché si veda oltre, per cui la nostra carità deve accettare di essere inadeguata, deve accettare di non essere non sufficiente, non pura, deve accettare di avere dentro anche i peccati, non deve nasconderli e non deve pretendere di essere perfetta (B. Maggioni, La nuova evangelizzazione, Milano 2012, 102).

Nella predicazione è importante dunque la testimonianza del missionario e la credibilità del suo comportamento, ma il primato spetta all’annuncio della Parola: “Non basta che il popolo cristiano svolga l’apostolato con l’esempio: esso è costituito ed è presente per annunciare il Cristo con la parola e con l’opera” (Vaticano II, Ad gentes, 15). Bisogna vigilare, per non correre il rischio che l’angoscia per la propria credibilità produca nel missionario altra angoscia, anziché credibilità.

9. I laici, protagonisti dell’evangelizzazione. Nei primi tre secoli del cristiane-

simo, l’era delle persecuzioni, i protagonisti della missione sono stati i vescovi. Nel periodo della rievangelizzazione dell’Europa dopo le invasioni barbariche (secoli VI-IX), i protagonisti sono stati i monaci. Con la scoperta e la conver-sione al cristianesimo dei popoli del Nuovo Mondo, i protagonisti diventano i frati. Nella nostra epoca assistiamo a una quarta ondata di evangelizzazione dell’Occidente secolarizzato, e i protagonisti non possono che essere i laici. Nel Codice di diritto canonico si legge che “l’opera di evangelizzazione è dovere fondamentale del popolo di Dio” (can. 781), e nell’elencare gli obblighi e i diritti di tutti i fedeli, lo stesso Codice recita: “Tutti i fedeli hanno il dovere e il diritto di impegnarsi perché l’annuncio divino della salvezza si diffonda sempre più fra gli uomini di ogni tempo e di ogni luogo” (can. 211). I laici, in particolare, sono

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un po’ come i capillari nel corpo umano: essi possono irrorare con il sangue del vangelo tutti i tessuti della società e le varie situazioni di vita in cui sono immersi gli uomini del nostro tempo: la famiglia, il lavoro e la cultura, la festa e il tempo libero, la povertà e la malattia.

10. La “novità” della nuova evangelizzazione. In una delle prime occasioni in cui ebbe modo di parlare di nuova evangelizzazione, il beato Giovanni Pa-olo II la distinse dalla “rievangelizzazione”, affermando che essa deve essere “nuova nel suo ardore, nei suoi metodi, nelle sue espressioni” (Giovanni Paolo II, Discorso al CELAM, 9 marzo 1983). L’evangelizzazione fondamentalmente è sempre la stessa, ma assume accentuazioni diverse secondo le diverse si-tuazioni. Di volta in volta le varie culture pongono nuove domande al vangelo: non si tratta di adattare il vangelo alle varie epoche o di limitarsi ad adottare nuovi metodi e strumenti, si pensi oggi ai mezzi della comunicazione sociale. San Paolo ricorda che il suo vangelo non “segue un modello umano” (Gal 1,11), quindi non invecchia né arrugginisce. La novità è quella di sempre: Gesù Cri-sto. Questo richiede non tanto di ridire il vangelo – allora si tratterebbe di una rievangelizzazione – ma di ripensarlo. Ovviamente non è questione di dire un nuovo vangelo, ma di mostrare il “nuovo” del vangelo – la sua perenne novità – in modo che gli uomini del nostro tempo la possano comprendere e vi possano aderire consapevolmente e liberamente. La novità non è tanto nel fatto che l’evangelizzazione affronti problemi nuovi o che vada detta con nuove parole: la novità sarebbe allora puramente cronologica. Invece è una novità teologica: Cristo è sempre nuovo; il vangelo è una notizia sempre sorprendente e stupe-facente. È una notizia che, se accolta con cuore nuovo, genera una nuova vita.

Da ultimo, mi domando: quale deve essere il principio e fondamento di tut-ta la questione del “come” evangelizzare? Non può che essere un ardente, folle amore per Gesù, o almeno una pungente nostalgia di un amore così. Una no-stalgia. Ogni tanto mi vado a rileggere quella frase di Antoine De Saint -Exupéry, riportata sul ricordino di don Giancarlo Ugolini: “Se vuoi costruire una barca, non radunare uomini per tagliare legna, dividere i compiti e impartire ordini, ma insegna loro la nostalgia per il mare vasto e infinito.

III. Quando attuare la nuova evangelizzazione

8. È sempre tempo di evangelizzare. Non solo lungo il cammino della storia, anche lungo il sentiero della vita si prospettano svariate situazioni che rappresentano altrettante occasioni propizie per proporre o riproporre il nucleo centrale dell’esperienza cristiana. Sono i passaggi decisivi dell’esistenza, che possono diventare soglie di accesso alla fede: la nascita di un bimbo, il cammino dell’adolescenza, la scelta della giovinezza, l’amore di un uomo e di una donna, la fedeltà alla famiglia e alla professione, l’esperienza del dolore e della fragilità.

In convinta comunione con gli orientamenti pastorali dei vescovi italiani, de-dicati alla emergenza educativa, e in schietta sintonia con il cammino che stiamo seguendo nella nostra Diocesi, concentriamo ora la nostra attenzione sui primi

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due segmenti dell’esistenza – quello dell’infanzia e della preadolescenza - che per tanti coincide ancora con il percorso della iniziazione cristiana, dal battesimo all’eucaristia. Senza ripetere quanto già detto al riguardo – vedi i Quaderni di pastorale sulla iniziazione cristiana – vorrei provare a verificare cosa significhi assumere senza riserve il criterio fondamentale della nuova evangelizzazione: anche il servizio pastorale ed educativo dedicato a bambini e ragazzi di questa età deve e può essere innervato di primo annuncio.

Cristiani non si nasce, si diventa. Ma non lo si può diventare per autogene-razione. Nessun cristiano può dire: “Io sono il padre del mio essere cristiano”. È la Chiesa la santa madre che, per opera dello Spirito Santo, ci genera alla fede. Ecco la prima consapevolezza che occorre ricreare: la Chiesa deve riacquistare la sua capacità originaria di essere madre nella fede. Ecco il primo intervento da invocare come grazia e da operare come scelta: rifare il tessuto generativo della comunità parrocchiale. Se si prende il rito del battesimo e si prova a “raccontare” esistenzialmente la liturgia iniziatica, ci si rende conto dell’itinerario di fede che vi si traccia e degli effetti che essa genera. Ripercorriamo rapidamente l’itinerario della iniziazione cristiana in modo unitario, come se si stesse svolgendo sotto i nostri occhi.

Il rito del battesimo pone anzitutto in rilievo l’accoglienza e l’ingresso nella comunità cristiana. Eri fuori, ma ora sei portato dentro. Attraversi la porta che è Cristo. Lui non solo ti parla di Dio, ma ti introduce nella sua famiglia. E realizza i tuoi desideri di essere un Io, come non ce n’è mai stato un uguale, e mai ci sarà. Vieni chiamato per nome. Sei salvato dall’anonimato. È una comunità di fratelli quella che ti segna e ti consegna a Cristo. Sulla tua fronte viene tracciato il segno della croce. Poi vieni immerso nell’acqua della vita: muori e risorgi a vita nuova. Ora sei nell’aula dei fedeli. Il vescovo ti impone le mani e poi unge con il crisma la tua fronte (cresima). Ricevi il sigillo dello Spirito Santo: sei diventato proprietà di Dio. Appartieni alla Chiesa, che si localizza in questa diocesi: qui Dio ti ha col-locato. Ora siedi a mensa (eucaristia): non sei più un estraneo. Sei commensale di Dio. Cristo non ti chiama più servo, ma amico. Puoi dire: “Non sono più io che vivo, è Cristo che vive in me”. Sei immerso nella massima familiarità con i figli di Dio. Hai già l’anticipo del banchetto eterno dei cieli.

Ritorno brevemente sulla cresima, visto che in diocesi scegliamo questo sacramento come riferimento per l’anno pastorale 2012-2013. Come si rileva dal Catechismo della Chiesa Cattolica (CCC1285-1321), la confermazione è per ogni fedele ciò che per tutta la Chiesa è stata la Pentecoste, ciò che per Gesù è stata la discesa dello Spirito al Giordano. Essa rafforza l’incorporazione battesimale a Cristo e la consacrazione alla sua missione profetica, sacerdotale, regale. Mentre il battesimo è il sacramento della nascita, la cresima è il sacramento della cresci-ta. Per ciò stesso è anche il sacramento della testimonianza, strettamente legata alla maturità dell’esistenza cristiana.

Mediante la confermazione i fedeli acquisiscono un legame più perfetto con la Chiesa, come esprime bene la liturgia, presieduta di persona dal vescovo, ministro originario del sacramento, o per mezzo di un suo delegato.

La grazia della liturgia iniziatica, per passare nella vita, richiede di distender-

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si nel tempo attraverso opportuni itinerari di fede ed esige di essere sostenuta da una comunità fatta di guide, di testimoni, di accompagnatori, di strumenti.

9. Il primo intervento da operare è il coinvolgimento della comunità. Si ricorderà il famoso n. 200 del Documento-Base per il rinnovamento della catechesi: “Prima vengono i catechisti, e poi i catechismi; anzi prima ancora vengono le comunità”. Dobbiamo confessare che a più di 40 anni di distanza, siamo ancora piuttosto indietro rispetto a un traguardo tanto esaltante e tanto esigente. Occorre rompere il muro di delega e rendere protagonisti gli adulti di-sponibili: dal consiglio pastorale, al gruppo dei catechisti, ai collaboratori ai vari livelli, fino a coinvolgere tutta la comunità che viene informata e resa partecipe in momenti chiave, quali l’eucaristia domenicale. In questo senso è urgente che la celebrazione del battesimo non venga relegata in spazi e tempi che di fatto scoraggiano la partecipazione della comunità, confermando così la mentalità che l’iniziazione cristiana – già fin dal suo inizio – sarebbe una questione privata tra le famiglie interessate e il parroco.

Un secondo intervento riguarda il passaggio dalla “opzione bambini” alla “op-zione famiglie”. Lo sappiamo: la richiesta del battesimo è un momento molto delicato, che non può esser sbrigato freddamente e frettolosamente come una pratica burocratica. Certo, non dobbiamo – e non possiamo! – farci illusioni. Vi-viamo nella società dei servizi. E la parrocchia viene vista come una azienda che eroga dei servizi religiosi. Molti genitori chiedono il battesimo solo perché “così hanno fatto i nostri genitori con noi”, o perché “così fan tutti”. Non dobbiamo né “vendere” il battesimo al “prezzo” di corsi di recupero forzati, né svenderlo facen-do finta di niente. Il colloquio con il parroco è determinante perché scocchi la “scintilla” di un contatto vero ed efficace con i genitori richiedenti. La domanda va accolta con gioia; deve essere purificata da motivazioni spurie e valorizzata come preziosa opportunità per proporre ai genitori un percorso che li aiuti a rinnovare le promesse battesimali con una fede più solida e matura. Una promettente espe-rienza sembra essere quella dei catechisti battesimali, per coadiuvare il parroco nella preparazione – ma non solo – dei genitori al battesimo dei loro bambini.

È importante curare anche il cammino del dopo-battesimo (3-6 anni), con esperienze come quella del Buon Pastore. Occorre anche offrire la disponibili-tà ad accompagnare coppie in situazioni irregolari e genitori singoli. L’intento di coinvolgere la famiglia richiede però qualche puntualizzazione. Il compito dell’annuncio e della catechesi, in quanto ministero ecclesiale, è primariamente assunto da coloro che nella comunità, in seguito ad una appropriata formazio-ne specifica e dopo averne ricevuto esplicito mandato, esercitano il servizio di guide autorevoli e sicure in ordine alla educazione alla fede. Quello della fami-glia rappresenta il momento “domestico” della formazione cristiana, in modo che il momento “parrocchiale” possa contare sui necessari collegamenti e sulle opportune collaborazioni. Non bisogna infatti dimenticare che se è vero che i genitori sono i primi educatori dei rispettivi figlioli, essi però non possono essere sovraccaricati di compiti che non saprebbero oggettivamente portare. Pertanto, nell’attuale fase di debolezza della funzione educativa della famiglia, è impor-

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tante che la parrocchia mostri il suo volto di alleata ed amica di tutte le famiglie cristiane, abitanti nel suo territorio.

