Choraliter 22 Def Ruolo Direttore

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Choraliter 22 Def Ruolo Direttore

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  • Gennaio-Aprile

    n. 222007

    Rivista quadrimestrale della FENIARCOFederazione Nazionale Italiana Associazioni Regionali Corali

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  • DossierEDITORIALEdi Sandro Bergamo

    LE COMPETENZE DEL DIRETTOREE LA METODOLOGICA DIDATTICA

    di Pier Paolo Scattolin

    IL DIRETTORE DI COROCOME LEADER DI GRUPPO

    di Giuseppe Nucci

    FOSCO CORTI: UN DIRETTORE ALSERVIZIO DEL CORO E DELLA MUSICA

    di Dario Tabbia

    CORALIT E CAPITALE SOCIALEdi Claudio Martinelli

    Nova et VeteraGIOVANNI MARIA NANINO

    TRE CANZONETTE SPIRITUALIDA DILETTO SPIRITUALE (ROMA, 1586)

    di Maurizio Pastori

    LE OPERE PER CORO A CAPPELLADI GYRGY LIGETI

    di Mauro Zuccante

    Attivit dellAssociazioneNUOVI PROGETTI PER LA FENIARCO

    LASSEMBLEA NAZIONALE A PESCARAa cura di Puccio Pucci e Alvaro Vatri

    VOCI DI PRIMAVERAdi Flavio Becchis

    Scheda RegioneFEDERAZIONE CORI BOLZANO

    A.R.CO.VA

    Notizie dalle Regioni

    RubricheSCAFFALEdi Alvaro Vatri

    DISCOGRAFIAa cura di Alvaro Vatri

    MONDOCOROa cura di Giorgio Morandi

    CONCORSI

    ATTIVITDELLASSOCIAZIONE

    NOVA ET VETERA

    SCHEDA REGIONE

    NOTIZIEDALLE REGIONI

    RUBRICHE

    Direttore responsabile:Sandro Bergamo

    Comitato di redazione:Giorgio MorandiPuccio PucciAlvaro VatriMauro Zuccante

    Segretario di redazione:Pier Filippo Rendina

    Hanno collaborato:Pier Paolo ScattolinGiuseppe NucciDario TabbiaClaudio MartinelliMaurizio PastoriFlavio BecchisGiorgio Morandi

    Redazione:via Altan, 3933078 San Vito al Tagliamento (Pn)tel. 0434 876724fax 0434 877554e-mail: [email protected]

    Progetto grafico:Tipografia Menini / Spilimbergo (Pn)Roberto Roveri - Agenzia G.V. - Bologna

    Stampa:Tipografia Menini / Spilimbergo (Pn)

    Associato allUspiUnione Stampa Periodica Italiana

    Spedizione in A.P. - art. 2 comma 20/clegge 662/96 dci PNAutorizzazione Tribunale di Pordenonedel 25.01.2000 n 460 Reg. periodici

    Abbonamento annuale: Italia 10Estero 15

    c.c.p. 11139599 Feniarco - Via Altan, 3933078 San Vito al Tagliamento (Pn)

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    DOSSIER

    RIVISTAQUADRIMESTRALEDELLA FENIARCO

    FEDERAZIONE NAZIONALE ITALIANAASSOCIAZIONI REGIONALI CORALI

    PRESIDENTE: SANTE FORNASIER

    Foto di copertina: Concerto in vesti bibliche, Rembrant

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    antare in un coro lincrocio traun fondamentale momento mu-sicale e una profonda esperienza

    umana: o, se preferite, il buon cantare na-sce dalla somma di una corretta imposta-zione musicale del coro e da una sua equi-librata dinamica di gruppo. Musica e so-cialit: il coro come luogo dove si assol-vono ad un tempo le funzioni musicali (aipi diversi livelli: dalleducazione di basealleccellenza di concertistica di livelloprofessionale) e quelle sociali (sia interneal coro, sia nei confronti della comunit dicui il coro espressione e diventa elemen-to di identit: il paese, la parrocchia, lascuola).Centrale, in tutto questo discorso, la figuradel direttore: ad esso stato dedicato ilConvegno delle Commissioni Artistiche te-nutosi a Fiuggi lo scorso ottobre (vd. reso-conto sul n. 21 di Choraliter) e di cui pub-blichiamo, nel dossier di questo quadrime-stre, le relazioni. Un direttore che dovravere non solo competenze musicali ma an-che un progetto definito di coro, quanto arepertorio, suono, stile, e soprattutto la ca-pacit di trasmettere tutto questo ai suoicantori destreggiandosi tra la necessit ditrovare il consenso senza scadere nella de-magogia e la capacit di essere comunquedi traino verso mete che, il pi delle volte,sono estranee allesperienza quotidiana de-gli stessi coristi. questo il tema trattatonella prima relazione da Pier Paolo Scatto-lin, direttore di coro e compositore. Giuseppe Nucci, docente alla Libera Uni-versit Internazionale degli Studi Socialidi Roma, ha affrontato, con gli strumentidella sociologia, il ruolo di leader che il di-rettore di coro deve saper sviluppare al-linterno del proprio gruppo. Loccasione della presentazione del libroIl respiro gi canto di Fosco Corti, stata loccasione per ricordare la sua figu-ra come modello di uomo e direttore, cheha fuso in s le conoscenze musicali e laqualit del leader. Completa questo dossier uninteressanteanalisi compiuta da Claudio Martinelli, di-rettore dellUfficio per la promozione cul-turale della Provincia di Trento, sui coridel trentino. Dallo studio di Martinelliemerge un quadro non scontato della cora-lit amatoriale, con utili elementi di rifles-

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    EDITORIALEdi Sandro Bergamo

    scandalizzato, si fatto e si fa esattamen-te cos. Quali spazi e a quali ore sono con-cessi nelle reti pubbliche e private allamusica darte e quali alla musica di con-sumo? Quante volte il comportamento dichi gestisce fondi e spazi pubblici si faguidare solo dal numero dei clienti ri-nunciando a riflettere sulla qualit cultu-rale delle proposte? Quante volte i mezzidi comunicazione danno dignit culturalea fenomeni di dubbia qualit ponendolisullo stesso piano della musica pi impe-gnativa?Per fortuna, nonostante lo scarso soste-gno, qualcosa si muove, ed la seconda,bella, notizia: nel 2006, le vendite disco-grafiche legate in qualche modo alla co-siddetta classica sono aumentate del20%, le presenze ai concerti del 10%.Contemporaneamente, sono calate in mo-do consistente le vendite in altri settori,rap in testa (e se permettete, anche questa una bella notizia). Anche la coralit, diffondendo culturamusicale, ha fatto la sua parte e il serviziodi due pagine pubblicato su Repubblicadel 18 marzo mostra che qualcuno comin-cia ad accorgersene. Sar bene, allora, chetutti comincino a prenderne nota, in pri-mis quanti si occupano di informazione,di programmazione televisiva, di politicaculturale: non solo si deve, ma anche sipu proporre qualit e non essere penaliz-zati. A noi, con la nostra rivista, con lat-tivit delle nostre associazioni regionali,dei nostri cori, della Feniarco, il compitodi far sentire sempre di pi la voce dellacoralit.

    sione che arricchiscono il quadro traccia-to a Fiuggi.

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    A margine di queste tematiche, vorrei darconto di due notizie che ci invitano ancoruna volta a riflettere sulla visibilit dellanostra pratica musicale e sulla necessit di accrescere la nostre capacit di comu-nicazione.Ha suscitato un breve dibattito, con inter-vento tra gli altri dellex ministro ai beniculturali, Veltroni, la notizia, pubblicataallinizio dellanno, che alcune grandi bi-blioteche americane avrebbero provvedu-to, dati del computer alla mano, a scartaredagli scaffali i volumi raramente consul-tati dagli utenti. Da ex-bibliotecario possodire che la notizia meno sconvolgente diquanto possa sembrare: da sempre siprovvede a riporre in magazzino (mai abuttare!) quelle opere che non sono ne-cessarie allutenza e comunque, leggendogli articoli, si capisce che il computersvolge il ruolo di indicatore, rimanendosempre al bibliotecario la scelta delloscarto. Tuttavia il rischio di trovare lim-becille che scarta lOrlando Furioso (3consultazioni) e si tiene i romanzi adole-scenziali di Moccia (30 prestiti), di un bi-bliotecario, cio, che abdica ad ogni fun-zione di proposta e aderisce piattamentealle richieste di mercato c, eccome. Ma quello che vorrei dire a tutti gli scan-dalizzati intervenuti in quella discussione,compreso lottimo Veltroni, che con lamusica, senza che nessuno intervenisse

    Il tavolo dei relatori al Convegno di Fiuggi.

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    a presente relazione ha co-me soggetto la figura del di-rettore del coro amatoria-

    le, solitamente non legato alla pro-duzione teatrale o del coro che co-munque non sia espressione diunattivit professionale: questedue ultime tipologie corali hannoinfatti obiettivi e organizzazione dellavoro molto diversi. Va innanzi tutto detto che nel mon-do amatoriale la figura del direttoredi coro ha avuto unevoluzionemarcata nellaspetto della propriapreparazione; senza voler metteredei confini precisi si pu dire chenegli ultimi 25 anni lo spessore tec-nico e artistico del direttore avan-zato in maniera decisa e netta.Si potrebbe dire tout court che inItalia ci sia stato un passaggio dauna direzione corale dilettantescaad una maggiormente consapevolee professionalizzata; questa consta-tazione non comporta un giudiziosul risultato artistico raggiunto dalcoro amatoriale in questa evoluzio-ne: quante volte abbiamo visto coriben guidati da direttori dilettantie, al contrario, cori che non hannoraggiunto alcun significativo risul-tato artistico pur guidati da direttoriistruiti e patentati.In queste osservazioni introduttivevorrei segnalare anche levoluzionedel coro amatoriale che col tempo si fissato obiettivi e traguardi artisti-ci sempre crescenti, che hanno ac-compagnato quello del trovarsi perfare musica. Recentemente si sono sviluppati co-ri nelle scuole e cori che per esem-pio fra gli obiettivi hanno quelli dicarattere terapeutico come quelleformazioni che nascono negli ospe-dali o che sono in maggior partecomposte da persone con abilitdiverse.

