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1 CARTESIO COME UN UOMO CHE CAMMINA DA SOLO E NELLE TENEBRE … Mi trovavo allora in Germania, richiamatovi dalle guerre che colà ancora si combattono, fui costretto dall'inverno incipiente ad acquartierarmi in una località dove, non essendo distratto da alcuna conversazione e non essendo turbato, per fortuna, né da preoccupazioni né da passioni, trascorrevo tutto il giorno da solo chiuso in una stanza ben riscaldata da una stufa, dove avevo tutto l'agio di intrattenermi con i miei pensieri. ... (Discorso sul metodo, II) Da un pezzo avevo notato che, per quanto concerne i costumi talvolta bisogna seguire opinioni che si sanno molto incerte come se fossero al disopra di qualunque dubbio; ma poiché allora desideravo unicamente di attendere alla ricerca della conoscenza, pensai che dovevo fare tutto il contrario, rifiutando come assolutamente falso tutto ciò in cui potessi immaginare il minimo motivo di dubbio, per vedere se, dopo un tale rifiuto, qualcosa sarebbe rimasto a godere la mia fiducia come del tutto indubitabile. (Meditazioni cartesiane, IV) Come un uomo che cammina da solo e nelle tenebre, decisi di procedere così lentamente e di usare tanta circospezione in ogni circostanza, che se anche avessi fatto dei minimi progressi, avrei tuttavia evitato almeno di cadere. Anzi non volli neppure iniziare rifiutando radicalmente tutte le opinioni che tempo addietro si erano potute introdurre nel mio animo senza l'esame della ragione, prima di aver meditato a lungo il progetto che mi accingevo a compiere e prima di aver ricercato il metodo per pervenire alla conoscenza di tutte le cose di cui il mio ingegno sarebbe stato capace. (Discorso sul metodo, II) PENSO DUNQUE SONO Tutto ciò che ho ammesso fino ad ora come il sapere più vero e sicuro, l'ho appreso dai sensi, o per mezzo dei sensi: ora, ho qualche volta provato che questi sensi erano ingannatori, ed è regola di prudenza non fidarsi mai interamente di quelli che ci hanno una volta ingannati. Ma, benché i sensi c'ingannino qualche volta, riguardo alle cose molto minute e molto lontane, se ne incontrano forse molte altre, delle quali non si può ragionevolmente dubitare, benché noi le conosciamo per mezzo loro: per esempio, che io son qui, seduto accanto al fuoco, vestito d'una veste da camera, con questa carta fra le mani; ed altre cose di questa natura. E come potrei io negare che queste mani e questo corpo sono miei? a meno che, forse, non mi paragoni a

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CARTESIO

COME UN UOMO CHE CAMMINA DA SOLO E NELLE TENEBRE …

Mi trovavo allora in Germania, richiamatovi dalle guerre che colà ancora si combattono, fuicostretto dall'inverno incipiente ad acquartierarmi in una località dove, non essendo distrattoda alcuna conversazione e non essendo turbato, per fortuna, né da preoccupazioni né da passioni,trascorrevo tutto il giorno da solo chiuso in una stanza ben riscaldata da una stufa, doveavevo tutto l'agio di intrattenermi con i miei pensieri. ... (Discorso sul metodo, II)Da un pezzo avevo notato che, per quanto concerne i costumi talvolta bisogna seguire opinioniche si sanno molto incerte come se fossero al disopra di qualunque dubbio; ma poiché alloradesideravo unicamente di attendere alla ricerca della conoscenza, pensai che dovevo fare tutto ilcontrario, rifiutando come assolutamente falso tutto ciò in cui potessi immaginare il minimomotivo di dubbio, per vedere se, dopo un tale rifiuto, qualcosa sarebbe rimasto a godere la miafiducia come del tutto indubitabile. (Meditazioni cartesiane, IV)Come un uomo che cammina da solo e nelle tenebre, decisi di procedere così lentamente e diusare tanta circospezione in ogni circostanza, che se anche avessi fatto dei minimiprogressi, avrei tuttavia evitato almeno di cadere. Anzi non volli neppure iniziare rifiutandoradicalmente tutte le opinioni che tempo addietro si erano potute introdurre nel mio animosenza l'esame della ragione, prima di aver meditato a lungo il progetto che mi accingevo acompiere e prima di aver ricercato il metodo per pervenire alla conoscenza di tutte le cose dicui il mio ingegno sarebbe stato capace. (Discorso sul metodo, II)

PENSO DUNQUE SONO

Tutto ciò che ho ammesso fino ad ora come il sapere più vero e sicuro, l'ho appreso daisensi, o per mezzo dei sensi: ora, ho qualche volta provato che questi sensi erano ingannatori,ed è regola di prudenza non fidarsi mai interamente di quelli che ci hanno una volta ingannati.

Ma, benché i sensi c'ingannino qualche volta, riguardo alle cose molto minute e moltolontane, se ne incontrano forse molte altre, delle quali non si può ragionevolmente dubitare,benché noi le conosciamo per mezzo loro: per esempio, che io son qui, seduto accanto al fuoco,vestito d'una veste da camera, con questa carta fra le mani; ed altre cose di questa natura. E comepotrei io negare che queste mani e questo corpo sono miei? a meno che, forse, non mi paragoni a

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quegl'insensati, il cervello dei quali è talmente turbato ed offuscato dai neri vapori della bile, cheasseriscono costantemente di essere dei re, mentre sono dei pezzenti; di essere vestiti d'oro e diporpora, mentre son nudi affatto; o s'immaginano di essere delle brocche, o d'avere un corpo divetro. Ma costoro son pazzi; ed io non sarei da meno, se mi regolassi sul loro esempio.

Tuttavia debbo qui considerare che sono uomo, e che per conseguenza, ho l'abitudine didormire e di rappresentarmi nei sogni le stesse cose, e alcune volte delle meno verosimili ancora,che quegl'insensati quando vegliano. Quante volte m'è accaduto di sognare, la notte, che io eroin questo luogo, che ero vestito, che ero presso il fuoco, benché stessi spogliato dentro il mioletto ? . . . pensandoci accuratamente, mi ricordo d'essere stato spesso ingannato, mentredormivo, da simili illusioni. E arrestandomi su questo pensiero, vedo così manifestamenteche non vi sono indizi concludenti, né segni abbastanza certi per cui sia possibile distinguerenettamente la veglia dal sonno . . . (Meditazioni cartesiane, I)Ma subito dopo mi resi conto che nell'atto in cui volevo pensare così, che tutto era falso, bisognavanecessariamente che io che lo pensavo fossi qualcosa. E osservando che questa verità, pensodunque sono, era così salda e certa da non poter vacillare sotto l'urto di tutte le più stravagantisupposizioni degli scettici, giudicai di poterla accettare senza scrupolo come il primo principio dellafilosofia che cercavo.Poi, esaminando attentamente che cosa ero, vedevo che potevo fingere di non avere un corpo, eche non esistesse il mondo, né luogo alcuno in cui mi trovassi; ma non per questo potevo fingereche io non fossi; al contrario, dal fatto stesso di pensare a dubitare della verità delle altre coseseguiva con grande evidenza e certezza che io esistevo; mentre, se solo avessi smesso dipensare, anche se tutte le altre cose da me immaginate fossero state vere, non avrei avuto nessunaragione di credere che esistevo; conobbi così di essere una sostanza la cui essenza o natura eraesclusivamente di pensare, e che per esistere non ha bisogno di alcun luogo e non dipende da alcunacausa materiale. Dimodoché questo io, cioè l'anima in forza della quale sono ciò che sono, èinteramente distinta dal corpo e addirittura è più facile a conoscersi del corpo, e, anche se esso nonfosse, l'anima, nondimeno, sarebbe tutto ciò che è. (Discorso sul metodo, II)

FOUCAULT

LA CULTURA MODERNA: L’OCCULTAMENTO DELL’ESPERIENZA TRAGICA DELLAFOLLIA

Alla fine del Medioevo la lebbra sparisce dal mondo occidentale. Ai margini della comunità,alle porte delle città, si aprono come dei grandi territori (i lebbrosari) che non sono piùperseguitati dal male, ma che sono lasciati sterili e per lungo tempo abbandonati. Per secoli esecoli queste distese apparterranno all'inumano.Spesso negli stessi luoghi, due o tre secoli più tardi, si ritroveranno stranamente simili gli stessimeccanismi di esclusione. Poveri, vagabondi, corrigendi e "teste pazze" riassumeranno la parteabbandonata dal lebbroso e vedremo quale salvezza ci si aspetta da questa esclusione, per essi eper quelli stessi che li escludono. Con un senso tutto nuovo e in una cultura molto differente, leforme resisteranno: soprattutto quella importante di una separazione rigorosa che è esclusionesociale ma reintegrazione spirituale.

