c. Theobald i Racconti Di Dio

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  • 8/12/2019 c. Theobald i Racconti Di Dio

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    SI raccontidi Dio

    studio del mese

    T h e o b a l de l a t e o l o g i an a r r a t i v a

    Lo stretto legame che esiste fra linteresse deicontemporanei per la narrazione e il racconto ela situazione culturale delle societ postmoderne abitate da una pluralit di visioni del mondo eda una crescente individualizzazione degli stilidi vita ha fatto s che la teologia narrativaassumesse sempre maggior peso tra i diversitipi di pensiero teologico.Tuttavia la fede in Dio, anche e soprattutto nellanostra epoca post-metafisica, ha ancora bisogno

    di essere pensata, perch la teologia narrativanon rimanga semplicemente una moda, ma

    venga fondata da un punto di vista filosofico eteologico. Se ne incarica il teologo ChristophTheobald in questo saggio, dimostrando che ilprincipio della concordanza tra la forma dellamemoria biblica e il suo contenuto teologico quello che permette di collocare la narrativital suo giusto posto in una teologia cristianaadeguata a una societ post-metafisica epostmoderna, cosciente della densit

    letteraria delle sue tradizioni.

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    locarsi risolutamente nella societ post-metafisica nonsignifica assolutamente rinunciare a pensare. Si tratta,al contrario, di chiarire il legame fra questo contestomondiale radicalmente nuovo e la narrazione di Dio edi pensarlo da entrambi i lati, da quello della nostra si-tuazione post-metafisica e da quello di colui che noi

    chiamiamo Dio. Il ritrarsi della metafisica conducecertamente a liberare il potenziale narrativo della tra-dizione biblica, ma al tempo stesso pone di fronte alfatto che questultima concepisce Dio come soggettodi un intrigo universaleche lapocalittica indica con ilconcetto di disegno divino (prothesis tu theu), mentreoggi luniversale si riduce al dibattito su ci che una societ giusta e su ci che attiene a unetica dellaspecie umana.

    Se si vuole che la teologia narrativa non sia unamera moda e si vuole fondarla da un punto di vista fi-losofico e teologico, bisogna pensare la fede in Dio nel-lepoca post-metafisica e cercare di comprendere ci

    che fa il credente quando Lo pone nella posizione diSoggetto, Soggetto di un racconto universale. ci che tenter di fare in un primo tempo.

    Ora, questo legame fra Dio e il racconto passa at-traverso la fede, che al tempo stesso un atto di va-lutazione dellinsieme di unesistenza individuale difronte al male e allassurdo, e di ci che rappresentalesistenza di unumanit nellimmensit delluniverso;un atto che richiede tempo e si iscrive nel tempo di unavita e nel tempo della storia. Pur essendo valutativo oargomentativo, esso assume quindi necessariamenteuna forma narrativa che, nel caso della tradizione bi-blica ed evangelica, risulta molto particolare. In un se-condo tempo, mostrer come questa forma specifica dinarrazione accordi un posto irriducibile alla libert divalutazione credente, cos come si profila nellepocapost-metafisica, e come essa dia cos una figura speci-fica e universale a Dio. Infatti la teologia narrativa al-laltezza del suo programma solo se, in uno stesso mo-vimento del pensiero, laformadella memoria biblica,fatta di racconti e di valutazioni, lespressione per-fetta del contenutoteologico di questa memoria, dise-gno di Dio strutturato dal suo modo unico di conce-dersi alle nostre valutazioni e ai nostri racconti.

    I limiti della narrativit compaiono precisamentenel momento in cui ci si rende conto che essa si basasu un atto di valutazione, di fronte alla questione della

    teodicea, e che esso pu prendere forme molto diverse,ad esempio quella della discussione con Dio. Essi ap-paiono ancor pi chiaramente se si considera la plura-lit dei generi letterari implicati nella memoria biblica,nella quale la narrativit solo un elemento, certa-mente notevole, ma che si articola con altri elementi,come la legge, largomentazione, linno ecc. lo stessoprincipio della concordanza fra la forma di questa me-moria complessa e il suo contenuto principio esteticoe teologico al tempo stesso che permette di collocarela narrativit al suo giusto posto in una teologia cristia-na adeguata a una societ post-metafisica e postmo-derna, cosciente della densit letteraria delle sue tradi-

    zioni. ci che mostrer nellultima parte.

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    35 anni di distanza da quando venneformulata come progetto nella rivi-sta Concilium,1 la teologia narrativa diventata una realt quasi scontatadella pratica teologica. Basandosisulla narratologia letteraria e biblica,essa ha finito per diventare una for-ma principale della dogmatica cri-

    stiana e della pastorale catechetica e liturgica dellaChiesa, senza che si sappia sempre chiaramente il mo-tivo per cui ha assunto una tale importanza.

    Ora esiste uno stretto legame fra il nostro attualeinteresse per il racconto o la biografia e la situazioneculturale delle nostre societ postmoderne. La plura-lit delle visioni del mondo che vi coabitano e la cre-scente individualizzazione degli stili di vita che vi sipraticano rendono impensabile qualsiasi metafisica oreligione che volesse imporre una particolare conce-zione delluniverso e uno specifico stile di vita comenorma universale. Parlare di societ post-metafisicanon altro che registrare globalmente questa situa-zione di fatto. Cos, avendo perso la loro coperturasacra o metafisica, le comunit tendono a rannic-chiarsi nelle loro proprie tradizioni, religiose o meno,a valorizzare le loro risorse narrative per fondare i lo-

    ro stili di vita e ad accontentarsi di una vicinanza pio meno difficile fra loro, rinunciando a pensare la si-tuazione post-metafisica che di fatto esiste; cosa parti-colarmente pericolosa in un momento in cui le bio-scienze e le biotecnologie rischiano di confiscare ladomanda sullavvenire delle societ umane, di natu-ralizzarla in qualche modo e di risolverla in terminidi fantascienza.

    Di fronte a questa situazione, una teologia narrati-va che si considerasse un semplice sostituto della formametafisica assunta dalla teologia classica del secondomillennio, apparirebbe molto ingenua e poco attrezza-ta per rendere plausibile la pretesa universale inerente

    alla Tradizione cristiana e ai suoi racconti di Dio. Col-

    A

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    I . PE N S A R E L A F E D E I N D I OI N E PO CA P OST-M ET A F I S I CALe principali caratteristiche della cosiddetta epoca

    post-metafisica sono gi state ricordate: in positivo, ab-biamo visto il pluralismo radicale delle visioni del mon-do nelle nostre societ postmoderne e la crescente indi-vidualizzazione dei nostri stili di vita; in negativo, ab-biamo registrato la fine di ogni metafisica che volesse fa-re di unadi queste visioni o di unodi questi stili unu-niversale norma di riferimento per tutte le altre culture;questo determina, in definitiva e ancora una volta inpositivo, uno slittamento dellantico universale metafisicoe religioso verso una meta-riflessione morale e politicasulle deliberazioni che le nostre societ e i loro individuipongono effettivamente in essere per stabilire ci chesta nelleguale interesse di ciascuno e ci che parimen-ti buono per tutti.2 Oggi pensare Dio implica trarreprofitto da questo slittamento (e farlo in positivo) in mo-do che la fede in Dio appaia sotto una nuova luce, maicos percepita in epoca metafisica. Ma questo supponeche non si passi sotto silenzio lo statuto aporetico della

    nostra condizione post-metafisica: infatti questa condi-zione non pu significare la scomparsa della questionedella verit o la sua limitazione agli ambiti scientifici esocio-politici. Dobbiamo quindi affrontare questa diffi-colt di fondo e attraversarla nellatto stesso di pensareoggi la fede in Dio.

    La fede a l l internodel la condiz ione post-metaf i s ica del l uomoLa principale conseguenza della fine della metafisica

    il ritrarsi di Dio nel campo dellinevidenzaradicale,mentre egli si imponeva in societ governate e pensate apartire da lui. Nessuno pi obbligato a fare intervenire

    Dio nella gestione della sua esistenza; e il principio della

    laicit consiste nel tenerlo a distanza dalle nostre faccen-de pubbliche. Cos, per la prima volta nella storia dellu-manit, compare una distinzione che non potrebbe esse-re pi netta fra ci che oggetto del sapere, del restosotto tutte le sue forme, e ci che attiene alla fede. Ilsilenzio di Dio permette una pluralit di posizioni oatteggiamenti di fronte allenigma della vita e del mon-do; rivela quindi alla fede ci che essa in ultima

    istanza: un atto di libert senza alcuna garanzia.Questa collocazione radicale della fede non la

    minore conseguenza del passaggio delle nostre societallepoca post-metafisica. Risale a Kant e alla sua distin-zione fra il sapere e la fede. Il suo il primo tentativo po-st-metafisico volto non solo a criticare tutti i contenuti co-gnitividi una fede religiosa che oltrepassano lautono-mia della semplice coscienza morale e auto-legislativa il dato di ragione ma anche a recuperare di questicontenuti, per conto della stessa ragion pratica, la moda-litdella fede (Vernunftglauben) sotto la forma di po-stulati. Certo, il filosofo di Knigsberg non ha ancoracoscienza del pluralismo religioso, ma landamento del-

    la sua argomentazione trascendentale paradigmatico;potremmo addirittura dire che il suo modo di continua-re a parlare di una metafisica dei costumi o anche diuna metafisica della natura non un rimasuglio delpassato, ma ci avverte di non prendere il post- comeun invito a rinunciare a pensare la radicalit dellatto difede che egli vuole salvare come essenziale.3

    A questo punto incrociamo linterpretazione del ge-sto fondatore di Kant da parte di Jrgen Habermas, ilquale nel prologo della sua opera Zwischen Naturali-smus und Religion (Tra naturalismo e religione) proponeuna definizione dellet post-metafisica. Scrive: Chia-mer quindi post-metafisica () le posizioni agnostiche

    che distinguono nettamente fede e sapere, senza postulare

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    tudiodelmese

    Theobald e la teologia italiana

    a proposta e limpostazione teologica di Christoph

    Theobald hanno ricevuto unattenzione non formale nel

    panorama della teologia italiana. Il dibattito si concen-

    trato su due snodi cardine del suo pensiero, che non solo pro-

    pongono il riposizionamento del cristianesimo nella contem-

    poraneit, ma ne suggeriscono una vera e propria riconfigura-

    zione.