    Ma il tema affidatomi non porta asfiorare che di sfuggita la storia del-la coralit e gli aspetti sociologicilegati alla componente umana e del-lattivit del coro.Da queste prime osservazioni intro-duttive comunque credo che risultievidente che la figura del direttore dicoro sia ancorato fortemente al con-cetto di paidia: il ruolo del diretto-re di coro, oltre che genericamentemusicale, coinvolge la dimensionepedagogica ed educativa nella for-mazione musicale del coro sia ama-toriale che professionale.Questo aspetto comporta una granderesponsabilit in molti aspetti dellecompetenze del direttore: per esem-pio la scelta del repertorio, fruttodi enorme studio, ricerca delle fontie lettura delle partiture, avviene diconseguenza con grande consapevo-lezza nel rispetto delle possibilittecniche e del graduale percorso formativo e tecnico del coro con cui interagisce. Il non gettarsi immediatamente edesclusivamente sul pezzo che piaceal direttore e al coro, ma cercare lagradualit dellapproccio al reperto-rio costituisce un impegno notevole,ma alla fine sicuramente redditizio,soprattutto se finalizzato a far rag-giungere al coro una naturale dime-stichezza con la traduzione sonoradella grafia antica e moderna. Nondimentichiamoci inoltre della possi-bilit da parte del coro di chiedereespressamente un lavoro ad un com-positore (la commissione), purchscritta tenendo conto delle possibi-lit tecniche e di lettura del coro. Siavvia cos un circuito virtuoso di re-ciproca crescita fra compositori ecori amatoriali: i lavori prodotti percos dire in forma laboratoriale, do-ve la traduzione di grafie e simboliabbiano immediata spiegazione ed

    Lesecuzione, diventeranno sicura-mente di sicuro approccio e di pre-gevole consistenza espressiva.Soprattutto allinizio, naturale chela scelta del repertorio cada su pez-zi facili: limportante che siano digrande bellezza estetica e di inte-resse poetico-musicale per gli ese-cutori. Sono brani che proprio perla loro bellezza possono anche di-ventare occasione di studio tecnicoed espressivo evitando il descrittivi-smo o il puro gioco sonoro.Parallelamente quindi si pu oppor-tunamente procedere alla crescitatecnico espressiva del coro con gliesercizi di lettura e tecnici derivatidal pezzo allo studio. importante fare un programma distudio tecnico accanto allapprendi-mento del repertorio: per esempiola fase del riscaldamento delle vocipu essere utilizzata per inserireesercizi di lettura e di tecnica sem-plici ma efficaci, tali che non dianoal cantore la sensazione di esseresottoposto ad un processo di alfabe-tizzazione di tipo scolastico, e in-troducano nellattivit di riscalda-mento e apprendimento una fase dicarattere ludico. Quello del riscal-damento pu diventare un momen-to formativo fondamentale sia perle voci dei bambini sia per quelledegli adulti. Questo tipo di attivitdidattica richiede da parte del diret-tore una particolare attenzione adue aspetti: il primo la ludicitdellesercizio; laltro aspetto ri-guarda la programmazione nel tem-po degli esercizi, in modo che gra-dualmente si sviluppino cicli conte-nenti i temi tecnici del repertorio.Nella musica contemporanea, la tri-dimensionalit e la spazialit delsuono, cio lo spessore del suonodato dalla variabilit del numerodei cantori e dalla variabilit del

    LE COMPETENZEDEL DIRETTORE E LAMETODOLOGIA DIDATTICAdi Pier Paolo Scat tol in

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  • timbro nella produzione di un me-desimo suono, costituiscono pecu-liarit di quel repertorio che crea ul-teriori motivi di interesse nella scel-ta del repertorio.Sono molti anche i brani di compo-sitori italiani utilizzabili per questoitinerario, ma rimandiamo ad unal-tra occasione per affrontare il reper-torio italiano in maniera pi ap-profondita.Soprattutto nei riguardi dei giovaniil continuo riferimento giustificati-vo nelle scelte del repertorio e dellasonorizzazione vocale-strumenta-le al vissuto sonoro crea equivocienormi dal punto di vista educativoe pu produrre labbandono di effi-caci prassi didattiche consolidate intutta Europa.Alle volte sembra che si preferiscauna scorciatoia che apparentementee superficialmente attira i giovani,magari anche il consenso di qualchegenitore musicalmente poco alfabe-tizzato e magari entusiasta per leperformance spettacolari di triste re-miniscenza e scimmiottamento del-lintrattenimento televisivo. Tutto ci non produce un buon inve-stimento per il futuro approccio mu-sicale di un giovane che passer dal-lo stato dellinfanzia-adolescenza aquello dellet adulta.Non credo che si possa essere tac-ciati di passatismo quando, allin-terno di un percorso didattico che ri-spetti levoluzione e la naturalezzadelle necessit giovanili, li si avviiallattivit della musica in manierameno superficialmente ancorata.La didattica corale deve evolvere,ma senza compromettere i risultatiacquisiti dal lavoro di tante persona-lit del mondo corale anche italiano:solo non dobbiamo alienare il ruoloeducativo che ci compete e non ave-re paura di fare fatica per trovare so-luzioni pedagogicamente idonee etanto meno, quando necessario, diandare controcorrente.I direttori devono continuare nelle-sercizio del ruolo di educatori e nondevono limitarsi allattivit di intrat-tenitori ammiccanti e semplificantiabdicando al vero ruolo che quel-lo della trasmissione del sapere co-

    rale: i ragazzi sono attratti esi divertono nel cantare labella musica, e contempo-raneamente nel fare un per-corso di crescita, di cono-scenza del linguaggio: nonsottovalutiamo le loro pul-sioni estetiche, che occorrecomunque indirizzare enon far vivere solamenteistintivamente sul terrenodel conosciuto.Anche laltro aspetto del-lattivit direttoriale, laconcertazione, si trasfor-ma in un percorso di ricer-ca musicale profonda, enon prodotto, come spessosuccede, dallaccondiscen-denza ad aspetti superficia-li e di immagine. I cantoriamatoriali spesso nonhanno le armi per difender-si da direttori improvvidi:di qui la grande responsabi-lit morale del direttore dicoro rispetto per esempio al diretto-re dorchestra, il cui ruolo di educa-tore, eccetto nel caso di formazionigiovanili, si sviluppa maggiormentee pi direttamente nella sfera musi-cale collegata al risultato dellese-cuzione in tempi rapidi e con le ca-ratteristiche della produzione musi-cale professionale. C, a mio parere, anche un altroaspetto che pu compromettere ilpercorso formativo dei giovani e an-che degli adulti, che lostacolorappresentato da un crescente ram-pantismo della figura direttoriale:fenomeno che si verifica, qualchevolta anche in buona fede, quando sidivide il processo di crescita del di-rettore da quello del coro, e quandoquesto inteso esclusivamente co-me veicolo di autopromozione.Si verificato molto spesso di assi-stere allassoluto immobilismo tec-nico di cori, dove la giustificazione rappresentata dalla scarsa qualitdei cantori: affermazione che inquesta sede non pu essere svisce-rata, ma che anche solo col buonsenso risulta priva di ogni fonda-mento musicale, psicologico, tecni-co etc. Il detto non esistono cattivi

    cori, ma cattivi maestri ben co-nosciuto!Credo che su questa questione imaestri abbiano una responsabilitben precisa. Nei confronti dei cori edei singoli cantori in mezzo a cui sitrovano ad esercitare la propria atti-vit, i direttori dovrebbero porsi ilproblema della crescita culturale etecnica del coro in cui svolgono at-tivit. Non va dimenticato che peralcuni direttori lattivit corale co-stituisce un importante contributoalla formazione del proprio curricu-lum artistico, che in qualche caso si concretizzato nel raggiungimentodi un posto di lavoro, per esempionellambito dellinsegnamento nellescuole secondarie e nei conservato-ri. In ogni caso il problema dellal-fabetizzazione prioritario nelmondo corale amatoriale. Oltre allabuona volont personale e alla di-sponibilit dei maestri e dei cantori,dobbiamo tutti insieme collaborare,(e in questo caso i corsi didattici or-ganizzati dai cori nellambito delleattivit associative regionali sonobenvenuti e troveranno sempre so-stegno): dobbiamo fare ogni sforzoper avviare la coralit italiana verso

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    dossier

    Paidia : dal greco , indica la formazioneculturale delluomo , f onda ta sulla conoscenza filosofica .

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    una fase di pi matura consapevo-lezza del far coro, mentre in Eu-ropa la preparazione del cantore indubbiamente migliore grazie an-che a condizioni didattiche am-bientali (attivit corale nelle scuolee nelle chiese) molto efficaci. Nel-lattuale fase del nostro associazio-nismo questo tema didattico vistodai rappresentanti e dalla commis-sione artistica come uno dei pi ur-genti e da affrontare con sempremaggior determinazione.Ragioni morali ed esigenze artistichedevono rendere responsabili i diret-tori nei confronti dei propri cori, inqualunque tipo di attivit musicale icori siano coinvolti e in qualunquelivello tecnici-artistico il direttore sitrovi ad agire e raggiungere.Il nostro associazionismo deve di-ventare punto di riferimento di unaproblematica che nasce lontano, mache non possiamo pi fingere di nonvedere.Credo che nelle attivit didattico-formative la Feniarco e le nostre as-sociazioni corali tengano fede agliobiettivi primari della coralit, man-tenendo il rapporto con le esigenzedella base (costituita dai cori e daidirettori) e corrispondendo a realiesigenze della coralit italiana: spe-riamo che queste prospettive possa-no essere recepite anche in ambitofederativo dove le giuste necessitdi rappresentativit internazionaledevono coniugarsi saldamente alle

    vere e pi immediate necessit diuna coralit che alla base sta facen-do grandi sforzi per saldare ritardiculturali e scolastici e per consenti-re al cantore unattivit soddisfa-cente e pi consapevole.Per rendere pi agevole, pi appeti-bile lattivit corale opportuno chegradualmente si passi da una fase diapprendimento ad orecchio ad unmetodo che renda pi consapevoleil cantore davanti al segno musicale.Per fare questo basta impiegarequalche minuto della prova in unpercorso frazionato in piccole unitdidattiche e inserite in un progettoper esempio triennale, per migliora-re e fare crescere il coro dal punto divista della lettura. La lettura del segno musicale accor-cia i tempi di apprendimento, rendeil cantore autonomo e partecipe,crea interesse nei pi giovani (sitratta in fondo di studiare un codi-ce), in molti casi crea curiosit an-che nei cantori pi anziani.

    Fra gli aspetti metodologici vorreifare luce su alcuni punti fondamen-tali.

    Metodologia della provaOccorre razionalizzare il tempo adisposizione con una programma-zione delle varie fasi della prova, te-nendo conto della curva di attenzio-ne, dellalternanza fra pezzi di stu-dio e di concerto. Ampio spazio de-

    ve essere dato alla lettura musicale eallesercizio vocale-intonativo: inpoche parole bisogna progettare unprocesso di alfabetizzazione che inqualche anno porti il coro ad affron-tare i problemi tecnici nel modo piampio possibile (lettura, intonazio-ne, vocalit, fraseggio).Nel processo metodologico, soprat-tutto con i giovani pu essere im-portante la scelta del metodo (Goi-tre, Kodly etc.). I giovani chiedonola comprensione del testo musicale.Non si consideri esaurito il ruolo deldirettore solo come responsabiledellinsegnamento delle parti e del-le scelte interpretative, ma si devedare importanza al processo di alfa-betizzazione. Nel processo di razio-nalizzazione della prova molto ef-ficace la proposta di un modo di for-mulare il vocalizzo che non servaesclusivamente a scaldare la voce,ma che imposti o aiuti alla risolu-zione di problemi tecnici tecnica delpezzo che si vuole eseguire: il me-desimo vocalizzo pu essere utiliz-zato per innescare processi di lettu-ra musicale.Esempio metodologico della faseiniziale della prova:1. socializzazione attraverso il gio-

    co: esercizi di rilassamento fisi-co anche a coppie di cantori;esercizi ritmici a coppia con lemani: ritmi binari e ternari, ritmocol punto; esercizi singoli conmani e piedi (per esempio il pie-de batte il tempo forte, le manimarcano i tempi deboli, oppuresuddividono in maniera binaria oternaria i tempi);

    2. fase dedicata alla respirazione ditipo diaframmatico ed emissionedi note tenute, inizialmente al-lunisono poi a due voci con unsuono di base invariabile (nelprogramma si svilupperanno so-vrapposizioni di suoni conso-nanti - ottave, quinte, terze e se-ste - poi dissonanti, per esempiotonica e sensibile eseguite con-temporaneamente, in modo che icantori si abituino allindipen-denza e allautonomia): il sensodegli esercizi a due voci sta nelfatto che lintonazione del coro

    La let tura del segno musicale favorisce lapprendimento da parte deicoristi.

