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L 'i n fi l t rat o " C a l c i o e P o l i t i c a ” I DOSSIER DE: “CALCIO “CALCIO & & POLITICA” POLITICA” 1

Calcio e politica: lo sport come arma di persuasione di massa

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Il rapporto tra calcio e politica, come ha dimostrato Silvio Berlusconi con il Milan, è stretto e pieno di lati oscuri. E lo sport viene usato come un'arma di persuasione di massa.

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I DOSSIER DE:

“CALCIO “CALCIO &&

POLITICA”POLITICA”

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CALCIO E POLITICA/ Berlusconi compra, il

Milan vince e il Palazzo trema…

Giovedì 03 Febbraio 2011

Secondo Maroni "se il Milan vince Berlusconi perde". Esiste davvero un rapporto tra il

calcio e l'appeal politico del Premier? Il pallone che ottunde le menti ed esalta

l'irrazionalità del tifo è lo spot preferito da Berlusconi per rafforzare l'immagine di

"uomo che si è costruito da sè". Ha preso il Milan sull'orlo del fallimento, portandolo in

cima al mondo: sarà in grado di fare lo stesso con l'Italia? Chiaramente no, ma ciò che

conta è la verità percepita...

“Non ci saranno nuove elezioni, perché il governo durerà

il tempo della legislatura, cioè altri tre anni. Il Milan non

ha assolutamente preso i campioni perché pensavo al

voto”. Dopo gli acquisti di Ibrahimovic e Robinho con

queste parole Silvio Berlusconi tranquillizzava i tifosi

milanisti:non c’è alcuna sorta di legame tra calcio e

politica. Eppure è indubbio che le perplessità non sono

affatto poche.

Basti ricordare che durante questa stagione – che da un punto di vista politico è stata ed è tuttora

molto travagliata ed incerta per Berlusconi – il Milan ha acquistato fior fior di giocatori: non solo i

già citati Ibrahimovic e Robinho, ma anche Cassano, ed ora, durante il mercato di riparazione di

gennaio, anche Van Bommel, Emanuelson, Didac e Legrottaglie. Tanti acquisti, dunque, sebbene

tempo fa la dirigenza milanista avesse dichiarato espressamente di non navigare in acque tranquille.

Il dubbio, dunque, rimane. Ma è solo un dubbio o c’è di più? Analizziamo la vicenda sin da

principio. Fino ad arrivare alle ultime vicende che sembrerebbero legare calcio e politica, due facce

della stessa medaglia. Due interessi della stessa identica persona.

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CALCIO e POLITICA/ 1986 e 1994: i due “avventi” di Silvio BerlusconiGiovedì 03 Febbraio 2011

Il 1986 è l'anno dell'arrivo in elicottero, quando un allora sconosciuto ai più Silvio

Berlusconi decise che era il momento di fare calcio spettacolo. Nel 1994 si scende in

campo, ma il prato verde c'entra poco, perchè il futuro Premier ha deciso di dare una

svolta alla sua vita (giudiziaria e non...): Forza Italia trae la sua ispirazione proprio dal

calcio e proprio nell'anno del mondiale a stelle e strisce...

Primavera 1986: il Milan di Giussy Farina allenato

da Nils Liedholm è sull’orlo del fallimento, sportivo e

societario. Azioni sequestrate dalla magistratura, un

presidente in fuga e creditori inferociti alle porte di

Milanello. Un attimo prima che i libri contabili

vengano portati in tribunale, un allora sconosciuto ai

più Silvio Berlusconi, dopo mesi di tentennamenti e

trattative al ribasso, compra il club di via Turati per

cambiare la storia. Del calcio, certo, ma anche della sua vita e, soprattutto, della politica italiana.

