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1 Bonsai & Suiseki magazine Bonsai&Suiseki magazine Anno II - n.1 Gennaio 2010

Bonsai & Suiseki magazine - Gennaio 2010

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Bonsai & Suiseki magazine - Gennaio 2010 - ----------- THE FIRST OPEN-MAGAZINE from the world of Bonsai and Suiseki. The magazine is an informative, scientific and technical instrument open to all. Free and online. http://bonsaiandsuisekimagazine.blogspot.com

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Bonsai & Suisekimagazine

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Per raggiungere l’autentica realtà, per distinguere il bene dal male ed il vero dall’ap-parente, è necessario calmare l’attività mentale e raggiungere una consapevolezza

senza oggetto: leggevo che “chi potesse vivere cento anni non saggiamente e senza controllo, meglio un sol giorno di vita di saggezza e di meditazione” (Dhammapada). E certamente questa riflessione era sollecitata dal clima oramai passato del periodo festi-vo, primo fra tutti il Natale, rigorosa occasione per i cristiani, il nuovo anno, occasione scaramantica per scacciare il vecchio anno e sperare sempre nel nuovo più propositivo ed infine l’Epifania, altra ricorrenza di matrice cristiana.

Editorialedi Luca Bragazzi, Antonio Ricchiari, Carlo Scafuri

Ad esattamente un anno di distanza dal lancio ufficiale di questa nuova realtà, con mia grande soddisfazione mi trovo a dover scrivere un editoriale che celebra il primo

e proficuo traguardo della nostra rivista. Perché se è vero che Bonsai & Suiseki Magazi-ne nasce dall’idea di tre amici è vero anche che l’ambizione era quella di estenderne la collaborazione a tutti coloro che ci avrebbero creduto, ed è stato così. Anzi, se dovessimo rendicontare il tutto e fare un bilancio, sicuramente il risultato così come appare oggi, supera abbondantemente le ambizioni e le aspettative iniziali. La rivista è cresciuta, si è estesa, ha visto l’unione di professionisti ed è addirittura tradotta in un non ben preciso numero di lingue in tutto il mondo. Tutti questi cambiamenti non hanno però distolto lo sguardo dagli obiettivi e dalla morale che ha contraddistinto la sua nascita: la completa gratuità, la dedizione disinteressata della redazione e la condotta professionale che guida i vari numeri l’hanno resa la prima rivista in assoluto di questo genere. Come ogni cosa, non è stata priva di intoppi, non sono mancate infatti le invidie e le bassezze, ed è per questo che il detto Nec Recisa Recedit si addice perfettamente all’organizzazione della nostra rivista. Il bonsai, per me è anche un momento di crescita ma soprattutto di serena aggregazione ed è per questo che ringrazio di cuore tutti, da coloro che ci colla-borano a tutti coloro che la leggono, siano essi vicini o lontani, perché con il loro apporto hanno materializzato un piccolo sogno di pochi che è poi diventato di molti.

Luca Bragazzi

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Tutto ciò ci ha portato a bilanci, a buoni propositi (poi messi in atto?), comunque ad un clima più rilassato e più tollerante. I bilanci, per noi che lavoriamo al Magazine sono si-curamente molto positivi. I fatti ed i consensi parlano per tutti. La rivista è attualmente letta in 24 Paesi del mondo e questo dato ci basta.I propositi, ora che siamo all’inizio del 2010 sono la cosa più importante e perché riguar-dano il futuro del Magazine che è patrimonio dei nostri lettori. Continueremo quindi con la linea editoriale tracciata dal primo numero:

Assoluta e attenta professionalitàCorretta informazione

Aperta collaborazione a tutti e con tutti nell’interesse esclusivo di una migliore diffusio-ne del bonsai e del suiseki.

Auguriamo a tutti gli amici, a quelli che ci vogliono bene e soprattutto a quelli che ci “vor-rebbero” male, un sereno, radioso e felice 2010 e lo facciamo di vero cuore tendendo un ramoscello (o un bonsai…!) di olivo, segno di pace e di fratellanza perché è di questo particolarmente che la società d’oggi ha bisogno. I consensi per quanto facciamo e per quello che andiamo a fare anche quest’anno sono il nostro motore, la collaborazione è il fulcro di questo motore, i lettori e quanti ci seguono, ci sostengono e ci approvano sono la forza trainante: senza tutto ciò non starei qui a scrivere questo editoriale assieme ad i miei amici.

Antonio Ricchiari

Quando esattamente un anno fa lanciammo sul web il primo numero di Bonsai&Suiseki magazine, non avremmo mai creduto che questa nostra idea potesse raggiungere

traguardi così importanti in un lasso di tempo così ristretto. La crescita di questo open-magazine è sicuramente da imputare alla professionalità con la quale tutti i collaboratori si sono impegnati per la realizzazione di questa innovativa rivista (nel frattempo diffusa-si anche attraverso i vari social network e su youtube), che, numero dopo numero, in un crescendo di impegno e partecipazione, hanno portato il magazine ad essere tra i più seguiti nel settore, sia in Italia che nel resto del mondo. Sarò ripetitivo, ma mi preme sottolineare la serietà e la costanza profusa dai redattori nel portare avanti un compito certamente gravoso. Senza il “silenzioso” lavoro di Salva-tore, Giuseppe, Pietro, Dario, Daniele, Marco e Sandra, non avremmo potuto raggiun-gere un risultato qualitativo così soddisfacente; è a loro, in primis, a cui va tutta la mia riconoscenza e la mia gratitudine. Ma gli sforzi della redazione sarebbero stati vani, inutili, se non coadiuvati dall’impegno libero e disinteressato di tutte quelle persone che di volta in volta si sono alternate nella stesura di articoli sempre più interessanti ed appassionanti, che hanno saputo catturare l’attenzione di una platea di lettori vasta, critica ed attenta. Ed è stata proprio in quest’ottica di miglioramento continuo che si è rivelata particolar-mente preziosa la collaborazione fissa di Sandro Segneri e della sua Bonsai Creativo School (ricordiamo i pregevole contributi incentrati su lavorazioni di alto livello tecnico-didattico), e di Massimo Bandera, che con i suoi scritti ci ha permesso di conoscere l’affascinante e complesso mondo dell’arte bonsai giapponese.Avanti quindi per questa strada, tutti insieme, con l’obiettivo di diffondere al meglio que-ste antiche e raffinate arti, all’insegna della collaborazione reciproca, del rispetto e della libertà d’espressione.

Carlo Scafuri

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Ideato da: Luca Bragazzi, Antonio Ricchiari, Carlo Scafuri

Direttore: Antonio Ricchiari - [email protected]

Direttore Responsabile: Antonio Acampora - [email protected]

Caporedattore: Carlo Scafuri - [email protected]

Art directors: Salvatore De Cicco - [email protected] Carlo Scafuri

Impaginazione: Carlo Scafuri

Comitato di redazione: Antonio Acampora Massimo Bandera - [email protected] Luca Bragazzi - [email protected] Luciana Queirolo - [email protected] Antonio Ricchiari Carlo Scafuri Sandro Segneri - [email protected] Redazione: Daniele Abbattista - [email protected] Sandra Guerra Giuseppe Monteleone - [email protected] Dario Rubertelli - [email protected] Pietro Strada - [email protected] Marco Tarozzo - [email protected]

Hanno collaborato: Franco Barbagallo - [email protected] Heven Chui Armando Dal Col - [email protected] Crespi Editori - Bonsai&News - [email protected] A. Bonsai e Suiseki Genova - [email protected] Gian Luigi Enny - [email protected] Paolo Nastasi Carlo Oddone Elisabetta Ruo - [email protected] Francesco Santini - [email protected] Anna Lisa Somma - [email protected] Axel Vigino

In copertina: Faustina Lepore Francesco Santini Carlo Scafuri

Sito web: http://bonsaiandsuisekimagazine.blogspot.com

Indirizzo e-mail: [email protected]

Bonsai & Suisekimagazine

Anno II - n. 1 - Gennaio 2010in collaborazione con

Il Magazine non ha alcun fine di lucro. Tutto il materiale pubblicato nel Magazine è protetto dai diritti di proprietà intellettuale, in conformità alla normativa vigente in materia di tutela del diritto d’autore applicabile (in particolare, alla Convenzione di Berna ed alla L. 633/1941 e successive modifiche). L’accesso al Magazine non consente il diritto di appropriarsi, di riprodurre, di modificare, di distribuire, di ripubblicare, in alcuna forma anche parziale e con qualsiasi strumento, il materiale in esso contenuto, senza l’espressa autorizzazione scritta da parte della Direzione o del terzo titolare dei relativi diritti di sfruttamento e/o di riproduzione. L’eventuale stampa del Magazine è strettamente riservata ad uso personale e ne è vietato ogni utilizzo improprio. Il Magazine non assume alcuna responsabilità in ordine ad eventuali inesattezze, errori ed omissioni nel materiale pubblicato ed in ogni caso si riserva il diritto di inter-venire, in ogni momento, apportando correzioni ed eventuali modifiche. Tutte le collaborazioni sono a titolo esclusivamente gratuito ed il Magazine si riserva il diritto di potere utilizzare il materiale concesso. La pubblicazione di articoli sul Magazine presuppone la cono-scenza e l’accettazione di questo Disclaimer Legale.

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>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki

>> Mostre ed Eventi

>> In libreria

>> Bonsai ’cult’

>> La mia esperienza

>> A lezione di suiseki

08 Il giardino del tè di G. L. Enny 12 Kusamono di A. Ricchiari 15 Un giorno con gli amanti del suiseki di H. Chui, L. Queirolo 18 Il giardino ‘nascosto’ di Luigi Nuzzo di C. Scafuri

25 II° Trofeo Napoli Bonsai Club ONLUS di A. Acampora

39 Alberi ed arbusti in Italia. Manuale di riconoscimento di A. Ricchiari

40 Incontro tra Oriente ed Occidente di A. Ricchiari

42 Lo scheletro di F. Barbagallo, D. Rubertelli 46 La storia del Faggio Patriarca - II parte di A. Dal Col 52 Equilibrio instabile di P. Nastasi

54 Costruire giocando di L. Queirolo

>> Noi... di Bonsai Creativo School 60 ...dopo 20 primevere italiane. Storia di un pino di F. Santini

>> L’opinione di...

>> A scuola di estetica

>> L’essenza del mese

>> Non tutti sanno che...

>> Note di coltivazione

>> Tecniche bonsai

>> L’angolo di Oddone

>> Vita da Club

>> Il Giappone visto da vicino

>> Che insetto è

72 Francesco Santini di G. Monteleone

77 Lo stile su roccia di A. Ricchiari

81 Il carpino - II parte di A. Acampora

84 L’olmo - I parte di E. Ruo

88 I concimi fogliari di L. Bragazzi

90 I rami di sacrificio di L. Bragazzi

95 Il tasso di C. Oddone

99 Amatori Bonsai e Suiseki Genova

101 La voce delle onde - M. Yukio di A. L. Somma 102 L’architettura contemporanea giapponese di A. Ricchiari

106 I danni da basse temperature. Le gelate - I parte di L. Bragazzi

>> Bonsai-do: pratica e sapere 22 OMOTENASHI - la soddisfazione dell’ospite di M. Bandera

>> Axel’s World 104 La creazione del mondo di A. Vigino

>> Dalle pagine di Bonsai&News 28 Scolpendo la legna secca: rinascita di un Ginepro a scaglie

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venerdì 26 febbraio 2010

sabato 27 febbraio 2010

domenica 28 febbraio 2010

Ore 9,00 - 12,30 / 15,00 - 19,00Laboratorio con il Maestro Suzuki

Assistenti: istruttori Lorenzo Agnoletti, Francesco Santini e Graziano Vivoli(al termine verranno cosegnati attestati di partecipazione autografati dal Maestro)

Ore 9,00 - 12,30Allestimento Mostra Bonsai

Ore 14,00Inaugurazione Mostra Bonsai e visita guidata con il Maestro Suzuki

Ore 14,30Inaugurazione Mostra SCROLL giapponesi

(Iconografia del pino) a cura di Carlo Cippoli c/o Museo del Bonsai

Ore 9,00 - 12,30 / 14,30 - 18,30Laboratorio con il Maestro Suzuki

Assistenti: istruttori Lorenzo Agnoletti, Francesco Santini e Graziano Vivoli(al termine verranno cosegnati attestati di partecipazione autografati dal Maestro)

Ore 11,00 - 12,30Intervento di Carlo Cipollini

Ore 16,00 - 17,30Conferenza del Prof. Aldo Tollini

(Docente di Lingua Giapponese Classica al Dipartimento di Studi sull’Asia Orientale dell’Università “Ca’ Foscari” di Venezia sulla cultura e arte giapponesi con fierimento al Bonsai

Visita guidata alla Mostra degli SCROLLcon commento del Prof. Tollini

Ore 20,30Cena di Gala c/o il ristorante “Piazza Grande” dell’Hotel “Villa delle rose”,durante il quale verrà consegnato il 1° TROFEO BONSAI “CITTà DI PESCIA”

Ore 9,00 - 10,00Il pubblico incontra il Maestro Suzuki...

Ore 10,00 - 12,30 / 14,30 - 17,30Dimostrazione del Maestro con la lavorazione di tre esemplari

Assistenti: istruttori Lorenzo Agnoletti, Francesco Santini e Graziano Vivoli

Ore 10,00 - 11,30Dimostrazione “Ikebana e minimalismo europeo”

Eseguito da un’insegnante Interflora di Arte Floreale

Dalle ore 16,00 piccoli assaggi di cucina giapponeseOre 18,00 Chiusura Manifestazione

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>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki

8 Il Giardino del tè- Gian Luigi Enny -

Il giardino del tè

Come accennato negli articoli precedenti, molti aspetti della cul-tura giapponese han-

no la loro provenienza in quella cinese e a volte in quella ko-reana. L’usanza di soffermarsi alla degustazione di vari tipi di tè era estesa in Cina e in Korea sin dai tempi arcaici, dove era una prerogativa delle persone più colte che la consideravano un’arte da praticare in certi mo-menti della giornata. Per centellinare la pre-ziosa bevanda veniva costruito un ambiente apposito, quasi sempre circondato da un giar-dino che con il suo particolare arredo e la sua atmosfera wabi-

di Gian Luigi Enny

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9Il giardino del tè- Gian Luigi Enny -

sabi costituivano la cornice ideale per praticare questo rituale. Si potevano trovare case da tè private e pubbliche, quest’ultime visitate spesso da clienti per rilassar-si con giovani fanciulle, rinfrescarsi, concludere affari, organizzare ma-trimoni, discutere di vari argomenti come l’arte e la politica. La passione per il tè venne trasmessa ai giapponesi nell’ambito delle loro frequenti visite al conti-nente, fatte per scopi commerciali, politici e culturali, per poi trovare estimatori nell’arcipelago nipponico, qui trovò un terreno fertile sia per la coltivazione delle piante del tè (Ca-mellia sinensis) sia per la sua evolu-zione in quanto forma d’arte e stile di vita in coesistenza con il diffondersi della dottrina buddista e con la prati-ca della meditazione zen. Questa nuova tendenza del momento si trasformò in una litur-gia vera e propria detto “chanoyu” meglio tradotto in “cerimonia del tè”, che fra le altre forme artistiche comportò anche la nascita di un tipo di giardino progressista per fattura e contenuti. Il giardino del tè, era nato ini-zialmente per essere osservato dalla

veranda del locale in cui si svolgeva la pratica cerimoniale, che tuttavia non doveva essere disturbata con uno spettacolo naturale troppo appariscente come quello del giardino tradizionale giapponese e di conseguenza richiede-va di ridurre molto la presenza di piante e pietre e di altre elementi che potes-sero distrarre l’animo dei partecipanti. I diversi maestri che praticarono la via del tè lasciarono ognuno il pro-prio stile riguardo alla gestualità del rituale, sopratutto all’architettura della casa del tè o nella costruzione del giardino a essa appartenente. Questi maestri hanno lasciato anche insegnamenti nel modo di arre-dare con sobrietà e buon gusto, sia le case del tè sia i giardini che dovevano

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avere acquisito un’aria vissuta ma non sciupata, secondo il tipico idea-le estetico di sabi, cioè la “patina del tempo” che ammorbidisce ogni og-getto regalandogli un aspetto vissu-to e gentile per entrare più facilmen-te in sintonia e carpirne la sensibilità degli ospiti. Principalmente è nel maestro Sen-no-Rikyu che si deve identificare l’intima trasformazione del giardino del tè, sopratutto in quella classifi-cazione tipologica che viene definito con il nome di roji (sentiero cosparso di rugiada). Il sentiero che deve essere spesso bagnato per mantenere fre-sco il muschio, prevede l’uso di pietre da camminamento, che permettono all’ospite di raggiungere la stanza senza bagnarsi i piedi, queste posso-no essere delle pietre naturali piatte ma anche molto irregolari, oppure tagliate ma sempre di aspetto rusti-co. Lungo il viottolo si possono trovare curve piuttosto ristrette che

non consentono visuali profonde e non suscitano mai un forte riscontro emotivo nell’osservatore che non deve arrivare distratto prima della cerimonia. Il giardino del tè non deve mai essere di grandi dimensioni ma bensì piccolo e assai intimo, dove sono rappresentati gli ideali morali ed estetici tipici del roji, oltre alla sua poeticità di wabi e sabi quali i principi di armonia, rispetto, interezza, pu-rezza e tranquillità, di un’oasi solitaria e appartata in cui la natura è conside-rata un posto dove si può coglierne il messaggio di bellezza semplice e per la sua “transitorietà”. Infatti, pur predominandovi le piante sempreverdi non manca-no alcune note di colore stagionale come ad esempio le foglie degli aceri in autunno o qualche fiore di azalea o camelia in primavera. L’arredo utilizzato per il roji segna l’introduzione di alcuni nuovi elementi destinati ad assumere un ruolo molto importante nel giardino

giapponese di tutte le epoche suc-cessive. Durante questo periodo, fanno la loro comparsa oltre alle pie-tre della pavimentazione, anche la vaschetta per l’acqua, le lanterne in pietra di dimensioni e fattezze mol-to varie, necessarie per illuminare il sentiero poiché la cerimonia poteva svolgersi anche di notte. La vasca in pietra è chiama-ta tsukubai, che richiede di inchinarsi umilmente prima di raccogliere l’ac-qua, questa è ornata da un raggrup-pamento di pietre di altezze diverse aventi la funzione ad appoggiare la lanterna, mentre con il mestolo di bambù si attinge l’acqua con cui ri-sciacquarsi le mani e la bocca in se-gno di purificazione. L’umidità tipicamente ricer-cata di questo giardino ravviva il co-lore delle pietre e mantiene fresco il verde del muschio, creando un atmo-sfera meditativa, portando l’ospite ad una maggior concentrazione.

© RIPRODUZIONE RISERVATA

10Il Giardino del tè- Gian Luigi Enny -

>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki

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11Il giardino del tè- Gian Luigi Enny -

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71. Bricco per la cerimonia del tè.2, 3. Hokusai - xilografia- fanciulle che intrattengono gli ospiti in una casa pubblica del tè. 4. Giardino visto dalla finestra della stanza rituale.5. Cerimonia del tè.6. Colori autunnali con lanterna e vasca tsukubai in pietra.7. Roji, sentiero rugiadoso che porta alla stanza del tè.