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    migliora pi velocemente se nonsi cura solo laspetto individua-le, ma se si mettono in correla-zione fra loro i cantori attraversoesercizi a pi voci (intonazionerelazionata su un suono di base);

    3. fase fonetica dedicata agli eserci-zi con le consonanti: studio del-le dentali, labiali, nasali; voca-lizzi con le nasali, con suono abocca chiusa ed esercizi con levocali; impostazione degli appa-rati mobili (lingua, labbra, larin-ge etc.); occorre inoltre svilup-pare la programmazione dei vo-calizzi, iniziando da quelli pisemplici con estensione limitatae progressiva introduzione diesercizi pi complessi nelle-stensione e negli intervalli;

    4. fase polifonica con luso di cano-ni con le scale maggiori e mino-ri: il canone la forma pi sem-plice di organizzazione polifoni-ca e pu assumere facilmente ilcarattere ludico; uso di frasi ca-denzali a 4 voci e facili modula-zioni;

    5. momenti di creativit individualeattraverso la tecnica aleatoria eimprovvisativa (organizzazioneanche graduale di grumi/clustersdi suoni nei registri acuto, medioe basso, esecuzione di suoni le-gati, staccati, glissati di cui sistabilisce solo la direzione manon una precisa melodia, esecu-zione di ritmi liberi con uso del-le consonanti, etc.).

    Il percorso tecnico programmatopu essere efficacemente fatto sianella fase di riscaldamento, sia du-rante lo studio dei brani, selezio-nando comunque durante la provagli esercizi utili al superamento del-le difficolt dei brani allo studio.Infine luso della lavagna luminosa molto utile se si vuole avviare eprogrammare la lettura musicale.Con questo semplice strumento sicattura lattenzione contempora-neamente di tutti i cantori sulla par-titura che allo studio: con laproiezione della partitura il diretto-re ha maggior facilit nella sua ana-lisi e nella lettura cantata, con gran-de risparmio di tempo.

    Lattenzione alla cura dei processidi studio che riguarda lintonazione ormai indispensabile per poterprogettare con serenit lattivitconcertistica del coro e si evitanoanche quei fenomeni di allontana-mento e di perdita di cantori: se ilcoro stonato non piace a nessuno,nemmeno a chi ci canta.

    Anche la costruzione del suono co-rale un elemento fondamentalenella personalizzazione di un coro edi cui il direttore ha la competenza eresponsabilit. Ci vorrebbe moltospazio per approfondire questargo-mento; in questa sede sufficientedire che una delle strategie pi red-ditizie per creare un suono estetica-mente interessante quella diesercitare pazientemente un metico-loso lavoro per non umiliare i timbripersonali di ciascun cantore, ma diimpastarli come se fossero stru-menti dorchestra senza costringerela voce a particolari scelte di confor-mit precostituita: lunisono dellasezione non significa la ricerca diuniformare il timbro di ciascun can-tore, perch proprio la differenzatimbrica di ogni voce a creare il suo-no interessante e particolare di uncoro.

    Fondamentale da parte del direttore lo stile di approccio allattivitcorale, con i conseguenti risvoltipsicologici e umani che ne derivano.La metodologia didattica stretta-mente legata alla necessit di creareun percorso di crescita umana e tec-nica adeguata alla realt del gruppo.La ricerca da parte del direttore disviluppare la propria attivit esclu-sivamente in formazioni corali dovei cantori siano gi musicalmenteformati (eccettuata lattivit in coriprofessionali), spesso nascondelincapacit del direttore di agiretecnicamente per la crescita del co-ro e di basarsi solo su elementi diesteriorit, ma senza radicareprofondamente la propria azione dimusicista.Molti direttori italiani hanno svilup-pato una buona tecnica della prova,proprio perch sanno di rivolgersi

    spesso a persone poco alfabetizza-te: patrimonio didattico di grandevalore su cui imprimere una forteattenzione: quel tipo di tecnica as-solutamente compatibile anche conil mondo professionale, anzi aiutaalla chiarezza, allottimizzazionedel tempo di prova, alla serenit delrapporto umano con gli esecutori,visti come indispensabili collabora-tori alla ricerca della giusta via interpretativa ed esecutiva a loroproposta.

    Il ruolo del preparatore vocalepu essere svolto dal direttore stes-so, che conosce con pi chiarezzagli obiettivi tecnici ed artistici delcoro. Questo richiede per un per-corso di conoscenze tecniche nellaproduzione del suono che arricchi-sce moltissimo la preparazione diun direttore, ma che richiede moltoimpegno e applicazione: la scelta diun preparatore non in sintonia congli obiettivi del direttore pu sviaredal raggiungimento del suono otti-male del coro, allunga i processi difusione timbrica perch lattivit sidisperde eccessivamente nellatten-zione tecnica verso il singolo: le-sperienza (sia con risultati negativiche positivi) corale del teatro ci di-mostra come non serve un coro dicantanti, ma un gruppo ben adde-strato allinsieme.

    Poche parole infine sulla tesi didat-tica della contiguit dei repertorinella formazione di un direttore. La contiguit di repertori vocali esonori diversi come il canto popola-re, la musica antica e contempora-nea ha dimostrato di poter contri-buire in maniera determinante allacrescita dei direttori, di creare pro-spettive di repertorio concertistico,di studiare avvicinandoli mondi espazi sonori diversi e di creare pro-spettive di sinergie fra questi oriz-zonti sonori. tuttavia importanteche un coro nel suo iter si caratte-rizzi per scelte precise ed eviti lacomplessit dei repertori, che ri-chiederebbero ognuno particolari eprecisi moduli espressivi, di emis-sione e interpretativi.

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    IL DIRETTORE DI COROCOME LEADER DI GRUPPOdi Giuseppe Nucci

    ESORDIOnche se sono abituato a inter-locutori piuttosto variegati,questa la mia prima espe-

    rienza in cui ho lopportunit di parla-re a direttori di cori e spero di riusci-re a sintonizzarmi - il termine mi pareappropriato - con voi in modo chiaroed efficace.Quando mi stato chiesto di parlarvidi leadership la mia prima preoccupa-zione stata quella di capire quantorobusto sia il nesso che lega una realtorganizzativa aziendale a un coro.Nel vostro ambito immagino che al-cuni affermino che: il coro unaltracosa, non pu essere considerato co-me unazienda noi facciamo musi-ca, ma credo che anche per fare mu-sica rilevano, e non poco, anche gliaspetti organizzativi e gerarchici (Ro-bert Schumann diceva: Se tutti fosse-ro primi violini non si potrebbe fareunorchestra).Vediamo se riesco a convincervi che,pur tenendo conto delle forti specifi-cit che caratterizzano i cori, pu af-fermarsi che, senza dubbio, un coro una vera e propria organizzazione.Il vocabolo organizzazione trae origi-ne dal termine greco organon che si-gnifica strumento, mezzo e, ancoraoggi, il significato di questo terminesottolinea il nesso teleologico che le-ga la struttura organizzativa agliobiettivi che si vogliono conseguire.Il sociologo Max Weber, indica lor-ganizzazione come quella strutturacaratterizzata da precisione, rapidit,chiarezza, regolarit, affidabilit edefficienza e basata sullelaborazionedi un rigido sistema di divisione deicompiti, di un sistema di supervisionegerarchica e di un sistema di regoleformali e non.Queste definizioni, che compaiononei testi di management, penso possa-no trovare ospitalit anche nella vo-stra realt.

    AE il collegamento alla leadership?Cito due riferimenti pescati nellamia memoria.Il primo risale a circa 4 anni fa, nelteatro di Chieti, in cui il maestro Ric-cardo Muti tenne una lezione che ini-zi pi o meno cos: La maggiorparte dei non addetti ai lavori si chie-de a cosa serva quella persona che inpiedi, con un bastoncino in mano, siagita davanti ad un certo numero dimusicisti. Io cercher di mostrarlo.E cos, dopo aver fatto suonare auto-nomamente un brano allorchestra lo-cale, da lui mai diretta, successiva-mente prese la direzione facendo in-terpretare pi volte il medesimo bra-no ottenendo infine una performancedi ben altro spessore rispetto a quellainiziale. Mi parve allora, e lo pensotuttora, che si fosse trattato di una ve-ra e propria lezione di leadership. Eseppure riguarda un direttore di or-chestra credo che il protagonista sa-rebbe potuto essere benissimo ancheun direttore di coro.Il secondo ricordo - di tuttaltro ge-nere - si riferisce a un recentissimocommento di un telecronista sportivoche, a proposito dellInter - non mene vogliano gli interisti anche perch,come juventino, faccio ormai parte diuna specie protetta - diceva che que-sta squadra sta mostrando la fonda-tezza del principio secondo il qualeundici ottimi solisti non necessaria-mente fanno unottima squadra.Questi due flash mi hanno aiutato aindividuare con immediatezza fortiassonanze tra il concetto di leader-ship e le attivit del dirigere, delcoordinare, del guidare, del motivare,del coinvolgere, insomma di compe-tenze che sono tanto del manager diqualsiasi azienda quanto di qualun-que direttore di coro.Da questa analogia posso anche trar-re un altro assunto - ribadisco perche non sono un addetto ai lavori - e

    cio che essere direttori di un coro cosa completamente diversa che es-sere ottimi coristi.Nelle aziende si dice che dirigere un vero proprio mestiere, e anche inpresenza di una lunga esperienza la-vorativa, quando si diventa managersi deve ripartire quasi da zero.Per un dirigente/direttore, infatti, la-bilit tecnica - per voi labilit artisti-ca - non costituisce pi lessenza delruolo ma rappresenta una sorta disensibilit che, seppure molto impor-tante, deve limitarsi ad accompagna-re e sostenere limpegno principale,che appunto quello del dirigere.Ed questa convinzione che mi ac-compagner nei circa 25 minuti chemi sono stati concessi per intrattener-vi fondamentalmente su due temi: laleadership e il ruolo di leader.