Vediamo come. Maggio 1994: vinte le elezioni, quattro mesi dopo aver annunciato ufficialmente la

sua “discesa in campo”, Silvio Berlusconi varca le soglie di Palazzo Chigi. È da questo momento in

poi che in Italia si compie quella perfetta sintesi di interessi tra calcio e politica. Basti ricordare una

data su tutte: 18 maggio 1994. Quel giorno il Milan guidato da Fabio Capello vince ad Atene la

Coppa dei Campioni battendo per quattro a zero il Barcellona allenato da Johan Cruiff. Nella

stessa giornata Berlusconi, uscito vincente dalle elezioni del 27/28 marzo, presenta il suo governo al

Senato e ottiene la fiducia (anche se, come sappiamo, servì a poco: nel dicembre dello stesso anno

Umberto Bossi e la Lega fecero cadere il Governo. Gli stessi amici di oggi, ieri erano grandi

nemici).

Ma non è soltanto una questione di date. C’è di più. Innanzitutto sono molti a ritenere che ci sia il

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calcio all’origine della leadership politica di Silvio Berlusconi. Prendere una squadra sull’orlo

del fallimento e proiettarla in maniera stabile ai vertici del calcio mondiale è stato un passaggio

decisivo e fondamentale nella costruzione della sua immagine di leader vincente. “Quello che ho

fatto col calcio lo farò con la politica, far sognare”: questa la strategia più volte rivendicata dal

nostro Presidente del Consiglio. Un atteggiamento vincente sul campo che Berlusconi ha cercato di

proiettare in politica.

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CALCIO e POLITICA/ Grane giudiziarie

anche col Milan: Lentini e il falso in bilancio

Giovedì 03 Febbraio 2011

Il calcio, come tutti gli interessi berlusconiani, non è esente da atteggiamenti ambigui e

sopra le righe - per usare un eufemismo - che risolvono in maniera sbrigativa e illecita

piccoli e grandi intoppi lavorativi. Il caso Lentini creerà il presupposto per la

depenalizzazione del reato di falso in bilancio, che servirà a Berlusconi anche in ambiti

extra-sportivi. Ancora una volta calcio e politica vanno di pari passo...

Silvio Berlusconi comprende immediatamente il

potere del calcio in Italia: uno sport che trascina

menti e, per certi versi, le ottunde anche. E allora è

necessario vincere per far bene anche in politica o,

meglio, per ottenere quella credibilità necessaria per

governare. Non è un caso, allora, che Berlusconi salga

a Palazzo Chigi proprio nello stesso anno in cui il

Milan, come detto, vince la Coppa dei Campioni.

Eppure un anno dopo quella vittoria la magistratura capisce che qualcosa non andava nella

contabilità della squadra rosso-nera. Secondo i magistrati, infatti, i bilanci sarebbero stati

“fraudolentemente falsificati” negli anni 1993 e 1994. I fatti emersero in relazione all’acquisto dal

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Torino del giocatore Gianluigi Lentini, per il quale si è parlato di un versamento “in nero” di una

decina di miliardi di lire. Per questi motivi Silvio Berlusconi è stato indagato per il reato di falso in

bilancio e il 28 maggio 1998 viene rinviato a giudizio presso il Tribunale di Milano. Come si è

concluso il processo?

Come sempre, quando l’imputato è il Cavaliere Silvio Berlusconi: il 4 luglio 2002 il processo si

conclude definitivamente con il proscioglimento di Berlusconi per intervenuta prescrizione del

reato. Si è accertato che il reato non è stato commesso? Assolutamente no. Non si è accertato

affatto. O meglio si è impedito che si potesse accertare. Capiamoci meglio. In quel periodo

Berlusconi era tornato al potere (Governo Berlusconi II) e questo gli permise, il 28 settembre 2001,

di approvare una legge che gli avrebbe permesso di dormire sonni tranquilli: depenalizzazione del

falso in bilancio. Ricordiamo velocemente in cosa consiste. Innanzitutto il falso in bilancio, da

reato di “pericolo” (per i soci, ma anche per il mercato, per i creditori, i fornitori e così via) diventa

reato di “danno” (per essere reato, deve danneggiare i soci. Domanda: come si possono danneggiare

i soci falsificando i bilanci e pagando in nero, se questo è finalizzato proprio a conquistare

illegalmente nuove fette di mercato?).

