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Anno LVII - N. 170 Anno LVII - N. 170 gennaio marzo gennaio marzo N. 1 - N. 1 - 2015 2015 Vita somasca Periodico trimestrale dei Padri Somaschi Vita somasca Periodico trimestrale dei Padri Somaschi Poste Italiane S.p.A. - Spedizione in Abbonamento postale - D.L. 353/2003 (conv. in L. 27/02/2004 n. 46) art. 1, comma 2, DCB Roma Dossier Dossier Somaschi a Venezia Somaschi a Venezia La gioia dello stupore

Copia di vitarivista · 2019. 11. 29. · di Papa Francesco dai contesti di provenienza, per riproporli, nel loro insieme, come tessere perfettamente combacianti di un mosaico nuovo

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Anno LVII - N. 170Anno LVII - N. 170gennaio marzogennaio marzo

N. 1 - N. 1 - 20152015VitasomascaPeriodico trimestrale dei Padri Somaschi

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DossierDossier

Somaschi a VeneziaSomaschi a Venezia

La gioia dello stupore

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Editoriale

Estrapolare dal contesto... 3Cari amici

Chiamati a svegliare il mondo da Somaschi autentici 4Report

“Famiglia allo specchio” 8Problemi d’oggiQuando in famiglia manca il “fischietto” 10E... come economia E... come etica 12Spiritualità somasca

I Papi del Concilio 13Spazio giovaniIl ruolo dell’autostima 14Dentro di meLa donna che non osava 16

DossierSomaschi a Venezia 17

Vita e missioneLa persona al centro di tutto 2880° anniversario 30P. Stefano Gorlini 32Nostra storiaSan Girolamo a Venezia 34Ricordare per riflettere La fabbrica dei preti 36Basta corruzione! 38Flash da...La città di Dajabon 40La gioia dello stupore 40In memoriaRicordiamoli 45Recensioni Letti per voi 46

Anno LVII - N. 170gennaio marzo

N. 1 - 2015Periodico trimestrale dei Padri Somaschi

Direttore editorialep. Mario RonchettiDirettore responsabileMarco NebbiaiHanno collaboratop. Franco Moscone, Enrico Viganò,Deborah Ciotti, Fabiana Catteruccia,p. Giuseppe Oddone,Danilo Littarru,p. Michele Marongiu,

sr. Maria Grazia Dessi,

Delma Salis,

Tonino Bernabuzzi,

José Montana,

Matteo Lo Presti,Marco Calgaro,Elisa Fumaroli, p. Luigi Amigoni.FotografieArchivio Vita somasca,Giuseppe Oddone, InternetStampaADG Print srl 00041 Albano Laziale (Roma)Tel. 06.87729452 Abbonamentic.c.p. 42091009 intestato: Curia Gen. Padri Somaschivia Casal Morena, 8 - 00118 Roma

Vita somasca viene inviata agli ex alunni, agli amici delle opere dei Padri Somaschi e a quanti esprimono il desiderio di riceverla. Un grazie a chi contribuisce alle spese per la pubblicazione o aiuta le opere somasche nel mondo.Vita somasca è anche nel web:[email protected] dati e le informazioni da voi trasmessi con la procedura di abbonamento sono da noi custoditi in archivio elettronico. Con la sottoscrizione di abbonamento, ai sensi della Legge 675/98, ci autorizzate a trattare tali dati ai soli fini promozionali delle nostre attività. Consultazioni, aggiornamenti o cancellazioni possono essere richieste a: - Ufficio abbonamenti Via Casal Morena, 8 - 00118 RomaTel 06 7233580 Fax 06 23328861

Autorizzazione Tribunale di Velletri n. 14 del 08.06.2006

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SommarioSommario

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EditorialeEditoriale

Estrapolare Estrapolare dal contesto...dal contesto...“No, non si deve fare, non è politicamente corretto...”La frase è una delle tante ‘formule’ a cui i talkshow, le finte risse televisive hanno tentato di abituarci; arma brandita a vuoto, volutamente ignorando che ogni contesto è contenuto in una catena di contesti più ampi e alti e ne contiene altri più piccoli e particolari.Perciò, ‘estrapoliamo’ tranquillamente le parole e i concetti di Papa Francesco dai contesti di provenienza, per riproporli,nel loro insieme, come tessere perfettamente combacianti di un mosaico nuovo in cui ritrovarci come persone, come comunità, come Chiesa.Troppo comodo il berciare continuo sulla riscoperta di valori da parte di quanti sono da sempre immersi nel non praticarli, nel tradirli, nel distorcerli, da qualsiasi organizzazione sociale lo facciano: religioni e chiese, stati e governi, partiti e associazioni, categorie e lobby, fino al singolo individuo. L’anno iniziato ci mette davanti ad un quadro di possibiltà di riflessione e ravvedimento al quale sarà difficile sottrarsi:dai religiosi (Anno della Vita Consacrata) con le risposte alle ‘attese’ del Papa;ai vescovi (Sinodo ordinario della Famiglia) con le risposte alle attese anche di quelle in maggiore difficoltà; ai laici somaschi (8° Convegno MLS - la Famiglia allo specchio), a tutti (Giubileo della Misericordia) che già nel titolo raffigura la volontà di accoglienza, di inclusività.Un anno ‘terribile’ se collocato nel contesto storico del vissuto politico, economico e sociale, se ci lasciamo annichilire dall’efferatezza, dall’inumanità e miasmi che emergono di continuo da ognuno di questi: guerre, genocidi reali, industriali, ambientali, violenze domestiche e non, ingiustizie, corruzione macro e micro.Ma è un anno ‘terribile’ anche se considerato nella dimensione della speranza, della comprensione, della solidarietà e della misericordia,proprio nella consapevolezza della durezza della ‘sfida’e dell’imperdibilità dell’occasione che ci viene offerta.