Per quanto riguarda il completamento della iniziazione cristiana, debbo ri-cordare anche nella nostra Diocesi è stato avviato dall’anno scorso un itinerario di tipo “catecumenale”, che tiene conto di alcune scelte di fondo e di alcune significative novità, che passo a riproporre schematicamente.

Le scelte di fondo riguardano il superamento del modello scolastico – ca-ratterizzato dall’ora settimanale, con tanto di aula, lezione, compiti per casa – passando a un ritmo familiare, con momenti diversificati: in gruppo tra ragazzi; dei genitori con il loro figlio; momenti comuni tra tutte le famiglie; momenti con i genitori per aiutarli a formarsi. Occorre passare dalla divisione per classi scolastiche a gruppi per fasce d’età; da una logica “trasmissiva” a una dinamica “formativa”; da un catechismo della dottrina cristiana a un catechismo per la vita cristiana.

L’itinerario dura complessivamente cinque anni e prevede:- un tempo (di circa due anni), che si potrebbe chiamare di primo annun-

cio, nel quale si comunicano gli elementi essenziali della fede cristiana: si riscopre il proprio battesimo con il rinnovo delle promesse battesimali (verso la fine del primo anno) e con la celebrazione del sacramento della riconciliazione (verso la fine del secondo anno);

- il tempo (di circa due anni) di discepolato, a cui segue un anno di prepa-razione immediata alla celebrazione unitaria dei sacramenti della confer-mazione e dell’eucaristia;

- il tempo (di circa tre anni) della mistagogia, durante la quale i ragazzi sono aiutati a fare esperienza di vita cristiana: comunitaria, caritativa, mis-sionaria, corrispondenti all’età delle scuole medie/preadolescenza.

10. Vorrei dire ancora un parola sulla pastorale integrata. Con una avvertenza preliminare: aiutiamoci insieme perché questa formula non diventi, a forza di usarla senza concretizzarla, una sorta di chewing-gum che più si mastica e più perde sapore. Permettetemi allora di ricordare che è “integrata” quella pastorale che assume una logica veramente “integrativa” e pertanto ha una di-mensione intra e sovra parrocchiale. Quella intraparrocchiale serve per superare il rischio della pura aggregazione: assommiamo più territori, più abitanti, più operatori e otteniamo una nuova realtà. Ma sarebbe una operazione di semplice sommatoria. Per non correre questo rischio, occorre allora che tutte le varie real-tà vengano messe “in rete”, perché la parrocchia non si riduca a un arcipelago di isolotti. A livello sovraparrocchiale, la dinamica integrativa richiede che le parroc-chie superino la tentazione dell’autosufficienza, per intensificare la collaborazio-ne con le parrocchie vicine, al fine di sviluppare insieme, senza contrapposizioni e senza dissonanze, quelle attenzioni e attività pastorali che di fatto superano le normali possibilità di una singola parrocchia. Si pensi, ad esempio, in ambito di iniziazione ed educazione cristiana, alla necessità di équipe di educatori per la pastorale di oratorio e giovanile. L’integrazione va inoltre perseguita con le varie realtà ecclesiali che possono essere presenti sul territorio. Si tratta di realtà che

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ricoprono un ruolo importante nella sfida ai fenomeni di scristianizzazione e nel raggiungere i lontani. Se a queste devo chiedere di cercare e di attuare la comu-nione con le comunità parrocchiali, a queste altre domando di aprirsi e di farsi accoglienti verso tutto ciò che di nuovo lo Spirito suscita nella Chiesa, facendosi aiutare a vivere in maniera più mirata e intensa il proprio slancio missionario.

Un’ultima parola, sui cenacoli del vangelo. Mi ha colpito molto l’attenzione che si è creata attorno al “sogno” del Vescovo raccontato alla scorsa veglia di Pentecoste: non solo non ho riscontrato alcun rigetto pregiudiziale, ma, ripeto, ho rilevato una vivace attenzione, mista a interesse e curiosità. Ne ho ricavato l’impressione che il sogno sia stato condiviso e stia contagiando molti. Ora sento arrivato il momento di avviare un discernimento comunitario per vedere come dare gambe al sogno. Per questo vengo a chiedere una preghiera al buon cuore di tutti e, possibilmente, qualche pensiero alla buona volontà di quanti sono disponibili a coinvolgersi in questa riflessione corale. Ci si potrebbe servire di una traccia molto leggera, come questa: tenuto conto che il fine sarebbe quello di accendere o riaccendere la scintilla del primo annuncio e di tenere accesa la fiamma della fede, quali dovrebbero essere le condizioni perché quella dei ce-nacoli sia un’esperienza viva ed efficace? quali i rischi da evitare? quali i percorsi da attivare per formare gli animatori?

C’è un filo che unisce questi diversi ambiti: la presenza di operatori pastorali generosi, fedeli, responsabili, formati sul piano spirituale, su quello delle cono-scenze e su quello delle competenze. Infatti senza questi fratelli e sorelle non sarà possibile intraprendere percorsi nuovi e impegnativi di iniziazione cristiana né camminare verso una pastorale efficacemente ed effettivamente integrata. In questo anno pastorale, accanto ai percorsi formativi ormai consolidati (Scuola diocesana per operatori pastorali (SDOP), Istituto Superiore di Scienze Religio-se, incontri a livello di parrocchie o di zone pastorali) prenderà il via, all’interno dell’ISSR, un percorso formativo intermedio tra lo stesso ISSR e la SDOP, che mira a dare una formazione teologica e pastorale agli operatori, ai ministri della liturgia, ai futuri referenti delle piccole parrocchie ecc. È una risorsa che vogliamo offrire per una formazione più profonda, nella certezza che avrà una ricaduta positiva sulla vita delle nostre comunità.

È il momento di concludere. Mi ritorna la domanda che mi ha assillato un bel po’, lungo tutta la stesura di questa lettera: ma insomma che cosa dobbiamo fare? Un giorno la posero a Gesù. E questa fu la sua risposta: “Questa è l’opera di Dio: credere in colui che egli ha mandato” (Gv 6,29).

Credere: questa è la nostra opera da compiere a favore della nuova evange-lizzazione. Ma dobbiamo stare attenti. Noi viviamo nella cultura delle statistiche. Sappiamo che è stressante sapere di essere meno numerosi a formare il popolo di Dio. Ma è dubbio il fatto di riuscire a valutare la vitalità della fede in base a criteri esclusivamente quantitativi. Del resto, si può forse misurare un raggio di sole con un metro?

“Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e udito” (At 4,20). Ma – torno a ripetere – dobbiamo stare attenti e vigilare. In questo inizio di XXI secolo,

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i tempi che viviamo sono caratterizzati più dall’insicurezza che dalla certezza dell’avvenire. Ma è proprio nella nebbia dell’incertezza che siamo chiamati a praticare la speranza cristiana, così come annunciava san Paolo: “Ciò che si spe-ra, se è visto, non è più oggetto di speranza; infatti, ciò che uno già vede, come potrebbe sperarlo? Ma, se speriamo quello che non vediamo, lo attendiamo con perseveranza” (Rm 8,24-25). Fratel Christian de Chergé, nella Quaresima 1996, qualche tempo prima di morire martire ad Algeri, esprimeva così questa attesa, intrisa di speranza:

“C’è speranza solo là dove si accetta di non vedere l’avvenire. Voler imma-ginare l’avvenire è fare della speranza-fiction. Appena pensiamo all’avve-nire, lo pensiamo come il passato. Non abbiamo l’immaginazione di Dio. Il domani sarà diverso e noi non possiamo immaginarlo. Questa si chiama povertà”.

La santa Madre di Gesù, fedele discepola del vangelo, ci accompagni giorno per giorno, per poter vivere il prossimo anno pastorale come un vero Anno della Fede. Vi benedico di cuore

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Carissimo Don Piero,Carissimi Fedeli tutti delle Comunità della Parrocchiedi S.Andrea apostolo e di S.Maria di Camerano,

nella relazione sintetica che mi avete presentato sulla vostra parrocchia, avete seguito uno schema chiaro e molto semplice: i doni che la parrocchia sta vivendo; le fatiche e le difficoltà che state sperimentando; i tentativi e le scelte che state mettendo in cantiere. Mi sembra una traccia utile anche per questa mia, che vi giunge ad alcuni mesi dalla visita pastorale, svolta nelle vostre par-rocchie nella settimana dal 24 al 29 aprile 2012.

Innanzitutto i doni. Voi ne avete elencati diversi: la gioia della fede, la formazione di nuovi gruppi parrocchiali, l'aumento demografico, la risistema-zione logistica d alcune stanze della canonica, in modo da potervi organizzare sia incontri di formazione che ricreativi. Nei giorni della visita ho avuto modo di constatare l'effettiva corrispondenza della realtà alla vostra descrizione, e di questo con voi ne rendo lode al Signore. Anch'io sono rimasto colpito dal cli-ma fresco e gioioso che si respira venendo in mezzo a voi. L'ho percepito nelle celebrazioni liturgiche, preparate e ben animate con i canti, con l'attenzione ai veri segni liturgici, con la cura dei diversi momenti celebrativi. L'ho percepito dall'aria festosa dei vari incontri con tanto di buffet e cena, che insieme abbia-mo gustato (grazie anche alla nuova cucina e all'ottimo staff di volontarie!). Mi ha colpito anche la serenità e lo spirito di unità tra le due comunità parrocchiali, come risulta dalla catechesi svolta in comune per i ragazzi di entrambe le par-rocchie, e l'unione dei due cori in alcune occasioni più importanti.

Le fatiche - o almeno le principali - riguardano la carenza di persone che possano aiutare nelle attività della parrocchia e il rischio di inaridimento spiri-tuale degli operatori pastorali, a causa del peso sproporzionato e stressante di numerose iniziative e attività. Al riguardo ho apprezzato il vostro modo di reagi-re a queste difficoltà: non limitarsi a registrarle e poi "mettersi l'anima in pace" e neanche cadere nel vittimismo deresponsabilizzante di chi deve stare sempre a trovare il "capro espiatorio" (di chi è la colpa?). Voi sapete che il cammino di fede non è mai una passeggiata idilliaca su un tappeto di rose, ma sapete pure che il Signore cammina con noi tutti i giorni (cfr Mt 28,20) e da quando è risorto non si è ancora stancato di entrare in sinergia con noi (cfr Mc 16,19-20), dandoci forza per non abbatterci, rialzandoci quando cadiamo, rimanendo in barca con noi quando dobbiamo affrontare la burrasca. Ecco, di fronte alle prove, alle fati-

Visita pastorale a Poggio Berni e Camerano

Prot. VFL2012/36Rimini, 14 settembre 2012

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Visita Pastorale

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che più dure, alle difficoltà a prima vista insormontabili, dobbiamo verificare il baricentro della nostra vita - la relazione con Gesù - e domandarci: ci credo che il Signore non mi abbandona? sto svolgendo questo servizio per lui o per la mia gratificazione personale? sono convinto che prima di volere la conversione degli altri, sono chiamato io per primo a convertirmi al Signore? Il Signore non vuole dei facchini che sgobbano per lui - diceva don Oreste - ma degli innamorati che vivano e agiscano con lui, in lui. E allora, cosa gli rispondo quando lui mi chiede, come ha chiesto a Simon Pietro: "Mi ami tu?". Insomma la fede si trasmette per contagio: posso accendere la fiaccola della fede altrui solo se la mia è accesa. Per dirla in altre parole: solo dei credenti innamorati del Signore possono far innamorare di lui anche altri. La vita cristiana, più che un fare, è un "lasciarsi fare", nel senso di lasciarsi trasformare dalla fede e dall'amore per il Signore, per la sua Chiesa, per i fratelli o le sorelle che lui mi affida.