    LA LEADERSHIPIniziamo con la leadership. Nellat-tuale contesto organizzativo la lea-dership costituisce un processo cheinfluenza gran parte delle attivit in-dividuali e di gruppo, la definizionedegli obiettivi e le modalit per con-seguirli e si realizza quando il leaderriesce a farsi seguire dai collaborato-ri nel perseguimento delle mete orga-nizzative.La leadership mostra la sua estremarilevanza in vari ambiti.Innanzitutto essa una componenteessenziale del processo di cambia-mento. Si ha ormai consapevolezzadi dover talvolta modificare visioniculturali e approcci tecnici per poteroperare con efficacia ed efficienzama, allo stesso tempo, poche resi-stenze sono cos forti nellambitodelle dinamiche infraorganizzativecome quelle al cambiamento. E ci del tutto naturale. Muoversi secondonuove prospettive provoca incertezzae stress. Le persone desiderano quin-di ancorarsi a prassi e modalit con

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    cui hanno confidenza, come garanziadi tranquillit e sicurezza. chiaro, allora, che per vincere que-sta sorta di andamento inerziale dellacultura, tanto organizzativa quanto,come nel nostro caso, artistica, ne-cessario innanzitutto intervenire sullemappe cognitive di tutti i componen-ti dei gruppi. Ma per far questo oc-corre una serie di capacit alcune del-le quali vengono sintetizzate appuntonel concetto di leadership.In particolare, sotto questo profilo siparla soprattutto di leadership visio-naria e trasformazionale, in gradodi favorire lempowerment dei colla-boratori, di istituzionalizzare la cul-tura del cambiamento e di indicareuna vision condivisa che assicurichiarezza, coinvolgimento e senso diappartenenza e che aiuti i collabora-tori a superare il caos, la tensione e lo stress che qualsiasi mutamentocomporta.In secondo luogo la leadership - inte-sa come requisito del capo o ap-punto del direttore - il pi poten-te strumento dellorganizzazioneprocess oriented; i leader diventa-no lorganizzazione, umanizzando-la, facendo perdere alla struttura, algruppo, il suo significato meccanici-stico.In terzo luogo la leadership capacedi incidere in profondit sulle moti-vazioni dei collaboratori - nel vostrocaso di ogni singolo artista - sulla lo-ro fidelizzazione, sul modo di vivereil proprio ruolo allinterno del grup-po, sul grado di coinvolgimento e, indefinitiva, sulle modalit con cuiesplicano le rispettive prestazioni ar-tistiche. Ad esempio, nelle aziendeprivate, da una ricerca emerso chela probabilit che i dipendenti di uncattivo leader lascino il proprio lavo-ro quattro volte superiore rispettoalla media.In quarto luogo la leadership deter-minante per indicare i codici etici sucui poggia il gruppo. Si tratta di idea-li condivisi e fortemente interiorizza-ti che sono difesi e applicati dal lea-der. Essi sono comunicati con nume-rose modalit ma quelle pi efficacisono soprattutto le azioni personali: ilcapo, infatti, in ogni caso influenza i

    Gli assunti che ne scaturiscono sonomolto interessanti.I leader, pi che a una rigida azionedi controllo, sono orientati al risulta-to. Essi, oltre a verificare i livelli diperformances, enfatizzano limpor-tanza della pianificazione, dellorga-nizzazione e del coordinamento e at-tribuiscono significato fondamentalealla formazione, alla crescita dei col-laboratori e, pi in generale, al rap-porto umano.Secondo queste teorie, i collaboratoriche subiscono da parte del leaderunattivit di controllo molto invasivae mirata alle attivit perdono partedella loro motivazione mentre unasupervisione pi generale e attentaalle componenti umane determina unmaggiore rendimento.c. Teorie relativisteQuestultimo tipo di teorie assumeche occorre esercitare un determinatostile di leadership solo dopo aver fat-to una diagnosi della situazione, inrelazione, ad esempio:- al proprio sistema di valori;- ai fattori riferiti ai collaboratori

    (capacit, maturit, grado di auto-nomia, senso di responsabilit edesiderio di partecipazione);

    - fattori riferiti alla situazione (tipodi organizzazione, grado di effica-cia del gruppo e entit dellimpe-gno da affrontare).

    In base a questi fattori il leader do-vrebbe avere la capacit di scegliereuno degli stili che si collocano su unsegmento che va dalla leadership im-perniata sul capo (autocratica) a quel-la incentrata sui collaboratori (demo-cratica). A titolo di esempio, possiano citareunimportante teoria relativista, quel-la di Hersey e Blanchard, denomina-ta life - cycle theory, secondo la qua-le il leader deve basarsi sul grado dimaturit del collaboratore, intenden-do per maturit la capacit di accetta-re obiettivi impegnativi e di perse-guirli con determinazione e responsa-bilit.Al riguardo possiamo individuare trefasi:- allinizio del rapporto il collabora-

    tore inesperto e il manager mol-to orientato al compito e poco alla

    propri collaboratori, innescando uneffetto domino che si riverbera sul cli-ma dellintero gruppo. La credibilitdella leadership - pi che negli altricasi - connessa a come i leader met-tono in pratica ci che dicono: dettocon unespressione tradizionale, sitratta di dare il buon esempio. Il loroprestigio dipende anche dal coraggioe la coerenza che profondono per ri-manere fedeli ai valori dichiarati.In quinto luogo il requisito della lea-dership costituisce, in definitiva, le-lemento che distingue chi dirige ri-spetto a chi esegue: in altri termini unvirtuoso primo corista potrebbe an-che non possedere una valida leader-ship mentre per un direttore essa in-dispensabile.Questi sono solo i pi importanticampi in cui la leadership esplica unruolo fondamentale, ma ve ne sonomolti altri; tuttavia, il concetto forteche vorrei sottolineare che la lea-dership costituisce un perno formida-bile per la valorizzazione del capitaleumano, lasset per eccellenza, e rap-presenta la vera sfida per tutte le strut-ture organizzate.

    Le principali teorie tradizionali sulla leadershipA questo punto, pu essere interes-sante soffermarci sulle tradizionaliteorie riferite alla leadership che, insintesi, possiamo raggruppare in trecategorie: le innatiste, le comporta-mentiste e le relativiste.a. Teorie innatisteEsse partono dallassunto che i leaderposseggono dei tratti personali speci-fici, in grado di determinare la fedeltdei collaboratori. Si tratta di teorie de-terministe che partono dallassunto -indimostrato - che leader si nasce.Queste teorie sono oggi poco accredi-tate per gli evidenti limiti concettualimostrati.b. Teorie comportamentiste

    (o behavioriste)Un secondo tipo di teorie fa riferi-mento ai rapporti umani. Iniziato adaffermarsi negli anni 60 ad opera diMcGregor, e poi di Rensis Likert, Ro-bert Blake e Jane Mouton, ha oggiraggiunto il suo livello di massimaelaborazione con William Ouchi.

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    relazione. Si preoccupa soprattuttodi spiegare il contenuto della pre-stazione lavorativa ed esercita unaleadership incentrata sul comandoe controllo;

    - con la maggior esperienza matura-ta dal collaboratore, il manager ini-zia a orientarsi alla relazione edesercita una leadership in cuiemergono elementi di convinci-mento e di coaching;

    - dopo che il collaboratore ha acqui-sito elevata competenza e sicurez-za, il manager si orienta alla rela-zione e poco al compito. La sualeadership caratterizzata dallapartecipazione e dal sostegno.

    In definitiva, comunque, la maggiorparte degli studiosi concorda sul fattoche non esiste uno stile ideale poichsono molti i fattori con cui la leader-ship interagisce e, a seconda dellespecifiche situazioni, risultano op-portune alcune scelte al posto di altre.

    La leadership risonante La teoria emergente dagli studi pirecenti quella della leadership riso-nante - il cui principale sostenitore Daniel Goleman, uno dei massimiesperti in leadership a livello mon-diale - che consiste fondamentalmen-te nella capacit del leader di inne-scare sentimenti positivi nelle perso-ne che gestisce.Facciamo un esempio. Chi ricopreruoli di responsabilit, davanti a pre-stazioni modeste o deludenti di colo-ro che da lui dipendono, spesso la-menta in costoro mancanza di coin-volgimento, di passione, di entusia-smo e di dedizione.Ma questo atteg-giamento, paradossalmente, la pro-va del fallimento del capo pi che deisuoi collaboratori. La motivazione elentusiasmo non si sviluppano spon-taneamente ma devono essere costan-temente alimentate. E ci richiedeuna serie complessa di capacit che,sinteticamente, viene definita comeleadership.La leadership risonante si basa sul-lintelligenza emotiva che, a sua vol-ta, individua quattro dimensioni es-senziali e diciotto competenze.Sarebbe troppo lungo soffermarsi sututte ma riteniamo utile fare cenno al-

    ascoltare, quella di interpretare cor-rettamente la comunicazione non ver-bale, quella di considerare con il mas-simo rispetto i sentimenti degli altri equella di saper fornire, rispetto agliinput ricevuti, risposte attente a talisentimenti, coerenti e funzionali aipropri obiettivi.d. Gestione delle relazioni

    interpersonali la dimensione in cui si manifestagran parte dellabilit di un leader.Consente di realizzare unampia retedi relazioni in grado di mobilitareenergia, entusiasmo ed emozioni. De-ve mirare a creare spirito collaborati-vo, senso di appartenenza e sinergiaverso determinati obiettivi.

    I LEADERVeniamo ora al secondo - e ultimo te-ma - che tratter, e cio passiamo dal-la competenza a colui che la possiedee cio dalla leadership al leader.Anche il concetto di leader moltocomplesso e ad esso sono riconnesseun gran numero di definizioni. Tra lepi significative potremmo prenderequella secondo la quale il leader co-lui che indica - anticipando i tempi - igrandi obiettivi da raggiungere, avva-lendosi anche di una profonda capa-cit di comprensione della psicologiadei singoli e soprattutto dellambientee della cultura con cui interagisce.In estrema sintesi possiamo affermareche il leader colui che governa quelprocesso attraverso il quale si influen-zano le attivit individuali e di gruppoorientandole a fissare determinatiobiettivi e a conseguirli. In questoprocesso il leader deve far coniugaregli interessi particolari degli individuicon quelli del gruppo.Tuttavia il leader deve saper utilizza-re diversi stili, passando da uno stileallaltro, a seconda delle circostanze.Vediamo i principali.a. Stile visionarioI leader visionari indicano alle perso-ne il piano generale e i relativiobiettivi senza tuttavia fissarne le mo-dalit per conseguirle. Tutti sonoquindi coinvolti e hanno la possibilitdi capire il proprio ruolo, di conosce-re la meta a cui tendere e di percepireil valore del proprio contributo.

    meno alle quattro dimensioni essen-ziali.a. Consapevolezza di sSi intende la capacit di un soggettodi conoscere a fondo i propri valori edi rimanerne fedele nelle scelte chevia via opera. Inoltre richiesta lapiena conoscenza delle proprie emo-zioni che, altrimenti, non potrebberoessere gestite. Chi consapevole dis si dirige verso obiettivi fortementemotivanti accompagnato da entusia-smo e determinazione che gli permet-tono di trovare lenergia per affronta-re impegni gravosi e di essere in gra-do di trarre le lezioni utili e le oppor-tunit nascoste, anche dalle sconfitte.Ci determina un rapporto equilibra-to, coerente e sincero con s stessoche si riverbera positivamente neirapporti con gli altri, determinandorisonanza. Ma la consapevolezza dis ha una lunga serie di altri effetti.Tra questi ricordiamo quello di costi-tuire un bacino di alimentazione perlintuizione, e cio per quella moda-lit di risposta a situazioni nuove chesi basa su criteri decisionali che unsoggetto ha sedimentato nel proprioprocesso, anche inconsapevole, diapprendimento.b. Gestione di s sostanzialmente la capacit di do-minare le proprie emozioni che, co-me abbiamo appena visto, presuppo-ne la consapevolezza di come si .Appare unovviet che un capo nonpossa gestire le emozioni degli altrise non in grado di gestire le propriema, purtroppo, spesso ci accade. Ilsapersi controllare consente moltivantaggi come, ad esempio, quello dibloccare i propri impulsi negativi -anche se giustificati - conservando unatteggiamento sereno anche nelle cir-costanze critiche in modo da mante-nere un clima di fiducia, essenzialeper i propri collaboratori.c. La consapevolezza socialeConsiste sostanzialmente nellempa-tia, e cio nella capacit di essere insintonia con gli interlocutori. Essapoggia sullabilit di interpretare isentimenti di una persona attraversole espressioni del volto, la postura, igesti e cio attraverso la comunica-zione non verbale. Ci presupponequattro capacit: quella di saper

