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DA PARMENIDE A SEVERINO - di P. Giovanni Cavalcoli, OP Ultimo aggiornamento Martedì 16 Ottobre 2012 16:11 di P. Giovanni Cavalcoli, OP   Nel panorama attuale della cultura cattolica non è assente l’influsso di un filosofo noto ormai dagli anni ’60 del secolo scorso e già docente all’Università Cattolica di Milano: Emanuele Severino, pensatore di robusto spessore teoretico, che nel clima relativistico e storicistico del nostro tempo, già da allora porta avanti le istanze rigorose della pura speculazione, da Parmenide ad Hegel: l’essere, il divenire, l’apparire, il pensare, l’uno, il tutto, l’eterno, lo spirito, la coscienza, l’assoluto, il necessario, l’immutabile, l’infinito. Severino, stimolato dal suo maestro Gustavo Bontadini, inaugurò questa sua speculazione partendo da Parmenide e sempre restando fedele, sino ad oggi, a questa posizione, anche se ovviamente egli non ha trascurato di apportare alcune modifiche alla rigidezza dell’ontologia parmenidea avvalendosi di certi apporti dell’idealismo moderno e della fenomenologia husserliana, senza escludere un raffronto col tomismo e con Heidegger. Senonchè però disgraziatamente Severino, già cattolico - diversamente non poteva insegnare 1 / 3

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DA PARMENIDE A SEVERINO - di P. Giovanni Cavalcoli, OPUltimo aggiornamento Martedì 16 Ottobre 2012 16:11

di P. Giovanni Cavalcoli, OP

 

 

Nel panorama attuale della cultura cattolica non è assente l’influsso di un filosofo noto ormaidagli anni ’60 del secolo scorso e già docente all’Università Cattolica di Milano: EmanueleSeverino, pensatore di robusto spessore teoretico, che nel clima relativistico e storicistico delnostro tempo, già da allora porta avanti le istanze rigorose della pura speculazione, daParmenide ad Hegel: l’essere, il divenire, l’apparire, il pensare, l’uno, il tutto, l’eterno, lo spirito,la coscienza, l’assoluto, il necessario, l’immutabile, l’infinito.

Severino, stimolato dal suo maestro Gustavo Bontadini, inaugurò questa sua speculazionepartendo da Parmenide e sempre restando fedele, sino ad oggi, a questa posizione, anche seovviamente egli non ha trascurato di apportare alcune modifiche alla rigidezza dell’ontologiaparmenidea avvalendosi di certi apporti dell’idealismo moderno e della fenomenologiahusserliana, senza escludere un raffronto col tomismo e con Heidegger.

Senonchè però disgraziatamente Severino, già cattolico - diversamente non poteva insegnare

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DA PARMENIDE A SEVERINO - di P. Giovanni Cavalcoli, OPUltimo aggiornamento Martedì 16 Ottobre 2012 16:11

alla “Cattolica” - si lasciò sedurre da un intemperante razionalismo che si poteva ricavare daParmenide non dovutamente temperato dalla metafisica cristiana, ossia quella che fruiscedell’apporto di Platone ed Aristotele, tanto che a un certo punto perse la fede con la pretesa didare un’interpretazione del cristianesimo migliore di quella offerta dal dogma cattolico.

Ed a seguito di ciò, censurato dalla Congregazione per la Dottrina della Fede nel 1970, fuespulso dall’Università Cattolica. Tuttavia egli continua ad insegnare all’Università di Venezia. Isuoi scritti sono numerosissimi. Essi non sono solo di carattere teoretico per pochi iniziati, maegli ama anche inserirsi nei dibattiti dei convegni e della grande stampa su temi morali edantropologici.

Praticamente a Severino accadde di accettare così imprudentemente la concezione del paganoParmenide - il fascinoso “essere” come uno, unico, assoluto, eterno e necessario -, che finì colnegare consistenza ontologica agli enti contingenti e mutevoli, materiali e spirituali, collocatinello spazio-tempo, quegli enti che nel linguaggio biblico e cristiano sono chiamati “creature”,costituenti nel loro insieme il “mondo”, creato - secondo il dogma biblico, che condividiamo conebrei e musulmani - da Dio liberamente dal nulla (de nihilo o ex nihilo sui et subiecti, come sidice nel linguaggio teologico tradizionale), ossia senza presupporre nulla a Dio, precedente aDio o da Dio indipendente.