Un’assurdità dunque. Così commentò il giudice Davigo: “non esistono processi per falso in

bilancio scaturiti dalla denuncia del socio di maggioranza, che di solito è il mandante e il

beneficiario del reato”. In più le pene scendevano vertiginosamente (fino a tre anni, così da

impedire intercettazioni e custodia cautelare in carcere) così come i termini di prescrizione: il

termine massimo passava da quindici a sette anni e mezzo per le società quotate e addirittura a

quattro e mezzo per le non quotate.

Fino poi ad arrivare all’inverosimile con le “soglie quantitative” di contabilità occulta: chi tace del

bilancio fino all’1% del patrimonio netto non rischia assolutamente nulla. Risultato? Il Processo

Lentini si interrompe quando ancora il dibattimento è in pieno svolgimento ed una sentenza di

primo grado dunque era ben lungi dall’essere emanata. Il processo va ipso facto in fumo per la

prescrizione abbreviata per legge, perché nessuno dei soci – chiaramente – querela, perché gli

importi sono inferiori alle soglie di punibilità.

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CALCIO e POLITICA/ L’importanza degli

acquisti: cogli l’attimo

Giovedì 03 Febbraio 2011

Sembrerebbe impensabile che gli acquisti vengano decisi e ponderati tenendo conto

non della rosa calcistica, ma del clima politico che si respira. È vero, sembrerebbe

assurdo, ma alcune vicende di mercato creano forti dubbi: dal caso Kakà a Ronaldinho,

per finire con Ibra e Cassano, tutto sembra calcolato in base all'agenda e alle strategie

di Berlusconi.

Prendiamo il caso di Ricardo Kakà e analizziamolo

nei dettagli. Gennaio 2009. Il Manchester City era

quasi riuscito a convincerlo e ad acquistarlo, ma alla

fine “Riccardino” aveva detto no per amore del

Milan, respingendo – attenzione - sia le valigie

piene di sterline della Premier League, sia i progetti

di mercato dei dirigenti rossoneri. Già, perché il

Milan già allora avrebbe voluto mandarlo via,

accettando la maxi offerta di quasi 130 milioni di euro fatta dallo sceicco Al Mubarak. Fa niente

se vent’anni prima Berlusconi ripetesse, di fronte alle lusinghiere offerte della Sampdoria per

Franco Baresi, che “le bandiere non si vendono”.

Ma i tifosi non ragionano allo stesso modo dei dirigenti: tre giorni di fila sotto la casa milanese del

giocatore per protestare contro la cessione. E alla fine Kakà rimase. E Berlusconi? Nonostante,

come detto, la dirigenza avesse preferito intascare i quasi 130 milioni, il Presidente non perse

l’occasione davanti agli occhi dei tifosi e degli elettori.

“È stato lui che ha resistito – annunciò il Cavaliere il 19 gennaio al “Processo” di Aldo Biscardi - e

io sono veramente felice di averlo mantenuto in rossonero perché Kaká non è soltanto un grande

campione, ma anche un grande uomo che ha rinunciato all’offerta del Manchester City dicendo

che i soldi non sono tutto”. E, infatti, come volevasi dimostrare, il Presidente ottenne il risultato

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sperato: poco dopo sul sito ufficiale del club si leggeva: ”L’amore dei milanisti ha vinto alla

grande. Grazie Presidente! Grazie Kaká!”.