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  • Tutto questo stimola spirito di inizia-tiva, entusiasmo nonch orgoglio esenso di appartenenza ad una squadrache mira ad uno stesso traguardo. Cicrea le condizioni per un clima emo-tivo positivo, che costituisce uno deiprincipali presupposti per la fideliz-zazione di un soggetto ad un gruppo.Inoltre, il comunicare costantementeil quadro di insieme e gli scopi a cuitende una certa attivit complessa,stimola lo spirito diniziativa di ciascuno.I leader che appartengono a questa ti-pologia devono soprattutto distribuiree condividere informazioni e cono-scenza.Questo tipo di leader prezioso inpresenza di radicali cambiamentimentre trova difficolt in ambienti la-vorativi imperniati sul tecnicismo incui prevale, nei collaboratori, unele-vata competenza tecnica ( facileper lui fare tutti quei bei discorsi mapoi non sa neanche come funziona[una certa cosa]).b. Stile coachIl leader coach si caratterizza per es-sere, per antonomasia, colui che sipropone di far crescere i propri col-laboratori. Egli si adopera per fargliconoscere le loro potenzialit ed i li-miti, i percorsi da percorrere per mi-gliorarsi e li ncora a obiettivi per-sonali e professionali a lungo termineper creare una motivazione duratura.In altri termine il leader coach si fo-calizza pi sullo sviluppo della per-sona che sui compiti da svolgere.Questi leader delegano, non stigma-tizzano risultati negativi e, soprattut-to, contribuiscono significativamentea fidelizzare i propri collaboratori algruppo.c. Stile affiliativoIl leader affiliativo mira a creare for-ti rapporti interpersonali, enfatizzan-do limportanza dei sentimenti altrui. uno stile che viene praticato so-prattutto nei momenti di crisi che cisi propone di superare attraverso lacoesione interpersonale per sollevareil morale, migliorare larmonia e ilrapporto con il gruppo.Le competenze necessarie al leadersono soprattutto ladattabilit, lotti-mismo, lempatia, la gestione dei

    do bisogna dare una scossa ai colla-boratori per segnare un momento didiscontinuit con comportamenti nonpi tollerabili.

    CONCLUSIONIUnultima importante questione:leader si nasce o si diventa?Le risposte a questa domanda hannocreato in letteratura una copiosa etuttaltro che univoca serie di opinio-ni: pu essere utile riassumere le di-verse tesi che possiamo sintetizzare indue teorie che si contrappongono.La prima si rif ad una concezionetradizionale che nata nellambientemilitare, e cio al concetto di arte delcomando, secondo la quale la leader-ship non un modello, o un sistema inquanto - secondo unesemplificativaaffermazione - nessun modello o si-stema di comportamenti di leadershippu prevedere le circostanze, le condizioni e le situazioni in cui il leader dovr influenzare loperatodegli altri.La seconda tesi, che potremmo defi-nire di natura pi aziendalistica, puraccettando la possibilit che alla basedella leadership vi siano qualit inna-te, ritiene tuttavia che nel complessosia determinante, per raggiungerestandard di valore, un vero e propriopercorso di crescita.Si tratta di imparare ad acquisire lecompetenze necessarie per uneffica-ce leadership. Il sistema pi efficace un apprendi-mento in grado di far maturare nuove

    dossierconflitti e la capacit di concentrarsisui bisogni emotivi dei collaboratori.d. Stile democratico utile usarlo soprattutto quando illeader non ha ancora preso una deci-sione e vuole ricevere suggerimentidai propri collaboratori. Ci pu ac-cadere quando il leader non possiedeunadeguata esperienza o necessita diidee innovative e laiche. comunque indispensabile che si ab-biano collaboratori che diano la mas-sima garanzia di seriet, lealt e ca-pacit.e. Stile battistrada uno stile di emergenza, da usarecon molta cautela e per periodi moltobrevi. Spesso il leader che lo utilizza molto esigente sia con s stesso checon gli altri ma necessario che que-sto stile sia rivolto a collaboratorimolto capaci e motivati, altrimenti sicorre il pericolo di schiacciarli.Serve quando il fattore crescita es-senziale (e quindi nelle fasi iniziali diun progetto o nelle competizioni di-chiarate).I rischi pi frequenti sono che illeader opprima colui che non ritie-ne allaltezza della situazione, chetenga troppo sotto stress i collabora-tori, che censuri i comportamentisenza che per in precedenza sia sta-to chiaro nellesporre ci che voleva,che non fornisca feedback sulle pre-stazioni: in questi casi il risultato unclima teso, dove domina insicurezzae timore di sbagliare.f. Stile autoritario lo stile pi rischioso perch fa cor-rere concretamente il rischio di crea-re un clima di disaffezione e di insi-curezza. infatti probabile che essoprovochi demotivazione perch spes-so si commette lo sbaglio di sottoli-neare le critiche piuttosto che le lodi,non sono spiegati gli obiettivi ma sipretende la mera esecuzione di ope-razioni, non si pensa a coinvolgerenel progetto complessivo i collabora-tori. La frase sintomatica che spiegaquesto approccio degenerativo Voi non dovete pensare ma solo eseguire!.Tuttavia in alcune, ben specifiche,circostanze, questo stile pu essereutile. Ci accade, ad esempio, quan-

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    Il leader colui che governa iprocessi che in f luenzano le at tivit individuali e di gruppo

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    abitudini che sostituiscano le vec-chie, ormai inadeguate. Tutto ci purealizzarsi solo con un processo lun-go e costante - che si inserisce nelconcetto di lifelong learning - in cuigioca un ruolo decisivo la motivazio-ne e che possiamo strutturare in quat-tro passaggi.Partiamo dal primo step: la definizio-ne del s ideale. Stabilire chi si vor-rebbe veramente essere, una delleanalisi pi difficili. Molti lo scopronoa seguito di eventi traumatici come laperdita di una persona cara o dopoaver rischiato di morire per una gravemalattia. Queste persone vedono non solo ilmondo con occhi diversi, ma anchecon s stessi avviano un nuovo rap-porto introspettivo. Tra le ragioni diquesta miopia iniziale spicca quelladel s normativo: spesso, inconsape-volmente, riteniamo di voler esserequello che gli altri - la famiglia, i mo-delli culturali con cui impattiamo o lesubculture dei gruppi a cui apparte-niamo - hanno scelto per noi. E ciaccade anche nel mondo professiona-le in cui le organizzazioni e i gruppipropongono dei modelli-obiettivo acui riteniamo di doverci uniformare.Quando il gap tra il proprio s idealee il s normativo elevato le conse-guenze sono devastanti: o ci si rasse-gna ad abbandonare i propri sogni ele proprie aspirazioni oppure ci si ri-bella con decisione.Il secondo step la definizione delproprio s reale. Il principale proble-ma quello di fare unesatta diagno-

    si delle proprie caratteristiche al finedi intervenire su quelle in cui si rile-vano carenze o che comunque sonosuscettibili di miglioramento. E quiarrivano le prime grosse difficoltperch le persone, e soprattutto quel-li che operano ad alti livelli di responsabilit, raramente ricevonofeedback corretti ai fini dellautova-lutazione (per timore, per piaggeria oper invidia). Ci tanto pi grave inquanto ognuno di noi radica le pro-prie abitudini, comprese quelle catti-ve, cos lentamente che finisce pernon rendersene conto.Inoltre vi sono molte altre visioni di-storte che non consentono una obiet-tiva autoanalisi. Tra tutte vorrei ricor-dare la sindrome delleccellenza.Da un numero elevato di interviste risultato che molti dirigenti, che puravevano conseguito validi obiettivi, simostravano insoddisfatti di s stessi.Ci potrebbe apparire come un attodi umilt, di sottovalutazione delleproprie performances. Al contrarioemerse che queste persone avevanouna cos alta percezione di s stessiche paradossalmente non potevanocorrettamente autocompiacersi per-ch non riuscivano a trovare dei risul-tati degni di loro!In realt, contrariamente a quantomolti pensano, lenfatizzazione deipropri punti deboli - tipica di coloroche si definiscono esigenti innanzi-tutto con s stessi - provoca demoti-vazione e frustrazione che si riflettenegativamente sulla leadership.Il terzo step quello della definizio-

    ne di un progetto di apprendimento.Esso deve innanzitutto mirare a pro-durre cambiamenti che ci farannosentire meglio nel futuro. Bisognafissare degli obiettivi che devono es-sere realistici e soprattutto adeguatiai nostri valori e alla nostra filosofiadi vita.Lultimo step prevede la ripetuta at-tuazione di quanto appreso, affinchsi consolidi, e la verifica del feed-back. chiaro che tutto ci, da un lato, pre-suppone una partecipazione convinta,non limitata alla dimensione intellet-tuale ma estesa a quella emotiva e,dallaltro, deve impattare in processidi sviluppo in cui il must sia impa-rare ad imparare.In conclusione, per rispondere alladomanda posta poco fa, tra le due te-si che ho riassunto, propendo perquella secondo cui leader si pu di-ventare - chiaramente non tutti allostesso modo - rispetto a quella deter-ministica per la quale capi si nasce.

    Vorrei ora congedarmi da voi conunaffermazione per me dogmatica:la leadership strettamente correlataalluomo e al suo sistema di valori.Al riguardo mi sembra pertinente unacitazione di George Gershwin che di-ce pi o meno cos:Per me i sentimenti contano pi diqualsiasi altra cosa, pi della tecnicae della conoscenza. Naturalmente ilsentimento da solo, senza altri certiattributi, non sufficiente, ma lele-mento essenziale.1

    1 To me feeling counts more then anything else, more than technique or knowledge. Of course, feeling by itself, without certain other attributes,is not enough, but it is the supreme essential. George Gershwin (1898-1937).

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    FOSCO CORTI: UN DIRETTORE ALSERVIZIO DEL CORO E DELLA MUSICAdi Dario Tabbia

    osco Corti amava gli uomini.Credo che questo sia il pre-supposto indispensabile e

    necessario per comprendere la sua at-tivit nel mondo corale, le sue inizia-tive, la sua disponibilit didattica. Questo principio era alla base del suooperare instancabile affinch la cora-lit italiana iniziasse quel rinasci-mento di cui oggi finalmente comin-ciamo a vedere i frutti. Ma in realt, ilgrande lavoro da lui svolto nei corsidi formazione per direttori non era fi-nalizzato solo alla crescita tecnica deifuturi musicisti ma, soprattutto, nelfar comprendere cosa effettivamentesignificasse essere un direttore dicoro. In altre parole non era tanto im-portante sviluppare abilit e compe-tenze quanto insegnarne un uso con-sapevole e proficuo.Sono personalmente convinto che Fo-sco Corti non avrebbe potuto far altronella vita se non dirigere un coro.Credo infatti che in questo strumentoegli avesse riconosciuto tutti gli ele-menti necessari per fare un camminocomune verso qualcosa di pi grande.