Che cosa restava del contingente, del divenire, della molteplicità, dello spazio e del tempo, dellastoria e dell’evoluzione dell’universo? Nulla in se stesso di reale. L’essere era assente daqueste cose, perché, come si è detto, l’essere è uno solo, univoco, eterno e necessario. Tuttequeste cose diventavano, come già in Parmenide, mere apparenze, oggetto non di scienza madi semplice opinione. Ma nel contempo queste cose si presentavano come apparire dell’Essere,e quindi eterne.

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DA PARMENIDE A SEVERINO - di P. Giovanni Cavalcoli, OPUltimo aggiornamento Martedì 16 Ottobre 2012 16:11

Veniva da ciò che tutto è eterno e che ogni ente è eterno. L’enunciazione severiniana delprincipio di identità è che “l’essere non può non essere”, quindi viene negato quell’essere chepuò non essere, ossia il contingente. Esiste solo il necessario. L’essere, ogni essere è eterno,pena, secondo Severino, la contraddizione di un essere che non è o l’identificazione dell’esserecol nulla: il nichilismo. La conseguenza nel campo della fede era disastrosa: il mistero dell’Incarnazione e dellaRedenzione era concepito come eterno non solo sotto il profilo della divinità ma anche di quellodell’umanità: ne usciva un’umanità di Cristo che, a seconda dell’angolatura sotto la quale la siguardava, poteva risultare o semplicemente apparente (docetismo) o divinizzata (panteismo).Ne viene fuori un monismo acosmico, per il quale o tutto si risolve nell’Essere unico, oppureogni cosa è l’unico Essere. Severino tuttavia, erede del moderno idealismo dialettico, non poteva non considerare chel’opposizione essere-non-essere non poteva non essere pensata. Da qui un unico Esserepensato, sintetico, che abbracciasse questa opposizione. Da qui il superamento dell’ontologiaparmenidea con la dialettica originata da Platone e culminata in Hegel, benchè Severino siguardi bene dallo accettare la concezione hegeliana del divenire. Per questo Severino non si fermò alla visione estremista di Parmenide, che non teneva contodella più elementare ed evidente esperienza della realtà sensibile, ma si sforzò comunque dispiegare il molteplice e il divenire. E fu così che egli sostituì il divenire come passaggio dalnon-essere all’essere o dall’essere al non-essere, quella che per Aristotele era la generazionela corruzione, con la categoria dell’“apparire”, per cui le cose, le persone, il mondo per Severinorisultano il succedersi di apparizioni “eterne” dell’“Eterno”, che farebbe da “sfondo” a questeapparizioni in successione eterna. Severino fa un paragone suggestivo benchè ingannevole: lecose sarebbero simili alle costellazioni che appaiono e scompaiono sullo sfondo permanentedella volta celeste. Tuttavia questo “apparire” per Severino ha un doppio significato, in quanto oscilladialetticamente tra un “rivelarsi” (revelatio), quindi qualcosa di oggettivo e di vero el”apparenza” o “sembianza” ( videtur), che può essereirreale o soggettiva e quindi falsa. Si ha pertanto simultaneamente qualcosa come l’appariredell’accidente che mostra la sostanza o attraverso il quale traspare la sostanza, e l’apparenzameramente relativa all’uomo al quale l’Essere appare. Severino gioca su queste due accezioni dell’apparire, per cui l’essere viene alternativamenteora a coincidere con l’apparire - e qui abbiamo il lascito del fenomenismo kantiano, hegelianoed husserliano -, ora ad identificarsi, così sembra, con qualcosa di simile alla maya indiana:illusione, vana apparenza. Che ne è allora del mondo? Se il mondo è l’Essere che appare, il mondo sarà assoluto comel’Essere del quale è l’apparire. Ma d’altra parte se il mondo è una mera apparenza (il divenirenon esiste) e l’Essere coincide con questa apparenza, anche l’Essere sarà trascinato nellastessa vanità dell’apparenza e avremo quel nichilismo, che pure Severino cerca di evitare.Infatti, se l’Essere resta Essere, il mondo scompare