Marco Nebbiai

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Cari amici e fratelli,Papa Francesco ha donato alla Chiesatutta e a noi religiosi in particolare, unanno dedicato alla Vita Consacrata nelcinquantesimo dei documenti conciliariLumen Gentium e Perfectae Caritatis.Invito tutti ad ascoltare con gioia la suaparola procurando di risvegliare noistessi alla bellezza ed energia della vo-cazione che abbiamo ricevuto in dono,per essere capaci di accogliere il suo in-vito a svegliare il mondo! Lasciamo chela sua parola semplice e provocante e ilsuo esempio sincero e libero ci scuotanoper essere sempre più nella Chiesa enella società servi dei poveri e fratellinella comune Madre, che è la nostraumile Congregazione, come ci ha pen-sati il nostro povero e tanto amato ecaro padre Girolamo. Riporto i cinquepassaggi della seconda parte della Let-tera apostolica che sono radunati sottoil titolo: Le attese per l’Anno dellaVita Consacrata, e cerco di affian-carli a testi delle nostre fonti.

1° attesaChe sia sempre vero quello che ho dettouna volta: “Dove ci sono i religiosi c’ègioia”. Siamo chiamati a sperimen-tare e mostrare che Dio è capace di col-mare il nostro cuore e di renderci felici,senza bisogno di cercare altrove la no-stra felicità; che l’autentica fraternitàvissuta nelle nostre comunità alimentala nostra gioia; che il nostro dono totalenel servizio della Chiesa, delle famiglie,dei giovani, degli anziani, dei poveri cirealizza come persone e dà pienezzaalla nostra vita.

Il nostro modello:La gioia è la costante della testimo-nianza di vita di S. Girolamo: ce lo con-ferma l’amico Anonimo e lo ribadi-scono i testimoni presenti al suotransito.“Godeva di molte amicizie conquistatecon la sua innata cordialità e benevo-lenza e conservate con la sua fine af-fabilità. Possedeva un carattere alle-gro, cortese, coraggioso.D’intelligenza a livello dei suoi pari,ma in lui l’amore superava l’abilitàspeculativa”. (An 4. 1)“Era edificante vederlo sempre alle-gro, tranne quando si ricordava deisuoi peccati”, (An 6, 9)“…pareva che avesse il Paradiso inmano! Faceva diverse esortazioni aisuoi, e sempre con il volto allegro eridente che innamorava e inebriavadell’amore di Cristo chiunque lo mi-rava”. (Lett. Del Vicario generale diBergamo sulla morte del nostro Fon-datore)

2° attesaMi attendo che “svegliate il mondo”,perché la nota che caratterizza la vitaconsacrata è la profezia. Come ho dettoai Superiori Generali “la radicalitàevangelica non è solamente dei reli-giosi: è richiesta a tutti. Ma i religiosiseguono il Signore in maniera speciale,in modo profetico”. È questa la priorità che adesso è ri-chiesta: “essere profeti che testimo-niano come Gesù ha vissuto su questaterra… Mai un religioso deve rinun-ciare alla profezia”. (29 novembre

Cari amiciCari amici

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Chiamati a svegliare Chiamati a svegliare il mondo il mondo

da Somaschi autenticida Somaschi autentici

p. Franco Moscone crs

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2013)…Il profeta sta abitualmente dalla parte dei poveri e degli indifesi, perché sache Dio stesso è dalla loro parte… A volte, come accadde a Elia e a Giona, puòvenire la tentazione di fuggire, di sottrarsi al compito di profeta, perché troppoesigente, perché si è stanchi, delusi dai risultati. Ma il profeta sa di non essere mai solo. Anche a noi, come a Geremia, Dio as-sicura: “Non aver paura… perché io sono con te per proteggerti”. (Ger 1,8)