    Pi volte nel libro Il respiro gicanto, che raccoglie i suoi appuntisulla direzione di coro, viene ricorda-to come per il Maestro ogni crescitafosse una crescita insieme, che uncammino non aveva senso senzacompagni e in questo cammino, chi laconosceva, doveva indicare la stradaagli altri e aiutarli a percorrerla.Queste premesse sono indispensabiliper capire chi sia il direttore di coro,quali caratteristiche debba possedere,quali siano i suoi compiti, i suoi doveri.Innanzitutto, essere come un veroinnamorato, spassionatamente disin-teressato. Gi solo questa afferma-zione ci costringe a riflettere, a capi-re come non ci dovremo aspettare al-tra soddisfazione, se mai verr grazie

    Fal nostro lavoro, che quella di averportato alla conoscenza di moltiquello che era tesoro di pochi e cheper poterlo fare sia indispensabilenon fare calcoli di alcun tipo, ma didare se stessi al completo serviziodella musica e del coro che la esegue. Non un caso infatti che tutta la suatecnica di direzione fosse centratasulla necessit di evitare innanzituttodi fare quelli che lui chiamava gestiinutili, perch servono a noi stessiche dirigiamo, ma non alla musica,n al coro. Niente esteriorit quindi,n esibizionismo: il direttore deveesprimersi con gesti che siano unamemoria visiva di quanto contenutonella partitura, che siano di aiuto enon di ostacolo al cantante che devedar voce ai sentimenti e alle emozio-ni che essa contiene.Un direttore trasparente, che ha ilcompito difficilissimo di mettere incontatto musica e coristi senza im-porre la propria presenza se non nel-lespressione delle proprie compe-tenze.Quello che rendeva la sua direzioneassolutamente unica era la estremacoerenza fra analisi interpretativa egestualit, frutto di studio, di rigorema soprattutto di amore verso le-spressione vocale. Una tecnica di di-rezione che non pu non ricordare laconcezione michelangiolesca dellascultura, limportanza di togliere dal-la materia quello che superfluo, dieliminare tutto ci che nasconde lo-pera stessa. facile intuire quanto sia estrema-mente complesso e difficile conse-guire un tale stato di maturit, quan-ta sicurezza debba possedere il diret-tore nel giungere a questo punto diarrivo. Tuttavia, sempre con quellaestrema coerenza di cui si parlava,pi il cammino si rivela arduo, tantopi necessario incoraggiare con un

    sorriso chi lo percorre.La serenit che lo accompagnava inqualsiasi momento, egli stesso la re-galava e infondeva a tutti gli allievi ecolleghi in difficolt.Corti aveva compreso che la musica,per vivere, ha bisogno di uomini chesappiano eseguirla e, al tempo stes-so, che gli uomini hanno bisognodella musica per vivere. Il direttorenon deve far altro che mettere in con-tatto queste due realt, facendole vi-vere entrambe, rendendosi magica-mente invisibile.Naturalmente questo significa confe-rire al coro e alla sua attivit un si-gnificato che trascende quello stret-tamente musicale per diventare espe-rienza di vita, strumento grazie alquale possibile dar voce a un cantocomune, veramente corale in quantoespressione della nostra singolarealt armonizzata con quella deglialtri.Allora il nostro canto andr ben oltreil pentagramma e luditorio, parten-do dal cuore per farvi ritorno.Fosco Corti amava gli uomini, suquesto non c dubbio.

    Fosco Corti in concerto

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    CORALIT E CAPITALE SOCIALEdi Claudio Mart inel l iDirettore dellUfficio per la promozione culturale della Provincia autonoma di Trento

    esibizione di due cori alpinidel Trentino al Festival diSanremo, con la cantante An-

    tonella Ruggiero, ha dato a tutta la co-ralit un risalto mediatico straordina-rio, che ha avuto una risonanza anchedopo il festival con numerosi articoli,non ultimo quello su Repubblica didomenica 18 marzo 2007.Laccento stato posto sulle sugge-stioni che lesibizione ha evocato, ma stata anche unoccasione per mette-re in luce lenorme quantit di perso-ne che fanno parte di questo mondo lacui importanza non sempre ricono-sciuta. Stando ai dati, i cori di vario ti-po (alpini, polifonici, voci bianche,vocal jazz) sono in Italia circa 2300per 70.000 coristi; ma per il Presiden-te della Feniarco questo dato relati-vo ai complessi corali affiliati alla Fe-derazione ma quelli non iscritti sonomolti di pi sfiorando le 250.000 persone.Siamo di fronte ad un fenomeno la cuila produzione culturale rappresentalelemento fondamentale o piuttostola vera essenza di stare in un coro lesperienza umana e sociale che lostare insieme produce?Sia luna che laltra.Solitamente si tende per ad enfatiz-zare il valore culturale del movimentocorale citando per esempio nel casodella coralit alpina i nomi importan-ti (A. B. Michelangeli, A. Pedrotti,R. Dionisi, ecc.) che hanno contribui-to a creare un repertorio unico nel suogenere. Difficile invece trovare unasimile enfatizzazione dellesperienzasociale e aggiungerei civile e demo-cratica rappresentata dal vivere lesperienza corale. Eppure il tempo

    Lche i coristi dedicano allattivit delcoro rappresenta un tempo di vita importante.In cosa consiste questa esperienza ecome viene percepita dai coristi?Cercher qui di dare una, se pur nonconclusiva, risposta prendendo spun-to da una ricerca sui cori alpini delTrentino.In questo contesto non tanto la ca-pacit musicali che pu esprimere lacoralit che ci interessa ma piuttostopuntare i riflettori sulla sua dimensio-ne sociale. la coralit come capitale socialeche cercheremo di mettere a fuoco.Il concetto di capitale sociale usato in sociologia e in economia po-litica per indicare linsieme delle re-lazioni interpersonali essenziali per ilfunzionamento di societ complesseed altamente organizzate. Il capitalesociale generalmente definito co-me linsieme delle istituzioni, dellenorme sociali di fiducia e reciprocit,delle reti di relazioni formali e infor-mali che favoriscono lazione collet-tiva e costituiscono una risorsa per laproduzione di benessere. A livelloaggregato, il capitale sociale un fat-tore del processo di sviluppo umano,sociale ed economico. In particolareil capitale sociale primario ha comeambito di relazione la famiglia e lereti informali primarie (tra familiari,parenti, vicini, amici); consiste nellafiducia primaria (face-to-face e inter-soggettiva) e nella reciprocit inter-personale. Il capitale sociale secon-dario ha come ambito di relazionelassociazionismo di societ civile (leassociazioni o reti civiche di indivi-dui e/o famiglie); consiste nella fidu-

    cia secondaria (verso gli individuiche hanno in comune solo lapparte-nenza ad una associazione o comu-nit civile o politica) e nella recipro-cit sociale allargata (estensione del-lo scambio simbolico a coloro cheappartengono ad una stessa associa-zione o comunit civile o politica). Il capitale sociale secondario fatto-re precipuo di cultura civica, che in-dica quelle buone pratiche attraversocui i cittadini esercitano i loro dirittie responsabilit per quanto attiene alla vita pubblica della citt o muni-cipalit1.Il termine specifico di capitale socia-le pu essere fatto risalire ad autorilontani nel tempo (L. J. Hanifan,1920; J. Jacobs, 1961; G. Loury,1977) ma una prima teoria esplicati-va del capitale sociale stata espres-sa a partire dagli anni ottanta (tra i primi autori si possono citare P. Bourdieu e J. Coleman, R. Putnam).Nel costruire la comunit, come nel-le organizzazioni economiche, deveesserci unaccumulazione di capitaleprima che il lavoro di costruzionepossa essere fatto.Per capire come la coralit sia, comeperaltro altri modelli di associazioni-smo, un importante elemento per lacoesione sociale e cio sia un ele-mento significativo per identificare ilcapitale sociale di una comunitprenderemo spunto come sopra ricor-dato da una ricerca condotta sulla co-ralit alpina pubblicata nel 2000 sot-to il titolo La coralit alpina deltrentino. Dalla modernizzazione se-colarizzata alla cristallizzazione del-lidentit2. In questa ricerca condot-ta attraverso la somministrazione di

    1 P. DONATI, La famiglia come capitale sociale primario, in Famiglia e capitale sociale nella societ italiana, Ottavo Rapporto Cisf sulla Fa-miglia in Italia, edizioni S. Paolo, Cinisello Balsamo, 2003.

    2 P. G. RAUZI, C. MARTINELLI, M. ORSI, La coralit alpina del Trentino, Edizioni Arca, Trento, 2000.

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  • un questionario di 45 domande si cercato tra laltro di mettere a fuocogli elementi di socializzazione che un coro pu rappresentare per unapersona.La ricerca ha coinvolti circa 1500 coristi3.Il 50% dei intervistati aveva unetcompresa tra i 30 e i 49 anni. Laltro49% si distribuisce per una percen-tuale del 18,6% tra i 15 e i 29 anni eper il 30% dai 50 anni in su.Interessante, per gli spunti di rifles-sione che ci offre, il confronto deidati sullet dei componenti dei corialpini con i dati relativi allet dellapopolazione corrispondente e ciodei maschi residenti in Trentino dai15 anni in su.Dalla comparazione tra i due dati emerso come le classi di et in cui stato diviso lintervallo tra i 14 e i 24anni siano sotto rappresentate nellacoralit alpina (il 7,6% contro il15,6%) rispetto alla popolazione ma-schile generale; la classe di et tra i15 e i 19 anni denota una differenzadi oltre sei punti percentuali. Mentretutte le altre classi di et sono soprarappresentate, tranne la classe di ettra i 60 e i 64 anni che presenta unapercentuale quasi uguale e la classedi et oltre 64 che presenta unapercentuale notevolmente inferiorerispetto alla popolazione generale.La minor presenza di giovani tra i 15e i 19 anni possibile spiegarla ri-conducendola alla condizione gio-vanile cio alle condizioni sociali,culturali ed economiche che caratte-rizzano i giovani. I modelli culturali(pensiamo solamente al tipo di musi-ca consumata) e di socializzazione acui fanno riferimento; la stessa con-dizione economica di quasi totale di-pendenza dalla famiglia nel caso de-gli studenti e di precariet nel casodei giovani disoccupati ostacolanolavvicinamento alla coralit alpinache propone un modello culturale ba-sato su modelli musicali molto lonta-

    4,2% che dichiara di non aver conclu-so la scuola media inferiore, per untotale pari al 18,8%); il 51,8% dichia-ra o di possedere la licenza media(26,5%) o di non aver ultimato lescuole medie superiori (25,3%); il21,4% in possesso del diploma dimaturit. I laureati sono il 3%.Oltre il 60% del campione dichiaravadi essere sposato mentre poco pi del30% celibe.Il raffronto con la popolazione ma-schile generale, di et superiore ai 15anni, mette in evidenza come la cate-goria degli sposati sia sopra rappre-sentata mentre quella dei celibi sot-to rappresentata. Questo dato propen-de per lidea che la coralit alpina uno spazio di socializzazione per per-sone con una situazione stabile, ancheda un punto di vista affettivo.Se mettiamo assieme questi due dati,quello relativo alla popolazione gene-rale e alla distribuzione nelle varieclassi di et, si arriva alla conclusioneche la coralit alpina fortemente at-trattiva sia nei confronti di coloro chehanno una vita affettiva stabile, (spo-sati), sia per coloro che si trovano nel-la condizione di celibe oltre una certaet, in cui presumibile pensare chequesta condizione sia in fase di stabi-lizzazione.La maggior parte (oltre il 62% mentrepoco meno del 17% avevano contri-buito a fondare il coro) entrata nelcoro perch contattata e convinta daamici o da conoscenti. Questi dati ciindicano come i cori alpini recluti-no i loro aderenti tra la cerchia degliamici e dei conoscenti di coloro chegi partecipano allattivit e configuraquindi il coro come un luogo signifi-cativo di socializzazione di una co-munit i cui tratti (socioeconomici eculturali) sono alquanto omogenei.Questo dato confermato, in parte,anche da cosa si deve fare per entrarein un coro che denota una complessi-va non formalizzazione delle proce-dure di reclutamento.