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>> Dal mondo del Bonsai & Suiseki

kusaMONOdi Antonio Ricchiari

Kusa Mono è l’arte di coltivare alcuni tipi di piantine in vaso, con la mede-sima attenzione e cure riservate alle altre piante. I Kusa Mono sono usa-

ti in Giappone in accostamento ai bonsai nella loro esposizione, poiché bene si accompagnano a questi perché in netto contrasto: l’immagine forte e preponderante del bonsai e l’estrema di-screzione e delicatezza del kusamono di piccole di mensioni, contrastano con il loro aspetto gra-cile e delicato con la for za e la venerabilità che possono sprigionare da un bonsai. E’ dunque un allenamento in più per la natura, per l’affina-mento dell’estetica delle piante, per la loro per-cezione; bastano poche indicazioni per potere allestire queste composizioni. In Giappone, i kusamono sono spesso esposti nelle abitazioni, prevalentemente nei Tokonoma. Per valorizzarli sono sistemati su un basamento, un vassoio o su altri elementi. Un kusamono ricorda la stagione presente e l’atmosfera del suo habitat. Si può sottolineare il contrasto tra la maestosità e la forza emana-ta da una conifera e la dolcezza e la caducità di fiorellino che spunta da un ciuffo di muschio di bosco. Cosa si intende per erba? Per erbe o piante erbacee si intendono quelle i cui fusti ae-rei, non legnosi, di consistenza molle, muoiono ogni anno, per lo più insieme con la parte sotter-ranea. Sono piante tipicamente annuali quanto

KusaMono è un termine giapponese che significa erba (Kusa), e cosa, oggetto, (Mono). Si può pertanto de-finire come “coltivazione di pianta erbacea in vaso”

“Asillium Lusitanicum” © Valeria Bertuzzi

“Carex Dipsacea” © Valeria Bertuzzi

“Erica Carnea” © Valeria Bertuzzi

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kusaMONO

a durata; possono anche essere biennali e qualche volta perenni, quando la parte sotterranea è persistente e si dicono propriamente “piante suffruticose”. Nel linguag-gio comune sta pure ad indicare il complesso delle piante erbacee che si sviluppano in aree di terreno, dette perciò erbose, come per esempio un prato. Nei tempi trascorsi le erbe e i fiori spontanei at-traevano le persone più per la loro utilità che per la loro bellezza; dalle piante ricavavano infatti i medicamenti e le foglie e le radici dei fiori spontanei erano fonte di nutri-mento. I petali venivano schiacciati per ottenere tinture e cosmetici. Al risveglio primaverile un bosco arricchito da erbe e fiori o una siepe sono adesso apprezzati e ammira-ti dallo spirito dell’uomo e sono un momento di riflessio-ne per la riscoperta di una natura dall’aspetto magico. Le erbe e i fiori sono adesso meno numerosi di quanto non lo fossero in epoche passate proprio per l’era tecnologi-ca che li ha devastati impedendo loro una crescita spon-tanea. Pensate un po’: in Italia esistono oggi più di 6000 specie di piante spontanee; tecnicamente parlando, non tutte queste piante sono erbe poiché alcune di queste possono essere definite arbusti per la presenza di fusti legnosi come le more, i lamponi, i mirtilli etc. Alcune specie di erbe hanno i fiori adatti ad esse-re impollinati dal vento e quindi non hanno i petali appari-scenti dei fiori impollinati dagli insetti. Vi sono poi piante che non danno fiori, come le felci, gli equiseti, le epatiche e i muschi. Le erbe arricchiscono la coreografia della natura, ne completano la poesia con la minuzia dei particolari, con il loro microcosmo che solo l’occhio attento dell’os-servatore appassionato può cogliere in tutti i più piccoli particolari celati allo sguardo distratto. Ecco anche in questo apprezzamento delle erbe il “giapponismo”: questo è solo uno dei suoi mille volti, uno dei mille motivi che si celano dietro l’esaltazione e l’os-servazione dei particolari che ai più suonano come banali o, a dir poco, trascurabili. La perenne lezione di vita vie-ne appunto dalla scoperta delle piccole cose che poi è la natura, con le sue infinitesimali manifestazioni che sono l’esternazione del Bello Assoluto. Kusamono, dunque. Un ennesimo regalo degli orientali, ancora una volta umili ed acutissimi osservatori. Kusamono dalla bellezza straordi-naria sono illustrati nel libro del Maestro Kyuzo Murata “Four Seasons of Bonsai” (edizione Kodansha Int., Tokio, 1991) del quale invito alla visione. Dietro questa espressione (nella sua traduzione significa “erba che sta sotto”) stiamo cercando di capire, come per altre cose, qual è l’essenza del kusamono, qual è lo spirito. Attraverso la forma delle foglie, dei fiori, attra-verso l’infinita varietà dei colori, vuole forse trasmettere quelle emozioni cadute spesso nell’oblio. Vuole ricreare, come per il Bonsai e il Suiseki, il godimento di un angolo della natura in un piccolo spazio godibile all’uomo. I materiali per realizzare i kusamono sono vera-mente inesauribili; ogni escursione per la ricerca di piante o di pietre è un’occasione di reperimento di erbe per le

le composizioni. Erbe finora evitate, scartate o giudicate brutte, se isolate e composte in vaso acquistano di colpo interesse e bellezza prima impensabili. Durante una visi-ta in un garden o in vivaio avrete un motivo in più per sco-prire vasetti con erbe perenni, magari di qualche varietà più rara o la ricerca di un tipo particolarmente curioso vi spingerà a reperire i semi dai quali potere iniziare la col-tivazione. Come avviene per il bonsai, l’erba e il vaso de-vono essere un tutt’uno che si armonizzi per forma ed effetto cromatico. Il contenitore non dovrà spiccare ma assecondare il tutto; la maggior parte dei vasi per bonsai si adatta molto bene ai Kusamono, avendo un apparato radicale ridotto, soprattutto i vasi piatti come quelli usati per le piante su roccia: la funzione del vaso deve dunque esaltare la composizione. L’impianto può essere fatto su roccia o su altri supporti che possono spaziare nella fan-tasia dell’autore (es. una conchiglia, una base di pietra, materiale lavico, etc.). Vasi per bonsai e vasi da fiori con foro di drenag-gio: la maggior parte dei vasi usati per la coltivazione dei bonsai, in terra non verniciata o verniciata, si adat ta per-fettamente alla coltivazione dei Kusa Mono. Non posse-dendo un apparato radicale molto svilup pato e struttura-to, come quello de gli alberi in miniatura, i vasi profondi e di grandi dimensioni so no comunque da evitare. Il suiban è un vassoio piatto, non forato, impie-gato per la presentazione di suiseki o di bonsai su roccia. Il vassoio in ceramica può essere leggermente svasato ai bordi, quadrato, rettangolare o di forme varie. Utilizzati insieme ad un Kusa Mono, servono soprattutto per por-re in risalto delle composizioni perfettamente radicate: vi possono dunque essere sistemate zolle rifini te, come quelle che si realizzano partendo da terra di Keto.Le rocce artificiali sono diffuse in Giappone e sono meno care di quelle naturali. Inoltre la loro com posizione a base di resine garanti sce loro una buona resistenza alle intem-perie. E’ facile forarle con un trapano e si possono sposta-re senza rischio di rottura. Certe pietre artificiali piat te e con cavità sono delle imitazioni di quelle natura li, come quelle di Kurama, nella prefettura di Kyoto. L’impianto su roccia non è particolarmente difficol toso, a condizione che il substrato usato non si di­lavi al momento delle pri me irrigazioni. In Giappone, l’im-piego di terra di decomposizione di vegetali e di palude (Ketot suki) compatta è molto mal leabile, facilita l’impian-to di ogni vegetale, garantendo il perfetto mantenimen-to fin dalla pri ma irrigazione. Si può usare un’ar matura di filo, ancorata alle cavità della roccia ed anche incollata. Le rocce usate sono generalmente di natura vulcanica, ad esempio Ibegawa, e molto fra stagliate. Esponendo la composi zione al sole, è meglio collocarla su un letto di ghiaia umida o su un sui ban con dell’acqua. Se le piante acquatiche mantengo no un posto a parte nel Kusa Mono, il piacere notevole che procura questo tipo di coltura merita tutta la passione possibile. I vasi devono es sere senza foro di scolo e sufficien temente profondi per la salute delle piante. Che si tratti di una con-

13Kusamono- Antonio Ricchiari -

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chiglia, di una tego la, di un pezzo di bambù, l’origina lità del supporto di coltivazione indica la fantasia e l’ori-ginalità di chi li coltiva. Per i kusamono si usano pre-valentemente due tipi di terra: l’aka-dama e la keto. L’akadama è un’argil-la proviene da una co lata vulcanica del Monte Fuji. Se ne trova in tutta la pianura di Tokyo, ad un metro cir-ca di profon dità. Confrontandola con l’argilla, l’Akadama presenta il van-taggio, dopo averla fatta secca re ed averla calibrata, di non di sgregarsi dopo la bagnatura. Può conserva-re la sua granulometria per diversi mesi, permettendo di disporre di un terreno perfetta mente aerato ed os-sigenato, che fa vorirà il radicamento delle piante appena trapiantate. Il pH praticamente neutro, 6,7 circa, si adatta alla maggioranza delle pian-te. La terra di Keto proviene dalla decomposizione delle piante di palude o di giunchi, alghe, muschi, mischiate a della mota. Con la con-sistenza dell’argilla e di colore nero, è l’elemento insostituibile delle com-posizioni su roccia: infatti, essendo molto malleabile, è possibile darle la forma desiderata, che conserve-rà malgrado le bagnature. Si utilizza generalmente unita ad percentua-

le di Akadama a grana media, nella misura 20-40%, cui si può aggiunge-re un 10% di sfagno sbriciolato, se si coltivano piante di ambiente umido.E’ confezionata in sacchetti ermetici e non bisogna lasciarla seccare, per-ché perderebbe la sua malleabilità. Attenzione al momento dell’impian-to, a non lasciare delle cavità a livello radicale: non si riempirebbe neppure con il passare tempo. Come miscuglio di terra per un rinvaso, si può usare il seguente: 1/3 di terra di Keto tritata grossola-namente, 1/3 di Akadama, 1/3 di terra vegetale. Per i vasi profondi, il dre-naggio può arrivare ad occupare i 2/3 del vaso. Se qualche varietà di piante usate per i kusamono è annuale, la maggioranza è perenne, consenten-do pertanto di godere del fascino per molti anni. Si possono distinguere tre modi per creare un kusamono. Il modo più comune consiste nell’acquistare delle piante in vivaio. In primavera al momento della ripresa vegetativa, si devono potare le radici prima di regolare la vegetazione. Par-tendo da talee: sia che si tratti di ra-dice, Bambù, Syneilesis palmata, Cri-santemo, Poligonio, ecc.., creare un kusamono con questa tecnica dà ec-cellenti risultati e permette, nel caso

di talea da fusto, di realizzare rapida-mente delle composizioni. Partendo da seme: il grande interesse dei semi deriva dalla facili-tà di reperirli. Inoltre per certe piante annuali non c’è altra soluzione, come per esempio Ombelico di Venere, Bri-xia maxima, ecc. e sarebbe un vero peccato non utilizzare certe erbe dei campi. Ovviamente si possono realizzare dei kusamono utilizzando contemporaneamente i vari sistemi. Come per i bonsai, l’annaf-fiatura dipende dalla caratteristica propria di ogni pianta. Buona regola generale è, comunque, di bagnare quando la terra comincia a seccare in superficie. Per i kusamono che resta-no per diverso tempo al chiuso, come ad esempio per una mostra, l’assenza di luce solare non permette di utiliz-zare questa regola; spesso è la parte del drenaggio a seccare per prima, occorre quindi bagnare più spesso e vaporizzare le foglie. Per quanto riguarda la con-cimazione, conviene usare lo stesso tipo di concime usato per i bonsai; li-quido a lenta cessione. E’ opportuno sospendere le concimazioni all’arrivo del periodo estivo e riprenderle alla fine dell’estate.

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14Kusamono- Antonio Ricchiari -

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“ Iris Chamaeiris” © Valeria Bertuzzi

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Difficoltà e felicità nel tro-vare Shang Shi, diverti-mento e interesse nell’ap-prezzamento dello Shang

Shi, divertimento e stranezza nel col-lezionare Shang Shi, questo è il giu-sto sentimento verso le pietre di chi spesso va a raccogliere pietre in riva al fiume. Come si suol dire: “La po-polarità del suiseki o Shang Shi tra le persone: pietra come legame duraturo tra le persone, pietra come amore, dal momento che è la pietra che ci riuni-sce.”

un giorno con gli amanti

del suisekidi Heven Chuia cura di Luciana Queirolo

Questo è un gruppo di persone che va spesso a raccogliere pietre in riva al fiume: sono veramente felici quando possono trovare una bella pietra da soli.

Dal mondo del Bonsai & Suiseki <<

15Un giorno con gli amanti del suiseki- Heven Chui, Luciana Queirolo -

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mattina, ore 6:30, abbiamo il primo incontro; il reporter farà un resocon-to completo.

Pietre in vendita“Essi avrebbero preferito rifiutare dei vestiti, piuttosto che rifiutare delle pie-tre”

La mattina del week-end, c’è molta frenesia al mercato del primo mattino. Molte sono le persone che raccolgono le loro pietre nel fiume Yangtze e che mettono queste pietre per terra ad aspettare l’acquirente. Il venditore, il signor Zhu, ha detto che quattro o cinque anni fa, volendo ri-parare lo stagno vicino alla sua casa, andò al fiume e prese una pietra. Qualcuno gli disse che quel-la pietra non valeva nulla, nel senso che era una pietra ordinaria, sugge-rendogli di cercare pietre con forme particolari o con dei disegni. Il signor Zhu guardò quelle belle pietre che qualcuno raccoglie-va, con disegni, come dei ponti o dell’acqua fluente: pensò che erano belle, e da quel momento egli non ha più smesso di raccogliere pietre. Ha detto il signor Zhu che “La condivisione è in grado di migliorare la capacità di collezionare pietre”; egli pensa che questo sia un altro vantag-gio del vendere le pietre. Un vantaggio sia economico che di miglioramento delle conoscen-ze nell’apprezzamento del suiseki. Sono passati in molti, e ognuno ha comprato molte pietre; Mr. Zhao ha comperato più di 50 kg di pietre, ed ha dovuto chiamare un fattorino per aiutarlo a portare un ca-rico così pesante. Prima delle 8:00, il sig. Zhu aveva venduto più della metà delle sue pietre. Mr. Xiong, che è l’organiz-zatore di questa iniziativa e vice-pre

sidente del Yangtze River Viewing Stone International Intercourse In-stitute, ha detto, “è una cosa comune che la gente che raccoglie pietre lungo la riva del fiume ne raccolga 20 kg in un giorno”. Il membro del Yangtze River Viewing Stone International Inter-course Institute, la Signora Luoyan, scherzando ha detto: “se ti imbatti in pietre di alta qualità e non ne possiedi, preferisci piuttosto buttare via i vestiti che buttar via le pietre”.

Ore 9:10 - Apprezzamento del sui-seki Una coppia, entrambi, amanti della pietra. L’acquisto di pie-tre è finito. Abbiamo preso l’autobus No.602 verso la casa di un collezioni-sta quale il signor Wu, famoso colle-zionista di viewing stone nella città di Chongqing.

Ore 15:50 - Raccogliere Suiseki La banca del fiume, nel po-meriggio. Dopo pranzo, andiamo tutti sulla riva del fiume Yangtze in Meidiyacheng, distretto di Nanan della città di Chongqing. Questa è l’ultima fermata prevista per oggi. Loro lavoreranno insieme, raccogliendo le rocce. Poiché non aveva piovuto da parecchi giorni, fango e sporcizia avevano bloccato le pietre. Non è stato facile trovare una pietra di valo-re, difficile da vedere, così che quasi tutti non hanno ottenuto nulla. Mr. Xiong ha dichiarato: “Il momento migliore per raccogliere pie-tre è dopo la pioggia. L’amante della pietra e l’uomo che ama camminare sono opposti, tra loro: l’uomo a piedi viene alla riva del fiume nel bel giorno, ma l’amante della pietra viene qui se piove”. Qualcuno dice, all’improvvi-so, che: “gli amanti del suiseki sono i più preoccupati per le previsioni del tempo.”. Tutti concordano!

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16Un giorno con gli amanti del suiseki- Heven Chui, Luciana Queirolo -

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2 - Nella casa del signor Wu, la maggior parte dello spazio sono armadi e scaffalature, dove sono mostrati i suoi suiseki, raccolti in 20 anni: un regno della pietra, alcuni di essi sono come masterpiece nel mondo.

3, 4, 5, 6, 8 - Mr. Wu ha riunito un gruppo per vedere film di rocce stra-niere, tenendo in mano un puntatore per spiegare come apprezzare una combinazione di pietre. Mr. Wu ha anche pubblicato numerosi articoli circa la sua esperienza nelle Shangshi, come pure CD-ROM. Mr. Wu ha detto che la sua vita ha due confidenti: la moglie e la pietra.

7 - L’attrezzatura comune per raccogliere rocce è di portare una botti-glia di acqua minerale ed uno spruzzino di buona qualità, con l’obiettivo di lavare via con l’acqua lo sporco di fango sulla superficie della pietra.

Heven Chui

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Il giardinodi Luigi Nuzzo

nascosto

Quello che vi sto per mostrare è il “giardino nascosto” di Luigi Nuz-zo, grande amatore di

bonsaismo da anni, nonché caris-simo amico di tutti gli appassionati che regolarmente frequentano il Centro Bonsai Iodice. Il desiderio di chi scrive è quello di mostrarvi le diverse real-tà che ruotano attorno all’universo bonsai, realtà che vanno dai giar-dini in perfetto stile giapponese, a quelli realizzati da semplici amatori con tanta dedizione e passione... e Luigi di passione ne ha davvero da vendere! E’ domenica pomeriggio, ed a San Prisco (Caserta) il tempo non è dei migliori; avverto il timo-re di non riuscire a fare delle buone foto e quindi di non rendere giusti-zia a quel che so essere un posto pieno di meraviglie. Parcheggio l’auto e subito la mia attenzione viene catturata dai poderosi yama-dori in attecchimento che fiancheg-giano il muro perimetrale della pro-

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di Luigi Nuzzonascosto

prietà di Luigi. Olivi, olivastri, philliree, querce, eriche... il sogno di ogni amante delle mediterranee; ci vorrà qual-che anno per farne dei bonsai di pregio e per poterli am-mirare in mostre di livello nazionale, ma il successo è ga-rantito con dei materiali di simile potenziale! Il mio “giro” non è ancora iniziato e già i miei oc-chi brillano di meraviglia. Luigi nel mostrarmi la vasca con le koi, mi racconta di averla costruita tutta da solo, pietra su pietra, giorno dopo giorno, fino a quando non è

riuscito a realizzarla così come ce l’aveva in mente. Mi spiega quali modifiche vuole ancora apportare, anche se, a mio modesto avviso, è già bella ed evocativa così com’è. Lungo i bordi della vasca, si ammira una serie di erbette da compagnia raccolte durante le sue passeggia-te in montagna. Più in là, altri bonsai in formazione, la maggior parte di essi impostati senza una ricerca stili-stica troppo artefatta, ma lasciati crescere nel modo più naturale ed armonioso possibile. La visione d’insieme di

19Il giardino ‘nascosto’ di Luigi Nuzzo- Carlo Scafuri -

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ma lasciati crescere nel modo più natu-rale ed armonioso possibile. La visione d’insieme di questo piccolo scorcio tra-smette sensazioni di tranquillità e sere-nità, un angolo di natura nel quale po-tersi rifugiare dopo giornate stressanti dovute al trambusto della vita quoti-diana. La presenza di piccole e grandi statuine di gnomi e folletti, fa assume-re al tutto un’aria quasi fiabesca. Da perfetto padrone di casa, Luigi mi fa accomodare nel suo appar-tamento per un buon caffè, ed anche lì i bonsai dominano. Con un pizzico di malizia gli chiedo se anche sua moglie è così appassionata ai bonsai come lo è lui. Sorridendo mi dice di no, ma che come ogni moglie­ compagna­fidan-zata di un bonsaista che si rispetti, si è oramai arresa a questo suo grande amore. Passiamo al terrazzo, ed anche lì ci sono bonsai pronti ad attenderci: zelkove, ficus, podocarpi e ligustri, ma-teriali “commerciali”, bistrattati e rite-nuti (a torto) dai modaioli del bonsai come essenze di serie b e su cui non in-vestire un solo euro. Un vero appassio-nato come Luigi sa che non è la moda il giusto requisito per fare di un materia-le qualsiasi un bonsai, che non bisogna spendere necessariamente centinaia/migliaia di euro per avere tra i propri bancali del materiale da collezione. Ed allora, orgoglioso, mi mostra un olmo cinese che prese quando gli nacque la figlia, e che per quanto sia un bonsai come tanti, non potrà mai distaccarse-ne. Al contrario di quanto visto nel giardino, qui ogni bonsai è riposto su un elegante trespolo in ferro battuto, un accorgimento che dona al tutto un senso di ordine e pulizia difficilmente riscontrabile in altre collezioni. Prima dei saluti, dulcis in fundo, mi mostra uno dei bonsai a cui tiene di più, un chuhin di zelkova nire dalla corteccia finemente fessurata e dalla buona ra-mificazione fine, che è un vero gioiello. Ahimé, il tempo della mia visi-ta è terminato, giusto qualche minuto per guardare un’ultima volta i mate-riali in attecchimento fantasticando su come potrebbero diventare, un saluto caloroso a Luigi, con la promessa di ri-vederci presto.

Ficus microcarpa scorcio del giardino particolare della legna secca di un olivo

olivo Ficus panda Ficus microcarpa

shitakusa Yamadori in coltivazione

luigi nuzzo con il suo chuhin di zelvova nire

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20Il giardino ‘nascosto’ di Luigi Nuzzo- Carlo Scafuri -

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OMOTENASHILa soddisfazione

dell’ospitedi Massimo Bandera

“In un pomeriggio di novembre, nell’autunno a tutto rosso giapponese, prendendo un tè dal mio maestro, si faceva tardi nella interessante discussione bonsai,e dopo alcune ore, la moglie vestita con un kimono grigio decorato con magnifici kaki arancione, si era presa il libero arbitrio di portare l’ennesimo dolcino per il tè ancora incartato, pensando forse così di non sciuparlo nel caso in cui l’ospite ( per altro goloso…) non l’avrebbe più voluto. Il maestro Kimura, costernato, le rivolse un gesto fulminante, gesto tipico dei grandi maestri, che le intimava di rimediare a quella licenza contro l’OMOTENASHI, l’accoglienza, la soddisfazione dell’ospite! In giardino un magnifico pino bonsai nello stile MINOKAKE, con un lungo ramo sembra quasi porgermi gentilmente il ramo, un braccio ideale, dove gettare l’abito e sentirsi a casa.”

Questo racconto che ho vissuto in prima per-sona, può dare un’idea del livello di cura dell’ospite nella cultura giapponese, la più ci-vile del mondo, che permea tutte le arti fini:

forse anche nel mondo bonsai occidentale, così comples-so nel suo svolgimento, dovremmo aiutarci anche facen-do OMOTENASHI. La parola deriva dall’unione del prefisso onorifi-co “O” e del verbo “Tenasu” (che viene), e significa acco-glienza. Al di là della mera traduzione letterale, ciò che è veramente interessante è esaminarne l’aspetto profondo.

22Omotenashi - La soddisfazione dell’ospite- Massimo Bandera -

>> Bonsai-do: pratica e sapere

Pino bianco giapponese - Pinus parvi florah. 90 cm - stile MINOKAKEFoto: Antonello Beniamino Torino

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Secondo gli esperti di storia antica giapponese, il fatto di essere un popolo immerso in una natura sì magnifica, ma dura, selvaggia e vio-lenta, ha fatto si che fosse sempre stato necessario formare dei gruppi di persone, ovviamente in armonia tra loro, proprio per difendersi me-glio dalle tragedie naturali, come ter-remoti e uragani. Questo fatto pratico, unito probabilmente ad un’alta attitudine etica della popolazione giapponese, ha fatto sì che l’arte della accoglien-za, o meglio della cura della soddisfa-zione dell’ospite, diventasse uno dei fondamenti della cultura giappone-se. Inoltre, non dimentichiamo che il Giappone è una civiltà basata sulla coltivazione del riso: “in princi-pio erat oryza” potremmo dire in la-tino. La coltivazione del Riso è molto più complessa di quella del grano, poiché la tecnica irrigua comporta la gestione delle acque. Anche per que-sta gestione era necessaria fin dagli

albori della civiltà una relazione so-ciale forte. Il Riso nell’antichità pro-duceva quasi il doppio del grano, liberando la civiltà giapponese dalle incertezze della caccia, pesca e rac-colta di tuberi e verdure selvatiche. Ancora oggi non è raro ve-dere nei campi di Riso in Giappone le mondine che pettono alle chiuse fiori

e offerte di sake per i riti Shintoo, fa-cendo trapelare come sia importante il Riso, ovviamente dono divino agli uomini. Naturalmente l’omotenashi non ha nulla a che vedere con l’amore per il prossimo nella cultura cristiana, qui non si tratta d’un sentimento di-sinteressato, ma una attenzione me-

Un capolavoro di Kimura sensei con il colore invernale dei ginepri.

…prima d’avere i capelli bianchi… i tempi degli studi…in realtà mai finiti.

23Omotenashi - La soddisfazione dell’ospite- Massimo Bandera -

Page 24: Bonsai & Suiseki magazine - Gennaio 2010

ticolosa e una cura del dettaglio mai appariscente. Il bonsai nello stile MINOKA-KE, “appendiabiti” è figlio di questo gusto, un albero prende la forma ideale di un vecchio pino che piega e allunga un suo ramo, il più grande, per accogliere l’ospite prendendogli l’abito, così che da dare l’impressione che egli fosse ritornato a casa.

