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Canti del bosco e delle siepi

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Canti del bosco e delle siepi

L’ultimo corsiero

Settembre

Smerlava la stagione sul cantolatteo dei fiumi

Quando viòla le promesse / espressione-cielo nel pallore dei fratelli /

son ombre ravvolte - materia che si ravvede -

(anche Dio brama)

Sto come un invito libellula depressa metafora cristica

io che m’innamoro di chiunque sia uomo coturnato dalla luce

Convento dei francescani, Lanzarone

quando cambia il sereno

So come un pipistrello ricerca in scagliola

sotto l’abside-cielo (amore rigonfio) preso nel suo lamento segreto

-strumento filo a noi così vieto- Io golondrina

di sue frasche, d’onde, ghiri e gori innamorata ronda

Chiesa di San Michele Valtravaglia

Volatili a pittare gli altari

Golondrina / rondine

I passeri chiamanti cercano il ritmo mio, battono con me

e allargano l’invito Sostano quanto basta poi contano altri balconi

S’abbrina San Marino al divenire rapidissimo

dietro i pioppi e le manine a frinire (moto di gioia a piè del lago che ben conosco)

E non si dà più

Contrada Padre Igino, campagna di Viserba

Descura lungo il lago il suono e nelle darsene umorale chiude in maggiore

(grumo di tempo gramo rigonfio capogirano le vele) L’eco ripara e s’aggruccia dove

non rintrona ubriaco Nella casina in bandita

la mensa disfatta le belle si scrollano

ed io musa malmostosa

Nei caselli dismessi delle ferrovie, verso Maccagno

Se si spigolasse ancora…

Papà lo farebbe eccome, instupidendo le mani E contando la locca tiritera

Se si spigolasse ancora sarei odori

separati dai retini

O il modista di paglie che ripassa le parole della canta

Nei campi di Ticinallo

Se si spigolasse ancora… Sgambando le monde,

(che ceffoni agli scolari, porpora come pannocchie!)…

Le monde sono le mondine del grano

Di nuovo l’Afflato

Trasporti Mariani

Ottobre

Hai un far di latte dal seno

Maria nel dipinto di Ligurno Con Josè Fardilat

E quando la luna…

Sopra La

Corda La

Gugliata Legato Pedale

Continuo Iddio

DITA

Salendo la Grignetta

Dopo le foglie refosche

Scene di caccia

Novembre

Si perdono i cani in gola alle Ganne - ridò un baio

Mi son dato fauno indovino di guida e ho sbagliato:

il corvo filastroccaio ha letto per me dalla bruma velinda che passò la dàina promessa in notte.

Mi son fidato di lui / Troppo ho premuto quest’amicizia

che mi si slarga dentro Devòla una ninnola lagna come di donnola /

Metterò la prossima la neve dolce di novembre

Da noi il baio è baìto

Alla battuta

Al suo cenno era una turba di vento

Lo slanciava facendo la bocca volgare Muto come lui

Fastoso la cavava LampoFalco Brando MutoVeleno

che a volo s’incrinò

Non la Bella, damina col tamburo,

ricamo a ditale

I suoi cani

Cavava la lepre come nessun altro

Il mustelide in cima al larice

Dicembre

L’areale immobile di questa Attesa annulla i segnali delle notti conosciute

Si mastica tabacco da sentieri sospesi come un fumo d’erbe fermo appena sopra il capo

Sul basto del mulo

Un viaggio la Veglia del Natale

Guai se San Michele fosse una chiesa di silenzio …il puro, l’insopportabile fitto silenzio,

tanto che assorda aspettare che un battito di sole s’impinèti a liberare i rami più bassi dalla stretta della neve

come fragrante rottura del cantofermo Mai corsa al piano m’è tanto piaciuta babbucciato in bianco, umido di calura in balze a piè soffiato da leggi leggere

come sa tra cristalli e mollìca la neve fermata in magia dalla prima notte di sereno

Nei viali del tiglio Lei serviva le siorùtis

Dall’alare pitto di sarmenti

Disòl Nelle tenerissime sere

Ancora nonna Macor

Disolina, in servizio alle signore di Milano negli anni della miseria, adesso è narrazioni di fuoco calmo

Olmo, non tiglio… dove al fresco i vecchi Walser…

Che corsa alla Cicerwald! Poi da Morghen

giù alla miniera d’oro Prima che bramisca il fiume

Ceppo Morelli, valle Anzasca

Gesù in un fiato

“(…) - Ecco una stalla - Avrà posto per due. Che freddo! Siamo a sosta (…)

Un po’ ci scalderanno quell’asino e quel bue… Maria già trascolora, divinamente affranta…”

Clemente Rebora

Trepido Giuseppe, queste rade della Veglia,

cantotèvido come di libellula se posa in ansia ai bordi dell’inverna,

sono l’editto in forma piana della tua silenziosa accettazione (in tanto amoroso sbigottimento

hai profumato casa, bottega e battuto il viale senza sapere):

La nuova luna è prodiga

rigonfia di sole e fa densa la terra di attese - colate loro le ali -,

di bocche stupite, di palati altissimi perché l’aria sia sgombra e lavato il vento

Ripari dal clamore,

hai la donna che cede Larghe le narici, somarello che mai lagna,

s’affiatano e non s’impagliano: ti solleva e ti accetta;

ti è già compagno

Oddìo come sta per venirti il Figlio!

