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Marco Gui Cambiamento del consumo mediale e integrazione sociale. Una ridefinizione del campo di analisi 1. Introduzione Tra le esperienze che distinguono la socializzazione di persone appar- tenenti a diversi gruppi sociali, il consumo mediale ha rappresentato, nel- l’era dei media di massa, una base sostanzialmente condivisa. Individui appartenenti a gruppi sociali diversi, soprattutto se nella stessa fascia d’età, hanno cioè finora esperito «diete mediali» in gran parte collimanti. Questa situazione è stata determinata da una concentrazione dell’au- dience su pochi rapporti comunicativi controllati da un centro. In questo modo il consumo mediale è diventato, insieme all’istruzione pubblica, al servizio militare, alle feste nazionali, un fattore di coesione tra gruppi che hanno, al di fuori di questi ambiti, esperienze divergenti. Come fa notare efficacemente Sunstein (2001), il sistema dei mass me- dia rientra tra quei «general interest intermediaries» che hanno contrad- distinto le società occidentali del XX secolo. Tali istituzioni sono relativa- mente recenti ma, possiamo aggiungere, sono diventate un fattore distin- tivo di ciò che è stato definito modernità, e il cui dissolversi rappresenta uno dei motivi principali per la ricerca di nuove etichette da parte degli studiosi. Le società occidentali, durante il XX secolo, si sono così riconfi- gurate assegnando ai media un ruolo rilevante nel mantenimento della propria integrazione. Oggi, l’avvento dei media digitali espande le opportunità di ricezione di comunicazione, ma anche di creazione, archiviazione e condivisione di questa, e il panorama con cui hanno fatto i conti tradizionalmente le Scienze della Comunicazione comincia a presentare caratteri di disconti- nuità. La crescita esponenziale delle opzioni, e le crescenti possibilità di personalizzazione rendono più importante di prima l’attività della sele- zione mediatica, ossia la scelta dei rapporti comunicativi in cui gli indivi- dui si vogliono inserire. Le audience si trovano cioè sempre più esplicita- mente a dover ritagliare delle «diete mediali» personalizzate nel panora- ma sempre più esteso dell’offerta. Questa attività di selezione porta con sé la possibilità di una differen- ziazione anche significativa del consumo mediale, che dipende sempre più dalle preferenze individuali e sempre meno da una offerta centralizza- ta. Al limite, ogni persona ha la possibilità di selezionare una «dieta me- 9

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Marco Gui

Cambiamento del consumo mediale eintegrazione sociale. Una ridefinizione del campo di analisi

1. Introduzione

Tra le esperienze che distinguono la socializzazione di persone appar-tenenti a diversi gruppi sociali, il consumo mediale ha rappresentato, nel-l’era dei media di massa, una base sostanzialmente condivisa. Individuiappartenenti a gruppi sociali diversi, soprattutto se nella stessa fasciad’età, hanno cioè finora esperito «diete mediali» in gran parte collimanti.

Questa situazione è stata determinata da una concentrazione dell’au-dience su pochi rapporti comunicativi controllati da un centro. In questomodo il consumo mediale è diventato, insieme all’istruzione pubblica, alservizio militare, alle feste nazionali, un fattore di coesione tra gruppi chehanno, al di fuori di questi ambiti, esperienze divergenti.

Come fa notare efficacemente Sunstein (2001), il sistema dei mass me-dia rientra tra quei «general interest intermediaries» che hanno contrad-distinto le società occidentali del XX secolo. Tali istituzioni sono relativa-mente recenti ma, possiamo aggiungere, sono diventate un fattore distin-tivo di ciò che è stato definito modernità, e il cui dissolversi rappresentauno dei motivi principali per la ricerca di nuove etichette da parte deglistudiosi. Le società occidentali, durante il XX secolo, si sono così riconfi-gurate assegnando ai media un ruolo rilevante nel mantenimento dellapropria integrazione.

Oggi, l’avvento dei media digitali espande le opportunità di ricezionedi comunicazione, ma anche di creazione, archiviazione e condivisione diquesta, e il panorama con cui hanno fatto i conti tradizionalmente leScienze della Comunicazione comincia a presentare caratteri di disconti-nuità. La crescita esponenziale delle opzioni, e le crescenti possibilità dipersonalizzazione rendono più importante di prima l’attività della sele-zione mediatica, ossia la scelta dei rapporti comunicativi in cui gli indivi-dui si vogliono inserire. Le audience si trovano cioè sempre più esplicita-mente a dover ritagliare delle «diete mediali» personalizzate nel panora-ma sempre più esteso dell’offerta.

Questa attività di selezione porta con sé la possibilità di una differen-ziazione anche significativa del consumo mediale, che dipende semprepiù dalle preferenze individuali e sempre meno da una offerta centralizza-ta. Al limite, ogni persona ha la possibilità di selezionare una «dieta me-

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diale» che si sovrapponga in minima parte a quella di un altro, e che siacontinuamente ristrutturata da nuove combinazioni di prodotti comuni-cativi.

Siamo ancora lontani da un tale panorama estremo, nondimeno le tec-nologie hanno già oggi permesso all’offerta di comunicazione di ampliar-si molto oltre le capacità ricettive dei singoli, e la prospettiva è di una ul-teriore moltiplicazione. Se questo è vero per il mondo della televisione,ancora di più è rilevante se si includono nell’analisi i nuovi media. Questofatto rende senz’altro il comportamento delle audience e le sue conse-guenze un interessante oggetto di analisi in questa congiuntura.

È possibile che ci troviamo di fronte, nel momento privilegiato del suoinizio, ad un processo che può cambiare anche radicalmente i profili del-la comunità mediatica, e quindi quelli della società. Mentre la comunica-zione di massa ha sempre legato imprescindibilmente la sua potenza diazione alla concentrazione delle audience, le nuove tecnologie, connessealle spinte commerciali dei mercati mediali, rendono invece tecnicamentepossibile, ed economicamente conveniente, una frammentazione dei pub-blici o una loro riorganizzazione in nuovi aggregati di consumatori diinformazione.

La crisi del ruolo di public interest intermediary dei mass media si inse-risce in un generale trend di mutamento sociale in cui le basi delle aggre-gazioni tradizionali entrano in crisi. Il cambiamento è caratterizzato daprocessi di disembedding e reembedding (Giddens, 1994), dalla nascita dinuove aggregazioni a rete disancorate dai contesti geografici e sociali tra-dizionali ma inserite in «spazi dei flussi» (Castells, 2002). Analizzando itrend di mutamento delle società post-fordiste, Mingione (1991) titola si-gnificativamente il suo libro «Fragmented societies».

Ritengo che sia possibile enucleare dei tratti dell’attuale mutamentosociale che si accordano e interagiscono direttamente con il processo diframmentazione delle audience e il generale cambiamento del consumomediale. Anche se i riferimenti teorici che userò talora non includonoesplicitamente il mondo dei media, esso vi rientra in modo diretto e nonsecondario. Credo anzi che ciò che sta avvenendo nel mondo dei mediasia per certi versi esemplificativo dei mutamenti che stanno alla base del-la nascita della cosiddetta Società in Rete.

Questo paper propone un quadro teorico per analizzare il fenomenodella frammentazione delle audience in relazione alle nuove dinamiche diformazione dei gruppi sociali.