... Ma occorrerà. un lungo periodo di latenza, i quasi due secoli della Renaissance, perché lafollia, questa nuova ossessione che succede alla lebbra come paura secolare, susciti al pari diessa reazioni tendenti alla separazione, all'esclusione, alla purificazione, che pure le sonoapparentate in modo evidente… Da un lato Bosch, Brueghel, Dürer e tutto il silenzio delle immagini. È nello spazio dellapura visione che la follia dispiega i suoi poteri: rivelazione che l'onirico è reale, che la sottilesuperficie dell'illusione si apre su una profondità innegabile . .Dall'altro lato, con Brandt, con Erasmo, con tutta la tradizione umanistica, la follia è accoltanell'universo del discorso. Essa viene raffinata, sottilizzata, ma anche disarmata. Essa viene con-siderata in un modo diverso; nasce nel cuore degli uomini, dà e toglie regola alla loro condotta;

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anche se governa le città, viene ignorata dalla calma verità delle cose e dalla grande natura. Puòdarsi che ogni uomo le sia sottomesso, ma il suo regno sarà sempre meschino e relativo . . .

In breve, la coscienza critica della follia si è andata sempre più illuminando, mentre i suoiaspetti tragici si oscuravano progressivamente. Questi ultimi saranno presto del tutto evitati. Permolto tempo, si faticherebbe a trovarne la traccia; solo alcune pagine di Sade e l'opera di Goyatestimoniano che questa sparizione non significa annientamento, che questa esperienza tragicasussiste ancora oscuramente nella notte del pensiero e dei sogni, e che nel XVI secolo non si ètrattato di una distruzione radicale, ma soltanto di un occultamento. . . . Sotto la coscienzacritica della follia e le sue norme filosofiche o scientifiche, morali o mediche, una sordacoscienza tragica non ha cessato di vegliare.

È lei che le ultime parole di Nietzsche, le ultime visioni di Van Gogh, hanno ridestato. È leiche indubbiamente Freud ha cominciato a presentire all'estremità del suo cammino: sono le suegrandi lacerazioni che egli ha voluto simbolizzare con la lotta mitologica della libido edell'istinto di morte. …

L'età classica ridurrà al silenzio, con uno strano colpo di forza, nel cammino del dubbio,Descartes incontra la follia accanto al sogno e a tutte le forme d'errore. Questa possibilità diessere folle non rischia di privarlo del suo corpo, così come il mondo esterno può dissimularsinell'errore, o la coscienza addormentarsi nel sogno? "Come potrei negare che queste mani equesto corpo mi appartengono, se non forse paragonandomi a certi insensati il cui cervello ètalmente confuso e offuscato dai neri vapori della bile che essi affermano costantemente diessere dei re mentre sono poverissimi, di esser vestiti di porpora e d'oro mentre sono tutti nudi, osi immaginano d'essere delle brocche o di avere un corpo di vetro?" Ma Descartes non evita loscoglio della follia nello stesso modo in cui aggira l'eventualità del sogno o dell'errore. . . . Né ilsogno popolato di immagini né la chiara coscienza che i sensi ci ingannano possono portare ildubbio fino al punto estremo della sua universalità; ammettiamo pure che gli occhi ci deludano,«supponiamo ora di essere addormentati», la verità non scivolerà per intero nella notte.

Per la follia, è tutt'altra cosa; se i suoi pericoli non compromettono né il cammino nél'essenziale della verità, ciò non deriva dal fatto che una certa cosa, perfino nel pensiero di unfolle, non può essere falsa; ma dal fatto che io che penso non posso essere folle. . . . Non è ilpermanere di una verità che garantisce il pensiero contro la follia, come gli permetteva di li-berarsi da un errore o di emergere da un sogno; è un'impossibilità di essere folle, essenziale nonall'oggetto del pensiero, ma al soggetto pensante. . . . Non si può supporre, neppure colpensiero, di esser folle, perché la follia è proprio l'impossibilità del pensiero.

Ora, Descartes ha acquistato questa certezza e la conserva solidamente: la follia non può piùriguardarlo. Sarebbe una stravaganza il supporre d'essere stravagante;... La Non-Ragione del XVI secolo formava una sorta di rischio aperto, le cui minacce potevanosempre, almeno di diritto, compromettere i rapporti della soggettività e della verità. Il procederedel dubbio cartesiano sembra testimoniare che nel XVII secolo il pericolo si trova scongiurato eche la follia viene posta fuori dal dominio di pertinenza nel quale il soggetto detiene i suoi dirittialla verità, quel dominio che per il pensiero classico era la ragione stessa. Ormai la follia èesiliata. Se l'uomo può sempre essere folle, il pensiero, come esercizio della sovranità da partedi un soggetto che si accinge a percepire il vero, non può essere insensato.

LE ISTITUZIONI: LA RECLUSIONE DEI FOLLI

Più di un sintomo lo tradisce, e non tutti derivano da un'esperienza filosofica o dallo sviluppodel sapere. Quello di cui vorremmo parlare appartiene a una superficie culturale assai vasta.Esso viene segnalato con molta precisione da una serie di date e, insieme con queste, da uncomplesso di istituzioni. . . .Una data può servire come punto di riferimento: 1656, decreto di fondazione dell'Hópitalgénéral, a Parigi. A prima vista si tratta solo di una riforma: appena d'una riorganizzazioneamministrativa. Diverse istituzioni già esistenti sono raggruppate sotto un'unicaamministrazione: … In qualche anno tutto un reticolato è stato gettato sull'Europa. Alla finedel XVIII secolo Howard comincerà a percorrerlo; attraverso l'Inghilterra, l'Olanda, la

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Germania, la Francia, l'Italia, la Spagna, egli farà il pellegrinaggio di tutte le importanti sedid'internamento - "ospedali, prigioni, case di correzione" e la sua filantropia si indignerà chesi siano potuti relegare tra le stesse mura dei condannati di diritto comune, dei ragazzetti cheturbavano il riposo della loro famiglia o ne dilapidavano le sostanze, della gente malfamata edegli insensati…. Qual era dunque la realtà presa di mira attraverso tutta questa popolazione, chesi è trovata reclusa da un giorno all'altro o quasi, e bandita più severamente dei lebbrosi?Non bisogna dimenticare che pochi anni dopo la sua fondazione 1'Hopital général di Parigiraggruppava seimila persone, cioè circa l'uno per cento della popolazione.

L'usanza dell'internamento indica una nuova reazione alla miseria, e, più in generale, un rappor-to diverso dell'uomo verso ciò che può esserci di disumano nella sua esistenza. Il povero, ilmiserabile l'uomo che non è padrone della propria esistenza, ha assunto lungo il XVI secolo unaspetto che il Medioevo non avrebbe riconosciuto.… i miserabili non sono più riguardati come il pretesto inviato da Dio per suscitare la carità delcredente e fornirgli l'occasione di procurarsi la salvezza; ogni cattolico comincia a vedere in essi"la feccia e il rifiuto della repubblica non tanto per le loro miserie corporali, di cui bisogna avercompassione, quanto per quelle spirituali, che fanno orrore".La Chiesa ha preso la sua decisione; e, ciò facendo, ha diviso il mondo cristiano della miseria,che il Medioevo aveva santificato nella sua totalità. Ci sarà da un lato la regione del bene, cheè quella della povertà sottomessa e conforme all'ordine che le viene presentato; dall'altro latola regione del male, cioè la povertà ribelle, che cerca di sfuggire a quest'ordine. - La primaaccetta l'internamento e vi trova la sua pace; la seconda lo rifiuta, e per conseguenza lomerita. … L'internamento viene così giustificato doppiamente, in un indissociabileequivoco, a titolo di beneficio e a titolo di punizione. È insieme ricompensa e castigo,secondo il valore morale di coloro cui lo si impone. …

Non si tratta più di rinchiudere i senzalavoro, ma di dar lavoro a coloro che sonostati rinchiusie di farli così servire alla prosperità comune. L'alternanza è chiara: mano d'opera a buonmercato nei periodi di pieno impiego e di alti salari; e in periodo di disoccupazioneriassorbimento degli oziosi e protezione sociale contro l'agitazione e le sommosse. Nondimentichiamo che le prime case d'internamento appaiono in Inghilterra nei centri piùindustrializzati del paese: Worcester, Norwich, Bristol; che il primo Hópital general è statoaperto a Lione, quarant'anni prima che a Parigi …Non è indifferente che i folli siano stati coinvolti nella grande proscrizione dell'ozio. Findall'inizio essi avranno il loro posto accanto ai poveri, buoni o cattivi, e agli oziosi, volontari ono. Come gli altri, saranno sottomessi alle leggi del lavoro obbligatorio; e più di una volta èavvenuto che essi abbiano preso il loro aspetto caratteristico proprio in questa coercizioneuniforme. Nei laboratori dove erano confusi, si sono distinti da soli per la loro incapacità allavoro e a seguire i ritmi della vita collettiva. . . . A partire dall'età classica, e per la primavolta, la follia è sentita attraverso una condanna etica dell'ozio e in un'immanenza socialegarantita dalla comunità di lavoro. Questa comunità acquista un potere etico di separazione, chele permette di respingere, come in un altro mondo, tutte le forme dell'inutilità sociale. La folliariceverà lo statuto che le conosciamo in quest'altro mondo, delimitato dalle potenze consacratedel lavoro. Se nella follia classica c'è qualcosa che parla di altrove e di qualcosa d'altro, ciò nonderiva più dal fatto che il folle viene da un altro mondo, quello dell'insensato, e che ne porta isegni; ma dal fatto che egli oltrepassa da se stesso le frontiere dell'ordine borghese e si aliena aldi fuori dei limiti consacrati della sua etica.