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Hitotose niHitotabi kimasu

Kimi matebaYado kasu hito mo

Araji to zo omou

- Ki no Aritsune

Sempre ella attende il suo amato, che nell’anno una sola

volta viene;credo dunque non ci sarà una Tessitrice

disposta ad ospitarci.

Toriyu no mai, “Il dragone danzante”, il bonsai che ha reso famoso Kimura sensei in Giappone e nel mondo, ancora oggi è considerato il bonsai più bello.

>> Bonsai-do: pratica e sapere

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II° TrofeoNapoli Bonsai Club ONLUSciò che è essenziale per un Club è il cuore!

Sabato 5 dicembre 2009 si è svolto il se-condo Trofeo per i principianti iscritti al Club che hanno seguito il corso base gratuito. Prima di descrivere la giornata

di soddisfazione che abbiamo vissuto, e proprio pensando a quelle ore, mi sono venute in mente alcune considerazioni. In un Bonsai Club molte volte il discorso si focalizza su cosa dobbiamo fare e sfiora sola-mente l’altro aspetto del problema, ovvero come dobbiamo essere. Gli statuti, i regolamenti, non sono affatto sufficienti a creare quell’unione e quello spirito di collegamento che sono indispen-sabili perché un club sia vivo, creativo. Ciò che è indispensabile, l’elemento propulsore di tutto è il cuore. Senza il cuore, senza la disponibilità a comprendere e ad accettare le incomprensioni e le eventuali debolezze degli altri, senza la volontà di dare qualche cosa, un Bonsai Club diventereb-be un triste e sterile raggruppamento di uomini. Ciò che sta alla base delle nostre iniziative sono dei sentimenti quali la passione per il bonsai e la voglia di stare insieme e i sentimenti non possono certo nascere da regolamenti o statuti. Ed è que-sto che sta alla base della nostra iniziativa “Trofeo Napoli Bonsai Club” e di altre che seguiranno nel 2010, come la Festa di primavera. Ritornando al trofeo, la giornata è iniziata con il sorteggio dei ginepri e la loro assegnazione, da queste foto si può notare il materiale da lavora-re (juniperus procumbens var. nana) che è rimasto di loro proprietà.

I soci con molta tranquillità ed impegno hanno iniziato il loro lavoro. La finalità di questo trofeo oltre a mette-re in luce i progressi che i principianti hanno rea-lizzato in questo anno di corso base, è servita da stimolo per una presenza più attiva alla vita del Club. Ma anche allo scambio di conoscenze ed esperienze relative al bonsai, e la spinta ad una migliore comprensione e maggiore familiarità tra i soci. Il motto di questa giornata è stato “amicizia ed armonia attraverso il bonsai”. In pratica lo stile è stato scelto dal partecipante, analizzando e deci-dendo in base alla loro pianta. Il riconoscimento in palio offerto dal Club, ed assegnato dal Consiglio direttivo è stata una targa ricordo, ed un attrezzo per bonsai, scelto dal partecipante. Il riconoscimento è stato conferito a Pino per aver meglio interpretato lo stile scelto, eretto casuale, applicazione filo, ecc. Augurandogli che questo sia il primo riconoscimento di un lungo percorso. E che il lavoro formativo su se stesso continua attraverso la lavorazione del bonsai. Augurando ai partecipanti, che il prosie-guo della loro attività bonsaistica non porti l’idea di essere superiori agli altri, più valenti, e quindi non considerare più gli altri. Ma che l’amore per le piante, dove ogni pianta, suscita interesse e richiede umiltà nel capirne la particolarità, possa essere trasmesso nel comportamento verso tutti. Un arrivederci al prossimo anno per il III Trofeo Napoli Bonsai Club.

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di Antonio Acampora

Mostre ed eventi <<

25II° Trofeo Napoli Bonsai Club ONLUS- Antonio Acampora -

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1. La realizzazione di Mario; 2. Il lavoro di Tiziana; 3. La trasformazione di Monia; 4. Quel-la di Luciana; 5. L’impostazione di Antonio; 6. Il lavoro di Antonio Megagli (estemporaneo fo-tografo dell’evento); 7. Il lavoro di Pino; 8. Quello di Emiliano; 9. La realizzazione di Gen-naro; 10. Quella di Domenico; 11. Il lavoro di Massimo; 12. E per finire... quello di Roberto.

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>> Dalle pagine di Bonsai&News

28Scolpendo la legna secca: rinascita di un ginepro a scaglie

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29Scolpendo la legna secca: rinascita di un ginepro a scaglie

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>> Dalle pagine di Bonsai&News

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37Scolpendo la legna secca: rinascita di un ginepro a scaglie

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>> Dalle pagine di Bonsai&News

38Scolpendo la legna secca: rinascita di un ginepro a scaglie

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Manuale corposo che ben vale tutti i soldi spesi. Dal punto di vista scientifico e didattico anzi vale molto di più. E’ sicu-ramente un libro indispensabile per ogni bonsaista ed ogni amante della natura che vuole cimentarsi nel riconosci-

mento di alberi e arbusti come dice appunto il titolo, in Italia.In quarta di copertina si legge che “è come degustare un vino da medi-tazione che fa provare, ad ogni sorso, una sensazione nuova. Sfogliare e leggere Alberi e arbusti in Italia fa scoprire ad ogni pagina nuove piante; non perché ve ne siano di sconosciute, ma perché ciascuna appare nel-la nuova dimensione che gli autori hanno saputo darle con la maestria dell’uso delle immagini e con la sapienza di chi, avvezzo alla didattica, sa cosa è importante per distinguere, incuriosire, coinvolgere. Il fascino dei disegni, veramente splendidi, l’immediatezza delle fotografie fanno di ogni pagina un quadro dedicato ad una pianta vista con gli occhi di chi, per primo, ama quanto descrive e trova nell’ordine della diversità l’armonia della natura”.Il testo è sapientemente suddiviso in quattro parti: la prima dedicata agli elementi di anatomia e morfologia delle piante superiori. La seconda contiene una quantità enorme di schede di classificazione che occupano ben 800 pagine; la terza parte parla della conservazione delle piante e delle tecniche di realizzazione delle raccolte di essiccata per concludere con la quarta parte con un esauriente scritto sugli elementi di composi-zione dei piccoli spazi verdi. Libro o meglio definirlo trattato di costante consultazione e fonte di continue sorprese. Buona lettura!

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Alberi e arbusti in Italia- manuale di riconoscimentoM. Ferrari – D. Medici

Il Sole 24 Ore Edagricole€ 98,50 - 967 p. - 2001

Alberi e arbusti in ItaliaManuale di riconosciMento

recensione a cura di Antonio Ricchiari

In libreria <<

39Alberi e arbusti in Italia - manuale di riconoscimento- Antonio Ricchiari -

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di Antonio Ricchiari

Sotto l’incalzante pressione dei ritmi della civiltà occidentale, i popoli hanno rapida-mente superato i limiti in cui si erano sto-ricamente organizzati. Le nazioni, tendono

a costituire rapporti sempre più intimi e concreti. Le strutture e gli schemi non si formano mai secondo le direttive di un ideale razionalmente e preventiva-mente costituito. L’incontro di popoli e civiltà diverse è prima di tutto uno scontro che obbliga ciascuna delle parti a misurare le proprie forze, a organizzarsi più intima-mente e solidalmente, utilizzando tutte le energie e a divenire quindi un complesso spiritualmente più unitario. Ne consegue che, vista superficialmente, si ha più una separazione antagonistica che non una fusione. È su un piano di ordine superiore che la sin-tesi può avvenire, non su quello della conciliazione che appare compromissoria. E’ necessario che emergano principi più alti che siano sintesi degli elementi precedenti, e nel-lo stesso tempo comprendano il germe degli svi-luppi futuri. In arte e nel pensiero filosofico ciò ap-pare più palese poiché ogni grande artista o uomo

di pensiero è grande appunto perché riassume un ciclo passato e si proietta nel futuro. Beethoven è l’ultimo dei classici e il primo dei romantici; Dante e Einstein costituiscono altrettanti esempi evidenti, così come Cartesio che, intendendo dimostrare l’esi-stenza di Dio e l’immortalità dell’anima, è divenuto il padre del razionalismo moderno. Una nuova civiltà europea sorgerà dall’affer-marsi di un nuovo principio (civiltà della coscienza) che risolverà e annullerà l’individualismo e il collet-tivismo di massa. Mentre è in atto e si evolve que-sto drammatico processo creativo di una nuova vita sociale nella civiltà occidentale, questa si trova necessariamente in un nuovo contatto con la civil-tà dell’Oriente. Nuovo contatto, perché il primo è avvenuto al principio dell’800 sul piano ideologico dell’intellettualismo filosofico e religioso. Le prime traduzioni dei Veda, degli Upanishad e dei testi bud-dhisti permisero ad un ristretto numero di pensatori di sentire la grandezza spirituale di quel mondo che poi i movimenti teosofici avvicinarono e allargarono a più vasti gruppi. Si costituirono allora le più seducenti utopie di ricostruzioni idealistiche del mondo il quale, na-turalmente, è andato per la sua strada. Ben più con-creto è il contatto che si sta formando, per intrinse-ca necessità del sorgere di una nuova civiltà. Infatti ogni civiltà non può essere tale se non è retta da una

Incontro traOriente ed Occidente

>> Bonsai ’cult’

40Incontro tra Oriente ed Occidente- Antonio Ricchiari -

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compassato, dimenticando i ritmi frenetici e angoscianti. La velocità e l’accelerazione del quotidiano ci porta a guardare ora verso l’Oriente: dallo Zen alla mistica induista e si pensa all’armonia di un modo di vita più compassato. Occorre esplo-rare le pulsioni incrociate East-West e distillare gli ingredienti base di una nuova ricetta che ci porti ad uno stile di vita dal pas-so più controllato. Ci vien fatto di pensa-re all’esperienza del Bhutan, il piccolo Stato sull’Himalaya che cerca di misurare il FIL (Felicità Interna Lorda) che non ha nien-te a che vedere con il mondo dell’economia sviluppatosi nel segno dell’accelerazione tecno-logica e dei ritmi travolgenti ed assurdi di nuovi mezzi e modi di comunicazione elettronica. Le radici storiche del-la fascinazione reciproca fra Oriente ed occidente passano attraverso figure come il gesuita Matteo Ricci, o Wang Dayuan, l’ammiraglio che compì una traversata dal Monzambico a Ceylon, con centocinquat’anni di anticipo su Vasco de Gama. Se non si correggerà il tiro, bi-sognerà rassegnarsi al declino dell’Occidente, bisognerà al-lora inevitabilmente muoversi nella direzione giusta.

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quistarlo a favore delle finalità immediate che l’uomo si pone. È possibile fondere, o almeno stabilire un rapporto di effettivo equilibrio tra questi due mondi? Finché i due orien-tamenti sono visti come oppo-sti non c’è possibilità che di un compromesso pratico o intel-lettualistico, non di un equili-brio effettivo. Solo scoprendo che i due orientamenti non sono che aspetti dello sviluppo della coscienza troviamo in noi stessi la sintesi, e solo allora po-tremo contribuire a realizzarla in una civiltà che sia veramente umana. L’occidente moderno è appena all’inizio del suo ciclo. Civiltà classica e Cristianesimo apparvero inizialmente così opposti da non potersi ricono-scere, anche quando gli stoici come Marco Aurelio e Seneca sembrano affermare gli stessi principi cristiani. Solo l’Umanesimo rea-lizzerà una nuova sintesi che pure era stata preparata da tut-to il travaglio del pensiero me-dievale. Il mondo allora ritorna reale (Occidente), ma ne re-sta dissolta la sua materialità (Oriente). Esso diviene quindi un atto creativo della coscien-za umana e la sua conquista è la conquista di noi stessi, cioè lo sviluppo dei poteri creativi che Dio ha dato all’uomo, facendo-lo, a sua immagine e somiglian-za, cioè coscienza creatrice. La lentezza ha conosciu-to molti estimatori in Occiden-te: ritrovare il piacere di pas-si felpati, godere di un gesto

visione universale, che cioè comprenda tutto il processo di sviluppo della coscienza e quin-di tenda a inglobare e orientare entro una più grande sintesi le manifestazioni dei diversi po-poli e individui. Se avviciniamo il mondo occidentale a quello orientale notiamo che il terreno di coltu-ra delle due civiltà è nettamen-te antitetico: l’Oriente è tutto rivolto verso l’interiorità - una psicologia introvertita, direbbe Jung - e infatti l’orientale ne ha tutte le caratteristiche. Da ciò proviene quel senso di pacifica-zione, di rifugio che l’occidenta-le sente in contatto con l’Orien-te, quando si sente sopraffatto dall’attivismo della nostra ci-viltà. Ne deriva un’aspirazione verso un mondo che da quella saggezza ritragga l’orienta-mento, un mondo costituito da tensioni puramente interiori in cui l’universo fenomenico viene sempre più riconosciuto come vana apparenza, come illusoria concatenazione di cause ed ef-fetti (Karma). Ne consegue un pessi-mismo assoluto verso la vita e conseguentemente un’ascesa che conduca al riassorbimen-to di tutta la manifestazione, all’estinzione del molteplice fe-nomenico (Nirvana). Verso una simile posizio-ne l’attivismo occidentale non ha risposte. Rifiuta semplice-mente di prendere in conside-razione il problema, partendo dall’affermazione categorica dell’evidente esistenza di un mondo esterno che deve esse-re conosciuto allo scopo di con

41Incontro tra Oriente ed Occidente- Antonio Ricchiari -

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lo

scheletroÈ sempre difficile cercare di descrivere e raccon-

tare emozioni, sensazioni. Spiegare il motivo di una scelta estrema, la lucida follia che a volte ci porta a fare quello che altri non farebbero.

Questa è la storia di “Scheletro”. La storia di una pianta vecchia, forse antica, che fu sicuramente impo-nente e che adesso si è evoluta verso la sua forma più mi-nimalista. Il mio incontro con questa olea oleaster risale a 4 anni or sono. Era in possesso di un amico. Parlavo con lui del più e del meno, ma un senso di irrequietezza che conoscevo mi aveva pervaso… l’avevo vista… mi aveva colpito! Era stato come un lampo… un’inclinazione del capo, le palpebre che si stringono per percepire dettagli, per sfondare la materia ed andare oltre, per vedere quello che gli altri non vedono. Io sapevo cosa dovevo fare. Sa-pevo di aver incontrato Scheletro!

>> La mia esperienza

di Franco Barbagallo e Dario Rubertelli

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Quella sensazione la conoscevo, nei mie 20 anni di bonsai, l’avevo sentita altre volte, sempre coinvolgen-te, entusiasmante, una sorta di delirio creativo. Anni di studio da autodidatta, supportato costan-temente dalla consultazione di riviste e libri hanno rap-presentato la mia formazione. Il “prova e riprova” è stato il mio pane quotidiano. Provare e riprovare fino a trovare le soluzioni più idonee ai problemi che man mano si an-davano presentando, cercando le vie da percorrere per

raggiungere gli obbiettivi che mi prefissavo per un dato materiale. Di questa olea mi aveva colpito profondamente la bellissima vena di legno secco nascosta nel lato po-steriore in basso. Il primo passo fu quello di rinvasarla ribaltandola e cambiando completamente inclinazione e fronte, mettendola in lapillo e akadama e utilizzando del-la sabbia di fiume come drenaggio. Dopo un anno cominciava la lavorazione vera e

e propria. Avevo la pianta davanti, i colpi sullo scalpello si susseguivano veloci, frenetici, porzioni di legno secco sal-tavano, scricchiolavano e lasciavano spazio a solchi, pun-te, insenature misteriose. Gli spazi vuoti cominciavano a vincere la loro bat-taglia con quelli pieni, l’erosione del tempo si era mani-festata per mano mia su questa magnifica creatura. Più procedevo più mi era chiaro che la natura di questa pian-ta era quella che le stavo conferendo. Quello che restava dopo la lavorazione della le-gna secca era quello di cui aveva bisogno, non di più… uno scheletro che nonostante tutto sosteneva ancora la vita sulle proprie spalle. La forma che ne è venuta fuori è esasperatamente estrema, come i paesaggi che incon-tro nelle mie passeggiate lungo i versanti più scoscesi

>> La mia esperienza

44Lo scheletro- Franco Barbagallo, Dario Rubertelli -

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dell’Etna, dove si trovano le piante che più attraggono la mia attenzione e che mi ispirano maggiormente. La parte viva è sot-tilissima e non supera il 2% della superficie totale del tronco. La pianta rappre-senta la sublime lotta della natura che cerca di soprav-vivere a se stessa: al fuoco, agli eventi atmosferici. Ancora qualche anno e la chioma sarà in perfetta sintonia con il sec-co. Secco che nel frattempo sarà ulteriormente ritocca-to. Infine il posizionamento in un vaso adatto per forma e colore. E poi... chissà...

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faggioPatriarca

La storia del

II parte

di Armando Dal Col

Come si ricorderà, la storia di questo faggio ebbe inizio nel 1970 quando lo vidi piuttosto sofferente fra le rocce; il mio pensiero fu quel-lo di “soccorrerlo”, cercando di rinvigorirlo sul

posto praticando una consistente potatura sulla par-te aerea della pianta, tagliando nel contempo dei rovi e rami di altri arbusti vicini per procurargli luce e una maggiore ventilazione. Nella prima parte l’abbiamo seguito attraverso le numerose immagini nelle varie fasi per oltre trenta anni di coltivazione, dove lo abbiamo visto salire ai ver-tici all’International Bonsai and Suiseki Exibition del 1986 in Giappone promosso dalla Nippon Bonsai Asso-ciation, classificatosi al primo posto. In questa seconda parte lo vedremo fino all’au-tunno inoltrato del 2009; sarà dato maggior spazio ad una serie di immagini in una delle sequenze più “intri-ganti” della tecnica bonsai di quando si ha a che fare

46La storia del faggio patriarca - II parte- Armando Dal Col -

>> La mia esperienza

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47La storia del faggio patriarca - II parte- Armando Dal Col -

cinque anni per dargli modo di ri-prendersi dalle energiche potatu-re per ridurne le dimensioni. L’espianto era avvenuto nella primavera del 1975. In tale epoca, è stato possibile determi-narne l’età attraverso gli anelli di crescita annuali, ricavati dalla por-zione radiale della grossa radice fittonante tagliata che affondava di lato. Con molte difficoltà è sta-to possibile evidenziare ben due-

duecento anelli!Nei cinque anni trascorsi a se-guito dei trattamenti in natura, il faggio aveva avuto un recupero eccezionale. La ramificazione è molto densa e compatta (foto 1), ma sarà necessario alleggerirla dopo l’espianto, il quale non è sta-to per niente facile, ma ne è valsa la pena…

con un Bonsai molto vecchio, e cioè “ringiovanire” gli organi vitali e delicati quali sono le radici, attra-verso la delicata fase del rinvaso. E come si sa, è proprio attraverso il rinnovato taglio delle radici nel-le fasi del trapianto che una pianta “ringiovanisce” acquisendo nuove energie che le permettono di pro-lungarne notevolmente la vita. Prima di essere espianta-to, è stato curato sul luogo per

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>> La mia esperienza

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2. Trapianto del Faggio in sequenza con il prezioso aiuto di mia moglie Haina du-rante l’ennesimo rinvaso fatto nel mese di marzo del 2008, esattamente sei anni dopo l’ultimo rinvaso avvenuto nel marzo del 2002. Prima di rimuovere il faggio dal vaso “senza rischi per entrambi”, è neces-sario passare la lama di un seghetto intro-ducendolo vicino al bordo interno del vaso, in modo da poter tagliare la fettina di terra e radichette lungo tutto il perimetro della zolla radicale che “spinge” contro le pareti interne del vaso.3. Inclinazione del Faggio per sollevare dal vaso l’apparato radicale. Da notare lo strato di pezzetti di polistirolo sotto la zolla.4. Il Faggio è stato liberato dal vaso e po-sto sopra un piano robusto della carriola. Ora sarà necessario trasportare il faggio sul tavolo di lavoro.5. Haina ha assunto un atteggiamento responsabile per il delicato compito che l’attende. Lei è consapevole di dover af-frontare un ennesimo rinvaso di questo famosissimo faggio.6. Il Faggio è stato posto sul tavolo di lavo-ro e si è iniziato a liberare parte del terric-cio dalle radici. E già una buona parte delle radici sono state liberate dal terriccio.7. Haina con calma esegue la delicata fase del rinvaso con grande professionalità.8. Ora che la zolla è stata parzialmente ridotta, si inizia ad alleggerire la parte sot-tostante. 9. Tutti i frammenti di polistirolo sono stati rimossi. Con molta probabilità qualcuno si chiederà perché avevo aggiunto dei pez-zetti di polistirolo al posto dell’Akadama o altri substrati come elementi di drenaggio. Se lo spazio nel vaso lo consente, il poli-stirolo ha la capacità di creare un “calore di fondo”. 10. Dalla foto non si può “sentire” il profu-mo del terriccio, il quale emana la fragran-za della presenza di una flora fungina.11. Le radici sono state “pettinate” e l’ap-parato radicale è stato lavato con il getto d’acqua.12. Sistemazione del materiale di drenag-gio nel prezioso vaso artigianale giappo-nese. Sono stati aggiunti dei pezzetti gros-solani di pomice insieme a dei frammenti di akadama.13. Sopra lo strato di drenaggio è stata ag-giunta una manciata di torba fertile.14. Viene aggiunto ora una manciata di concime organico a lenta cessione mesco-lato con dell’humus di lombrichi.