La frammentazione delle audience è qui intesa come effetto sia dellamoltiplicazione quantitativa dei canali nei media di massa, sia dell’affer-marsi dei nuovi media, che cambiano anche in senso qualitativo i rappor-ti mediali tradizionali. In questo lavoro avanzo l’ipotesi che esista unadoppia spinta alla frammentazione nel mondo del consumo mediale, unatecnologica e interna al sistema dei media, l’altra sociale ed esterna ad es-so. Dalla comprensione dell’interazione tra queste due forze e dei rappor-

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ti che le uniscono, sarà possibile studiare le nuove aggregazioni medialiche caratterizzeranno la società in Rete, così come il pubblico di massa èstata la modalità di aggregazione mediale tipica del capitalismo fordista.

Questi fenomeni pongono alla sociologia quesiti riguardanti il possibi-le venir meno della funzione unificante dei media, in una società che sem-pre meno dispone di una convergenza del consumo mediale e in cui mol-ti altri general interest intermediaries perdono d’importanza. Inoltre inuna situazione in cui il consumo mediale mostrasse il fianco alla fram-mentazione, esso potrebbe diventare un fattore rilevante di differenzia-zione tra le persone e tra i gruppi e collegarsi quindi teoricamente al temadella disuguaglianza.

In questo quadro, la riflessione sulla frammentazione delle audiencediventa una analisi della frammentazione della socializzazione mediatica,in un mondo dove essa è una parte sempre più rilevante della socializza-zione tout court.

2. Una definizione del problema

Nei modelli più semplici del rapporto comunicativo mediale, il pub-blico è l’insieme dei riceventi di una certa trasmissione di informazione.Esso reagisce al messaggio come massa atomizzata e indistinta.

La ricerca ha via via aggiunto elementi di complessità a questo quadrooriginario. Del pubblico sono stati messi in luce la minore o maggiore at-tività, la resistenza all’influenza, il perseguimento di propri interessi e gra-tificazioni, il radicamento in contesti sociali e culturali che ne influenzanoil comportamento.

Tutti questi contributi hanno disegnato un quadro sempre più com-plesso e sfaccettato intorno a questo concetto. Oggi, afferma McQuail(2001, 191), «non c’è dubbio che il concetto di pubblico sia in gran partesuperato e che il suo ruolo tradizionale nella teoria, nei modelli, e nella ri-cerca sulla comunicazione sia stato messo in questione». Quello del pub-blico è un costrutto discorsivo che categorizza in modo astratto il mondodei pubblici effettivi, una realtà sempre meno pienamente definibile e co-noscibile. Moores (1993, 8) afferma che «non c’è nessuna stabile entitàche possa essere isolata e identificata come “il pubblico dei media”» e che«sarebbe meglio usare il plurale, “pubblici”, poiché esso sottolinea il fat-to che il pubblico è in realtà composto di molti gruppi tra loro diversi dalpunto di vista dei media e dei generi che preferiscono o per la loro speci-fica posizione sociale e culturale».

Questa minore utilità esplicativa del concetto di pubblico non è solo ilrisultato della complessificazione delle categorie teoriche con cui è statoanalizzato. È anche causata dalla sua sempre minore applicabilità allarealtà in evoluzione del consumo mediale. Tra i motivi di questo ricoprecertamente un ruolo centrale la moltiplicazione dei media e dei canali.

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«L’attenzione alle fonti mediali è talmente diversificata e dispersa in variedirezioni che non ha più senso parlare o pensare in termini di un pubbli-co singolo o di massa dei media, o riferirsi ad un’intera popolazione comeaggregato di potenziali utenti mediali» (ibidem).

Contemporaneamente, anche il processo comunicativo stesso è statoriconcettualizzato dalla teoria. Nelle nuove modellizzazioni che ne sononate, il concetto di pubblico è risultato non del tutto adeguato ad identi-ficare qualsivoglia insieme degli attori in gioco nel rapporto comunicativomediale. Perciò esso ha finito per legare la sua utilità esplicativa a quelloche potremmo chiamare ‘paradigma’ della comunicazione di massa, cioè,kuhnianamente, l’insieme degli orientamenti teorici e delle proceduresperimentali che hanno caratterizzato le scienze della comunicazione nel-lo studio dei tradizionali media di massa. Solo all’interno di esso e dei mo-delli mediali che gli sono propri il concetto di pubblico ha una reale va-lenza esplicativa. Il declino di questa categoria è quindi anche connesso alfatto che essa dà conto di una tipologia di consumo mediale storicamenteprecedente a quella che sta prendendo piede oggi. Lo studio delle in-fluenze sociali delle nuove tecnologie della comunicazione ha dunque, amio parere, un obiettivo prioritario nella ricerca di nuove categorie con lequali analizzare gli aggregati di consumatori mediali.

McQuail (2001, 12) afferma che: «I pubblici sono il prodotto del con-testo sociale (che porta a interpretazioni, necessità informative, e interes-si culturali comuni) e la risposta ad un particolare modello di offerta me-diale». Ritengo perciò che sia analiticamente corretto, sebbene rappre-senti chiaramente una semplificazione, distinguere, nell’analisi della ri-strutturazione dei pubblici, tra due grandi insiemi di possibili influenze:l’offerta mediale (su cui influisce l’avvento delle nuove tecnologie) e ilcontesto sociale (o alcuni elementi di esso).

Isolando il primo di questi fattori, la domanda che è opportuno porsinell’attuale contesto di cambiamento è: quali sono le possibili reazioni delpubblico a una crescita quali-quantitativa dell’offerta mediale?

A questo punto, per lo studioso, è possibile calare questo quadro dipossibilità teoriche nel contesto sociale. Per far questo, si può in primoluogo porre l’attenzione sul fatto che una nuova configurazione dell’of-ferta mediale offre la possibilità di esprimere istanze e differenziazionipresenti nella società, che prima rimanevano implicite a livello di mass-media.

Sviluppando l’impostazione di McQuail citata prima, si può così con-siderare il consumo mediale in una data realtà storica come l’esplicitazio-ne delle differenziazioni dei bisogni comunicativi e delle tensioni identita-rie presenti nella società, nei modi resi possibili dalla struttura dei mezzidi comunicazione. L’audience è in questo senso portatrice di un potenzia-le di differenziazione che si esprime poi più o meno esplicitamente sullabase delle opportunità messe a disposizione dal quadro dell’offerta me-diale.

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Per interpetare il comportamento dei pubblici ci si dovrà chiedere, suc-cessivamente, se esistono nella società forze esogene al sistema dei media chespingono alla riorganizzazione dei tradizionali gruppi sociali, alla nascita dinuove identità e in che modo queste si possono accordare con le nuove possi-bilità di consumo mediale.

In questo modo il contesto sociale e l’innovazione tecnologica restanoconcettualmente separati e considerati come fonti indipendenti di riorga-nizzazione dei gruppi mediali.

Nel caso in cui la differenziazione dell’offerta fornisse spazio diespressione ed espansione a spinte indipendenti emergenti dalla società,avremmo un quadro di doppia pressione alla riorganizzazione dei pubbli-ci, una endogena e una esogena al sistema dei media.