nell’Essere. Ma se il mondo come meraapparenza resta mondo e coincide con l’Essere, anche l’Essere col mondo scompare nel nulla. Severino allora, per cavarsi d’impaccio, si adatta ad adottare la dialettica dell’essere e delnon-essere, già inventata da Hegel, benchè per Hegel il divenire comporti quella contraddizioneche Severino intende evitare. Infatti egli rifiuta la realtà del divenire, perché, sulla scorta diBontadini, lo considera contradditorio alla luce di un’interpretazione del principio dinon-contraddizione nella formulazione di Parmenide. Già Aristotele, con la sua famosa dottrina della potenza e dell’atto, superandol’“essere-che-non-è” di Platone (come interpretazione del divenire), aveva riformulato il principiodi non-contraddizione così da legittimare la non-contradditorietà del divenire in questi termini,ossia che “non è possibile che l’essere sia e non sia simultaneamente o nello stesso tempo”.L’ente può essere in potenza e non essere in atto o viceversa. La precisazione “nello stessotempo” era stata introdotta da Aristotele, per salvare la verità del divenire. Ma Severino,attaccato all’estremismo monista di Parmenide, rifiuta il riferimento al tempo. Da qui ai suoiocchi l’assurdità del divenire e la sua sostituzione con l’“apparire”. Come funziona la dialettica in Severino? Essa suppone e non smentisce la netta opposizioneontologica parmenidea tra essere e non essere (“l’essere è, il non essere non è”), peròrifiutando la spiegazione aristotelica del divenire (passaggio dalla potenza all’atto), assume allafine la concezione platonica del divenire come “essere-che-non-è”, fondamento della dialetticaplatonica, con la differenza però che al posto del divenire abbiamo l’apparire, il quale per il suorapporto col pensiero, meglio si presta ad una interpretazione dialettica. Siccome d’altra parte per Severino come per Hegel l’esser reale s’identifica con l’essere logicoo concettualizzato, egli alla fine non ha difficoltà ad assumere la concezione hegeliana deldivenire, non sotto il profilo ontologico, ma sotto quello logico-dialettico, con la differenza cheSeverino risolve questo divenire nell’apparire togliendogli qualunque significato ontologico:dunque l’apparire dell’Eterno inteso a sua volta come Essere-Apparire, per il cui il mondo èl’“apparire dell’Apparire”. Si continua a negare la realtà del divenire (contro Hegel), ma si assume la dialettica che servealla sintesi dell’essere col pensiero nell’unità dell’Essere (con Parmenide). Come infatti è notogià in Parmenide esiste il principio idealista: “la stessa cosa è il pensare e l’essere”. Quindi ilmonismo severiniano non è così assoluto come quello di Parmenide ma è in qualche modosintetico e dialettico a somiglianza di quello di Hegel, benchè venga rifiutato il divenire nelsenso hegeliano. Stando così le cose, uno potrebbe dire: può aver a che fare con la metafisica e la teologiacattoliche una concezione del genere? Parrebbe assolutamente di no, dato che vi sono negatila trascendenza di Dio, la distinzione fra pensiero ed essere, la molteplicità degli enti e il dogmadella creazione, per cui tutto è eterno, tutto è adesso, tutto è uno e la dialettica si trova persinoin Dio. Senza contare la conseguenza più grave di misconoscere la realtà della storia dellasalvezza e di eternizzare l’umanità di Cristo nella morte come nella risurrezione. Il cristianesimodiventa irriconoscibile, quasi assimilato alla mistica indiana o a una gnosi esoterica. Eppure il pensiero di Severino non ha mancato di attirare a sè equivoche simpatie in variambienti cattolici, come per esempio presso Pierangelo Sequeri [1] , teologo della FacoltàTeologica dell’Italia Settentrionale di Milano, ma soprattutto il teologo della Facoltà Teologica diBologna, il Padre domenicano Giuseppe Barzaghi. Il Padre Barzaghi crede di poter trovare nell’Essere severiniano lo stesso ipsum Esse diS.Tommaso come Nome di Dio ricavato dall’Ego sum Qui sumdi