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24 CENT’ANNIASTONMARTIN | LaManovella | ottobre 2013 La fabbrica di Victoria Road a Feltham. Siamo attorno al 1935: in quell’anno l’Aston Martin raggiunse le 140 automobili, un traguardo impressionante per un costruttore di modelli sportivi. A destra, il primo laboratorio, alle spalle di questa Standard degli anni ’20, porta ancora il nome dei fondatori Lionel Martin e Robert Bamford.

CENT’ANNIASTONMARTIN · cilindrata da ben 105 CV progettato per Lagonda da Bentley e Watson. Il risultato è una berlinetta sportiva dal fascino indiscusso, con opulenti interni

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Page 1: CENT’ANNIASTONMARTIN · cilindrata da ben 105 CV progettato per Lagonda da Bentley e Watson. Il risultato è una berlinetta sportiva dal fascino indiscusso, con opulenti interni

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CENT’ANNIASTONMARTIN

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La fabbrica di Victoria Road a Feltham. Siamo attorno al 1935: in quell’anno l’Aston Martin raggiunse le 140 automobili,

un traguardo impressionante per un costruttore di modelli sportivi.A destra, il primo laboratorio, alle spalle di questa Standard degli anni ’20,

porta ancora il nome dei fondatori Lionel Martin e Robert Bamford.

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hollywoodiana viene esposta come trofeo in numerosi Saloni internazionali, ad esempio l’AutoShow di Los Angeles dello scorso novembre. Il mito non muore mai, anzi si ingigantisce col passare degli anni.N on c’è marchio che più dell’Aston Martin abbia ricevuto da

Hollywood fama indelebile. Legate alle imprese di James Bond, le supercar britanniche hanno dominato la scena nelle

pellicole cult fin dal 1964, quando la DB5 esordì al servizio dell’agente 007 in «Missione Goldfinger», ripetendosi l’anno dopo in «Operazione tuono». Poi toccò alla DBS («Al servizio di Sua Maestà», 1969) e dopo qualche anno di pausa alla V8 Vantage («Zona pericolo», 1987), ancora alla mitica intra-montabile DB5 («Golden Eye», 1995, e «Il domani non muore mai», 1997), alla V12 Vanquish («La morte può attendere», 2002), alla DBS V12 («Casino Royale», 2006, e «Quantun of Solace», 2008). Nell’ultimo film della saga («Skyfall») lo scorso anno Bond - nel frattempo interpretato dai diversi suc-cessori di Sean Connery - è tornato a servirsi della prima DB5, una vettura iconica arricchita da rostri, mitragliette, sedili eiettabili, magici servocomandi per sfuggire agli inseguitori. Con il suo motore 4 litri da 282 CV, resta l’Aston Martin per eccellenza, quella che eccita ancora la fantasia e nella versione

Uno dei marchi più esclusivi e leggendari di sempre, incarnazione di eleganza e classe tipicamente “british”

Cent’anni vissuti tra successi planetari e tracolli economici, tra il mito e la dura realtà Buon compleanno Aston Martin!

di Piero Bianco

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Lionel Martin apporta le ultime modifiche ad una vettura prima della gara. Siamo a Brooklands nel 1921 o 1922.

A Goodwood l’Aston Martin si consacra regina indiscussa: vince quattro volte la 9 Ore e due il TT. L’immagine si riferisce a quello del 1959: dopo una dura battaglia con la Ferrari, in testa alla classifica, l’Aston Martin conquista il Campionato Marche. (da sinistra, Carrol Shelby, Stirling Moss e il “patron” David Brown).