    Il primo aspetto quello dellintelligenza della fede che

    pensa e vive la rivelazione cristiana di Dio. Al saggio Dei ver-

    bum: dopo quarantanni la rivelazione cristiana (cf. Regno-

    att. 22,2004,782), sono seguite due riprese di confronto criti-

    co intorno alla qualit cristologica della storicit di Dio (cf. M.

    EPIS, La rivelazione come storia. W. Pannenberg e C. Theo-

    bald: due modelli teologici a confronto, in Teologia 31 (2006),

    11-35; M. NERI, Accolta singolarit. La teologia della rivelazio-

    ne nellopera di Christoph Theobald, in Regno-att. 2,2007,27);e la pubblicazione in italiano del suo volume su La rivelazio-

    ne (EDB, Bologna 2006).

    Il secondo aspetto quello di una complessiva compren-

    sione stilistica del cristianesimo (cf. La teologia nella post-

    modernit: il cristianesimo come stile, in Regno-att.

    14,2007,490). A questo tema la Facolt teologica dellItalia set-

    tentrionale ha dedicato una giornata di studio e confronto

    con il prof. Theobald, svoltasi a Milano il 30 maggio 2007, di

    cui eco il terzo numero della rivista Teologia del 2007 dedi-

    cato a Teologia e fenomenologia di Ges. Teologia fonda-

    mentale in contesto postmoderno: dinamismo dellospitalit

    teologale di Ges e riconfigurazione della fede in Christoph

    Theobald.

    Questo studio del mese a firma di C. Theobald, di cui le

    EDB hanno recentemente pubblicato in traduzione italiana i

    due volumi su Il cristianesimo come stile, intende riprendere e

    rilanciare gli spunti critici emersi nel corso di questi momenti ri-

    cettivi del suo pensiero da parte della teologia italiana.

    M. N.

    L

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    ovviamente (come fa lapologetica moderna) la validitdi una religione particolare, ma anche senza contestare(come fa lo scientismo) a queste tradizioni nel loro insie-me un possibile contenuto positivo.4

    Indubbiamente, tutto questo prologo attraversatodallinquietudine di fronte a una modernizzazione che

    tende a uscire dai suoi binari; e, alla maniera di Kant,Habermas spera di trovare nelle tradizioni religiose del-le risorse di un linguaggio che apra il mondo e per-metta la rigenerazione () di una coscienza normativache si indebolisce da ogni parte.5 Egli infatti ben con-sapevole dei limiti delle teorie morali formali e deonto-logiche di ispirazione kantiana, che sono a corto di ri-sposte quando si pone la questione della motivazioneadagire come si deve, in particolare quando si affrontano iproblemi relativi a unetica della specie umana in rap-porto alle bioscienze e alle biotecnologie. Ma presta benpoca attenzione allaporiainerente allepoca post-meta-fisica, aporia che deriva precisamente dalla pluralit del-

    le religioni e visioni del mondo, ognuna delle quali pre-tende di avere la verit rispetto ai fedeli di altre religionie ai non credenti; pur riconoscendo questo fenomeno,egli tende piuttosto a ridurre le convinzioni e la fede adelle opinioni,6 collocandole nello schema aristotelicodellopinione (doxa) e del sapere (episteme).7

    Effettivamente molti credenti considerano la lorofede unopinione (doxa) fra altre, mentre molti noncredenti pongono la loro libert semplicemente al ripa-ro da ogni interrogativo ultimo, restando in un cosiddet-to riserbo agnostico; in realt, gli uni e gli altri adotta-no istintivamente lo stesso atteggiamento di fondo difronte al plurale che il loro elemento, o accontentando-si dello stato di fatto della loro credenza o rifiutando diimpegnarsi. Per quanto legittimi e necessari siano un ta-le agnosticismo e una tale tolleranza di fatto sul pianopubblico delle nostre societ democratiche, bisogna tut-tavia chiedersi se questi atteggiamenti non conducano indefinitiva a ridurre le tradizioni religiose alla loro utilitstorico-sociale.

    Certamente Habermas esalta il pensiero post-metafi-sico di un Kierkegaard che si confronta con linsupera-bile eterogeneit della fede8 e raccomanda un atteggia-mento di non ingerenza nei riguardi delle religioni,ma tutto sommato riduce queste ultime a risorse e de-finisce apologetico il tentativo interno alla teologiacattolica di mantenere la questione della verit sul terre-

    no delle convinzioni religiose, una posizione, a suo avvi-so, simmetricamente opposta allo scientismo, che le con-sideraper snon vere, illusorie o prive di senso.9

    Quanto alla fede cristiana, essa non pu acconten-tarsi dello statuto di opinione, perch la convinzioneintima che essa reclama da parte del soggetto al tem-po stesso un impegno nei riguardi dellaverit e della suapropria verit; un impegno tanto pi inespugnabile peril fatto che la fede trova nellepoca post-metafisica ilposizionamento radicalmente libero e senza garanzia dicui si detto allinizio. Ma bisogna aggiungere subitoche la conservazione della questione della verit nelcampo specifico del nostro vivere insieme che sono le

    nostre convinzioni non vantaggiosa solo per la Tradi-

    zione cristiana, ma importa anche alle nostre societ; in-fatti la scomparsa della ricerca del vero in questo camposarebbe disastrosa perch priverebbe lumanit di un ul-timo potenziale di motivazione di cui ha bisogno per lasua sopravvivenza.

    certamente qui che risiede la principale difficolt

    della teologia contemporanea. Non che non si possa di-mostrare il carattere inespugnabile della questione dellaverit: infatti, appena si argomenta a favore di questo odi quello, si suppone una possibile verit; vivendo in unambiente multiculturale e multireligioso, lo stesso cre-dente non pu non adottare una prospettiva panorami-ca e comparatistica sul fenomeno religioso e quindichiedersi perch aderisce alla fede cristiana, mentre sitrova davanti molte altre scelte che reclamano in qual-che modo la sua adesione.

    Questo modello di argomentazione pu essere fa-cilmente universalizzato, postulando come condizioneultima del vero che nessuno sia escluso dallargomenta-

    zione e non venga esercitata alcuna violenza sugli inter-locutori; mira utopica certamente necessaria comedenunciare altrimenti violenza ed esclusione? ma altempo stesso impossibile come non riconoscerne il ca-rattere fittizio? Infatti lutopia del consenso univer-sale e senza costrizione garantisce unicamente la possi-bilit di porsi al di ldello scetticismo (nulla vero) e deldogmatismo (io conosco la verit); posizione che il con-cilio Vaticano II chiama ricerca responsabile della ve-rit (Dignitatis humanae, n . 3 ;EV1/1047).

    Ma, ci detto, bisogna riconoscere che nessuno ob-bligato ad argomentare. Come in passato, per lo pi inostri contemporanei vivono interi periodi della loro esi-stenza senza ricorrere a questo tipo di razionalit. Le lo-ro convinzioni ultime riguardo al senso che danno allaloro vita derivano maggiormente, come abbiamo gi ri-cordato, dal registro emotivo. A questo clima generale siaggiunge laporia inerente alla questione della verit:pur essendo una o comune a tutti gli esseri umani,essa irrimediabilmente segnata dalle nostre divisionistoriche e quindi attraversata dallinsuperabile pluralitdelle nostre convinzioni assiali o ultime. Mentre que-sta aporia, maggiormente percepibile nel nostro conte-sto mondiale e post-metafisico, ma certamente struttura-le dellenigmatico fenomeno umano, costringe il pensie-ro a mantenere al tempo stessoil rispetto della pluralit elargomentazione a favore del vero, essa continua a es-

    sere ridotta a un insieme indistinto di opinioni multiple,persino a degradarsi in violenza o semplicemente in in-differenza reciproca.

    Come argomentare, in questo clima globale di dol-ce nichilismo, a favore della pretesa allassolutezza del-la fede cristiana?

    La dottr ina del postulatoe la struttura dossologica del la fedePer affrontare la questione nel quadro dellaporia gi

    segnalata, a nostro avviso, lunico approccio possibile un rinnovamento della dottrina kantiana del postula-to, rimodellata su una concezione dossologica dellatto

    di fede. Infatti la critica della metafisica nellepoca post-

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    moderna non pu significare la fine di un pensiero delvero che deve allora, per conservare lapertura radicaledellumano, aprirsi un cammino molto precario fra ildogmatismo e lo scetticismo.

    Anzitutto, riguardo al suo versante filosofico, noi riaf-fermiamo lo statuto fittizio dellutopia di una comuni-

    cazione universale e senza costrizione e aggiungiamo giche, per lermeneutica filosofica, il grande racconto bi-blico, detto anche grande codice,10 ha un caratterefittizio; statuto che riguarda pi particolarmente lasua metafora centrale, quella del regno di Dio. Ma pre-cisiamo subito che questa sensibilit nei riguardi delmondo biblico come totalit non esclude assoluta-mente, ma al contrario include, linteresse storico per lagenesi di questo mondo e per coloro che lhanno inven-tato e aperto. precisamente qui che interviene latto dipostulazione: esso conserva fino in fondo e al di l dici che , propriamente parlando, conoscibile un as-soluto che, pur essendo dellordine della finzione o di

    un come se, si presenta come condizione necessariaper permettere a colui che lo pone di condurre una vitasensata.11

    In Kant, che al riguardo si basa sul fatto razionaledellimperativo categorico, questo atto di fede ragione-vole postula unistanza divina, cio un autore morale delmondo, in grado di riconciliare i due ordini della leggenaturale e della legge morale.12 Ma qui poco importa ildettaglio dellargomentazione: il suo stesso andamentoche ci interessa e soprattutto un modo di valorizzare lacreativit interna di una fede che esplicita ed estrapo-la progressivamente tutto ci di cui essa dispone per re-sistere allassurdo e al male,13 fino ad anticipare unen-tit etica comune, una sorta di Chiesa universale e in-visibile sulla terra di cui il regno di Dio il simbolo.