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15. Ora è necessario completare il rinvaso del Faggio. Per problemi di peso, il faggio verrà rinvasato sul piano d’appoggio nel suo posto consueto.16. Ancora un piccolo controllo della ra-mificazione prima di trasferire il faggio nel vaso.17. Ultimi ritocchi sull’area apicale.18. Inserimento del Faggio nel “suo” vaso. Il terriccio è stato inserito sul posto, questo per agevolare il problema del peso com-plessivo della pianta. La sequenza del rin-vaso effettuata il 31 marzo 2008 è giunta al termine.19. Maggio 2008, il faggio si è risvegliato bene dopo la fase del rinvaso.20. Un altro anno è trascorso senza proble-mi, e nella primavera del 2009 ammiriamo il Faggio Patriarca nella sua smagliante bellezza. Uno splendido acero dal foglia-me rosso corallo e, insieme ad altri Bonsai di varie specie ingentiliscono l’atmosfera del Giardino Museo Bonsai della Serenità, che vi invito a visitare.21. Le notti fresche di fine ottobre e inizio novembre del 2009 ci regalano altre im-magini del Faggio Patriarca.22. Le foglie giallo oro del Faggio sono il simbolo di buona salute della pianta, ed io ne sono compiaciuto.23. Al nuovo anno manca poco più di un mese mentre sto scrivendo questa storia, e come si ricorderà dal conteggio degli anel-li di crescita annuale avvenuto nel 1975 all’epoca dell’espianto, il numero com-plessivo risultava di ben duecento anelli, e così nel 2010 il Faggio compirà la veneran-da età di 235 anni! Per quanti anni riuscirò ancora ad ammirarlo prima di attraversa-re il fiume?24. Dopo una settimana, il colore giallo oro delle foglie hanno mutato il loro aspet-to in un caldo color avana.25. Nel lento fluire delle stagioni, il pae-saggio muta costantemente, ed ora i co-lori del Faggio Patriarca rispecchiano la tipicità della specie.26. L’arrivo delle piogge autunnali fanno perdere velocemente i colori acquisiti con le notti freddine, e già alcune foglie si sono staccate dai rami cadendo silenziosamen-te a terra. 27. I colori della “tavolozza” autunnale si sono via via sfumati a causa delle persi-stenti piogge. Anche l’Acero deshojo sta abbandonando la sua impareggiabile li-vrea, ed ora è tempo di affrontare un me-ritato riposo.

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e q u i l i b r i o

instabiledi Paolo Nastasi

D urante questo mio viaggio di pensieri ri-volti all’arte bonsai,vi illustrerò un lavoro su

un Ginepro Sabina affidatomi dal maestro Salvatore Liporace per una dimostrazione svolta in occa-sione della mostra emiliana “Gia-reda”, curata dall’Helen Bonsai Club e dalla scuola Progetto Futu-ro. La mia vita bonsaistica iniziata nel 1995 come autodidatta, cam-biò radicalmente quando nel 1999 il maestro Liporace mi diede l’op-portunità di diventare suo allievo Lasciai Avola, un piccolo pa-ese della Sicilia Orientale per la cao-tica Milano. Il mio sogno era quello di diventare un bonsaista professionista

e dedicai anima e corpo per formarmi nel miglior modo possibile. Dopo 3 anni di apprendistato tornai in Sicilia ma il mio rapporto di studente non fu meno intenso. Infatti un paio di volte l’anno ho bisogno di mettere nuova linfa lavorando al fianco del mio mae-stro. Nel mio percorso bonsaistico mi preme sottolineare l’importanza di frequentare una scuola bonsai per avere delle basi solide e non imbat-tersi nel vicolo cieco dell’autodidat-ta. Invito i giovani ad intraprendere la via della conoscenza e del confronto per migliorarsi bonsaisticamente. Tornando al ginepro, lavora-re un materiale così insolito mi intri-gava e pensavo che potesse valoriz-zare la mia creatività. Mi avvalsi della preziosa collaborazione di Giacinto

>> La mia esperienza

52Equilibrio instabile- Paolo Nastasi -

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anch’egli studente dello “Studio Bo-tanico”. Osservando attentamente il materiale di partenza, pensai a due possibili soluzioni: realizzare uno sti-le “cascata” utilizzando solamente il tronco di sinistra e trasformare la parte apicale in legna morta, oppu-re unire due stili, lo stile ventoso e lo stile cascata, mettendo in risalto la naturalezza e la forma stravagante

della pianta. Dopo una meticolosa pulizia della pianta decisi di lavorarla unen-do i due stili, sia per non mettere a repentaglio la vita della pianta, sia per permettermi di creare qualcosa di diverso. Al termine della lavorazione si nota una diversa densità fogliare tra i due tronchi, determinata dalla

non preparazione del materiale, in-fatti è consuetudine preparare prima il materiale, in modo da ottenere un risultato ottimale. In futuro immagi-no il sabina in una pietra di luna con due palchi che si allungano dal tron-co apicale in direzione della cascata per meglio integrare le due parti.

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53Equilibrio instabile- Paolo Nastasi -

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ostruire

Alcuni amici appassionati di suiseki, per quanto usino cimentarsi con entusiasmo nella costruzione dei daiza, lamentano la difficoltà e pericolosità di incidere i sup-

porti per mame suiseki: le piccole pietre da inserire negli stands espositivi da composizioni multiple. Preservare l’incolumità delle dita è preoccu-pazione che sussiste sia con l’utilizzo di frese fisse (impensabile usare le frese mobili attorno ad una basetta mignon), sia con l’uso delle sgorbie in una realizzazione totalmente manuale. Da questo, sono nate due considerazioni: che un buon aiuto, durante la realizzazione, è l’ac-

Cdi Luciana Queirolo

>> A lezione di suiseki

giocando

54Costruire giocando- Luciana Queirolo -

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ostruire

cortezza di non eliminare (se non all’ultimo) almeno parte del legno eccedente, in maniera da avere uno o più punti di “appiglio” attorno alla basetta, in ma-niera di riuscire agevolmente a tenerla ferma men-tre prosegue il lavoro (foto 1). Considerazione seguente: che quell’appen-dice, usata a mo’ di manico, è spesso di legno ben stagionato e pregiato. Per quanto piccolo, peccato è buttarlo, mentre può servire per un altro piccolo mame (foto 2, 3) Va da sé che il riunire in contemporanea la-vorazione più pietrine, diventò il mio imprescindi-bile punto di partenza. Esaminando il fondo di ogni pietra, possiamo indicativamente valutare quan-ta profondità di legno ci occorre per compensare i vari dislivelli, senza dimenticare un certo margine di spessore per i piedini. Stabilito lo spessore comples-sivo necessario, potremo selezionare la tavola ido-nea per contenere su una stessa asse quel gruppo di pietre. Il perimetro di ogni pietra viene tracciato la-sciando, tra l’uno e l’altro, lo spazio necessario per la sgrossatura dei due bordi, più uno spazio di “azione”

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per la fresa (foto 4, 5, 6). Stiamo contornando le no-stre basette usando, per ora, la fresa cilindrica. Ora, continuo ad abbassare la fresa sino a bucare la tavo-la, ma solo dove calcolo verranno posizionati i piedi-ni di ciascun daiza e lasciando dei collegamenti tra

un daiza e l’altro (foto 7, 8, 9). Questo mi consente di tracciarli poi, sotto, con precisione. Con la fresa a cono, inizio a determinare l’inclinazione verso l’inter-no dei bordi esterni. E’ il momento di lavorare sulla schiena della nostra asse per ricavare i piedini.

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Nel caso una base abbia necessità di una al-tezza minore, nei bordi o nei piedi, nessun problema a togliere: foto n° 1(9); foto n°1(10); Le basette sono nel complesso,impostate: foto n°1(11); foto n°1(12). Un’altra smilza e diverten-te striscia di daiza: foto n°2; foto n°2(1); foto n°2(2). Comincio a separare le basette partendo dal-le più grandi e lasciando ancora unite le piccole: foto n°3; foto n°3(1). Questo mi consente di maneggiarle ancora agevolmente nel successivo ritocco con il ci-lindretto abrasivo: foto n°3(2); sono veramente pic-coline! Foto n°3(3); foto n°3(4). Questo quartetto aveva la necessità di uno spessore di legno maggiore: foto n°3(5). Da qui, in-ceratura a go­go: foto n°4(1). Tanti figliolini tutti as-sieme è un bel vedere…: foto n°4(2); foto n°4(3) Fatti uno per uno … potete immaginare: equi-varrebbe ad un lavoro molto noioso che, in questo modo, si è al contrario rivelato un gioco divertente e proficuo. Alla prossima!

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...dopo 20 primavere italiane

storia di un pinodi Francesco Santini

T alvolta ci sono bonsai che suscitano un ri-spetto inspiegabile. Forse è il loro fascino o la loro vecchiaia, fatto sta che quando sei davanti a loro ti ritrovi in silenzio a osser-

varne estasiato tutti i particolari ed ad ascoltare la storia che questi ti stanno raccontando. Questo pino pentaphylla è uno di quei bon-sai! L’esemplare, proveniente dal Giappone, è espo-sto presso il Museo Costantino Franchi di Pescia da circa venti anni. È un albero molto vecchio e prezio-so. Inoltre un bonsai di pino a cinque aghi di queste dimensioni e in stile kengai è una vera rarità! Negli ultimi anni, le continue pinzature ave-vano reso la vegetazione fitta a tal punto che l’aria e

la luce non filtravano più all’interno della pianta. Se non si interviene, le zone interne perderanno ancora più vigore. Il lavoro da fare ha l’obiettivo si ristabilire le migliori condizioni di crescita per il bonsai e na-turalmente procedere ad un riordino della chioma. A fine estate, la vegetazione presente era molto densa. Le gemme, tutte della solita grandezza, sono uniformemente distribuite su tutto l’arco della chio-ma. Questo equilibrio è indice di maturità e salute. Il primo lavoro da fare è la pulizia degli aghi e una leggera sfoltitura. A inizio settembre questo tipo di pino abbandona in modo naturale parte degli aghi vecchi. In questo periodo quindi sarà sufficiente eli-minare gli aghi già secchi per ottenere una discreta

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>> Noi... di Bonsai Creativo school

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...dopo 20 primavere italiane

storia di un pino

pulizia. Volendo, possiamo ulteriormente pulire il ciuffetto di aghi, ma l’asportazione di aghi verdi cau-sa una piccola perdita di resina che ho preferito evi-tare. L’eliminazione dei rami secchi e deboli è stata la seconda fase della pulitura. Il risultato ottenuto è stato un bonsai più ordinato composto solo da ciuffi forti e vigorosi. L’aria e la luce che adesso passa tra i rami comporta un risultato estetico migliore e un beneficio in termini di coltivazione. A dicembre, con l’arrivo del freddo, giunge il momento di intervenire sulla chioma. Mi armo di forbici e filo e il lavoro comincia! Si inizia con la po-tatura. Verranno tolti solo i rami che crescono verso

l’interno e quelli deboli o poco ramificati. Mi interes-sa mantenere quanta più vegetazione possibile per dare un aspetto finale molto ricco, per cui cerco di sfruttare tutta la vegetazione utile. Elimino anche i rami che crescono alla base dei grossi rami o nelle biforcazioni. Tutte le volte che analizzo un ramo cerco di eliminare i ciuffi che non potrebbero, per lunghezza o vigore, entrare nel profilo del palco. non bisogna dimenticare che la vegetazione è solo sulle punte dei rami. Tutta quella che rimarrebbe interna può essere eliminata. Davanti a una così fitta e complessa vegeta-zione, è utile individuare gli strumenti che ci aiutano

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Francesco Santini - Curriculum Professionale

Nato a Empoli (FI) nel 1971, si avvicina al mondo del bonsai alla fine degli anni ‘80 grazie a suo padre, Santini Renzo. La for-mazione bonsaistica è completamente da autodidatta per i primi10 anni. Nel 1996, in-sieme ad altri appassionati, fonda il “Grup-po Bonsaisti Medio Valdarno” con sede a Empoli. All’interno di questa associazione cresce e consolida la sua passione per il mondo del bonsai.Dal 1998 inizia a frequentare seminari e workshop con Kunio Kobayashi, Carlo Ci-pollini e Walter Bondi. È l’inizio di un per-corso di crescita che lo porta nel 2001 ad entrare nella “Bonsai Creativo School” di Sandro Segneri, dove approfondisce e affina la propria preparazione tecnica e artistica. Nel 2004 vince il concorso “Nuovo Talento Italiano”.I suoi bonsai sono pubblicati nei cataloghi UBI “Miglior Bonsai e Suiseki” del 2004, 2005, 2006, 2007 e 2009.Nel 2005 si aggiudica a Roma il premio “Presidente UBI” con l’esposizione di un esemplare di Lonicera. Nel 2006 il maestro K.Kobayashi gli assegna il premio “tokonoma award”.Assistente di Sandro Segneri in numerose occasioni tra cui il congresso UBI del 2007.Menzione di merito PF alla mostra Giareda 2008.Partecipa nel 2008 come espositore al congresso IBS BCI di S.Vincent. Nella stessa occasio-ne è assistente alle dimostrazione dell’istruttore IBS Roberto Raspanti e del maestro taiwa-nese Min Hsuan Lo.Al congressoUBI 2009 di Salerno cura la dimostrazione per conto della“Bonsai Creativo School”. Nello stesso anno vince il concorso “miglior bonsai” alla mostra regionale Tosca-na.Premio “Presidente UBI” al congresso IBS 2009.Dal 2007 cura la collezione privata di Gianfranco Giorgi, uno dei padri fondatori del bonsai-smo in Italia.Dal 2009 collabora alla creazione e al mantenimento degli esemplari del Museo “Costan-tino Franchi” e dell’azienda “Nara Franchi” di Pescia (LU). In questa sede ha l’occasione di lavorare su bonsai famosi, alcuni dei quali lavorati in precedenza da maestri del calibro di Masaiko Kimura, Kunio Kobayashi e altri. È istruttore della “Bonsai Creativo School” e allievo della “Accademia European Bonsai School”. All’interno della scuola svolge attività didattica di base e avanzataDal 2009 è istruttore IBS.

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a semplificare la struttura della pianta. Senza curar-si di quello che potrebbe essere la futura posizione della vegetazione, esistono dei rami che possono essere potati senza indugi! Mi riferisco a tutti quei rami che non sono oggettivamente utilizzabili o che renderebbero più complessa la ramificazione. Natu-ralmente i primi rami a essere eliminati sono quelli secchi. Fatto questo, si comincia ad analizzare ogni ramo di grossa dimensione. Bisogna fare attenzio-ne alle biforcazioni, alle lunghezze e al vigore: questi sono i tre elementi da valutare. Nei punti dove crescono tre rami, dobbiamo eliminarne uno! Normalmente è quello centrale ma in genere preferisco togliere quello meno vigoroso. Si prende tra le mani un ciuffo di rami: alcuni risulte-ranno o troppo lunghi o troppo corti. Facendo come i parrucchieri taglio i rami troppo lunghi. Quelli troppo corti probabilmente sono anche poco vigorosi e an-che per loro consiglio il taglio. Quel ciuffo di rami che sto valutando rappresenta un futuro palco. Potando come descritto mi assicuro che tutta la vegetazione sia della lunghezza giusta e rientrerà nel profilo del palco. Senza essermi curato dell’aspetto finale della pianta, mi sono già liberato di una discreta quantità di rami. Ora mi restano sulla pianta solo i rami utili e vigorosi!!! Tolgo ancora qualche ramo e sono final-mente pronto per quella che è stata la fase più lun-ga… la filatura. Volendo rispettare l’estetica originale e allo

stesso tempo offrire un lavoro pulito e ordinato ho escluso a priori qualunque piega drastica, e quindi l’uso di rafia, camera d’aria e filo di grosse dimensio-ni. Per l’abbassamento dei rami ho usato dei semplici tiranti che permettono di “orizzontalizza-re” la disposizione dei palchi. Mi spiego meglio: con la crescita in verticale della nuova vegetazione si ha una disposizione dei ciuffi di aghi verso l’alto. Se, con un tirante, abbassiamo il ramo, tutti i ciuffi tendono a posizionarsi in orizzontale. Facendo così ottenia-mo un vantaggio non poco trascurabile: per la lega-tura dei rametti, possiamo usare un filo ancor più

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fine dato che lo spostamento da fare è minore. In una lavorazione del genere diventa importante ri-durre al minimo l’impatto vi-sivo del filo... meno si vede e meglio è! Ed in questa ottica uso diversi accorgimenti. Uno dei tanti è preferire, al posto di un filo di grosse dimensioni, due fili di spessore più fine; così facendo ho possibilità di utiliz-zarli per una lunghezza supe-riore, andando a filare anche i rami che non avrei potuto le-gare con il filo grosso. Inoltre due fili piccoli si vedono meno che un filo grosso. Un altro accorgimento è l’uso di uno stesso filo per le-gare due rami. In questo modo tutto il filo è utilizzato senza lasciare sul ramo delle spire “a vuoto” con la sola funzione di ancoraggio. L’utilizzo di diametri piccoli ha anche un’altra fun-zione pratica: il passaggio delle spire in una pianta così densa di aghi, risulta un’ope-razione lenta e delicata. Per non rischiare di danneggiare le gemme si è costretti a pro-cedere lentamente usando le

mani non solo per l’avvolgi-mento ma anche per sposta-re i ciuffi al passaggio del filo. L’uso di diametri fini rende il lavoro un po’ più semplice. Ed infine la chiusura del filo. Dovendo disporre i rami in orizzontale, ma con il ciuffo verso l’alto, consiglio di chiudere la filatura facen-do un mezzo anello. Questo avrà il solo compito di alzare il ciuffo. Con gli aghi verso l’alto otteniamo un aspetto molto più ordinato, oltre a porre la gemma nella migliore condi-zione di crescita. Con l’utilizzo dell’anello inoltre, possiamo posizionare in verticale anche gli aghi che crescono verso il basso. Così facendo non sono costretto a toglierli per la pu-lizia del profilo inferiore del palco. L’operazione di lega-tura è durata qualche giorno e ha visto soprattutto l’utiliz-zo di diametri che vanno dallo 0,8 al 1,5 mm. Solo del mm. 1,2 ne ho utilizzato quasi 1 kg!!! Ed eccoci finalmente alla fase più bella e stimolante del fare bonsai: la modellatu-ra. Dopo ore di lavoro, i rami

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1. L’esemplare nel 2000.2. L’esemplare nel 2003.3, 4, 5. Prima della pulizia.6, 7, 8. Dopo la pulizia.9. Viene potata tutta la vegetazione in eccesso.10. Dopo la potatura.11 - 15. L’autore durante la fase di filatura.16 - 19. Particolari.20. Risultato finale.21. Futuro possibile fronte.

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sono potati e filati, il fronte è stato fissato, tutti i rami sono modificabili. Guardo sul tavolo: pinze, tronche-se, forbici, filo per tiranti… non manca niente. Mi metto comodo sullo sgabello, mi accendo una sigaretta... guardo, scruto, studio... il pino è da-vanti a me a una distanza tale che le mie mani non arrivano a toccarlo. È una fase bellissima! Esistono tantissimi ciuf-fi da posizionare, centinaia di rami a cui dare forma. Osservo e mi immagino il risultato finale... silenzio intorno... un’ultima boccata della sigaretta e… VIA! Si parte!!! La difficoltà di una modellatura sta essenzial-mente nella gestione della vegetazione. Ci sono infi-nite possibilità su come muovere e posizionare tutta la ramificazione. Ogni bonsaista ha un modo tutto suo di affrontare questa operazione. Alla sensibilità e bravura si affiancano nozioni tecniche e astuzie che facilitano questo lavoro. Descrivere tutti gli elementi che valuto du-rante un’ impostazione del genere è praticamente impossibile, ma è mia intenzione descrivere alcune considerazioni sulla mia metodologia. Partiamo da alcuni presupposti: un qualun-que albero modifica la sua struttura in seguito a eventi naturali che ne modellano la forma nel tem-po. I tronchi e i rami possono assumere movimenti anche assurdi, contorti e talvolta improbabili, ma c’e’ un punto fermo da tener conto: la vegetazione finale, quella giovane, si stende semplicemente ver-so la luce, verso l’esterno. Questo è un elemento importantissimo! La vegetazione terminale non può aver assunto forme contorte perché non ne ha avuto il tempo. Essendo la parte più giovane della pianta, ha un solo possibile movimento: diretto verso la luce! Quindi se si fanno pieghe e movimenti li dovremo concentrare solo sulla parte vecchia della pianta; i rami finali invece si stendono dritti a venta-glio verso l’esterno. Il primo passo in una modellatu-ra è quindi il posizionamento del ramo e la successi-va apertura della vegetazione. Nel muovere i rami bisogna compattare la ve-getazione creando l’aspetto tipico di un palco. Non mi soffermo sulla descrizione di come realizzarlo, ma c’è un’altra piccola e importante osservazione da fare: un grosso palco vegetativo assume un aspet-to molto più vecchio se lo suddividiamo in palchi più piccoli. Quindi, una volta creato un unico palco, valu-tiamo la possibilità di suddividerlo ancora attraverso potature e piccoli spostamenti della vegetazione. Infine un’altra considerazione: le profondità.

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Tutti noi conosciamo l’im-portanza dei rami posteriori. Que-sti svolgeranno correttamente il compito di dare profondità al bonsai solo se sono visibili dall’os-servatore. Per questo motivo questi rami dovranno essere po-sti negli spazi vuoti esistenti tra i palchi (frontali e laterali). È inutile posizionare i rami di profondità dietro ai rami anteriori perchè non sarebbero visibili. Ed eccoci al lavoro finito! A riguardo devo fare alcune pre-cisazioni: la prima è che essendo esposto 365 giorni l’anno in un museo ho cercato di impostare il bonsai con il fronte e l’angolazio-ne originale. Fino a che non sarà rinvasato (cosa per il momento non prevista) sarà questo il punto di osservazione della pianta. Appare però evidente, da altre foto, che il futuro fronte po-trebbe prevedere una rotazione verso destra rendendo migliore la

chiusura dell’apice. Uno dei problemi principa-li che ho dovuto risolvere è stato arrotondare la parte apicale che all’inizio era piuttosto “quadrata”. Con il fronte originale la situazio-ne è migliorata ma non completa-mente risolta. Solo con una legge-ra rotazione verso destra l’apice risulta veramente triangolare. La seconda precisazione riguarda il profilo della pianta che al momento risulta ancora molto lineare. A mio parere l’esposizio-ne in museo richiede un bonsai che sia sempre con una quantità adeguata di vegetazione e a tal proposito ho ritenuto corretto cercare di mantenere quanta più vegetazione possibile utilizzando anche alcuni rami superflui. In questo step ho privile-giato la selezione e l’apertura dei rami, creando spazi per il pas-saggio di luce e aria funzionali a una corretta coltivazione e infol-

timento. La distribuzione della vegetazione è stata mirata al rag-giungimento di una forma pulita e ricca di vegetazione, ma nel pros-simo futuro provvederò a elimi-nare alcuni rami che al momento rendono lineare il profilo della pianta. In particolare mi riferisco a quei rami che, se tolti, andran-no a creare spazi vuoti più definiti tra i palchi diminuendone la mo-notonia. Attenderò una maggiore densità della vegetazione per l’eli-minazione di questi rami. Inutile sottolineare la mia soddisfazione nel poter lavorare un esemplare del genere. Vorrei qui ringraziare pub-blicamente Lorenzo Agnoletti per i preziosi consigli e Nara Franchi per la fiducia che mi ha dimostra-to affidandomi la gestione di un bonsai così importante.