Il nostro modello:Nell’analisi degli avvenimenti della vita di Girolamo compiuta dall’amico Anonimoritorna come costante la caratteristica della profezia: certezza che Dio non ab-bandona chi sta con gli ultimi e i poveri.“Il valoroso soldato di Cristo, non evitando il contatto con gli appestati e i cada-veri, fu contagiato dalla stessa malattia… Quando ormai i medici avevano per-duto ogni speranza e la morte sembrava sicura, inaspettatamente nel giro di po-chi giorni fu fuori pericolo. Subito ritornò all’opera intrapresa con maggiorfervore di prima. Aveva fatto personalmente la più convincente esperienza che ilSignore non abbandona mai quelli che si dedicano al suo servizio, anzidi solito opera cose nuove e mirabili nei suoi servi”. (An 8, 2-5)All’amico che lo ritrova malato con alcuni suoi ragazzi in un casolare sperduto ri-sponde: “vi ringrazio molto, fratello, della vostra carità e sono contento di venirvi,purché insieme accogliate anche questi miei fratelli, con i quali io voglio vivere e

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gennaio marzo 2015 Vita somasca

Se non è gioia, sembra almeno serenità...

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Cari amiciCari amici

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morire”. (An 12, 5)3° attesa

I religiosi e le religiose, al pari di tutte le altre personeconsacrate, sono chiamati ad essere “esperti di co-munione”. Mi aspetto pertanto che la “spiritualitàdella comunione”, indicata da San Giovanni Paolo II,diventi realtà e che voi siate in prima linea nel co-gliere “la grande sfida che ci sta davanti” in questonuovo millennio: “fare della Chiesa la casa e lascuola della comunione”.Sono certo che in questo Anno lavorerete con serietàperché l’ideale di fraternità perseguito dai Fondatorie dalle fondatrici cresca ai più diversi livelli, come acerchi concentrici… La comunione si esercita innan-zitutto all’interno delle rispettive comunità dell’Isti-tuto… Nello stesso tempo la vita consacrata è chia-mata a perseguire una sincera sinergia tra tutte levocazioni nella Chiesa, a partire dai presbiteri e dailaici, così da “far crescere la spiritualità della comu-nione prima di tutto al proprio interno e poi nellastessa comunità ecclesiale e oltre i suoi confini”.

Il nostro modello:Continui sono i richiami di San Girolamo alla comu-nione, che ha origine dal cuore della Compagnia, eche da lì si estende attraverso le opere ai tanti colla-boratori e amici delle stesse.“Non si rendono conto che si sono offerti a Cristo, vi-vono nella sua casa, mangiano del suo pane e sifanno chiamare servi dei poveri di Cristo?… Perciò non so dir altro per adesso, se non pregarliper le piaghe di Cristo che si impegnino ad esseremortificati in ogni loro atto esteriore, e pieni inte-riormente di umiltà, carità e sensibilità spirituali,pronti a sopportarsi l’un l’altro, ad obbedire… adessere mansueti e benigni con tutti, specialmentecon quelli di casa”. (6Lett 6. 12)“…riuscì a mettere insieme molte buone personesia sacerdoti sia laici… Tutti questi formavano dellecomunità di poveri abbandonati… di cristiani ri-formati… esercitati a vivere nella santa praticadella vita cristiana e con la sempre amica povertà”.(An 13, 1.2.3.5)

4° attesaAttendo ancora da voi quello che chiedo a tutti imembri della Chiesa: uscire da sé stessi per an-dare nelle periferie esistenziali. “Andate intutto il mondo” fu l’ultima parola che Gesù rivolseai suoi e che continua a rivolgere oggi a tutti noi(cfr Mc 16,15).

Perferia a Roma:Corviale

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C’è un’umanità intera che aspetta:persone che hanno perduto ogni spe-ranza, famiglie in difficoltà, bambiniabbandonati, giovani ai quali è pre-cluso ogni futuro, ammalati e vecchiabbandonati, ricchi sazi di beni e conil vuoto nel cuore, uomini e donne incerca del senso della vita, assetati didivino…Troverete la vita dando la vita, la spe-ranza dando speranza, l’amoreamando.

Il nostro modello:Per renderci conto quanto sia statovero nella vita di Girolamo l’USCIREe il raggiungere le PERIFERIE sa-rebbe sufficiente costruire e osservarela cartina dei suoi percorsi e viaggi,prima nelle calli di Venezia ed isoledella laguna, e poi per i territori del-l’Italia del nord. Non potendo, in que-sta occasione, presentare la cartinageografica dell’Emiliani, mi limito a ri-cordare l’invito del Capitolo generale2005 intitolato tornare in strada,che, letto oggi, suona profetico, equanto meditato e proclamato durantela celebrazione del recente anno giubi-lare somasco. (2011-2012)“Convinti che le strutture gestite dallaCongregazione sono doni di Dio, su-dore dei nostri padri e dei poveri, “ta-lenti” a noi affidati da trafficare al-l’alba del terzo millennio: desideriamoche diventino porte aperte al terri-torio, alla Chiesa locale e ai laici. La-voriamo perché siano casa per i reli-giosi che le abitano e per i bambini egiovani che le frequentano. Bandiamoda esse ogni spazio vuoto: quello fi-sico, scandalo in un mondo globaliz-zato che crea ovunque nuove miserie,e quello spirituale, perché il cuore so-masco è un “cuore di carne, non dipietra” (Doc. 11).Nati in carcere e cresciuti in strada,è stato il motto del nostro Giubileo. Carcere e strada per noi Somaschi nonsono semplici metafore, ma i luoghi operiferie esistenziali dove cresce la no-

stra spiritualità e si manifesta la nostramissione.