Dipinto in tal modo un possibile quadro dei problemi posti dalla rior-ganizzazione dei pubblici, resta un’ultima domanda fondamentale: qualiconseguenze produce oggi questa doppia pressione alla riorganizzazione deigruppi mediali?

Nel corso di questo lavoro cercherò di fornire alcune ipotesi teoricheintorno a questi interrogativi, che chiamano in causa in modo sempre piùinterdisciplinare diversi campi del sapere sociale.

3. L’ipotesi della frammentazione e ricomposizione delle audience

Di fronte alle nuove tecnologie della comunicazione, i pubblici godo-no di un ventaglio di possibilità di consumo che è quantitativamente equalitativamente più ampio rispetto a quello a disposizione dei pubblicidei media tradizionali.

Volendo descrivere separatamente il piano quantitativo e quello quali-tativo, possiamo distinguere l’incremento della possibilità quantitativadella diffusione dei segnali, dal cambiamento qualitativo portato dall’in-terattività con il mezzo di comunicazione, e quindi dal mutamento delrapporto comunicativo.

In realtà il punto di vista quantitativo e quello qualitativo sono inestri-cabilmente congiunti come fonti d’innovazione nelle trasformazioni por-tate dalle nuove tecnologie della comunicazione. Il cambiamento del tra-dizionale rapporto comunicativo mediale aumenta infatti a dismisura lepossibilità quantitative di ricevere e inviare informazione. Così come l’e-norme moltiplicazione dei canali di trasmissione incide in modo rilevantesulla qualità dell’uso dei media.

Da un punto di vista teorico, la sovrabbondanza mediatica implica ab-bastanza linearmente, da parte del pubblico, un processo di abbandonodell’attenzione (considerata qui come costante) verso fonti o modalitàinformative tradizionali e la selezione di pacchetti differenziati di fruizione.

Questa attività dei pubblici rappresenta la risposta a un overload co-municativo quali-quantitativo e pone quindi l’attività di selezione dell’uso

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dei media come un tema centrale nello studio dell’era del post-broadca-sting, con un’importanza, in prospettiva, crescente con la quantità dellefonti e delle modalità comunicative disponibili. In questo capitolo discu-terò alcuni possibili scenari di ristrutturazione delle forme di consumodei media connessi a questa prospettiva.

McQuail (2001, 184) propone, per definire i possibili stadi di questoprocesso, quattro modelli della distribuzione delle audience, che vannodall’unitarietà alla dispersione (fig. 1). Nel modello unitario vige la massi-ma concentrazione delle audience, il pubblico è unico. In questa situazio-ne è irrilevante non solo la differenziazione esterna (il ventaglio di canalicomunicativi diversi a disposizione) ma anche quella interna (la presenza,all’interno di un canale, di programmazioni rivolte a pubblici diversi).Ciò significa quindi che lo stesso modello di pubblico a cui i media si ri-volgono è indistinto e gli viene perciò offerto un cosiddetto contenuto ge-neralista (modellato su quello che Gilder, 1995 chiama «minimo comunedenominatore»). Il modello unitario si attaglia molto bene alla fase inizia-le della storia della televisione (anni Cinquanta e Sessanta) e ha un fortelegame con l’attività mediatica nazionale.

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Fig. 1 I quattro stadi della frammentazione del pubblico

Fonte: McQuail, 2001, 184

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Nel modello del pluralismo cresce limitatamente la diversificazioneesterna, ma soprattutto compaiono i primi segni di diversificazione inter-na. La programmazione comincia ad avere dei target diversificati, sempreall’interno di una cornice unitaria. Alla diversificazione interna del mo-dello del pluralismo appartengono le programmazioni di day-time e quel-le notturne, le differenze regionali, o specifiche programmazioni rivolte inmaniera privilegiata ad un certo pubblico.

Nel terzo modello, denominato «centro periferia», «la moltiplicazionedei canali rende possibile alternative aggiuntive e concorrenziali al di fuo-ri di questa cornice. Diviene possibile consumare una dieta televisiva chedifferisca significativamente dalla maggioranza o da quella principale»(ibidem). È questo il modello che nasce con i media commerciali e quello,a detta di McQuail, ancora in atto. Nell’ultimo stadio, il modello della di-spersione, si ha «la frammentazione e la disintegrazione del nucleo cen-trale. L’ascolto è distribuito su molti canali diversi secondo schemi nonfissati, e si hanno esperienze di ascolto condivise solo sporadicamente»(ibidem).

L’avvento delle nuove tecnologie della comunicazione si inseriscequando il terzo stadio, il modello centro-periferia, è già affermato. Tutta-via esso ne velocizza potenzialmente l’evoluzione verso il modello delladispersione, rendendo questo scenario sempre più possibile in linea teori-ca (anche se ancora molto lontano da una effettiva realizzazione).

In questa modellizzazione, McQuail ha in mente soprattutto il mondodella televisione, e considera l’evoluzione soprattutto come ampliamentoquantitativo dell’offerta mediale, cioè più canali tra i quali scegliere.

Tuttavia, per tracciare in modo completo il percorso di frammentazio-ne che sto qui discutendo, credo sia opportuno considerare l’insieme deinuovi media, pur nella generalizzazione a cui inevitabilmente ridurrò lespecificità di ognuno. Questa estensione si rende necessaria per dar con-to di altri fronti della frammentazione dei pubblici che non sono espressidal mezzo televisivo e che possono rendere ancora più estrema l’ipotesidella «dispersione» mcquailiana. Nello stadio finale del modello di Mc-Quail c’è infatti ancora, per definizione, una condivisione di contenutocomunicativo tra i componenti l’audience, seppure solo sporadica e senzaschemi prefissati. Questo deriva dal fatto che il mezzo televisivo, sul qua-le è costruito il modello, prevede la «trasmissione», il «broadcasting» (o«narrowcasting» che sia) e quindi un insieme finito di contenuti trasmes-si da uno a molti. Lo spettatore decide il canale, ma non può naturalmen-te decidere cosa in quel momento vi debba essere trasmesso.

I media digitali aggiungono a questo incremento quantitativo dellapossibilità di inviare e ricevere segnali anche un cambiamento qualitativo,portato dall’emergere di forme diverse di interattività, sia con il mezzo dicomunicazione che con gli altri utenti. I nuovi media agiscono infatticambiando anche qualitativamente i rapporti mediali. Bordewijk e VanKaam hanno proposto una classificazione dei tipi di rapporto comunica-

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tivo che risulta utile per comprendere appieno cosa può significare oggi la«frammentazione delle audience».

Utilizzando le due variabili chiave del controllo dell’informazione edel controllo dell’accesso (tempo e scelta del contenuto), essi definisconoquattro tipologie di relazione mediale, a seconda che le variabili sianocontrollate dall’utente individuale oppure da un centro mediale, come adesempio una emittente televisiva (fig. 2).

L’allocuzione è la relazione mediale in cui un centro controlla sia l’ac-cesso sia l’informazione veicolata. L’incarnazione principale del modelloallocutorio sono i network televisivi nazionali, in cui l’emittente controllai contenuti e li veicola in un unico momento. La tipologia di pubblico chene deriva dipende, quindi, dalla fonte centrale sia per l’acquisizione del-l’informazione, sia per le modalità di accesso ad essa. La relazione allocu-toria è tipica del paradigma della comunicazione di massa, dove vige unrapporto comunicativo unidirezionale da uno a molti, un mercato limita-to di offerta mediale, e ridotte possibilità di feedback.