    Ma, se la dottrina kantiana del postulato vuole con-servare soprattutto lautonomia assoluta della coscienzamorale e, in qualche modo, la gratuit del rispetto del-laltro e di s, resa indipendente da ogni promessa dipremio o di castigo, allora bisogna chiedersi ci che mo-tiva in definitiva questo atto gratuito, rendendolo cospossibile. Kant riflette sul problema della volont corrot-ta e pervertita dal male e sulla sua possibile rigenerazio-ne, ma non cede quanto alla necessit di lasciare solo al-luomo e alle sue opere ci che egli deve diventare, buo-no o cattivo.

    Ora qui, proprio nel luogo della massima fragilit

    della volont umana, che si pu introdurre, in una pro-spettiva pi paolina, lesperienza e la nozione del poteressere s stessi o del poter essere pi proprio del s.Kierkegaard, al quale dobbiamo la prima di questeespressioni, guida la traversata del s, mediante la suatrascendenza interiore, fino allimmersione nella poten-za che lha posto,14 mentre Heidegger, autore della se-conda espressione, identifica lemergenza del s con unachiamata ascoltata: Al Se-stesso chiamato, nulla gridato, ma esso convocato a se stesso, cio al suo po-ter-essere pi proprio.15 A causa del carattere formaledel ragionamento, si tratta, in entrambi i casi, di una ve-ra postulazione; in Kierkegaard, essa prende la forma

    di una resistenza al male che il pensatore cristiano usa

    nellanalisi di ci che chiama la malattia mortale, ilfallimento salutare di ogni atto di affermazione di s me-diante il s.

    chiaro che, in tutti questi casi, la tradizione narra-tiva della Bibbia servita da risorsa, permettendo lar-ticolazione filosofica di questa fede post-metafisica

    sotto le sue diverse forme. Per ragioni che si chiarirannoin seguito, il teologo non pu che reagire positivamentedi fronte a questo fenomeno di apprendimento e di riu-tilizzo, pur conservando la propria libert di esprimeredelle preferenze per questa o quella ripresa. Non basta,in una prospettiva neotestamentaria, affermare che que-sta fede di ragione si aggiunge, come in Kant, allacoscienza morale nella sua autonomia; ci sembra chesi possa, e addirittura si debba, poter dimostrare che es-sa rappresenta in qualche modo il nocciolo di una co-scienza spirituale che, in unesperienza di gratuit ori-ginaria, si mostra autorizzata a esistere per se stessa, nel-lintersoggettivit umana enella sua inalterabile solitudi-

    ne; condizione relazionale e socio-politica di cui si par-ler pi avanti.16La dimensione dossologica o teologale della fede

    emerge dal cuore di questa postulazione, precisamentel dove si manifesta una gratuit assolutamente discretae quindi senza esigenza di riconoscenza o di ritorno.Se, sul piano filosofico, luomo biblico appare anzituttocome credente che fa esistere Dio, questo atto di in-venzione, se si osa parlare in questo modo, consiste, daun punto di vista propriamente teologico, nel conferire aDio lo statuto di soggetto; il che implica uninversio-ne dello sguardo o una conversione del soggettoumano che affronta ormai il reale con stupore (thau-mazein), adottando in qualche modo lo sguardo stessodiDio su di lui: Nella tua luce, noi vediamo la luce,canta il salmista, seguito da tutta una tradizione che usala metafora dellimmagine e dello specchio per at-tribuire lazione della sapienza o del Logosnellumanita Dio (cf. Sap 7,26s; 1Cor 13,12; 2Cor 3,18).17

    La libera creativit della fede viene assunta in que-stesperienza dossologica; essa non annullata, poich ilsilenzio di Dio ne la riproduzione. Anche questo si-lenzio assume nellatto stesso di pregare e lodare Diouna nuova connotazione; ora esso abita la fede, la tra-scende dallinterno e lingloba al tempo stesso come in-globa tutto il reale, manifestandosi come semplice sdivino. Perci latto di fede propriamente teologale resta

    il risultato di una sintesiche simultaneamente si prova esi comprende come realizzazione, persino come incar-nazione di un disegno divino18 di cui pu rendere con-to solo un pensiero narrativo in forma olistica; lo mostre-remo nella seconda parte.

    Di fronte ai rischi della storia e alle molteplici mani-festazioni del male, questa fede continua a resistere al-lassurdo e al tragico, ma ormai procedendo a una pon-derazione della vita umana a partire dal s silenziosodi Dio. Indubbiamente la confessione di fede dellapo-stolo Paolo ne lespressione pi alta. Concludendo unlungo processo di riflessione condivisa con i Romani,egli afferma: Ritengo (logizomai) infatti che le sofferen-

    ze del tempo presente non siano paragonabili alla gloria

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    futura che sar rivelata in noi (Rm 8,18). La conserva-zione e la proclamazione di un Vangelo fin nella provadel male e della morte pu avere come soggetto soloDio: Bont radicale di colui che d vita ai morti e chia-ma allesistenza le cose che non esistono (Rm 4,17).

    Un modo di assumerel apor ia del la condiz ione post-metaf i s icaAl punto in cui siamo giunti nellargomentazione

    della fede a favore della sua propria consistenza, possia-mo gi ritornare sullaporia inerente alla questione dellaverit, cio linespugnabile unit del vero e la minac-cia che sembra pesare su di essa a causa dellinsuperabi-le pluralit delle convinzioni ultime che coabitano pi omeno difficilmente in seno alla stessa umanit.

    Riguardo al modo specifico della tradizione biblica ecristiana di affrontare questa aporia insuperabile, lafor-mapropria che le d consiste nellassumere fino in fon-do la fragilit umana che questenigmatica condizione

    produce: la fede prende su di s la menzogna, la vio-lenza e ogni esclusione, persino lassenza di ogni interes-se per il vero; essa applica semplicemente la regola do-ro (cf. Mt 7,12) riguardo alle altre convinzioni assiali del-lumanit.

    Integrare in questo modo la prospettiva altrui, qua-lunque essa sia, al punto da prendere su di s le situazio-ni limite dellintersoggettivit umana, compreso leven-tuale rifiuto di comunicare, significa identificare la veritin definitiva con un modo di comunicare con laltro; unmodo che il Nuovo Testamento, in particolare laposto-lo Paolo, riconosce al Messia che per lui Ges di Na-zaret. Questa prospettiva, che si pu chiamare kenoti-ca (cf. Fil 2,5s) o assimilare alla santit biblica, sup-pone non solo che il soggetto mantenga fino in fondo lacoerenza con se stesso (concordanza fra pensieri, parolee atti) e attivi la sua capacit paradossale di mettersi (consimpatia e compassione) al posto dellaltro senza mai la-sciare il proprio posto; ma essa implica anche e soprat-tutto che, precisamente nelle situazioni limite della co-municazione, sia cambiato il suo rapporto con la morte;su questo ritorner pi esplicitamente nellultima parte.

    La fede, che come abbiamo detto esplicita ed estra-pola, in un processo di valutazione e ponderazione, tut-to ci di cui dispone per affrontare situazioni inedite dicomunicazione, assimila questa santit assolutamentenon esigibile a Dio, considerato come colui che rende

    possibile nella storia limprobabile, persino limpossi-bile. Nella sua forma propriamente dossologica di spos-sessamento di s, essa d cos alla sua Bont radicale ilsuo ultimo significato, al quale mirano la teologia delXX secolo e il concilio Vaticano II quando usano le-spressione paradossale di auto-rivelazione di Dio comemistero (Dei verbum, nn. 2 e 6;EV1/873 e 878).

    Notiamo, per concludere questo primo tempo, chequesto concetto risponde perfettamente alle esigenze diun pensiero post-metafisico, inaugurato mediante lamessa in risalto della modalitdella fede: se Dio ha do-nato tutto, compreso se stesso come indica la nozionedi auto-rivelazione, allora si comprende non solo il

    silenziodi colui che ha detto tutto, ma anche la forma ul-

    tima di una fede che non pu che essere un atto liberosenza alcuna garanzia, ricevendo da Dio senza confu-sione con le nostre conquiste cognitive e tecniche ciche per sempre lui solo pu donare alluomo, cio sestesso nella sua santit assolutamente gratuita.

    Queste riflessioni sul pensiero di Dio nellepoca post-

    metafisica riuniscono tutte le condizioni per liberare iracconti di Dio da unutilizzazione puramente circostan-ziale, persino folkloristica, e introdurli in una teologianarrativa che non schiva la pretesa della fede di porreDio in posizione di soggetto di un intrigo universale. ci che mi propongo di fare ora, nel secondo tempo.

    I I . DA LL A P ON D ER AZ IO NE A LL A N AR RA ZI ON ELa traversata di un pensiero post-metafisico della fe-

    de in Dio ci ha condotti al punto preciso in cui possiamochiederci se vi siano delle ragioni propriamente teologi-che, derivanti quindi dalla figura cristiana di Dio, perfondare il legame fra lui e una narrazione universale,

    stabilita per la prima volta nella letteratura apocalitticacon la nozione di disegno divino.Partir dalla discussione delle ragioni proposte dalla

    teologia narrativa classica a proprio favore, e le valuterin funzione della loro pertinenza in epoca post-metafisi-ca. Poi occorrer mostrare ed il punto principale che i racconti evangelici del Nuovo Testamento sonoparticolarmente consoni alla nostra condizione storica,perch si interessano non solo a Cristo e ai suoi discepo-li, ma anche alla figura, pi elementare e universale, dicoloro che circostanze di ogni sorta pongono davanti al-la questione del peso e del valore della loro vita. Inrealt, questo interesse per le folle anonime e per la sin-golarit assoluta di colui che se ne distacca induce a sta-bilire un legame fra Dio e le nostre storie umane, perchquello che viene detto il suo disegno altro non che ilsuo modo unico di permettere alla moltitudine di farloesistere mediante una ponderazione credente, nel sen-so antropologico ed, eventualmente, dossologico del ter-mine spiegato sopra.

    Allorizzonte di questipotesi si profila gi la questio-ne della ragion dessere degli altri generi letterari o for-me di discorso nella memoria biblica, che potrebberocandidarsi anchessi a un ingresso privilegiato in teolo-gia; questione legittima che noi affronteremo solo nel-lultimo tempo del nostro percorso, per proporre una de-finizione pi precisa della teologia narrativa.