È un fenomeno importante questa invenzione di un luogo di coercizione dove la moraleinfierisce per via d'assegnazione amministrativa. Per la prima volta si istituiscono delle fon-dazioni morali, dove si compie una stupefacente sintesi tra obbligo morale e legge civile.L'ordine degli stati non tollera più il disordine dei cuori. Beninteso, non è la prima volta nellacultura europea che la colpa morale, perfino nella sua forma più privata, prende l'aspetto di unattentato contro le leggi scritte o non scritte della città. Ma in questo grande internamentodell'età classica l'essenziale - e il fatto nuovo - è che la legge non condanna più: si vienerinchiusi nelle cittadelle della pura moralità, dove la legge che dovrebbe regnare sui cuori sarà

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applicata senza compromessi né mitigazioni, sotto le forme rigorose della coercizione fisica. Sisuppone una specie di reversibilità dall'ordine morale dei problemi a quello fisico, unapossibilità di passare dal primo al secondo senza residui, né violenza, né abuso di potere.L'applicazione integrale della legge morale non appartiene più agli adempimenti; essa puòrealizzarsi a partire dal piano delle sintesi sociali. La morale si lascia amministrare come ilcommercio o l'industria.(M. Foucault, Storia della follia)

DERRIDA

IL FOLLE PROGETTO DI FOUCAULT

Con lo scrivere una storia della follia, Foucault ha voluto — e qui sta tutto il pregio ma anchel’impossibilità stessa del suo libro — scrivere una storia della follia in se stessa. In se stessa.Della follia stessa. Vale a dire restituendole la parola. Foucault ha voluto che la follia fosse ilsoggetto del suo libro; il soggetto in tutti i sensi di questa espressione: il tema del suo libro e ilsoggetto parlante, l'autore del suo libro, la follia che parla di sé. . . . «Storia non della psichiatria— dice Foucault — ma della follia stessa, nella sua vitalità, prima di ogni cattura da parte delsapere».Si tratta dunque di sfuggire alla trappola o alla ingenuità oggettiviste che consisterebbero nelloscrivere, nel linguaggio della ragione classica, utilizzando i concetti che sono stati gli strumentistorici di una cattura della follia, nel linguaggio coltivato e poliziesco della ragione, una storiadella follia selvaggia, quale esiste e respira prima di essere presa e paralizzata nelle reti di quellastessa ragione classica. La volontà di evitare questa trappola è costante in Foucault. È ciò che viè di più audace, di più seducente in questo tentativo. Ciò che determina anche la sua mirabiletensione. Ma è anche, non lo dico per giuoco, quel che vi è di più folle nel suo progetto. . .

Non è possibile svincolarsi totalmente dalla totalità del linguaggio storico che avrebbe prodottol'esilio della follia, liberarsene per scrivere l'archeologia del silenzio; . . . La disgrazia dei folli,la disgrazia interminabile del loro silenzio, sta nel fatto che i loro portavoce migliori sono coloroche li tradiscono meglio; sta nel fatto che, quando si vuole esprimere il loro silenzio stesso, si ègià passati al nemico e dalla parte dell'ordine anche se, dentro l'ordine ci si continua a batterecontro l'ordine e a metterlo in questione nella sua origine. Non c'è cavallo di Troia di cui laRagione (in generale) non abbia ragione. La grandezza insuperabile, insostituibile, imperialedell'ordine della ragione, ciò che fa si che essa non è un ordine o una struttura di fatto, unastruttura storica determinata, una struttura tra altre possibili, è che contro di essa non si può fareappello che ad essa, contro di essa non si può protestare che in essa, . .. II che si risolve nel farcomparire una determinazione storica della ragione davanti al tribunale della Ragione ingenerale.

L’IO PENSO COME IPERBOLE

Rileggiamo il passo in cui fa la sua apparizione la stravaganza e che Foucault cita.Collochiamolo al suo posto di nuovo. Descartes ha notato che, poiché i sensi talvolta ciingannano, «è regola di prudenza non fidarsi mai interamente di quelli che ci hanno una voltaingannati». . . . Ora l'intero paragrafo che segue non esprime il pensiero definitivo e compiutodi Descartes ma l'obiezione e lo stupore del non-filosofo, del novizio di filosofia che si spaventaper quel dubbio e che protesta dicendo: ammetto che voi dubitiate di alcune percezioni sensibiliche si riferiscono a cose «molto minute e molto lontane», ma le altre! che voi siate seduto quivicino al fuoco e stiate parlando, con questo foglio di carta in mano e altre cose di questa natura!Allora Descartes assume lo stupore di questo lettore o di questo interlocutore ingenuo, finge difarlo proprio, quando scrive: «E come potrei io negare che queste mani e questo corpo sono

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miei? A meno che forse non mi paragoni a quegli insensati il cervello dei quali... ecc. E io nonsarei meno stravagante mi regolassi sul loro esempio...»

È solo con il ricorso all'ipotesi del Demone Maligno che Descartes finirà per rendere presente,convocare la possibilità di una follia totale, di un impazzimento totale . . .Questa volta la follia, la stravaganza non risparmia più nulla, né la percezione del mio corpo, néle percezioni puramente intellettuali. Descartes ammette ciò che fingeva di non ammettere nellaconversazione coni il non filosofo.L'audacia iperbolica del Cogito cartesiano, la sua audacia folle, che forse noi noncomprendiamo più molto bene come audacia perché, diversamente dal contemporaneo diDescartes, siamo troppo sicuri, troppo avvezzi al suo schema più che alla sua esperienza acuta.La sua audacia folle, consiste dunque nel tornare verso un punto originario che non appartienepiù alla coppia di una ragione e di una insensatezza determinate, alla loro opposizione o allaloro alternativa. Che io sia folle o no, Cogito, sum.Nella misura in cui spunta, nel dubbio e nel Cogito cartesiano, quel progetto di un eccessoinaudito e singolare, di un eccesso verso il non- determinato, verso il Nulla o l'Infinito, di uneccesso che sopravanza la totalità del pensabile, la totalità dell'entità e del senso determinati, latotalità della storia di fatto, in questa misura, ogni impresa per quanto comprensiva che si sforzidi ridurla, di imprigionarla in una struttura storica determinata, rischia di lasciarsi sfuggirel'essenziale, di smussarne la punta stessa.Io credo, dunque, che sia possibile ridurre tutto ad una totalità storica determinata (inDescartes), tutto tranne il progetto iperbolico.

L’IO PENSO COME RAGIONE RAGIONEVOLE

Mi rendo conto che nel movimento che viene chiamato il Cogito cartesiano, non c'è soltantoquesta punta iperbolica che dovrebbe essere, come ogni follia pura in generale, silenziosa. Dalmomento che ha raggiunto questa punta, Descartes cerca di rassicurarsi, di garantire il Cogitostesso in Dio, di identificare l'atto del Cogito con l'atto di una ragione ragionevole.Sotto questo si nasconde il riconoscimento di una verità d'essenza e di diritto: cioè che ildiscorso e la comunicazione filosofici (vale a dire il linguaggio stesso), se debbono avere unsenso intelligibile, vale a dire conformarsi alla loro essenza e vocazione di discorso, debbonosfuggire di fatto e simultaneamente di diritto alla follia. Debbono portare in se stessi lanormalità. E questa non è una debolezza cartesiana. E non è una tara o una mistificazioneconnessa a una struttura storica determinata; è una necessità d'essenza universale a cui nessundiscorso può sfuggire perché essa appartiene al senso del senso. È una necessita a cui nessundiscorso può sfuggire, neppure quello che denuncia una mistificazione o un colpo di forza.

