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FEBBRAIO 2011 I Presentazione del libro di Luigi Giussani Il senso religioso (Rizzoli), 26 gennaio 2011. Palasharp di Milano e in collegamento video con 180 città italiane di Julián Carrón PAGINA UNO IL SENSO RELIGIOSO, VERIFICA DELLA FEDE Antoon van Dyck, L’apostolo Giuda Taddeo, 1619-21. Kunsthistorisches Museum Vienna.

Carrón - Il Senso Religioso

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FEBBRAIO 2011 I

Presentazione del libro di Luigi Giussani Il senso religioso (Rizzoli), 26 gennaio 2011. Palasharp di Milano e in collegamento video con 180 città italiane

di Julián Carrón

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IL SENSORELIGIOSO,VERIFICADELLA FEDE

Antoon van Dyck, L’apostolo Giuda Taddeo, 1619-21. Kunsthistorisches Museum Vienna.

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IL SENSO RELIGIOSO, VERIFICA DELLA FEDEPAGINA UNO

II FEBBRAIO 2011

DI JULIÁN CARRÓN

Presentazione del libro di LuigiGiussani Il senso

religioso (Rizzoli), 26 gennaio 2011.

Palasharp di Milano

e in collegamentovideo con 180città italiane

1. IL SENSO RELIGIOSO, VERIFICA DELLA FEDE

«Quando miro in cielo arder le stelle; / Dicofra me pensando: / A che tante facelle? / Che fal’aria infinita, e quel profondo / Infinito seren?che vuol dir questa / Solitudine immensa? ed ioche sono?» (G. Leopardi, Canto notturno di unpastore errante dell’Asia, vv. 84-89). Questa poe-sia di Giacomo Leopardi esprime in modo mi-rabile l’esperienza in cui si svela il senso religiosodell’uomo. L’impatto dell’io con la realtà sca-tena la domanda umana. Vi è cioè in noi unastruttura nativa che, nell’impatto col reale, vieneinesorabilmente messa in moto, così da mobi-litare tutto il dinamismo della nostra persona.Nella misura in cui vive, nessun uomo può

evitare certe domande, a prescindere dalla pro-pria appartenenza etnica o culturale: «“Qual èil significato ultimo dell’esistenza?”, “Perchéc’è il dolore, la morte, perché in fondo vale lapena vivere?”. O, da un altro punto di vista: “Diche cosa e per che cosa è fatta la realtà?”». Ilsenso religioso - ci ha insegnato sempre donGiussani - si identifica con la natura del nostroio in quanto si esprime in queste domande,«coincide con quel radicale impegno del nostro iocon la vita, che si documenta in queste domande»(L. Giussani, Il senso religioso, Rizzoli, Milano2010, p. 59)*.Ma perché riprendere ora, rendendolo og-

getto del nostro lavoro comune, il testo de Ilsenso religioso? È una domanda che mi sonosentito rivolgere in diverse occasioni da quandoabbiamo preso tale decisione. L’idea è emersadall’esperienza degli ultimi Esercizi della Fra-ternità, in cui ho riletto due capitoli de Il sensoreligioso “dal di dentro della fede”, come hoavuto modo di osservare. Tutto è nato dalla constatazione, anche in

noi, che pure abbiamo la grazia di essere im-mersi in una certa storia, di una fragilità dellafede come conoscenza (che abbiamo chiamato«frattura tra sapere e credere»). Anche noi,cioè, partecipiamo della riduzione della fede asentimento o a etica. Don Giussani ha osser-

vato che ciò accade non solo là dove il cristia-nesimo non è più proposto secondo la sua na-tura di avvenimento, ma anche per una man-canza dell’umano in noi. Il cristianesimo,infatti, ha un grande “inconveniente”: esso ri-chiede degli uomini per essere riconosciuto evissuto. Negli Esercizi della Fraternità delloscorso anno ho cercato, attraverso la riletturadi alcuni capitoli de Il senso religioso, di mo-strare la natura e la dinamica di quell’“umano”che in noi manca, viene meno, si blocca. Tantisono stati colpiti dalla pertinenza di quei capi-toli al percorso che stiamo compiendo e mihanno chiesto di riprendere insieme, da que-sta prospettiva, l’intero testo.

Ma che cosa significa affrontare Il senso reli-giosodall’interno della fede? Noi siamo abituatia intendere il «senso religioso» come una sem-plice premessa alla fede; perciò, esso ci sembraquasi inutile, una volta che la fede sia rag-giunta. Come fosse una scala che ci serve persalire al piano superiore: una volta saliti, pos-siamo fare a meno della scala. No! Non solo oc-corre un senso religioso sempre vivo affinchéil cristianesimo venga riconosciuto e speri-mentato per quello che è - come ci ha ricordatosempre don Giussani citando Niebuhr:«Niente è tanto incredibile quanto la rispostaa una domanda che non si pone» (Cfr. R. Nie-buhr, Il destino e la storia. Antologia degli scritti,BUR, Milano 1999, p. 66), o non si pone più -;ma - in secondo luogo - è proprio nell’incon-tro con l’avvenimento cristiano che il sensoreligioso si rivela in tutta la sua originale por-tata, raggiunge una definitiva chiarezza, vieneeducato e salvato. Cristo è venuto per educarcial senso religioso, come ci ha sempre dettodon Giussani (lo riprenderò dopo). Un sensoreligioso vivo rappresenta perciò una verificadella fede. È molto significativa in questo senso la ri-

sposta di don Giussani a una domanda di An-gelo Scola, nel corso di una nota intervista:

*Il senso religioso è «l’inclinazione dell’uomo verso il suo principio e verso il suo ultimo destino; l’avvertenza indistinta, balenata intuitivamente alla suacoscienza, del proprio essere dipendente e responsabile; il pronunciamento informe e naturale dell’anima circa il proprio arcano rapporto verso l’Esse-re supremo; il nativo gesto della natura umana in atteggiamento di adorazione e di supplica; l’esigenza dello spirito verso un Infinito personale, comedell’occhio verso la luce, del fiore verso il sole». Era il 1957 quando nella sua lettera pastorale per la Quaresima ambrosiana l’allora cardinale GiovanniBattista Montini adoperava queste parole. E pochi mesi dopo, Luigi Giussani pubblicava la prima edizione del testo Il senso religioso. Esattamente qua-rant’anni dopo, don Giussani terminò l’ultima e definitiva versione di quest’opera (che è anche il primo volume del suo fondamentale PerCorso).

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Guercino, San Pietro(1624), Galleria Palatina, Palazzo Pitti, Firenze.

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«La sua proposta pedagogica - chiede Scola -fa leva sul senso religioso dell’uomo; è così?».«Il cuore della nostra proposta - rispondeGiussani - è piuttosto l’annuncio di un avveni-mento accaduto, che sorprende gli uomini allostesso modo in cui, duemila anni fa, l’annunciodegli angeli a Betlemme sorprese dei poveri pa-stori. Un avvenimento che accade, prima diogni considerazione sull’uomo religioso o nonreligioso. È la percezione di questo avvenimentoche resuscita o potenzia il senso elementare didipendenza e il nucleo di evidenze originarie cuidiamo il nome di “senso religioso”» (L. Gius-sani, Un avvenimento di vita, cioè una storia,Edit-Il Sabato, Roma/Milano 1993, p. 38). L’av-venimento cristiano resuscita o potenzia, per-ciò, il senso religioso, cioè il senso dell’originaledipendenza e le evidenze originarie.

Se il lavoro di questi anni sul libro di donGiussani Si può vivere così? ci ha permesso di ve-dere la novità umana che nasce dalla fede, cosìda poter verificare la pertinenza della fede alleesigenze della vita, quello che stiamo per intra-prendere su Il senso religioso potrà permettercidi approfondire lo sguardo su questa perti-nenza: essa si documenta, infatti, nella capacitàdella fede di ridestare l’io, di farlo diventare se

stesso, di mantenerlo nella posizione giusta peraffrontare tutta l’esistenza, con le sue prove e lasua problematicità. Ecco, allora, la prospettiva da cui leggeremo

il testo: ripercorrendo Il senso religioso, e con-frontandoci con esso, potremo verificare finoa che punto l’esperienza che abbiamo fatto inquesti anni è riuscita a incidere sulla nostravita o, in altri termini, «in che cosa Cristo èutile per il cammino che l’uomo fa nel rap-porto con le cose, camminando verso il suodestino. Altrimenti, se non ha questa inci-denza come presenza reale, Cristo è una cosache non c’entra con la vita, che non c’entre-rebbe con la vita. C’entrerebbe con la vita fu-tura, ma non c’entrerebbe con questa vita;che è la posizione propria del protestante-simo» (L. Giussani, L’attrattiva Gesù, BUR,Milano 1999, p. 287). Se Cristo è presente, in-fatti, non è in forza del nostro dire, ma attra-verso dei segni che Lo possiamo riconoscere.«È, se opera» (L. Giussani, Lettera alla Frater-nità, 7 ottobre 1997), questa è la regola che cisiamo sentiti dire sempre. Posso scoprire cheCristo è presente per i segni del risveglioumano che vedo accadere in me o negli altri.Tanto è oggettiva la Sua presenza quanto sonooggettivi i segni che la documentano. »

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Impegnandoci con il testo de Il senso reli-gioso, potremo allora verificare se l’incontrocon Cristo ha «resuscitato o potenziato» il sensooriginale di dipendenza, il nucleo di evidenze edesigenze originali (di verità, giustizia, felicità,amore) che don Giussani chiama «senso reli-gioso» e che si destano nell’impatto dell’io conla realtà. Ora, se è vero che l’emergenza di talievidenze ed esigenze originali è in un certosenso inevitabile, è altrettanto vero che la co-scienza di esse è normalmente ridotta, offu-scata o messa a tacere. È ciò che si può coglierenella debolezza o nella assenza, anche fra noi,magari dopo anni di permanenza nel movi-mento, del senso del mistero nella percezionedel nostro io, che viene così tragicamente ri-dotto - molto più spesso di quanto ci rendiamoconto - a somma di prestazioni e di reazioni, aconseguenza di antecedenti storici e biologici, aprodotto delle circostanze. Ecco perché unsenso religioso desto, senza rimozioni o censure,costituisce un segno e una verifica dell’incontrocon qualcosa d’altro più grande di sé. Lo stesso si può dire a proposito della ra-