    Le es i taz ionidel la teologia narrat iva c lass icaIn realt fin dallinizio, nel 1973, questa questione di

    una definizione della teologia narrativa caratterizzatada una serie di esitazioni, causate soprattutto dalla con-sapevolezza di certi limiti interni al progetto: veramen-te possibile esprimere tutta la teologia cristiana in termi-ni di teologia narrativa? Tutti gli autori si difendono dalrischio evidente della confusione: Nessuno quindi im-maginer che, sotto il nome di teologia narrativa, si na-sconda il progetto di raccontare invece di pensare, sot-tolinea Paul Beauchamp.19 Fin dalla prefazione del suo

    Dio mistero del mondoEberhard Jngel confessa la sua

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    perplessit: Non riuscivo a risolvere il problema se lateologia narrativa sia realizzabile sotto la forma di unadogmatica scientifica o se la teologia narrativa non fac-cia piuttosto gi parte dei compimenti pratici della Chie-sa e abbia il proprio Sitz im Leben(posto vitale) nellan-nuncio.20 Pi recentemente anche Paul Ricoeur ha

    espresso le sue riserve: Temo una certa inflazione delracconto come genere letterario a spese di altri modi didiscorso: prescrittivi, profetici, innici, sapienziali.21

    I teologi avanzano perlomeno due ragioni per fonda-re il privilegio del racconto rispetto ad altre forme di di-scorso, come ad esempio largomentazione. Sulla scia diPaul Beauchamp, Bernard Sesbo propone una pic-cola antropologia del racconto che cerca di individua-re la molla segreta di questo bisogno di racconti che cicaratterizza. Ricorda che lassenza la sostanza delracconto, e pi ancora la mancanza; questo ci con-duce dal nostro proprio racconto al racconto biblico, perleggervi le due componenti della nostra salvezza, libe-

    razione dalla finitezza e liberazione dal male.22

    GiJean Baptiste Metz aveva avanzato delle ragioni soterio-logiche per fondare la necessit del racconto: la storiadella sofferenza come storia della colpa e storia dei vintiresiste a ogni logica emancipatrice e mette in discussio-ne una soteriologia puramente speculativa.23

    Con un approccio pi barthiano, Eberhard Jngeladduce ragioni propriamente teologichefavorevoli a faredellumanit di Dio una storia da narrare:24 Il fattoche luomo possa corrispondere allumanit di Dio soloraccontandola stato motivato con la conoscenza dellu-manit di Dio come evento che imprime una svolta allastoria umana, che divenne realt non a partire da questastoria e dalle sue possibilit, ma solo dallapotentia alienadel Dio che viene al mondo. Il linguaggio che corrispon-de alla svolta della storia propriamente il racconto.25

    Perci Jngel insiste sulla presenza escatologica dellafine della storia nel corso del tempo: Lannuncio delnuovo tempo fa sembrare lessere del mondo come resovecchio da nuovotempo e destinato a passare.26 Tutta-via ci che pu essere solo raccontato nelcorso del tem-po non unapossibilitdel tempo, ma suppone la ve-nuta al mondo del mistero del mondo. Jngel pensa que-sta venuta in unontologia fondamentale del possibilee del reale27 che annuncia gi gli sviluppi di Paul Ri-coeur nel decimo studio di S come un altro.28

    Il faccia a faccia fra Metz e Jngel molto istruttivo

    nel quadro della nostra ricerca di un principio che per-metta di stabilire un legame intrinseco fra Dio e la nar-razione narrativa. Metz non indica alcuna ragione teolo-gica per stabilire la necessit dellargomentazione, cheegli riduce del resto a unapologia del racconto. Si privaanche di colpo della possibilit di fondare il suo propriomodo di ragionare, identificando il logosdella teo-logiacristiana con una cristo-prassi al seguito di Ges.

    il punto che Jngel contesta con forza, sottolinean-do lesigenza di verit iscritta nel racconto biblico. Scri-ve: Linteresse pratico a cui mira il narratore non sin-dirizza immediatamente allagire, ma vuole rendereesperibile ci che senza la parola narrante per qualsiasi

    motivo non ovvio, ma, sulla base della parola narran-

    te, appare come la cosa pi ovvia. Non la ragione pra-tica ma il giudizio a essere provocato primariamente.29La perorazione di Jngel a favore delluditrice Maria,preferita da Ges a Marta che agisce troppo in fretta,mostra che egli rifiuta la riduzione della contemplazioneallazione. Ma la ragione teologica di questo rifiuto

    linteresse dei racconti biblici per la verit che le stesseScritture valorizzano anche mediante largomentazione.

    In realt, Eberhard Jngel lunico ad aver fondatoteologicamentela diversit dei generi letterari, e special-mente la differenza fra racconto e argomentazione. Perlui la formadei testi pi antichi, lettere apostoliche dicarattere fortemente discorsivo, indica chiaramenteche Dio si offerto alla contemplazione solo nel Croci-fisso: solo questo divieto cristiano delle immagini sareb-be in grado di garantire la singolarit unica di Dio, chenon ha storie perch storia. Largomentazione delle let-tere permetterebbe quindi di proteggere i racconti evan-gelici dalla narrazione apocrifa che dimenticherebbe

    questo principio.30

    Anche se il contenuto dellargomentazione di Jngele soprattutto la concentrazione della sua teologia sulCrocifisso non sono necessariamente convincenti, in-negabile che egli ha toccato, di sfuggita, il principio stes-so di una teologia narrativa che consiste nel mettere inrisalto la concordanza assoluta fra la forma e il contenutodella memoria biblica; un compito che implica evidente-mente una riflessione teologica sui limiti della narrativitche abbiamo annunciato per lultimo tempo del nostropercorso.

    Invece bisogna discutere fin dora laffermazione diJngel secondo cui Dio non ha storie perch storia. Sipu contestare la capacit del grande intrigo biblico, giplurale in se stessa, di generare una molteplicit di rac-conti? Si pensi qui ai racconti della storia, da Eusebio fi-no ai nostri giorni, o alle diverse versioni dellintrigo fi-losofico dei tempi moderni, da Lessing31 a F. Kermode32e J. Habermas, o ancora a quella parte della letteraturamondiale che si lasciata ispirare da una determinata fi-gura delle Scritture o da uno dei suoi intrighi, persinodalla Bibbia nel suo complesso.33 Ma bisogna pensareanche e soprattutto alle numerose biografie dei santi edegli autori spirituali34 che, esse stesse ricalcate sui rac-conti biblici, hanno generato altre biografie a volte ano-nime, in unimmensa moltiplicazione di racconti.

    Vi sarebbe un modo ascetico di volgere le spalle a

    questa visione apocalittica,35 concentrando tutte le ener-gie sulla protezione dogmatica dellunicit di Dio chenon ha storie. vero e vi ritorneremo che lintrigobiblico organizzata attorno al Dio unico e al suo uni-co, lunigenito, colui che cantano i salmi 2 e 110 e cheintravede da lontano loracolo di Is 53,8: Chi raccon-ter la sua generazione?. In realt, per san Tommasoquesta generazione divina e umana di Ges ineffabi-le;36 e noi abbiamo visto largomento di Jngel che inter-rompe il racconto, in questo punto cruciale, con il divie-to di ogni immagine. E tuttavia, non si deve pensare altempo stesso al fatto che la Lettera agli Ebrei, ad esem-pio, trasferisce la filiazione divina alla condizione co-

    mune di tutti? Scrive il suo autore: Conveniva infatti a

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    colui per il quale e mediante il quale esistono tutte le co-se di condurre alla gloria una moltitudine di figli.37Questa straordinaria trasgressione indica chiaramenteche il Dio di Ges Cristo ha una moltitudine di storie.

    La nostra percezione attuale di questa moltitudine,cos come scaturisce dal plurale interno dellintrigo bibli-

    co e dalla sua capacit di generare altri racconti, inti-mamente legata allo statuto dellatto di fede in una so-ciet post-metafisica, analizzata nel primo tempo del no-stro percorso; daltra parte, essa confermata, persinorichiesta dal centro cristologico e pneumatologico deiracconti evangelici. Sono i due punti che bisogna affron-tare ora e che ci inducono ad abbandonare il quadrodella teologia narrativa classica.

    Latto di ponderaz ione r ich iede tempoSopra abbiamo visto che, in una prospettiva filosofi-

    ca, la fede esplicita ed estrapola tutto ci di cui disponeper affrontare lassurdo e che, in una prospettiva teolo-

    gale e dossologica, giunge fino a spossessarsi di s, la-sciando la parola a Dio e adottando il suo sguardo sulreale. Questo spossessamento di s conviene special-mente in tutte le situazioni limite della comunicazioneumana, soprattutto quando la difficile coabitazione fraconvinzioni ultime si trasforma in violenza e si presentaallorizzonte la possibilit di assumere questultima at-traverso un atteggiamento di non violenza. Sperimen-tando concretamente il carattere improbabile di quellaposizione che la tradizione biblica indica con il terminesantit, la fede si spinge fino al fondo della sua estra-polazione dossologica e attribuisce questa santit a Dio,la cui bont considerata tale da rendere gratuitamentepossibile limpossibile, nella stessa storia dellumanit.

    Questesplicitazione e questestrapolazione intrapre-sa dalla fede un atto di valutazione e di ponderazioneche richiede tempo e si iscrive nel tempo di una vita e neltempo della storia. Bisogna distinguere e mantenere in-sieme questi due poli, singolare e collettivo, di uno stes-so atto, perch si generano reciprocamente.38

    Infatti dare senso alla propria vita ed entrare even-tualmente nellinversione dossologica della fede teologa-le resta unesperienza assolutamente singolare che ac-compagna tutta una vita con le sue crisi e le sue riprese,le sue molteplici sorprese e le sue fasi pi tranquille, sen-za poter terminare prima della morte del soggetto; essapu esprimersi precisamente in elementi di racconti, di

    intrighi di risoluzione e di rivelazione (secondo le espres-sioni consacrate dalla narratologia), andando dalla sem-plice confidenza o dalla confessione fino al racconto bio-grafico. Ma essa esiste solo se lambiente la rende possi-bile, fornendo al soggetto le risorse del linguaggio e diuna tradizione con le sue figure di identificazione, per-mettendogli cos di articolare il suo proprio cammino eil suo modo di dargli un senso. Da parte loro, anche que-ste tradizioni di senso hanno una storia che consiste nel-lintegrare nel loro patrimonio narrativo, grazie a un fe-nomeno di rilettura, le esperienze decisive, crisi e ripre-se, che hanno condotto i loro portatori collettivi e indivi-duali, attraverso soglie critiche, a prese di coscienza spi-

    rituali e a valutazioni sempre pi sottili e approfondite.