5° attesaMi aspetto che ogni forma di vita consa-crata si interroghi su quello che Dio el’umanità di oggi domandano… Nessuno tuttavia in questo Anno do-vrebbe sottrarsi ad una seria verificasulla sua presenza nella vita dellaChiesa e sul suo modo di rispondere allecontinue e nuove domande che si levanoattorno a noi, al grido dei poveri.

Il nostro modello:La verifica a cui ci invita il Papa non èfacile, e appare profondamente esigente.San Girolamo ci ha consegnato, nei suoiscritti, il metodo della verifica che partedalla preghiera nella e per la Chiesa,mentre le Costituzioni (nella primaparte) ci offrono le motivazioni per lastessa. Dolce Padre nostro SignoreGesù Cristo, ti preghiamo per la tua in-finita bontà di riformare il popolo cri-stiano a quello stato di santità, che fu altempo dei tuoi apostoli. … Preghiamoper la chiesa, perché il Signore si degnidi riformarla secondo il modello dellasua santa chiesa dei primi tempi (sitratta delle richieste d’inizio e terminedella Nostra Orazione; al centro dellastessa troviamo un piccolo trattato diecclesiologia: NsOr 10).“Dobbiamo credere fermamente chetutto avviene per il nostro meglio etanto pregare e supplicare che vediamoe, vedendo, operare come le circostanzesuggeriscono al momento”. (3Lett 11)Non credo sia necessario fare citazionidalle Costituzioni, sarebbero troppe! Invito tutti, durante quest’anno, a rileg-gere e meditare la prima parte delle Co-stituzioni e Regole avendo davanti,come criterio ermeneutico, questaquinta attesa proposta dal Papa a tuttii consacrati. Se seguiamo e realizziamo le cinque at-tese del Santo Padre, vivremo l’Annodella Vita consacrata come vera grazia,e al termine ci troveremo più simili alnostro modello, Girolamo Emiliani, e

gennaio marzo 2015 Vita somasca

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Giornalista Rai e autrice di tre libri chehanno avuto notevole successo: “Sposa-ti e sii sottomessa”, “Sposala e muori perlei”, “Obbedire è meglio” - è una donnarisoluta e con idee chiarissime sulla fedee sulla famiglia, ma che non sempresono comprese. Molte televisioni in al-cuni Paesi europei, come Inghilterra,Francia, Belgio, se la contendono, in al-tri, come la Spagna, sono arrivati addi-rittura a votare in consiglio comunale unordine del giorno di condanna dei con-tenuti del suo libro “Sposati e sii sotto-messa”. Secondo Costanza, la famiglia sideve mettere allo specchio, come recitaanche il tema del convegno di quest’an-no ad Albano Laziale del Movimento Lai-cale Somasco: “La famiglia allo specchio”. Si deve mettere allo specchio per risco-prire i suoi veri valori, che si fondano sul-la Parola di Dio (“Non osi l’uomo sepa-rare ciò che Dio ha unito” Marco 10,2 -12) e per impedire che scivoli sempre piùverso lo sfascio. “Contro la famiglia è in atto un disegnodiabolico - dice Miriano - Satana odia

l’amore e quindi odia la famiglia, culladell’amore: nell’unione fra un uomo euna donna, c’è il segreto della vita e del-la felicità. Un’unione stabile garantiscela prosecuzione della specie. Il diavolovuole l’infelicità e la morte dell’uomo. Ecco perché non si fanno più figli”.

Costanza, nel tuo blog, si trova una tuabreve biografia: sono sposata, quattro fi-gli (e un solo marito). Ci è venuto da sor-ridere leggendolo e abbiamo pensato aduna battuta. Ma poi, a ben riflettere, nonlo è per nulla. Coloro che hanno unsolo marito, o una sola moglie, sono or-mai una minoranza... “Forse è meglio dire: per ora ho un solomarito, perché non bisogna mai sentir-si al riparo dal peccato e dalla tentazio-ne. Sono contenta della mia situazione fa-migliare. Certo però che viviamo, anchenoi cattolici, in un’epoca di grande liqui-dità di sentimenti, in cui si respira una dit-tatura delle emozioni, dell’individualismo,del proprio io. Fino a qualche decennio fanon era così: si restava fedeli al matri-monio, magari senza convinzione. Oggisi rimane fedeli al proprio marito per de-cisione personale, anche se costa fatica.