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Programma accademicoSedi: Borgo dei Lunardi - Cerreto Guidi (Firenze) - Italia Granada - Spagna Art Director: Sandro Segneri - Italia - Istruttore IBSDocenti: M° Shinji Suzuki - Giappone Massimo Bandera - Italia - Istruttore IBS Luca Bragazzi - Italia - Istruttore IBS Massimiliano Bandera - Italia - Paesaggista

Gennaio Docente: Sandro Segneri - Introduzione; - Analisi: valori estetici dei materiali. Insegniamo e leggere i punti di forza di un bonsai; - Tecnica a realizzazione del progetto.

Febbraio Docenti: Sandro Segneri, Shinji Suzuki, Luca Bragazzi - Workshop con il M° Shinji Suzuki; - Nozioni avanzate di agronomia applicata al bonsai; - Tavola rotonda sui valori estetici. Critica. Progetto.

novembre Docente: Sandro Segneri -Tecnichedifinituradimaterialiavanzati

Dicembre Docenti: Sandro Segneri, Massimo Bandera, Massimiliano Bandera - Il tè nella cultura giapponese: WABICHA e CHANOYU. - Allestimenti nel tokonoma di alto livello e sensibilità estetica giapponese. - Miniatura: il concetto del piccolo in Estremo Oriente. - Lezioni di paesagismo e giardino giapponese - Principi di paesaggismo, strumenti di lettura del giardino giapponese: visione di uno scorcio, miniaturizzazione, imitazione della natura, connessione ad angolo, paesaggio preso a prestito; - Prova pratica di composizione di un giardino giapponese con plastici in cartoncino - Didattica. - Metodi di comunicazione e demo dinamiche: dalla conferenza all’atto creativo, percorsi teorici e tecnici

In concomitanza con la 3° edizione del “Bonsai & Friends”

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www.bonsaicreativo.it

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Francesco santiniwww.francescosantini.it

Per la nuova intervista il personaggio scelto è un nostro amico nonché collaboratore. Vi confesso che intervistare Francesco Santini mi ha “fat-to strano”. Di solito si intervista una persona che, almeno nel nostro im-maginario, ti da quella sola occasione per poterci parlare, per accorciare

le distanze. Con Francesco non è stato così. La sua presenza costante sul nostro forum, la sua disponibilità, il suo esserci sempre, ha fatto si che questa distanza si annullasse dall’inizio. Pensare alle domande da rivolgere a Francesco non è però stato facile. Il rischio più grosso era che cadessi nel banale, nel già visto. E allora la scelta di intavolare una chiacchierata informale. Una chiacchierata che ci porterà a scoprire un ragazzo che ha fatto del bonsai il suo mondo. Uno dei più promettenti artisti del panorama nazionale che non ha dimenticato il valore dell’essere umile. Non voglio prendere altro spazio a Francesco, per cui vi auguro buona lettura e... a presto.

Giuseppe Monteleone

>> L’opinione di...

intervista a cura di Giuseppe Monteleone

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Come ho detto nell’introdu-zione, mi sembra un po’ strano in-tervistare una persona come te. A te che impressione fa essere intervista-to per il magazine per cui tu stesso collabori? Diciamo che sono rimasto molto sorpreso dal fatto di suscita-re un interesse tale da giustificare un’intervista!!! Quando Carlo me lo ha proposto non riuscivo a crederci... ”ma sei sicuro?” gli ho chiesto... ed eccomi qua, a fare la mia prima inter-vista! A dire il vero sono molto ono-rato e felice di potermi raccontare un po’ agli amici del magazine.

Dai... cominciamo questa intervista sul serio... l’immagine che ho di te è quella di una persona de-terminata, che sa quello che vuole, che è arrivata in cima, ma che allo stesso tempo non ha perso l’umiltà dell’allievo. Sono fuori strada o ti senti veramente così? Come molti, anch’io mi sento un eterno allievo di questo mondo. Anni fa decisi di investi-re il mio tempo e il mio denaro non nell’acquisto di piante, ma nella co-noscenza e nella preparazione. Rite-nevo più importante imparare a fare bonsai che possedere una bella pian-ta. In fondo a me piace creare, lavo-rare e mantenere un bonsai! Con questa idea ho intrapre-so il cammino che mi ha portato a co-noscere a poco a poco questo mondo. Ma il processo di crescita è senza un limite superiore, per cui vado avanti in questo percorso con tanta mode-stia. Ho sempre vissuto il bonsai con estrema umiltà e senza mire di successo… e continuo a farlo! Credo che ci sia ancora tempo per arrivare “in cima”!

Istruttore Bonsai Creativo School... che emozione ti da essere parte integrante di una delle più pre-stigiose scuole italiane? Parlare della scuola senza parlare di Sandro Segneri mi è impos-

sibile. Ricordo quando, nella rivista “Bonsai Italiano” vidi i suoi primi la-vori. Mi affascinò subito il suo modo personale di vedere il bonsai. Entrai nella scuola circa 9 anni fa e tutto quello che ho imparato lo devo al percorso fatto con lui. Da qualche anno sono istrut-tore all’interno della scuola, un com-pito di cui vado orgoglioso. Ma la soddisfazione più grande non è nel-la qualifica in sé, quanto nel godere della fiducia di Sandro e degli allievi e nell’avere la possibilità di trasmette-re quello che amo fare. Negli anni, la scuola, ha sapu-to raccogliere al suo interno bonsaisti di diverse età e provenienze. Adesso posso dire che è una piccola famiglia composta da persone legate da una vera, sincera e profonda amicizia. Con questi presupposti fare bonsai è ancora più bello! Domanda forse banale, ma qual è stata la molla che ti ha fatto scattare la passione per il bonsai? l bonsai l’ho cominciato a re-spirare a metà degli anni 80, quando mio padre portò a casa un piccolo alberello… credo una serissa! Lui si appassionò e cominciò un percorso da autodidatta cercando di coinvol-germi… ed in parte lo fece! Alla sua morte nel 1996, mi ritrovai oltre 120 piante da accudire! Dare continuità al suo lavoro è stato il motivo che mi ha fatto scattare qualcosa! Da allora non c’è stato un giorno in cui non abbia avuto in men-te il bonsai. Mi piace pensare che lui sia contento della strada che ho in-trapreso!

E come mai hai deciso di per-correre la strada che ti ha portato ad essere quello che sei diventato? Alla fine degli anni ’90, mi resi conto che la mia conoscenza del bon-sai era molto limitata. La passione cresceva e con essa l’esigenza di sod-disfare la mia voglia di sapere. Iniziai a frequentare qualunque laboratorio capitava a tiro ma avere istruttori di-

versi e sporadicamente non è la via giusta. Fu così che ebbi l’occasione di entrare nella scuola Bonsai Creativo. Non ho intrapreso il percorso della scuola per arrivare chissà dove, ma per capire, respirare, affrontare e vi-vere un mondo che amavo e che oggi amo ancora di più. Tutto quello che ho fatto è cercare di andare avanti nella comprensione del bonsai e di quello che gli sta intorno.Non mi stancherò mai di dire che la continuità nell’apprendimento è la via corretta!

Dalle domande preceden-ti potrebbe sembrare quasi che tu ti senta “arrivato”. Tu invece a che punto ti senti della tua bonsai-do? No! Non mi sento arrivato! Tutt’altro! Mi sento appagato per quanto inaspettatamente ottenuto quello si! Questo 2009 è stato fan-tastico sotto questo profilo… forse il più bello! Il percorso di crescita però non deve avere fine. Credo che sia più quello che non so che di quello che so! Non ho fretta…tutto viene da se! Da parte mia ci metterò tutto l’impegno e la modestia possibile! Guai ad avere l’ostinazione di creder di essere arri-vati alla fine!!!

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>> L’opinione di...

Diamo inizio ad un botta e risposta... di tutte le fasi della crea-zione di un bonsai, qual è quella che ti affascina di più? La modellatura.

Essenza preferita? Ginepro.

Piante autoctone o importa-te? Indifferente.

Ovviamente adesso tutti ci aspettiamo che ci motivi le doman-de precedenti... a te la parola. Mi piace la modellatura per-ché il momento più creativo. quando sto filando i rami, già pregusto l’emo-zione dell’impostazione. Se non fosse per questa fase non avrei lo stimolo di legare anche per giorni interi una pianta! E poi quando anche l’ultimo rametto è legato inizia la fase più emozionante: non voglio essere as-solutamente disturbato; spengo il cellulare e mi siedo davanti alla pian-ta per il tempo di una sigaretta... mu-sica in sottofondo... gli occhi leggono tutti i particolari e la mente comincia

a elaborare... quel ramo là… il tiran-te qui... mi servirà una leva... e poi si parte! Durante la modellatura sono completamente concentrato... quasi in trance! Mi piace quel “dare la for-ma”…creare quello che prima non esisteva! Amo particolarmente i gine-pri per la loro ampia modificabilità e versatilità. È un’essenza che dà molto spazio alla fantasia... è come dipin-gere su una tela bianca! E poi amo questa essenza an-che per i colori: quel gioco cromatico tra legno secco, vegetazione e vena viva che soprattutto i ginepri sono in grado di dare. Per loro, ma un po’ per tutte le piante, amo il carattere forte ma delicato... e questo lo si ottiene con un mix di estremo e di naturale. An-che la pianta più contorta e “estre-ma” deve anche essere naturale! Le due cose possono convivere più di quanto si possa pensare! Tra piante autoctone e im-portate, non c’e molta differenza per me. Mi interessa un bonsai per quel-lo che esprime e non per l’essenza in se!

Nel numero di novembre dello scorso anno hai avuto modo di descriverti un po’ (per i curiosi http://www.napolibonsaiclub.it/forum/to-pic.asp?TOPIC_ID=1533), di quelle righe mi ha maggiormente colpito la tua capacità di “seguire il sogno”, cosa che ti ha portato a curare la col-lezione dei Franchi. Secondo te, per fare bene bonsai è necessario essere un pò sognatori? Sognatori nella vita. Qualche anno fa ho deciso di abbandonare l’università a pochi esami dalla lau-rea. Quello che studiavo non mi pia-ceva più e ancora meno mi piaceva quello che sarei andato a fare. Decisi di mollare per dedicare tutto il tempo libero alla mia passione per i bonsai. Non mi sono mai pentito di quella scelta!

Un’altra tua frase mi ha colpito quasi allo stesso modo della precedente, e cioè che una qualsiasi scuola non deve servire “a portare a casa una pianta più bella di quando l’hai portata, ma a darti gli stru-menti per essere autonomi”. Dalla tua esperienza,sono di più gli allie-vi che aspirano ad avere una bella pianta, o più quelli che desiderano intraprendere una vera via del bon-sai? Se guardiamo i bonsaisti pre-senti all’interno di un club la maggior parte di essi fa parte della prima ca-tegoria. In una scuola invece, ed è giusto che sia così, la maggioranza è composta da persone che vogliono imparare a fare i bonsai. È un proces-so di semplice selezione!

Premesso che da tipo schivo quale tu sei non ti piace parlare dei tuoi successi, ma vincere il talento italiano, dimostrare al congresso UBI, diventare istruttore IBS, solo per ricordare qualcuna delle tue af-fermazioni, significa possedere qua-lità non indifferenti. Tu che tipo di bonsaista ti reputi? Credo che tecnicamente, una delle mie qualità sia la precisione: nel-

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la filatura e nella definizione. Duran-te ogni lavorazione, cerco di giunge-re alla migliore definizione possibile, pur mantenendomi diverse strade aperte! Ma se dovessi descrivermi ol-tre il punto di vista tecnico, credo di essere un bonsaista che sa aspettare, che non ha fretta di ottenere il risul-tato. Nel bonsai non esiste la fret-ta perché non serve averne. Con i bonsai ci riappropriamo di un concetto di tempo più natura-le, dove l’odioso ticchettio dei nostri orologi è sostituito dal passaggio del-le varie stagioni, dal sole e dalla luna. Lo scorrere del tempo non è più nostro nemico, come nella vita di oggi, ma diventa un alleato, utile e necessario, per la creazione dei no-stri preziosi piccoli alberi. E’ questo il messaggio della natura! E poco importa avere fretta... la prossima primavera arriverà solo

tra un anno.

Tornando alla tua attività didattica, trovi più stimolante lavo-rare con neofiti o con persone ad un grado più avanzato di preparazio-ne? Quando si tratta di trasmet-tere ciò che ami fare non fa molta dif-ferenza. Coi neofiti mi piace cercare di soddisfare le loro tante curiosità cercando di anticipare le domande…anche io da neofita ne avevo molte… e me le ricordo tutte!!! Man mano che si va avanti con il livello di preparazione dell’al-lievo, tutto diventa più interessante e appagante perché si vanno a trat-tare argomenti che amo in particolar modo e che riguardano soprattutto la modellatura e lo studio dei dettagli e della forma. Credo che la soddisfa-zione sia nell’insegnamento in sé, nel trasmettere emozioni e non solo det-tagli tecnici!

Forse sono ripetitivo, ma vorrei tor-nare sulla tua attuale occupazione al museo dei Franchi, che emozione e che responsabilità comporta un in-carico simile? Mi ricordo benissimo quando il museo fu aperto. Il mio babbo mi ci portava spesso e tutte le volte che tornavamo a casa eravamo colti da una profonda tristezza davanti alle nostre piante. Adesso non mi sembra vero di poter lavorare con quei vecchi ami-ci che più di una volta ho sognato di toccare. Il lavoro, se di lavoro si può parlare, è appagante soprattutto dal punto di vista emozionale. Aver a che fare con esemplari molto vecchi, al-cuni dei quali lavorati in passato da maestri importanti, è una cosa per me sensazionale! Quei bonsai sono tutte vecchie signore che meritano cura e rispetto. Mi piace pensarmi come un amico che si prende cura di

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>> L’opinione di...

loro. Certo, lavorare esemplari del genere comporta anche una grande responsabilità! Ma ho scoperto con estremo piacere che non ho timore nel fare quello che so’ fare!È difficile descrivere l’emozione che si prova quando apro la porta del mu-seo…mi sembra quasi che quei vec-chi bonsai sembrano essere tutti lì ad aspettarmi….come quando vai al bar e gli amici attendono solo te per co-minciare la partita a carte!!! Permettimi una domanda cattiva, in Italia c’è un elevato nu-mero di giovani molto interessanti, secondo te, c’è tra questi qualcuno che possa aspirare a diventare un “nome” affermato? Spero io.

Visto che siamo quasi alla fine di questa intervista alleggeria-mo un poco il tono della conversazio-ne. Ti chiedo, per fare un bel bonsai è obbligatorio partire da un materiale molto importante? La selezione del materiale di partenza è fondamentale. Avere a di-sposizione alberi con caratteristiche interessanti è una garanzia per un bel risultato. Ma questo non deve scorag-giare nessuno. 13 anni fa avevo in giardino una thuia... un tronco dritto e senza nessun pregio. Una pianta da poche migliaia di lire! Dopo 10 anni la stessa pianta è entrata nel catalogo UBI. Anche i brutti anatroccoli posso-no dare grandi soddisfazioni!

Un’ultima domanda prima dei saluti, la tua collezione da quan-te e quali piante è composta? La mia collezione è compo-sta da una cinquantina di piante a vari stadi di coltivazione. Tutti i bon-saisti hanno sempre troppe piante da accudire…e io non faccio eccezione. L’essenza che domina è il ginepro e il cipresso. È composta in gran parte da conifere, ma ci sono anche diverse latifoglie.

Adesso sto organizzando un angolo dedicato alle erbe di compa-gnia... una passione nascente! Ed ora per finire, augurando-ti un futuro pieno di successi e soddi-sfazioni, lo fai un saluto ai lettori del

magazine? Come no? Ringrazio te e tut-ti i lettori per l’attenzione. A tutti voi auguro un fantastico 2010. Buon bonsai a tutti!

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Lo stilesu

di Antonio Ricchiari

La parola giapponese “ishi-zuke” viene tradotta come pianta aggrappata ad una roccia; il Maestro Naka scri-

ve che “se la roccia funge anche da vaso, allora la denominazione è “ishi-uye”. Ognuno di questi stili ha un ben preciso scopo. Non si deve confonde-re il bonsai Ishizuke con il Bonkei, che è uno scenario ricreato su d’un lungo vaso, usando materiali artificiali per raffigurare montagne, fiumi, alberi, case, ponti etc.” Il significato di questa rap-presentazione è scenograficamente forte, come si usa dire in ambiente teatrale: “la pianta che cresce su una roccia, che con le sue radici se ne im-padronisce, è il dominio prepotente della natura, è la sopravvivenza che supera ogni ostacolo ed ogni difficol-tà. L’albero, con la sua forza prorom-pente, si impianta sulla roccia - essa stessa materia inerte - che pure sa-prebbe reagire disgregandosi, for-mando crepe dalle quali l’albero non potrebbe reagire. All’attento osser-vatore risulta sconvolgente questa intima fusione alla quale pervengono questi due elementi della natura in

cui sembra che l’albero svetti, sovra-stando la roccia, con un aspetto su-perbo, da dominatore. La base delle radici ed il nebari sono l’origine, il punto di emergenza dell’espressione della pianta. Questa esprime la vitali-tà, la stabilità, il mordente. E’ impor-tante soffermarsi su questa caratteri-stiche poiché questo tipo di impianto si focalizza proprio sull’estetica delle radici. Questo stile non è particolar-mente seguito; probabilmente per la difficoltà nella realizzazione, legata non certo a fattori tecnici ma artistici; probabilmente perché la massa dei bonsaisti si ritrova tutta presa dalla singola pianta e anche perché lo stile su roccia pretende molta percezione creativa e spiccato senso estetico per ricreare questo spaccato della natu-ra. Anche in questo caso la for-ma della pianta assume aspetti diver-si in rapporto alla roccia e alle condi-zioni ambientali nelle quali si pensa sia vissuta. Il diametro e l’inclinazione del tronco sono due caratteristiche indipendenti che sono influenzate dalla silhouette della roccia assieme

A scuola di estetica <<

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roccia

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all’organizzazione dei rami, alla loro distribuzione lungo il tronco e al loro orientamento. Una cascata o semicascata, se l’albero è cresciuto sulla parete di un dirupo, a picco su una gola o altro. Un eretto casuale su una pietra bas-sa, quindi su una collina, un literati cresciuto in condizioni difficili, nella fessura di un dirupo. Queste le rap-presentazioni classiche finora viste di un ishizuke. In queste composizioni il grado di difficoltà è dato dall’ac-costamento fra questi due elementi ­ accostamento che affinché riesca deve rispettare taluni canoni che, nel rispetto delle caratteristiche proprie di questi due elementi: albero roccia - dia una esatta rappresentazione e un esatto concetto della Natura.

Come creare un Bonsai aggrappato alla roccia Il primo obiettivo è quello di fare sviluppare e la giovane piantina e le radici; la pianta è rinvasata in un comune vaso con una adeguata mi-scela di terriccio e, per permettere un ulteriore sviluppo in lunghezza delle radici è stato allestito un contenito-re con assi di legno, molto profondo dove per oltre un anno il ficus è stato lasciato. Al momento opportuno dell’impianto dell’albero sulla roccia sarà scelto il fronte che dovrà accor-darsi con il fronte dell’albero e con il suo futuro andamento. Anche le di-mensioni del Bonsai si devono natu-ralmente accordare con le dimensioni della roccia così come l’inclinazione di quest’ultima deve armonizzarsi

con l’andamento del tronco.

Stile nella roccia In questo caso la pianta radi-ca dentro la roccia; la sensazione che questa composizione trasmette rie-voca sempre la montagna, un burro-ne, una parete rocciosa o un isolotto. Quindi, a differenza dello Stile sulla roccia, l’albero viene im-piantato nella cavità di una roccia. L’errore visivo più ricorrente è quello di scegliere alberi troppo grandi ri-spetto alla roccia: a causa di questa sproporzione il risultato è artificio-so, innaturale. Al contrario, giovani piantine non si adattano all’impian-to su roccia poiché non avranno mai l’aspetto di soggetti vetusti. L’ideale sarebbe l’utilizzo di mame o shoin che, per qualche motivo non sono idonei all’impianto singolo e che in questo modo trovano un altro impie-go. Alcune caratteristiche della pianta sono: - non deve possedere una fitta ramifi-cazione;- la vegetazione non deve essere ab-bondante;- gli stili da impostare sono quello incli-nato, semicascata e cascata;- il soggetto deve possedere un appa-rato radicale fibroso, compatto e vi-stoso;- scegliere una varietà tenendo conto delle condizioni particolari in cui vivrà, preferendo quelle particolarmente re-sistenti e che non hanno bisogno di ec-cessiva umidità;- scegliere con attenzione, per quel che riguarda la pietra, la forma, il colore e

la granulosità: una pietra inadatta annullerà la bellezza della pianta. Alcuni disegni che completa-no l’argomento puntualizzano il prin-cipio su cui si basa la silhouette della pianta nella roccia: quello della forma triangolare. Questa forma ha, in questo caso, un forte valore simbolico. La forma triangolare permette di espri-mere la stabilità: un triangolo equila-tero o isoscele simbolizza un albero perfettamente equilibrato, i due lati sono uguali. L’addolcimento dell’an-golo dell’apice suggerisce l’arresto dello sviluppo. La disposizione di più trian-goli permette di creare una silhouet-te complessa. La ramificazione di un ramo si iscrive più o meno dentro n triangolo. Due triangoli contigui pos-sono confondersi allorchè i rami sono alla stessa altezza. Potete rendere più interes-sante il vostro bonsai con l’introdu-zione di uno o più elementi rocciosi, un blocco singolo può rappresentare una rupe, una maestosa montagna o uno scoglio isolato. Un gruppo di piccole rocce posizionate sul terriccio del bonsai, come se affiorassero dal terreno, possono ricreare l’ambiente nel quale la pianta vive in natura. Si può utilizzare una roccia piatta o una lastra di pietra per conferire un aspet-to più naturale alla composizione.

La scelta della roccia Il primo passo da compiere per la realizzazione del progetto è quello di reperire una roccia interes-sante; in un secondo momento si pro-

>> A scuola di estetica...