. . . Nel testo di Descartes almeno, è a questo punto che ha luogo l'imprigionamento.A questo punto l'erranza iperbolica e folle ritorna ad essere itinerario e metodo, percorso«sicuro» e «risoluto» sul nostro mondo esistente che Dio ci ha restituito come terra ferma.Perché è solo Dio che, alla fine, permettendomi di uscire da un Cogito che nel suo momentoproprio può sempre rimanere una follia silenziosa, è solo Dio che garantisce le mierappresentazioni e le mie determinazioni cognitive, vale a dire il mio discorso contro la follia. . ..Ma Dio è l'altro nome dell'assoluto della ragione stessa, della ragione e del senso in generale.Non si può accusare tutti coloro, individui o società, che sono ricorsi a Dio contro la follia, dicercare di mettersi al riparo, di garantirsi delle difese, delle frontiere ausiliari, se non facendo diquesto rifugio un rifugio finito, nel mondo, facendo di Dio una potenza finita, vale a dire,ingannandosi; ingannandosi non tanto sul contenuto e sulla finalità effettiva di quel gesto nellastoria, ma sulla specificità del pensiero e del nome di Dio. Se la filosofia ha avuto luogo—che èun fatto sempre contestabile — ha avuto luogo solo nella misura in cui ha concepito il piano dipensare al di là del rifugio finito.(J. Derrida, La scrittura e la differenza, 53)

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IL SOGGETTO NELLA FILOSOFIA CONTEMPORANEAFilosofia moderna: Novecento :Ottocento:

Cartesio: l’io come primacertezzaHobbes, Locke: lo statocome prodotto dell’uomo

Rousseau: la società comecausa della degenerazionedell’uomo

Hume: la scienzadella natura umana

Kant: le forme a priori(strutture mentali) delsoggetto

Hegel: storico-culturale(Spirito oggettivo)

Dimensione individuale

Freud: inconscia

Dimensione collettiva

Kierkegaard: esistenziale

Feuerbach: relazionale

Positivismo: naturale-biologica

Nietzsche: psico-culturale

La critica al modello storicodi uomo occidentale:

Marx: storico-sociale(materialismo storico)

la scoperta del soggetto l’individuazione del soggetto la dissoluzione del soggetto

Romanticismo: sentimenti,emozioni

I maestri del sospetto:Marx, Nietzsche, FreudSoggeo ≠ cos ci enz a

Soggetto = ragione

La scuola di Francoforte:l’uomo eterodirettoHeidegger: la vita inautentica

La critica al concetto disoggetto

Heidegger: Io non originario,io, mondo e altri sicostituiscono insieme

Strutturalismo, post-strutturalismo: soggetto =strutture linguistiche, culturali,sociali, economiche

Soggetto = Nietzsche volontàdi potenza (volontà di dar sensoa se stesso e alle cose)Soggetto = Freud pulsioni,desideri inconsci

Il dubbio investe l’oggetto,la realtà delle cose

Il dubbio investe il soggetto

Novecento : la dissoluzione del soggetto

Sartre: progetto, responsabilità, impegno (esistenzialismo)

Heidegger: il linguaggio come luogo di incontro dell’uomo e del mondo

La volontà

Gadamer: comunità linguistica e dialogo

Freud: maggior controllo razionale e minor repressione sociale

Soggetto = volontà di potenza (volontà di dar senso a se stesso e alle cose)

Soggetto = Freud pulsioni, desiderio

Scuola di Francoforte: critica al sistema e resistenza all’irrazionalità del sistema (Marxismo)

Foucault: la rivolta contro i poteri, la cura di sé (strutturalismo, post-strutturalismo)

Marcuse: eliminazione repressione sociale e liberazione eros (Scuola di Francoforte)

Deleuze: liberazione desiderio (post-strutturalismo)

L’interpretazione (ermeneutica)

Derrida: la decostruzione dei testi, l’importanza del non detto

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CARTESIO: L’EVIDENZA DEL SOGGETTO

. . . poiché i nostri sensi talvolta c'ingannano, volli supporre non esserci nessuna cosa che fossequale essi ce la fanno immaginare. . . . pensai ch'io ero soggetto ad errare come ogni altro, eperò respinsi come falsi tutti i ragionamenti che avevo preso sin allora per dimostrazioni. Infine, considerando che gli stessi pensieri, che noi abbiamo quando siam desti, possono tuttivenirci anche quando dormiamo benché allora non ve ne sia alcuno vero, mi decisi a fingere chetutto quanto era entrato nel mio spirito sino a quel momento non fosse più vero delle illusionidei miei sogni. Ma, subito dopo, m'accorsi che, mentre volevo in tal modo pensare falsa ognicosa, bisognava necessariamente che io, che la pensavo, fossi pur qualcosa. Per cui, dato chequesta verità: Io penso, dunque sono, è così ferma e certa . . . giudicai di poterla accoglieresenza esitazione come il principio primo della mia filosofia. (Cartesio, Discorso sul metodo)

SEMBRA che oltre le discipline filosofiche non sia necessario ammettere un'altra scienza. ...RISPONDO: Era necessario, per la salvezza dell'uomo che, oltre le discipline filosofiched'indagine razionale, ci fosse un'altra dottrina procedente dalla divina rivelazione. Prima di tutto

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perché l'uomo è ordinato a Dio come ad un fine che supera la capacità della ragione (Tommasod’Aquino, Somma teologica, Parte prima, Questione 1)

Poi, esaminando con attenzione ciò che ero, e vedendo che potevo fingere, sì, di non averenessun corpo, e che non esistesse il mondo o altro luogo dove io fossi, ma non perciò potevofingere di non esserci io . . . ne conclusi esser io una sostanza, di cui tutta l'essenza o naturaconsiste solo nel pensare . . . Questo che dico «io», dunque, cioè, l'anima, per cui sono quel chesono, è qualcosa d'interamente distinto dal corpo, ed è anzi tanto più facilmente conosciuto, sìche, anche se il corpo non esistesse, non perciò cesserebbe di esser tutto ciò che è. (Cartesio,Discorso sul metodo)

Se davvero platonismo e cristianesimo sono le due grandi correnti di pensiero che hanno datovita e volto all'Occidente, la mortificazione del corpo da loro inaugurata ha trovato il suoproseguimento e la sua radicalizzazione nel sistema delle scienze moderne che Cartesio hainaugurato e in cui ancora oggi, senza residui, l'Occidente si identifica. Per fondare questomondo oggettivo e astratto Cartesio ha dovuto mettere tra parentesi la vita pre ed extra-scientifica e quindi tutte quelle formazioni di senso che si fondano sull'esperienza corporeaattraverso cui il mondo ci è direttamente alla mano. L'io dell'uomo sensibilmente intuitivo dellavita quotidiana venne spezzato in anima e corpo. Il corpo, da soggetto che esplora con i suoisensi il mondo, venne risolto in oggetto, relegato nella “cosa estesa”, e inteso, al pari di tutti glialtri corpi, in base alle leggi fisiche che presiedono l'estensione e il movimento. . . .Tra l'io umano che abita il mondo e l'ego cogito c'è una sola differenza: l'io umano abita uncorpo, l'ego cogito è pura mente. (U.Galimberti , Psichiatria e fenomenologia)

Così le cose naturali si dicono vere in quanto attuano la somiglianza delle specie che sono nellamente di Dio: p. es., si dice vera pietra, quella che ha la natura propria della pietra, secondo laconcezione preesistente nella mente di Dio. - Quindi, la verità è principalmente nell'intelletto,secondariamente nelle cose, per la relazione che esse hanno all’intelletto, come a loro principio.L'assioma, «la verità è adeguazione tra la cosa e l'intelletto», può riferirsi ai due aspetti dellaverità. (Tommaso d’Aquino, Somma teologica, Parte prima, Questione 16)

Ora io chiuderò gli occhi, mi turerò le orecchie, distrarrò tutti i miei sensi, cancellerò anche dalmio pensiero tutte le immagini delle cose corporee, . . . e così intrattenendo solamente mestesso e considerando il mio interno, cercherò di rendermi a poco a poco più noto e più familiarea me stesso. Io sono una cosa che pensa . . .In questa prima conoscenza non si trova nient'altro che una chiara e distinta percezione del fattoche io conosco; percezione, la quale, a dir vero, non sarebbe sufficiente per assicurarmi che essaè vera se potesse mai accadere che si trovasse esser falsa una cosa, che io concepissi così

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chiaramente e distintamente. E pertanto mi sembra che già possa stabilire per regola generale,che tutte le cose che noi concepiamo molto chiaramente e molto distintamente sono vere.(Meditazioni metafisiche , Terza meditazione)

Supporrò dunque che non Dio, sommo bene, fonte di verità, ma un genio maligno, sommamentepotente ed astuto, abbia posto ogni suo sforzo ad ingannarmi; riterrò che il cielo, l'aria, la terra, icolori, le figure, i suoni e tutto il mondo esterno non siano altro che inganni di sogni, con i qualiha cercato di ingannare la mia credulità. . . .Ma forse Dio non ha voluto che fossi così ingannato, ed infatti viene definito comesommamente buono. . . .Ma dopo che ho riconosciuto che vi è un Dio, per il fatto che, in pari tempo, ho riconosciutoanche che tutte le cose dipendono da lui, e ch'egli non è ingannatore, ed in seguito a ciò hogiudicato che tutto quel ch'io concepisco chiaramente e distintamente non può non essere vero,ancorché non pensi più alle ragioni per le quali l'ho giudicato vero, purché mi ricordi di averlochiaramente compreso, non mi si può portare niuna ragione contraria, che me lo faccia mairevocare in dubbio. (Cartesio, Meditazioni metafisiche, Terza meditazione)