Hai scritto tre libri che, già dal titolo, sonouna provocazione e inducono a pensare alibri retrogradi, sorpassati, ma poi si sco-pre tanta ironia, ma anche tanta saggez-za, umanità, ottimismo, fede, e soprattuttoun amore grande, limpido, invidiabile! “Invidiabile e limpido no. Penso solo chei cristiani sono coloro che hanno capitoche c’è Qualcuno più grande di noi, che civuole veramente bene, ci ama di più diquanto ci amiamo noi, e che vale la penadi seguirLo e fidarsi di Lui. È sicuramentemeglio fidarsi di Uno che può tutto, di Unoche è Todopoderoso, termine spagnoloche esprime molto bene la grandezza di

Report Report

“Famiglia allo specchio”

Enrico Viganò

Costanza Miriano

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Intervista a Costanza Miriano

“Il femminismo

ci ha fregati.

Sosteneva che

ci avrebbe permesso

di recuperare

dei diritti,

in realtà ci ha rese

schiave,

assoggettate

a tanti doveri

fuori casa che

non ci fanno felici.

Io credo

che la felicità

delle donne

sia principalmente

la cura dei figli,

del marito,

delle persone

che amiamo”

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Dio. Se Colui che può tut-to, che ha creato questomeraviglioso Universo, èmio Padre, io sono la re-gina in questo mondo. Questo è il privilegio dellafede: aver scoperto l’amo-re di Dio”.

Tu ti batti perchè venganotutelati i diritti delle donnenella loro essenzialità: l’es-sere madri. Ti batti perchétutte le donne siano messein condizione non solo diessere mamme, di avere fi-gli, ma di poterli accudiresenza essere estraniati dalmondo del lavoro, dal con-testo sociale. È una batta-glia alquanto difficile latua, quasi impari !“Il femminismo anni set-tanta ci ha fregati: ci hafatto intravedere l’emanci-pazione nella rivoluzionesessuale, nella contracce-zione, nell’aborto, nel di-vorzio e nel “diritto al la-voro”. Così siamo cresciu-te con la concezione che seho una relazione con uncollega sono emancipata,ma se decido di rinuncia-re in parte alla mia vo-lontà per completarmi conmio marito, allora sono daricoverare alla neuro. Il femminismo in nomedella libertà personale ciha assoggettato a tantidoveri fuori casa che nonci rendono felici. La felici-tà delle donne si nutreprincipalmente di dedi-zione ai figli, alle personeche amiamo, alla nostracasa. Si possono compierecose buone, gratificantianche fuori casa, nel mon-do del lavoro: è vero.

Ma quello che ci fa sentiredonne è soprattutto pren-derci cura di coloro cheamiamo. Ci sono tanti la-vori malpagati, che ci por-tano lontano da quelle per-sone che sono la nostra fe-licità, lontano da casa pertante ore, obbedendo a uncapo... Non credo che di-pendere dal proprio ma-rito sia più umiliante cheobbedire ad un capo! Con la fretta di emanci-parci dai figli, dal marito,alla fine ci siamo lasciatischiavizzare da situazioniche ci rendono infelici. No, non si è trattato diprogresso!”.

Costanza, ci stiamo in-camminando verso il Si-nodo ordinario delle fa-miglie: quali istanze por-teresti al papa e ai vescovi?“Ho sempre trovato ascol-to nella Chiesa, anzi nelmio caso specifico anchetroppo. Certo che la voce eil punto di vista delle don-ne sono preziosi nella Chie-sa, e sarebbe bene che an-che le donne fossero ascol-tate maggiormente. Vedrei bene che anche neiseminari ci fosse una mag-giore presenza maternafemminile per favorire laformazione completa deifuturi sacerdoti, ovvia-

mente nel rispetto dellapurezza dei cuori. E poi non dobbiamo di-menticare che tutti siamoa servizio della Chiesa, uo-mini e donne. Nella Chiesa non va cer-cato il potere. Siamo, comesi autodefiniva Santa Ca-terina da Siena, servi deiservi di Cristo”. L’ultimo libro “Obbedire èmeglio” sconvolge subitodal titolo: in un’epoca in cuivale solo la libertà del sin-golo e tu scrivi: “Obbedireè meglio”. E obbedire achi? Al marito? A Dio?“Obbedire a Dio, e, in con-creto obbedire ciascuno

nell’ambito della propriavocazione: i figli ai geni-tori, i sacerdoti al vescovo,i vescovi al papa, il papa aDio. Obbedire ognuno nel-la realtà in cui viviamo,senza cercare di scappare.La parola obbedienza oggistride perché l’uomo harigettato Dio, è allergico aDio. L’obbedienza non èdettata dalla paura, madalla consapevolezza diavere un Dio che mi ama,che vuole il mio bene, nonsolo, ma fa il mio beneancora meglio di me stes-so. Quando abbraccio Dio,poi sono serena e faccioquello che Lui vuole”.

gennaio marzo 2015 Vita somasca

?Dove sono moglie e madre?