Ora attenzione. Arriviamo al 9 Giugno 2009. Un comunicato diramato dalla società del Milan in un

orario insolito (mezzanotte e mezza) annuncia che Kakà è un giocatore del Real. Perchè è stato

venduto sebbene lui avesse già dichiarato che avrebbe preferito restare a Milano? Lo svela lo stesso

Kakà: “mi ha chiamato la società e mi ha confermato la assoluta necessità di vendermi”, visto che

“il Milan sta attraversando una crisi senza precedenti“, ed è “la prima volta che hanno pensato di

vendere un giocatore”. Ma logicamente Berlusconi non vuole metterci la faccia e allora ecco un po’

di “balle” raccontate dal premier in merito a questa cessione:

“Non è deciso niente”. Falso, era già tutto deciso da una settimana, come poi confermò lo stesso

Perez, presidente del Real (in Brasile Kakà già firmava maglie madrilene);

“E’ il giocatore che voleva andare via”. Falso, visto che il giocatore, come detto, aveva dichiarato di

voler rimanere;

“Fosse per me lo terrei”. E’ inutile spiegare, a questo punto, perché sia non solo falso, ma anche

contraddittorio.

Qualcuno, a questo punto, potrebbe chiedersi: cosa c’entra la politica? Tutto. Occhio alle date: nel

giugno 2009 Silvio Berlusconi è impegnato nelle europee, primo appuntamento dopo le politiche

che l’avevano riportato al Governo sconfiggendo Veltroni. Un’occasione importante per

testimoniare la tenuta di partito e Governo. Le elezioni sono fissate per il 6 e 7 giugno 2009. Il Pdl

ottiene il 35%. Due giorni dopo, 9 giugno, arriva l’ufficialità: Kakà è del Real Madrid.

Casualità? Pare proprio di no. Perché non cederlo prima ad una cifra più alta, se il motivo per cui

poi è stato ceduto è un motivo economico? Perché aspettare proprio l’indomani delle europee per

annunciare questo trasferimento? D’altronde lo stesso Berlusconi confessò la sua prospettiva sul

Milan quando si parlava a maggio di una possibile cessione del Milan: “Vendere il Milan mi

costerebbe in termini di popolarità”, disse il Presidente.

Ma allora ragioniamo anche su altri acquisti più recenti. Abbiamo accennato alle politiche: lo

scontro Berlusconi – Veltroni risale al 13 e 14 aprile 2009. C’è un legame – seppur indiretto – con

l’acquisto di Ronaldinho. Perché indiretto?

Perché ufficialmente il brasiliano arrivò al Milan solo a luglio, ma se ne cominciava a parlare

proprio a inizio anno, in piena campagna elettorale. Ricordiamo cosa disse, ad esempio, in quel

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periodo Ernesto Bronzetti, consulente di mercato per il club rossonero e agente Fifa: “Il Milan è

fidanzato col brasiliano, sono come due fidanzati in attesa di matrimonio”. E giù di lì attestati di

stima in campo, sugli spalti, sui siti internet per il Presidente Silvio Berlusconi.

Ed ecco le ultime vicende. Facciamo un piccolo confronto, seppure molto eloquente. Stagione

2009/2010. Il Milan non mette in porto nessun “colpaccio di mercato”. Anzi, l’unico grande

trasferimento è in uscita. Quello, di cui già abbiamo parlato, di Kakà. Passa un anno. Il Milan

decide di tornare sul mercato e lo fa in maniera devastante: Robinho, Ibrahimovic, poi Cassano, Van

Bommel, Emanuelson.

A questo punto ragioniamo sul clima politico di questi ultimi due anni. Per quanto riguarda il

periodo della stagione 2009/2010 il Pdl rimane indiscutibilmente primo partito italiano, mentre il

Governo continua con la sua attività quasi incontrastata per via di una maggioranza a dir poco

spropositata. Passa un anno e la musica cambia notevolmente: Fini si allontana da Silvio, nasce

Fli, emergono nuove inchieste. Berlusconi, in pratica, è con le spalle al muro. La sua unica

salvezza è investire nel calcio, in quello sport che tanto ottunde i cervelli, che poi possa spronare gli

“sfegatati” a votare in un modo invece che in un altro.