gione, che l’esperienza rivela come «esigenzaoperativa a spiegare la realtà in tutti i suoi fattori,così che l’uomo sia introdotto alla verità dellecose» (L. Giussani, Il senso religioso, op. cit., p.133). Sfidata dall’impatto con la realtà a essereveramente se stessa («inesausta apertura») e amettersi in moto alla ricerca della sua spiega-zione esauriente, la ragione raggiunge il suoautentico culmine intuendo l’esistenza di un ol-tre da cui tutto scaturisce e a cui tutto rimanda.«Il vertice della conquista della ragione è la per-cezione di un esistente ignoto, irraggiungibile,cui tutto il movimento dell’uomo è destinato,perché anche ne dipende. È l’idea di mistero»(Ibidem, p. 162). Una persona che non bloccasseil dinamismo razionale messo in moto dal-l’impatto con la realtà arriverebbe a vivere la co-scienza del mistero. E quanto più vivesse inten-samente il reale, tanto più la dimensione delmistero le diventerebbe familiare.Ma, anche qui, grande, quasi irresistibile è la

tentazione di ridurre, di utilizzare la ragionecome misura, invece che come finestra spalan-cata «di fronte all’inesausto richiamo del reale»(Ibidem, p. 134). La conseguenza inevitabile è la

riduzione della percezione della realtà, priva dimistero. Ed è ciò che si può constatare nella «de-stituzione del visibile», nell’appiattimento onello svuotamento delle circostanze, di ciò checi capita, che normalmente operiamo: la re-altà, che si presenta originariamente alla nostraragione come segno, viene ridotta al suo aspettopercettivamente immediato, privata del suo si-gnificato, della sua profondità. Per questo tantevolte - ciascuno lo può verificare nella propriaesperienza - soffochiamo nelle circostanze:quando è ridotta ad apparenza, la realtà di-venta una gabbia. Come osservava anni fa l’allora cardinal Rat-

zinger, «una delle funzioni della fede, e non trale più irrilevanti, è quella di offrire un risana-mento alla ragione come ragione, di non usarleviolenza, di non rimanerle estranea, ma di ri-condurla nuovamente a se stessa» (J. Ratzinger,Fede, Verità, Tolleranza, Cantagalli, Siena 2003,p. 142). L’esaltazione della ragione, la libera-zione dalle sue riduzioni, è di nuovo la verificadi una fede reale.

Ora, perché è così decisivo oggi il ridestarsi delsenso religioso? Perché abbiamo questa ur-genza? È decisivo perché il senso religioso è ilcriterio ultimo di ogni giudizio, di un giudiziovero e autenticamente «mio»: se non vogliamo«essere ingannati, alienati, schiavi di altri, stru-mentalizzati» (L. Giussani, Il senso religioso, op.cit., p. 13), dobbiamo abituarci a paragonaretutto con quel criterio immanente e oggettivoche è il senso religioso. Dopo l’incontro cri-stiano, noi continuiamo infatti a vivere nelmondo e siamo chiamati ad affrontare, cometutti, le sfide della vita. Dobbiamo affrontarle inquesto momento particolare, storico, domi-nato dalla confusione e dal «calo del desiderio»,da un razionalismo soffocante, da una parte, eda un sentimentalismo dilagante, dall’altra,dalla riduzione della realtà ad apparenza e delcuore a sentimento. Se Cristo non incide su dinoi ridestando la nostra umanità, allargando lanostra ragione e non riducendo la realtà, ci tro-viamo a pensare come tutti, con la stessa men-talità di tutti, perché il criterio di giudizio chepure originalmente possediamo, il «cuore», cheè ragione e affezione insieme, è avvolto in quella

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confusione. Ciò significa che noi possiamocontinuare ad affermare le “verità” della fede,ma non essere protagonisti della storia, poichéin noi non vi è nessuna diversità rilevabile,come ha detto Benedetto XVI: «Il contributodei cristiani è decisivo solo se l’intelligenza dellafede diventa intelligenza della realtà» (Bene-detto XVI, Discorso ai partecipanti alla XXIVAssemblea plenaria del Pontificio Consiglio per ilaici, Città del Vaticano, 21 maggio 2010).Questo, oltre a farci diventare inutili per la

storia (sempre più dominata da un “potere”

che mira a gettare l’uomo nella confusione, a ri-durre il suo desiderio e a favorire un uso ridottodella ragione), fa sorgere la domanda sulla ra-gionevolezza della fede. Perché è ragionevole es-sere cristiani? Qual è la convenienza umanadella fede? Il motivo per cui tanti abbando-nano la fede è che non sorprendono alcun ri-scontro della sua convenienza. Così il poterepuò allargare sempre più la sua influenza, tro-vando l’uomo sempre più disarmato. «È comese il potere, vale a dire la mentalità dominante,avesse costretto i nostri educatori, compresi»

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Diego Velázquez, SanTommaso (1619), Muséedes Beaux-Arts d’Orléans.