Infine le scelte. Ne presentate diverse. Ne riprendo una, quella dei cen-tri di ascolto della parola di Dio presso le famiglie. Mi sembra una meta appro-vata e benedetta dal Signore. Io stesso ne ho parlato alla veglia di Pentecoste, celebrata ultimamente in Piazza Cavour, a Rimini. Nella Lettera Pastorale che sta per essere pubblicata, rilancio questo "sogno" e chiedo di farmi avere al riguardo suggerimenti e proposte. Intanto ci prendiamo quest'anno per discer-nere e prepararci. Al riguardo voi potete cominciare a pregare e a frequentare almeno qualche corso diocesano presso l'Istituto di Scienze Religiose (e perché qualcuno non integralmente?), o almeno in un gruppetto la Scuola Diocesana per Operatori Pastorali o la nuova Scuola di Teologia Pastorale?

Ovviamente questi percorsi sono solo per alcuni fedeli, ma servono a formare questi fedeli ad essere con il parroco quel fermento evangelico che fa lievitare tutta la comunità. Questo è il passo ineludibile perché si rigeneri e si ri-formi una comunità cristiana. Una comunità diventa figura storica della santa Trinità e risplende di bellezza nella misura in cui la carità tra i cristiani viene sperimentata concretamente. La spiritualità di comunione è particolarmente attuale oggi, in una società segnata da povertà di rapporti umani, superficialità di incontri occasionali e strumentali, deprimente solitudine nella folla anonima del "villaggio globale". Quando i cristiani diventano "un cuore solo e un'anima sola", rivelano il volto di Dio e attirano gli uomini a lui. E il luogo ordinario di questa esperienza è la parrocchia.

Continuate perciò a percorre la strada della comunione tra le due par-rocchie fino ad avere "un cuore solo e due polmoni", perché quanto prima si possa giungere alla pieno condivisione dei beni spirituali e materiali e anche ad una completa unità giuridica ed amministrativa. Intensificate il vostro cammino di fede per passare dalla collaborazione alla corresponsabilità, in totale comu-nione con il parroco. Coltivate la vita spirituale e puntate sulla misura alta della vita cristiana: la santità. Pregate per le vocazioni alla vita matrimoniale, al sacer-dozio, alla vita consacrata e missionaria. Pregate in particolare per le vocazioni al nostro seminario diocesano. Custodite la comunione con il Vescovo, con le parrocchie vicine nella prospettiva della "pastorale integrata", e continuate a valorizzare le proposte formative del centro diocesano.

Ora vi saluto, dopo avervi rinnovato cordiale gratitudine per il vostro af-

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Atti del Vescovo

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fetto che sento sincero ed intenso, e che ricambio con una benedizione colma di sentimenti di pace e di gioia per tutti e ciascuno di voi

***************************************************************************Al Rev. Sac. Don PIER ALBERTO SANCISIe alle Comunità della Parrocchie di S.Andrea apostoloe di S.Maria di CameranoPOGGIO BERNI

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Visita Pastorale

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Carissimo Don Giuseppe,Carissimi Fedeli tutti della Comunità della Parrocchiadei Ss. Vito e Modesto,

dalla visita svolta presso di voi nei giorni dall'8 al 12 maggio 2012 ho ri-portato grande consolazione. Permettetemi di dirvelo con le parole di san Paolo: "Rendo grazie al mio Dio per voi, a motivo della grazia che vi è stata data in Cristo Gesù" (1Cor 1,4). Rileggendo l'agenda fitta di celebrazioni, incontri e appunta-menti, che hanno scandito il tracciato di quei giorni, scorgo il profilo di una comu-nità cristiana in cammino, sulle orme del Cristo risorto, verso i grandi orizzonti del regno di Dio, con i piccoli passi dei pellegrini di Emmaus. Ed è proprio all'icona di Emmaus che mi piace riferirmi per rileggere con voi il tratto di strada fin qui percorso e quello che il Signore vi sta aprendo davanti.

"Camminava con loro". La scena di Emmaus si apre nel segno di un cam-mino: i due discepoli hanno bisogno di lasciarsi sciogliere il ghiaccio del cuore dal fuoco della parola del Risorto per potere discernere il disegno di Dio nella storia. Anche noi, cristiani del Terzo Millennio stiamo attraversando tempi difficili. Nella percezione di una sempre più diffusa indifferenza all'annuncio evangelico, può insinuarsi nei credenti un senso di avvilimento frustrante e di rassegnata stanchezza. In verità non ho trovato presso di voi una comunità ripiegata e triste. Tutt'altro. Mi domando. come è possibile questo, se nell'aria che si respira soffia-no venti di gelido pessimismo o di rovente polemica. E' possibile se si ritorna a leggere alla luce della fede nel Risorto il disegno di Dio nella storia che viviamo, per diventare capaci di un rinnovato slancio missionario, in una comunità eccle-siale più consapevole e responsabile. E' possibile "rimetterci per strada" e portare l'annuncio di Cristo risorto alla gente che vive accanto a noi, camminando con loro, cogliendone le istanze più profonde e le domande sul senso della vita e del-la morte, sul bene e sul male, sulla salvezza e sulla rovina eterna. E' questo che ho visto presso di voi nei primi due gruppi incontrati: quello del "Centro Volontari della Sofferenza" e il gruppo delle vedove "Speranza e Vita".

E' possibile fare dei sofferenti i soggetti attivi nella parrocchia, è possibile che l'ammalato sostenga l'ammalato, che la vedova sostenga la vedova, se si fa di Cristo il cuore della comunità parrocchiale. Concretamente ciò avviene se la Sacra Scrittura diventa il pane della quotidiana alimentazione. In questa linea vorrebbe-ro andare anche i "cenacoli del vangelo", che insieme stiamo progettando e per i quali vi chiedo di cominciare a pregare.

Visita pastorale alla Parrocchia Ss. Vito e Modesto

Prot. VFL2012/37 Rimini, 14 settembre 2012

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"Egli entrò per rimanere con loro": l'incontro con il Risorto nella parola di Dio consente ai discepoli di riconoscere la sua identità, che viene compiuta-mente percepita nell'atto della celebrazione eucaristica. Cari parrocchiani di san Vito, il Signore continua a farvi dono un prete, come il carissimo Don Giuseppe, che non si è stancato di spendersi con generosità e passione per il servizio alla fede della vostra comunità. Avete la fortuna di godere del ministero di un dia-cono, come Quinto che insieme alla sua sposa, mette a vostra disposizione il suo grande cuore e la sua ricca sensibilità liturgica e formativa. Avete un buon Consiglio Pastorale e per gli Affari Economici, un bel nucleo coeso e motivato di ministri, di catechiste e di animatori dell'ACr e dell'Agesci, della Caritas e delle Missioni, che insieme al Parroco e al Diacono stanno svolgendo un ser-vizio efficace e prezioso. Sono rimasto molto favorevolmente impressionato dal gruppo famiglie, dal gruppo Tabor, dai simpaticissimi "Roccia", dal gruppo Kumba, e da altri ancora. L'assemblea pastorale nella serata di giovedì 21 mi ha fatto percepire la serietà del vostro impegno e della vostra passione. Sì, sinceramente penso che non si possa dubitare che il Signore che voi celebrate crocifisso e risorto nella santa Messa, sia veramente presente in mezzo a voi, e come voi lo incontrate vivo nella comunione eucaristica, così lo fate percepire vivo a chi vi incontra per la prima volta. Continuate a percorre la strada della piena comunione tra di voi, con le parrocchie vicine, con la più grande comu-nità diocesana. Nei giorni della visita mi veniva da chiedere, come spesso mi succede in queste circostanze: fino quando questa comunità potrà disporre della presenza di un prete a tempo pieno? Questa prospettiva che si va facen-do sempre più concreta non ci deve paralizzare; ci deve piuttosto stimolare sia a riprendere con più intensità e coraggio una efficace pastorale vocazionale (che non significa reclutamento, ma deciso superamento del diffuso clima di sfiducia e disistima circa la vocazione al sacerdozio) sia a formare un nucleo di laici cristiani adulti e maturi - una sorta di piccola comunità ecclesiale di base, come nei paesi di missione - che possano fare da riferimento per la comuni-tà più grande, anche quando non si potesse garantire la presenza stabile di un prete. Questo richiede un "cambiamento di mentalità" - già auspicato dal Concilio cinquanta anni fa - soprattutto rispetto al ruolo dei laici che vanno considerati "non come collaboratori del clero", ma come "persone realmente corresponsabili dell'essere e dell'agire della Chiesa" (Benedetto XVI).

"E partirono senza indugio". Solo quando si è realmente incontrato il Signore risorto, è possibile riprendere con gioia ed entusiasmo la via della missione. Nell'assemblea pastorale che ho già richiamato, mi avete chiesto: come si può dare vita alla nuova evangelizzazione? Vi ricordo quanto vi ho detto in quella occasione: solo dei cristiani che si sono lasciati nuovamente evangelizzare, possono efficacemente evangelizzare gli altri. Solo dei cristiani effettivamente convertiti, possono annunciare agli altri la buona notizia della conversione e della salvezza. Solo dei cristiani innamorati del Signore, possono contagiare ad altri il fascino del suo santo Volto. Permettetemi di ripetere due frasi che certamente mi avrete sentito citare. Oggi il problema numero uno delle nostre comunità non è tanto il fatto che siamo pochi cristiani, ma che sia-mo poco cristiani. E ancora: mille candele spente non ne accendono nessuna;

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Visita Pastorale

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due o tre candele accese ne accendono mille e più di mille. Grazie a Dio, da voi ci sono molte di più che due o tre candele accese.

Carissimi, concludo con alcune raccomandazioni e una grande bene-dizione. Vi raccomando di rimanere saldamente uniti al vostro Parroco, al Ve-scovo e di avviare un cammino di pastorale integrata con le altre parrocchie della zona pastorale. Valorizzate anche tutte le offerte formative che vengono dal centro diocesano, dall'Istituto Superiore di Scienze Religiose, alla Scuola Diocesana per Operatori Pastorali, alla nuova Scuola di Teologia Pastorale.

Mentre vi rinnovo viva e sentita gratitudine per la cordiale accoglienza che mi avete riservato e per la pronta, generosa disponibilità con cui - ne sono sicuro - terrete conto dei messaggi e delle indicazioni qui contenute, condivido con voi queste parole di san Paolo: "A Colui che in tutto ha il potere di fare molto di più di quanto possiamo domandare o pensare, secondo la potenza che opera in noi, a lui la gloria nella Chiesa e in Cristo Gesù per tutte le gene-razioni, nei secoli dei secoli! Amen" (Ef 2,20s).

Vi benedico di cuore

***************************************************************************Al Rev. Sac. Don GIUSEPPE CELLIe alla Comunità della Parrocchiadei Ss. Vito e ModestoSAN VITO DI RIMINI

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Atti del Vescovo

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Carissimo Don Emanuele,Carissimi Collaboratori e Fedeli tuttidella Parrocchia San Vicinio in Torriana

nello spazio di tempo - che sinceramente avrei voluto più breve - inter-corso tra la visita pastorale, effettuata nei giorni dal 20 al 25 marzo 2012, e l'in-vio della presente, ogni volta che il mio pensiero corre a voi, benedico il Signo-re per avermi dato l'opportunità di condividere diversi momenti del cammino ordinario della vostra cara comunità. In particolare lo lodo e lo ringrazio per te, Don Emanuele, che hai accettato con pronta disponibilità l'incarico di parroco e che, a distanza di quattro anni, ho rivisto ben inserito nel tessuto non solo della parrocchia, ma anche della cittadina di Torriana e della zona pastorale di cui fate parte. Permettimi di dirti di aver provato grande consolazione nel vedere la chiarezza e la fedeltà con cui persegui il tuo ideale sacerdotale: "legare le per-sone a Cristo, non a te". Mi sono anche intimamente rallegrato nel costatare la delicata attenzione che poni nel curare la comunione con i sacerdoti della zona e di tutto il Vicariato. Che il Signore ti benedica, ti consoli molto e ti sostenga sempre nello spendere la tua vita per la santa causa del regno di Dio e per il bene delle anime che ti sono affidate.