Potrebbero allora essere intesi come acquisti mirati a risollevare il morale di tutti quei milanisti che,

nel periodo passato, avevano manifestato il desiderio che Berlusconi abbandonasse la dirigenza

milanista (ricordiamo alcuni cori e striscioni degli Ultras del Milan a fine campionato: “Vendi Kakà

per risanare la società e non spendi più i tuoi milioni. Caro Berlusconi grazie di tutto e vai fuori

dai c…”; “Sono anni che compri bidoni e figurine. Quest’anno chi compri…le veline??”; “Ad

agosto fiducia incondizionata, tiriamo le somme di questa annata: mister e ragazzi promossi per

l’impegno, presidente bocciato assente ingiustificato!”).

Era doveroso riconquistare la loro fiducia proprio in un periodo caldo in campo politico: le elezioni

potrebbero essere vicine e Berlusconi non può rischiare di giocarsi qualche voto. Nel gioco del “do

ut des”, Berlusconi ha regalato Ibrahimovic & co., nella speranza che i milanisti, poi, non lo

tradiscano in ambito elettorale. Non sarebbe un caso allora che Antonio Cassano sia arrivato

proprio all’indomani del voto di fiducia che aveva consegnato al Governo una maggioranza

assolutamente traballante e aperta all’ignoto, con la Lega che spinge per le elezioni e con pochi

deputati invidiosi e inetti, banderuole che passano da una parte all’altra, ad avere in mano il futuro

di questa legislatura.

Un legame calcio-politica, dunque, c’è. Né questo può apparire secondario, se poi riflettiamo anche

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sui risultati politici a cui tendono. Ma allora fino a che punto possiamo considerare che sia stata una

battuta quanto detto da Berlusconi in seguito alla sconfitta nelle prime giornate di campionato

contro il Cesena (2 a 0)?: “Ieri sera il Milan ci ha dato dei dolori – disse durante la festa dei giovani

Pdl – ma non ha giocato male. Non c’erano 3 fuorigioco. Il problema è che spesso il Milan

incontra arbitri di sinistra”. Il dubbio – anche qui – resta.

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CALCIO E POLITICA/ Mister B. e il Milan:

quando Zac fu uno yo-yo per la politica del

capo…

Venerdì 11 Febbraio 2011

Sabato 5 Febbraio. Alberto Zaccheroni, fresco vincitore della Coppa D'Asia alla guida del

Giappone, rivela: "Da quando litigai con Berlusconi non ho più allenato una squadra di

serie A, se non subentrando ad altri allenatori." Prima vittima di quella macchina del

fango che in seguito colpì Sircana, Boffo, Fini... Il micro-cosmo calcistico berlusconiano è

sempre stato ad immagine e somiglianza del Premier, che troppo spesso ha cavalcato

l'onda sportiva per interessi politici.

Lo sport come arma di persuasione di massa.

Peculiarità dei regimi totalitari in passato, moda

diffusa nei tempi moderni grazie alla quale il potere

politico può aumentare o controllare il consenso

popolare. In Italia un saggio sulla materia non poteva

che arrivare da Silvio Berlusconi, a più riprese

intervenuto sulle questioni del Milan – del quale è

proprietario, ma non presidente – in momenti politici

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più rilevanti di quanto lascino trasparire le apparenze.

Emblematiche in tal senso furono le ripetute esternazioni tra il 1998 e il 2001, quando a

Montecitorio il Cavaliere era all’opposizione e sulla panchina rossonera sedeva Alberto

Zaccheroni. Premiato sabato 5 febbraio dal sindaco di Cesenatico, sua residenza, per la recente

vittoria in coppa d’Asia con il Giappone del quale è commissario tecnico, l’allenatore romagnolo –

fra le tante dichiarazioni – ha voluto lasciare un pensiero anche per l’attuale presidente del

Consiglio, del quale fu dipendente nel triennio sopracitato e dove conquistò il primo tentativo il

penultimo degli attuali diciassette scudetti rossoneri: «Da quando litigai con Berlusconi non ho

più allenato una squadra di serie A se non subentrando ad altri allenatori».

Vittima progenitrice della macchina del fango che in futuro colpirà, tra gli altri, Dino Boffo e

Gianfranco Fini, all’epoca dei fatti Zac divenne senza volerlo uno yo-yo nella mano del padrone,

che lo lanciava e riavvolgeva a sé in base alle convenienze politiche del momento.