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i genitori, ad alterare la semplicità della no-stra natura [“le evidenze originarie”, dicevamoprima] fin da piccoli. Perciò bisogna recuperarela semplicità della natura nostra. Questa Scuoladi comunità su Il senso religiosonon è nient’al-tro che un invito e uno stimolo a recuperare lasemplicità, l’autenticità della nostra natura (nonper nulla, nella terza premessa, la moralità ne-cessaria per conoscere si chiama “povertà dellospirito”)» (L. Giussani, L’io rinasce in un incon-tro (1986-1987), BUR, Milano 2010, p. 162).

Dell’incidenza del potere noi possiamo es-sere complici, se presuntuosamente pensiamodi potercela cavare da noi, senza una sequelaintelligente e affettiva all’unico punto che ci èstato donato dal Mistero per strapparci dalnulla. La confusione, anche fra noi, può esserecosì profonda che, quando cerchiamo di in-

dicare una soluzione alla situazione in cui vi-viamo, ci troviamo a ripetere le risposte ditutti: alcuni pensano che la soluzione sia met-tersi d’accordo («stare insieme»), altri cheessa si trovi nella politica, in una maggiorepartecipazione alla distribuzione del potere,oppure nella carriera, o in una nuova avven-tura affettiva, e così via. Dopo duemila anni distoria cristiana, dopo anni di grazia del cari-sma, potremmo trovarci nella situazione del-l’uomo prima di Cristo: una sconfinata va-rietà di tentativi ultimamente impotenti, incui ciascuno enfatizza i suoi pregiudizi o gliaspetti più consoni alla sua indole. «Chi ci libererà da questa condizione mor-

tale?», diremmo con san Paolo. Che cosa ci ènecessario? Quale esperienza? È da questa va-rietà di tentativi ultimamente impotenti che cilibera Cristo. Proviamo a ritornare all’origine.

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» Abraham Bloemaert,San Matteoe l’angelo, 1621.

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2. CRISTO CHIARISCE IL SENSO RELIGIOSO

Invitandoci a immedesimarci col Vangelo diGiovanni, Giussani descrive in modo mirabilecome è accaduto questo fatto.«Finalmente questo Giovanni, detto il bat-

tezzatore, venne, vivendo in modo tale che tuttala gente ne era percossa e, dai farisei all’ultimocontadino, lasciava le case per andare a sen-tirlo parlare, almeno una volta. Saranno statitanti o pochi, non sappiamo; in quell’occasioneperò ve n’erano due che vi andavano per laprima volta, ed erano tutti tesi, con la boccaaperta, nell’atteggiamento di chi viene da lon-tano e vede quello che è venuto a vedere conuna curiosità senza barriere, con una povertà dispirito, con infantilità e semplicità di cuore [...].Ad un certo punto una persona si stacca dalgruppo e se ne va lungo il sentiero che risale ilfiume. Quando questi si muove, il profeta Gio-vanni Battista, improvvisamente ispirato, simette a gridare: “Ecco l’Agnello di Dio. EccoColui che toglie i peccati del mondo”. La gentenon vi fa caso [...]. Ma quei due, con la boccaaperta e con gli occhi sbarrati come due bam-bini, vedono dove si indirizza l’occhio di Gio-vanni Battista: su quell’individuo che se ne staandando. Allora, istintivamente, gli si mettonoalle calcagna, lo seguono, timidi, impacciati.S’accorge, lui, che qualcuno lo segue. Si volta:“Che cosa volete?”. “Maestro - rispondono -dove stai di casa?”. “Venite a vedere”, dice lorogentilmente. Vanno, “e videro dove abitava, estettero con Lui tutto quel giorno”. Noi ci im-medesimiamo facilmente con quei due seduti,che guardano parlare quell’uomo che dice cosemai sentite, eppure così vicine, così aderenti,così riecheggianti. [...] Loro non capivano,erano semplicemente afferrati, trascinati, tra-volti da quel parlare: Lo guardavano parlare.Perché è attraverso un “guardare” [...] che taluniuomini si sono accorti che c’era tra di loroqualcosa di inenarrabile: una Presenza non soloinconfondibile, ma incomprensibile, eppurecosì invadente. Invadente perché corrispon-deva a quello che il loro cuore aspettava, in unmodo senza paragone con nulla: padre e madrenon avevano detto loro, quando erano piccoli,con altrettanta evidenza ed efficacia, ciò per cuiil tempo della loro vita valeva la pena d’essere