In realtà, il modello di McQuail, di cui si è parlato sopra (fig.1), de-scrive l’evoluzione degli ascolti limitatamente a questo tipo di rapportocomunicativo, incarnato soprattutto dalla televisione. Ma vediamo qualisono gli altri possibili rapporti mediali e come i nuovi media li rendanopossibili e operanti nelle nuove diete mediali, cosicchè essi iniziano a rap-presentare una parte rilevante dell’esperienza mediale quotidiana.

La relazione consultiva si ha quando il controllo dell’informazione ècentralizzato ma il pubblico (sarebbe forse meglio in questo caso l’uten-za) sceglie i contenuti specifici tra quelli proposti, il tempo e il luogo del-la loro acquisizione. Si può far rientrare in questa categoria la consulta-zione di un sito Internet, ad esempio la ricerca dell’orario di partenza diun treno nel sito di Trenitalia.

Nella relazione conversazionale il controllo è individuale per entram-be le variabili. Nel pubblico risiedono sia l’informazione sia il controllo

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Fig. 2 Quattro modelli del rapporto comunicativo

Controllo dell’informazione

centrale individuale

Controllo dell’accesso centrale ALLOCUZIONE REGISTRAZIONE(tempo e sceltadel contenuto) individuale CONSULTAZIONE CONVERSAZIONE

Fonte: BordewijkB. e Van Kaam B., 1986

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sul suo accesso. È questo il caso dei gruppi di discussione o delle cosid-dette comunità virtuali.

Infine la registrazione si ha quando una rete interconnessa di utenti in-dividuali può essere tenuta sotto controllo da un centro, che sorveglia gliscambi di informazione, ne tiene traccia e gestisce le informazioni cosìraccolte. Questo è il caso, ad esempio, della registrazione centrale dellechiamate telefoniche, ma può spiegare anche il fenomeno dei forum con-tenuti all’interno di siti Internet, spesso utilizzati dai gestori anche percarpire informazioni sugli utenti.

Se utilizziamo i concetti di Bordewijk e Van Kaam per descrivere ilquadro d’innovazione portato dai nuovi media, possiamo dire che le nuo-ve tecnologie della comunicazione hanno segnato la fine del monopoliodel modello allocutorio e hanno esteso le relazioni comunicative su ognu-na delle altre tre tipologie di relazione.

La frammentazione delle audience sui nuovi canali descritta da Mc-Quail si mescola oggi con l’aumento delle tipologie di relazioni medialidescritte da Bordewick e Van Kaam.

L’estrema proiezione di queste due tendenze è una situazione in cui sicombina lo stadio finale della frammentazione («dispersione» nel model-lo di McQuail) e, in più, i nuovi media rompono il predominio del mo-dello allocutorio, moltiplicando anche le tipologie di rapporti comunica-tivi su questi canali. Pur lontano da una effettiva realizzazione questo esi-to è oggi tecnicamente possibile.

4. L’attività interpretativa e selettiva del pubblico

Da questa analisi dei fronti di mutamento dell’offerta e del consumodei media emergono chiaramente fattori che rendono l’«attività del pub-blico» un concetto diverso da quello costruito dai media studies nell’eradei media di massa. Voglio qui analizzare alcune caratteristiche emergen-ti delle nuove attività del pubblico e spiegare perchè esse possono risenti-re maggiormente dei contesti sociali nei quali sono compiute.

Negli studi di comunicazione, è stata soprattutto la corrente dei cultu-ral studies britannici a prendere in esame gli usi socialmente situati deimezzi di comunicazione. Essa ha ben presente che «ciò che distingue glioggetti mediali dai molti altri manufatti domestici è […] la loro capacitàdi collegare il mondo privato della casa ai più vasti mondi pubblici esi-stenti al di là delle mura domestiche» (Moores, 1993, 22).

Nell’impostazione teorica dei cultural studies, i differenti usi che ilpubblico fa dei media sono visti essenzialmente come luoghi di interpre-tazioni potenzialmente divergenti rispetto alle intenzioni delle istituzionimediali, fino ad arrivare all’idea esplicita di De Certeau di una opposizio-ne della lettura popolare a quella imposta dai media. Ciò che conta gene-ralmente nella «analisi della ricezione» è ciò che avviene successivamente

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alla selezione mediale e cioè il rapporto tra testo e lettore, la contestualiz-zazione sociale della ricezione dei messaggi, le letture divergenti che ven-gono costruite nel radicamento quotidiano del consumo dei media.

L’impostazione dei cultural studies esamina cioè a un livello profondoil rapporto tra i pubblici e i contenuti proposti loro dai media. Credo chequesto tipo di analisi sia molto importante in tutti i panorami dell’offertamediale, tuttavia la ritengo di maggiore centralità quanto più questa of-ferta è limitata.

In un regime di concentrazione delle audience, infatti, il potenziale di-vergente dell’interpretazione è fondamentale per analizzare la realtà sfac-cettata e socialmente determinata del consumo mediale. Se cioè le possi-bilità comunicative a disposizione sono poche, l’attività dei pubblici simanifesta principalmente come usi e letture diverse di un insieme chiusodi proposte. Se, d’altro canto, prendiamo in considerazione un regime diabbondanza quali-quantitativa dell’offerta, la dimensione della selezionetra le proposte mediatiche appare accrescere la sua importanza. È da que-sto punto di vista, quello della creazione delle proprie specifiche dietemediali, che considero qui l’attività dei pubblici.

Usando degli spunti presenti in Gilder (1995), si può dire che, in unregime di concentrazione dell’offerta mediale, i pubblici sono costretti inrapporti comunicativi i cui contenuti non rappresentano la loro «primascelta». Il carattere massificato della fruizione fa sì che l’emittente co-struisca i contenuti su una sorta di «minimo comune denominatore» deigusti dei pubblici (spesso rappresentato, secondo Gilder, dagli aspettimeno nobili degli interessi umani). In questa visione i nuovi media, e lepossibilità comunicative da loro offerte, dovrebbero invece rendere pos-sibile il raggruppamento delle nicchie di interessi, ed offrire così ai pub-blici la possibilità di optare per le loro «prime scelte». Se ne può derivare,dunque, che più un consumatore di comunicazione può costruirsi unadieta di «prime scelte», più è rilevante la sua attività di selezione piuttostoche quella di interpretazione.

Si può incidentalmente citare, tra l’altro, che le possibilità di compiere«prime scelte» sono accresciute, oltre che dalla crescita dell’offerta di co-municazione, anche dal differente uso domestico che viene fatto dei me-dia, e in particolare dei nuovi media. La moltiplicazione fisica degli og-getti mediali dentro e fuori la casa, e il carattere strettamente personaledella loro fruizione eliminano anche le limitazioni domestiche alla sceltapersonale. «For example, the traditional notion of ‘family television’(Morley, 1986), with its associated hierarchies of gender and generation,is rapidly becoming obsolete, for the very possibility of personal/privatetelevision viewing created by multi-set homes is transforming the mea-ning of both solitary and shared viewing» (Livingstone, 1999).