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Problemi d’oggiProblemi d’oggi

dott.ssa Deborah Ciotti

Quando in famigliamanca… il “fischietto”

Le buone maniere e le regole di compor-tamento nella vita di famiglia sono daanni al centro di molte discussioni. Forsealcuni genitori ne hanno abbastanza diquesto argomento: da una parte, sono fi-niti i tempi in cui i figli erano costretti adavere un atteggiamento remissivo neiconfronti dei genitori, dall‘altra, la ri-nuncia alle regole e alle norme di com-portamento ha condotto a situazionicaotiche e ha contribuito ad accrescere ladistanza tra le generazioni. Per i giovani non è facile sapersi com-portare bene nella società, ci sono moltecose da imparare e a cui prestare atten-zione; se un giovane impara determinateregole si ambienta meglio in un gruppoe acquisisce la capacità di comportarsiadeguatamente nei vari contesti.Riconoscere le regole delle buone ma-niere e comportarsi di conseguenza èfondamentale per il proprio figlio anchequando diventerà adulto, sia nella vitasociale che professionale: una personache si sa comportare e che sa come muo-versi nei diversi contesti sociali è spesso

considerata più simpatica e aperta.Le buone maniere quali la cortesia, l’af-fabilità, l’urbanità e simili sono le sorelleminori di altre virtù più grandi: la fami-glia è l’ambito dove è più facile appren-derle a qualsiasi età.Pensando a come sono cambiate neltempo le modalità di comportamento o acome cambiano da luogo a luogo, si po-trebbe facilmente dedurre che le buonenorme sono qualcosa di puramente con-venzionale, da modificare o anche da tra-sgredire a piacimento, sembra invecenon essere così: tutti abbiamo sentitofrasi del tipo: “dal suo comportamento sinota che è di buona famiglia” oppure“che bambino educato!” e, se lo hannodetto di noi, è probabile che ne siamostati lusingati.Ad esempio,non si può dire che l’affabi-lità o il comportamento piacevole nelmodo di fare e di conversare sia la virtùpiù importante, però genera un senti-mento di empatia, di cordialità e di com-prensione che è difficile da spiegare o dasostituire; la verità sta nel fatto che senza

L’importanza di stabilire norme familiari

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qualità come la cortesia, l’affabilità, l’ur-banità e simili, la convivenza diverrebbesgradevole. Nella società odierna, spesso,il padre e la madre lavorano entrambifuori casa, le difficoltà imposte dagli orarie dalle distanze sono quasi sempre note-voli perché la famiglia possa ritrovarsi al-l’ora dei pasti e ciò non è un bene, perchéstare con le persone che si amano, condi-videre ed essere capiti sono tutti modi disocializzare, di imparare a darsi agli altri:migliora i rapporti tra i membri della fa-miglia e offre ai genitori alcuni momentiinformali per conoscere meglio i figli eprevenire eventuali difficoltà. I figli sipreparano alla vita in società attorno allatavola e durante le chiacchierate in fami-glia; le buone norme i bambini le impa-rano in casa, vedendo come i genitori sicomportano. Inoltre, le riunioni familiaripermettono ai figli di raccontare le loropiccole vicende e anche i genitori pos-sono fare un commento opportuno odare un criterio su un determinato com-portamento.In famiglia ci si può aiutare l’un l’altro;dopo un buon pranzo in famiglia si è piùfelici, perché si è condiviso con chi si amala propria intimità; ci si arricchisce mo-ralmente e personalmente.I genitori, pertanto, possono aiutare il fi-glio ad imparare le regole di comporta-mento stabilendole in famiglia, perchéessa è la prima piccola società che il bam-bino conosce. Bisogna spiegare chiaramente il senso diqueste regole e l’importanza di rispet-tarle: se il figlio conosce le regole e le

aspettative dei propri genitori, si sentepiù sicuro e le segue più facilmente. I figli imparano molto dalle esperienzepassate: osservano molto i genitori e imi-tano il loro comportamento.Quindi, bisogna fare attenzione anche aciò che si mostra al proprio figlio; biso-gna insegnargli come relazionarsi con ungruppo e come rapportarsi; dirgli chiara-mente quello che deve fare; capire che, seevita gli adulti o è scontroso, non è dettoche si rifiuti ma può essere inteso anchecome un segno di timidezza e insicurezza.Non rimproverarlo di fronte a terzi, que-sto può umiliarlo, meglio parlargli tran-quillamente dopo; lodarlo quando si ècomportato bene; non insultarlo mai: gliinsulti feriscono più di quanto si possaimmaginare: invece di giudicarlo, me-glio chiedergli di esporre ciò che lo di-sturba. Mentre si danno spiegazioni alproprio figlio, bisogna sempre cercare diessere positivi piuttosto che negativi; in-vece di chiedergli di non fare qualcosa èbene chiedergli di fare il contrario; cer-care sempre di non essere troppo severio esigenti. Affinchè il proprio figlio ca-pisca l’importanza di seguire le regolefamiliari e quanto possano portargli be-neficio, sia nel presente che nel futuro,è fondamentale non imporsi, in mododa far interiorizzare queste norme efarle proprie: l’imposizione porta soloall’obbedienza, non all’apprendere dibuon grado. È fondamentale, quindi,cercare di trasmettere che alcune normesono essenziali per se stessi e per rap-portarsi nella società.