vissuto. Non avevano potuto e saputo dirlo; di-cevano tante altre cose giuste, buone, ma comeframmenti di qualcosa che si doveva cercare diafferrare nell’aria per vedere se uno si qualifi-cava adatto all’altro. Una corrispondenza pro-fonda. [...] Man mano che le parole arrivavanoa loro, e che il loro sguardo, intontito e ammi-rato, penetrava quell’uomo, essi si sentivanocambiare, sentivano che le cose cambiavano: ilsignificato delle cose cambiava, l’eco delle cosecambiava, il cammino delle cose cambiava». Ilracconto non finisce qui, perché Giussani im-magina il ritorno a casa di Giovanni e Andreadopo l’incontro con Cristo: «E quando son tor-nati, la sera, sul finir della giornata - ripercor-rendo molto probabilmente la strada in silen-zio, perché mai si erano parlati tra loro come inquel grande silenzio in cui un Altro parlava, incui Lui continuava a parlare e riecheggiava den-tro di loro -, e sono arrivati a casa, la moglie diAndrea, guardandolo, gli ha detto: “Ma che hai,Andrea, che hai?”. E i figlioletti, stupiti, guar-davano il padre: era lui, sì, era lui, ma era “più”lui, era diverso. Era lui, ma era diverso. Equando - come abbiamo detto una volta, com-mossi, con una immagine facile a pensarsi per-ché così realistica - lei gli ha chiesto: “Che cosaè successo?”, lui l’ha abbracciata, Andrea ha ab-bracciato la sua donna e ha baciato i suoi bam-bini: era lui, ma mai l’aveva abbracciata così! Eracome l’aurora o l’alba o il crepuscolo di unaumanità diversa, di una umanità nuova, di unaumanità più vera. Quasi dicesse: “Finalmente!”,senza credere ai propri occhi. Ma era troppoevidente perché non credesse ai propri occhi!»(L. Giussani, Il tempo si fa breve, Esercizi dellaFraternità di Comunione e Liberazione. Ap-punti dalle meditazioni, Cooperativa EditorialeNuovo Mondo, Milano 1994, pp. 23-25).

Questa scena descrive meglio di mille parolecome storicamente si è chiarito il senso religiosodell’uomo, perché ha trovato il suo vero oggetto.Incontrando Gesù, Andrea era lui, ma era “più”lui, era diverso. Infatti, «l’oggetto del senso re-ligioso ultimamente è il Mistero insondabile;perciò, che l’uomo ci pensi in modo tale daavere mille pensieri su questo è comprensibile.Ma la verità è una, soltanto che è inarrivabile»

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dall’uomo. Allora il Mistero è diventato unfatto umano, è diventato un uomo, un uomoche si muoveva con le gambe, che mangiava conla bocca, che piangeva con gli occhi, che èmorto: questo è il vero oggetto del senso reli-gioso. Allora, scoprendo questo fatto di Cristomi si rivela, mi si chiarisce in modo grandiosoanche il senso religioso» (L. Giussani, L’autoco-scienza del cosmo, BUR, Milano 2000, p. 17). Ecosì mi libera da tutti i miei tentativi.Questa non è se non l’applicazione di una

legge universale, da quando l’uomo è uomo -«La persona ritrova se stessa in un incontrovivo» (L. Giussani, L’io rinasce in un incontro(1986-1987), op. cit., p. 182) -; ma qui, nel-l’incontro con la presenza del Mistero diven-tato un fatto umano, tale legge si compie, si in-vera in modo definitivo: «Quando hoincontrato Cristo mi sono scoperto uomo»(Cfr. In epistola ad Ephesios, II, 4, 14), disse il re-tore romano Mario Vittorino annunciandopubblicamente la sua conversione. Perché «è inun incontro che io m’accorgo di me stesso. [...]

L’io si desta dalla sua prigionia nella sua vulvaoriginale, si desta dalla sua tomba, dal suo se-polcro, dalla sua situazione chiusa dell’originee - come dire - “risorge”, prende coscienza disé, proprio in un incontro. L’esito di un in-contro è la suscitazione del senso della per-sona. È come se la persona nascesse: non na-sce lì, ma nell’incontro prende coscienza di sé,perciò nasce come personalità» (L. Giussani,L’io rinasce in un incontro (1986-1987), op.cit., pp. 206-207).

Questo incontro ci abilita a scoprire il mi-stero del nostro “io”. «Era lui, ma era “più”lui», mai era stato così se stesso. Perciò, duranteuna conversazione, riferendosi al testo de Ilsenso religioso, don Giussani si domanda: «Per-ché il libro sul senso religioso lo abbiamo fattonoi […]? Perché noi abbiamo incontrato Gesùe, guardando Lui e sentendo Lui, abbiamo ca-pito che cosa stava dentro di noi: “Chi cono-sce Te, conosce sé”, diceva sant’Agostino. [...]Perché per conoscere il senso religioso e per

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Claude Vignon,San Paolo apostolo,Sec. XVII. GalleriaSabauda Torino.

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sviluppare il senso religioso abbiamo dovutoincontrare qualcheduno: senza questo maestronon ci saremmo capiti. Perciò posso dire aCristo: “Tu sei proprio me”. “Tu sei me” glieloposso dire proprio perché, sentendo Lui, hocapito me stesso. Mentre chi cerca di capire sestesso riflettendo su di sé si disperde in miriadidi sentieri, in miriadi di idee, in miriadi diimmagini» (L. Giussani, L’autocoscienza delcosmo, op. cit., pp. 17-18).