Le due concezioni dell’attività del pubblico che ho delineato, quellaselettiva e quella interpretativa, si riferiscono in realtà a livelli di indaginediversi. Levy e Windhal (1985) sottolineano infatti che le diverse forme di

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attività del pubblico non riguardano tutte lo stesso momento dell’espe-rienza mediale. «Esse possono riferirsi alle aspettative e scelte precedenti,o all’attività durante l’esperienza, o al momento successivo alla fruizione»(McQuail, 2001, 87). Esse non sono quindi sostituibili l’una con l’altra.Tuttavia l’una e l’altra acquistano centralità a seconda del modello dell’of-ferta in un certo periodo storico.

In sintesi, ritengo che il cambiamento in atto nel mondo dei mediadebba spostare, almeno in parte, l’attenzione degli studiosi sull’attività se-lettiva, che avviene in diversi momenti prima della fruizione effettiva.Questa dimensione dell’attività dei pubblici deve guadagnare un posto ri-levante negli studi sull’audience ed essi devono indagarne le determinan-ti all’interno e all’esterno del mondo dei media.

A livello idealtipico, possiamo dividere due ordini di motivazioni, chetraducono in maniera molto diversa il significato della frammentazionedelle audience sulla base delle caratteristiche delle scelte mediali che laprovocano.

Da un lato abbiamo i fattori individuali, che possono dar luogo a unaframmentazione del pubblico che potremmo definire «casuale». Ognuno,cioè, seleziona l’offerta secondo i propri gusti, passioni e circostanze con-tingenti. Se questo fosse il caso, pur restando preoccupante per i pubbli-citari, la frammentazione delle audience non rappresenterebbe un nuovofronte di differenziazione stabile.

Più rilevanti per la loro potenzialità di influsso sulla società sono inve-ce le scelte dettate da fattori sociali, che possono dar luogo a una fram-mentazione «sistematica», che raggrupperebbe cioè in modo stabile per-sone appartenenenti a certi segmenti o gruppi sociali. Le persone tende-rebbero in questo caso a selezionare i consumi mediali secondo il conte-sto in cui sono inserite, oltre che in base alle proprie caratteristiche socio-demografiche, dando luogo a pubblici sempre più sovrapponibili a seg-menti della società già caratterizzati da altri motivi di differenziazione.

Spiegherò qui di seguito perchè ritengo che la frammentazione nonpossa non avvenire, almeno in parte, nella sua versione «sistematica» eperchè l’attività dei pubblici nella Società in Rete si incarna più esplicita-mente nel campo delle influenze sociali a cui essi sono sottoposti.

5. Le spinte esogene alla ricomposizione dei pubblici mediali:la frammentazione sociale

Castells (2002) si basa fortemente sull’assunto, ribadito in ogni partedel suo discorso, che il cambiamento, nella società informazionale, è piùimportante laddove la tecnologia si accorda con l’onda lunga dei muta-menti economici, politici e culturali. Ciò che a prima vista può sembrarel’ineluttabile effetto della comparsa di nuove tecnologie è solo la parte di

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queste che ha trovato nutrimento in realtà sociali nelle quali dare respiroalle proprie potenzialità.

Seguendo questa impostazione analitica, perciò, lo studio dell’impattodei nuovi media sui pubblici non sta tanto nella previsione di che cosaquesta o quella nuova possibilità comunicativa «provochi», quanto nelloscoprire quei fronti, spesso nascenti, di cambiamento sociale dove alcunedi queste tecnologie si possono inserire con conseguenze importanti.

Se esiste un potenziale di frammentazione del pubblico, bisogna capi-re quali sono le possibili determinanti sociali delle linee di frattura, e allostesso modo delle vie di ricomposizione. In che modo si contestualizze-ranno le potenzialità tecnologiche di differenziazione dei pubblici è in-somma una questione socialmente determinata.

Affronterò qui la domanda se il potenziale di frammentazione, oltre adavere maggiori potenzialità di espressione nel mondo della comunicazio-ne, stia o no crescendo indipendentemente e per cause esogene al sistemadei media. Ci sono, cioè, nella nostra società delle crescenti spinte allaframmentazione, a prescindere dalle nuove possibilità mediali, che posso-no però interagire significativamente con esse? La risposta a queste do-mande ha un’importanza primaria per coniugare il discorso sul cambia-mento dei pubblici con alcuni dei più ampi cambiamenti sociali. Se, infat-ti, come ho già messo in luce, la differenziazione dell’offerta mediale, econseguentemente delle audience, avvenisse contemporaneamente ad ul-teriori spinte indipendenti alla frammentazione sociale, avremmo un qua-dro di doppia pressione alla frammentazione nel sistema dei media, unaendogena e una esogena ad esso.

Prenderò qui in considerazione, in maniera non esaustiva, solo specifi-ci tratti del cambiamento sociale connessi alla frammentazione. Tuttaviasono quelli che mi sembrano avere maggiori caratteri di concordanza coni quadri di frammentazione mediale che ho proposto prima. Vedremo co-me queste forze giochino contro una dispersione totale dell’audience, cheho descritto sopra come esito estremo del processo di frammentazione.Esse piuttosto agiscono nella riaggregazione dei pubblici frammentati,sebbene in forme diverse e disarticolate rispetto al pubblico di massa.

Nel sistema di organizzazione del capitalismo che è stato definito «for-dismo», e di cui oggi si discute la fine, esisteva una generale tendenza allainclusione e alla omogeneizzazione sociale.

Questo può sembrare paradossale se si pensa al carattere molto piùmarcato di alcuni fronti di divisione presenti nella società fordista, primafra tutte quella di classe, ma anche di genere e di ideologia politica. Tutta-via le divisioni erano regolate in modo da essere incluse in un unico siste-ma, in quello che alcuni autori hanno definito «capitalismo organizzato»(Offe, 1985; Lash e Hurry, 1987).

Discutendo il passaggio da sistemi fordisti a sistemi post-fordisti, Min-gione (1997) parla esplicitamente di «frammentazione». Nella regolazio-ne associativa dei regimi occupazionali propria del fordismo, egli dice,

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esisteva una sorta di divisione integrata. «La matrice logica è quasi sem-pre duplice: sono in gioco interessi diretti di una categoria di lavoratorima questi sono efficacemente difendibili solo quando sono coinvolte an-che le potenzialità di cooperazione della categoria stessa» (ibidem, 201).Mingione mette in luce come quel modello di regolazione sociale del la-voro si stia storicamente concludendo e parla invece di un nuova fase chedefinisce della «regolazione frammentata (o flessibile)». «Le modalità diriorganizzazione delle economie avanzate esprimono forme di socialitànuove ma a carattere di reciprocità1, networks complessi e variati di coo-perazione (Castells, 1996), dove i parametri associativi e universalisticidominanti costituiscono più un ostacolo allo sviluppo che non un fattorepropulsivo. Il problema è che il nuovo mix di socialità economica che sista sviluppando produce, allo stato attuale, un deficit di integrazione so-ciale» (ibidem, 137).