Ora, prima di passare ad alcune brevi indicazioni e suggerimenti per il cammino futuro della vostra comunità, vorrei ripercorrere in un veloce fla-shback i momenti più significativi vissuti nei giorni della visita. Vorrebbe essere, questa mia, una sorta di "rilettura sapienziale" dell'esperienza condivisa con voi, non solo per farne memoria grata al Signore, ma anche per spremere da essa tutto il succo di quei messaggi che attraverso quella indimenticabile espe-rienza il suo Spirito ci ha voluto comunicare.

In ordine di tempo, mi piace qui ricordare con simpatia la "fogarina" di san Giuseppe alla prima sera, con tanta gente che vi ha preso parte e con quel clima di festosa allegria che mi faceva pensare alla parrocchia come "la casa dalla porta sempre aperta", anche per chi volesse incontrarla solo in alcune occasioni.

Mi ha molto confortato anche la visita alla SICER, il colorificio della ce-ramica, che in questi tempi drammatici di pesante crisi economica è riuscito ad aumentare occupazione, fatturato e capitale. E' un segno che dà fiducia e apre il cuore alla speranza, per la grave situazione che stiamo attraversando.

Un momento che ho gustato e goduto è stato anche il pranzo condiviso

Visita pastorale alla Parrocchia di San Vicinio in Torriana

Prot. VFL2012/38 Rimini, 14 settembre 2012

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Visita Pastorale

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con i preti della zona e con i collaboratori pastorali. So, per avervi partecipato personalmente, del cammino che, ormai da diversi anni, avete avviato insieme a don Giancarlo, a Don Piero, a padre Daniele, a don Osvaldo. Ritengo che il vo-stro incontro settimanale costituisca un momento di riossigenazione spirituale che, oltre a far bene a voi, costituisce un bel segno anche per i vostri fedeli. Se non vogliamo che la pastorale integrata si riduca al guscio vuoto di una formula pomposa e retorica, dobbiamo camminare insieme, innanzitutto tra preti delle parrocchie viciniori. Solo un serio, intenso cammino di comunione d'anima tra di noi potrà orientare e stimolare i nostri fedeli ad abbandonare percorsi paral-leli, per convergere nell'unità di "un cuore solo e di un'anima sola".

Mi conservo nel cuore anche un positivo ricordo dell'incontro con il Consiglio Comunale: l'intensa collaborazione tra la parrocchia e il comune nei giorni difficili dell'eccezionale nevicata di febbraio è stata la felice riprova che ci si può attendere molto da un rapporto di rispettosa e fattiva cooperazione tra la comunità parrocchiale e quella civile.

Non vorrei dimenticare, poi, il forte impatto, sul mio animo, della visita alla piccola comunità di Montebello, costituita da appena trenta persone, che si impegnano con esemplare fedeltà a partecipare regolarmente alla Messa domenicale. Straordinaria anche la conclusione della visita con la celebrazione della Messa al santuario di Saiano e con quel pranzo comunitario condiviso con tantissimi pellegrini, il 25 marzo scorso. E' evidente che la vostra parrocchia ha il cuore in quel santuario, che la presenza di Don Osvaldo come rettore-eremita sta rendendo sempre di più centro pulsante di vita cristiana per tante persone e comunità, a cominciare dalla vostra.

Provo ora a declinare velocemente alcuni orientamenti e qualche indi-cazione, per il cammino prossimo futuro.

"Passare da una comunità psichica a una pneumatica": così hai for-mulato l'obiettivo centrale del tuo servizio pastorale, volendo indicare il pas-saggio da una comunità basata sugli affetti e sull'amicizia - dove ci si trova bene insieme - a una comunità basata sulla fede, costruita secondo lo Spirito Santo e riunita attorno al Crocifisso-Risorto. Hai centrato molto bene lo scopo fondamentale di ogni azione pastorale: fare di Cristo il cuore di quel "mondo", anche piccolo, come può essere il territorio di una parrocchia. Del resto, non è stata questa la strategia seguita da san Paolo nel fondare le comunità cristiane, come per esempio quella di Corinto, di Efeso o di Filippi? A noi oggi è affidata una missione non meno impegnativa, dal momento che non ci tocca fondare, ma ri-fondare le comunità cristiane, e questo risulta spesso ancora più arduo e complesso. Ci si richiede coraggio e delicato equilibrio, pazienza tenace e grande fiducia, prudente saggezza nel discernimento e generosa abnegazione nel servizio. C'è tanta gente che ha "staccato i contatti" con la Chiesa; mentre diverse persone continuano e pensare che un conto è la fede - peraltro scam-biata con qualche devozione o con qualche antica tradizione religiosa - e un conto è la vita. Così che non pochi cristiani vivono come se non fossero mai stati battezzati. E anche tra i cosiddetti "praticanti" non pochi si limitano a fre-quentare il rito, ma poi non si contraddistinguono, come discepoli del Signore, in casa, al lavoro, in ferie, in ospedale, insomma nei luoghi della vita, del tempo

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Atti del Vescovo

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libero, della fragilità e malattia. Frequentare la Messa e poi non vivere la comu-nione assumendo qualche ruolo attivo nella vita della comunità; rinnovare la professione di fede nella veglia pasquale e poi non impegnarsi nella missione cristiana con una testimonianza coerente e con un annuncio schietto e non inibito o complessato: questo è veramente "fare i cristiani"?

Ecco allora il secondo passaggio a cui tu, caro Don Emanuele, ispiri il tuo prezioso ministero: passare dalla collaborazione alla corresponsabilità. In parrocchia ci sono nove catechisti che si impegnano nella catechesi dei bam-bini e ragazzi dalla seconda elementare alla prima media. Esercitano anche il ministero tre accoliti e sette laici che collaborano nel Consiglio per gli affari economici.

Sono dati assai preziosi e confortanti, che ci fanno sperare quanto è nel cuore di tutti, e cioè che quando verranno meno un considerevole numero di sacerdoti, la fiaccola della fede verrà tenuta accesa nelle varie comunità da quei gruppi di cristiani impegnati ad essere pugno di lievito per la massa delle persone che dovranno essere rievangelizzate. Ci rendiamo conto che queste sono mete molto impegnative, e quindi è da domandarsi qual è il primo passo da compiere per un cammino incisivo e concretamente fruttuoso? Mi pare che il Signore te l'abbia ispirato con chiarezza: è l'avvio di un gruppo di adulti per un serio e intenso cammino di fede. In effetti se non vogliamo finire per non avvicinare i lontani e per allontanare i vicini, questo risulta il passo ineludibile e determinante. E' fondamentale che quanti condividono il servizio nella comu-nità cristiana, condividano anche il cammino di fede, e viceversa.

La strada è in salita, certo, ma ci è assicurata l'energia per percorrerla. E quell'energia ha un volto e un nome: lo Spirito del Signore risorto, che continua a tenere acceso il fuoco della Pentecoste. A noi è chiesto di non scoraggiarci: il braccio del Signore non si è accorciato e il Risorto non si è ancora stancato di assicurarci il suo santo Spirito!

***************************************************************************Al Rev. Sac. Don EMANUELE GIUNCHIe alla Comunità della Parrocchia di San VicinioTORRIANA

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Carissimo Don Giuseppe,Carissimi Collaboratori e Fedeli tuttidella Parrocchia di Santa Giustina

al termine della visita pastorale - effettuata presso la vostra parrocchia nella settimana dal 29 aprile al 5 maggio - vi avevo promesso di scrivervi nel giro di due-tre mesi. In verità ne sono passati quattro, e debbo cominciare questa mia col chiedervi sinceramente scusa per il ritardo, ovviamente del tutto invo-lontario. Nel frattempo mi è capitato più volte di passare davanti alla vostra bella chiesa e di vedere ancora esposto lo striscione con la grande scritta: "Benvenuto Francesco". Al riguardo mi hanno riferito più di qualche simpatica battuta. Per-sonalmente, tra me e me, ne ho pensata un'altra: non vorrei che a qualcuno venisse il dubbio che il Vescovo, nonostante una così lunga attesa, ancora non si decida a venire nella vostra parrocchia! Mi permetto questo tono familiare e bonario in una lettera ufficiale come la presente, perché nei giorni della visita, tra le tante conferme ho avuto anche quella molto gradita di un rapporto solido e sereno con te e tutti voi, al punto che possiamo permetterci di sorridere ama-bilmente su questi simpatici particolari. Torno a voi e, come faceva san Paolo all'inizio delle sue lettere, desidero anch'io sciogliere il mio canto di grazie al Signore per la vostra cara comunità. "Rendo grazie al mio Dio ogni volta che mi ricordo di voi. Sempre, quando prego per voi, lo faccio con gioia" (Fil 1,3-4). Desidero benedire e lodare con tutto il cuore Dio nostro Padre per i doni preziosi che vi ha fatto. Il primo è senz'altro il dono di un prete, come il vostro parroco, che da quasi trent'anni continua a spendersi per voi con grande generosità e tenacia instancabile. Che cosa possiamo chiedere al Signore per benedire il tuo sacerdo-zio, caro Don Giuseppe, adesso che veleggi verso il 40° di ordinazione, se non il dono di una bella vocazione sacerdotale di qualche vostro giovane? Un altro dono caratteristico della comunità di santa Giustina è il clima di preghiera e di comunione che si respira, venendo in mezzo a voi. E' un'aria intri-sa di umanità e di vangelo, alimentata con numerose iniziative, pensate e curate con intelligenza e creatività in modo da conciliare momenti di crescita spirituale con altri a carattere ricreativo e culturale. Ne risulta uno spirito di grande famiglia che, mentre fa bene a chi lo vive dal di dentro, diventa anche un attrattivo segno di richiamo per i cosiddetti "cristiani della soglia". Altri doni ancora sono la vostra chiesa luminosa, pulita, decorosa, dove