    dossierni dallimmaginario giovanile e unmodello di socializzazione che pre-suppone - lo vedremo meglio piavanti - unintegrazione sociale mol-to forte. Il che significa che per ungiovane ci vogliono motivazioni mol-to forti per decidere di inserirsi in ungruppo integrato di et superiore(adulta).Per quanto riguarda invece i dati chesi riferiscono alle classi di et 60 64 sembra prevalere una sorta di fat-tore di resistenza. Coloro che appar-tengono a questa classe hanno sicura-mente un rapporto con il coro di lun-ga data, se non addirittura come fon-datori. Intervengono, inoltre fattoridintegrazione che per un anziano as-sumono un valore notevole soprattut-to in un contesto sociale in cui se esi-ste una questione giovanile esisteanche una questione anziani che siestrinseca attraverso la progressivamarginalizzazione delle persone.Quindi il restare nel coro, nonostantetutti i possibili fattori negativi (et,decadimento della voce, ecc.), rap-presenta per i soggetti anziani un mo-do per sentirsi ancora attivi e sposta-re nel tempo la loro marginalizzazio-ne sociale.L80% degli intervistati aveva unoc-cupazione mentre i pensionati eranorappresentati da quasi il 19% dei coristi.Degli occupati il 25% lavorava nel-lindustri, il 24% nel terziario pubbli-co, il 22% nellartigianato, il 13% nelcommercio, il 10% nel terziario pri-vato e il 7% nellagricoltura. Di tuttigli intervistati oltre il 62% erano la-voratori dipendenti (compresi quelliche hanno dichiarato di essere pen-sionati). La distribuzione dei coristinei vari settori economici coincidecon la distribuzione che si trova nel-lintera popolazione maschile delTrentino.Il 14,6% dichiarava di possedere solola licenza elementare (a questa per-centuale va aggiunto un ulteriore

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    3 In Trentino il cori alpini sono unottantina, e i coristi sono oltre 2300. Eppure finora non esiste uno studio sistematico di questo fenomeno cherisale al 1926 e che si sviluppato, in maniera consistente, a partire dalla met degli anni sessanta dello scorso secolo, guarda caso in conco-mitanza con il Concilio Vaticano Secondo e la crisi dei cori parrocchiali. Il mondo accademico si completamente disinteressato del fenome-no considerandolo, probabilmente, n inerente agli studi etnografici o antropologici (basti ricordare le considerazioni non certamente lusinghieriche degli etnomusicologi avevano alla coralit alpina) n tanto meno un fenomeno che poteva interessare alla sociologia, che guarda caso si do-vrebbe interessare dei fenomeni sociali della modernit, tra i quali si colloca a pieno titolo la coralit alpina.

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  • Anche i dati sui fattori che esercitanoattrazione verso un coro vanno nel-la direzione di proporre un modellodi socializzazione allargata. In questadirezione va la percentuale (67,8%)di coloro che dichiarano di esserestati attratti soprattutto per lamiciziae la compagnia.Latteggiamento verso le attivit diun coro possono dare molte informa-zioni rispetto al tema qui trattato. Permisurare questo atteggiamento ab-biamo diviso le attivit in tre tipolo-gie: le attivit di preparazione e diapprendimento dei brani (le prove);le attivit artistiche riconducibiliprincipalmente allattivit concerti-stica; ed infine le attivit sociali (lecene e le gite sociali, il dopo prova).Il quadro complessivo dei dati indicauna scelta molto chiara nel conside-rare lattivit di preparazione la piimportante. Questo emerge non sol-tanto dalle preferenze accordate aquesto tipo di attivit (il 72,9%). Alsecondo grado di importanza trovia-mo lattivit artistica (il 28,6%). Leattivit sociali sono in fondo alla gra-duatoria del grado di importanza (so-lo il 7,7%).Per un altro verso il 67,8% dei sog-getti intervistati ritiene che lattivita cui si dovrebbe dedicare pi tempo(risorse) dovrebbe essere quella checonsente al coro di accrescere labravura tecnica, mentre per meno diun terzo (precisamente per il 25,2%)sarebbero le attivit che permettonodi accrescere lamicizia quelle acui dedicare pi risorse.Questo dato pu darci utili indicazio-ni sui bisogni soddisfatti dal coro eda quelli insoddisfatti che sonoespressi in termini di attivit cui de-dicare pi impegno. Leggendo questidati dal punto di vista della soddisfa-zione dei bisogni si pu sostenereche il coro alpino sembra soddisfarein maniera efficace quei bisogni lega-ti alla sfera della socializzazione eche quindi necessario che il corodedichi pi risorse per soddisfare unbisogno tecnico: cantare bene.Un altro dato significativo rappre-sentato dalle valutazioni sulla qualitche il coro dovrebbe avere (ma chenon possiede). Anche qui come nelcaso delle attivit alle quali il corodovrebbe dedicare pi tempo lac-

    cento posto non tanto, o non solo,sui dati diretti ma sul loro significatoindiretto. Dai dati emergono chiara-mente alcune questioni interessanti:la prima che per la maggioranza de-gli intervistati, il 51,6%, la qualitche il proprio coro dovrebbe avere (eche quindi non possiede) relativa alsenso di responsabilit, mentre per il29,7% riguarda le persone e il climae per il 14,8% la bravura nel cantare.Questattivit quantitativamente lapi rilevante se pensiamo che, media-mente, un coro si trova due volte lasettimana per svolgere questattivite per non meno di 40 settimane lan-no.Il ragionamento sulle prove mol-to pi articolato di quello che apparea prima vista. Questo momento con-tiene sicuramente una valenza chedefiniremo tecnica che consistenello svolgere tutte quelle praticheche permettono ai singoli coristi equindi al coro di apprendere i braniper poi eseguirli in pubblico sottoforma di concerto. Attraverso lo svol-gimento di queste attivit il coro,considerato nel suo insieme, esplicitaquelle funzioni che potremo chiama-re manifeste che vengono, in altreparole, esplicitate e che coincidonocon gli scopi statutari.Accanto a queste funzioni manife-ste esistono delle funzioni latentialtrettanto significative e importanti,comuni a tutti i gruppi e associazioni,e che consistono nel soddisfare i bi-sogni di socializzazione e di affetti-vit che gli individui esprimono.Queste funzioni sono state identifica-te, nel questionario, con la variabileamicizia o gruppo mentre le funzio-ni manifeste sono state associatecon le variabili tecniche, come la bra-vura del coro.Questimpostazione o chiave di lettu-ra ci permette di meglio capire e ana-lizzare i dati che sono emersi dalleinterviste.Quello che ci interessava era s capi-re perch una persona entra in un co-ro (al di l della risposta scontata del-la passione per il canto che proprioper questo abbiamo escluso dalle ri-sposte preconfezionate) ma anche de-lineare la dinamica esistente tra ledue funzioni, quella manifesta dauna parte e quella latente dallaltra.

    Dalle risposte del campione, emergechiaramente come la funzione latente in gran parte soddisfatta, mentre gliintervistati esprimono indiscutibil-mente un bisogno legato soprattuttoalla funzione manifesta. in que-sta dinamica che i dati trovano unaloro chiave di lettura. La richiesta didedicare pi tempo alla crescita del-la bravura tecnica del coro dimostracome la grande maggioranza degliintervistati ritiene, per quanto li ri-guarda, soddisfacente la socializza-zione. Anche quando si esprimonosul senso di responsabilit si nel-lambito della questione tecnica piche in quella della socializzazione.La responsabilit, in un coro, riferi-ta soprattutto allassiduit della pre-senza alle prove e, in secondo luogo,allattivit concertistica.

    In conclusione i dati che abbia-mo sopra, se pur succintamen-te, riportato fanno emergerelimportanza del corso comespazio in grado di offrire allepersone una forma di allarga-mento della socializzazione,dintegrazione nella comunitdi appartenenza e di assunzionedi responsabilit che difficil-mente sostituibile. Se il capi-tale sociale un indicatore delbenessere allora i cori sonofondamentali per garantire, an-che nel tempo, un mantenimen-to di questo capitale indispen-sabile per definire, anche nellasociet post industriale, quelsenso di comunit e di apparte-nenza che rappresenta una ric-chezza da non disperdere.

    dossier

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  • GIOVANNI MARIA NANINOTRE CANZONETTE SPIRITUALI DA DILETTO SPIRITUALE (ROMA, 1586)

    di Mauriz io Pastori

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    Giovanni Maria Nanino, nato a Tivoli nel 1544 ca. da famiglia di origine valleranese (prov. di Vi-terbo), fu probabilmente fanciullo cantore nella cappella musicale del Duomo di Tivoli: apuero in hac facultate versatus sum (Mottetti 1586, dedica). Al servizio del cardinale IppolitoII dEste nellanno 1562 fu poi cantore nella cappella Giulia in Vaticano (1566-1568) e quindimaestro di cappella nella Basilica di S. Maria Maggiore (1571-1575) e nella chiesa di S. Luigidei Francesi (1575-1577). Il 27 ottobre 1577 venne ammesso nel Collegio dei Cantori Pontifici,allinterno del quale svolse pi volte incarichi di rappresentanza e, per almeno tre anni, di ma-gister cappellae (1597 [?], 1598, 1604, 1605).Visse intensamente la vita culturale e musicale della Roma tardo-rinascimentale frequentando imirabili concerti che si tenevano alla Trinit dei Pellegrini e partecipando alla costituzionedella Confraternita de musici sotto linvocazione di S. Cecilia, nucleo originario dellattualeConservatorio romano.Ad una discreta produzione musicale associ una intensa attivit didattica che lo vide maestro dibuona parte dei pi noti esponenti della scuola musicale romana tardo-cinquecentesca (Francesco Soriano, Gregorio Allegri,Felice Anerio, Ruggero Giovannelli ed altri) e che gli procur presto fama ed ammirazione tali da far nascere la leggenda diuna presunta prima scuola pubblica di musica fondata insieme al fratello Giovanni Bernardino Nanino con la collabora-zione di Giovanni Pierluigi da Palestrina. In effetti Nanino e Palestrina furono amici e colleghi e lindomani della scomparsadel Princeps Musicae Nanino seppe degnamente collocarsi come personaggio rappresentativo dei musici romani nel decen-nio successivo. Mor in Roma l11 marzo 1607 e fu sepolto nella chiesa di S. Luigi dei Francesi.

    nova et vetera

    n questa sede voglio breve-mente presentare tre composi-zioni inedite di Giovanni Ma-

    ria Nanino, che potranno facilmentetrovare favore presso cori polifonici egruppi vocali. Non ho scelto brani dal-la sua produzione sacra manoscritta(appartenente principalmente agli Ar-chivi delle Cappelle Sistina e Giulia) opere belle e sublimi come le definGiuseppe Baini in quanto per la mag-gior parte con doppio coro. La sua rile-vante produzione madrigalistica, oltrele difficolt che presenta, reclama an-cora un studio approfondito, mentre al-cune canzonette (ad es. dal Primo Li-bro delle Canzonette a 3 voci, Venezia,1593) sono gi abbastanza note. Per-tanto ho preferito scegliere tre canzo-nette spirituali tratte dallantologia Di-letto Spirituale, curata da Simone Vero-

    vio e pubblicata in due versioni nel1586: DILETTO SPIRITUALE canzonette atre et a quattro voci composte da diver-si ecc.mi musici. Raccolte et scritte daSimone Verovio. M. Van Buyten, Roma1586 e DILETTO SPIRITUALE canzonet-te a tre et a quattro voci composte dadiversi ecc.mi musici. Raccolte da Simo-ne Verovio. Intagliate et stampate dalmedesimo. Con lintavolatura del cim-balo et liuto. Roma 15861.