L’inverna è un vento di lago

Maria reclina un sorriso - È un duolo d’anfore, visitate conchiglie,

di terra calva, dure di gelo (il mare non è più) - Maria bianca di fiamma

che dondola inquieta Maria come un tormento

Van di suono le bacche, i cardi e le giare:

li tocca un portento che d’oro sciama (per questo lappano i dotti e gli astronomi)

Preme

Preme Maria Maria in amore

La luna è come il sole

Concezione di vento

che ridà il mare, che ingemma e riluna,

porterà le mani in petto a sera, le azzurrerà,

sarà caro sulla cima del grano

Un batter di sandali, ora solo un fruscio di vesti

C’è visita

Il corsivo è da Bepi De Marzi

Rossomagone

A Rosalba

…Magone della lontananza… però rossomagone, il pettirosso è metafora delle estremità del giorno, (della loro caparbietà) e di tante situazioni vibratili

Creatura di fiammato dolciore

Quando pieghi con gli eucalipti Del viale che pensa in vento

Altana Voce Ho parole rotte

28 dicembre

Littoria, Santa Fecitola

- O Maria, dite bene dal vostro comò! Sono senza luce E Voi cosa siete! -

Dormo accanto alla finestra Poi una spinalba per la mia temperie

Che avevo dimenticato natura

“Apro gli scuri L’aria fredda del mattino

- Per una volta - mi rinfranca” È alta Sermoneta

Le Torri dentro la camelia I tordi di zirlo grigoli

Sermoneta

Perla di buio Acque d’occhi Scalo di canto Monilopazzia

L’amore delle mani

Latina Scalo

Tagliate le tele, il tratto è un frènulo delicatissimo Al calo hai mani roventi Le rincorse! Sei verticale come gli spazi ascendenti

Dove cerco le rotture e le radici più tenere

“…” Da Inverni lontani di Mario Rigoni Stern, compagno dei viaggi dell’autore in questo periodo

Dodici metri d’organo: Dio che si consola e si lava ebbro

Fontainbleau Voceripiena

A Santa Maria degli Angeli Voce evasa Che rincasa

Lì la mia rapacità Era un pianto

Sull’orlo della croda Sul labbro esposto del nido

Di stupirmi Turbinava paura E tornava vento Vento Evento

Implume Volato

29 dicembre Roma

Nel canneto A nascondino cannaiole

La voce mia smilza Triangola ottavina Cerca conchiglia La voce mantice

Non ti trova Fruga voce

(La voce decorre) Fruga via

Allora conto le canne Verso la sera

L’organo più alto del mondo che ha trovato casa nella basilica di Santa Maria Degli Angeli a Roma

La Bellezza m’inghiotte più degli affetti

Dissepolti nei giorni della visita; La Bellezza che è te e nel tuo boccio

Ti è franata la voce in me Come in S. Damiano

(Ho potuto più del tempo che cambia repentino e non ha stagione) Ho visto i presepi di Norma e di Norba - Passa Narni in una deflagrazione di corvi -

Caldi di brace e puri nel dire Passa Spoleto, una damina mi chiede posto, poi torno

Passa Spoleto, non le colline a darsi mano e ordini lontani, E annodano nuvoli

C’è il rischio e il rispetto Dei grandi spazi dentro piccoli uomini

Che si abbandonano fini Penso ai loro quadrati d’ombra;

È lì che Chiara danza sulle ciocche cadute Le montagne, ora hanno i Suoi rigoli capelli. Che pianti!