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Ne sono trascorsi cento da quando, il 15 gennaio 1913, il meccanico Ro-bert Bamford e il pilota Lionel Martin si lanciarono in una nuova av-ventura automobilistica fondando una concessionaria nell’area Henniker Mews di Chelsea. La chiamarono Bamford & Martin. È datato 1914 il primo prototipo da competizione, realizzato su telaio della milanese Isotta Fraschini con un motore Coventry Simplex: con Lionel Martin al volan-te, vinse la cronoscalata Londra-Aston Clinton e per celebrare l’evento la vettura venne battezzata Aston Martin. Sei anni dopo Bamford abbando-nò l’azienda e il socio co-fondatore evitò la chiusura grazie al consistente contributo di un ricco pilota franco-polacco, Louis Zborowski.Ma la situazione dell’Aston Martin Motors non migliorò. Nel 1926, mes-sa in liquidazione, rischiò la bancarotta per i problemi sorti a causa della Grande Guerra. Fu decisivo l’intervento (ieri come oggi) di un italiano, Augusto Cesare Bertelli, copilota di Vincenzo Lancia e progettista nel Reparto corse della Fiat. L’imprenditore piemontese rilevò la società e la rilanciò facendo esordire nelle gare un motore straordinario, il 4 cilindri bialbero di 1.500 cm³. Una storia lunga e tormentata. Nel 1933 la mag-gioranza azionaria passò ad Arthur Sutherland, che orientò la produzione verso vetture stradali in piccola serie, lasciando a Bertelli la conduzione tecnica. Nel ‘48 il controllo passò a David Brown, che con 20 mila sterline diventò padrone della «nuova» Aston Martin: proprio dalle sue iniziali DB deriva il nome di tanti modelli che hanno scandito la leggenda del marchio. Nel 1959 (l’anno del primo trionfo nella 24 Ore di Le Mans) la Casa britannica si fuse con Lagonda. Fu tentata, ma senza successo, l’av-ventura della Formula 1 con i piloti Carroll Shelby e Roy Salvadori, nel ‘60 con Maurice Trintignant.Pur producendo macchine di raffinata tecnologia e di straordinario appeal, anche lussuosi modelli ad alte prestazioni in partnership con la carrozzeria

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I MODELLI SIGNIFICATIVI

COAL SCUTTLE (1915)Nonostante il primissimo prodotto realizzato da Robert Bamford e Lionel Martin sia stato un prototipo da corsa del 1914 con motore di 1,4 litri su un telaio Isotta Fraschini FENC (che vinse la poco prestigiosa gara di Aston Clinton, che insieme al cognome del fondatore, diede il nome “Aston-Martin”), la prima vettura ufficiale del neonato costruttore inglese, fu la Coal Scuttle - “Secchio di carbone” - del 1915. Il modello è una spider a due posti, non molto moderna ma compatta e nel complesso piacevole nel design, adatta ai gentiluomini inglesi che volessero un mezzo per scorazzare nelle campagne attorno a Londra. Monta un 1389 cm³ a 5 cilindri da 12 CV. Il telaio è in legno e il propulsore ha le valvole laterali. Lo scoppio della Prima Guerra Mondiale però, è lì da venire tanto che non si riesce neppure a ultimare il secondo esemplare. Sono in molti a credere che la Coal Scuttle sia solo un esperimento sfortunato, soprattutto dopo la morte del conte polacco Zborowski prezioso benefattore dei giovani inglesi. Ma questa volta qualcuno si sbagliava.

DB1 (1947)Nonostante le esperienze più o meno vittoriose alle 24 Ore di Le Mans e ad altre gare come il TT del 1934 dove le “Aston” conquistano il podio - grazie anche al lavoro dell’eclettico progettista e pilota italiano Augusto Bertelli - l’Aston Martin, all’indomani del Secondo Conflitto Mondiale che ancora una volta ne ha cancellato i sogni di gloria, è in liquidazione. È così che ai cancelli di Feltham si presenta David Brown, uno dei più eclettici, geniali e pragmatici imprenditori inglesi che consacrerà la Aston Martin come una delle Case automobilistiche più amate e apprezzate del mondo. Il suo primo pro-dotto ha molto della sua personalità, fin dal nome, DB1: D e B sono infatti le iniziali del suo nome, 1 indica il nuovo inizio. Basata sulla Atom di Claude Hill del 1938 (motore 2 litri da 95 CV), viene prodotta nel 1947 in 16 esemplari tutti scoperti. È un’auto moderna e lussuosa ma dalle linee ormai superate: per rappresentare il futuro della casa bisogna andare a lezione in Italia.