Visita pastorale a S. Giustina

Prot. VFL2012/39Rimini, 14 settembre 2012

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tra l'altro, proprio l'ultimo giorno della visita, ho avuto la gioia di dedicare il nuovo, splendido altare, disegnato da padre Rupnik. In questo elenco di doni - immancabilmente incompleto - non posso dimenticare il magnifico, vastissimo parco retrostante la chiesa, con centinaia di alberi e di piante, un vero polmone verde, gradevole e riposante; poi il teatro e le strutture della canonica, con il grande tendone per i piacevoli momenti conviviali, come il pranzo comunitario dell'ultimo giorno. Dovrei ancora menzionare la radio parrocchiale, uno stru-mento povero ma efficace, che permette di portare direttamente nelle case la parola di Dio, la Messa e il rosario quotidiani, con qualche buona testimonianza. Da ultimo, ma ce ne sarebbero ancora tanti, vorrei citare il dono di una presenza significativa e qualificata della vostra comunità sul territorio. Il centro parrocchiale rappresenta l'unico punto di aggregazione e propone diverse inizia-tive rivolte a tutte le fasce d'età: il volontariato per gli anziani, il gruppo giovanile, il centro estivo e i campeggi per i ragazzi, le feste di compleanno, gli incontri per le famiglie e le giovani coppie, le gite e i pellegrinaggi. Vorrei ora passare ad alcune indicazioni per il cammino che vi attende. Mi faccio ispirare da santa Teresa di Gesù Bambino, da voi tanto venerata e an-che a me, personalmente, molto cara. Prendo lo spunto dai suoi grandi amori. Il primo è l'amore per Gesù: "amarlo e farlo amare", questo era il sogno della piccola Santa; questo non può non essere il sogno di ogni cristiano. E non può non essere l'ideale e l'obiettivo fondamentale di una comunità parrocchia-le. Qui è l'essenziale: da qui ogni volta occorre ripartire; a questa meta occorre puntare sempre di nuovo. Oggi dobbiamo ricominciare dal primo annuncio, e il messaggio centrale della nostra fede è questo: Cristo non è un personaggio, ma una persona; non è un argomento da talk show, ma un incontro. Il Papa ha indetto l'anno della fede con questo preciso intento: "Il rinnovamento della fede deve essere la priorità nell'impegno della Chiesa ai nostri giorni". Il secondo amore di Teresa era per la parola di Dio: conosceva il Nuovo Testamento a memoria, come risulta dalle numerose citazioni nei suoi scritti. Verso la fine della sua vita scriveva: "Se fossi stata prete (!), avrei studiato a fondo l'ebraico e il greco per conoscere il pensiero di Dio, così come lui si è degnato di esprimerlo nel nostro linguaggio umano". A 50 anni di distanza dal Vaticano II, dobbiamo interrogarci se non possiamo e non dobbiamo fare di più perché ogni fedele sia messo in grado di poter fare la comunione ogni giorno con il pane della Sacra Scrittura. Anche l'Eucaristia stava molto a cuore alla piccola Teresa. So quanto stia a cuore anche a voi, come dimostrano le belle celebrazioni liturgiche, sempre ispirate a semplicità, solennità e bellezza, e come risulta pure dall'adorazione eu-caristica settimanale. Non vi chiedo di fare più Messe, ma di "fare più Messa". Mi spiego: mettetecela tutta perché ogni fedele, soprattutto i partecipanti occasio-nali, possano uscirne "con il cuore che arde", come i due discepoli di Emmaus. E ricordate anche quella travolgente espressione di amore per la Chiesa che Teresa scrive nel suo atto di offerta come vittima alla divina Misericordia? "Nel cuore della Chiesa mia madre io sarò l'amore". Ecco la santità: non solo dire parole o fare atti di amore per la Chiesa, ma essere l'amore. Non è questo il traguardo che Teresa propone a tutti i suoi devoti con l'indicazione della "piccola

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via"? In questa linea vi raccomando un massimo di unione con le parrocchie della zona pastorale per fare un cammino incisivo ed efficace, nella prospettiva della pastorale integrata. Infine il mondo, il mondo dei peccatori, dei non cristiani, delle missioni: Teresa non l'ha disprezzato o maledetto, l'ha amato fino a chiedere al Signore di "poter sedere alla mensa dei peccatori". Permettetemi una domanda: amate i cosiddetti "lontani", quelli che non credono, che non frequentano, e da quali segni essi possono "leggere" questo vostro amore? Come vedete, le cose che vi ho scritte non sono nuove, ma spero che non vi risultino né superflue né noiose. Vi ho parlato con il cuore del pastore. Ora, mentre vi assicuro la mia preghiera, mi affido alla vostra e vi prego di portare questa mia benedizione ai fratelli infermi e a quanti solo attraverso di voi la potranno ricevere.

***************************************************************************Al Rev. Sac. Don GIUSEPPE SCARPELLINIe alla Comunità della Parrocchia di Santa GiustinaSANTA GIUSTINA DI RIMINI

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Atti del Vescovo

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Carissimi Sacerdoti,Carissimi Membri del Consiglio Pastorale,Carissimi Collaboratori e Fedeli tuttidella Parrocchia di S.Michele Arcangelo in Santarcangelo,

dopo un primo incontro con il Consiglio Pastorale e con i membri del Consiglio per gli Affari Economici, con la solenne veglia di apertura celebrata nella vostra splendida chiesa-matrice, è iniziata la visita pastorale alla vostra comunità parrocchiale, svolta nei giorni dal 14 al 19 maggio 2012. Ricorderete che durante quella veglia ho presentato la visita come una triplice serie di 'esercizi spirituali': di discernimento, di comunione, di missione. Sul punto di stendere questa mia, mi sembra opportuno e conveniente riferirmi a quella griglia per proporvi un grappolo di riflessioni conclusive e tracciare una mappa di percorsi praticabili per il vostro cammino prossimo futuro.

Ma prima, insieme alla gratitudine per l'affettuosa, cordialissima acco-glienza che mi avete riservato, vorrei ritornare brevemente su alcuni passaggi delle lettere che mi avete inviato, a qualche giorno di distanza dalla conclusione. Tu, carissimo Don Giancarlo, mi parlavi di una "settimana straordinaria, stupenda, stracarica di grazie del Signore". Una sorella della parrocchia ringrazia il Signore perché "la visita del Vescovo ha portato tanta gioia alla nostra comunità". Ancora: "Per me è stata un momento di crescita nella fede e una importante verifica del mio essere cristiana". In un'altra lettera leggo: "Penso che la visita pastorale sia stata per Santarcangelo un grande dono". In un'altra ancora: "Dobbiamo mettere in contatto la vita con la fede: nella festa, nel lavoro, in famiglia, nel quartiere, per amare quelli che non credono". Ritengo anch'io che la visita pastorale non sia stato un rito puramente formale né abbia avuto alcun aspetto burocratico o 'fiscale'. Vissuta, invece, con fede e con maturo spirito ecclesiale, credo sia stata realmente la venuta di Cristo, buon Pastore, che, nella persona del Vescovo, è venuto a visitare il suo popolo nella pace. Per tanta ricchezza di grazia, non pos-siamo non lodare e benedire all'unisono il Signore, sempre ricco di misericordia. "Mille voci, un solo coro"! "Noi ti lodiamo e ti benediciamo, Gesù, Pastore buono, perché ancora non ti sei stancato di noi, povera gente, e continui a stare davanti a noi per guidarci, dietro a noi per difenderci, accanto a noi per accompagnarci, sostenerci, consolarci. A te la lode e la gloria, oggi e sempre"!

Riprendo ora la griglia del mio intervento alla veglia di apertura. Vorrei rileggere con voi la visita pastorale innanzitutto come esercizio di discernimen-

Visita pastorale a Santarcangelo di Romagna

Prot. VFL2012/40Rimini, 14 settembre 2012

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Visita Pastorale

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to. Il primo tratto che balza agli occhi, della vostra comunità, è il fatto che la vostra è la parrocchia più popolosa della nostra diocesi. Letto in luce di fede, questo dato dice una risorsa e segnala qualche problema. La risorsa è data dall'elevato numero di ministri e operatori pastorali presenti a Santarcangelo, a cominciare dai presbiteri: ben tre, in una stagione in cui il numero dei preti continua a scendere precipitosamente. Se poi ci mettiamo la presenza della comunità religiosa dei Cappuccini, e le tre comunità religiose femminili - le Suore bianche, quelle nere e quelle grigie, come voi le chiamate - abbiamo un totale di circa una ventina di persone consacrate presenti sul territorio. Se poi sommiamo i circa 100 tra catechisti, educatori, animatori; i 15 operatori della Caritas; i 7 lettori e accoliti; i 43 ministri straordinari della comunione eucari-stica, ci possiamo rendere conto di quanta generosità, competenza e gratuità continui a crescere e a portare frutto nella vostra parrocchia. Ma c'è anche il risvolto problematico di questa situazione, pure numericamente così rilevante. Basti chiedersi: quanti sono coloro, che pur battezzati, vivono come se non lo fossero mai stati? quanti ragazzi abbandonano il cammino di fede, dopo la co-munione e dopo la cresima? quanti giovani non si sposano più in chiesa? quanti sono i matrimoni civili? quanti non partecipano alla messa domenicale?

Ovviamente non si tratta di fare un calcolo puramente quantitativo o di imbastire una sorta di somma algebrica: la fede è come un raggio di sole che non si può misurare con il metro! Si tratta però di fare discernimento e di leg-gere la nostra attuale situazione come una situazione 'obiettivamente missio-naria'. Su questo punto vi prego di fare riferimento alla mia Lettera Pastorale di imminente pubblicazione - Noi non possiamo tacere - tutta dedicata alla nuova evangelizzazione e all'Anno della Fede, che, in Diocesi, apriremo il prossimo 14 ottobre, festa del nostro patrono s. Gaudenzo. Qui mi limito a riprendere alcuni elementi che orientano in senso missionario la vostra esperienza pastorale. Il primo è la suddivisione del territorio della parrocchia in 5 zone: ciò permette una presenza capillare sul territorio, garantisce dal rischio della massificazio-ne e dell'anonimato, favorisce una maggiore partecipazione dei fedeli alla vita dell'intera comunità. Un'altra realtà appena avviata è il Centro-Giovani, di cui abbiamo benedetto la prima pietra proprio nei giorni della visita pastorale: mi auguro che quanto prima si possa realizzare una struttura così vitale e rilevante, che permetterà alla pastorale giovanile e vocazionale di fare un salto esponen-ziale sia sotto il profilo formativo che culturale, ricreativo e sportivo.

Rimanendo nel contesto del discernimento comunitario, sarà opportu-no riflettere anche sul quadro orario delle celebrazioni eucaristiche sia festive che feriali, in modo che le binazioni in giorno feriale siano eccezionali, e le as-semblee liturgiche non risultino eccessivamente frammentate e numericamen-te troppo ridotte per poter assicurare una partecipazione "consapevole, attiva e fruttuosa", secondo l'autorevole indicazione del concilio Vaticano II.

Passando agli esercizi di comunione, vissuti nei giorni della visita pa-storale, come non gioire al ricordo del bel clima di fraternità che ho respirato tra voi tre sacerdoti?! Questo è il primo dono che i presbiteri devono fare alla Chiesa e alla società: "non l'attivismo, ma la testimonianza di una fraternità passione don Pietro nell'Ospedale, ed è quanto fate voi con l'UNITALSI, con la

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Atti del Vescovo

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CARITAS, con la valida collaborazione dei ministri della comunione eucaristica che raggiungono frequentemente tanti malati e anziani nelle case. Si deve fare di più, perché il mondo della fragilità, della malattia, del dolore è quello che più ha bisogno della buona notizia della Pasqua del Signore, ma è anche il terreno tra i più disponibili alla semina del santo evangelo.

Da ultimo, ma non per ultimo, non posso non raccomandarvi una ar-dente preghiera per le vocazioni - tutte, ma in particolare quelle al sacerdozio diocesano - e una più convinta e generosa collaborazione con le proposte della pastorale vocazionale del nostro Seminario. Vi dico la verità: quando penso a Santarcangelo, ai tanti giovani presenti in parrocchia, a tutto il bene che fate voi sacerdoti, suore, religiosi, educatori a questi giovani, mentre provo tanta gioia al pensiero di questo territorio tanto coltivato, mi si stringe il cuore al pensiero che da tantissimo - troppo! - tempo non matura più una vocazione sacerdotale a Santarcangelo. Preghiamo perché quanto prima il Signore ci possa dare que-sta grazia grande, della quale abbiamo tanto bisogno, e di cui forse non siamo ancora degni.

Avrei voluto dirvi tante altre cose. Ma mi fermo qua, sicuro di avervi consegnato già "tanta legna da ardere". Prego per voi perché l'ormai imminente Anno della Fede sia un tempo opportuno per mettere a frutto tutta la ricchezza di doni che il Signore vi ha benignamente concesso e che nella visita pastorale ho avuto modo di apprezzare con ammirata gratitudine e di benedire con il cuore stracolmo di gioia.

Mi farà piacere raccogliere qualche segnale di ritorno di questa mia, che affido alle generose mani di tanti, al buon cuore di tutti.

Che il Signore vi benedica e la tenerissima sua e nostra Madre Maria vi conceda uno dei suoi sorrisi più dolci e amorevoli.