So che la fede del mare già le odora, le aggrapperà, e le consuma Pena Foligno ma non lo dice Ho un sorso di bosco elìceo

E nasco vite di sabbia di laguna Sono già mare Jesi, chiuso come pigna uno sparviero dal larice

In pugni i salici Li lavorano

Pergolesi serio

30 dicembre

traverso l’Umbria

I gabbiani sono vetri, Argento e freguglie

E follia Tracolla e si spande il sole

Lungo così non lo vedo mai

Senigallia

Saranno le disperate sere Et nubilo et sereno

Gradara

Mi sono impegolato in un’alba Rosa, dall’avida coscienza

Tira con la polpa delle dita le figure Non seguiranno che voci

31 dicembre Viserba

Sera - S’era fatta pettirosso -

Rossomagone costato un clivo A becchettarmi qui,

Sera lontananza

1 gennaio Sansepolcro

Il corsivo è da Francesco D’Assisi

I colori della luna

Gennaio

Che dici, fornarina, delle scalmanne delle sorelle? Comincian le sere della fontana di luna

quando è concesso attardarsi nel chiostro A te si vedono il mattino

chiuse le ante e i ganci del fuoco fondo negli occhi di pan sciocco

al dire di vampa che è gota Hai seguiti i colori del buio sulla sua meridiana

Tardando allodola che strepita nell’orto

Sorpresa mustelide tra le dosse dell’indivia

Ritiro delle Clarisse, Val d’Intelvi

Il mustelide è la faìna dal varco nel muro di cinta, ai dossi della talpa

È una mariute di stelle che il lepre s’incanta,

al lucido verno dà i due laghi di pena

Tanto che ringhia la notte

Preso!!

alla porta dell’alberocavo

Una luna denùvola e vi si veste d’acqua

- In un’offerta mariana di stelle - denuvolando la luna si sveste

Particola luna che non diademi, nella mia porziuncola di lago risacca

annaspa questo tuo salmodiare Disgreghi se vuoi l’albaspina

che mi tocca amorosa, o è l’aria

Ma ancora avvieni “e non offri cene alla fortuna”

Poi mi condenso

e faccio licheni con mani che tremo

(Il riferimento è a Santa Maria degli Angeli di Assisi dove si trattiene per non perdersi la Porziuncola) “…” da David Maria Turoldo

I furfanti stanno a melinare

Aspettano la melata che penda di luna

Amaramellata d’averna si posa sui pini

Nel frutteto

Le montagne annerano il blu E sono il babàu

dei borghi a molo Se culla la luna

(sequoia di luna) A nulla

la luna…

Annullo di luna sui pavesi di riviera

Piange l’ontano

Piange l’ontano nei campi dell’Ospèra Avevo impagliato la sua lingua Perché in me non trascolorasse

In troppe cattive parole

(il dialetto)

Febbraio

Il malanno nuovo,

le forze frascheggiate La pezza calda gli unguenti

La fanghiglia con la fuma lenta mi cola nel petto

l’inferno

I sentieri ho fermi Le spose

(l’acqua è senza amore) si gettano dalle cime

Qui la Froda ogni anno impiglia il velo

Le primulale cercano l’edera

unico verde e ne sanno - beate

il mistero del profumo E si perdono

in un inganno di favonio

Mi ci vorrebbe un pianto

È già il bollore della grazia il mio

Voglio la primulale

Fuoco Francesco

Puntuale la febbre

Le spose sono le cascate al gelo di gennaio La Froda è la cascata di Caldè

I frati tributari

allagano la pianura …ma le nuove alghe, le starne…

Il sole è un roveto per chi ha mani malate

L’una è sul sole Da qui si spia Michele

ancora trafiggere il drago e la dormizione di noi gente

che in montagna saluta Sono ruota focaia

del mio stesso sovvenire E non saluto

Gote È cara

una sorta di vento Non per le mani…

Monte Barro (Lecchese) Un S. Michele romanico oramai senza cappa come un equilibrista senza sbarra

Il suo stoico lottare contro il tempo i laghi pietosi dell’industria oggi, le nostre contraddizioni

Svento un disamore

(ridò sentieri), l’ottenebrarmi nell’indifferenza

Un disamore di uomini che lasciano il bosco

per le strade più calde Ridò il gran canale

che dal Sasso della Croce porta alla bolla del miracolo Ma limacciosa è la sua vena

stramata dagli anni caduti e smossi

Che mi caccino in corpo gli ossiuri del ridicolo se posso così salvare il moto del mio sangue!

Stramate sono le piante cadute con violenza

Vedo la rassegnazione negli uomini del bosco

che un tempo vivevano d’ascie e di sambuchi a torcere, che con le coti imbevute nei corni sapevano temprare e impugnare

Io non abbandono i tronchi che il vento ha sdraiato, mi vien di “stagliarli”, di “covezzarne la ramaglia”,

d’allineare la “baronda”, trarne magari strame

Loro dissuadono quando possono questa mia ingenuità - Preferisco la sconfitta del grido

dello gnomo digrigno chiuso nel legno di faggio

che sfotte la scure prima di cadere al seguir dei colpi -

… Sono stati mugugni e silenzi,

i terreni contesi, i brani lasciati in pudore a imbrunire a raggrinzire i valligiani: è stata questa la luce alle mie radici

E ho cercato nelle gole i segreti rancori, il pomo da modellare e poi suggere

a labbra ardenti appena fuori dalle tane… io che mi ostinavo a pulsare imitante

il Giorgio segugista con la Flai l’Ala il Patìs dietro lègore e loro pedane

con le vocali di onomatopee dimenticate, coi chiami d’indigeno

colpi di glottide verso l’alto / atollo d’amore

colpito da glottidi verso l’alto! / … E dietro tutti comunque nella cavalcata mondana

allineata è già questa mia ora nuova taciturnità

Le lègore sono le lepri Ah le trepidazioni nei nomi dei suoi cani seguendo lepri e loro camminamenti!