3. CRISTO EDUCA IL SENSO RELIGIOSO

Proprio perché Cristo svela e chiarisce ilsenso religioso dell’uomo, lo può anche edu-care. Qualcuno può pensare - anche chi ha giàincontrato Cristo o vive in un contesto cri-stiano - che, essendo il senso religioso una do-tazione originale, non vi sia alcun bisogno cheesso venga educato o che, una volta ridestato,esso proceda da sé, diventi spontaneamente ladimensione di ogni istante. Il seguente brano didon Giussani ci aiuta a comprendere quanto ciòsia astratto: «Durante una conversazione in cuiebbi occasione di essere coinvolto, un impor-tante professore universitario si lasciò sfuggirequesta frase: “Se non avessi la chimica mi am-mazzerei!”. Un gioco del genere, nella nostra di-namica interiore, anche quando non dichiarata,esiste sempre. Qualcosa c’è sempre che rende lavita degna ai nostri occhi di essere vissuta esenza la quale, anche se non si arrivasse ad au-gurarsi la morte, tutto sarebbe incolore e delu-dente. A quella “cosa” [il “dio”], [...] l’uomo of-fre tutta la sua devozione. Nessuno può evitareuna finale implicazione: qualunque essa sia, nelmomento in cui la coscienza umana vi corri-sponde vivendo, è una religiosità che si esprime,è un livello di religiosità che si realizza. Il sensoreligioso ha come caratteristica sua propria diessere la dimensione ultima inevitabile di ognigesto, di ogni azione, di ogni tipo di rapporto.[...] L’ineducazione del senso religioso [...] si do-cumenta esattamente in questo: esiste in noiuna ripugnanza divenuta istintiva a che il sensoreligioso domini, determini ogni azione co-scientemente. È precisamente questo il sintomodell’atrofia e della parzialità dello sviluppo delsenso religioso in noi: quella difficoltà estesa egreve, quella estraneità che avvertiamo quando

ci sentiamo dire che il “dio” è il determinantedi tutto, è il fattore al quale non si può sfuggire,è il criterio in base al quale si sceglie, si studia,si completa il prodotto del proprio lavoro, siaderisce a un partito, si indaga scientificamente,si cerca una moglie o un marito, si governa unanazione» (L. Giussani, Perché la Chiesa, Rizzoli,Milano 2003, pp. 7-8).Ciascuno può valutare l’ampiezza che assume

in se stesso questa ripugnanza a lasciare chetutto nella propria vita sia determinato da Dio.Capirà così fino a che punto ha bisogno di la-sciarsi educare al senso religioso. Infatti: «L’edu-cazione del senso religioso dovrebbe, da un lato,favorire la presa di coscienza di quel dato di ine-vitabile e totale dipendenza che esiste tra l’uomoe ciò che dà senso alla sua vita e, dall’altro, aiu-tarlo a espugnare col tempo quella estraneità ir-realistica che egli prova nei confronti della sua si-tuazione originale» (Ibidem, p. 8).Si capisce, allora, il motivo dell’Incarnazione:

«Lo scopo per cui Dio è diventato uomo èquello di educare l’uomo al senso religioso, per-ché il senso religioso è la posizione esatta di par-tenza che l’uomo ha verso tutta la realtà e il Mi-stero stesso che fa la realtà. Perciò, seguire Cristoè essere nelle condizioni per affrontare la realtàe per camminare verso il destino nel miglioredei modi: si chiama salvezza, così come l’ab-biamo chiamata qui, non nel senso definitivodel termine, ma nel senso dispositivo del ter-mine. Se uno segue Cristo, è nelle condizionimigliori per affrontare la realtà e per affrontareil problema del destino» (L. Giussani, L’attrat-tiva Gesù, op. cit., pp. 286-287).

Ma oggi noi come veniamo educati al sensoreligioso? Partecipando alla vita di quella realtàdove Cristo rimane contemporaneo: la Chiesa.«La funzionalità della Chiesa sulla scena delmondo è già implicita nella sua consapevolezzadi essere prolungamento di Cristo: è cioè lafunzionalità stessa di Gesù. La funzione di Gesùnella storia è l’educazione al senso religioso del-l’uomo e dell’umanità (proprio per poter “sal-vare” l’uomo!), dove per religiosità, o senso re-ligioso, intendiamo - come già si è detto - laposizione esatta come coscienza e tentativa-mente come atteggiamento pratico del-

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l’uomo di fronte al suo destino» (L. Giussani,Perché la Chiesa, op. cit., p. 195).Questo dimostra la necessità della perma-

nenza del Mistero nella storia. Infatti, se Cristonon rimane contemporaneo e non continua asfidare l’uomo, questi ritorna a essere irrime-diabilmente da solo. E da solo ciascuno sa findove può precipitare.Come possiamo liberarci da questo inesora-

bile decadere?

4. CRISTO SALVA IL SENSO RELIGIOSO

Nessuno riesce a mantenersi da sé nell’atteg-giamento giusto a cui pure l’incontro con Cri-sto lo ha spalancato. Perciò l’unica risposta allanostra fragilità è la permanenza reale della Suapresenza.La situazione storica in cui ci troviamo oggi

in Occidente costituisce, in questo senso, unavera sfida anche per il cristianesimo, che è co-stretto a mostrare la verità della sua pretesa dirispondere alle esigenze dell’uomo. Non servirà,infatti, qualsiasi versione del cristianesimo a ri-svegliare l’umanità dell’uomo (lo sappiamobene). Né un cristianesimo ridotto a discorso(“nozionale”, nel senso newmaniano del ter-mine) né un cristianesimo ridotto a etica sa-ranno in grado di tirar fuori l’uomo dal suo tor-pore (nel discorso alla Curia Romana il 20dicembre scorso, Benedetto XVI ha parlato di«sonno di una fede divenuta stanca»), dall’ap-piattimento sempre più clamoroso del suo de-siderio, del suo slancio originario, del suo gustodi vivere. È nella capacità di ridestare conti-nuamente l’umano che si documenterà la au-tenticità del cristianesimo.