Tu sei grande, Signore, e ben degno di lode; grande è la tua virai, e la tua sapienza incalcolabile.E l'uomo vuole lodarti, una particella del tuo creato, che si porta attorno il suo destino mortale,che si porta attorno la prova del suo peccato . . .Ma come invocare il mio Dio, il Dio mio Signore? Invocarlo sarà comunque invitarlo dentro dime; ma esiste dentro di me un luogo, ove il mio Dio possa venire dentro di me, ove possa veniredentro di me Dio, Dio, che creò il cielo e la terra"? (Agostino d’Ippona, Confessioni)

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CARTESIO: L’EVIDENZA DEL SOGGETTO

I sensi possono ingannarci

I ragionamenti possono essere sbagliati

bisognava necessariamente che io,che la pensavo, fossi pur qualcosa

Non possiamo distinguere tra sogno e realtàIo penso, dunque sono

il principio primo della mia filosofiaCentralità soggetto

René Descartes (1596-1650)

Io penso, dunque sono

Dubbio mondo esterno

Separazione anima e corpo

Posso fingere di non aver un corpo, che il mondonon esista, pensare di essere ingannato ma nonperciò . . . di non esserci io (= non pensare)

Sono una sostanza pensante distinta dal corpo

Il soggetto è alla base delle rappresentazioni delle cose

Il pensiero rispecchia la realtà com’è?Centralità ed evidenza per il soggetto

tutte le cose che noi concepiamomolto chiaramente e moltodistintamente sono verePerché Dio essendo buono non puòpermettere che ci inganniamo

Un demone maligno potrebbe ingannarmi(dubbio iperbolico)

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L'usanza dell'internamento indica una nuova reazione alla miseria, un nuovo patetico e, più ingenerale, un rapporto diverso dell'uomo verso ciò che può esserci disumano nella sua esistenza.Il povero, il miserabile, il folle, l'uomo che non è padrone della propria esistenza, ha assuntolungo il XVI secolo un aspetto che il Medioevo non avrebbe riconosciuto. (Foucault, Storiadella follia, pag. 67-69)

È un luogo comune affermare che la Riforma ha portato a una laicizzazione delle opere neipaesi protestanti. Ma incaricandosi per conto proprio di tutta questa popolazione di poveri ed'incapaci, lo stato o l'amministrazione pubblica preparano una nuova forma di sensibilità allamiseria; sta per nascere un'esperienza del patetico che non parla più di una glorificazione deldolore, né di una salvezza comune alla Povertà e alla Carità, ma che intrattiene l'uomounicamente nei suoi doveri verso la società e indica nel miserabile, a un tempo, un effetto deldisordine e un ostacolo all'ordine. Non si tratta dunque più di esaltare la miseria nel gesto che leporta sollievo, ma, semplicemente, di sopprimerla. Se si rivolge alla Povertà come tale, anche laCarità è disordine. (Foucault, Storia della follia, pag. 84)

Ma occorrerà. un lungo periodo di latenza, i quasi due secoli della Renaissance, perché la follia,questa nuova ossessione che succede alla lebbra come paura secolare, susciti al pari di essareazioni tendenti alla separazione, all'esclusione, alla purificazione, che pure le sono apparentatein modo evidente… Da un lato Bosch, Brueghel, Dürer e tutto il silenzio delle immagini . . . Dall'altro lato, conBrandt, con Erasmo, con tutta la tradizione umanistica, la follia è accolta nell'universo deldiscorso.In breve, la coscienza critica della follia si è andata sempre più illuminando, mentre i suoiaspetti tragici si oscuravano progressivamente (Foucault, Storia della follia, pag. 67-69)

Viene tracciata una linea di separazione che renderà ben presto impossibile l'esperienza, cosìfamiliare alla Renaissance, di una Ragione sragionevole e di una ragionevole Sragione. FraMontaigne e Descartes si è prodotto un avvenimento: qualcosa che riguarda l'avvento di unaratio. Ma la storia di una ratio come quella del mondo occidentale è ben lontana dall'esaurirsi

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nel progresso di un "razionalismo"; essa è costituita, in parte altrettanto grande, anche se piùsegreta, dal movimento con cui la Sragione è sprofondata nel nostro suolo, per sparirvi senzadubbio, ma per prendervi radice (Foucault, Storia della follia, pag. 70

FOUCAULT: LO SGUARDO DI CARTESIO

Nel cammino del dubbio, Cartesio incontra la follia accanto al sogno e a tutte le forme d'errore.Nell'economia del dubbio c'è uno squilibrio fondamentale tra follia da una parte, sogno ed erroredall'altra. La loro situazione è diversa in rapporto alla verità e a colui che la cerca; sogni eillusioni sono superati nella struttura stessa della verità; ma la follia è esclusa dal soggetto chedubita. Come ben presto sarà escluso che egli non pensi e che non esista. Una certa decisione èstata presa, dal tempo degli Essais. Quando Montaigne incontrava il Tasso, niente lo assicuravadel fatto che ogni pensiero non fosse intriso di sragione. . . . Ora, Descartes ha acquistato questacertezza e la conserva solidamente: la follia non può più riguardarlo. Sarebbe una stravaganza ilsupporre d'essere stravagante; . . . Così il rischio della follia è scomparso dall'esercizio stessodella Ragione. Quest'ultima è ridotta a un pieno possesso di se stessa, in cui non può incontrarealtre insidie che l'errore, altri pericoli che l'illusione. (Foucault, Storia della follia, pag. 67-69)

FOUCAULT: l’AUTOCONSAPEVOLEZZA DEL SOGGETTO

Ho cercato di dimostrare come il soggetto costituisse se stesso, in questa o quella determinataforma, in quanto soggetto folle o soggetto sano, in quanto soggetto delinquente o in quantosoggetto non delinquente, attraverso alcune pratiche che erano giochi di verità, pratiche dipotere, ecc. Dovevo rifiutare una certa teoria a priori del soggetto per poter fare l'analisi dei

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rapporti che intercorrono tra la costituzione del soggetto o le differenti forme di soggetto e igiochi di verità, le pratiche di potere, ecc. . . . quando dico "gioco" dico un insieme di regole diproduzione della verità. Non è un gioco nel senso di imitare o di recitare..., si tratta di uninsieme di procedure che conducono a un certo risultato, che può essere considerato, in funzionedei suoi princìpi e delle sue regole di procedura, come valido o no, come vincente o perdente.(Archivio Foucault “Interventi, colloqui, interviste, Vol III 1978-85)

L'internamento, questo fenomeno massiccio le cui tracce sono reperibili in tutta l'Europa delXVII secolo . . . Prima di avere il senso medico che noi gli diamo, o che desideriamo supporrein esso, l'isolamento si è reso necessario per tutt'altra causa che la preoccupazione di guarire.Ciò che l'ha reso necessario è un imperativo di lavoro. La nostra filantropia vorrebbe volentieririconoscere i segni di una benevolenza verso la malattia, là dove spicca solo la condannadell'ozio.

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Esso costituisce una delle risposte che vengono date dal XVII secolo a una crisi economica cheinteressa tutto il mondo occidentale nel suo insieme . . .L'alternanza è chiara: mano d'opera a buon mercato nei periodi di pieno impiego e di alti salari;e in periodo di disoccupazione riassorbimento degli oziosi e protezione sociale control'agitazione e le sommosse. Non dimentichiamo che le prime case d'internamento appaiono inInghilterra nei centri più industrializzati del paese; in Francia a Lione, quarant'anni prima che aParigi … In questo primo slancio del mondo industriale il lavoro non appare legato ai problemiche esso stesso susciterà; lo si concepisce invece come soluzione generale, panacea infallibile,rimedio a tutte le forme di miseria. (M. Foucault, Storia della follia)

È un fenomeno importante questa invenzione di un luogo di coercizione dove la moraleinfierisce per via d'assegnazione amministrativa.L'ordine degli stati non tollera più il disordine dei cuori.Si suppone una specie di reversibilità dall'ordine morale dei problemi a quello fisico, unapossibilità di passare dal primo al secondo senza residui, né violenza, né abuso di potere.L'applicazione integrale della legge morale non appartiene più agli adempimenti; essa puòrealizzarsi a partire dal piano delle sintesi sociali. La morale si lascia amministrare come ilcommercio o l'industria. (M. Foucault, Storia della follia)

Il disegno complessivo composto dall’insieme delle misure repressive e di controllo è quello diuna cittadella ortodossa, cinta da mura spirituali e materiali, protetta da milizie celesti ma ancheterrene... l'affermazione delle nuove dimensioni della presenza della Chiesa passava attraverso lacostruzione di un rapporto individuale col singolo cristiano in quanto fedele. E la persona siriassumeva e si concentrava nella coscienza come luogo segreto, accessibile solo al confessore ocomunque al potere ecclesiastico: d'altra parte, l'effetto del potere su quel luogo si fece semprepiú evidente nella serie di immagini e termini giudiziari (tribunale, prove, indizi, probabilità,esame ecc.) con cui la coscienza si rese pensabile nella letteratura dei «casi» dedicata al suogoverno … (A. Prosperi, Tribunali della coscienza. Inquisitori, confessori, missionari)

Processo di disciplinamento della società ... a Savigliano

Il nome del Signor nostro Giesu Christo sii l'Anno di nostra salute millecinquecento novantasette ... in savigliano ... sono comparsi m. Antonio et mad. Anna di Savigliano...quali sonocarrighi di quattro figliuoli piccoli et non haver per la Grande carestia del presente anno et malariaccolta fatta il modo di allimentarsi luoro con detti luoro figlioli per non haver esso Antonioalcun essercitio salvo non venghino all'allienatione della suddetta possessione. ...Archivio storico Ospedale SS. Annunziata di Savigliano

..La Congregazione ha stimato bene far un scrutinio, ossia esame delle famiglie vergognose, eper ciò fare ha eletto gli Signori A. Filiberto Longis, teologo e Canonico Carignani e MaurizioDerossi dandoli per ciò fare l'autorità necessaria ...