Il riferimento ai test nucleari è disperato travaglio e contrasto sonoro; anche il più reazionario dei poeti oggi nel suo fragoroso silenzio d’amore,

nel suo immaginar sereno della prolungata infanzia è calcolato dai telecomandi dell’ordine consumistico a cui facciamo capo tutti ogni giorno

(ogni gesto ogni pensiero…!)

Come la gira sottotetto a scondere pane e occhi di sonno

righigna le bacheche appese alla mia vena la cerva sulla piccola

neve delle ceneri semina baci

con moti ancestrali

Righignare significa mordere a piccoli tocchetti La gira è il ghiro

Nonno diceva della lontra quando la valle era prati, castani d’affitto e acque

“I cervi stanno perdendo i trofei” - ora è papà - “Il Cipolla già li trova” Nemmeno una forcella

rosa da più stagioni a me nuota nel fogliame

Mi basta un rutto di dominante che in cima al sentiero

chieda chi sono …

Come cambiano le vite del bosco

Ancora cervidi

Amoroso cerviero coglizoccoli

impressi in fronte, polpastri di micio,

grandi, La lince

o già il lupo

Febbraio

Chi mi carica di zufolo sa bene darmi pace

e radunarmi dal mondo Freddo

il braccio Una rosa Lo sparo Al calo

“… Mentre il silenzio…” in un capanno di caccia

L’attesa dell’uccellagione, il brivido del silenzio, i richiami come dita da passare alle labbra …dopo la sconfitta… rosa di un nuovo mattino… di una nuova sera…/ non più roso / rosa del colpo,

il dolore finissimo, imbracciata l’arma - al di là delle ipocrisie nel dibattito modaiolo di un finto rispetto ecologista -

è metafora inquieta della immaginata solitudine di un ragazzo, trovata un giorno nel capanno la sua ben diversa “siringa papagena”

Tiziano Uniposca baffo di volpe pennino beccaccino

Il maschio del cervo senza più brama cerca se stesso

Si dipinge nel bosco alla caduta dei palchi

È presa la briga su alla Gesòra

Già canizzano in coralta Lo sbrancano. La cerchia

Ora è l’anti-rito del suo ansimo silenzio

Il capriolo

tesa la cacciata

La Gesòra è vallone che scende da San Michele

Francesco,

Si stacca il gufo re Dal bosco degli urogalli

Francesco papageno Spaventapasseri nato fieno

Il pesco ha un rammendo

fatto con la juta e la sputa di luna, semola zuccherina Sotto il ramo che dà alla collina

fattogli un torto dalle canne che il nuovo clima ha cresciuto giganti

e più gigante il vento, una frasca di nocciolo sbiancato d’accetta

lo regge Le cortecce ordinate a terra in sogno tondo

proteggono l’avvenire

Papageno

Marzo

Sparsi in volo flatulenze per catturare le leggere

Tesero dolce la mia imboscata le fate veline

così fatue lenze Apersero la bocca in paese

e contro il mio canto narrarono idiozie

A Tesero,

Per adular farfalle

(…ma a volte anche le fate…)

S’avrà piova in pazze ragioni

Ma camperanno le genziane ancora alla chimica Paolo sgranerà una Madre dalle dita ossute Fuori le ciocche domenicheranno alla nuova

Sposo…

A Paolo Bollini

Chiesina di San Michele Valtravaglia, sarà luglio 2000

La pioggia insistente, buona o acida che sia oramai l’inverno fremente di Paolo al tratto di una Madonna d’oggi

la gioia delle campane, al pascolo prima del suo sposalizio

Colano le labbra, gira la testa alle api

S’appiccica la stagione dove prendono fiato imprecise Divertita a piedi nudi s’innesta l’infanzia