Con grande affetto e con la più ampia benedizione

***************************************************************************Al Rev. Sac. Don GIANCARLO DEL BIANCOe alla Comunità della Parrocchia di San Michele ArcangeloSANTARCANGELO DI ROMAGNA

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Visita Pastorale

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Carissimo Don Giancarlo,Carissimi Fratelli e Sorelledella Parrocchia di S.Agata in Santarcangelo,

nei giorni dal 16 al 21 aprile 2012 si è svolta la visita pastorale nella vostra parrocchia. Riandare a quella esperienza benedetta, mentre mi riporta nel cuore l'eco di buoni ricordi, mi permette di condividere con voi riflessioni e orientamenti, che, spero, potranno esservi utili per il vostro cammino di fede.

Anzitutto i ricordi: non per crogiolarci in autocompiacimenti nostalgici, ma per cantare le meraviglie del Signore, il quale continua a scrivere cose grandi anche sulle nostre povere righe storte.

Prima di tutto mi ha favorevolmente impressionato la diligente prepara-zione della visita pastorale. La "missione al popolo" animata dai Padri Passionisti di Casale e la revisione di vita, svolta da ogni realtà della parrocchia, hanno per-messo a tutta la comunità di maturare una presa di coscienza della propria iden-tità e del cammino da compiere, contribuendo così a dare un carattere tutt'altro che formale o puramente ispettivo alla visita del Vescovo. Ho avuto poi una gra-dita conferma dell'ideale che vi anima, a cominciare dal tuo, di parroco, caro don Giancarlo: far emergere tutte le potenzialità di bene presenti in ogni fedele, nei gruppi e nelle varie strutture della parrocchia. Come pure sento di confermare l'ideale di tutta la comunità: diventare una comunità cristiana sempre più una, sempre più unita nella comunione e sempre più concentrata sulla missione, al punto da meritare il nome più alto e più vero: Carità, perché tutto ciò che non è carità in essa, non è parte viva della Chiesa.

Nella celebrazione di apertura, mi ha molto colpito il racconto del primo gruppo di giovani, presente in parrocchia, i "Ribissi". Si era agli inizi degli anni '90. In quei tempi di piccole fazioni in cui la vita dei ragazzi era divisa tra bar, par-tito o parrocchia, questo gruppo osò aprire una strada nuova, abbattendo tutte le barriere dei sospetti e delle divisioni tra buoni e cattivi. Il risultato fu una ventata di aria pulita, che contribuì in modo determinante a bonificare il territorio dalla grave piaga dello spaccio di droga. Nel frattempo i gruppi si sono moltiplicati e si va da quelli a carattere educativo, catechetico o caritativo, al gruppo "Condivi-sione" che sostiene iniziative di scambio con comunità dell'America Latina, alle associazioni culturali "La pioggia nel deserto" e "La Ginestra", le cui attività ho avuto modo più volte di condividere e di apprezzare. Non vorrei dimenticare in

Visita pastorale a S. Agata (Fabbrica) di Santarcangelo

Prot. VFL2012/41Rimini, 14 settembre 2012

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questa veloce carrellata né i gruppi che si dedicano ai servizi più umili, come il gruppo-donne per la pulizia della chiesa o il gruppo-nonni, né la commissione-libro e quella artistica, come pure mi sembra da rimarcare la sensibilità e il forte impegno per il dialogo ecumenico con la comunità evangelica di Mering.

Ora mi domando: ma non ci sono forse nel vostro cammino anche in-certezze, fatiche, problemi? Senz'altro, ma anche qui sono rimasto colpito dalla lettura di fede che voi ne fate, e che avete formulato con una felice espressio-ne: "Ogni difficoltà è una opportunità". E' partendo proprio dalla carenza di un numero adeguato di catechisti, come pure dalle lacune educative delle giovani famiglie di oggi - che non possono certo assicurare una robusta ossatura etica e valoriale ai piccoli semplicemente limitandosi ad aumentare le quote di affetto nei loro confronti - è partendo da queste e altre difficoltà che siete riusciti a dar vita a gruppi come "Il Melograno", per l'accompagnamento dei giovanissimi dopo la cresima, o al coinvolgimento dei genitori dei bambini e ragazzi del cate-chismo.

Nei giorni passati da voi ho avuto anche modo di visitare la fabbrica di laterizi "Ripabianca", colpita dalla crisi finanziaria, a cui si è aggiunto il grave dan-no della calamità della neve. Nella dirigenza, nelle maestranze e negli occupati ho però colto una ferrea volontà di fare del tutto per superare insieme questa fase complessa e drammatica.

Particolarmente significativo è risultato anche l’incontro al palazzo Mar-cosanti il 25 aprile, nel pomeriggio, sia perché dedicato ad un tema assai rilevan-te – “Chiesa e Impresa” – sia perché promosso e animato dai giovani, in modo creativo e coinvolgente.

Non posso chiudere questa breve rassegna degli aspetti più rilevanti della vostra comunità, riscontrati nella visita pastorale, senza accennare alla vi-sita effettuata presso le nostre sorelle e i fratelli infermi. Il primo è stato Davide, che da una ventina d'anni è amorevolmente assistito dai genitori: da quell'in-contro mi porto ancora dentro una scia di luce, che mi fa dire: "Questi sono i 'fatti di vangelo' che tengono in piedi il mondo!".

Mi sono attardato nella rilettura dell'agenda della visita pastorale, ma ora che la rileggo vi scorgo in filigrana come una "parabola" o un "paradigma" di comunità cristiana, che, in effetti, questo deve essere: una parrocchia-carità, presente sul territorio. Niente di più, niente di meno. Papa Giovanni XXIII parlava della parrocchia come della "fontana del villaggio", a cui tutti possono attingere l'acqua viva che disseta. Una volta era il territorio a definire la parrocchia, nel senso che - si diceva - "la parrocchia ha questo territorio". Oggi è forse più giu-sto dire: "il territorio ha questa parrocchia", per significare che nel territorio ci sono anche case, scuole, fabbriche, uffici, negozi, centri culturali, palestre. Ma il campanile che svetta sul quartiere o nella frazione, deve indicare che lì si raduna e vive una comunità di discepoli del Signore, i quali sanno di non essere dei perfetti, ma non "giocano" a fare i cristiani; cercano piuttosto - con l'aiuto del Crocifisso-Risorto e con l'aiuto reciproco - di fare i cristiani, di essere quel pugno di lievito che fa fermentare tutta la pasta dell'umanità che vive in quel determi-nato territorio.

Cosa dovete fare allora? Un giorno questa domanda venne rivolta a

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Visita Pastorale

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Gesù, ed egli rispose: "Questa è l'opera di Dio: che crediate in colui che egli ha mandato" (Gv 6,28-29). Il programma pastorale si può perciò riassumere tutto in questo semplicissimo verbo: credere. Credere contiene tutto: significa sentirci amati da Dio (anche quando si sperimenta "Gesù abbandonato"); signi-fica convertirci e cambiare vita; significa celebrare e vivere la domenica come il giorno del Signore, della comunità, dei poveri; significa abitare nelle case come tutti, ma senza fare della casa l'idolo della loro vita; significa lavorare come tutti, ma lavorare per vivere e non vivere per lavorare; significa procurarsi un onesto sostentamento, ma senza far diventare il denaro il padrone del proprio cuore; significa vivere gli affetti con cuore limpido, senza possessività malsane e vio-lente aggressività, ma nella fedeltà, nel rispetto, nella santità; significa vivere la malattia e ogni prova fisica o morale nella fede che il Signore è sempre Padre buono e che "tutto concorre al bene, per quelli che amano Dio" (Rm 8,28). Ma non è questa quella "pastorale della santità" di cui parlava il beato Giovanni Paolo II?

Ecco, una pastorale della santità: questa è la mia raccomandazione e - questa, siatene certi - la mia preghiera per voi, carissimi, come per ogni altra comunità parrocchiale della nostra bella e cara Chiesa riminese.

Mentre vi ringrazio di cuore per la cortese accoglienza che mi avete ri-servato e per l'ascolto che vorrete prestare a questa mia, vi chiedo di ricordarvi di me presso l'altare del Signore e vi prego di voler ricevere la mia benedizione che vi partecipo con grande affetto

***************************************************************************Al Rev. Sac. Don GIANCARLO MORETTIe alla Comunità della Parrocchia di S. AgataSANTARCANGELO DI ROMAGNA

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Diario del Vescovo

LUGLIO

Domenica 1 MattinoSuore Missionarie Francescane, via Bonsi - S.Messa

Pomeriggio Porto canale - Festa del Mare

da luned' 16 a sabato 21 Rocca di Papa, Convegno Nazionale Educatori Seminari

giovedì 5 MattinoCuria - Equipe Iniziazione Cristiana

Pomeriggio Curia - Fondazione “Marilena Pesaresi” Sera

S.Domenico Savio (Padulli) - S.Messa, ingresso nuovo parroco

venerdì 6 Mattinoudienze

PomeriggioSavignano – inaugurazione Casa Merlara

SeraLa Resurrezione (Grottarossa) - S.Messa, ingresso nuovo parroco

sabato 7 MattinoClarisse - S.Messa

sabato 7 e domenica 8 Saludecio, Ritiro per Famiglie: "Perché avete paura? Non avete ancora fede?"

domenica 8 Pomeriggio

ore 18.00 Verucchio - S.Messa, ingresso nuovo parroco

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Atti del Vescovo

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da martedì 4 a giovedì 6 in Cadore per il campo dei giovani di Azione Cattolica

venerdì 7 Mattino

Marebello - incontro consacrati Associazione Papa Giovanni XXIII (meditazione e Santa Messa)Sala Manzoni - incontro pre-pellegrinaggio in Russia

sabato 8 Pomeriggio

Casale - S.Messa, festa del Santuario da sabato 8 a lunedì 10 visita alla missione diocesana in Albania martedì 11 e mercoledì 12 giornate con i seminaristi mercoledì 12 Mattino

S.Croce - S.Messa giovedì 13 Mattino

Seminario – Consiglio EpiscopaleSeminario - Consiglio Presbiterale

da venerdì 14 a venerdì 22 pellegrinaggio diocesano in Russia sabato 22 Mattino

frati Bellariva – S.Messa, scuole Karis FoundationCattedrale - S.Messa, solennità della dedicazione della Basilica Cattedrale

domenica 23 Mattino

Parr. Cristo Re - S.Messa, ingresso nuovo parroco Pomeriggio

Seminario – Assemblea MissionariaSera Sala Manzoni – serata “Buon compleanno Marilena!”

da lunedì 24 a giovedì 27, Consiglio Episcopale Permanente a Roma giovedì 27 Sera

Sala Manzoni - Settimana biblica

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Diario del Vescovo

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venerdì 28 Mattinopiazza 3 Martiri - relazione di apertura al Festival FrancescanoMadonna della Scala - S.Messa, festa di san Vincenzo

domenica 30 Mattino

piazza Cavour - S.Messa, Festival Francescano

sabato 30 PomeriggioMiramare, ingresso nuovo parroco

SeraRiccione, parr. S. Martino - incontro con le famiglie

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Organismi Pastorali

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“Il rinnovamento della fede deve essere la priorità nell’impegno della Chiesa intera ai nostri giorni” (Benedetto XVI)Motivazioni dell’articolazione

- Dedicare questo anno al tema “la confermazione della fede” (sono evi-denti i due poli, anche se legati indissolubilmente) non può restare sulla carta, ma deve tradursi in intuizioni, sottolineature catechistiche e pastorali e gesti sia a livello di comunità e parrocchie che diocesani.- Necessità di legare in un progetto organico e di largo respiro quanto or-mai è tradizionale, e di dare un contesto a quanto di nuovo viene proposto.

Attenzioni- “Non mettere troppa carne al fuoco” e puntare su ciò che può riuscire.- Non aver paura di osare, puntando anche su cose nuove.- Cogliere tutte le occasioni per aiutarci a superare i campanilismi e le chiusure, sia attraverso momenti formativi che la preparazione e conduzio-ni di gesti ed eventi.- Sottolineare la dimensione vocazionale di questo anno nella prospetti-va che interpella tutti i cresimati: dall’universale vocazione alla santità alla vocazione personale di ogni battezzato.- Assumere seriamente come parrocchie il progetto diocesano di IC.