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...Ha ordinato doversi licenziare Giovanni Battista Negro una delle due Guardie della presente-Congregazione dalla servitù di Guardia suddetta mandando alli signori Habdomadarv di farsirimettere da detto Negro il vestito. Camisotta. Calze, spada, cappello, Calzetti, et ogni altracosa...mandando anche a dire ... d'invigilare per provveder diverse persone che passino servirnella qualità predetta ...Archivio storico Ospedale SS. Annunziata di Savigliano

«Hebbe a pena il buon Vescovo (Ancina) nella sua Chiesa il piede fisso, che tutto si rivolse allariforma di quella, la quale per mancamento di Pastore, et a causa delle passate guerre,cominciava a patire delle incommodità, et disastri, che le povere greggie sentono, quando da iloro veri guardiani sono abbandonate. . .Nella visita principalmente s'informava da Curati delli andamenti de' loro popoli ...ordinò, che in tutto, e per tutto s'osservassero le costitutioni del sacro, et santo Concilio diTrento . . . levò l'abuso di mangiare carne la prima Domenica di Quaresima, et di commettercerte pazzie, che solevano fare in memoria del passato Carnovale i giovani della città in quelgiorno. ( F. A. Della Chiesa "Vita del servo di Dio Mons. Giovenale Ancina di Fossano", primaedizione 1629)

FOUCAULT , UN FALSIFICATORE ANTIDEMOCRATICO

Non con l'apparizione dell'età classica e del cartesianesimo, ma forse con la nascita e losviluppo di una società democratica, nel senso che Tocqueville dà alla parola, l'internamentointrattiene uno stretto rapporto. . . . L'ipotesi è sostenuta da altrettante tesi, direttamente voltecontro la ricostruzione di Foucault: la prima è che, contrariamente a ciò che afferma Foucault, ladinamica dell'età moderna non consiste, nella sua essenza, in una esclusione della alterità. Lalogica delle società moderne è casomai quella descritta da Tocqueville, ossia una logica diintegrazione, sottesa dal postulato di una uguaglianza fondamentale tra gli uomini.Torniamo al principio delle analisi di Foucault nella Storia della follia stesa e nella successivaripresa nello studio sul sistema carcerario. Questo principio, di ispirazione chiaramenteheideggeriano-nicciana, consiste nel situare ciò che è proprio della ragione moderna nella suaincapacità di pensare la differenza (o l'alterità) e nella sua propensione a reprimerla. Applicandoquesto principio alla storia della follia, il risultato è questo: se il folle fa paura, reca disturbo, ilmotivo è che egli è l'interamente altro per eccellenza. (L. Ferry, A. Renaut, Il 68 pensiero, 120-121)

Ne segue che il fenomeno dell'internamento deve essere interpretato in una maniera totalmentediversa da quella avanzata da Foucault. Nella logica dello Stato moderno, due sono gli elementiche spiegano la vera natura dell'internamento: il primo è che, per il suo stesso principio, lo Statomoderno è chiaramente trascinato da una dinamica dell'eguaglianza; il secondo è che, per la sua

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stessa funzione, lo Stato di volta in volta interviene come «gendarme», per assicurare compiti diprotezione, e come «protettore» al cui orizzonte è il ruolo di «Stato-benessere». Riportato entroquesta logica, il significato dell'internamento diventa al tempo stesso chiaro e sottile:— Percepito infatti rispetto a uno sfondo di eguaglianza, il folle è minaccioso per noi . . .:stando alla logica della funzione repressiva dello Stato, il folle dovrebbe perciò essere rinchiuso.— Tuttavia, in quanto minaccia, il folle è a sua volta minacciato da quelli che si prendono beffedi lui e di fronte ai quali egli si trova indifeso. Il principio di eguaglianza impone di vedere in lui. . . un uomo come gli altri che, in quanto tale, ha diritto alla protezione dello Stato. Stando allalogica della seconda funzione dello Stato, non dovrà dunque essere più semplicementerinchiuso, bensì curato. (L. Ferry, A. Renaut, Il 68 pensiero, 123)

Da questo punto di vista la storia della follia, in cui si inscrive la nascita dell'utopia democraticadel manicomio, non sembra nonostante tutto poter essere letta se non come la storia di unprogresso. E, in questo senso, le tesi principali di Foucault dovrebbero apparire sbagliate, e forsepersino ingannevoli, sia storicamente che filosoficamente: sul filo di quella indagine sulla storiadella follia, i cui principi sono stati applicati in seguito alla storia dell'istituzione penale, si èdispiegato un vasto disegno di falsificazione della storia moderna, unilateralmente presentatacome un multiforme processo di repressione. (L. Ferry, A. Renaut, Il 68 pensiero, 127)

Il grande internamento di cui parla Foucault si è effettivamente verificato, ma non all'iniziodell'età classica (la Storia della follia fissa la data del 1656). In realtà i documenti consentono divalutare in circa duemila persone gli internati nel 1660, un numero che raggiungerà i cinquemiladopo la Rivoluzione e i centomila nel 1914. (L. Ferry, A. Renaut, Il 68 pensiero, 120)

L. Ferry (1951)

FOUCAULT: IL RIEMERGERE DELLA FOLLIA

In breve, la coscienza critica della follia si è andata sempre più illuminando, mentre i suoiaspetti tragici si oscuravano progressivamente. Questi ultimi saranno presto del tutto evitati. Permolto tempo, si faticherebbe a trovarne la traccia; solo alcune pagine di Sade e l'opera di Goyatestimoniano che questa sparizione non significa annientamento, che questa esperienza tragicasussiste ancora oscuramente nella notte del pensiero e dei sogni, e che nel XVI secolo non si ètrattato di una distruzione radicale, ma soltanto di un occultamento. L'esperienza tragica ecosmica della follia è stata mascherata dai privilegi esclusivi di una coscienza critica. È perquesto che l'esperienza classica, e attraverso di essa l'esperienza moderna della follia, . . . è uninsieme squilibrato a causa di tutto ciò che gli manca, cioè a causa di tutto ciò che lo nasconde.Sotto la coscienza critica della follia e le sue norme filosofiche o scientifiche, morali o mediche,una sorda coscienza tragica non ha cessato di vegliare.E lei che le ultime parole di Nietzsche, le ultime visioni di Van Gogh, hanno ridestato. È lei cheindubbiamente Freud ha cominciato a presentire all'estremità del suo cammino: sono le suegrandi lacerazioni che egli ha voluto simbolizzare con la lotta mitologica della libido edell'istinto di morte. (M. Foucault, Storia della follia)

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LO SGUARDO DI DERRIDA

Derrida dissente. Non è vero che tutto, tranne la volontà di potenza, è storico, e non è vero checi si può disfare del passato così come si cambia abito: le idealità e le strutture che siconquistano attraverso la storia non si cancellano a colpi di decisioni, giacché nessunadeliberazione di quel genere potrà cambiare i principi della geometria, e probabilmentenemmeno certi aspetti della nostra razionalità o del nostro vivere sociale. Noi non possiamogiungere né a ciò che è esterno alla nostra razionalità, né vedere la nostra razionalitàdall'esterno, non più di quanto possiamo davvero metterci al posto di un altro. L'idea di unauscita radicale dai vincoli conquistati e tramandati è dunque una chimera, così come in fondochimerica è l'aspirazione — che i filosofi francesi ora alimentano attraverso la lettura diHeidegger e di Nietzsche — di oltrepassare la metafisica, cioè — fuor di metafora — digiungere infine a un mondo selvaggio e liberato. (M. Ferraris, Introduzione a Derrida, 53)

. . . se la decisione attraverso la quale la ragione si costituisce escludendo ed oggettivando lasoggettività libera della follia, se questa decisione è proprio l'origine della storia, se è lacondizione del senso e del linguaggio, la condizione della tradizione del senso . . . allora ilmomento «classico» di questa esclusione, quello che descrive Foucault, non ha né privilegioassoluto né esemplarità archetipa. . .La crisi classica si svilupperebbe a partire dalla e nella tradizione elementare di un logos chenon conosce contrario, ma che porta in sé e dice ogni contraddizione determinata. Questadottrina della tradizione del senso e della ragione sarebbe stata tanto pii necessaria in quantoessa sola può forse fornire un senso e una razionalità in generale al discorso di Foucault e adogni discorso sulla guerra tra ragione e insensatezza. (J. Derrida, La scrittura e la differenza,53)