Sboccano capo e coda, per ora È impuro il rigurgito. S’accorderanno

Sistemeranno gli elementi procedendo in amore Più non parleranno

Miele è il mio travaso incantato dell’umor piano come trapassa il muco nei seni nasali

il suono desto tanto atteso filato in acuto a segnarmi le tempie di sereno a decongestionare il mio verno come una morìa di stelle cave

che m’implodono tra occhi e fronte Stilo d’ora. La bocca un crogiolo

E sono polline

di cimale

Per Aga il sentiero è traverso

Solo Oratorio Piccolo consorzio d’archi Fra santi Inclinata la cappella, la Donna ha mani di spine A distesa il fiume attacca nudo al pozzo piano

(non è tempo di motti d’orchi)

Dulciana Maria, nella corte un nespolo è sua viola da gamba

“Gradite - qui dai panni stesi - della casara?… ho secco un piego di martagoni in cantabuia…

vinello…?” Io ringrazio

Mi racconta che Tatiana suonava qualcosa, un giorno vide lampare il cuore di Dio,

gli andò incontro in celesta

Si sgomita di robinia a filo del bosco, gli anemoni glassarmonicavano

appena toccati dalla pioggia Ora non piove

Lì scende Eufemia vento contrafuoco sopra i prati a cacciadiavoli,

per fortune

Torno sentiero, ripasso il suono adenoideo delle vecchie ghiacciaie

umidolente verdi di pietra Fasti di Dio quando pena l’ombra

Sulla spelonca in cimarosa

il mattino già

Aga Valcuvia, antico musico

Le primule affaticate dal gelo, le sofferenti,

poi le elette, le poetesse hanno avuto in dono le ali Sono le primulale,

a tentoni impolverate farfalle di marzo ancora non si azzardano in capo al Cuvignone

dove le ballerine riprendon le cesène Sanno di primavera. La dicono duemila volte

coi battiti del silenzio che non ha congegni È tempo di papageni,

è tempo che sletàrghino, che corran sui cimali a dondolare la contentezza,

a soffiare le code di polline, a passare alle labbra un sentore travaglino

di nettare come sarà (È papà che ne ha abbandonato le spore sui sentieri)

E ballerannoghiotti Le rondini attenderanno segnali che per adesso non conosciamo

Se cambieremo, forse… Allora tornerà anche l’upupa caramella

col cimiero balosso e un nuovo imbarazzo Torneranno le allodole

incantate da sé e dal nostro ribuonìre Come è tornato il Signore

così, da un ceppo e aspetta sui sentieri

Come è tornata la Madonna nello scialo dei ciclamini

Come la vite selvatica del Sasso della Croce, del prato dei piccoli corbelli …antico desco / in canto, ora senza frutti non sgrana piangente i ricordi della Stagione, non slegna le speranze di quella che verrà,

ma arde paziente, ghirlandia di ghiri (appeso paese), rosario dei fischioni, viale dei rattini amorigiòli …così, scantonato il letargo è il mio inverno meravigliato: vita di ciole e noci, fuoco e miele

Nel bosco, tremendo d’eco, appendo i miei canti

Aria Maria

Ridicono i ginocchi È un cavo castano tragico I picchi smettono il lavorìo

Maria colma di Gesòne

e imbruna in seta antica il gran Mottetto

Ma niente è di voce La luna vi muore grande

I sentieri risegretano dopo anni di taglio

Gesòne dell’amore, in Valtravaglia

Si ovattano i batacchi col lino nella tana del ventone

È menestrello barattolaio che slegna l’ocarina

per aver di latta i suoni dell’oca Ocarinasuonalattanalatina! - o non si decide -

La volta della Virgo è giardino di frusci d’erbamenta bianca

E si dà di squilla

nella gola della Froda Un tumulto di corali alla somma delle coscienze

Il rogo della neve Le unghie prodiformi (rastrelli portentosi) Una falce come luna

Bramito canadair arrossa Maria

Cascata della Froda, Valtravaglia

Maria Febbricitante

Brina

S’inciela in occhi d’alpari

Rapitissimi Involuti Narcisi

Val Vigezzo

Poi bei corbelli / eran prati / d’oro soro

come Francesco aspettato dalle bestie torno in monticazione con le mani salate

Maria dalla mandòla

Val D’Ossola

Cantonato in angolo alla nicchia (impresa ginnica nelle ansie dei graffiti)

è un rotolare di sassi mariani

Riavuto fenomeno di una isterica serenità

Cappella di Pianchè in Valtravaglia

Come respiro respiro primo alla monticazione avevano Maria di gerle e viole (dei bei corbelli eràn di prati)