    La specificit della tradizione biblica non solo quel-la di aver articolato questi molteplici intrighi collettivi esingolari e di averle riunite e collegate in raccolte semprepi ampie, giungendo fino a imprimere allinsieme laforma olistica di un grande racconto. La specificit diquesto corpus evidenziata anche e soprattutto dal suo

    modo di iscrivervi, fin dalle prime parole, lapostulazionedi senso sotto la sua forma dossologica, facendo indubbia-mente di Dio il soggetto del grande racconto che in-globa e orienta dallinterno linsieme degli intrighi sin-golari e collettivi, ma facendolo in modo tale che la va-lutazione del peso di ogni episodio di questo raccontosia progressivamente lasciata agli stessi attori umani. Daquesto punto di vista, il percorso narrativo della Genesi particolarmente significativo per linsieme della Bib-bia.39 Esso articola fin dallinizio i due livelli del disegnodivino e della libert umana, lasciata alla contingenzadella storia e al male sotto tutte le sue forme, ma, nel ci-clo di Giuseppe, d al saggio che sogna e sa interpretare

    i sogni altrui una chiaroveggenza quasi divina e, a cosefatte, lacrime umane provocate dal modo di Dio di trar-re il bene dal male (Gen 50,20).

    Solo che questa postulazione quella di un narra-tore anonimo e onnisciente, quasi silenzioso e, comun-que, assolutamente discreto, che lascia al lettore comeunevidenza che Dio autore di un intrigo divino. Sol-tanto in epoca moderna questa postulazione viene per-cepita come tale e nella sua forma specifica di presup-posto. Nessuno lha espresso meglio di Thomas Mannnel suo grande romanzo Giuseppe e i suoi fratelli inquattro volumi (1933-1943), spesso commentato ai no-stri giorni. Attraverso la memoria di Giuseppe, egli ri-sale ad Abramo e mostra come questultimo, sognato-re roso dallinquietudine, fu spinto a mettersi in cam-mino dallinquietudine di Dio (Gottesnot) e il modo incui lha scoperto, facendo apparire, a pi riprese econ unestrema precisione, linversione del movimentodi postulazione nel cuore della struttura dossologica del-la fede.

    Ecco ci che si legge nel secondo volume: Si chia-mava Abiram, che poteva significare mio Padre subli-me, ma anche, a ragione, padre del Sublime; infatti,in una certa misura, Abraham non forse il padre diDio, dal momento che lo aveva contemplato e nel pensie-ro aveva concretizzato la sua immagine (ausformenundhervordenken)? Certamente, le qualit insigni che gli at-

    tribuiva erano lappannaggio primordiale del Signore,Abram non ne era assolutamente il creatore; tuttavia,non le aveva forse in qualche modo generate scoprendo-le, insegnandole e conferendo loro, mediante lo spirito,una realt? Senza dubbio, le virt onnipotenti di Dio esi-stevano sostanzialmente al di fuori di Abraham, ma esseerano al tempo stesso in lui ed emanavano anche da lui;in certi momenti, era impossibile dissociarle dalla poten-za della sua anima, di lui Abiram, tanto erano stretta-mente unite e confuse nella conoscenza. Era l il puntodi partenza dellalleanza.40

    O ancora questo breve riassunto nel quarto volume:Dio aveva messo nel suo cuore linquietudine, affinch

    lavorasse senza sosta a concretizzarlo attraverso il pensiero

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    (ausformen und hervordenken) e il Signore ricompensla creatura che creava in spirito il Creatore, ricolmando-lo di promesse insigni. Concluse unalleanza con lui af-

    finch ognuno si santificasse attraverso laltro.41

    Plura l i t di f igure del la fede e pl ura l i t

    di racconti : Dio chiede di essere raccontatoSe si passa certo in modo un po troppo rapido

    dalla Genesi ai racconti evangelici, non si abbandonanoi due livelli, stabiliti da narratori onniscienti e anonimi,anche se l la voce divina infinitamente pi discretae il personaggio principale, Ges, conduce, in Marco eMatteo, verso lesperienza abissale dellabbandono daparte di Dio; il che senza dubbio un modo dei narra-tori di mettere alla prova la loro propria onniscienza.Ma il punto specifico, nel nostro contesto, il modo incui questi racconti collocano latto di fede come atto divalutazione allinterno della relazione fra Ges e coloroche lo incrociano. Questa prospettiva talmente decisi-

    va da dover essere integrata nella definizione stessa delgenere letterario Vangelo: I Vangeli sono racconti diconversione che descrivono non solo il percorso di Ges,dallinizio alla fine, ma anche ci che egli diviene in eper coloro che nel loro percorso incrociano il suo.42

    In questa definizione sottintesa la prospettiva nar-ratologica secondo la quale ci che avviene sulla scenadel testo pu riprodursi, nellatto stesso della lettura, frail narratore e i lettori se questi ultimi accettano di entra-re nel processo di identificazione, rappresentato dal rac-conto.

    Ora il racconto non mette solo in scena il destino deidiscepoli di Cristo e dei Dodici, ma riserva soprattuttoun posto privilegiato alla figura di chiunque, senza di-ventare discepolo, si vede accreditato un atto di fede:va, figlio mio, figlia mia, la tua fede ti ha salvato/a (cf.Mc 2,5; 5,34). Lalterit di chiunque fortemente sot-tolineata, soprattutto da Luca che lincarna nella figuradel centurione ammirato da Ges, il quale dichiara allafolla: Neanche in Israele ho trovato una fede cos gran-de (Lc 7,9). Questa fede elementare viene qualificataunicamente mediante la sua situazione relazionale:chiunque si pronuncia, almeno implicitamente, ri-guardo a Ges, diventando cos il beneficiario della suapresenza Figlio mio, figlia mia , essendo al tem-po stesso rinviato da lui alle sue risorse interiori piprofonde La tuafede ti ha salvato.

    Se ci che avviene nei racconti evangelici pu ripro-dursi fra narratori e lettori, bisogna distinguere vari tipidi rapporti con il testo. Non legittima solo la lettura ec-clesiale, fatta dai discepoli di Cristo, ma anche quella dichiunque. Il centurione di oggi che considera questiracconti biblici e linsieme del racconto biblico come te-sto di identificazione e scuola di umanit, vi trova lasua propria avventura umana e attinge, in questo serba-toio, lintelligenza delle vie umane per dare loro ancheoggi una forma, eventualmente scritta; allora lo fa a par-tire da quella postulazione elementare e fondamentaleche suppone che la vita, qualunque cosa capiti, mantie-ne la sua promessa, senza che si produca linversione

    dossologica n abbia luogo lesperienza che vi corrispon-

    de. Un certo ascetismo teologico ha impedito a Jngel dipercepire questa capacit di generazione plurale del rac-conto biblico.

    Invece la lettura cristiana e liturgica del testo attivaimmediatamente la struttura dossologica della fede elinversione che fa di Dio il soggetto del grande intri-

    go della storia e del mondo. qui che si chiarisce in defi-nitiva il legame intrinseco fra Dio e il racconto: solo la let-tura trinitaria del testo biblico permette di conservare fi-no in fondo liniziativa di Dio, mantenuta nellatto dos-sologico, e la creativit inerente allatto di fede, compre-sa quella del chiunque di cui abbiamo appena parla-to: c disegnodi Dio, perch contano fino in fondo lacontingenza pericolosa e gioiosa della storia e la plura-lit e la singolarit dei percorsi umani; ma questalteritinterna al disegno divino gli d al tempo stesso e d allasua unit la profondit abissale43 che il concettodellauto-rivelazione di Dio come mistero, introdottoalla fine della prima parte, tenta di pensare.

    Infatti lesplicitazione trinitaria di questa consegnadi s da parte di Dio permette di conservare, da unpunto di vista teologico, la creativit interna della fede,ancora una volta compresa quella di chiunque: Dio colui che si dona alluomo, donandogli il suo proprioSpirito di santit, affinch luomo possa donargli libera-mente lesistenza nella sua creazione. Il Messia Ges in-carna una volta per sempre questo libero atto di ascoltoe di obbedienza kenotica, divino e umano al tempostesso; ma la sua esistenza sarebbe scomparsa da moltotempo dalla storia e scomparirebbe oggi se coloro che loseguono non continuassero a farlo esistere nei loro pro-pri percorsi. precisamente questa tensione fondamen-tale fra luna volta per tutte del suo passaggio in Pa-lestina elo Spirito Santo e creatore a permettere di pen-sare la creativit storica della Tradizione cristiana e lospossessamento di s a vantaggio dellumanit che devecaratterizzarla in epoca post-metafisica.

    Registriamo, per chiudere questo secondo tempo, undoppio risultato che ci permette di lasciare la teologianarrativa sotto la sua forma classica.

    Abbiamo anzitutto compreso il motivo per cui la teo-logia pu affrontare solo in modo globalmentepositivoitentativi, in epoca post-metafisica, di considerare le tra-dizioni religiose e, in particolare, la tradizione narrativadella Bibbia come una risorsa che permette di ricupe-rare da questi contenuti la modalitdella fede (Vernunft-

    glauben), senza la quale difficile oggi trovare delle mo-tivazioni per agire come si deve, quando si affrontano iproblemi relativi allavvenire della specie umana. Comeil Ges dei racconti evangelici si avvicinato a chiun-que per suscitare in lui la sua propriafede elementare,cos oggi la teologia invitata ad adottare un atteggia-mento ospitale, ovviamente non privo di critica, nei ri-guardi di tutte le manifestazioni di una fede nella vitae nellavvenire dellumanit, comunque si presentino delresto queste risorgive e a qualsiasi profondit si trovino.