Obiettivi di fondo• Nellecomunitàcristianesiriflettesuldonodellafede,confermatodaDio nell’effusione dello Spirito nella cresima e dal credente all’interno della comunità cristiana.• Lecomunitàcristiane,grazieadunintensolavorodiformazionespiri-tuale e pastorale, crescono nella fede e nella capacità di comunione eccle-siale. In particolare aumenta la consapevolezza di essere parte dell’unica Chiesa particolare unita intorno al vescovo.• Siriflettesullacresimaintesacomeilsacramentodell’ICcheinseriscepiù pienamente nella Chiesa particolare e abilita alla missione di annuncia-re e testimoniare il Vangelo.• In collegamento con il sacramentodellaCresima si sottolinea la co-mune vocazione alla santità che il dono dello Spirito fa crescere in tutti i battezzati e si riflette sulla esperienza della vita cristiana come risposta alla

Programmazione Diocesana 2012-2013

“RINNOVATI NEL SUO SPIRITO” C’è una speranza più affidabile di quella cristiana?2012-13 ANNO DELLA CONFERMAZIONE DELLA FEDE

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Organismi Pastorali

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vocazione personale che ognuno riceve.• Camminoversolapastoraleintegrata:inquestoannolecomunitàven-gono sensibilizzate alla necessità e positività della PI e iniziano a cammi-nare da un lato verso una comunione più ampia, a livello di zona o unità pastorale, e dall’altro si radicano capillarmente nel territorio e negli ambiti di vita delle persone, mostrando che il Vangelo rende la speranza cristiana più affidabile di ogni aspettativa umana.• Si muovono alcuni passi nella direzione delle zone e, ove possibile,delle unità pastorali, programmando momenti insieme a livello zonale e organizzando itinerari di formazione per gli operatori pastorali.• Siprendeinseriaconsiderazione,doveancoranonsièavviatouncam-mino, la possibilità di iniziare la sperimentazione circa l’IC (almeno per la pastorale battesimale) e si prosegue dove è già iniziata, facendo una seria verifica e impostando il prossimo anno pastorale sulla base delle indicazio-ni presenti nel volume Per grazia di Dio cristiani.

Primo periodo: settembre-novembreSlogan: Chiesa in ascolto dello Spirito“Il Paraclito, lo Spirito Santo che il Padre manderà nel mio nome, lui vi insegne-rà ogni cosa e vi ricorderà tutto ciò che io vi ho detto” (Gv 14,26)

Contenuti:- La Chiesa è convocata dallo Spirito. Egli è il maestro e insegna ciò che Gesù ha detto. La Chiesa si pone in ascolto dello Spirito e coglie la sua presenza nel proprio cammino e nella storia: necessità del discernimento.- Nella Cresima lo Spirito discende ancora sui cristiani e li rende capaci di ascolto e di discernimento; questo non da soli, ma come famiglia di Dio. In questa famiglia siamo pienamente inseriti attraverso la Cresima, come ricorda la presenza del vescovo quale ministro originario.- Per ogni cresimato l’ascolto dello Spirito porta alla conoscenza della propria personale vocazione ed interpella ad una risposta libera per il bene della Chiesa ed il servizio al mondo. Ogni vocazione, pur personale, si in-serisce in quella meravigliosa comunione di vocazioni, ministeri e carismi che costituisce la comunità cristiana.- A distanza di 50 anni dall’inizio del Concilio Vaticano II e di 20 anni dal-la pubblicazione del Catechismo della Chiesa Cattolica il papa indice l’anno della fede, con inizio l’11 ottobre.- Con la festa di San Gaudenzo la nostra Chiesa inizia il nuovo anno pa-storale e si incammina concretamente sulla strada della pastorale integrata.

Principali momenti:- Momento diocesano di confronto per le parrocchie che hanno iniziato la sperimentazione sull’IC (martedì 18 settembre, ore 21). - Settimana biblica sulla lettera ai Romani (24-27 settembre).- Festival francescano (28-30 settembre)- Assemblea operatori pastorali (12 ottobre): inizio ufficiale anno della

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confermazione della fede e proposta motivata del percorso di pastorale integrata. Messa per San Gaudenzo (14 ottobre) e consegna degli itinerari formativi nelle parrocchie e/o zone pastorali. - Svolgimento della SDOP (dal 5 novembre al 10 dicembre).

Secondo periodo: Avvento-NataleSlogan: Chiesa che cresce e matura nello Spirito“Fratelli, quelli che sono guidati dallo Spirito di Dio, questi sono figli di Dio. E voi non avete ricevuto uno spirito da schiavi per ricadere nella paura, ma avete ricevuto lo Spirito da figli adottivi per mezzo del quale gridiamo: «Abbà, Padre!». Lo Spirito stesso, insieme al nostro spirito, attesta che siamo figli di Dio. E se siamo figli, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, se davvero prendiamo parte alle sue sofferenze per partecipare anche alla sua gloria.” (Rm 8,14-17)

Contenuti: - L’attesa e la celebrazione del Natale ci richiamano la nostra figliolanza divina: Gesù ci ha insegnato che Dio è abbà.- Lo Spirito rivela la nostra identità di figli amati da Dio: il Natale, la na-scita del Figlio nella natura umana, è anche la festa dell’uomo chiamato ad essere figlio nel Figlio. Il Natale allora non è la festa dei buoni sentimenti, ma la rivelazione sconvolgente di quanto possa l’amore di Dio per noi.- Nel tempo dell’Avvento protagonista è Maria che conserva tutto ciò che accade in lei e attorno a lei meditandolo nel suo cuore: come lei anche noi siamo chiamati alla contemplazione di ciò che l’amore di Dio opera nelle nostre comunità.- Sull’esempio di Maria, per ogni chiamato, il primo passo si pone nell’ac-cogliere il dono dello Spirito Santo ricevuto nei sacramenti dell’Iniziazione Cristiana e nel far crescere in noi la presenza vera di Cristo (Parola e Sa-cramento). Ogni vocazione non è altro che un modo originale di generare Cristo al mondo, permettendo a Lui di assumere la nostra carne.- Il tempo dell’Avvento è il tempo della formazione perché nascano cri-stiani adulti e responsabili, capaci di testimoniare la bellezza della fede.

Principali momenti:- Lectio divina itinerante tenuta dal vescovo nelle quattro settimane d’Av-vento, trasmessa in differita attraverso Icaro TV. La lectio ci sarà nei giorni 30/11, 7, 14 e 21/12 a Savignano, Villa Verucchio, Coriano e Morciano. - Momenti di formazione a livello parrocchiale e zonale utilizzando i sus-sidi diocesani preparati ad hoc.

Terzo periodo: gennaio (fino al 12 febbraio)Slogan: Chiesa plasmata dai doni dello Spirito“Su di lui si poserà lo spirito del Signore, spirito di sapienza e di intelligenza, spirito di consiglio e di fortezza, spirito di conoscenza e di timore del Signore” (Is. 11,2)

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Contenuti:- Il lezionario di questa prima parte del tempo ordinario C presenta gli inizi del ministero pubblico di Gesù, che realizza la profezia di Isaia.- Anche la Chiesa, per il dono dello Spirito, è piena di quei doni che il pro-feta annuncia ed è chiamata a metterli in gioco portando frutti di annuncio del Vangelo e realizzazione di “vita buona”.- In particolare tutti i membri della comunità sono chiamati a mettersi in gioco facendo convergere i carismi per il bene di tutta la Chiesa; ciò signifi-ca concretamente aderire liberamente alla propria vocazione e rimanergli fedeli.

Principali momenti:- Prosegue la formazione a livello parrocchiale e zonale, tematizzando e approfondendo i doni dello Spirito Santo e mostrando quali ricadute pos-sano avere nella vita concreta delle comunità. (schede fornite dal centro diocesi).- Settimana di preghiera per l’unità dei cristiani (18-25 gennaio).- Convegno di studio “I mondi vitali della preadolescenza” (25-27 gennaio).- “Settimana sociale” come momento formativo specifico per operatori pa-storali del settore (29-31 gennaio). Probabile anche una “settimana liturgi-ca” (data da stabilirsi).

Quarto periodo: QuaresimaSlogan: Chiesa riconciliata dallo Spirito“Gesù disse loro di nuovo: «Pace a voi. Come il Padre ha mandato me, anche io mando voi. Detto questo, soffiò e disse loro: <Ricevete lo Spirito Santo. A coloro a cui perdonerete i peccati, saranno perdonati>.” (Gv 20, 21-23)

Contenuti:- Il Risorto invia i discepoli: la dimensione della missione/testimonianza, evidenziata nella Cresima, è fondamentale nella vita della Chiesa. La Chie-sa esiste per l’annuncio del Vangelo.- Il primo frutto del dono dello Spirito, secondo Gv, è la piena riconci-liazione con Dio attraverso il ministero della Chiesa. La quaresima, tempo di grazia, ci richiama alla riscoperta del sacramento della riconciliazione, cogliendo in particolare la sua dimensione ecclesiale. - Esiste una solidarietà nel peccato e una solidarietà nel cammino di riconciliazione: la conversione personale si coniuga con la vita ecclesiale.- Per ogni cristiano il comandamento supremo per la vita nello Spirito è corrispondere con libertà e letizia alla volontà del Signore. In questo tempo di quaresima siamo chiamati a riflettere sulla nostra attuale libertà e leti-zia nell’accogliere la nostra vocazione quotidiana in riferimento alla nostra grande vocazione personale.- La rinuncia al male e la professione di fede battesimale da parte di tut-ta la comunità, che precede il rito della Cresima, ricorda il coinvolgimento dell’intero popolo di Dio nel cammino dei ragazzi cresimandi.

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Organismi Pastorali

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Principali momenti:- Quaresimali a S. Agostino: il Concilio e la fede della Chiesa espressa nel Catechismo della Chiesa Cattolica.- Incontri del vescovo coi cresimandi/cresimati e i loro genitori.- Festa degli adolescenti in occasione del tradizionale sabato prima delle Palme (23 marzo).

Quinto periodo: Tempo pasquale (aprile e maggio)Slogan: Chiesa inviata dallo Spirito“Mentre stava compiendosi il giorno di Pentecoste, si trovavano tutti insieme nello stesso luogo. Venne all'improvviso dal cielo un fragore, quasi un vento che si abbatte gagliardo, e riempì tutta la casa dove stavano. Apparvero loro lingue come di fuoco che si dividevano e si posarono su ciascuno di loro; e tutti furono colmati di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue, nel modo in cui lo Spirito dava loro il potere d'esprimersi.Abitavano allora in Gerusalemme Giudei osservanti di ogni nazione che è sotto il cielo. A quel rumore, la folla si radunò e rimase turbata perché ciascuno li sentiva parlare nella propria lingua.” (At 2,1-8)

Contenuti:- Il tempo pasquale richiama lo stretto legame tra Pasqua e Pentecoste, tra la rinascita nel battesimo e il pieno inserimento attraverso la cresima nella Chiesa inviata a testimoniare il Vangelo del Risorto.- Questo è il tempo della mistagogia, della scoperta dei sacramenti dell’IC e delle conseguenze che ne derivano.- La dimensione ecclesiale della cresima, significata dalla presenza del vescovo come suo ministro originario, richiama al superamento dei confini e alla necessità di abbandonare pretese di autosufficienza delle singole comunità a favore della crescita del senso di diocesanità e della pastorale integrata.- Ogni vocazione personale ha un’origine ecclesiale e chiede di essere riconosciuta, confermata e accolta dalla Chiesa; a queste condizioni essa rappresenta un vero dono di Dio alla Chiesa stessa e al mondo. In questo tempo chiediamo al Signore la sapienza per la Chiesa per poter riconosce-re le chiamate che Dio rivolge ai singoli battezzati, e per tutti i credenti la disponibilità al discernimento ecclesiale per salvaguardare la comunione, vero e grande dono dello Spirito.