Labbraprigione La luce fonda

L’Amata trema Madre d’acqua rivelata e di castani come fonte

Ramava rapidissimo stupore Il riposo

Bolla del Miracolo, in Valtravaglia

Maria ombrosa torce col salice

un piglio di vento I bimbi raccolti

dormono fresco al bàito in braccio ai grilli sonatori

Non altro sanno le madri nuove

che una ninna anodina che varca il millennio

Quarona Valsesia

La Bella Madre:

tiro di setole nel senso della bellezza luce presa e corsa in lungo sulla bava

rigettocuore di un ragno umìle Suo l’ordito

dove la Bella Madre …

Santa Maria Maggiore, Val Vigezzo

Seconda stesura

È palmo in perso

Fa gighe di rondine, impazza rana Tira i cardi a suono È pedale

È bramito di luna tonda

Letizia Maria erbamedica nutrice

attesa sull’alto pascolo

Falmenta, Valcannobina

Batte Maria

nel corso di latta

Maria si rinnamora Più forte Rugiada, continua ghironda

Quasi un suono antico la prima pioggia di primavera sulle grondaie

EricaMaria Improvvisa

Di grido Dal vallone moreno

“Poi scendi e rincasa

dilatando il pugno in mano offerta come quando dài il sangue

dalla strada che rompe la fiamma”

Morghen, Valle Anzasca

Due occhi di madre,

lavanda La cerca dall’alto

I ghiribaldi dispensieri sui ponteggi del bosco

Morta brinella, nel tempo delle foglie scartàvole,

arroga un codame d’api Dove il muschio è bianco

Monte Carza

Montico, Maria

Umida forma Sono solo passo Curioso selvo ti rendo volto

Condotto l’amante convinco in me l’alparo

Rinnovo la porta delle provviste ai compagni alpigiani presi cogli armenti o carbonai

Mariposario

MARIACOLLEALI Negli improvvisi

Tramonti

D’ORA IN POI OGNI CAPOVERSO HA LA MAIUSCOLA

La pleiade Molle

Viola d’amore Sul clivo della malva

È la cercatrice (Ikebana corona melodia, Inaspettato diminuendo,

Avute ciocche Le aquilegie)

MariaSole

E qui lenta Alzavola

A temer aria, O pettirosso Cavalcuore

Sussurratore per l’alta Via del Gridone, Dove Maria posa E Fontana trema

FarfallaMaria

Chioccolatrice Nel tempo della pregnanza

Avverte i merli Lontani dal bosco:

La capinera ha detto Come sarà la notte

Preme Maria

AcinoMaria

Poggia la bocca

Sul capo da stellare Cartilagini d’api donate le arti,

La lentezza È inesplorata rocca

Durano anche gli sfulmini

Nella notte estiva, Cera d’amore ad ardere,

Non c’è il mondo

CeraMariaVersoNotte

Lontano Il gelo

Consumato Ante-amore

Fragrantissima

Concordia Sotto le pianelle Della Madonna

MariaNeiFiori

Rossomagone costato al clivo Maria novoamore

Sul trave come un fiore di passione Fremito di piuma nel gergo della selva

Pettirosso di premure Er’amore in Seraspina

Ora la cincia rubra Sul suo capo ha nido

Sylvia refosca

A veglia del canto Giglio di S. Giovanni

Eco sopra i faggi

Ave a sera Libero corpo

Exuvia a nuvole Detto il segreto

Pentecoste

Solo alle croci di vetta è dato sapere Come cedere blasonato il respiro

Quando il gheppio esegue lo spirito santo

Lava il becco cardellino Nell’insoglio del folto

Dove calda la parola di caccia È stata alle sottili Daine ad imparare

L’estro e la penombra

Ecco perché la sera Traversa il motto di prugnolo tardivo Sui sensi di colpa dell’erbe officinali

Quasi non bastasse il suo istinto vulnerario Sul bosco tutto ferito

che sanguina e lo reclama

Scoiattolo intagliatore Che t’incerchi nel lunare

Fresco del mio solaio, Non solo non ho noci, Non sono Nonnonoci, E non ho noci, vedi?

Torna alle abetaie Potessi farti da donna

E sfiancarti ebbro nelle corse

A lauda scintilla

Se v’è correlazione fra la scala delle dimensioni e la scala musicale, Se la dinamica è già in natura dove il virtuosismo è espressione

Il canto degli uccelli, la tessitura del loro nido, del loro volo Sono la mia poetica

Non si può chiedere ad essi una sintesi di gridi Né ai fiori di campionare il profumo

Torno merla Coloratura

Colorata Paura

Nel fosso

Sconosciuto

Rigògola La microsete

Sgrano-la-voce

Acquaiola

Azzurrine Agilità

Sedotta

Mora di rovo

Dal mio Sottocanto

Il canto giovanile, le avventatezze, i tremori, Le sue “prove” irragionevoli di straordinaria bellezza:

Questo è il sottocanto dell’acquaiolo, rigogolo, turdus merula

Esce il vecchio cervo Scudiero hai pronta la daga Sta Dio insufflato nel nardo

Che chiama e s’indora E non sai, tramante

Che te la indora

Beihirsch- cervo scudiero, in cuore hai ben altro che assistere il tuo vecchio al pascolo La daga è il pugnale di caccia per accorare il cervo finendolo