    E se dimostra benevolenza e, a volte, ammirazione difronte ai tentativi di apprendimento e di rielaborazio-ne che ha suscitato la sua tradizione, non pu non rico-

    noscere al tempo stesso di aver essa stessa beneficiato

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    dellingresso delle societ nellepoca post-metafisica peruna migliore comprensione della prospettiva teologaledelle sue proprie risorse narrative. Questo processo diapprendimento plurisecolare passato attraverso lad-domesticamento progressivo dellesegesi critica, la cui ri-presa in teologia narrativa possibile solo attraverso la

    mediazione di una filosofia della religione di tipo kantia-no, perch solo questa permette di conferire il suo verosignificato allinteresse storico per la genesi del mondobiblico e per coloro che lhanno inventato e aperto: se in-fatti, da un punto di vista filosofico, questo atto di aper-tura dipende da una postulazione, da un punto di vistateologico esso suppone una libera esperienza dossologi-ca nella quale Dio si manifesta come soggetto di un in-trigo universale, permettendo al credente di affrontare lesue relazioni con gli altri in modo divino.

    Il secondo risultato, intravisto da Jngel, il principiodi concordanza fra la forma e il contenuto teologale del-la memoria biblica. Questo principio ci ha gi guidato

    nel nostro modo di affrontare il racconto biblico e i rac-conti evangelici. Ci resta da esplicitarlo in un ultimotempo del nostro percorso.

    I I I . I L P RI NC IP IO D I CO NCO RDA N ZA F RA F OR MAE CO NT EN UTO E I L IM IT I D EL LA N AR RAT IV IT Se cinteressiamo a questo principio di concordanza

    perch ci permette non solo di chiarire i rapporti fra lateologia narrativa, lesegesi critica e la narratologia lette-raria e biblica, ma anche e soprattutto di giungere a unadefinizione pi limitata e quindi pi precisa della teolo-gia narrativa: essa deve essere riferita a una memoria bi-blica che conosce altri generi letterari oltre al racconto eche si comprende, proprio in questa forma differenziata,a partire dallesperienza teologale di santit come suo ul-timo mistero.

    Un pr inc ipio estet ico e teologaleRicordiamo anzitutto che la concordanza fra la for-

    ma e il contenuto di unopera o di un discorso il crite-rio pi elementare per apprezzarne la qualit stilistica.Ora, questo criterio trova nella narratologia letterariaunapplicazione particolare, perch questultima sinte-ressa proprio alla relazione intrinseca fra il narratore e illettore, come abbiamo gi segnalato: ci che avviene nelracconto fra i personaggi, collegati e caratterizzati in unintrigo pi o meno complesso da un narratore pi o me-

    no onnisciente, chiamato a diventare realtfrail te-sto e i suoi lettori. Lanalisi dei punti di vista occupatidal narratore conduce quindi a individuare il suo mododi guidare il lettore mediante strategie pedagogichepi o meno sottili.

    Questosservazione generale permette di rivolgere aitesti biblici, come a qualsiasi testo, la domanda stilistica:c o meno concordanzae, se c, quale concordanza, fraci cheil racconto vuole comunicare e il suo mododi far-lo? Una domanda che si radicalizza se la posta in giocodella comunicazione il Vangelo, il mistero, la fe-de o ancora la corrispondenza misteriosa della fe-de con il punto di vista di Dio.

    A suo modo, lapostolo Paolo enuncia questo princi-

    pio di concordanza in 1Cor 2,1-5: La mia parola e lamia predicazione non si basarono su discorsi persuasividi sapienza, ma sulla manifestazione dello Spirito e del-la sua potenza, perch la vostra fede non fosse fondatasulla sapienza umana, ma sulla potenza di Dio. Formu-lato a partire dalla sua esperienza apostolica, questo bre-

    ve passo parte dallo statuto teologale della fede, per li-berare luditore rispetto alleventuale forza persuasivadel retore cristiano o, piuttosto, per esigere che la formadel suo discorso non ostruisca la libert divina della fededel ricevente che essa deve suscitare, ma vi sia, al contra-rio, perfettamente accordata; principio generale che bi-sogna evidentemente applicare alle stesse Lettere paoli-ne, ma che si pu estendere anche ai racconti evangelicie al resto della Bibbia.

    Cos precisato, il principio estetico di concordanzafra la forma e il contenuto non apre solo una vera criti-ca interna del canone delle Scritture, ma permette an-che lelaborazione di una teoria dellispirazione;44 esso

    interroga anche la teologia e il teologo sul loro propriomodo di comunicare. Il teologo non pu accontentarsidella posizione di commentatore delle Scritture; anchese gli conviene ritornare sempre alla posizione del dida-skalos di Matteo o anche dellhodegos lucano nascostonel personaggio di Filippo (At 8,31 e contesto), a ispirar-si quindi alle molteplici pedagogie bibliche e alprinci-

    pio di concordanzaquando instaura il suo rapporto ver-so i testi e, con i testi, verso altri lettori, la cui autonomiateologale gli sta a cuore. proprio questo interessecentrale della Bibbia per il punto di vista del ricevente eper la sua situazione, valorizzato dallanalisi narrativa,che obbliga il teologo a collocarsi, con altri lettori, a di-stanza dal testo biblico, fuori testo, non solo a indurloa rileggereil racconto nelloggi, ma anche e soprattutto ainvitarlo a riscriverlo, onorando cos (contro lascetismodi Jngel) la sua forza di generazione plurale stabilita nelsecondo tempo del nostro percorso.

    allora che egli deve fare intervenire la pluralit del-le convinzioni e dei punti di vista allinterno delle no-stre societ post-metafisiche e laporia inerente alla que-stione della verit di cui abbiamo parlato nel primo tem-po del nostro percorso. Infatti il principio estetico del-laccordo fra la forma e il contenuto trova il suo signifi-cato propriamente teologicoquando viene applicato nonsolo ai testi, ma anche e soprattutto ai testimoni chehanno dato loro forma e ne vivono; esso ha allora il no-

    me pi concreto di santit: forma di vita che corri-sponde assolutamente a ci che essa significa, cio lasantit stessa di Dio. Evidentemente questo stile di vitaviene messo particolarmente alla prova quando le nostreconvinzioni ultime diventano fonte di violenza. Allora lasantit si manifesta come quella posizione altamen-te improbabile che, come abbiamo gi detto, consiste nelmantenere fino in fondo la concordanza con s stessi as-sumendo su di s le situazioni limite dellintersoggettivitumana, compreso leventuale rifiuto di comunicare; ilche, in una situazione di minaccia, suppone una libertradicale nei riguardi della prospettiva della morte. Ilcentro del Nuovo Testamento, ci che esso indica come

    il suo mysterion(cf. Mc 4,11; 1Cor 2,1.7) non altro che

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    lunico Dio, il quale comunica alla moltitudine quellasantit che lo costituisce in se stesso (cf. Lv 19,1s; Mt5,43-48).

    In retrospettiva, qui si chiarisce la pluralit dei pun-ti di vista, pianificata da un narratore evangelico chenon vuole controllare la libert dei suoi lettori ma, al

    contrario, da buon pedagogo, suscitarla perfino nelle si-tuazioni limite che il lettore stesso deve attraversare; difronte alle figure di santit presenti nella storia, egli puessere indotto in definitiva ad adottare latteggiamentodossologico nei riguardi dello stesso testo sacro e ac-clamarlo come parola del Dio santo; pu anche legitti-mamente considerarlo un classico fra altri, al quale siriferisce a causa della sua qualit stilistica e della coeren-za del modello di umanit che esso sviluppa, attingendo-vi una fede umana che gli permette di attraversare, al-loccasione in modo esemplare o eroico, le situazioni dif-ficili o gioiose che incontra.

    Concludendo, mi rimane solo da suggerire breve-

    mente che, pur fondando la teologia narrativa, questoprincipio di concordanza, preso nel suo significato teolo-gale, la limita al tempo stesso, per fare debitamente spa-zio ad altri tipi di generi letterari e quindi ad altri tipi diteologie.

    I l imit i del la narrat iv i t la santit diDio, concordanza assoluta fra ci che

    egli e il suo mododi affidarsi alle nostre mani, a chiede-re di essere raccontata: essa a fondare, in definitiva,larticolazione teologica fra il grande racconto biblico ela moltitudine dei nostri racconti e anche a conferire, co-me abbiamo mostrato, alla cosiddetta teologia narrativail suo statuto principiale.45 Ma questa stessa santit esigeanche la presenza di una legge o di una regolazione, of-fre un ambiente nel quale la discussione e largomenta-zione devono trovare il loro posto e sfocia in quella cheessa presuppone fin dallinizio come la sua espressionepi alta, la dossologia sotto tutte le sue forme; cos lasantit apre la teologia narrativa ad altri tipi di pensieroteologico.

    Ricordiamo che lo statuto principiale della teologianarrativa stato al centro del nostro percorso che ha vo-luto onorare fino in fondo il gesto della narrazione bibli-ca che consiste nel mettere Dio in posizione di sogget-to di un intrigo universale. Nella seconda parte abbia-mo affrontato questo legame intrinseco fra Dio e il rac-

    conto dellumanit: anzitutto a partire dallatto di fedecome atto di ponderazione che la sfida principale diogniesistenza umana e che, iscrivendosi in un raccontoindividuale, sostenuto e suscitato dalpotenziale narra-tivodelle nostre tradizioni collettive; poi, a partire dal-linversione dossologica di una fede che collega linsiemedei nostri racconti umani a colui che si consegna senzariserve ai nostri molteplici punti di vista e modi di farloesistere liberamente nella storia. Ora, questo legame fraDio e lintrigo della storia umana riceve una nuova e ul-tima chiarificazione, dopo aver individuato la coerenzaletteraria della tradizione narrativa della nostra memo-ria biblica e aver fondato il principio estetico di con-

    cordanza fra la sua forma e ci che questultima veicola

    nella misteriosaconcordanza di Dio con se stesso, total-menteimpegnato nella comunicazione che fa di se stessoin coloro che senza violenza affrontano la violenza. precisamente questa santit a permettere di compren-dere il versante pneumatologico e cristologico del rac-conto di Dio, dato che la loro unit fonda la teologianarrativa nel suo statuto principiale.