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cederà alla selezione di piante adatte che ne mettano in risalto la bellezza e che si armonizzino al progetto d’in-sieme. Esistono una serie di rocce, ma ve ne sono di più o meno idonee per l’impiego nel bonsai. L’ideale sa-rebbe selezionare una qualità che non si crepi. Deve inoltre presentare colorazione, forma e tessitura esteti-camente gradevoli. Nel mondo bon-saistico è molto nota la roccia giap-ponese Ibigawa: è un conglomerato vulcanico, un composto di diverse qualità di roccia saldate insieme dal calore del vulcano. Il marmo e i quarzi sono da evitare per lo splendore luccicante della loro tessitura che distrarrebbe l’occhio dell’osservatore dalla pianta. Rocce sedimentarie come l’arenaria non sono adatte per un inconvenien-te pratico: il gelo potrebbe causare delle crepe lungo le linee di stratifi-cazione. Nemmeno le rocce tenere sono idonee a questi stili perché sono soggette a rapida erosione. Tuttavia rocce tenere non sedimentarie come pietra lavica e tufo possono essere scolpite per ricavarvi una cavità dove sistemare la pianta.

Materiali per stili nellaroccia La roccia è la parte più impor-tante del progetto, poiché in base ad essa verranno scelti tipi e dimensioni di piante che si intendono utilizzare. Una roccia liscia e arrotondata sug-gerisce la presenza di acqua e può es-sere abbinata a piante che crescono vicino a fiumi o a laghi, come i salici. Se si sceglie una roccia simile a una rupe, dovrete abbinarla a specie che vi aspettereste di trovare in una zona montuosa. E’ indispensabile prestare particolare attenzione alla forma e al tipo di roccia. Dovrà avere un aspet-to interessante: è impossibile riuscire a creare un bonsai accattivante con una roccia dall’aspetto anonimo o insignificante. In particolare, occorre scegliere una roccia con un aspetto naturale; d’altra parte la natura ci of-fre una gamma così ampia di rocce dalle forme più fantasiose e i suiseki-sti ne sanno qualcosa!

Progettazione di un al-bero nella roccia Esaminare ogni lato della roccia per scegliere quello migliore che costituirà il `fronte del proget-to’. Poi occorre stabilire la scala in cui il progetto dovrà essere realizza-to, se la roccia dovrà rappresentare una montagna, una rupe o altro. Da questo dipende la scelta del materia-le vegetale adatto: un gruppo di pic-coli alberi farebbe apparire la roccia enorme, vista da grande distanza, mentre un singolo albero di due terzi circa della roccia la farà apparire rela-tivamente piccola. Per gli impianti nella roccia è necessario impiegare dei fili di anco-raggio per fissare le piante alla roccia. Tagliare un pezzetto di filo metallico e appoggiare al centro un bastoncino oppure un qualunque oggetto ap-puntito del diametro di circa 6 mm. Rigirare il filo intorno al bastoncino una sola volta per formare un anel-lo con due lunghi prolungamenti. Sfilare il bastoncino, tenere fermo l’anello con una pinza e ripiegare le due lunghe estremità verso l’alto. Incollare l’anello alla superficie della roccia lasciando libere le estremità. Realizzare diversi fili di ancoraggio in questo modo per creare una rete suf-ficiente ad assicurare le radici di tutte le piante. Le lunghe estremità ai lati dell’anello assicurano le radici.

Scelta del materiale- Utilizzare un forte adesivo imper-meabile, come l’epossido di resina per fissare gli anelli di filo metallico nei punti della roccia dove sistemare le piante. Incollare un numero suffi-ciente a creare un reticolo che rico-pra tutte le radici.- Premere uno stato di poltiglia di tor-ba (una parte di torba ed una parte di argilla impastate con acqua per for-mare un composto appiccicoso) nel punto dove si è deciso di alloggiare la pianta. Posizionare la pianta e allar-gare le radici sulla poltiglia. Ricoprire le radici con altro composto di torba. ­ Incrociare i fili di ancoraggio sopra le radici. Per fissarli utilizzare le pin-ze per filo, attorcigliando i fili senza

danneggiare naturalmente le radici, quindi sistemare la pianta nel sito prescelto.- Pressare altro composto di torba sulle radici della pianta in modo da coprirle completamente. Mantenere il composto umido, utilizzando uno spruzzatore, fino all’applicazione del muschio. Il muschio deve essere te-nuto a bagno per diverse ore prima di essere applicato.- Tappezzare il composto di torba con il muschio imbevuto di acqua e siste-mare la roccia in un vassoio aggiun-gendo ghiaietto fine. I bonsai progettati in stile su roccia ricreano sempre quello che av-viene in natura negli ambienti roccio-si o montuosi dove gli alberi cresco-no da semi caduti negli anfratti della roccia. Alla ricerca di nutrimento e umidità, le radici di queste piccole piante si aprono a ventaglio affioran-do sopra la superficie. Nel bonsai vengono spesso impiegate specie che producono un resistente apparato radicale di super-ficie, come gli olmi cinesi o gli aceri tridente. Ma esistono anche numero-se specie adatte a questo scopo, spe-cialmente per bonsai mame o shoin, dove non è indispensabile la forma-zione di radici.

Come assicurare le ra-dici alla roccia- Utilizzare un uncino metallico per pettinare le radici. Accostare diversi pezzi di roccia all’apparato radicale per scegliere quello di forma più ido-nea.

- Distribuire le radici sulla roccia. Mentre sono tenute in posizione, oc-correrà assicurare le radici prima in cima, poi al centro e infine alla base.

- Le radici dovranno essere stretta-mente bendate contro la roccia e ri-coperte per evitare crescite orizzon-tali. Lasciare libere le radici oltre la base della roccia.

- Con tronchesine per rami a ta-glio concavo, potare drastica-

79Lo stile su roccia- Antonio Ricchiari -

Page 80: Bonsai & Suiseki magazine - Gennaio 2010

mente l’albero, lasciando non più di una o due gemme per branca.

- È indispensabile conservare l’umidità per la crescita del-le nuove gemme. Sigillare i tagli con cicatrizzante o pasta appositi per prevenire la disidratazione.

­ Coprire interamente le radici e la roccia con sabbia fine, fino alla base del tronco. Non sono necessari altri accor-gimenti.

­ Innaffiate quotidianamente la pianta, ma riducete le in-naffiature in inverno. Concimate ogni 2 settimane in esta-te. Potare i nuovi getti a 1-2 gemme dal tronco. Trascorso un anno dall’invaso seguire i seguenti passaggi.

­ A fine inverno oppure a inizio primavera, cimare appros-simativamente i rami ed estrarre la pianta dalla sabbia. Lavare via tutta la sabbia con un getto d’acqua.

- Tagliare il nastro di plastica con piccole forbici, facendo attenzione a non recidere le radici. Tagliare e svolgere il nastro fino a liberare completamente roccia e radici. La radice principale ora segue il profilo della roccia

- Le radici dovrebbero presentarsi irrobustite saldamente aggrappate alla roccia.

- Quando le radici si saranno sviluppate in modo soddisfa-cente, sarà il momento di scegliere il fronte del bonsai e trapiantate l’albero in un vaso bonsai.

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>> A scuola di estetica

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Il carpinodi Antonio Acampora

Famiglia: BetulaceaeGenere: CarpinusSpecie: C. betulus C. turczaninowii C.laxiflora

II parte

Carpinus turczaninowii, 68 cmfoto tratta dal catalogo Kokufu n°76

- ProPagazione Per margotta - Margottare i rami o i tronchi non molto grossi nel mese di maggio. Per la descrizione tecnica attenersi a quanto descritto nella prima parte.

- esPosizione - E’ una pianta che ama il sole tutto il tempo dell’an-no ma nei mesi caldi apprezza anche la mezz’ombra. La pianta adulta sopporta sia il gran caldo sia il gran fred-do, mentre la piantina giovane teme entrambi, quindi va protetta. Sebbene molti consiglino di collocarlo in pieno sole, la mia esperienza mi suggerisce che l’unico modo

per evitare la bruciatura delle foglie è di sistemarlo in estate, in piena ombra, ma con luce abbondante poiché la prima germogliazione avviene in aprile-maggio. Forse la ragione è che le foglie possano sopportare il sole, ma sono le radici che non resistono a temperature elevate. Per lo stesso motivo, queste specie sono molto propense alla congelazione, quindi in zone fredde si dovrà proteg-gerle, durante l’inverno, all’interno oppure interrando il vaso nel terreno.

- annaffiatura - Somministrate frequenti annaffiature e nebuliz-zazioni al fogliame durante tutto l’arco vegetativo. In in-

81Il carpino - II parte- Antonio Acampora -

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verno sarà sufficiente che innaffiate una volta la settima-na. Le annaffiature debbono essere abbondanti in estate ma in primavera, autunno ed inverno innaffiare poco per-ché le radici possono marcire. E’ opportuno quindi utiliz-zare durante i rinvasi terricci porosi e drenanti. L’acqua non deve ristagnare nel contenitore. Il Carpino non è una pianta esigente per quanto concerne l’irrigazione e le norme generali sono perfettamente ap-plicabili.

- Potatura e Pinzatura - Il Carpino ha la tendenza a perdere qualche ra-metto durante l’inverno quindi la potatura invernale do-vrà effettuarsi all’inizio della primavera. Questa caratteri-stica non è preoccupante in un bosco, ma solo nel caso si abbia un solo esemplare. Un modo per evitare o almeno diminuire questa tendenza è di mantenere la silhouette dei rami molto definita, facendo in modo che l’aria e la luce arrivino a tutte le parti dell’albero. Naturalmente sarà anche d’aiuto la concimazione con un alto contenu-to di fosforo e potassio, per favorire la lignificazione dei germogli. Il Carpino risponde perfettamente a potature drastiche e possiamo persino utilizzare la base di un al-bero che cresce liberamente per creare il nostro bonsai; quantunque non lasciamo nessun ramo si avrà una per-fetta germogliazione su tutti i lati. Per quanto concerne la pinzatura le foglie nasco-no alterne sui rami, perciò terremo in considerazione la direzione futura del nuovo germoglio. La pinzatura può essere leggera (solo per le nuove foglie in formazione, con le dita) oppure forte (lasciare solo due o tre foglie ta-gliando il resto del ramo con cesoie). Comunque, se teniamo in considerazione la tendenza dei rami a seccare durante l’inverno, è prefe-ribile lasciar crescere i rametti e pinzare in estate. Così il diametro del ramo aumenta e vi sarà meno possibilità d’essiccazione di questo. Un’altra forma di potatura, nei rami con crescita più moderata, è l’eliminazione dell’ulti-mo germoglio poiché perde le foglie in autunno. Questo germoglio è molto grande se confrontato con il resto e, tagliandolo, in primavera il ramo si ripartirà in modo no-tevole.

- aPPlicazione del filo - IData la rapidità con cui in quest’essenza cresco-no i giovani rami, la sua corteccia tenera può facilmente essere danneggiata dal filo: per evitarlo, se non si ha l’op-portunità di controllare di frequente la situazione, giova rivestire il filo avvolgendolo con una strisciolina di carta crespata. Il legno maturo si presta invece assai poco a torsioni e piegature a causa della sua rigidità, ma anche per la facilità con cui le parti vecchie (anche quelle sottili), se deformate, sono “abbandonate” e seccano. Probabil-mente sono la compressione e il danno provocati ai vasi

linfatici durante le manipolazioni a rendere poco efficien-ti quei distretti, tanto che la pianta può lasciarli morire, per cacciare poi invece disordinatamente dei nuovi getti. Un tale tipo di reazione deve essere tenuto pre-sente al momento di programmare modifiche alla strut-tura preesistente e di applicare il filo a dei tratti di rami vecchi di qualche anno. Una cautela a tal proposito è di rispettare il momento più adatto per simili operazioni “educative”, cioè durante il riposo vegetativo di metà estate. Pesanti interventi eseguiti nel tardo autunno o subito al risveglio primaverile sono spesso destinati a dare risultati negativi. Accade infatti che dopo aver ben lavorato a mettere il filo e piegare, si scopra che i rami coinvolti sono inesorabilmente persi.

- rinvaso e substrati - Il rinvaso va fatto, di preferenza, in primavera pri-ma del risveglio vegetativo; ogni due anni per le giovani piante, ogni tre-quattro per i vecchi esemplari. Il taglio delle radici va eseguito al momento del rinvaso tagliando dal 30 al 50% di quelle che invadono le pareti del vaso. Il colore del contenitore può essere beige, verde o blu op-pure marrone. Il terriccio adatto alla coltivazione di que-sti bonsai è come al solito drenante e poroso. La quantità di sabbia non dovrebbe però superare un quinto del volu-me. E’ bene che il contenuto in humus o perlomeno di sostanza organica sia elevato, proprio per favorire lo sviluppo di flora e fauna microbica. L’azione protettiva, quasi antibiotica, di questa popolazione “buona” è assai importante per le radici, che altrimenti possono facilmen-te essere aggredite da funghi patogeni. Come di consue-to, qualsiasi operazione di trapianto o rinvaso deve es-sere compiuta usando il terriccio asciutto, in modo che si possa far penetrare in ogni interstizio tra le radici. Per quanto concerne il Ph del substrato, queste piante sono ragionevolmente tolleranti. L’Ostrya ha forse una legge-ra preferenza per i terreni calcarei, come dimostra la sua distribuzione in natura. D’altra parte tutte le essenze con una diffusa micorriza accettano abbastanza anche i ter-reni calcarei, poiché ci pensano i funghi simbionti a “cor-reggere” la situazione con il loro metabolismo. Ecco per-ché ai trapianti e rinvasi conviene sempre aggiungere un poco del vecchio substrato al terriccio nuovo, e mettere nell’acqua della prima innaffiata un poco di vitamina B. Il carpino è esigente in quanto a rinvaso: tardan-do troppo ad eseguirlo le radici stipate, sia contro il fon-do sia le pareti del contenitore, restano senza micorriza e pertanto debilitate ed incapaci di svolgere regolarmente la loro funzione. A proposito di radici, queste piante che sono in grado di vivere in natura in siti sassosi, da vecchie, vengono trovate spesso con poche robuste radici che scendono in profondità (a garantire un sufficiente rifor-nimento idrico), ma dove il substrato lo consenta, sono dotate anche di un fitto apparato superficiale.

>> L’essenza del mese

82Il carpino - II parte- Antonio Acampora -

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- concimazione - Poiché è poco probabile far fiorire un carpino in coltivazione come bonsai, la somministrazione di ferti-lizzanti riguarda essenzialmente lo sviluppo della nuova vegetazione e la sua successiva maturazione. La regola sempre valida è che conviene concimare i giovani sog-getti appena iniziano a vegetare affinché il loro sviluppo sia energico e duri a lungo, mentre è meglio tardare inve-ce a fertilizzare i bonsai maturi per evitargli una crescita troppo abbondante. Quindi in maggio inizieremo la con-cimazione, subito dopo l’esecuzione della prima pinzatu-ra. Tenuto conto di ciò, si può somministrare azoto fino a che si vedono germogli giovani all’estremità dei rami, poi interrompere e passare a concimi ricchi di fosforo per favorire la maturazione dei nuovo legno. Dopo il riposo estivo si ripete un’analoga successione di trattamenti. In queste piante, le fisiopatie da carenza non sono frequen-ti, ma nel caso se ne sospetti l’eventualità basta sommini-strare prudenzialmente i soliti prodotti contenenti micro-elementi. Il magnesio manca forse più spesso del ferro. Non concimare se la pianta è stata rinvasata (aspettare 2 mesi dal rinvaso) o è debilitata.

- malattie - In questi bonsai non è frequente l’aggressione da afidi, ma piuttosto da cocciniglia (farinosa ed a scudetto), insetti masticatori o bruchetti che ne ricamano le foglie, e camole che ne rodono il legno: le applicazioni d’insetticidi vanno fatte non appena si scopre la presenza di qualche ospite indesiderato. Per quanto riguarda le infezioni crittogamiche il carpino è vulnerabile quasi come l’olmo alle tracheomico-si, e molte delle “morti improvvise” di qualche ramo sono causate da questo fungo parassita, che infatti s’insedia e si moltiplica nei vasi linfatici, lasciandovi delle tracce scure, che si distinguono facilmente tagliando trasversal-mente i rami malati. Questo consente una diagnosi sicu-ra, anche se spesso tardiva. Il trattamento curativo può essere abbastanza efficace, almeno sulle parti della pianta non ancora mala-te, per bloccare l’infezione si richiede l’uso di fitofarmaco sistemico specifici.

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Premio Kokufu - Carpinus turczaninowii, 70 cmfoto tratta dal catalogo Kokufu n°76

83Il carpino - II parte- Antonio Acampora -

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L’olmo I parte

di Elisabetta Ruo

È una pianta alta circa 20 metri, dal fusto dritto e robusto, con foglie picciolate e ovate di colore verde, i fiori sono ermafroditi e di colore bian-co tendente al rosso. L’olmo è longevo e dif-

fuso grazie all’eccellente resistenza ai fattori climatici. Apprezzato come pianta ornamentale e per al-berature stradali è d’interesse paesaggistico, inoltre sopporta bene la potatura e l’inquinamento. Ha un buon legno con grandi caratteristiche sia di durezza, sia di resistenza all’acqua, e con una grande facilità di lavorazione, per questo viene impiegato nella costruzione di mobili, pavimenti, porte, organi sottoposti ad attrito e nella produzione di compensato. L’olmo pos-siede capacità farmacologiche. Ne esistono svariate varietà, quelle principali sono:- Ulmus carpinifolia: albero ornamentale che supera i dieci metri di altezza, diffuso in Europa, in Africa settentriona­

le e in Asia occidentale. Foglie oblunghe, dentate, verde scuro, che diventano gialle in autunno.- U. Sarniensis: diffuso in Europa occidentale, supera i die-ci metri di altezza. Foglie obovali, glabre e lucide, verde scuro. La varietà Aurea ha foglie giovani color giallo, che diventano verde chiaro in estate.- U. Glabra: varietà che raggiunge anche i venti metri di altezza, molto diffusa in Europa; ha chioma ovale, e fo-glie obovate e dentate ai margini. La varietà Camperdow-nii ha chioma tondeggiante, la Exoniensis invece ha chio-ma colonnare.- U. Fulva: sostituisce benissimo ed ha le stesse proprie-tà dell’Olmo Rosso Americano che in Italia è difficile da reperire.- U. Parviflora: varietà cinese da sempre coltivato come bonsai.- U. Procera, sin. U. campestris: varietà di olmo molto dif-fusa in Europa, raggiunge i 10-20 m di altezza. Foglie obo-

Ulmus procera, cm. 36Coll. Stefano Frisoni

>> L’essenza del mese

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vate verde scuro, che diventano gialle in autunno. Questa pianta è utilizzata come bonsai per le dimensioni dei rami e delle foglie.

- Potature - Generalmente si pota in autunno, alla fine della stagione vegetativa. A cominciare dalla primavera, fino all’inizio dell’autunno, si procede alla cimatura dei ger-mogli, lasciandoli crescere di parecchi centimetri prima di tagliarli lasciando 2-3 paia di foglie. Solitamente non si applica il filo metallico, salvo casi in cui sia strettamente necessario, ma si tende a formare la chioma con opportu-ne potature.

- foglie - Distiche (cioè tutte disposte all’incirca sullo stesso piano che contiene, a sua volta, l’asse ideale del ramo che le porta), alterne; lamina di dimensioni max 4 x 10 cm, da ellittica a obovata, a subrotonda, con apice acuminato, margine seghettato, anche con 2 o 3 ordini di denti; base asimmetrica e con un lobo nettamente più lungo dell’altro, ma più corto del picciolo; picciolo breve, lungo non più di 5 mm; nervature molto eviden-ti (fino a 13­15 paia); presenza di stipole presto decidue. Pagina superiore glabra, inizialmente lucida, quindi opa-ca; pagina inferiore chiara, opaca con ciuffi villosi sulle nervature, soprattutto dove queste si intersecano.

- fiori - I fiori si aprono in febbraio prima della comparsa delle foglie; sono rosso scuri e riuniti in mazzetti di 20/30 molto densi; ciascuno è formato da un involucro campa-nulato, diviso alla fauce in 4/8 lobi, che contiene gli stami e l’ovario; l’impollinazione è anemofila, avviene cioè ad opera del vento.

- frutti - Samare che si restringono a cuneo alla base men-tre sono incisi profondamente all’apice; sono di colore giallastro con venature porporine.

- corteccia - La corteccia si ottiene, da rami di 1 o 2 anni, in ottobre e novembre o in marzo; s’incide con un coltello e si stacca in strisce che si dividono in pezzi lunghi una decina di centimetri. Per conservarla la si essicca al sole e si conserva quindi ben secca, in sacchetti di carta o tela.- Principi attivi e costituenti chimici: amido, calcio, mucil-lagine, ossalato di calcio, polisaccaride, tannini, fitostero-li, ricco di vitamine e minerali, resine, sostanze amare,

potassio, carboidrati, proteine. La corteccia interna dell’olmo è ricca di calcio, magnesio e vitamine A, B, C, K. Nutre e lenisce organi, tessuti e mucose e in particolare è di grande beneficio per i polmoni. Aiuta a neutralizzare l’acidità di stomaco e a lenire l’asma.

- ProPrietà teraPeutiche - La corteccia di olmo era usata dai pellerossa per cicatrizzare le ferite, curare le ustioni, le malattie della pelle, le mucose infiammate dell’apparato respiratorio (laringiti, tracheiti, tonsilliti ecc.) e gastrointestinali (ga-striti, ulcera gastrica e duodenale, enteriti, coliti ecc.). La sua sostanza collosa scioglie il muco presente nei tessuti degli organi, stomaco, intestino, polmoni, nelle ghiando-le linfatiche e nei canali nervosi, lubrifica le ossa e le ar-ticolazioni. Favorisce l’eliminazione dei rifiuti tossici pre-senti nell’organismo essendo un grande purificatore. Aiuta ad eliminare il dolore delle ulcere e cura le ulcere stesse. Possiede proprietà antibiotiche e antibatteriche ed è ricco di vitamine e minerali. La mucillaggine della corteccia favorisce la de-congestione delle articolazioni rendendola un ottimo ri-medio per le artrosi. La sua azione lubrificante protegge e ammorbidisce le membrane di tutto il corpo, special-mente le più danneggiate e infiammate. Aiuta la minzio-ne, utile nei disturbi delle vie urinarie, come le cistiti cro-niche, diminuisce i gonfiori e agisce come lassativo. La medicina cinese lo cataloga come ottimo ri-medio per le ulcere, la diarrea e il meridiano del colon. Per l’Ayurveda è nutritivo, emulsionante ed espettorante. Indicato per debolezza, emorragie polmo-nari ed ulcere. Ottimo tonico polmonare, per le per-sone sofferenti di malattie polmonari croniche Le foglie sono un’importante astringente. Veniva po-polarmente usato per la caduta dei capelli. Il decotto di corteccia di radice è utile nelle contrazioni e convulsioni nervose. Oggi viene usato per la cura delle malattie della pelle: eczema, impetigine, dermatosi, foruncoli e pruriti. Può anche coadiuvarne il trattamento esterno con una cura interna a base di decotti; questi ultimi vanno presi in forma molto diluita perché possono risultare scarsamen-te tollerati dall’intestino. Una vecchia ricetta suggerisce di fare un unguen-to con grasso di maiale e corteccia di olmo. La corteccia è anche utile, per il suo contenuto di tannini e mucillagini, per lenire mediante applicazioni locali del decotto, le infiammazioni e i pruriti delle emor-roidi e delle mucose esterne (bocca, gola, zone intime).