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Problemi d’oggiProblemi d’oggi

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E... come economia,... come etica

La storia ci insegna inequivocabilmente il modo per evi-tare di ripercorrere sentieri nefasti e tortuosi che hannosempre portato distruzione. Guerre, carestie, miserie, pe-stilenze e crudeltà di uomini contro altri uomini. Il Vico ci ammonisce con il suo “Corsi e ricorsi storici”,come a dire la storia si ripete. Infatti che differenza c’è tra la crisi economica del ’29 equella che ha colpito l’Europa da ben 8 anni? Si è accentuato di più il divario tra ricchi e poveri, il co-siddetto ceto medio si è indebolito e la soglia di povertàè aumentata. A causare tale depressione economica sonostate le politiche sbagliate, i burocrati volutamente mio-pi, a penalizzare una intera area europea. Classi dirigentiche dirigono solo verso il proprio tornaconto con con-seguente arricchimento, quell’ ingordigia bulimica cheporta chi ha molto, a volere sempre di più come un poz-zo senza fine. Ciò che scandalizza maggiormente è che ilauti stipendi per chi ricopre cariche pubbliche sono perloro ben poca cosa, tanto da voler arraffare il più possi-bile con una avidità senza confini, agendo nell’illegalitàe corruzione. Il profitto, con l’accumulo di ricchezze, sen-za limite alcuno, sembra dare loro il dono dell’immortalitàsenza accorgersi che stanno cadendo nel baratro dellaschiavitù del denaro. Paradossalmente, crisi economicae crisi morale coincidono perfettamente, come due tes-sere di un tragico e alquanto disastroso mosaico. Purtroppo l’umanità ha scelto sempre la via più facile,quella dell’egoismo edonistico e del disinteresse totale ver-so il prossimo bisognoso. La stessa natura umana è spin-ta verso il desiderio di cercare qualcosa che la appaghi ela renda felice nell’immediatezza. Ne deriva una conti-nua ricerca ed una continua inquietudine per l’otteni-mento del famoso “Carpe Diem”. Ma la sfrenata bramosia di denaro e potere portano sol-tanto caos, errori e danni che si ripercuotono sul resto del-la società. Bisognerebbe meditare, e a lungo, che l’azio-ne del singolo ricade irreversibilmente sugli altri con quel-la tipica interdipendenza immancabilmente concatena-ta all’intera società. Ecco perché faccio riferimento spe-

cifico alla classe politica, poiché, se c’è la volontà di per-seguire il bene comune, la stessa politica è bene, onesta.Un’etica politica ed economica necessita più che mai. Lo stesso Santo Padre al Consiglio Europeo dà il sensoa questo argomento: “Si dà troppa importanza all’eco-nomia e alla tecnologia, soltanto i grandi valori hannoquella forza propulsiva necessaria e solo i valori cristianipossono salvare l’umanità”. I valori espressi da PapaFrancesco sono universali poiché volti al rispetto versoogni essere umano. Pertanto la determinazione all’im-pegno del bene comune e della solidarietà deve essere unbene condiviso:

TUTTI SIAMO RESPONSABILI DI TUTTIMa cambiare rotta si può, il Vangelo stesso ne offre le giu-ste soluzioni per tirarsi fuori dalla crisi morale. Volendo evitare toni demagogici e dietrologici, l’impegnodi noi tutti in un’attenta solidarietà e sussidiarietà puòaiutare, anche con poco, il nostro prossimo in difficoltàaffinché nessuno resti indietro. Una Italia, una Europadi popoli solidali e fratelli che avanzano sì nel progres-so, ma che vertano verso diritti sociali, lavoro e ricchez-za equamente distribuita. Un sogno? Una utopia? Sa-remmo portati a dire certamente “sì” data la fragilità uma-na, ma forse no, anche perché già Robert Kennedy pen-sava che: ”Ogni volta che un uomo combatte per un idea-le emette una minuscola onda di speranza e queste onde,intersecandosi con altri centri di energia ed audacia, pro-ducono una corrente in grado di spazzare via i più po-derosi muri di oppressione e resistenza”. Quindi è fon-damentale l’apporto del singolo, di noi tutti, l’aiutoconcreto e positivo deve partire dalla pratica nella nostraquotidianità. È l’agire che determina il buon cristiano. Madre Teresa di Calcutta, come san Girolamo Emilianihanno sempre vissuto nell’attuazione del bene e per il benecomune, senza mai delegare alcuno. Lo stesso Brecht, poe-ta e drammaturgo teatrale, con questa citazione ci esor-ta a riflettere e a combattere contro il voler ignorare le sof-ferenze altrui: “Spogliarsi di violenza, rendere bene permale, non soddisfare i desideri, anzi dimenticarli”.