    In realt, la condivisione della santit stessa di Diocon una moltitudine introduce in ogniessere umano, delresto indipendentemente dal fatto di avere o meno unatradizione religiosa, un limite incredibilmente mobilefra un appello smisurato che risuona in lui, lappello aessere comeDio, e la sua propria misura umana (cf.Mt 5,43-48). C veramente generazione quando ciche si presenta cos alla coscienza spirituale (al qualequi ritorniamo) come smisurato si dimostra di colpoa misura di questuomo o di questa donna(cf. Lc 6,38).

    Qui non vale pi alcuna definizione; anche se a noipiacerebbe molto fissare i nostri limiti mediante leggi,

    delimitare il nostro terreno o, al contrario, ridurre lec-cesso divino in noi a un gioco di comparazione o di ri-valit con altri. Ma la generazione gratuita di un uomoo di una donna a immagine dellUnico li rende in-comparabili. Non potendo mai essere definito, lincompa-rabile in noi chiede quindi di essere raccontato: essere rac-contato in una moltiplicazione di racconti individuali ecollettivi. Ma questa moltiplicazione sarebbe impensabi-le se la santit stessa di Dio non avesse assunto una figu-ra storica unicae in modo tale da esprimersi in essa in-teramente il che significa anche una volta per sempreprecisamente nella modalit di una moltiplicazione infi-nita. Qui bisognerebbe esplicitare cosa che non possia-mo fare in questo quadro troppo limitato che la vit-toria di Cristo sulla morte (cf. Gv 10,18; Eb 2,14s) a ren-dere possibile la sua santit, a realizzarla e a offrire ad al-tri una stessa libert (cf. Ap 12,11); un punto molto dif-ficile da accettare in civilt per le quali la morte non fir-ma lunicit di una vita.46

    E. Jngel ha giustamente percepito la novit radicaleche rappresenta questa svolta cristica nella storia dellu-manit, novit che solo la forma della narrazione puonorare. Ma non ha visto che lUnicit di eccellenza diCristo consiste precisamente nellaver generato una mol-titudine di unici: Se il chicco di grano, caduto in terra,non muore rimane solo (monos); se, invece, muore, pro-duce molto frutto (Gv 12,24).

    Come mai allora questa moltiplicazione non produ-ce una disgregazione della tradizione e una diluizioneapocrifa dellarte biblica del raccontare?

    La risposta si trova anzitutto nel discorso prescritti-vo della legge, incastrato nello svolgimento del raccon-to biblico. Forse bisogna dire, in senso inverso, che ilracconto emerge nel cuore stesso della legge, esatta-mente l dove essa afferma, insistendo sulla sfida libera-trice del sabato, la sua propria ragion dessere.47 Infattila norma morale e la sua esplicitazione in una tavola dicomandamenti e di divieti la risposta necessaria dellasociet alla deriva della competizione umana in violen-za. Ma la risposta a un eccesso di violenza, persino a

    unincertezza radicale della specie umana riguardo al

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    suo avvenire, non deve venire da altrove, da un eccessodi bont e di sollecitudine che addirittura la precede ein un certo modo la previene? Il racconto biblico trac-cia precisamente il percorso che conduce dalla preoccu-pazione etica e morale della giustizia verso la scopertadi una giustizia che oltrepassa la giustizia, leconomia

    meta-etica del dono di s allaltro, che costituisce il te-stimone e i testimoni: Amate i vostri nemici e pre-gate per quelli che vi perseguitano, affinch siatefiglidel Padre vostroche nei cieli; egli fa sorgere il suo solesui cattivi e sui buoni, e fa piovere sui giusti e sugli in-giusti (Mt 5,44-45).

    Lestrema fragilit di questo passaggio verso ci chele Scritture indicano come il loro compimento non deri-va solo dalla realt della violenza, ma soprattutto dal-limpossibilit divina di legiferare sullappello a un so-vrappi di giustizia. Di nuovo, il principio della comu-nicazione della santit divina a una moltitudine ci vienein aiuto per farci comprendere la convenienza di una re-

    gola dogmatica e la sua forma. Lungi dal raddoppiare lanorma etica e morale della giustizia, il cosiddetto dog-ma si colloca paradossalmente l dove manca qualsiasilegge per permettere ai testimoni di percorrere fino infondo il loro cammino di realizzazione, per ricordare laloro vulnerabilit costitutiva, aperta dalla grazia, e man-tenerli cos in collegamento fra loro.

    In realt, vediamo emergere nella letteratura episto-lare, ad esempio in san Paolo, una vera regola di fe-de,48 che indica le condizioni della salvezza. Ma la suafunzione non quella di regolare in modo giusto il vive-re insieme degli uomini (cf. Rm 10,1-5), bens di mante-nere aperto in Cristo, termine della legge (Rm 10,4),lo spazio della comunicazione dello Spirito nei cuoriumani (cf. Rm 5,5), senza discriminazione fra tutti gliuomini e senza federarli, su questo unico fondamento,nella Chiesa. Quando nel IV secolo questa regola trovala sua forma compiuta nel Simbolo, il suo contenutotri-nitario indica bene il suo uso spirituale:permettere e as-sociare una moltitudine di racconti, che concordanoperfettamente con limmagine biblica del Dio unico, mi-stero del legame fra incomparabili.

    Una teologia dogmatica o speculativa, riferita al sim-bolo ecclesiale e al suo sviluppo storico, diventa alloranecessaria ed come richiesta dalla stessa memoria bi-blica e da ci che la fonda, la comunicazione storica del-la santit di Dio. Ma, pur avendo una necessaria funzio-

    ne regolativa, essa deve restare legata alla teologia nar-rativa che la protegge da una chiusura ideologica.Come evitare allora, ci chiediamo unultima volta,

    che questa insistenza sulla posizione incomparabile diogni testimone e sulla loro vulnerabilit non provochi laloro emarginazione o il loro ritiro elitario rispetto alla so-ciet? La risposta teologica pu venire solo dallo stile ar-gomentativodi certi discorsi narrativi o di argomenti sa-pienziali che interrompono, a volte a lungo, lo svolgi-mento del racconto biblico. Occorre ricordare che Gese Paolo erano dei temibili controversisti? Linteresse co-stitutivo della Bibbia per la ricezione della santit di Dioimplica questa capacit di ponderazione argomentativa

    del ricevente; essendo questa lultima manifestazione

    della sua libert teologale e la garanzia che la conver-genza o la pace, per parlare in termini biblici, non sia ilrisultato di unimposizione esterna. La presenza dellar-gomentazione mostra che la pluralit spesso conflittualedei punti di vista sottomessa a un lavoro corrosivo del-la critica. Infatti, in regime biblico, lorizzonte della ve-

    rit non dellordine del destino: la verit affidataalla libert storicadelle persone e delle societ.

    Perci oggi impossibile onorare lesperienza delDio santo del racconto biblico, senza rendersi al tempostesso conto del fatto che questo Dio si affidato ai no-stri dibattiti, per cui noi dobbiamo entrare nella contro-versia fra i grandi stili di vita del mondo, che toccanotutti il limite incerto della nostra esistenza. ci che ab-biamo cercato di fare in questo contributo difendendo,in modo argomentativo, i racconti diDio dalla folkloriz-zazione che li minaccia nellepoca post-metafisica emantenendo, a loro riguardo, la questione della verit.Questa controversia che si iscrive in ogni epoca nelle

    grandi strutture di dibattito disponibili in una determi-nata societ deve, al nostro tempo, affrontare la differen-ziazione interna delle pretese di validit inerenti aogni discorso comunicabile: autenticit, giustezza nor-mativa e verit.

    Quando il credente argomenta a favore della giustez-za della proposta cristiana nel mondo sociale e avanzauna pretesa di veritdel suo discorso nel mondo di tuttoci che reale, egli attesta, nel dibattito, coinvolgen-dosi autenticamente in esso, che la societ e il mondonon sono tragicamente chiusi alla santit, ma in quantocreature, fin dalla loro fondazione da parte di Dio, aper-ti a un compimento escatologico; egli argomenta quindi

    a favore del primato ontologico delpossibilesul reale, lacui espressione perfetta ancora una volta la finzioneletteraria del racconto.

    Ma dato lo statuto post-metafisico delle nostre so-ciet nelle quali la Bibbia diventata un racconto cultu-rale fra altri, solo il discorso innicoo dossologico, assolu-tamente gratuito, pu, in definitiva, riconoscere a Dio laposizione di soggetto di un grande intrigo: quellodella sua santit che sta diventando immanente alla no-stra storia multiforme e variegata

    Christoph Theobald*

    * Dedichiamo queste riflessioni alla Facolt teologica dellItaliasettentrionale e a Pierangelo Sequeri, ringraziandoli per la loro ospi-talit e laccoglienza riservata al mio pensiero (cf. Teologia 32[2007/3]).

    1 J.B. METZ, Petite apologie du rcit, in Concilium(1973) 85,57-69 e H. WEINRICH, Thologie narrative, in Concilium(1973) 85,47-55.

    2 cos che J. Habermas riassume la posizione di una teoria uni-versale della giustizia e della morale, slegata da unetica particolaredella vita riuscita che tributaria delle grandi narrazioni metafisichee religiose dellumanit; cf. J. HABERMAS, Astensione giustificata. Esi-stono risposte post-metafisiche alla domanda sulla vita giusta?, inID., Il futuro della natura umana. I rischi di una genetica liberale, Ei-naudi, Torino 2002, 6.

    3 per questo che F. Marty parla nella sua lettura dellopera kan-tiana di nascita della metafisica; cf. F. MARTY, La naissance de lamtaphysique chez Kant. Une etude sur la notion kantienne danalogie,

    Beauchesne, Paris 1980.

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    4 J. HABERMAS, Prologue. La frontire entre foi et savoir. Sur larception et la porte actuelle de la philosophie kantienne de la reli-gion, inEntre naturalisme et religion. Les dfis de la dmocratie, Gal-limard, Paris 2008, 57 (corsivo nostro); ed. originale Zwischen Natura-lismus und Religion: philosophische Aufstze, Suhrkamp, Frankfurt a.M. 2005. I primi tre saggi delledizione tedesca sono pubblicati in Ita-lia in ID., La condizione intersoggettiva, Laterza, Roma-Bari 2007; glialtri otto in Tra scienza e fede, Laterza, Roma-Bari 2008.