Punta di diamante della gestione di David Brown è il moderno stabilimento di Newport Pagnell.

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milanese Touring Superleggera, l’Aston Martin faticò a mantenersi sul mercato. Nel 1972 Brown cedette l’azienda, che passò di mano in mano a im-prenditori diversi, finché nel 1986 arrivò la Ford. Detroit ne fece un’operazione di immagine arric-chendo il Premier Group che comprendeva anche Jaguar, Land Rover, Volvo e Lincoln-Mercury. Miliardi di dollari di investimento, due nuovi im-pianti a Bloxham e Gaydon (ancora oggi il quartier generale), nuovi prodotti come la piccola DB7 e la Vanquish. I numeri cominciarono a crescere, toc-cando il record di 6.500 vendite nel 2007. Il feeling industriale con Detroit durò, fra alti e bassi, sino al 2007 quando il colosso americano cominciò a disfarsi dei gioielli di famiglia per risanare i bilan-ci. Toccò allora a una cordata di investitori guidata da Frederic Dor, John Singers e soprattutto Da-vid Richards, che gestiva le sovvenzioni dei fondi kuwaitiani Investment Dar e Adeem Investment i quali iniettano nell’impresa 475 milioni di sterli-ne. L’azienda, guidata da Ulrich Bez, un ingegnere tedesco ex Porsche e Daewoo, naviga a vista, allar-ga la rete dei dealers (oggi sono 146 in 41 Paesi) e punta a nuovi sfoghi nei mercati asiatici, ma i conti non tornano. Nel 2011 l’Aston immatricola circa 4.000 vetture, pochine, l’impianto di Gaydon ope-ra al 40%. Il fatturato si aggira sui 630 milioni di euro e il bilancio è in rosso.

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I MODELLI SIGNIFICATIVI

DB2 (1950) Il frutto di questa avanscoperta nel design del Bel Paese sarà la DB2: la carrozzeria coupé a 2 posti, opera di Frank Feeley, è subito un icona di stile british, con quella mascherina anteriore arrotondata, la carrozzeria (realizzata da Mulliner) compatta con ampia vetratura e la coda alta ma sfuggevole, quasi fosse quella di una fastback. Ma anche sotto al cofano la DB2 si rivela innovativa ed esclusiva: grazie infatti agli stretti accordi con la Lagonda - partnership che dura ormai dagli anni 30 - il nuovo modello può montare il 6 cilindri di 2,6 litri di cilindrata da ben 105 CV progettato per Lagonda da Bentley e Watson. Il risultato è una berlinetta sportiva dal fascino indiscusso, con opulenti interni in pelle e radica. L’auto viene presentata, prima che al pubblico, alla 24 Ore di Le Mans del 1951 per sottolinearne l’animo sportivo. L’auto viene subito proposta in numerose versioni come la potenziata (125 CV) Vantage - capostipite di una fortunata serie di versioni vitaminizzate del costruttore inglese - o la DB2/4 a quattro posti. Nell’estate del 1954 il motore viene portato a 3 litri e 140 CV modello che inaugura i celebri stabilimenti di Newport Pagnell.

DB3 e DB3S (1951)Nonostante negli anni sia diventata raffinata produttrice di Granturi-smo di lusso, Aston Martin non si è dimenticata delle corse alle quali continua a partecipare anche con modelli dedicati. Fra questi, uno dei più famosi è sicuramente la DB3. realizzata da David Brown più come sfizio che con un vero ideale sportivo, in realtà non sarà un gran successo. Cosa che non accadrà invece con la successiva DB3S (ossia Sport) con una bellissima linea rinnovata e resa più sportiva da Frank Feeley. Ma l’elemento che più porterà gloria alla DB3S, sarà il pilota che più di altri si siede al suo volante, Roy Salvadori. Il suo battesimo è a Charterhall i 23 maggio 1953, quando l’auto comincia a vincere con Reg Parnell ma le soddisfazioni maggiori arriveranno nella stagione 1955 grazie anche al nuovo cambio ZF: Silvertsone, Aintree, Goodwood, Le Mans, Oulton Park sono tutte sue.