Più in generale, nel passaggio al post-fordismo, si manifesta una rile-vante disomogeneizzazione dei comportamenti rispetto alla fase prece-dente, sia quelli di consumo, in passato influenzati da un’offerta basatasulle economie di scala e sulla standardizzazione, sia anche quelli familia-ri e sociali. Non mi addentrerò qui nella complessa trattazione dei per-corsi storici che hanno portato a questo. Citerò piuttosto, come riprovadella diversificazione dei comportamenti sociali, il declino che nel marke-ting hanno avuto i metodi di segmentazione socio-demografici, sostituitida quelli psicografici o basati sull’analisi degli stili di vita (vedi ad esem-pio Moores, 1993, 215-223)2.

In parte sovrapponibile a quella che porta dal fordismo al post-fordi-smo, è la transizione sociale sintetizzata da Castells (2002) nel passagggiodal capitalismo industriale a quello informazionale. Riguardo le riorganiz-zazioni dei gruppi sociali nella società informazionale, Castells sviluppaun impianto argomentativo su due piani. In primo luogo egli rileva la na-scita di reti informazionali che collegano i circuiti dominanti della società,e che prescindono dal radicamento nello spazio e nel tempo. L’idea di Ca-stells è che gli attori rilevanti nella globalizzazione informazionale (luoghi,persone, aziende, istituzioni) si colleghino tra di loro in forma di rete.Questo comporta il collegamento tra individui e luoghi diversissimi, che

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1 Sulla scorta del pensiero di Polanyi, Mingione (1997, 58) definisce la reciprocità co-me un tipo di relazione sociale possibile «tra un numero sempre limitato di individui chesanno dell’esistenza specifica gli uni degli altri, hanno più o meno frequenti contatti per-sonali e condividono la lealtà nei confronti di un obiettivo collettivo comune».

2 A questo proposito Moores (1993, 215) rileva che «i discorsi di marketing possonoessere letti come segni di fondamentali mutamenti avvenuti nei modi capitalistici di pro-duzione e consumo durante il Novecento». Credo che un eventuale approfondimento deltema qui affrontato non possa prescindere dal bagaglio di conoscenze accumulate dagliuffici marketing delle aziende mediali. In essi, peraltro, il concetto di “frammentazione” ècomune almeno dagli anni Ottanta.

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fungono da nodi in quello che egli definisce lo «spazio dei flussi». D’altrocanto, questo implica una separazione tra i nodi stessi, geograficamentedistanti ma vicini nello spazio dei flussi, e ciò che gli sta intorno, geografi-camente vicino ma lontanissimo nello spazio dei flussi. Un esempio èquello delle metropoli: «Il tratto più significativo delle megacittà è che so-no collegate esternamente a reti globali e a segmenti dei propri paesi, pur“scollegando” internamente le popolazioni locali non funzionalmente ne-cessarie o socialmente dirompenti» (Castells, 2002, 466). L’organizzazio-ne a rete, paradossalmente, offre maggiori possibilità di separazione trasegmenti diversi della società, in quanto prevale l’interesse a collegare no-di simili tra loro che possano facilmente produrre valore attraverso lacooperazione in momenti specifici.

Questo meccanismo agisce tuttavia anche a un livello micro, e lo spa-zio dei flussi diventa così la base per costruire nuovi aggregati in cui l’in-dividuo racchiude la propria attività sociale. «I nodi dello spazio dei flus-si comprendono spazi residenziali e spazi dedicati al tempo libero che, in-sieme alla localizzazione dei quartieri generali d’impresa e dei servizi sus-sidiari, tendono a ragguppare le funzioni dominanti in spazi accurata-mente segregati, con facile accesso ai complessi cosmopoliti delle arti,della cultura e del divertimento […] Avanzo l’ipotesi che lo spazio deiflussi sia costituito da microreti personali che proiettano i propri interessisulle macroreti funzionali dell’insieme globale di interazioni presenti nel-lo spazio dei flussi» (ibidem, 477)

Dall’altra parte questo stesso fenomeno produce come reazione delleesigenze identitarie che si oppongono allo sradicamento portato dalle re-ti informazionali. Si ricompongono su questa spinta dei gruppi, che Ca-stells chiama «cultural communes», la cui identità è basata sul territorio,sulle appartenenze religiose, etniche, e sulla memoria storica. «Whennetworks dissolve time and space, people anchor themselves in places,and recall their historic memory. When the patriarchal sustainment ofpersonality breaks down, people affirm the trascendent value of familyand community, as God’s will» (Castells, 1997, 66).

Si può trovare anche in Giddens (1994) la descrizione di un simile pa-norama dialettico tra forze della disaggregazione e della riaggregazione.Queste ultime, proprio come in Castells, non si limitano a controbilancia-re le prime ma riaggregano in forme nuove, in modelli inediti di relazionisociali. Egli (ibidem, 85) afferma che «nelle condizioni della modernitàsempre più persone vivono in circostanze in cui gli aspetti primari dellaloro vita quotidiana sono organizzati da istituzioni disaggregate [disem-bedded] che collegano le pratiche locali con relazioni sociali globalizzan-ti». Ma, prosegue Giddens, bisogna «completare la nozione di disaggre-gazione introducendo il concetto di riaggregazione [reembedding n.d.r.].Con ciò intendo la riappropriazione o la rimodellizzazione di relazioni so-ciali disaggregate in modo da vincolarle (anche se parzialmente o in viatransitoria) alle condizioni locali di spazio e tempo».

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Castells e Giddens tracciano in questo senso un panorama sostanzial-mente concordante: le connessioni globali sradicano le relazioni socialidai loro tradizionali contesti; si formano, in contrapposizione a questo,nuove relazioni sociali che cercano di recuperare il radicamento perduto,seppure in forme nuove.

Entrambi questi fronti del cambiamento, la disaggregazione e la riag-gregazione, le reti e le identità collettive, costituiscono un terreno fertiledi incontro con le possibilità di riorganizzazione comunicativa offertedalle nuove tecnologie.

È molto interessante a questo punto introdurre il contributo di Lie-vrouw (2001), che porta infine il quadro della frammentazione sociale adunirsi con quello relativo alle tecnologie della comunicazione. Egli (2001,8) propone dapprima una veloce rassegna dei contributi più recenti su al-cuni fronti della frammentazione sociale. «Recently, a wide-ranging scho-larly and popular commentary has grown up around apparent declines inbroad-based social participation, especially in the USA and other develo-ped nations (Putnam, 2000). Some writers worry that whatever sense of apublic sphere or civil society that existed in the past is giving way to a newZeitgeist of social separatism and mistrust (Bellah et al., 1985; Gitlin,1995; Hughes, 1993). Others, especially in Europe, see the change as awelcome break from the totalizing political trends of the past and theirdisastrous consequences, and hail the 1990s as a “decade without socialmovements” (Lovink, 2000)».

Successivamente Lievrouw discute il ruolo della differenziazione so-ciale in un’ottica neofunzionalista. Nella teoria funzionalista tradizionale,afferma, la differenziazione è vista come la distribuzione di funzioni com-plesse tra gruppi specializzati ma tra loro coordinati. L’integrazione, alcontrario, è la coesione che permette la cooperazione delle parti separatealla vita del tutto. Le differenze tra i gruppi sociali spingono o all’integra-zione, basata sulla coordinazione e sulla comunanza di alcuni interessi,oppure alla frammentazione e al separatismo. Lievrouw sottolinea come ilneofunzionalismo, soprattutto grazie alle opere di Luhmann e Alexander,abbia incorporato l’attenzione per il cambiamento sociale, il conflitto, e,soprattutto, la differenziazione sociale, pur mantenendo la forza dell’im-postazione originaria. Continuando a porre l’attenzione sui meccanismiche permettono l’integrazione della complessità, dice Lievrouw, questiautori si confrontano in maniera poliedrica con la differenziazione. Essa èvista non più come situazione temporanea e tendente alla ricomposizione,ma anche nel suo ruolo permanente all’interno della struttura sociale. Perquesto, egli sostiene, la teoria neofunzionalista della differenziazione è unbuon punto di partenza per chiedersi se le ICT contribuiscano a ridurre oa rafforzare l’integrazione sociale.