Solo un cristianesimo che conserva la suanatura originale, i suoi tratti inconfondibilidi presenza storica contemporanea - la con-temporaneità di Cristo -, può essere all’altezzadel reale bisogno dell’uomo, ed è perciò ingrado di salvare il senso religioso. Non si trattadi un postulato da accettare, ma di una novitàumana da sorprendere in atto: l’annuncio cri-stiano si sottopone a questa verifica, al tribu-nale dell’umana esperienza. Se nell’uomo cheaccetta di appartenere a Cristo attraverso la re-altà della Chiesa, concretamente e persuasiva-

mente emergente nella sua esperienza (cari-sma), accade quello che egli stesso con le sueforze non è in grado di raggiungere - un im-pensabile risveglio e compimento dell’umanoin tutte le sue dimensioni fondamentali -, al-lora il cristianesimo si rivelerà credibile e sirenderà verificabile nella sua pretesa. «Ogni al-bero infatti si riconosce dal suo frutto» (Lc6,44): ecco il formidabile criterio epistemolo-gico che Gesù stesso ci offre. Il cambiamentogenerato dal rapporto con Cristo presente ètale che san Paolo non esita a esclamare:«Quindi se uno è in Cristo, è una creaturanuova; le cose vecchie sono passate, ecco nesono nate di nuove» (2 Cor 5,17). La creaturanuova è l’uomo in cui il senso religioso si rea-lizza nella sua - altrimenti impossibile - pie-nezza: ragione, libertà, affezione, desiderio.«Cristo me trae tutto, tanto è bello!» (Jaco-

pone da Todi, «Lauda XC», in Le Laude, Libre-ria Editrice Fiorentina, Firenze 1989, p. 313),esclamava Jacopone da Todi. È questa bellezza,come splendore del vero, l’unica cosa in gradodi ridestare il desiderio dell’uomo e di muoverecosì potentemente l’affezione da rendere pos-sibile in continuazione l’apertura della sua ra-gione alla realtà che ha davanti - «La condi-zione perché la ragione sia ragione è chel’affettività la investa e così muova tuttol’uomo» (L. Giussani, L’uomo e il suo destino,Marietti, Genova 1999, p. 117) -. L’attrattiva diCristo facilita (non realizza automaticamente)quell’apertura che sarebbe impossibile senza diLui. La contemporaneità di Cristo consentecosì alla ragione tutta la sua apertura, permet-tendole di raggiungere un’intelligenza della re-altà prima sconosciuta: ogni cosa, ogni circo-stanza, anche la più banale, è esaltata, diventasegno, «parla», è interessante da vivere. L’uomocosì ridestato e sostenuto dalla presenza di Cri-sto può vivere finalmente da uomo religioso,sostenere la vertigine della vita, circostanzadopo circostanza, potendo «entrare in qualsiasisituazione dell’esistenza [in qualsiasi circo-stanza] con una tranquillità profonda, con unapossibilità [o capacità] di letizia» (L. Giussani,Il senso religioso, op. cit., p. 148). La contem-poraneità di Cristo si rivela così indispensabileper vivere appieno il senso religioso, cioè per

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avere l’atteggiamento giusto davanti al reale.Se, al contrario, Cristo non viene vissuto

come contemporaneo, le conseguenze non sifanno aspettare. La mancanza d’esperienzadella contemporaneità di Cristo ci fa ritornarealla situazione precedente l’incontro cristiano,e anche se continuiamo a parlare di Cristo(come capita spesso), lo riduciamo di fatto auna delle tante varianti del senso religioso. «Perl’uomo moderno [questa è un’osservazioneveramente acutissima di don Giussani, che cirende consapevoli della situazione in cui vi-viamo], la “fede” non sarebbe genericamentealtro che un aspetto della “religiosità”, un tipodi sentimento con cui vivere l’irrequieta ri-cerca della propria origine e del proprio de-stino, che è appunto l’elemento più suggestivodi ogni “religione”. Tutta la coscienza modernasi agita per strappare dall’uomo l’ipotesi dellafede cristiana e per ricondurla alla dinamica delsenso religioso e al concetto di religiosità, equesta confusione penetra purtroppo anchela mentalità del popolo cristiano» (L. Giussani- S. Alberto - J. Prades, Generare tracce nella sto-ria del mondo, Rizzoli, Milano 1998, p. 22).Vi è una essenziale e irriducibile differenza

tra le dinamiche della fede e del senso religioso:«Mentre la religiosità nasce dall’esigenza di si-