Aprile ’98. L’Udinese di Zaccheroni è la squadra del momento: terza in campionato, schiera il

capocannoniere Bierhoff (27 gol, 2 in più di un Ronaldo allora ancora Fenomeno) e pratica un

gioco effervescente, figlio del suo allenatore, che applica un modulo mai adoperato prima in Italia:

il 3-4-3. Intento a giocare al gatto con il topo nei confronti del governo di centro-sinistra in materia

di bicamerale, B. deve anche assistere agli orrori rossoneri del Capello II, che s’inabissa con la

clamorosa sconfitta in finale di coppa Italia contro la Lazio.

«Quest'anno il Milan ha sempre giocato male. Lo vorrei diverso, con un gioco arioso come quello

dell' Udinese» confida ai suoi collaboratori all’indomani delle uova lanciate dai tifosi contro il

pullman della squadra prima di Milan-Parma, 11 maggio ’98. Traduzione del messaggio:

“ingaggiate quell’allenatore”. Detto fatto. Il 25 maggio Alberto Zaccheroni è ufficializzato nuovo

allenatore del Milan. La notizia, oltre a rigenerare gli animi dei tifosi, fa di B. un acuto osservatore

del presente e ne innalza il prestigio pubblico. Quanto basta per proclamare l’ultimatum, 27 maggio,

sulle sue irremovibili condizioni (cancellierato e doppio turno proporzionale) per la bicamerale e

mandare in fumo i disegni di D’Alema senza pagarne le conseguenze, bensì dopo aver incassato

l’assicurazione dal centro-sinistra che non gli sarebbero state toccate le televisioni.

Un anno dopo. 23 maggio 1999. Siamo a tre settimane dalle elezioni europee, Prodi è caduto

nell’ottobre precedente e al suo posto c’è D’Alema. Il Cavaliere è impegnato nella traversata del

deserto che dovrà riportarlo a Palazzo Chigi; per i sondaggi Forza Italia è in ascesa. Quel giorno, a

Perugia, al termine di una stagione che secondo i piani dirigenziali e tecnici doveva essere soltanto

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di transizione, il Milan di Zac conquista lo scudetto con un punto di vantaggio sulla più quotata

Lazio. A sera, Sua Onnipresenza attraverso l’amato tubo catodico si manifesta nelle case degli

italiani per assumersi i meriti della rimonta sulla Lazio, 7 vittorie in 7 partite, in particolare la

paternità di schierare Boban dietro le punte. La Storia vuole però che già il 10 gennaio dello stesso

anno, a Empoli, Zac avesse già sperimentato la variante tattica che contraddistinguerà l’ultima parte

del fortunato cammino del Milan. Un particolare che il tecnico non manca di far notare con serenità,

rivelando un’anima poco incline al compromesso e alla salvaguardia del quieto vivere.

Intanto il 13 giugno 1999 Forza Italia è il primo partito italiano alle europee. In un periodo dove il

calcio è attraversato dalle spregiudicatezze economiche di Tanzi, Cecchi Gori, Cragnotti – che

spendevano più di quanto avessero – B. – che di soldi veri ne avrebbe – gioca al risparmio e

riprende a muovere lo yo-yo a seconda della sua utilità. Ovviamente politica.

Dopo un tira e molla mediatico all’insegna di suggerimenti non accolti su come dovrebbe giocare il

Milan – linea a ‘quattro’, ignaro che con la vituperata difesa a ‘tre’ ha vinto uno scudetto – si arriva

al 9 marzo 2000. Mancano quaranta giorni alle elezioni regionali e il centro-sinistra annaspa: dopo

la caduta di Prodi, D’Alema ha già formato due governi differenti. A condire il menu, le

“rosseggianti” simpatie politiche di Zac: che ha perso il derby con l’Inter e si ritrova a leggere un

attestato di grande stima rilasciato dal suo datore di lavoro al settimanale Rigore: «Zaccheroni

potrebbe non essere il sarto adatto per la stoffa di qualità che ha sottomano».