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6. Riorganizzazione delle audience e società

Proverò ora a chiudere il cerchio e, dopo aver trattato separatamentela frammentazione mediale e quella sociale, discuterò degli scenari teoriciche possano integrare i due fenomeni.

Lievrouw (2001) fa notare come il senso del declino di un’ampia par-tecipazione sociale sia cresciuto contemporaneamente alla proliferazionedelle ICT e che «instead of McLuhan’s global village, some see the poten-tial for new media technologies to be adapted by countless self-sufficient“neo-tribes” that need not participate in larger arenas of public discourseor social movements (Lash and Urry, 1994, 317-18)» (ibidem).

Anche in Sunstein (2001) è centrale l’idea che le possibilità crescentidi scelta, selezione e personalizzazione mediale portino alla differenzia-zione di gruppi di utenti – Sustein li chiama enclave –, isolandoli nel con-tempo verso l’esterno. Ad esempio, attraverso i servizi di informazioneche Negroponte (1993) definisce Daily me3, le persone cominciano a ri-chiedere anticipatamente di essere informate su argomenti di loro interes-se, circoscrivendo le proprie fruizioni mediali in ambiti sempre più perso-nalizzati.

Mi sembra utile, in primo luogo, affiancare questo confronto tra «glo-bal village» e «neo-tribes», con la dialettica che ho messo in luce prima,sintetizzando i contributi di Castells e Giddens: quella tra reti globalizza-te e «cultural communes», tra esperienze disaggregate e nuove riaggrega-zioni.

Lievrouw (1998) ha preso in esame le modalità con cui le nuove tec-nologie della comunicazione possono essere usate per creare o rafforzareambienti di interazione o subculture separate. In un successivo lavoro,esplicitando il concetto, l’autrice argomenta che le nuove tecnologie pos-sono spingere verso la differenziazione nelle società contemporanee (Lie-vrouw, 2001). Il ruolo dei mass-media, dice, è spesso stato percepito co-me integrativo, manifestazione dell’interesse comune, della politica mag-gioritaria, dei movimenti sociali affermati, della produzione e il consumodi massa. Oggi, al contrario, i nuovi media sembrano talvolta avere più ache fare con la distinzione, la differenza, il punto di vista di una minoran-za, gli interessi locali, una politica dell’interesse specifico, la produzione eil consumo di nicchia. Il nocciolo del suo ragionamento, tuttavia, è mira-to a descrivere le forme con cui questa differenziazione si manifesta, quel-li che chiama «information environments»: «From a neofunctionalist per-spective, then we can propose that sociality and social structure both sha-pe, and are shaped by, different groups’ particular information resources,

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3 Negroponte (1993) chiama «Daily me» il risultato della estrema personalizzazionedei servizi di informazione, dove tutto ciò che si riceve risponde a una scelta di interessifatta anticipatamente dall’utente, che ottiene così una sorta di quotidiano personalizzato.

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communication relations and enabling technologies. Information envi-ronments are social settings or milieux in which these resources, commu-nication relations and technologies undergo a structuration-type processof change called informing» (ibidem).

È possibile perciò costruire una connessione teorica tra la nascita diriaggregazioni sociali post-fordiste di cui parlano Giddens e Castells, e ilformarsi di gruppi caratterizzati da consumi mediali omogenei di cui par-lano Lievrouw e Sunstein.

Pur essendo frutto di analisi strutturalmente diverse, gli informationenvironments di Lievrouw, le enclaves di Sunstein, da una parte, e inetwork e le cultural communes di Castells, le relazioni reembedded diGiddens dall’altra, rappresentano per certi versi una lettura dello stessofenomeno dove si sovrappongono le dinamiche di raggruppamento socia-le e mediale.

Al crescere delle possibilità quali-quantitative di comunicazione, cre-sce per l’individuo l’esigenza di disporre di una guida nella selezione cheinevitabilmente deve compiere. L’attività di scelta dei pubblici, che è allabase della frammentazione, è cioè tanto più difficile quanto più vasto èl’universo comunicativo. Oltre a questo, la selezione compiuta deve esse-re rilevante per il ruolo e la posizione sociale dell’individuo. Perciò, risul-ta lineare mettere in relazione la crescita dell’esigenza di guida alla sele-zione dell’informazione all’appartenenza ad un gruppo nel quale ci siidentifica. Le due cose finiscono per sovrapporsi in parte e il gruppo puòdiventare l’agenda setter per chi vi appartiene. In definitiva, in questa vi-sione, il gruppo sociale finisce per essere strettamente connesso ad uninformation environment. «People must first recognize the relevance ofinformation, that is, wheter it is interesting or useful to them personally orto others they know. Therefore, the presence of information can be di-stinguished from its perceived relevance among people in the environ-ment» (Lievrouw, 2001, 15).

In riferimento a quelle che egli chiama cultural communes, Castells(ibidem, 67) parla di un’altra caratteristica che discende abbastanza li-nearmente dalla condivisione dell’informazione all’interno dei gruppi. Afianco di una chiara differenziazione verso l’esterno, i nuovi gruppi mo-strano una marcata omogeneità interna: «This negation of civil societiesand political institutions where cultural communes emerge leads to theclosing of the boundaries of the commune. In contrast to pluralistic, dif-ferentiated civil societies, cultural communes display little internal diffe-rentiation».

È questo il meccanismo descritto anche da Sunstein, che si riferisce in-vece specificamente all’azione dei media, Internet in particolare. Sunsteinsi preoccupa per le conseguenze di lungo periodo di tali forme di isola-mento comunicativo. Eliminando dalla propria «dieta mediale» gli argo-menti e le opinioni sgradite i cittadini diventerebbero meno integrati esvilupperebbero più facilmente forme di estremismo. Sunstein arriva a di-

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re che la democrazia richiede che i cittadini siano esposti ad idee ed argo-mentazioni che non avrebbero scelto in anticipo (Sunstein, 2001).

La prospettiva di personalizzazione del consumo mediale con la costi-tuzione di enclave omogeneizzate è, in quest’ottica, un pericolo per le ba-si culturali condivise della democrazia. La massima razionalizzazione delconsumo mediale, che equivale al predominio della «prima scelta» di Gil-der, pone alcuni dubbi sui suoi effetti «macro»: la democrazia e la perso-nalizzazione mediale, per le loro stesse caratteristiche, possono arrivare aconfliggere.