    5 Ivi, 14 e 48.6 Cf., ad esempio, questa formulazione: Noi non associamo agli

    orientamenti assiologici che hanno un significato esistenziale per noi e per coloro che condividono il nostro stesso stile di vita una pre-tesa che lascia supporre che essi meriterebbero un riconoscimentouniversale (ivi, 49).

    7 Cf. C. THEOBALD, Le christianisme comme style. Une manire defaire de la thologie en postmodernit, Cogitatio fidei 261, Cerf, Pa-ris 2007, 659 e 693s; trad. it. Il cristianesimo come stile. Un modo di fa-re teologia nella postmodernit, EDB, Bologna 2009, 771ss.

    8 HABERMAS,Entre naturalisme et religion, 53s.9 Ivi, 56-58.10 N. FRYE, Le grand code. La Bible et la littrature, pref. di T. To-

    dorov, Seuil, Paris 1984; trad. it. Il grande codice. La Bibbia e la lette-ratura, Einaudi, Torino 1986.

    11 La nostra fenomenologia dellospitalitneotestamentaria unmodo di onorare le caratteristiche specifiche del mondo biblico

    aperto, in modo unico, da Ges di Nazaret (cf. THEOBALD, Il cristia-nesimo come stile, 50-107).12 Cf., fra gli altri, Critique de la facult de juger, 87s, in E.

    KANT, uvres philosophiques, II, Gallimard, Paris 1985, 1253s; trad.it. Critica del giudizio, Laterza, Roma-Bari 2002.

    13 Jrgen Habermas considera, in Entre naturalisme et religion,26-28, lespressione di Adorno secondo cui il segreto della filosofiakantiana risiederebbe nella sua impossibilit di pensare la dispera-zione () come unapprovazione del dialettico Kant che scruta gliabissi di un pensiero che vuole chiarire, spiegare e si ostina in questoa partire dalla sola soggettivit; non tiene conto delle riflessioni criti-che di Kant sulla teodicea (cf., ad esempio, E. KANT, Sur linsuccs detoutes les tentatives philosophiques en matire de thodice [ber dasMilingen aller philosophischen Versuche in der Theodicee, 1791], inuvres philosophiques, II, 1393-1413).

    14 Cf. S. KIERKEGAARD, La maladie la mort, uvres comple-tes XVI, Editions de lOrante, Paris 172; trad it. La malattia morta-

    le, Mondadori, Milano 1991.15 M. HEIDEGGER, Sein und Zeit, 56, Niemeyer, Tbingen1963, 273; trad. it.Essere e tempo, Longanesi, Milano 2003.

    16 Nel suo approccio, si pu comprendere la versione procedu-ralistica debole dellAlterit proposta da J. Habermas; ma essa ri-schia di porre il trans-soggettivo e lassoluto sullo stesso piano. Scrive:In questa prospettiva, ci che rende possibile lessere-s-stessi appa-re come una potenza trans-soggettivapi che come una potenza as-soluta (Il futuro della natura umana, 14). Riguardo al nostro approc-cio al legame sociale e politico e allalterit che esso implica, cf. il no-stro studio La fede trinitaria dei cristiani e lenigma del legame so-ciale, in THEOBALD, Il cristianesimo come stile, 635-676.

    17 Cf. anche THEOBALD, Il cristianesimo come stile, 733-752.18 Linversione eccessiva che caratterizza la dossologia (cf. pi

    avanti le nostre riflessioni sulla santit) apre lo spazio a un tipo di on-tologia che si potrebbe chiamare ontologia teologale.

    19 P. BEAUCHAMP, Narrativit biblique du rcit de la passion, inRecherches de science religieuse 73(1985) 1, 41 (ripubblicato in ID., Le

    rcit, la lettre et le corps. Essais bibliques, Cogitatio fidei 114, Cerf,Paris 1992, 110).20 E. JNGEL,Dio mistero del mondo(1977), Queriniana, Brescia

    1982, 13.21 P. RICOEUR, Lectures 3. Aux frontires de la philosophie, Seuil,

    Paris 1994, 363 (nota).22 B. SESBO, Jsus-Christ, lunique mdiateur, 2: Les rcits du

    salut, Jsus et Jsus-Christ 51, Descle, Paris 1991, 18-23.23 J.B. METZ, La foi dans lhistoire et dans la socit, Cerf, Paris

    1979, 144-157; trad. it. La fede, nella storia e nella societ: studi peruna teologia fondamentale pratica, Queriniana, Brescia 1978.

    24 JNGEL,Dio mistero del mondo, 390-409.25 Ivi, 396.26 Ivi, 393.27 Cf. JNGEL,Dio mistero del mondo, 264-296; soprattutto 283:

    Noi contestiamo dunque questa fondamentale scelta aristotelica a fa-vore del primato ontologico della realt contrapponendole la possibi-

    lit come il pi ontologico dellessere. Il possibile per allora an-

    che il pi della caducit. La possibilit la positivit della caducit.E questo significa ulteriormente anche il passare stesso, anzi addirit-tura il passato non senza possibilit. Il problema dellontologia diJngel loccultamento dellatto di postulazione che lapre.

    28 RICOEUR, S come un altro, 428s: Intendo bene che lenergeia,che i latini hanno tradotto con actualitas, globalmente designa ci incui siamo effettivamente. Ma, mettendo laccento principale sul sem-pre gi e sullimpossibilit di uscire da questo legame di presenza, inbreve sulleffettivit, non si attenua, forse, la dimensione dellenergeiae della dynamis, in virt di cui lagiree ilpatireumani sono radicatinellessere? Proprio per render conto di questo radicamento ho pro-posto la nozione difondo ad un tempo effettivo e potente. Insisto sui dueaggettivi. Esiste una tensione fra potenza ed effettivit, che mi sembraessenziale allontologia dellagire e che mi sembra eclissata nellequa-zione fra energeiaed effettivit. La difficile dialettica fra i due terminigreci rischia di scomparire in una riabilitazione apparentemente uni-laterale dellenergeia.

    29 JNGEL,Dio mistero del mondo, 402.30 Ivi, 407-409.31 G.E. LESSING, Lducation du genre humain (1780), Aubier,

    Paris 1946; trad. it. Leducazione del genere umano, Laterza, Bari1951.

    32 F. KERMODE, The Sense of an Ending. Studies in the Theory ofFiction, Oxford University Press, London 1966; trad. it. Il senso dellafine. Studi sulla teoria del romanzo, Sansoni, Milano 2004.

    33 Cf., ad esempio, gli studi raccolti in F. MIES (a cura di), Bible etlittrature. Lhomme et Dieu mis en intrigue, Lessius, Bruxelles 1999.34 Cf., ad esempio, ATANASIO DI ALESSANDRIA, Vie dAntoine, in

    SChr400, Cerf, Paris 1994.35 Ap 7,9-17.36 Summa Teologiae IIIa, q 31, a 3.37 Eb 2,10; cf. anche Il cristianesimo come stile, 563-604.38 Cf. il nostro studio Resistere al male, in THEOBALD, Il cristia-

    nesimo come stile, 835-867.39 Cf., fra gli altri, R. ALTER, Lart du rcit biblique (1981), Les-

    sius, Bruxelles 1999, 216-239 e leccellente studio di J.-P. SONNET, Ya-t-il un narrateur dans la Bible? La Gense et le modle narratif dela Bible hbraque, in F. MIES (a cura di), Bible et littrature, 9-27.

    40 T. MANN,Joseph et ses frres, II: Le jeune Joseph, Gallimard, Pa-ris 1936, 40s (corsivo nostro).

    41 T. MANN,Joseph et ses frres, IV: Joseph le nourricier, Gallimard,Paris 1936, 343 (corsivo nostro).

    42

    Cf. C. THEOBALD, Jsus nest pas seul. Ouvertures, in P. GI-BERT, C . THEOBALD (sotto la direzione di), Le cas Jsus Christ. Exg-tes, historiens et thologiens en confrontation, Bayard, Paris 2002, 410.

    43 Cf. la dossologia del c. 11 della Lettera ai Romani: O profon-dit della ricchezza, della sapienza e della conoscenza di Dio! Quan-to insondabili sono i suoi giudizi e inaccessibili le sue vie! Infatti, chiha mai conosciuto il pensiero del Signore? O chi mai stato suo con-sigliere? O chi gli ha dato qualcosa per primo tanto da riceverne ilcontraccambio? Poich da lui, per mezzo di lui e per lui sono tutte lecose. A lui la gloria nei secoli. Amen! (Rm 11,33-36).

    44 Cf. C. THEOBALD, La rception des Ecritures inspires, in P.GIBERT - C. THEOBALD (sotto la direzione di), La rception des Ecritu-res inspires. Exgse, histoire et thologie, Bayard et RSR, Paris 2007,269-298.

    45 qui che termina linsieme del nostro percorso speculativo.Da una parte, noi conserviamo fino in fondo la sua posizione fenome-nologica ed ermeneutica, tenendo conto al tempo stesso dello statutoaporetico della questione della verit che in esso si manifesta. Ma, dal-

    laltra, nella misura in cui la tradizione biblica trasferisce il principiodi concordanza (che ha la propria plausibilit estetica ed ermeneuti-ca) in Dio stesso, noi accordiamo ai testimoni che vivono di questamemoria la possibilit di fondare in modo trinitario in un atto dos-sologico senza garanzia la coerenza di questa memoria e la loro pro-pria relazione con il Santo di Dio che lincarna.

    46 Cf. il nostro studio Il Figlio unico e i suoi fratelli, in THEO-BALD, Il cristianesimo come stile, 715-729, dove cerchiamo di pensaresimultaneamentelabitazione di Dio nei santi e lunione ipostatica delFiglio, essendo luna condizionata dallaltra.

    47 Cf. BEAUCHAMP, Le rcit, la lettre et le corps. Essais bibliques,191-194.

    48 Cf., ad esempio, Rm 10,9: Se, con la tua bocca proclamerai:Ges il Signore!, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risusci-tato dai morti, sarai salvo.

    A p. 50: El GRECO, Gli apostoli Pietro e Paolo (part.), 1587-1592,

    Ermitage, San Pietroburgo.

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