Principali momenti:- Itinerario di preparazione alla veglia di Pentecoste cogliendo le tradizio-nali occasioni che la pastorale presenta: devozione mariana, preparazione e celebrazione dei sacramenti dell’IC. - Veglia diocesana di Pentecoste (18 maggio).- In questo periodo si celebra la Giornata Mondiale di preghiera per le vocazioni dal titolo: “Progetta con Dio … abita il futuro”.

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Organismi Pastorali

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Vengono indicati i principali appuntamenti diocesani. Il calendario è ancora incompleto e qualche data potrebbe essere modificata.

Settembre 2012Da domenica 2 a domenica 9: Campo scuola diocesano ACGMartedì 18: Momento diocesano di confronto per le parrocchie che hanno

iniziato la sperimentazione sull’I.C. (ore 21)Giovedì 20: Incontro con i referenti parrocchiali presentazione dell’anno pa-

storale (U.P.F.)Sabato 22: Solennità della dedicazione della Basilica Cattedrale (ore 17,30)

Candidature al diaconato e al presbiterato Domenica 23 Assemblea diocesana Missio 24-25-26-27 Settimana biblica: La Lettera ai romaniDa venerdì 28 a domenica 30 Festival francescano

Ottobre 2012Lunedì 1 Formazione nuovi catechisti ed educatori (a cura dell’UCD e

ACR)Giovedì 4 Festa di San Francesco: S. Messa presieduta dal Vescovo Venerdì 5: Memoria liturgica del beato Alberto Marvelli (S. Agostino, Mes-

sa 17,30)Sabato 6 Convegno regionale di Pastorale della Salute a RiminiDomenica 7: Assemblea Caritas parrocchiali (presso sede Caritas, ore 15)Lunedì 8 Formazione nuovi catechisti ed educatori (a cura dell’UCD e

ACR)Venerdì 12: Assemblea operatori pastorali (Sala Manzoni, ore 21). inizio uf-

ficiale anno della confermazione della fede e proposta motivata del percorso di pastorale integrata

Sabato 13: Concerto musica sacra (Basilica Cattedrale, ore 21)Sabato 13 – domenica 14 Due giorni formativa per educatori giovaniliDomenica 14: Solennità di San Gaudenzo. Concelebrazione ore 17,30 in Cat-

tedraleLunedì 15: Formazione nuovi catechisti ed educatori (a cura dell’UCD e

ACR)Venerdì 19: Veglia missionariaSabato 20 Convegno sul disagio abitativo (Caritas Diocesana). Domenica 21 Giornata missionaria mondiale

Calendario Diocesano 2012-2013

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Organismi Pastorali

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Venerdì 26: Prolusione anno accademico ISSR (teatro del seminario, ore 20,45)

Domenica 28 Festa diocesana della famiglia Consacrazione nell’Ordo Virginum di Marina Venturi. Basilica

Cattedrale ore 17,30.

Novembre 2012Domenica 4 Assemblea Caritas parrocchiali, ore 15 (sede Caritas Diocesana) Dal 5/11 al 10/12 Scuola diocesana operatori pastorali (6 lunedì)Lunedì 19 – venerdì 23 Esercizi Spirituali Presbiterio a LoretoVenerdì 30 Lectio divina itinerante tenuta dal Vescovo (Savignano)

Dicembre 2012Sabato 1 La Luce nella notteDomenica 2 Inizio AvventoVenerdì 7 Incontro di spiritualità per persone impegnate in politicaDal 7/12 al 6/1 Mostra dei presepi dal mondoVenerdì 7 Lectio divina itinerante tenuta dal Vescovo (Villa Verucchio)Sabato 8 Ordinazione presbiterale di Eugenio FacondiniDomenica 9 Giornata per il SeminarioVenerdì 14 Lectio divina itinerante tenuta dal Vescovo (Coriano)Sabato 15 UPG. Iniziativa: Pacchi natalizi: evangelizziamo lo scambio dei

doni.Venerdì 21 Lectio divina itinerante tenuta dal Vescovo (Morciano)Lunedì 17 S. Messa di Natale con gli Insegnanti di Religione celebrata dal

Vescovo. 17,30 Seminario Vescovile

Gennaio 2013Martedì 1 Giornata mondiale della paceDomenica 6 Messa dei popoli nell’Epifania del SignoreDomenica 13 Giornata mondiale MigrantesVenerdì 18 Incontro presentazione Giornata per la vitaVenerdì 18 - 25 Settimana di preghiera per l’unità dei cristianiDomenica 20: Assemblea Caritas parrocchiali (presso sede Caritas, ore 15)Venerdì 25 – domenica 27: Convegno di studio “I mondi vitali della preadole-

scenza”.Domenica 27 Giornata promozione umana e missione in AlbaniaDal 31 fino al 2 febbraio: Settimana Sociale diocesana in preparazione alla Set-

timana Nazionale

Febbraio 2013Sabato 2 Giornata della vita consacrataDomenica 3 Giornata della vitaDomenica 10 Festa diocesana di San ValentinoLunedì 11 Giornata del malato Incontro di approfondimento per catechisti

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Organismi Pastorali

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Mercoledì 13 Le Ceneri. Celebrazione penitenziale in CattedraleDal 18/2 al 18/3: Meditazioni quaresimali a S. Agostino (5 lunedì)Domenica 24 Incontro cresimandi e genitori col Vescovo

Marzo 2013Venerdì 1- domenica 3: Esercizi spirituali per universitari.Domenica 3 Incontro cresimandi e genitori col VescovoSabato 9 La Luce nella notteDomenica 10 Incontro cresimandi e genitori col VescovoLunedì 11 Incontro di approfondimento per catechistiSabato 16 La Luce nella notteMercoledì 20 Pasqua universitaria col Vescovo (cappella universitaria)Sabato 23 GMG diocesanaMercoledì 27 Ritiro presbiterio e Messa crismaleVenerdì 29 Via Crucis giovanissimi (promossa dall’AC)Sabato 30 Veglia Pasquale e sacramenti dell’I.C. per gli adulti in Cattedrale

Aprile 2013Sabato 6 Presentazione del Rapporto sulle Povertà 2013. S. Messa con le persone disabili.Martedì 9 Veglia in memoria dei Missionari MartiriSabato 13 - domenica 14 Campo Lavoro MissionarioVenerdì 19 Veglia per le vocazioniDomenica 21 Giornata mondiale vocazioniMartedì 30 Veglia di preghiera per il 1° maggio

Maggio 2013Mercoledì 8 Sala S. Gaudenzo, ore 17 Incontro del Vescovo con i Dirigenti

Scolastici Basilica Cattedrale, ore 18,30 : Santa Messa per la Scuola, cele-

brata dal Vescovo Sabato 18 Veglia diocesana di Pentecoste in piazza a RiminiGiovedì 30 Processione cittadina del Corpus Domini

Luglio 2013 G.M.G. a Rio de Janeiro

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Avvenimenti Diocesani

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Venerdì 14 settembre, festività dell’Esaltazione della Santa Croce, la Diocesi di Rimini è partito il pellegrinaggio diocesano in Russia.

200 pellegrini sono partiti dall’aeroporto internazionale “F. Fellini” di Rimini, in parte su un aereo di linea e in parte su un aereo charter, resosi necessario per il notevole flusso di richieste di partecipazione.

Il pellegrinaggio diocesano è sto organizzato dall’Ariminum Viaggi di Rimini.Vi ha preso parte il Vescovo di Rimini, mons. Francesco Lambiasi, e cinque

sacerdoti in qualità di assistenti spirituali. Sono state visitate Mosca, e successivamente Serghiev Posad, Suzda, Vla-

dimir, San Pietroburgo, e l’Anello d’oro, per una scoperta delle radici cristiane dell'Europa.

Sette giorni per incontrare e capire la Russia “vera” con tutte le sue bellezze

e contraddizioni, per scoprire la ricchezza della chiese ortodosse e la spiritualità della Russia, forgiate nel corso dei secoli attraverso periodi di grandi prove. E’ stata altresì l’occasione per riscontrare la vitalità delle parrocchie cattoliche di oggi e parlare delle sfide che queste comunità sono chiamate ad affrontare nella società russa contemporanea.

Pellegrinaggio Diocesano in Russia

14-21 settembre 2012

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Avvenimenti diocesani

Bollettino Diocesano 2012 - n.3

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La Fondazione Marilena Pesaresi onlus e l’Ufficio Missionario Diocesano hanno promosso domenica 23 settembre la serata “Rimini for Africa, Buon Compleanno Marilena!” dedicata alla dott.ssa Marilena Pesaresi. L’appunta-mento si è svolto in Sala Manzoni a Rimini.

Durante la serata – condotta dalla direttrice di Icaro Tv Simona Mulazzani – ci sono state interviste e testimonianze di amici e collaboratori del medico missionario riminese. “Rimini for Africa, Buon Compleanno Marilena!” è sta-ta accompagnata anche dalla musica della nota cantante italo-somalo-etiope Saba Anglana e dal complesso musicale “Charme Music Trio”.

Rimini for Africa

“Buon compleanno, Marilena!” Serata di musiche e testimonianze

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Avvenimenti Diocesani

Bollettino Diocesano 2012 - n.3

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LETTERA AI ROMANIIl Vangelo della grazia e del perdono

Dal 24 al 27 settembre si è svolta la XIV Settimana Biblica rivolta agli ani-matori dei centri di ascolto, catechisti, operatori pastorali e quanti sono in-teressati all’approfondimento biblico. Il tema di quest’anno sarà dedica-to alla Lettera ai Romani. Questa scelta è in consonanza con l’Anno della Fede e a sostegno della scelta dell’anno pastorale incentrato sulla confer-mazione della fede ( “Rinnovati nel suo Spirito. C’è una speranza più affi-dabile di quella cristiana?”). La Lettera ai Romani si presta in modo specia-le ad un annuncio riguardante il dono della fede nella gratuita azione di Dio attraverso il dono di Gesù e dello Spirito Santo che trasforma la vita.Il programma ha previsto l’intervento di quattro Biblisti.Lunedì, 24 Settembre

“Io non mi vergogno del Vangelo” (Rm 1,16) La salvezza mediante la FedeRelatore: mons. Romano Penna (Biblista, docente emerito di Esegesi del Nuovo Testamento alla Pontificia Università Lateranense)

Martedì 25 Settembre “Noi siamo in pace con Dio per mezzo del Signore nostro Gesù Cristo” Rm 5,1 Liberi dal peccato per l’amore di GesùRelatore: don Francesco Mosetto (Biblista, Preside emerito della Facoltà di Teologia dell'Università Salesiana (sezione di Torino); Presidente emerito dell'Associazione Biblica Italiana".)

Mercoledì 26 Settembre “Lo Spirito di Dio abita in voi” ( Rm 8,9) La vita secondo lo SpiritoRelatore: Prof.ssa Rosanna Virgili (Biblista, Docente di Esegesi Biblica pres-so l'Istituto Teologico Marchigiano)

Giovedì 27 Settembre“Lasciatevi trasformare rinnovando il vostro modo di pensare” Rm 12,2 C’è una speranza più affidabile di quella cristiana?Relatore: Don Patrizio Rota Scalabrini (Biblista, docente di Teologia biblica alla Facoltà Teologica dell’Italia Settentrionale - Milano - e al Seminario di Bergamo).

Il Vescovo Mons. Francesco Lambiasi ha concluso il 27 settembre la settimana di studio e riflessione.

XIV Settimana Biblica Diocesana

“Della vostra fede si parla nel mondo intero”(Rm 1,8)

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BollettinoLuglio - Settembre

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Direttore responsabile: Baffoni don RedeoSped. in abbonamento postale 70%Filiale di Forlì

Direz. Amministr.: Curia Vescovile, via IV Novembre, 35Rimini – Tel. 0541. 24244Pubblicazione TrimestraleCon approvazione ecclesiastica

Progetto grafico e impaginazione - KaleidonStampa: Tipolito Garattoni - Rimini

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