L’usta è già passata Ma non di caprèolo Che traccia inodore

S’effluviano le cadenti

Dal ratto nel muro Come voce di jole

Giù dall’onda

Dal lavatoio accanto al bosco La notte di San Lorenzo

L’usta è il caratteristico odore del selvatico lasciato al passaggio In Val Calanca il capriolo è ancora “caprèolo”

La jole è la barca lacustre delle regate di canottaggio Le cadenti sono anche le saponarie cresciute avventizie nel muro

Buddleja sfinita da tanta bellezza È presa dal suo lago

Amava le fluorescenze della voce assolata In rogo la scintilla, la calma terra che la tratteneva

Azzurro è l’agguato di Dio …

Ora la stele del canto È scesa di conifera

Posato mento, lungolago Airone

Flessuosa notte

Le strade di esbosco Son permesse ovunque

Magari a scuse tagliafuoco Direbbe il poeta

Chiuso in ogni forestale “Così foga si sventa”

“Fiati faran più stelle” Io dico che in seno

Lui ha ceppie che non ricacciano

Lento a rimarginare È questo tempo di poc’acqua Il fuoco è chiuso negli occhi Confusi nei vorticosi tempi,

Nei corpi da esprimere “Rimpatriati nella banalità”

I cori ad organum sfaciendum Lampano le croci dure

In colma al San Martino

Tiro con Gesù un che d’erba lunga Ho per difese denti rossi di toporagno

Anch’io se rimboscano gli abetai Coi pini strobi gagliardi di frottole

Che posso, contrabbandiere di prati? Star saltamonté nel mio “dolce furore”?

Sacrario di San Martino in Culmine, al baleno delle prime luci

I rifiuti (sempre più raffinata è la barbarie dietro le ramaglie, sotto lo strame) mi fan subito correre col pensiero ai resti ”giubilari” lasciati dai coetanei a Tor Vergata

Il pino strombo adoperato nelle riforestazioni “all’americana” subito declinanti, ha promesse che poi non rispetta, gli scoiattoli non amano

l’attacco orizzontale dei rami, sull’alare ha poche espressioni

“…” è da Teresa D’Avila

So di donnole come neve che corre, Di moscardini a perdere la coda

E di volpi acciambellate ad ascoltare il sole A sopravvivere coi rapimenti pensati in arte,

Le attese insostenibili So di donnole espresse arboree

Un po’ per non morire

Allora sì, mi torna la voce contro l’alto, La farfalla notturna enorme

Che mi dorme sulle pareti dei polmoni Voce degli anfratti, degli orridi,

Del bosco scuro La mia cantabuia

Silvide inquieta nera Via dall’uomo

Nel prato sotto i tini rivolti a riposo I grilli brilli di suono reggevan di fibra l’estate della voce

Li sento rimasti nei tini ora spiritati di amori Sotto la juta che ripara divaricati i sacchi logori, Di fino lavorìo insegnando il fermento, le febbri

L’astrazione mia, fra stelle, cercando l’origine del suono Spende tutto a metà del fiato - Mio melanico timore!

Bruna la brina di bruma, mi coglie sul sentiero A casa rido di castagne cotte al bollore, poche in grazia

Non si hanno dalla pioggia di pazze molecole, dall’insensato vento

*Ti si veste, chiesa, lungo l’arco basso del sole E’ forte la sera, se ti si rinfresca la mente al sole

Come le donne con la mano in fronte una volta vecchie spremuti gli occhi Il foulard annodato dietro terrà i capelli buoni a lungo

E’ panno da musica la cantata nostra insolazione Inzuppiamo pennelli e passiamo pulviscoli “d’oro di millenni” Scheggiavano i pastori, FedeCollaFede, acqua scaglie d’acqua

Con le nocche di sasso, le pietre piane per la sormonta

Bach all’organo preme il sole La fuga strema la melodia Gli siedo accanto e non dovrei E s’affretta più disperato

Stanco ostinato passa con gli aratri i laghi, le volte, I faggi nel piano di un delirio, nella muta di chi vola

Io nel trillo seguo le sue vene grandi, entro con flauti inutili E’ tempo di fuoco, la mia bocca intrisa, la montagna con la sua

Rivendica in quiete dicendo la fede senza una certezza Grava e cede all’Accordo la colpa (lui ha le latte riverse) Tracima il rossore Dispare E’ schiusa la Madrespina

Quel taglio sbraccia il bosco - Maurizio, è troppo rado!