    Nel 1586 Nanino che negli anni1580-1582 era stato compositore nelCollegio dei Cantori Pontifici avevagi pubblicato la maggior parte dellasua produzione a stampa: il Primo librodei madrigali (Venezia, tra il 1571 e il1574 con ristampe nel 1579, 1582, epoi del 1605 e 1609), il Libro di madri-gali (il Secondo?) insieme ad Annibale

    Stabile (Venezia, 1581 con ristampanel 1587), il Terzo libro dei madrigali(Venezia, 1586) e il Libro dei Mottetti a3 e 5 voci (Venezia, 1586), quello checontiene lartificio di sua invenzionedel doppio canone su un cantus firmus.Inoltre dal 1574 le sue opere figuraronofrequentemente nelle edizioni antologi-che europee, presentandolo come unodei musicisti pi apprezzati per numerodi presenze2 e di composizioni fino al1639, ben 32 anni dopo la morte.

    Le tre canzonette sono trascritte dalle-dizione con lintavolatura del cimba-lo et liuto. La parte strumentale, pro-babilmente di Simone Verovio, ripro-duce le quattro parti con laggiunta diqualche nota di passaggio e abbelli-menti nelle cadenze intermedie e finali.I tre brani furono gi trascritti nellOt-

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    1 Cfr. Rpertoire International des Sources Musicales. Recueils imprims XVIe-XVIIIe sicle. I. Liste Cronologique (a cura di F. Lesure), G. Hen-le, Mnchen-Duisburg 1960, 331. La prima versione consta di 1 vol. in 4 e contiene brani di F. Anerio (6), M. van Buyten, R. Giovannelli (3),L. Marenzio (2), R. del Mel (2), Palestrina (3), G. Peetrino, F. Soriano (2), S. Verovio; ristampa 1592. La seconda versione consta di 1 vol. in4 e presenta alcune varianti di autori e brani, ma le tre composizioni di Nanino sono le stesse rispettivamente ai ff. 13v-14 e 17v-18, 19v-20;ristampa 1590. La raccolta stata edita in ristampa anastatica nella collana Bibliotheca Musica Bononiensis diretta da G. Vecchi, IV 38a, For-ni, Bologna 1971.

    2 Cfr. Rpertoire International, 293-510; F. PIPERNO, Gli eccellentissimi musici della citt di Bologna. Con uno studio sullantologia ma-drigalistica del Cinquecento, L. Olschki, Firenze 1985, 20-22.

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    tocento da E. Frober nel Jubilus rytmi-cus de nomine Jesu (N. Legouix,Parigi 1857), raccolta di brani su versidi S. Bernardo messi in musica da G. M. Nanino, G. Pierluigi da Palestri-na, F. Anerio, F. Soto, G. Allegri e R. Giovannelli.Lambito privilegiato nelle quattro voci quello medio-alto, tuttavia per unaeventuale esecuzione, oltre a ricordareche il corista dellepoca era poco pibasso dellattuale, si noti che cantori ecompositori non si preoccupavano par-ticolarmente di intonare le note allal-tezza scritta nella parte: Andrea Adami,ad esempio, nelle sue Osservazioni perben regolare il Coro de i Cantori dellaCappella Pontificia (A. De Rossi, Ro-ma 1711) ricorda che i vari brani dove-vano essere intonati tenendo conto del-la comoda esecuzione di tutte le voci.Si noti, infine, che la parte del cembalo scritta una quinta sotto (tranne quelladel secondo brano).

    Le tre canzonette hanno la medesimastruttura in due parti entrambe con ri-tornello e una chiara e suggestiva sono-rit modale, lievemente stemperata dal-le frequenti alterazioni.La prima canzonetta che troviamoscorrendo lantologia Quando cornostrum visitas che presenta la primaparte in stile quasi omoritmico con unsemplice ma efficace spostamento diaccento nel cantus, espressivo del deli-cato senso mistico che ispira il brano;la seconda parte mostra un articolatocontrappunto, particolarmente intensonella ripetizione dellultimo verso (etintus fervet caritas e, nella secondastrofa, vam dicere sufficimus).

    Quando cor nostrum visitasTunc lucet ei veritas,Mundi vilescit vanitasEt intus fervet caritas.Amor Jesu dulcissimus,Et vere suavissimus,Plus millies gratissimus,Vam dicere sufficimus.3

    Nella seconda canzonetta, Jesus in pa-ce imperat, la prima parte presenta unverso in stile omoritmico con cadenzaseguito da un altro verso in contrap-punto; la seconda parte riprende dinuovo con un verso in stile omoritmico(Hunc mea mens desiderat) che crea unbellissimo effetto sonoro - con conse-guente efficace effetto invocativo/affer-mativo - tra la conclusione del versoprecedente e il nuovo articolato con-trappunto imitativo del verso successi-vo nel quale emerge la semplice e bellamelodia modale del cantus resa ancorpi espressiva dallarmonia costruitadalle altre voci: molto espressive laparti dellaltus con lintervallo di otta-va e del bassus che richiama la partedel cantus.

    Jesus in pace imperatQua(e) omnem sensum superat.Hunc mea mens desiderat,Et illo frui properatQua(e) omnem sensum superat.Hunc mea mens desiderat,Et illo frui properat

    La terza canzonetta, Jesu spes peniten-tibus, la cui prima strofa tratta dal-linno Jesu dulcis memoria, riprende loschema della prima canzonetta presen-tando prima due versi in stile omorit-mico, quindi, nella seconda parte, unprimo verso in elegante contrappuntoimitativo e un secondo verso in stileomoritmico arricchito da una bella pro-gressione del bassus. Questo branovenne trascritto nel 1842 da Pietro Al-fieri, il quale, per stemperare alcunedurezze, tolse le due alterazioni nel se-condo verso della prima parte (nel can-tus e nel bassus: cfr. batt. 3), quindi viapplic lintero testo del suddetto innoJesu dulcis memoria e aggiunse unsemplice Amen (IV-I).

    Jesu spes penitentibus,Quam pius es petentibus,Quam bonus te quaerentibus,Sed qui invenientibus.

    Jesu dulcedo cordium,Fons vivus lumen mentium,Excedens omne gaudium,Et omne desiderium.

    Nella trascrizione ho preferito mante-nere i valori delle note delloriginaleinterpretando lindicazione di tempocome quattro tempi di minima, diversa-mente, ad esempio, da Alfieri che tra-scrisse il suddetto brano lasciando i va-lori indicati ma con battute di quattrotempi di semiminima. La scelta, oltre alfatto di dare maggior fluidit allesecu-zione, supportata sia dalledizioneoriginale stessa, dove la parte del cem-balo presenta proprio battute di quattrotempi di minima, che da trascrizionicoeve, ad esempio in manoscritti peruso didattico.4Spero che queste canzonette e le pocherighe che le presentano possano susci-tare interesse tra appassionati e profes-sionisti e aprire la strada ad una rivalu-tazione e conoscenza del personaggioe, soprattutto, della sua musica.

    Bibliografia essenziale: A. ADAMI,Osservazioni per ben regolare il corodella Cappella pontificia, tanto nellefunzioni ordinarie che nelle straordina-rie, A. De Rossi, Roma 1711, 180-181; A. LIBERATI, Lettera al Sig. OvidioPersapegi, Mascardi, Roma 1685; F.-X. HABERL, Giovanni Maria Nani-no. Musicista tiburtino del secolo XVI.Vita ed opere secondo i documenti ar-chivistici e bibliografici, traduzionecon note e aggiunte di G. Radiciotti,Annesio Nobili, Pesaro 1906. G. O. PI-TONI, Notitia de contrapuntisti e com-positori di musica (1740), trascrizionedi C. Ruini, Olschki, Firenze 1988,113-114. R. J. SCHULER, The Life andLiturgical Works of Giovanni MariaNanino (1545-1607), tesi, Universityof Minnesota 1963; S. DURANTE, voce,in Dizionario Enciclopedico Universa-le della Musica e dei Musicisti, V,UTET, Torino 1988, 322-323.

    3 Il termine vam forse appartiene a forme rielaborate dal tardo latino ecclesiastico.4 Ad esempio si vedano i brani in partitura contenuti nel manoscritto M 14 della Biblioteca Corsini, redatto da un personaggio della cerchia di

    Nanino: i brani del nostro autore sono ai ff. 22-24; 29-32v; 96-96v; 98-98v.

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    LE OPERE PER CORO A CAPPELLADI GYRGY LIGETIdi Mauro Zuccante

    doverosa prassi ricordare sul-le pagine di questa rivista lascomparsa di illustri musicisti

    italiani che, attraverso le loro opere,hanno lasciato tracce significative nel-lambito della musica corale. Ma giunto il momento di fare uneccezio-ne. giunto il momento di ricordare lafigura di un compositore straniero.Gyrgy Ligeti morto il 12 giugno del-lo scorso anno, allet di 83 anni. Ci halasciato uno dei pi grandi musicistieuropei della seconda met del XX sec.La sua arte si espressa toccando imassimi livelli sia nei generi della tra-dizione (musica da camera, per stru-mento solista, per orchestra, per il tea-tro), che in quelli della sperimentazio-ne (musica elettronica, pantomima,composizioni gestuali, happening).Ma nella musica corale stato autore dipagine, che si collocano come pietremiliari nel corso della musica occiden-tale degli ultimi decenni. Un titolo sututti, il Lux aeterna 1. Dallanno dellasua composizione esiste un prima e undopo nella musica per coro. Molti han-

    no ammirato gli aspetti innovativi e vi-sionari di questa pagina magistrale;molti hanno ricalcato come un modello(ma nei casi meno felici sarebbe pi corretto dire scimmiottato!) leprocedure compositive e lo schema for-male di questopera di valore artisticoassoluto.Non credo che Ligeti sia da annoveraretra coloro che hanno vissuto lesperien-za dellavanguardia come un atto di fe-de. Non gli apparteneva il carattere ra-dicale del rivoluzionario. I suoi punti diriferimento stanno l, ben riconoscibili,tra i grandi della tradizione: i polifoni-sti fiamminghi, Beethoven, Bartk,Debussy2. Eppure dalla lezione del pas-sato egli ha saputo elaborare un lin-guaggio ed uno stile di spiccata origi-nalit ed attualit, senza cedere ai com-promessi dellaccademismo, ai laccidel dogmatismo, o alle facili lusinghedelle mode3.In tal senso significativo che, allepo-ca della composizione del Lux aeterna,in piena fase di sperimentazioni elettro-niche, di innovazioni grafiche e di in-

    dagini nel campo dellaleatoriet, mira-te ad interpretare una complessit cheoramai stava sfuggendo ad ogni con-trollo, egli recupera la scrittura tradi-zionale. Ci al fine di imbastire un di-scorso che altro non se non unalta le-zione di contrappunto in edizione ag-giornata4. Quindi, mentre lorecchiopercepisce lo stretto intreccio polifoni-co come una fascia sonora (continuumsonoro), in cui sembra dissolversi ogniprincipio contrappuntistico, unattentaanalisi della partitura rivela, invece, co-me la struttura lineare di microinterval-li sia data dalla rigorosa successione ditre canoni di altez