gnificato destata nell’impatto con il reale, lafede è riconoscere una presenza eccezionale,corrispondente in modo totale al proprio de-stino, ed è aderire a questa Presenza. La fede èriconoscere come vero quello che una Pre-senza storica dice di sé» (Ivi). Tale differenza sivede soprattutto nel modo di muoversi dellaragione. Nella fede cristiana non vi è più unaragione che spiega, ma una ragione che siapre - percependosi così finalmente compiutanella sua dinamica - allo svelarsi stesso di Dio.Si capisce, allora, perché don Giussani diceche «il problema dell’intelligenza [non delsentimento o dello stato d’animo] è tutto den-tro» l’episodio di Giovanni e Andrea (L. Gius-sani, Si può vivere così?, Rizzoli, Milano 2007,p. 273). La fede è un atto della ragione mossadall’eccezionalità di una Presenza: «La fedecristiana è la memoria di un fatto storico in cuiun Uomo ha detto di sé una cosa che altrihanno accettato come vera e che ora, per ilmodo eccezionale in cui quel Fatto ancora miraggiunge, accetto anch’io. Gesù è un uomoche ha detto: “Io sono la via, la verità, la vita”.È un Fatto accaduto nella storia: un bambino,nato da donna, iscritto all’anagrafe di Be-tlemme, che, diventato grande, annunciava diessere Dio: “Io e il Padre siamo una cosa

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Eugène Burnand, Pietro e Giovanni corronoal sepolcro (1898),Musée d’Orsay, Parigi.

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sola”. Essere attenti a ciò che fa-ceva e diceva quell’uomo, così daarrivare a dire: “Io credo a Costui”,aderire alla Sua presenza affer-mando come verità ciò che egli di-ceva, questa è la fede» (L. Giussani- S. Alberto - J. Prades, Generaretracce nella storia del mondo, op.cit., pp. 22-23).Perciò: «Immaginiamo quale

sfida rappresenti per la mentalitàmoderna la pretesa della fede: cheesista un uomo - a cui io posso dire“tu” - che dica: “Senza di Me nonpotete fare nulla”, che esista, cioè,un Uomo-Dio. Non ci si misura mai fino infondo con tale pretesa; oggi né il popolo né ipiù grandi filosofi affrontano più il problema,e se lo affrontano è per consolidare il precon-cetto negativo derivato dalla mentalità domi-nante. Si deduce cioè la risposta al problemacristiano - “Chi è Gesù?” - da concezioni pre-costituite sull’uomo e sul mondo. Eppure Gesùdice, come risposta: “Guardate le mie opere”,vale a dire “Guardatemi”, che è lo stesso. Invecenon lo si guarda in faccia, lo si elimina primadi prenderlo in considerazione. La non-cre-denza è perciò un corollario che deriva da unpreconcetto, è un preconcetto applicato, non laconclusione di una indagine razionale» (Ibi-dem, p. 23).

Ma ciò che ora ci interessa è soprattuttomettere a fuoco la conseguenza del rifiuto delmetodo scelto da Dio per rispondere alla esi-genza di significato totale dell’uomo propriadel senso religioso: «Senza il riconoscimentodel Mistero presente la notte avanza, la confu-sione avanza e - come tale, a livello di libertà -la ribellione avanza, o la delusione colma tal-mente la misura che è come se non si atten-desse più niente e si vive senza desiderare piùniente, eccetto che la soddisfazione furtiva o larisposta furtiva a una breve richiesta» (L. Gius-sani, Tutta la terra desidera il Tuo volto, SanPaolo, Cinisello Balsamo (Mi) 2000, p. 124).Senza il riconoscimento della contempora-neità di Cristo quello che viene meno èl’umano vero, lo slancio del senso religioso.

Chi invece la riconosce, vede la suaumanità portata al di là di ogniimmaginazione: «Che sia conver-tita a Cristo la nostra coscienza, ilnostro modo di pensare, e la no-stra affezione, il nostro modo diamare, vuole dire che continua-mente tale coscienza e tale affe-zione sono portate, trasportatedove non avrebbero pensato, sonocontinuamente sollecitate a uscireda sé, vanno fuori di sé, sono con-tinuamente portate dentro un ter-reno, dentro un territorio al di làdi quello che si concepiva o che si

sentiva prima. È sempre nell’ignoto che ven-gono introdotte, è una misura che si allarga:sono introdotte continuamente, la coscienza el’affettività, in un orizzonte imprevisto, al di làdella propria misura», e la vita acquista un re-spiro, una portata, una intensità mai cono-sciute prima (L. Giussani, La familiarità conCristo, San Paolo, Cinisello Balsamo (Mi)2008, p. 135).Ciascuno ha con ciò anche il criterio di una

verifica del suo cammino nella fede, della suaeducazione al senso religioso: l’esaltazione dellasua umanità originale. «In verità vi dico: senon vi convertirete e non diventerete come ibambini, non entrerete nel regno dei cieli» (Mt18,3); questa potrebbe essere la formula rias-suntiva di una vera educazione del senso reli-gioso. E per questo Cristo chiama beati coloroche l’hanno: «Beati i poveri in spirito, perché diessi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). Questi testi cimostrano il vero scopo di questa educazione:spalancarci così tanto da poterci riempire conuna cosa che non possiamo produrre noi, mache dobbiamo accettare, accogliere, abbrac-ciare come un regalo. Solo chi ha questa sem-plicità di bambino, questa povertà di spirito, hala disposizione per accoglierla.

Il lavoro che ci attende quest’anno sul testoIl senso religioso ha questo livello di decisività.Dalla serietà con cui lo affronteremo dipen-deranno la nostra realizzazione come per-sone e il contributo che possiamo dare ai no-stri fratelli uomini.

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La copertina del volume.

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