- uso interno - La corteccia come coadiuvante diuretico e de-purativo. Decotto: 1 gr. in 100 ml d’acqua, 2/3 tazzine al giorno.

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- uso esterno - Per pruriti e infiamma-zioni della pelle e delle mucose. Decotto: 5 gr. in 100 ml di ac-qua, fare sciacqui, gargarismi, lavaggi, applicare compresse imbevute di decotto sulle parti interessate. Per herpes, ecze-ma, emorroidi infiammate.Unguento: 10 gr. in 100 gr. di grasso di maiale. Scaldare a bagnomaria per un ora, quindi eliminare la corteccia, filtran-do a caldo per un passino fine. Spalmare l’unguento sulle parti interessate.

Non sono state riscontrate con-troindicazioni tranne che in gra-vidanza, e si raccomanda caute-la in allattamento.

- fiori di bach - ELM, in italiano Olmo è in realtà l’Ulmus Procera è classificato nei rimedi per coloro che provano dispera-zione o scoraggiamento. Tipico della persona che si sente sopraffatto dalle responsabilità e perde la fiducia in se

stesso, soprattutto nei momenti di carico eccessivo. Sono generalmente persone capaci e competenti che improvvisamente non si sentono più in grado di porta-re avanti i loro compiti. Provano sfiducia, depressione e stanchezza.

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>> L’essenza del mese

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Rientrante nelle pratiche di concimazione, la concimazione fogliare rappresenta uno tra i più moderni metodi di alimentazione vegetale ad oggi disponibile. E’ utilizzata per l’otteni-

mento di esemplari sempre più in salute ed in grado di fronteggiare situazioni impegnative sia climatiche che di impostazione ed è espletata secondo regole che seguo-no la fisiologia e la morfologia fogliare. Per la tipologia e formulazione dei prodotti specifici, ma soprattutto per gli scopi, l’unico organo coinvolto è la foglia.

Che cos’è la concimazione fogliare E’ un metodo di alimentazione considerato a “Pronto Effetto”per gli effetti e per i risultati che si otten-gono. E’ altresì considerata a breve termine per la durata che i nutrienti hanno sulla fisiologia vegetale. Essendo una pratica di alimentazione, non deve essere confusa con l’utilizzo di Biostimolanti; prodotti che hanno effetti totalmente differenti sui vegetali, in quanto stimolatori delle attività ormonali a livello cellulare. Pratica da con-siderarsi estremamente valida per il mantenimento di esemplari formati in riferimento particolare alle sommi-nistazioni di PK.

I CONCIMIFOGLIARI

di Luca Bragazzi

I concimi fogliari I prodotti utilizzati in questo tipo di pratica sono dedicati e non utilizzabili in diversa modalità (radicale). I formulati, in larga misura di sintesi, sono di tipo liqui-do per la presenza di agenti chelanti specifici (LSA). Tali sostanze hanno il compito di veicolare con maggior sicu-rezza il/i principio/i attivi contenuti, attraverso le foglie. Tale passaggio è fondamentale per non veder sprecato e inutilizzato il prodotto. Nonostante la vastissima gam-ma di prodotti in commercio, per i diversi usi nelle diverse stagioni dell’anno, per quello che interessa le coltivazioni bonsai, è consigliabile l’utilizzo di formulati PK per la faci-lità e velocità di assorbimento e di utilizzo da parte della pianta.

Perché è consigliabile solo l’utilizzo nelle fasi di con-cimazione autunnale e solo su esemplari in manteni-mento? Il bio-ritmo degli esemplari bonsai, si riduce man-mano che essi migliorano la propria struttura e anno dopo anno vengono coltivati in contenitori piccoli per la mole di vegetazione e ramificazione che insiste su di un appa-rato radicale esiguo. Il duro lavoro che le radici devono

>> Note di coltivazione

88I concimi fogliari- Luca Bragazzi -

L’unico organo capace di veicolare i prodotti dedicati è la foglia. Esattamen-te dall’epidermide inferiore, attraverso gli stomi e con condizioni elevate di Ur.

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compiere per alimentare tutto il sistema fogliare, a volte risulta insufficiente proprio per lo spazio che esse hanno a disposizione e siccome il P e K, hanno come funzione quella di irrobustire le strutture (radicali e rameali), essi vengono somministrati tramite appunto concimazione fogliare perché questa è considerata la via d’ingresso più veloce ed efficace. Attraverso le foglie, quindi, il prodotto viene veicolato all’interno del sistema floematico e distribuito anche alle radici che, irrobustendosi, possono idratare al meglio i tessuti, tramite la suzione dell’acqua presente nel substrato. La caratteristica degli esemplari finemente ramificati è di essere particolarmente sensibili alle basse t°, l’utilizzo di fogliari PK, aiuta anche le fasi di lignifica-zione.

Conclusioni La concimazione fogliare è un valido aiuto nelle fasi di irrobustimento strutturale. Non deve essere consi-derata esaustiva, ma bensì deve essere programmata in parallelo con la principale fase di concimazione, ovvero quella organica radicale. Data la natura sintetica di tali prodotti, valgono sempre le regole di utilizzo relative ai concimi inorganici. E’ possibile anche utilizzarla con tito-lazioni N in primavera, ma solo su esemplari giovani e in fase di formazione. © RIPRODUZIONE RISERVATA

89I concimi fogliari- Luca Bragazzi -

Le foto 1, 2 e 3 ritraggono esemplari molto vecchi, ma soprattutto molto ramificati che rientrano a pieno titolo tra gli esemplari con un minimo di 8-10 anni di coltiva-zione in vaso, e come tali devono essere trattati con concimi fogliari. Le strutture molto ramificate, necessitano di un aiuto nutrizionale per svolgere le proprie fun-zioni. L’esemplare in foto 4, ha raggiunto un bio-ritmo molto equilibrato, ovvero l’equi-librio tra apparato radicale esiguo e apparato rameale abbondante è in perfetta armonia. Questo è permesso anche dall’aiuto dato dalla somministrazione di con-cimi fogliari.

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I rami di sac r i f i c io

di Luca Bragazzi

Rientrante nelle tecniche di costruzione della ramificazione, esistono particolari ac-corgimenti che sfruttano la vigoria degli alberi tramite lo sviluppo incontrollato di alcune branche appositamente selezionate per ottenere svariati risultati. La tecnica qui di seguito descritta rappresenta, già da molti secoli, il metodo maggiormente utilizzato dai coltivatori giapponesi per ottenere in tempi brevi una ramificazione perfetta utilizzando i “RAMI DI SACRIFICIO”.

- cosa sono i rami di sacrificio - I rami di sacrificio rappre-sentano una ramificazione definita “momentanea”, capace, tramite la sua crescita senza controllo, di ot-timizzare la conduzione di nutrienti laddove normalmente se ne avrebbe in quantità scarsa. Tra i ruoli attribuiti ai rami di sacrifico troviamo:

­ irrobustimento della ramificazione a cui fanno capo;­ aumento del diametro della ramifi-cazione antecedente;- accumulo abbondante di energia nella ramificazione antecedente;- maggior possibilità di attivare gem-me latenti con aumento della densità rameale secondo il principio: “più la-scio crescere e più taglio corto, più aumentano le possibilità di attivare gemme latenti interne”.

>> Tecniche bonsai

90I rami di sacrificio- Luca Bragazzi -

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CASISTICA BONSAI AD ALTO UTILIZZO DI RAMI DI SACRIFICIO

- Esempi su olivi ed olivastri -

1, 2. Esemplare in coltivazione dal 2004. Al sesto anno di formazione con l’utilizzo di rami di sacrificio.

3. Partenza del ramo di sacrificio.

4. Diametro conseguente ridotto/dia-metro a monte più robusto.

5. Potatura per arrestarne la crescita in seguito all’ottenimento del diametro desiderato.

6. Durante la seconda modellatura an-nuale.

7. Risultato finale.

8. Esemplare in formazione dal 2003 al settimo anno di ramificazione.

9. Ramo di sacrificio principale.

10, 11, 12. Esemplare in coltivazione dal 2005, al quinto anno di ramifica-zione.

13, 14. Palco ottenuto con ramo di sa-crificio sulla struttura primaria.

15. Risultato finale dopo cinque anni.

- Esempi su fagus -

16, 17. Rami di sacrificio su Fagus Syl-vatica con relative gemme, con lo sco-po di irrobustire e ramificare la già esi-stente e scarsa ramificazione.

18, 19. Notare la dimensione delle gemme, gli internodi lunghi ed il por-tamento svettante, tipico delle strutture giovani e vigorose.

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Programma di costruzione

- Febbraio. Prima Modellatura ed eliminazione dei rami di sacrificio dell’anno precedente.

- Metà-fine Marzo. Individuazione delle zone da cui i rami di sacrificio andranno a sviluppar-si.

- Inizio Aprile. Inizio concimazione organica ad alto titolo di N in modalità intensiva per stimolare l’allungamento incontrollato delle branche interessate.

- Fine Aprile-inizi di Maggio. Utilizzo di biosti-molanti aerei sui rami di sacrificio per un ciclo. -

- Metà-fine Maggio. Seconda Modellatura ed eliminazione dei rami di sacrificio con indivi-duazione delle zone da cui si svilupperanno i successivi rami di sacrificio.

- Inizio Giugno. Ripresa vegetativa.

-Metà Settembre. Ripresa vegetativa. Inizio concimazione organica ad alto titolo di PK in modalità intensiva per stimolare l’irrobusti-mento e lignificazione delle branche interes-sate.

Conclusioni

I rami di sacrificio aiutano a “costru-ire” un albero bonsai in tempi relati-vamente brevi, conservando la salu-te e il vigore tipico della specie. Data la loro condizione di momentaneità, alla fine del loro lavoro vengono eli-minati, ottenendo un risultato che si otterrebbe normalmente nel doppio o triplo del tempo.

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>> Tecniche bonsai

94I rami di sacrificio- Luca Bragazzi -

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il tassodi Carlo Oddone

95Il tasso- Carlo Oddone -

Il tasso è una essenza a crescita abbastanza rapida, che in pochi anni può ingrossare ed infittirsi. Oltre a partire con del materiale giovane e coltivarlo fin dalla prima impostazione, è possibile fare bonsai anche lavorando dei soggetti più maturi presi in vivaio o recuperati in qualche giardino. Il tasso d’altronde non è facile da trovare come pianta spontanea dalle nostre parti.Si può approfittare del fatto che un soggetto di questa essenza produce nuovi germogli anche dal legno vecchio, e ridurlo dra-sticamente per poi costruirgli una nuova struttura adeguata alle piccole dimensioni. Beninteso che come per qualsiasi conifera ad ogni ramo deve essere lasciato un poco di fogliame all’estremità, altrimenti muore.

L’angolo di Oddone <<

Taxus cuspidata, 87 cmfoto tratta dal catalogo Kokufu n°77

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sPecie e varietà sPerimentate:loro caratteristiche Sono essenzialmente due i tipi di tasso che si pos-sono reperire ed utilizzare: Taxus baccata e T. cuspidata, di cui i vivai offrono poi varietà ed ibridi dalle caratteri-stiche più diverse. Poiché i nomi commerciali sono poco affidabili, dopo aver escluso le forme a fogliame dorato o argenteo, non resta che scegliere il soggetto in base al suo aspetto, considerandone la struttura, le proporzioni e la dimensione delle foglie. Esistono delle forme nana o compatta a sviluppo contenuto, ma non è del tutto conveniente lasciarsi con-vincere dalle loro proporzioni poiché la vegetazione che compare in risposta alle cimature è anche troppo fitta: la gestione del bonsai diventa laboriosa ed il risultato este-tico discutibile.

stili Più adatti Per essere coerenti con la forma che assumono spontaneamente i tassi in natura, questi bonsai dovreb-bero avere un portamento eretto più o meno cespuglio-so. L’eretto formale è lo stile che si presta meglio, per la rapidità con cui la vegetazione riempie i palchi. Anche le composizioni a più tronchi risultano verosimili e grade-voli, il tasso non è albero da siti ventosi e quindi non si adatta molto a immagini irte di jin. In quanto albero simbolico, un bonsai può però essere usato per rappresentare qualsiasi altra specie ve-getale: sta quindi solo al gusto del coltivatore dargli que-sta o quella fisionomia.

traPianto, raccolta e substrati Il tasso è un’essenza assai tollerante. I trapianti, purché fatti nella stagione giusta e conservando un poco di zolla non presentano difficoltà: il suo apparato radicale espanso offre un veloce attecchimento. Neppure il grado di acidità del substrato costituisce un problema rilevante, purché non vi sia ristagno di umidità in eccesso. Come già detto, da noi non è frequente trovare un tasso tra gli alberi del bosco, quindi l’origine è quasi sempre il vivaio, dove ormai la maggior parte dei sogget-ti sono coltivati in contenitore ed il loro trapianto risulta perciò semplificato. L’epoca ideale per il trapianto o i rinvasi è l’autun-no avanzato o la fine dell’inverno, quando la pianta è in relativa dormienza. Il terriccio standard con una piccola aggiunta di composta o humus di lombrico si presta benissimo a que-sta essenza.

Potatura di formazione E’ assai diverso l’approccio con l’impostazione di un tasso, a seconda che si tratti di un soggetto giovane di pochi anni oppure di materiale più maturo e ricco di rami-ficazione. Nel primo caso è in genere facile farne emerge-re la struttura essenziale utilizzando i rami che tendono a crescere distanziati e orizzontali. Al massimo si dovrà ricorrere a qualche sostituzione dell’apice, procurando di portare in alto sempre i tratti più sottili e di abbassare quelli più consistenti. L’uso del filo metallico è quasi sem-pre indispensabile. Qualora si disponga di un soggetto di maggior età e dimensione, se vi sono rami nel tratto di tronco che si intende utilizzare si scelgono quelli disposti meglio ac-corciandoli quanto serve (ed è possibile), altrimenti oc-corre conservare della chioma eventualmente superflua, potarla drasticamente, attendere che compaiano delle nuove gemme sul tronco per scegliere quelle utili. Quando il loro sviluppo è ben avviato si può eli-minare la struttura conservata in precedenza solo perché il soggetto potesse sopravvivere e fare i nuovi getti. La ragione di questo impegno è che il tasso è una

>> L’angolo di Oddone

96Il tasso- Carlo Oddone -

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conifera sempreverde, i cui rami devono avere un minimo di chioma all’estremità per poter continuare a vegetare e reagire agli interventi del coltivatore. Uno degli aspetti positivi del tasso è che, non essendo avido di luce, conserva della vegetazione anche indietro sui rami, all’interno vicino al tronco. Si attende a cimare la nuova vegetazione finché non abbia raggiunto una certa maturità e lunghezza. Quando la si accorcia, si può contare su numerose gem-me che compaiono alla base delle foglioline, con cui si forma l’abbozzo della ramificazione secondaria, che co-stituirà la struttura della branca. E’ quasi più facile farlo che dirlo, proprio perché il tasso è in grado di reagire molto generosamente a que-sto tipo di intervento. Una volta costruita questa struttura di base di ogni palco, le ulteriori cimature serviranno a coprirla di fogliame, che basterà insistere a tagliare per ottenerlo fitto e basso. Il risultato è dato da un insieme di ciuffet-ti di foglioline dirette verso l’alto a prendere luce. Il se-greto sta nell’intervenire sufficientemente di frequente, quando i nuovi ramuli sono lunghi 5-6 cm. Ed accorciarli a mano di uno. Data la disposizione delle foglie sul ramulo, ecco che ne risultano i piccoli e corti ciuffi.

aPPlicazione del filo L’educazione di questo soggetto è facile da rea-lizzare per quanto riguarda la ramificazione giovane, che è elastica e flessibile, anche se un poco cocciuta: tende un poco a tornare alla sua posizione precedente dopo tolto il filo. Il legno vecchio, pur irrigidendosi, si lascia pie-gare, ma si rivela ancora più ostico di quello giovane ad accettare la forma imposta, tanto che si è costretti a ripe-te l’applicazione del filo (quando incomincia a segnare la corteccia) anche più volte prima di raggiungere il risulta-to voluto. A seconda dello stile scelto, qualora sia neces-sario creare dei palchi, l’educazione delle branche nella posizione necessaria deve essere assai precoce, per poter disporre di un punto di riferimento per orientare la chio-ma dei palchi stessi. In tal modo si guadagna tempo, nel senso che tutte le successive operazioni (quelle appunto che servono ad infittire il fogliame) non richiedono poi degli aggiustamenti, ma tendono subito a creare il mate-rassino di verde una forma ed un profilo coerenti.

tecniche Particolari Data l’abbondanza di gemme che si sviluppano a seguito delle cimature, la vegetazione dei palchi diventa sovente troppo compatta, e richiede una periodica sfol-titura. Va ricordato che gli eventuali rametti rivolti verso il basso devono essere eliminati perché non sporgano al disotto del margine inferiore dei rami. Quando lo sviluppo del soggetto è molto vigo-roso, è inevitabile il rischio di dovere sostituire qualche parte (generalmente in alto) che diventa troppo tozza. L’importante è farlo in modo da non danneggiare l’imma-gine del bonsai, eseguendo l’intervento qua e la, stagione dopo stagione.

fertilizzazione ed altri trattamenti Il tasso ama un substrato fertile e risente visto-samente delle concimazioni. Queste diventano così’ un mezzo per controllane in qualche modo lo sviluppo ed il comportamento. Come è ovvio la modalità della fertilizzazione deve adattarsi alla natura del soggetto. I giovani che de-vono crescere saranno nutriti con regolarità sin dall’inizio della ripresa vegetativa, mentre i soggetti maturi, di cui conviene limitare sia lo sviluppo globale che le dimensio-ni di ogni singola parte, sarà bene dare il concime contro tempo, cioè non quando la pianta è in fase di sviluppo, ma più tardi, quando ne sta uscendo e quindi non più in condizione di sfruttarne completamente l’effetto. Con questo procedimento (valido peraltro su qualsiasi tipo di

97Il tasso- Carlo Oddone -

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bonsai) si è certi di somministrare alla pianta quanto le occorre, pur negandole l’opportunità di avere degli accre-scimenti esagerati.

Prevenzione e cura delle malattie Il tasso sembra essere una delle piante meno vul-nerabili agli attacchi dei parassiti, sia animali che vegeta-li. La parte aerea può talvolta essere aggredita da coccini-glia. L’apparato radicale soffre se un persistente eccesso di umidità favorisce lo sviluppo di funghi patogeni. L’uso di terriccio poroso e drenante costituisce la migliore pre-venzione. Un oculato ritmo di innaffiature fa il resto.

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>> L’angolo di Oddone

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Amatori Bonsai e Suiseki

GeNOvA

Il club “Amatori Bonsai Genova” si è costituito nel 1987 al fine di riunire gli appassionati di questa arte residenti nell’area metropolitana di questa città. L’attività dell’Associazione consiste nel tenere riu-

nioni con periodicità bimestrale, organizzare esposizioni, e attività didattica anche con esperti a livello nazionale. Con l’ingresso di alcuni appassionati di suiseki negli anni ’90, tra i quali Sergio Malpeli, che ne è stato a lungo presidente, l’ Associazione è diventata “Amatori Bonsai e Suiseki Genova” e, grazie anche all’incremen-to numerico e qualitativo dei soci, ha avuto un impulso che ha consentito di innalzare il livello dell’attività: par-tecipazione a importanti manifestazioni nazionali, quali Congressi UBI, Crespi Cup, Arcobonsai e altre, nelle quali alcuni soci sono stati premiati, e organizzazione di labo-ratori con affermati maestri, culminati in una organica serie di incontri con Othmar Auer, presidente della suc-cursale europea di una importante associazione di artisti bonsai giapponesi. Dal 2005, grazie alla messa in rete del sito in-ternet e di progetti di diffusione del bonsai, che hanno consentito di godere di un contributo della Provincia di Genova, si è incrementato il numero dei soci e si sono po-tute realizzare prestigiose mostre, con la collaborazione di associazioni liguri di bonsai ed enti quali l’Orto Botani-

co di Genova, il Consorzio Villa Serra, il club “GADO” di Osaka, Giovanni Genotti. Nel 2007 per il ventesimo anniversario del club si è organizzato in settembre un importante evento che ha compreso anche il XII Congresso IBS e una esposizione dei club liguri, con la partecipazione di Bokushin, scuola di calligrafia diretta da Norio Nagayama. E’ inoltre stata intensificata l’attività didattica, con l’organizzazione di corsi annuali per principianti, corsi presso le UNITRE della provincia di Genova e la parteci-pazione, nel 2008, al Festival della Scienza, in cui si sono tenuti alcuni laboratori di estetica e tecnica bonsai. Nel 2009, nell’ambito della manifestazione “Bon-sai in Villa” che si svolge ormai da cinque anni a villa Serra di Comago – Sant’Olcese (GE) si è organizzata, in colla-borazione con il Consorzio villa Serra e con il patrocinio della provincia di Genova, il Premio BonsaiGenova 2009, mostra concorso riservata ai club italiani, con la parteci-pazione di Giovanni Genotti, Edoardo Rossi, e altri noti istruttori italiani. Attualmente il club conta circa trenta soci, di cui parecchi giovani, e punta all’incremento delle conoscen-ze tecnico estetiche per fare bonsai, nonché alla diffusio-ne della conoscenza del suiseki.

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Vita da club <<

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- 13/01/2010 - Tesseramento 2010 ed eventuale tesseramento UBI. Illustrazione e distribuzione del programma 2010.

- 20/01/2010 - Prosecuzione tesseramento. Esame piante dei soci: punti di forza, difetti, scelta dello stile.

- 24/01/2010 - Lavorazione da parte dei soci delle proprie piante.

- 03/02/2010 - Storia di un albero: il tasso di S. Mancuso.

- 14/02/2010 - Lavorazione da parte dei soci delle proprie piante.