Peccato che quel Milan, più che a un atelier di alta moda, assomigli tanto alla bancarella di un

mercato rionale: dopo lo scudetto, tranne Shevchenko e un giovanissimo Gattuso, son arrivati

mestieranti come Orlandini e Tonetto più giovani sconosciuti quali Graffiedi, Teodorani e Sadotti.

Gente che, tranne qualche sporadica apparizione del primo, vedrà l’erba di San Siro giusto dalla

tribuna…

Zac vive una quaresima di risultati fino a Pasqua: 2-1 alla Reggina (con le 3 punte e la difesa a 3)

sette giorni dopo la vittoria di B. alle regionali e le dimissioni del governo D’Alema. Tante belle

notizie rendono ebbro Sua Onnipresenza, che il 30 aprile dichiara: «Il tecnico non è mai stato in

dubbio. Abbiamo un progetto ben preciso. Lo porteremo avanti con lui». Ma due settimane dopo la

sbornia è già smaltita: «Voglio una vittoria senza sofferenza per i settantamila di San Siro: per

ritrovare il nostro bel gioco dobbiamo andare a Chi l'ha visto? Non è stata una stagione disastrosa,

ma avevamo ambizioni diverse dal terzo posto».

È il 13 maggio 2000. Ironia della sorte vuole che sia un anno esatto dalle elezioni politiche. Alle

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quali B. si ricandida e intraprende una drastica campagna elettorale: o con lui, o contro di lui.

Niente sconti, anche in campo calcistico. Come sopportare dunque un allenatore che fa di testa sua e

che, tra le altre, ha simpatie politiche tendenti a sinistra? Al consueto mercato estivo low-cost si

aggiunge una sconfitta agostana contro il Real Madrid (1-5) in un banale trofeo amichevole, che

aziona il count-down della permanenza di Zac al Milan.

La situazione precipiterà mesi successivi quando la squadra, in seguito a una sequela inenarrabile di

infortuni, uscirà dalla Champions League dopo l’1-1 con il Deportivo in casa. È il 13 marzo 2001.

Mancano due mesi precisi alle elezioni politiche. Serve trasmettere un messaggio agli elettori che

davanti a loro c’è un uomo forte, padrone del momento e del destino, pronto ad agire in prima

persona per far andar le cose nella direzione giusta. Così nel dopopartita B., latitante dalle questioni

rossonere nei mesi precedenti, gioca un’ultima volta con lo yo-yo.

«Non ho condiviso molte delle scelte tecniche che sono state fatte nel Milan negli ultimi due anni

ma ho lasciato fare a loro visto che avevano l’appoggio sia del pubblico che della stampa. Adesso

mi sembra che i risultati portano a dire che avevo ragione io. Adesso io penso che debba lasciare da

parte il riserbo. Guardo indietro nel passato: quando questa squadra vinceva era merito di qualcuno

e quando perdeva era colpa della società. Un discorso che non sta né in cielo né in terra. Da domani

comincerò ad occuparmene personalmente» esclama in diretta tivù ritornando Sua Onnipresenza e

fabbricandosi un magnifico spot elettorale sulla sua natura di “uomo del fare”, che al momento

opportuno interviene per riparare agli errori. Commessi da altri, ovviamente…

Peccato che nessuno gli chieda conto, visto che era il presidente, del suo operato (nullo) nell’ultimo

biennio rossonero. Il ghe pensi mì in salsa calcistica produce l’esonero di Zaccheroni e la sua

sostituzione con un fedelissimo del club, Cesare Maldini (Tassotti vice), in piena sintonia con le

direttive di Villa San Martino, che completa una mossa comunicativa a base di romanticismo

apparente e buoni sentimenti fittizi.

Due mesi dopo ci sono le elezioni politiche. B. vince e va a Palazzo Chigi.

Peccato però che prima che torni a vincere il Milan dovranno passare altri due anni…

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