Sua Maestà la Regina Elisabetta II visita gli stabilimenti Aston Martin in compagnia di Brown.

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Il resto è storia recentissima. Come già era successo agli albori, è un ita-liano a salvare la «griffe» inglese. Andrea Bonomi, numero uno del fon-do Investindustrial, è diventato a dicembre azionista di maggioranza del marchio cui ha destinato 190 milioni di euro per acquistare il 37,5% delle azioni. Una nuova esaltante avventura nelle mani dell’uomo che

già aveva rilanciato la Ducati (poi ceduta ad Audi) e che ha promesso di riportare la leggen-daria Aston Martin agli antichi splendori, su strada e su pista. Investirà 625 milioni di euro e am-plierà la gamma: obiettivo minimo 7.000 auto l’anno. Tra i piani, anche una partnership tecnolo-

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I MODELLI SIGNIFICATIVI

DB4 GT ZAGATO (1961)Quando nel 1958 l’Aston Martin, con a capo il nuovo direttore John Wyer, presenta la DB4, il costrutto-re può essere a buon diritto incluso fra i marchi di lusso mondiali: linea dallo stile italiano che interpreta superbamente l’animo british realizzata da Carlo Felice Bianchi Anderloni in forza alla Touring Super-leggera, motore, potente ed elastico, 6 cilindri in linea bialbero interamente in alluminio di 3,7 litri da 240 CV e interni quintessenza del lusso anni ’60. Ma l’esclusività, secondo i vertici Aston Martin, deve essere ancora raggiunta appieno. Per farlo, il segreto sembra quello di rendere la linea, già seducente e fuori dal tempo, eccezionale. Nascerà così uno dei sodalizi più proficui tra Casa automobilistica e stilista, quello tra Aston e Zagato. In realtà non è solo un fattore di esclusività. Le corse continuano a mettere in duro confronto Ferrari e Aston Martin tanto che la sfida si trasferisce inevitabilmente anche tra le stradali. L’obiettivo del costruttore di Newport Pagnell è uno solo, la Ferrari 250 GT. Nonostante infatti, venga realizzata, nel 1959 la DB4 GT con motore da 302 CV, la 250 SWB rimane superiore. L’intervento drastico deve partire quindi anche dalle prestazioni oltre che dalla linea. È così che un giovanissimo Ercole Spada in forza alla Zagato realizza una delle auto più sportive e leggendarie di sempre, la DB4 GT Zagato. Il motore ora è arrivato a 326 CV ma ciò che veramente lascia stupiti è la linea della carrozzeria: alleggerita ed accorciata, è subito riconoscibile per la doppia gobba sul tetto e per il frontale compatto e raccolto. La Zagato sarà anche l’ultima Aston Martin a gareggiare ufficial-mente con una squadra corse.

DB5 (1963) È curioso a volte, come nella storia delle case automobilistiche, modelli che do-vrebbero essere “di passaggio”, semplici evoluzioni di predecessori, diventino in realtà dei miti indimenticabili. È quello che succede anche alla Aston Martin con la DB5, niente di più che un restyling della DB4. Il motivo di questo successo si svela in un nome: James Bond. Per la fortunata trasposizione cinematografica delle vicende dell’agente segreto 007scritte da Ian Flaming (Goldfinger, Thun-derball le prime), viene infatti scelta l’ultima creatura Aston Martin. Il fascino senza tempo di un indimenticabile Sean Connery che guida disinvoltamente dopo aver bevuto fiumi di Martini, ne completa l’immagine mitica. L’auto, come ogni veicolo in dotazione al più abile degli agenti di Sua Maestà, è equipaggia-ta con optional eccezionali quali rame rotanti nascoste dietro i mozzi ruota, sedile del passeggero eiettabile, vetri antiproiettile, radiotelefono, radar e mi-tragliette celate dai rostri anteriori. Per i comuni mortali che invece possono permettersela, la DB5 - disponibile dal luglio del 1963 - è equipaggiata con un 4 litri 6 cilindri in linea bialbero che sviluppa 282 CV. L’alimentazione è garan-tita da 3 carburatori SU e il cambio è manuale a 4 marce con differenziale ZF o automatico Borg Warner a 3 rappor-ti. La linea ancora una volta è di Tou-ring. Fra le dotazioni di serie, spiccano gli alzacristalli elettrici. La vettura in Italia è la più costosa del mercato: 9 milioni di lire (contro i 6,5 della Ferrari 330 GT).