7. Conclusioni: lo studio dei pubblici dal fordismo alla Società in Rete

Il tradizionale pubblico di massa, con cui ha fatto i conti gran partedella tradizione degli studi sulla comunicazione, è il prodotto di «nume-rose forze, come la concentrazione urbana; le tecnologie di una diffusionedi massa relativamente economica (economie di scala); l’offerta limitatadi… contenuto mediale… e gli elevati costi della ricezione individuale; lacentralizzazione sociale (monopolio o statalismo) e il nazionalismo» (McQuail, 2001).

Queste forze sono in gran parte coincidenti con quelle che definisconola forma di società caratterizzata dal capitalismo fordista. Il pubblico dimassa si può, perciò, a buon diritto considerare la forma di consumo me-diale propria di questo stadio di sviluppo delle società occidentali.

In questo paper ho provato invece a delineare le forze che possonoprodurre nuove forme di consumo mediale, proprie della Società in Rete,così come descritta da Castells. Ho dato perciò una lettura del cambia-mento del consumo dei media in maniera congiunta al mutamento socia-le in atto.

Analizzando autori che discutono due ambiti diversi, il mutamento so-ciale globale e il cambiamento del consumo dei media, trovo che le cate-gorie utilizzate siano ritagliate sugli stessi principi generali e diano quindilo spunto per guardare ai due fenomeni in maniera unitaria.

Concetti costruiti sul mondo dei media come quello di information en-vironment (Lievrouw) e di enclave (Sunstein) tradiscono il loro strettorapporto con i gruppi sociali di cui parlano Giddens e Castells, quelli de-rivanti da fenomeni di reembedding, le reti dominanti e le cultural com-munes. Ne emerge una relazione tra gruppi sociali e gruppi mediali, che ètanto più stretta quanto più crescono quantitativamente e si complessifi-cano qualitativamente le offerte del mercato mediale.

In questa situazione infatti l’attività di selezione acquista una impor-tanza molto maggiore rispetto a quella che deteneva in un quadro di con-centrazione delle audience e offerta limitata di comunicazione. Di frontealla differenziazione dei mondi informativi, sono i gruppi sociali di appar-

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tenenza a fornire una guida alla selezione informativa, perchè essa, pro-prio per la sua funzione distintiva, acquisisce rilevanza sociale.

Da qui la tendenza all’omogeneità interna dei nuovi pubblici contrap-posta a una più forte differenziazione esterna, ritagliata sulle medesimecaratteristiche che distinguono le nuove aggregazioni sociali descritte daGiddens e Castells.

Nell’era dei nuovi media, insomma, la segmentazione dei pubblici av-viene sempre più sulla base di differenziazioni socio-informative, e il con-sumo mediale sarà perciò legato sempre più strettamente alle dinamichedei gruppi sociali. Queste ultime costituiranno uno dei fattori caratteriz-zanti della formazione dei pubblici, i quali saranno, per gli studiosi, unpunto importante di osservazione sulla società. La relazione tra gruppisociali e gruppi mediali presenta per queste ragioni le premesse per evol-versi in una parziale sovrapposizione.

È pur vero che esistono ragioni per non aspettarsi una manifestazionea senso unico di questi fenomeni. Si possono descrivere forze che giocanocontro la tendenza alla frammentazione dei pubblici di massa. Van Dijk(2002) oppone, ad esempio, il potere di agenda setting esercitato dalleistituzioni politiche e culturali, che continuerà a rappresentare un ostaco-lo contro l’innescarsi di un circolo vizioso di frammentazione. Le reti me-diali, che costituiranno il panorama comunicativo, pur presentando com-plessità crescenti, resteranno sempre in parte interrelate, sia dai temi co-muni che ne costutuiranno in parte una inevitabile convergenza, sia per lepoche probabilità che una rete altamente interconnessa possa isolarecompletamente alcune sue parti.

Tuttavia credo che la lettura che si è data qui dell’evoluzione del pano-rama socio-mediale risulterà utile per spiegare almeno una parte dell’evo-luzione del consumo dei media nei prossimi decenni.

Se sarà così, ne risulteranno per la ricerca sociologica sui media duenuovi sviluppi principali di indagine. Essi sono strettamente legati all’inclu-sione esplicita delle attuali dinamiche sociali nello studio delle audience.

Il primo riguarda il problema della coesione sociale. Quest’ultima sibasa in maniera importante, soprattutto nelle società moderne, sulla con-divisione informativa e sulla partecipazione, anche passiva, a un discorsopubblico. La ristrutturazione dei meccanismi tradizionali della comunica-zione di massa che ho qui descritto comporta l’aumento della difficoltàper i media «nello strutturare il nucleo coesivo di una società» (Wolf,1992, 190). McQuail (2000, 179) esprime la stessa preoccupazione par-lando delle conseguenze della frammentazione sul potere del pubblico:«A prima vista questa tendenza comporta anche un cambiamento del“potere” dei consumatori dei media, assegnando il controllo al riceventee riducendo la capacità manipolatoria delle organizzazioni di produzionee distribuzione della comunicazione. In realtà, ciò significa anche che nonc’è più alcun meccanismo per esercitare questo nuovo potere nell’interes-se collettivo».

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Nella Società in Rete, la sfera pubblica diventerà sempre più complessa,essendo formata da molte reti in parte sovrapposte e in essa i media svolge-ranno un ruolo sempre più importante. All’aumentare della complessità del-l’offerta di comunicazione, aumenterà la rilevanza di snodi unificanti chefungano da collegamento tra aree che altrimenti rischiano di restare scolle-gate. Il servizio pubblico sarà chiamato in primis a svolgere questa funzione.

Il secondo filone che mi pare emergere da un possibile quadro diframmentazione socio-mediale riguarda il rapporto tra i media e la disu-guaglianza sociale. L’attuale dibattito sul digital divide è solo una parte diun problema più generale che si apre nel momento in cui le possibilità diuso dei media (e non si parla qui solo del computer) dipendono semprepiù direttamente dalle risorse culturali e sociali degli individui.

Avere una certa «dieta mediale» significherà sempre di più avere ac-cesso o no ad alcune informazioni e partecipare a specifici eventi sociali.Per di più, mentre i media di massa erano limitati allo svago e alla infor-mazione generale, i nuovi media sono gli stessi con cui si lavora, si riceveformazione, si partecipa alla vita dei gruppi sociali. Attività un tempomolto diverse «convergono» cioè nell’utilizzo degli stessi strumenti co-municativi e i media divengono molto più pervasivi nella quotidianità. Laselezione di una certa «dieta mediale» avrà perciò una rilevanza che vamolto oltre i confini riservati ai vecchi mass media e influenzerà (e sarà in-fluenzata da) la vita culturale, professionale, sociale di una persona. La se-lezione strategica delle offerte dei nuovi media si basa sulle risorse cultu-rali e sociali individuali e può diventare perciò un nuovo fronte di disu-guaglianza, quasi del tutto assente nell’utilizzo dei vecchi media di massaanalogici. Se nell’era della televisione si poteva assumere che l’alfabetizza-zione necessaria a fruire della comunicazione di massa fosse immediata(Meyrowitz, 1991, 137), è probabile che invece i nuovi media definirannouna nuova stratificazione culturale.

Nel quadro del dibattito sulla Società in Rete, i temi della disuguaglianzae dell’integrazione sociale entreranno perciò sempre più esplicitamente nel-lo studio degli effetti a lungo termine dei mezzi di comunicazione.

Università di Milano - Bicocca

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