Es 3,14. Ma le conseguenze di questo imprudente accostamento sono disastrose. Il PadreBarzaghi sostiene che solo Dio esiste e che tutto è necessario ed eterno, tutto è in atto e tutto èbene, confondendo l’essere come tale, analogico e polivalente, con l’essere divino, unico edunivoco. E la storia? E il mondo dei possibili? E il male? E se tutto adesso è bene ed èl’attuazione di tutto il bene possibile, ha ancora senso la virtù della speranza? Si può ancoraparlare di una conversione dal peccato alla giustizia? Che differenza c’è tra la vita presente e laceleste beatitudine? In tal modo il mondo per Barzaghi non è fuori di Dio (opus ad extra) come insieme di entisostanziali da Lui realmente distinti, ma è solo “in Dio”, “idea” di Dio e quindi coincidente conDio stesso. Se il mio io empirico non sta davanti a Dio come ad un Tu, ma Dio non è che lastruttura originaria del mio io (“Io trascendentale”), che senso ha la preghiera? Dovrei pregareme stesso? La creazione, poi, per Barzaghi, non è produzione libera di Dio dal nulla all’inizio del tempo, maapparizione o “teofania di Dio” ab aeterno. L’uomo è l’“eterno sguardo di Dio” su Dio, Che vedeSe stesso. Non si vede come si salvi il libero arbitrio. La dannazione non esiste? La dialettica compare anche in Dio con la conseguenza spaventosa di porre il male anche inDio. Allora il male è invincibile? Il pensiero coincide con l’essere, sicchè non si dà un realeesterno al pensiero (extra animam), presupposto al pensiero e indipendente dal pensiero.L’essere è solo l’essere pensante, lo spirito, la coscienza, l’atto del pensare (“autocoscienza”) ol’essere pensato. Allora il falso non esiste? L’ignoranza non esiste? E la materia? Non si vedela differenza tra pensiero umano e pensiero divino, quindi tra volontà umana e volontà divina.Che ne è allora della morale? Barzaghi si diffonde sulla “mistica” peraltro nebulosa [2] ed atematica (cf Rahner), ma inassenza di un gnoseologia realistica, c’è da temere per il valore oggettivo dei concetti dogmaticie quindi per una mistica autenticamente cattolica. Barzaghi inoltre riprende la graveconseguenza in cristologia sopra segnalata. Si aggiunga la sua dottrina della grazia, ovviamente assente nello gnostico Severino, mamodellata sul monismo severiniano, per cui la grazia non si aggiunge alla natura come dono diDio creato, ma diventa la struttura originaria necessaria della natura “divinizzata” in modo taleche non appare più la distinzione fra l’uomo e Dio. Si potrebbe fare un collegamento conRahner. In Barzaghi peraltro non mancano neanche influssi idealisti gentiliani mediati daBontadini, come il tema dell’ “autocoscienza “ e della “intrascendibilità del pensiero”. Le domande tremende che ci poniamo sopra sono la conseguenza e il segno del fatto che lateologia di Barzaghi è falsa nelle sue stesse radici, ed invano egli cerca di coprire tutto ciò conl’esposizione brillante ed esatta di molti punti di dottrina cattolica e dello stesso pensiero diS.Tommaso, mentre d’altra parte egli osa affermare che la filosofia di Severino è quella cheoggi meglio interpreta l’essenza del cristianesimo. E’ uno dei tanti casi incresciosi e conturbanti di aggiornamento modernistico della teologiacattolica verificatisi dopo il Concilio Vaticano II, nati da un confronto sostanzialmente acritico edimprudente col pensiero moderno. Il Concilio ci dice che questo confronto va fatto, ma con l’usodi quei giusti criteri di giudizio e valutazione che la Chiesa stessa ci offre, tra i quali i princìpi, ilmetodo e i pronunciamenti fondamentali di S.Tommaso d’Aquino, interpretato secondo il verosenso dei suoi scritti e non deformato ad usum delphini sotto la pressione degli errori dellamodernità. Bologna, 14 ottobre 2012     [1] Vedi Il Dio affidabile. Saggio di teologia fondamentale, Queriniana, 1996. [2] In più occasioni Barzaghi fa le lodi della “nebbia”.

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