Se la filosofia non può coltivare il progetto di una uscita radicale dalla sfera degli schemi checostituiscono la nostra esperienza, l'esercizio critico che resta praticabile è quello . . . cheDerrida ha chiamato «decostruzione», e consiste nel tentativo, condotto attraverso la lettura ditesti della tradizione, di esplicitare le contrapposizioni del discorso filosofico, mettendo il lucele rimozioni su cui si istituiscono, i giudizi di valore che incorporano spesso inavvertitamente oalmeno implicitamente, e dunque di rivelare la struttura totale della nostra razionalità, che simanifesta piuttosto in negativo che non in positivo, attraverso delle resistenze invece che intavole delle categorie . . . si parte dal dato, e si rivelano le strutture e le condizioni che lo

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determinano. La regola generale è che dove c'è esperienza c'è resistenza, e dove c'è resistenzac'è anche, da qualche parte, un apriori nascosto. (M. Ferraris, Introduzione a Derrida, 55)

Con lo scrivere una storia della follia, Foucault ha voluto — e qui sta tutto il pregio ma anchel’impossibilità stessa del suo libro — scrivere una storia della follia in se stessa. In se stessa.Della follia stessa. Vale a dire restituendole la parola. . . . la follia che parla di sé . . . vale a direa partire dalla sua propria istanza e non nel linguaggio della ragione, nel linguaggio dellapsichiatria sulla follia . . . su di una follia già annientata sotto di essa, dominata, abbattuta,rinchiusa, cioè costituita in oggetto ed esiliata come l'altro di un linguaggio e di un senso storicoche è stato volutamente confuso con il logos stesso. . . .Si tratta dunque di sfuggire alla trappola o alla ingenuità oggettiviste . . . che consisterebberonello scrivere, nel linguaggio della ragione classica, utilizzando i concetti che sono stati glistrumenti storici di una cattura della follia, nel linguaggio coltivato e poliziesco della ragione,una storia della follia selvaggia . . La volontà di evitare questa trappola è costante in Foucault.È ciò che vi è di più audace, di più seducente in questo tentativo. Ciò che determina anche la suamirabile tensione. Ma è anche, non lo dico per giuoco, quel che vi è di più folle nel suoprogetto. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 43-44)

Si tratta dunque di sfuggire alla trappola o alla ingenuità oggettiviste . . . che consisterebberonello scrivere, nel linguaggio della ragione classica, utilizzando i concetti che sono stati glistrumenti storici di una cattura della follia, nel linguaggio coltivato e poliziesco della ragione,una storia della follia selvaggia . . La volontà di evitare questa trappola è costante in Foucault.È ciò che vi è di più audace, di più seducente in questo tentativo. Ciò che determina anche la sua

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mirabile tensione. Ma è anche, non lo dico per giuoco, quel che vi è di più folle nel suoprogetto. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 43-44)

Non è possibile svincolarsi totalmente dalla totalità del linguaggio storico che avrebbe prodottol'esilio della follia, liberarsene per scrivere l'archeologia del silenzio . . . La disgrazia dei folli, ladisgrazia interminabile del loro silenzio, sta nel fatto che i loro portavoce migliori sono coloroche li tradiscono meglio; sta nel fatto che, quando si vuole esprimere il loro silenzio stesso, si ègià passati al nemico e dalla parte dell'ordine anche se, dentro l'ordine ci si continua a batterecontro l'ordine e a metterlo in questione nella sua origine. (J. Derrida, La scrittura e ladifferenza, 43-44)

indubbiamente non si può scrivere una storia, né una archeologia contro la ragione perché,malgrado le apparenze, il concetto di storia è sempre stato un concetto razionale. (J. Derrida, Lascrittura e la differenza, 46)

Foucault è il primo, che io sappia, ad aver isolato cosi, nelle Meditazioni, il delirio e la folliadalla sensibilità e dai sogni. Ad averli isolati nel loro senso filosofico e nella loro funzionemetodologica. È questa l'originalità della sua lettura. .. .Rileggiamo il passo in cui fa la sua apparizione la stravaganza e che Foucault cita.Collochiamolo al suo posto di nuovo. Descartes ha notato che, poiché i sensi talvolta ciingannano, «è regola di prudenza non fidarsi mai interamente di quelli che ci hanno una voltaingannati» . . . Ora l'intero paragrafo che segue non esprime il pensiero definitivo e compiuto diDescartes ma l'obiezione e lo stupore del non-filosofo, del novizio di filosofia che si spaventaper quel dubbio e che protesta dicendo: ammetto che voi dubitiate di alcune percezioni sensibiliche si riferiscono cose «molto minute e molto lontane», ma le altre! che voi siate seduto quivicino al fuoco e stiate parlando! . . . Allora Descartes assume lo stupore di questo lettore o diquesto interlocutore ingenuo, finge di farlo proprio, quando scrive: «E come potrei io negare che

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queste mani e questo corpo sono miei? A meno che forse non mi paragoni a quegli insensati ilcervello dei quali... ecc. E io non sarei meno stravagante mi regolassi sul loro esempio...». (J.Derrida, La scrittura e la differenza, 59-75)

il ricorso all'ipotesi del Demone Maligno finirà per rende presente, convocare la possibilità diuna follia totale . . . introdurrà il sovvertimento nel pensiero puro, nei suoi oggetti puramenteintelligibili, nel campo delle idee chiare e distinte, nel regno delle verità matematiche chesfuggivano al dubbio naturale. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 59-75)

L'interpretazione di Foucault mi sembra illuminante a partire dal momento in cui il Cogito deveriflettersi e proferirsi in un discorso filosofico organizzato. . . .A partire dal momento in cui lo enuncia, Descartes inscrive il Cogito in un sistema di deduzionie di protezioni che tradiscono la sua sorgente viva e frenano l'erranza propria del Cogito peraggirare l'errore.Il folle, se anche potesse ricusare il Demone Maligno, non potrebbe in ogni caso dirselo. Nonpuò dunque dirlo. . . .Quella identificazione del Cogito con la ragione ragionevole avviene quando . . . Descartesdeve inscriverlo nel linguaggio o nel sistema deduttivo dal momento in cui lo proponeall'intelligibilità e alla comunicazione, vale a dire dal momento che lo riflette per l'altro, il chesignifica per sé. È in questo rapporto all'altro come altro io che il senso si rassicura contro lafollia e il non-senso...Il discorso e la comunicazione filosofici (vale a dire il linguaggio stesso), se debbono avere unsenso intelligibile, vale a dire conformarsi alla loro essenza e vocazione di discorso, debbonosfuggire di fatto e simultaneamente di diritto alla follia. Debbono portare in se stessi lanormalità. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 59-75)

DERRIDA: LO SGUARDO CHE CREA UN NUOVO ORDINE

. . . la struttura di esclusione che Foucault intende descrivere nel suo libro non sarebbe nata conla ragione classica. Sarebbe stata consumata e rassicurata e insediata da secoli nella filosofia.Sarebbe essenziale alla totalità della storia della filosofia e della ragione. In questa prospettival'età classica non avrebbe né specificità né privilegio. (J. Derrida, La scrittura e la differenza,43-44)

Si tratta dunque di accedere al punto in cui il dialogo è stato interrotto, si è diviso in duesoliloqui: a ciò che Foucault chiama con una parola molto forte la Decisione. La Decisionecollega e separa nello stesso momento ragione e follia; essa deve essere intesa qui nello stessotempo come l'atto originario di un ordine, di un fiat, di un decreto, e come una lacerazione, unacesura, una separazione, un dissenso per sottolineare che si tratta di una divisione da sé, di unaspartizione e di un tormento interiore del senso in generale, del logos in generale, di unaspartizione nell'atto stesso del sentire. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 48-49Separando, nel Cogito, da una parte l'iperbole (che, secondo me, non può lasciarsi imprigionarein una struttura storica di fatto e determinata perché è progetto di eccedere ogni totalità finita e

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determinata), e d'altra parte ciò che nella filosofia di Descartes (o parimenti in quella che fondail Cogito agostiniano o il Cogito husserliano) fa parte di una struttura storica di fatto, io nonpropongo di separare in ogni filosofia il grano dal loglio in nome di qualche philosophiaperennis. Propongo precisamente il contrario. Si tratta di rendere conto della storicità stessadella filosofia. Io credo che la storicità in generale non sarebbe possibile senza una storia dellafilosofia e credo che quest'ultima non sarebbe a sua volta possibile se ci fosse solo l'iperbole, dauna parte o se, dall'altra, esistessero soltanto delle strutture storiche determinate, delleWeltanschauungen finite. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 76)