- 17/02/2010 - Esame piante dei soci: tecniche da applicare per l’im-postazione.

- 03/03/2010 - Assemblea generale ordinaria dei soci.

- 07/03/2010 - Laboratorio con istruttore nazionale Mario Sandri

- 17/03/2010 - Il materiale da vivaio adatto per l’impostazione a bon-sai.

- Data da definire (20, 21, 27, 28) - Gita sociale in vivaio.

- 07/04/2010 - Tokonoma di primavera. Con la partecipazione di tut-ti i soci. Preparazione della mostra di primavera.

- Data da definire - Gita sociale presso il giardino di un maestro bonsaista (da individuare).

- Data da definire - Mostra bonsai di primavera a villa Imperiale

- 21/04/2010 - Mochikomi primaverile: la pizzicatura dei nuovi ger-mogli.

- Data da definire - Escursione primaverile in natura eventualmen-te per ricerca suiseki (Appennino Ligure ).

- 01,02/05/2010 - Partecipazione ad Arcobonsai.

- 05/05/2010 - Tecniche di coltivazione appropriate (annaffiatura, esposizione, concimazione, trattamenti fitosanitari ­ Agostaro).

- 19/05/2010 - Resoconto sulla partecipazione ad Arcobonsai a cura dei partecipanti.

- 09/06/2010 - Serata dedicata ai suiseki: esame delle pietre dei soci (Perfumo).

- 16/06/2010 - Mochikomi estivo delle caducifoglie (defogliazione parziale e totale, cimatura, avvolgimento - Rosati).

- 07/07/2010 - Incontro col botanico: argomenti in via di definizione.

- 21/07/2010 - La manutenzione estiva dei bonsai: ombreggiatura, irrigazione automatica, protezione dei vasi (Giumelli).

- Data da definire - Mostra suiseki al museo di arte orientale E. Chiossone

- 01/09/2010 - Rientro dalle vacanze: impressioni, resoconti, etc.

- 15/09/2010 - Storia di un albero: olivastro di S.Agostaro

- 06/10/2010 - Preparazione e distribuzione dei compiti per la mo-stra di Villa Serra.

- 16, 17/10/2010 - Premio BonsaiGenova a villa Serra di Comago: mostra concorso di bonsai e suiseki.

- 21/10/2010 - Serata dedicata ai suiseki: Daiza o suiban? (Perfumo, Rosati ). Con la partecipazione di Andrea Schenone.

- Data da definire - I colori dell’autunno:escursione nell’ Appennino Ligure .

- 03/11/2010 - Tokonoma d’autunno. Con la partecipazione di tutti i soci.

- 17/11/2010 - Esame piante dei soci: punti di forza, difetti, scelta dello stile.

- 21/11/2010 - Laboratorio con istruttore nazionale Stefano Frisoni.

- 03/02/2010 - Mercatino di scambio: piante, vasi, attrezzature, pub-blicazioni: proposte per il programma 2010.

- 01/12/2010 - Lavorazione da parte dei soci delle proprie piante.

- 12/12/2010 - Concorso tra i soci: i migliori lavori (2 categorie) sa-ranno premiati.

- 15/12/2010 - Cena sociale di Natale. Serata di commenti e bilanci dell’anno.

>> Vita da club

Tutti gli appuntamenti del mercoledì si terranno in sede dalle ore 20.30 alle 22.45. I laboratori della domenica si terranno in sede a partire dalle ore 9.00.

Altre date di incontro: laboratori corso principianti: 21 febbraio, 14 marzo, 06 giugno. Corso avanzato con D.Danisi: 31 gennaio, 18 aprile (ev. a villa Serra)

www.bonsaigenova.it e – mail : [email protected]: presso Giorgio Rosati , via Luccoli 31/6 - 16123 GENOVA

Sede: presso COOP “A. NEGRO” - piazzale Iqbal Masih 5 (piazzale traghetti) - 16100 GENOVA Tel.: 010 247 0606 / 010 32 37 63 / 010 21 62 27

PrograMMa 2010(programma realizzato grazie al sostegno della COOP “A.Negro” e con il patrocinio della Provincia di Genova)

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Spiagge affollate di reti e di gomene umide, sentieri impregnati di brezza salmastra, prue battute dalle onde: questo è lo sce-nario nel quale Mishima mette in scena La voce delle onde, racconto della storia d’amore fra Shinji, giovane lupo di mare

squattrinato, e Hatsue, pescatrice di perle e figlia di uno degli uomini più potenti della piccola Uta-Jima, l’Isola del Canto. In questo paesag-gio essenziale, che emana una sorta di forza primigenia e selvaggia, i due ragazzi, candidamente, scoprono l’amore e la libertà, nonostante le maldicenze e gli ostacoli sorti nel loro misero villaggio. Il faro solitario che domina l’isola e il racconto, occhio dell’auto-re, perlustra a fondo l’animo dei personaggi, mai completamente ter-so, e l’aspra bellezza della vita marittima, metafora stessa – con le sue tempeste e le sue giornate di bonaccia – del legame che unisce i due protagonisti. La vicenda, grazie anche alla piega fiabesca che assume nell’ul-tima parte del libro, appare molto semplice e, per certi versi, addirit-tura prevedibile, ma senza che ciò vada ad intaccare la sua godibilità. Essa dipende in gran parte, più che dall’intreccio narrativo, dal connu-bio fra i sentimenti degli uomini e l’ambiente circostante, indissolubile sia nella gioia che nel tormento: “gli isolani”, infatti, “avevano stipulato un’alleanza con la natura, e le prestavano il loro pieno appoggio”. Per imbrigliare le potenze di madre terra, soprattutto nei suoi eccessi, non occorre soltanto confidare nella preghiera e nei talismani del tempio di Yoshiro, ma affidarsi alle proprie forze e avere il coraggio di adoperarle sino in fondo, come ricorda Shinji al termine del volume. La voce di Mishima, al pari di quella delle onde, si insinua delica-tamente nel racconto, accompagnando il lettore nella furia della bufera e nel dolce riposo delle ore d’ozio.

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La voce delle ondeMishima Yukio

Feltrinelli€ 7,00 - 180 p. - 2003

La voce delle ondeMishiMa Yukio

recensione a cura di Anna Lisa Sommahttp://bibliotecagiapponese.wordpress.com/

Il Giappone visto da vicino <<

101La voce delle onde - Mishima Yukio- Anna Lisa Somma -

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l’architettura contemporanea giapponese

a cura di Antonio Ricchiari

è necessario innanzitutto considerare le condizioni socio-culturali dell’impe-ro nipponico in cui coesistono modelli tradizionali e moderni. E’ noto che in

Giappone tutto ciò che riguarda la tradizione gode di una solida protezione e conservazione. I giapponesi non vogliono serbare la tradizione ma prolungarla nel tempo. Anche gli architetti sono rimasti legati ai materiali da costruzione tradizionali, specialmente a quelli naturali, pri-mo fra tutti il legno. Medesima cosa si può dire per le forme semplici, fenomeno verificabile negli oggetti e nei manufatti dell’artigianato. I giapponesi hanno un concetto del vuoto diverso da quello degli occidentali, e chi fa bonsai lo sa. “Spazio” e “incantesimo” non sono concetti occidentali, al contrario l’arte del nulla costruito è parte vitale dell’architet-tura giapponese. D’altronde l’Impero del Sol Levante non ha chiuso le porte al XXI secolo, all’elettronica, a tutta la modernità. I giapponesi, per principio, non costru-iscono i loro edifici per l’eternità, come d’al-tronde si fa in Occidente. Perfino i loro templi sono concepiti per una durata limitata ad una quarantina d’anni. D’altronde l’architettura scintoista concettualmente parla di “ricostru-zione periodica”. L’Ise, il santuario scintoista più importante e noto, viene sostituito a in-tervalli regolari da una copia identica, poiché nello scintoismo non è venerata la durata ma la bellezza simbolica di un continuo rinnova-mento. Da ciò trae origine la versatilità che ri-

scontriamo nel concetto di edilizia giapponese. Questa forma men-tis ha reso il Giappone una nazione di sperimentazione eccezionale per quel che riguarda il campo architettonico. All’interno dell’architettura vivono quattro pensieri che hanno influenzato metodologia e pensiero. Il più importante è la geometria, dove modelli e moduli geometrici sono alla base di case e templi. Altro principio fondamentale è la raffinatezza stilistica, l’uso di materiali preziosi e la minuziosa lavorazione della forma, grazie ad un continuo sviluppo del linguaggio dell’architettura mo-derna. Molti architetti hanno perfezionato il concetto giapponese di spazio e adottato l’attenzione occidentale per il particolare, fon-dendoli insieme nella fase progettuale. Osserviamo come la bellezza venga associata ad un rinno-vato acume della vista. Guardare non è solo vedere ciò che ci cir-conda e non è nemmeno andare oltre le apparenze, perché anche questo contempla un rapporto con il mondo: guardare è fissare lo sguardo nel nulla (e questo principio si applica per il bonsai ed il suiseki!). Questa consapevolezza dà una forza incredibile e inim-maginabile in Giappone alla ragione morale dell’essere attivo. E’ la consapevolezza del fare che schiude all’artista, all’artigiano il mondo della bellezza. Questa è una conditio sine qua non e anche nel caso dell’architettura in Giappone specialmente la bellezza del manufatto si rivela quando esiste armonia fra uomo e natura, tra azione e contesto. Questa disciplina etica, questo emergere del la-voro in luogo della figura dell’artista dà forma al concetto di wabi, di

Teatro Armani a Milano progettato da Tadao Ando. Spettacolarità degli spazi e progettazio-ne d’ispirazione geometrica sempre funzionale

>> Il Giappone visto da vicino

102L’architettura contemporanea giapponese- Antonio Ricchiari -

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103L’architettura contemporanea giapponese- Antonio Ricchiari -

questo concetto di sobria raffinatez-za, come principio estetico più raffi-nato, più intensamente, sottilmente, tenacemente ricercato. Anche l’archi-tetto rientra in quell’essere Maestro, sensei – termine che indica l’eccellen-za per antonomasia (non sottovalu-tato o svenduto come in Italia!) e im-pone alla persona investita un valore morale, la cui grande responsabilità va ben oltre l’esercizio della propria professione o della propria arte. Il concetto dei progettisti permette che l’architettura, la natu-ra e la coscienza umana si incontrino fondendosi in una armonia perfetta. L’architettura contemporanea giap-ponese si suddivide in quattro ten denze: geometria, raffinatezza stili-stica, simbolismo ed espressionismo che ne esplicano le concezioni este-tiche. Anche in questo caso appare forte l’intreccio che si crea fra la sfera della bellezza e la sfera della profes-sione. Nell’architettura giapponese di apprezzano i modi di articolazione dello spazio, la capacità di scandire le diverse sequenze spaziale a partire però da elementi semplici. Il turista, in Giappone, è sol-lecitato al massimo fino all’estremo delle sue capacità di comprensione. E’ la passione dei giapponesi per ciò che si contraddice. Originali coreo-grafie che sembrano realizzate per scene di fantascienza, arcaici luoghi di culto, tecnologia ultra moderna, molteplici stili assemblati in un me-desimo edificio.

Così accade di visitare a Tokyo luo-ghi dove si pratica la cerimonia del tè e quartieri dei piaceri sfrenati, ascetismo praticato dal buddhismo e dallo scintoismo che coesiste con l’edonismo della società postindu-striale. Accanto alla frenata archi-tettura futuribile resta, specie in campagna, l’antica casa giapponese, un severo archetipo, scevro dal com-piacimento alla ornamentazione. I giapponesi hanno perduto il loro tradizionale stile di vita, la casa tradizionale non esiste più che in mi-niatura nella casa prefabbricata, con il piccolo angolo con il tatami com-prato su catalogo. Malgrado tutto ciò il Giappone ha conservato un at-taccamento profondo alle sue radici. La simmetria per i giappone-si non è in alcun modo detentrice di forza e potenza ed è esclusa anche nell’architettura. I passaggi fra am-bienti diversi non indicano separazio-ni e non hanno carattere definitivo. L’urbanizzazione giapponese la dice lunga: su una popolazione di oltre 120 milioni, il 60% abita in un caotico tes-suto urbano fra autostrade, grovigli di binari, agglomerati industriali, in ambienti che ricordano le conigliere. “Nella filosofia orientale – scrive Gerhard Feldemeyer in Bau Welt 21 (1988, pag. 856) – l’incom-piuto, il frammentario e l’inespresso sprigionano una forza maggiore di ciò che è stato del tutto espresso. La nostra fantasia è stimolata da ciò che manca e il nostro occhio spirituale lo

completa”. L’architettura giapponese, così com’è, non può esistere che in Giappone: è l’humus nel quale affon-da le sue radici, è l’inquietante clima delle megalopoli moderne che la fan no vivere. Ci sembra questa una ra-gione per giustificare come questa architettura non possa espander-si facilmente altrove e anche come essa rappresenta la prima variante valida e riuscita di una società post-industriale. Nel XXI secolo lo scambio “east goes west” è sempre più evi-dente. Questa sempre più crescente Cross culture avviene da e verso que-ste due direzioni. I giapponesi sono maestri nell’acuta trasformazione attraverso la quale fare nascere qual-cosa di più perfezionato. E la mede-sima cosa avviene nell’architettura. “L’eclettismo, nei suoi aspetti positi-vi, è sempre una sorgente di nuove espressioni culturali… Quando una cultura diventa troppo asettica, muo-re – afferma l’architetto Kisho Kuro-sawa – per questo motivo bisogna attingere alle esperienze straniere, l’abbiamo imparato dalla nostra sto-ria. Ciò che, nelle mie creazioni, può apparire una derivazione dall’eclet-tismo è la premessa di una originale concezione, dove si compie un’osmo-si di elementi europei e asiatici e che farà scaturire una nuova architettura nel XXI secolo”.

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La creazione Del mondo di Axel Vigino

“Solitamente, i ragazzini della mia età, avranno sicuramente ascoltato molte versioni della creazione del mondo ad opera delle divinità, nelle ore di religione o di storia , ma per molte persone il mondo, o la propria nazione non è stata creata da Giove, da Allah o da Dio, ma da molte altre divinità, che nelle scuole europee sono del tutto sconosciute. Per questo motivo vorrei raccontare in poche parole a quei ragazzini come me, un’al-tra storia affascinante, misteriosa e, a pa-rer mio, bellissima. ecco l’esempio della crea-zione secondo la religione shintoista.

>> Axel’s World

104La creazione del mondo- Axel Vigino -

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“Agli inizi, nel luogo chia-mato Takama no hara (alta pianura del cielo) compar-vero le prime divinità: il dio Ama, poi il dio Takami ed infine il dio Kami-Mitsubi. Queste tre divinità opera-rono generando ogni cosa da soli e senza mai rive-lare la loro vera forma. A quel tempo, il luogo che avrebbe dovuto ospitare la vita degli uomini e de-gli dei non si era ancora solidificato ed il suo stato era simile a quello dell’olio sulla superficie dell’acqua. Di questa massa galleggiante era difficile scorgere sia il centro che i confini, dato che non si era formata del tutto, e vaga-va fluttuando sulle acque come una medusa. Ad un certo punto, spontaneamente, nacque-ro altre due divinità, come i germogli dei bambù: i loro nomi sono Umashi no kami e Ame no Kami. Tutte le divinità qui elencate sono divinità celesti, ossia abi-tano l’alta pianura del cie-lo e non si occupano della Terra. In seguito nacquero molte altre divinità tra cui i grandissimi Izanagi e Iza-nami. A questo punto tutte le divinità celesti si rivol-sero al dio Izanagi e alla dea Izanami, con un solen-ne comando: “sistemate e completate questo paese galleggiante, poi governa-telo”. Poiché veniva affida-to loro l’ incarico di indurire la terra ancora morbida,

la coppia ricevet-te in dono una splendida lancia ornata di gemme; chiamata Ame no nuboko. In piedi sul ponte sospeso tra cielo e terra, (che a volte viene identificato con l’arcobaleno) le due divinità con-ficcarono la lan-cia e con essa mescolarono l’ac-qua sottostante; la corrente ma-rina gorgogliò, poi sollevarono la lancia. Dalla sua splenden-te punta, goccia dopo goccia, colò l’acqua salma-stra che, solidifi-candosi, divenne un’isola: l’isola di Onogoro. Su quest’isola la coppia divina scese e innalzò una magnifica colonna e un pa-lazzo. Girando attorno alla au-gusta colonna del cielo le due divinità procla-marono il giura-mento nuziale e si unirono in ma-trimonio. Dalla loro unione nacquero le isole dell’arci-pelago giapponese e tutte le altre divinità. Dando alla luce il Dio del fuoco la Dea Izanami si ustionò e morì.

Ma questa è un’altra storia......

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105La creazione del mondo- Axel Vigino -

“Izanagi and Izanami”, Eitaku Kobaya c. 1885. © From sv.wikipedia.org

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Per gelata s’intende un fenomeno at-mosferico, in cui l’abbassamento della temperatura al di sotto 2°- 0° comporta danni morfologici e fisiologici all’esem-

plare colpito. Le superfici vegetali, intese come quelle degli organi esposti agli agenti atmosfe-rici, durante il giorno assorbono calore dal sole

e la variazione di t° tra quella di tali superfici e l’aria tutt’intorno può essere anche di 10° C. La quantità di calo-re assorbita è in fun-zione dell’essenza ma soprattutto del tipo di legno e dal suo colore. Le variazioni di t° che si verificano al calare del sole durante i mesi fred-di, unite alla quantità di acqua presente all’in-

terno dei fasci legnosi al momento dell’evento, determinano il tipo di danno.

meccanismi di difesa Le gelate e i danni da basse t° che ne pos-sono derivare si verificano in: ­ AUTUNNNO: prima dei processi di lignificazio-ne;­ in pieno INVERNO: durante la dormienza;­ fine INVERNO­inizio PRIMAVERA: durante il periodo di ripresa vegetativa. Le piante arboree, nella fattispecie le es-senze botaniche comunemente utilizzate per

I danni da basse temperatureLe gelate - I parte

realizzazioni bonsaistiche, hanno messo appun-to dei meccanismi di difesa, rientranti in: Mecca-nismi per tollerare i danni da basse t° e Meccani-smi per evitare i danni da basse t°

meccanismi per tollerare i danni da basse temperature

Con temperature pari o al di sotto dello 0°, all’interno della pianta può iniziare la forma-zione di ghiaccio a partire dagli spazi extracellu-lari. Nella tolleranza, un meccanismo di difesa, consiste nello spostare l’acqua contenuta all’in-terno delle cellule verso gli spazi extracellula-ri, aumentando così i soluti presenti all’interno della cellula. Questo processo fa si che il punto di congelamento si abbassa, evitando così la for-mazione di ghiaccio all’interno della cellula.

meccanismi per evitare i dannida basse temperature

Le essenze che adottano sistemi di difesi atti ad evitare i danni da congelamento, adotta-no un fenomeno chiamato della SOPRAFUSIO-NE. Questa strategia di difesa è un fenomeno fisico che consente all’acqua di rimanere liquida anche con t° di gran lunga al di sotto dello 0°, ma fino al valore di nucleazione del ghiaccio. Quest’ultimo è un valore pari a -38 °C!! …e rappresenta il punto di congelamento dell’acqua pura… ma l’acqua contenuta nelle cellule non è in tale stato, perché contiene soluti e batteri ve-getali presenti sulle pareti cellulari che rappre-sentano il punto di partenza del processo di con

di Luca Bragazzi

>> Che insetto è?

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gelamento, infatti, questi sono chiamati Batteri Criogeni o Glaciogeni.

la soprafusione A seguito dell’abbassamento delle t°, viene a formarsi del ghiaccio nel sistema di con-duzione Xilematico. Questo è posizionato negli spazi tutt’intorno alla cellula e grazie alle pareti cellulari, che fungono da divisori/barriera, l’ac-qua contenuta all’interno delle cellule non con-gela anche a t° di molto al di sotto dello 0°, ma sempre fino alla t° di nucleazione (­38°). E’ vero anche però, che la formazione di ghiaccio nel sistema di conduzione, può provo-care dei danni meccanici ai tessuti, è per questo che il sistema di tolleranza, rispetto a quello di evitare è molto più efficace, in quanto è possibile renderlo reversibile senza danni successivi.

sensibilità dei diversi organi e tessuti- Tessuti Xilematici: questi vanno incontro a so-prafusione e cellule possono resistere fino alla t° di nucleazione del ghiccio. I tessuti Floematici e Cambiali, sono molto più resistenti e quindi scar-samente interessati dal fenomeno.- Gemme a Fiore e a Foglia: anche in questi or-gani la soprafusione è presente, ma viene persa con il passare del periodo di dormienza, ovvero al loro risveglio perdono la resistenza al gelo.- Tessuti Corticali: in questi tessuti, il fenomeno ricorrente è quello della tolleranza, per cui esiste “l’equilibrio di congelamento” tramite lo sposta-mento di acqua nei tessuti.- Lo stato fenologico è un indice di quanto grave potrà essere un eventuale danno da basse t°.

risposta delle diverse specie botaniche E’ molto difficile stabilire la sensibilità di ogni specie nei confronti delle basse t°. E’ certo, però, che le diverse essenze botaniche combat-tono tale evento in base a fattori genetici e am-bientali, come il fotoperiodo e la temperatura. Queste risposte vegetali possono essere accomunate sotto un solo fenomeno chiamato acclimatazione.

Questo è considerato un indurimento al freddo, ovvero sviluppo di resistenza alle basse t°. Il gruppo vegetale più resistente è quello delle conifere. Sia morfologicamente, che fisio-logicamente hanno sviluppato organi e sistemi di protezione (resina) che le portano a resistere a valori estremamente bassi e prolungati nel tem-po. Le latifoglie, combattono meno efficace-mente delle conifere ed adottano sistemi loca-lizzati in periodi determinati, perdendo tali pro-tezioni nei periodi di crescita.

la resistenza fisiologica L’ormone vegetale maggiormente coin-volto nei meccanismi di difesa dalle basse t° è l’Acido Abscissico (ABA). In antitesi all’3-IAA (Auxina) l’aba si accu-mula durante i processi di acclimatazione e se-nescenza fogliare (caduta autunnale) ed il suo massimo contenuto è registrato in periodi di piena dormienza invernale. La sua presenza diminuisce con il risve-glio primaverile, in cui aumenta l’3-IAA. Durante le fase di acclimatamento al freddo i composti che si formano e si accumulano per aumentare la resistenza al freddo sono:- Zuccheri- Aminoacidi- ABA- Proteine- Pigmenti Antociani (ROSSO)

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