Lo stabilimento di Bloxham (ex Jaguar) è il simbolo della rinata Aston Martin sotto l’egida Ford: nonostante sia iniziata la produzione in serie,

l’impianto ha ancora il sapore dell’atelier.

La catena di montaggio della V8.

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gica con il Gruppo Mercedes, che vanta una consolidata sezione sportiva (AMG).E proprio con il nuovo padrone italiano - chi l’avrebbe mai detto? - si celebrerà quest’an-no il centenario. Già dal 15 gennaio all’Henniker Mews di Chelsea, il quartiere londine-se dove partì l’avventura, sono esposte celebri Aston Martin del passato e del presente,

dall’antica A3 alla più recente Vanquish GT. Senza mai abban-donare il Dna storico, le pelli raffinate e il prezioso mogano che addobba gli interni, il mito britannico viaggia verso nuovi traguardi.

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I MODELLI SIGNIFICATIVI

DBS e V8 (1967) L’era David Brown è stato il periodo di maggior fulgore per Aston Martin ma, all’alba degli anni ’70, sembra che qualcosa inizi ad andare storto. Intanto l’agognanto V8: Brown ha chiesto ai suoi progettisti di realizzare una granturismo con un 8 cilindri a V che sostituis-se il vetusto 6 in linea, considerato anche che le DB6 iniziano a non vendere. Nonostante questo, la nuova DBS viene ancora equipaggiata con il 6 in linea. È la goccia che fa tra-boccare il vaso. Anche se nel 1969 sulla DBS viene montato l’8 cilindri - ultimo baluardo simbolo di tradizione e continuità - Brown è deciso a lasciare l’azienda, cosa che avverrà nel 1972. La nuova amministrazione, guidata dal magnate William Wilson, sceglie di fare del V8 l’emblema del rilancio della casa presentando un’auto che porta lo stesso nome. Evoluzione della DBSV8, l’auto, pur potente ed esclusiva (390 CV), è massiccia e la linea ha perso la classe e l’eleganza delle progenitrici risultando appesantita e dallo stile inutilmente “americano”. Le difficoltà finanziarie inoltre, costringono l’azienda a continui cambi di proprietà e numerose amministrazioni controllate. Solo con la Ford l’azienda di Newport Pagnell potrà considerarsi fuori dal tunnel.

DB7 (1993)Il rilevamento del 75% delle azione dell’azienda da parte del gruppo Ford, arriva puntuale nel 1987. Ora Aston Martin è un produttore in grado di realizzare 1000-1200 vetture l’an-no. È finita quindi l’era del “fatto a mano”, inizia la produzione in serie. Fortunatamente, il modello frutto di questa rivoluzione, non fa rimpiangere il passato ma anzi, riporta agli antichi fasti la classe e il fascino del marchio. Stiamo parlando della DB7 del 1993. L’auto, realizzata negli ex stabilimenti Jaguar (anch’essa entrata nell’orbita Ford) di Bloxham, è molto vicina alla cugina XJS con cui condivide parte della piattaforma. La meccanica è invece inedita e caratterizzata da un 3,2 litri 6 cilindri da ben 335 CV. Ma ciò che stupisce è la linea: elegante e sportiva, aggressiva e fascinosa, che fa subito cancellare dalla men-te l’idea che sia una “Super Jaguar”. Il successo commerciale è immediato - nonostante numerosi problemi di gioventù - l’Aston Martin va verso un entusiasmante futuro.

Alle spalle della V8, l’avveniristica Lagonda, berlina sportiva dalla linea a cuneo, troppo in anticipo sui tempi per avere successo.

Lo dimostrano queste immagini della linea della Vanquish, attualmente ammiraglia della gamma.