Lo tarlasse almeno un frate minuto in liuto Sole salamandra povero d’armonici avrà fiele sul petto

Il francolino nel tuo ceduo robino dondeniderà? Le ciocche fèstano alla nuova discesa

C’è muschio che rischiuma, riboccano le sorgive Vanno diligenti le crine al Nocchiero

Accendono i colchici un altro tramonto Sposo dell’inverno ho pronto il giaccio Di bucce di caco calde, spolette di cardo Al piede dell’albero lascio le mie borre Immaginnivoro nel lungo eco squittire

*San Michele, mentre restaurano la chiesa

Segui il mio dito! È una poiana augurale

Il capo tra le bianche del petto Come un segno d’espressione

Porta nel sottogola, sai, Il primo bargiglio di neve Scosso profumo, accento

È l’Amante che la tien ferma In sospesa cadenza

Appoggiata sul fiato

Se piove un segno è meglio tacerlo Colano le lumache in un abbraccio

Maria umida forma È una rivelazione sonora Tenuissima sul pancaldo

Da Lei, alla Bocca delle Ganne Questi appunti da quattro tramonti

Di rientro dal pascolo

Sul cardiogramma del mio psittacismo Torna il muco che dice il sereno E si commuove

Via le tossine del canto ornato (ero agonista sui picchi) Come ghiandaia che adesso fissa il suono

Torno al lago, alle barche scolorite

(Come potentille nel bosso confuse) Ho insegnato, sparviere, il volo dello spirito,

Ora la voga e le correnti Appena il canto rapace

S’è ripiegato

Nella tensostruttura della voce Oggi si crede al “muscolare” - anche a riposo

(L’elettrostimolazione della poesia) Mi sezioneranno - lo so -

Faranno anatomia vociologica, Saliranno a cavalcioni sulle corde

Mescolerò gli incanti Impasterò le note in grumi, Allora percuoterò e soffierò Inutile in poesia la voce alta

I corvi tenori non diranno lo spavento Siamo catturanti di suoni emboli

Soffiando il melograno dal suo meato

Gesusperanto

Ti matura il pomo sul collo, s’incarna in dolciore pronto Ragazzo di Seattle Gesù armato al tempio A te l’acqua chiara di questo nuovo sgelo

Come un’elevazione di luna sopra la notte irrigua

Come fai rossomagone dalla catasta che ho in gronda Tieni in petto anche la mia soggezione,

Tesoro ti svolo così in gola?

L’indice in controluce Finita la meridiana

Pendono le orbe I giochi preziosi

Le tentazioni Qui inlabbrano i crochi

Maddalena ama il Cristo

La neve smerla dai tetti È neve dell’àverla

I monti solleva Muore per non morire

Ombra la tieni ma non devi Gesù vuole andare

Per favore

Giuda Si mala Cicala

Lo canta Su la forcella

Dell’odore L’ora

La sviene Nera

D’amore

Tinto dal soffio dell’aspide Enzima che insegna lentezza

Prima le spalle dalla roccia artigliata Poi Gesù soprano falcòn

Si gira il sole La grande scura

Presto la sera Móre memoria

Tòma Gesù Per tre volte Sù lo sterno

Linda pernice

Un po’ d’aceto Ei lassa

Iesu t’amo Iesu florissante

Aceto Issa!! Iesu,

Aceto!

Cos’han fatto Lodola stanca

Stretta al piede Tramonta Mama

Il beve Si move

Esàle Si smala

Delfino

Dai mari Lo suda La terra

Avanti, La nona

Mi’aroma Speranto Ossuto Spento Perduto

Concento:

Corpo bello, Beato il vento Che t’asciuga E ti porta via

Poi tempo di piova Poitempofermo Maria sfigura

Non vede non sente Care al dorso le donne:

Lacrimosa ascolta, Il vello del grano

È già aria

Avremmo avuto La menta dei campi L’allorino del bosco Le drupe di corniòlo Le noci più oleose

Se solo ti fossi Lasciato ungere

Piova sui prati Calce entro i muri Cenere sugli orti

Sei tu nei palpiti

Come li sento adesso La voluttà riardere

Moli la folgore Infilzi le nubi Piova sui prati

Escondido Cristo Marìo brunello Sotto il cardo

Che non ha fine

Il fiume Sbranca la cerva

Anemone Che rinserra

Lo strillo ovale Sei rondone

L’aprilo il primo Così a Dio affine Io non mi tengo

Ingiglio, io ti credo Ti muoio dietro,

Genziana

Il resto è sera E gèrbere che odorano

Forse i lupi Dalle centovalli

A leccare la terra Che inviene

Cristo controtenore Testa monda Furia amante

La tromba è sole

Toccano Tommaso Ha occhi slavati

La bocca impastata È stato deriso e atterrato

- Non così, Ragazzi di Seattle

Si rende grazie D’aver creduto