Separando, nel Cogito, da una parte l'iperbole (che, secondo me, non può lasciarsi imprigionarein una struttura storica di fatto e determinata perché è progetto di eccedere ogni totalità finita edeterminata), e d'altra parte ciò che nella filosofia di Descartes (o parimenti in quella che fondail Cogito agostiniano o il Cogito husserliano) fa parte di una struttura storica di fatto, io nonpropongo di separare in ogni filosofia il grano dal loglio in nome di qualche philosophiaperennis. Propongo precisamente il contrario. Si tratta di rendere conto della storicità stessadella filosofia. Io credo che la storicità in generale non sarebbe possibile senza una storia dellafilosofia e credo che quest'ultima non sarebbe a sua volta possibile se ci fosse solo l'iperbole, dauna parte o se, dall'altra, esistessero soltanto delle strutture storiche determinate, delleWeltanschauungen finite. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 76)

La storicità propria della filosofia trova il suo posto e si costituisce in questo passaggio, inquesto dialogo tra l'iperbole e la struttura finita, tra l'eccesso sulla totalità e la totalità chiusa;cioè nel luogo, o meglio nel momento in cui il Cogito e tutto ciò che esso qui simbolizza (follia,dismisura, iperbole, ecc...) si dicono, si rassicurano e decadono, dimenticano se stessinecessariamente fino alla loro riattivazione, al loro risveglio in un altro dire dell'eccesso cheprodurrà poi a sua volta, un'altra caduta e un'altra crisi. . . In questa situazione la crisi o l'oblionon è forse l'accidente ma è il destino della filosofia parlante che non può vivere se nonimprigionando la follia ma che si estinguerebbe come pensiero e per una violenza ancorapeggiore se una nuova parola non liberasse ad ogni istante l'antica follia, pur imprigionando inessa, nel suo presente, il folle del giorno. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 76-77)

La grandezza insuperabile, insostituibile, imperiale dell'ordine della ragione, ciò che fa si cheessa non è un ordine o una struttura di fatto, una struttura storica determinata, una struttura traaltre possibili, è che contro di essa non si può fare appello che ad essa, contro di essa non si puòprotestare che in essa. II che si risolve nel far comparire una determinazione storica dellaragione davanti al tribunale della Ragione in generale. (J. Derrida, La scrittura e la differenza,60)

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DERRIDA: ESSERE GIUSTI CON FREUD

L'audacia iperbolica del Cogito cartesiano, la sua audacia folle, che forse noi noncomprendiamo più molto bene come audacia perché, diversamente dal contemporaneo diCartesio, siamo troppo sicuri, troppo avvezzi al suo schema più che alla sua esperienza acuta, lasua audacia folle, consiste dunque nel tornare verso un punto originario che non appartiene piùalla coppia di una ragione e di una insensatezza determinate, alla loro opposizione o alla loroalternativa. Che io sia folle o no, Cogito, sum. In tutti i sensi dell'espressione, la follia non èdunque, che un caso del pensiero (nel pensiero). Si tratta allora di retrocedere verso un punto incui ogni contraddizione determinata sotto la forma di una certa struttura storica di fatto puòapparire, e apparire come relativa a quel punto-zero in cui il senso e il non-senso determinati siricongiungono nella loro origine comune. (J. Derrida, La scrittura e la differenza, 70

La questione è la seguente: si tratta di mostrare come l'opera di Foucault pretenda di descriverel'epoca della psicanalisi. Freud sarebbe colui che riallaccia i rapporti con una certa etàclassica che non pensa la follia come malattia, ma come sragione; non certo per tagliare ildiscorso con la sragione, quanto piuttosto per riprenderlo. Al tempo stesso secondo Derrida sideve tener presente che l'opera di Foucault si trova iscritta nell'epoca della psicanalisi. Senza lapsicanalisi e il suo aver ridato la parola alla follia, il progetto di Foucault sarebbe impraticabile.. . Per essere davvero giusto con Freud, conclude Derrida, Foucault avrebbe dovuto riconoscereche la possibilità stessa di un libro come La storia della follia si iscrive nell' orizzonte teoricopratico dischiuso dalla psicoanalisi. (M. Vergani, Jacques Derida, 169)

LA RISPOSTA DI FOUCAULT

Sono d'accordo almeno su un fatto: non è per nulla a causa della loro disattenzione che gliinterpreti classici hanno cancellato, prime di Derrida e come lui, questo passo di Cartesio. È persistema. Sistema di cui oggi Derrida è il rappresentante più decisivo, nel suo ultimo splendore:riduzione delle pratiche discorsive alle tracce testuali; elisione degli avvenimenti che vi siproducono per trattenere solo dei segni per una lettura; invenzioni di voci dietro il testo per nondover analizzare le modalità d'implicazione del soggetto nei discorsi; citazione dell'originariocome detto e non detto nel testo per non ricollocare le pratiche discorsive nel campo delletrasformazioni dove esse si effettuano. . . .dirò che si tratta di una piccola pedagogia storicamente ben determinata che si manifesta inmodo assai visibile. Pedagogia che insegna all'allievo che non c'è niente al di fuori del testo, mache in esso, nei suoi interstizi, nei suoi silenzi e nei suoi non detti, domina la riserva dell'origine;che non è dunque affatto necessario andare a cercare altrove, ma che qui stesso, non tanto nelle

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parole certe, quanto nelle parole come raschiatura, nella loro griglia, si svela « il sensodell'essere ».(M. Foucault, Storia della follia, 655)

Come risponderebbe Foucault? . . . e' probabile che egli replicherebbe a Derrida ammettendo leambiguità del proprio testo e rilanciandole: è vero che è stata la psicoanalisi a rendere possibileil suo punto di vista sulla follia, ma è altrettanto vero che lui, Foucault, con la sua ricerca sullostatuto del soggetto moderno, tentava di proiettarsi al di là della psicoanalisi, verso l'emancipazione della "volontà di potenza" del corpo dalla rete di saperi e poteri sociali costruitianche dal linguaggio psicoanalitico. (C. Formenti , Le ingiustizie di Michel, Corriere della Sera,10 marzo 1994)

il nostro modo di essere nel mondo, i nostri criteri di distinzione di vero e falso, non sono quellirichiesti dalla vita come tale, cioè gli unici e migliori per la vita; sono solo quelli propri di unacerta forma di vita, la quale si è costituita e consolidata come una precisa, particolareconfigurazione di rapporti di dominio, rapporti che potevano e possono essere diversi. . . . Daquesto punto di vista, la nozione classico-cristiana di persona ha la sua legittimità solo nel fattoche l'uomo europeo, sotto la spinta di esigenze sociali, produttive e di dominio, è organizzato ediretto dalla coscienza, dalla ragione, dalla « passione della verità »,' a cui le altre componentidella personalità sono sottomesse..(G. Vattimo, Le avventure della differenza, 51)

Derrida tenta di salvare la ragione dall'eterogeneità delle circostanze che, per Foucault, lesottostanno; il merito di Foucault è proprio quello di aver messo in luce l'esistenza di grandiunità discorsive e storiche, contro l'idea di un logos unico e universale. (S. Natoli, La verità ingioco. Scritti su Foucault)

difficile non vedere, insomma, come una rimemorazione della differenza . . . si riportiall'illustrazione (e apologia) esistenzialistica della finitezza della condizione umana, aggiornatamagari con i più moderni apporti della linguistica strutturale.2

( nota 2: La tesi del carattere in ultima analisi ancora « teologico » del pensiero derridiano èsostenuta efficacemente in un bel saggio di M. Dufrenne, ...) (G. Vattimo, Le avventure delladifferenza, 84)

FOUCAULT E DERRIDA NEL RETROBOTTEGA

Si deve tenere a mente il titolo stesso di « meditazioni ». . . una « meditazione » produce, comealtrettanti avvenimenti discorsivi, nuovi enunciati che comportano una serie di modificazioni delsoggetto enunciante: attraverso ciò che si dice nella meditazione, il soggetto passa dall'oscurità

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alla luce, dall'impurità alla purezza, dalla stretta delle passioni al distacco, dall'incertezza e daimovimenti disordinati alla serenità della saggezza, ecc. Nella meditazione il soggetto è senzaposa alterato dal proprio movimento; il suo discorso suscita effetti al cui interno egli è preso; loespone a rischi, lo fa passare attraverso prove o tentazioni, produce in lui stati d'animo e gliconferisce uno statuto o una qualificazione di cui non era affatto al momento iniziale ildetentore. In breve, la meditazione implica un soggetto mobile e modificabile dall'effetto stessodegli avvenimenti discorsivi che si producono. . .

. . in una meditazione dimostrativa, alcuni enunciati, formalmente legati, modificano il soggettoman mano che si sviluppano, lo liberano dalle sue convinzioni, o viceversa lo inducono a dubbisistematici, provocano illuminazioni o risoluzioni, lo affrancano dai suoi legami o dalle suecertezze immediate, inducono stati nuovi; ma inversamente le decisioni, le fluttuazioni, glispostamenti, le qualificazioni primarie o acquisite del soggetto rendono possibili insiemi dienunciati nuovi, che a loro volta si deducono regolarmente gli uni dagli altri. (M. Foucault,Storia della follia, 652-53)