Fabiana Catteruccia

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La pittrice e poetessa ligure, Cateri-na Brunetto, che spesso viene a con-dividere la sua fede nella Chiesa delCollegio Emiliani di Nervi, ha volutorivivere con una sua personale lettu-ra e ricordare - esattamente a cin-quanta anni dalla sua conclusione(1965 - 2015) - il Concilio Ecumeni-co Vaticano II. Lo ha fatto con unabella tela, che ha donato alla comu-nità religiosa, ora esposta alla devo-zione dei fedeli in una cappella late-rale della Chiesa del Collegio. Lo sfondo è costituito dal Vaticanocon la basilica di San Pietro nella mae-stà della sua facciata e del suo cupo-lone: è questo il fondamento volutodi Gesù, poiché a Pietro egli ha affi-dato le chiavi del Regno dei cieli e sudi lui ha fondato la sua Chiesa. Il colonnato del Bernini si trasfigurain due braccia materne, che paiono di-latarsi per accogliere tutta l’umanità.Tutto il complesso architettonico è av-volto da una dorata tonalità gialla, se-gno della santità e della presenza deldivino. All’interno di questo sfondo,sfumati nell’azzurro, ma nitidissiminella raffigurazione del volto, appa-iono i tre santi papi protagonisti delConcilio. A sinistra, Giovanni XXIIIcon i suoi intensi occhi castani e l’at-teggiamento richiama le sue originicontadine, la sua bontà, la sua fermadecisione nel seguire l’ispirazionedello Spirito nell’indire il Concilio. Alcentro domina il viso dolce, ma sof-fuso anche di cristiana malinconia, diPaolo VI che ha concluso il Concilioed attuato le prime riforme; nel trat-to dei lineamenti, nella dolcezza del-lo sguardo dei suoi occhi chiari, nel-la cura dei particolari l’artista dimo-stra di avere con questo papa una suaparticolare connaturalità. A destra

Giovanni Paolo II, col suo volto chesta per aprirsi al sorriso, sottolinea ilsuo desiderio di venire in contatto conil popolo di Dio, di accoglierlo e di gui-darlo. Il tocco rosso del pallio dipapa Giovanni e di Paolo VI, comepure le due croci che campeggiano sulpetto di papa Giovanni e di Giovan-ni Paolo II e la venatura di sofferen-za sul volto di Paolo VI indicano cheguidare la Chiesa comporta anche sof-ferenza e martirio. Nella parte inferiore del quadro sul-la destra, appaiono realisticamenteraffigurati il paesaggio di Nervi in untratto di passeggiata a mare con il suociglione di verde a strapiombo sulmare, il Collegio e la Chiesa del-l’Emiliani. Il resto è occupato dal-l’immensità del mare azzurro, una co-stante nelle opere della pittrice. Inesso pare dissolversi in diafane tra-sparenze il corpo dei papi, che ormaihanno raggiunto la gloria del Para-diso. Il mare è tradizionalmente ilsimbolo dell’infinito in cui è dolcenaufragare, è simbolo del mistero, ac-cennato dalla pittrice con il suo per-sonalissimo stile di pennellate fluide

ed evanescenti con un netto prevale-re di tonalità blu sfumate e riflesse.Ma non tutto svanisce nel fluire deltempo, nella nebbia della memoria,nel trascorrere della vita. Ci sonodelle realtà forti rappresentate dallaChiesa, dallo spirito dei papi delConcilio, dall’impegno educativo del-la scuola del Collegio, dalla naturastessa della passeggiata a mare: esserimangono pur sempre nel misterodella vita un punto di riferimento, unasinfonia di luce e di colore. Mi ha stu-pito che il molo del porticciolo di Ner-vi, probabilmente in modo inconscio,è stato spostato dalla sua posizionenaturale e trasformato con pochepennellate in una specie di tempio iso-lato, quasi un arca di Noè ben saldaed ancorata sulle onde del mare e sul-le tempeste della storia. Il quadro è in-dubbiamente animato dalla fede, dalpensiero, dalla poesia della pittrice eva interpretato adeguandosi al suopersonalissimo stile, fatto di traspa-renze, di fluidità, di continue dissol-venze: c’è un mistero religioso, un in-finito al di là della nostra reale vicendaterrena, guidata dalla fede.

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p. Giuseppe Oddone

I Papi del ConcilioSan Giovanni XXIII - beato Paolo VI - san Giovanni Paolo II

Spiritualità somascaSpiritualità somasca

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Spazio giovaniSpazio giovani

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Quotidianamente riviste,programmi televisivi e libridi auto-aiuto propongono“polpettoni” e ricette faida te, condite da consigli etautologie insignificantiper migliorare la propriaautostima, sposando l’illu-sione che possa esistereuna ricetta pro-forma chevada bene per tutti. Si di-mentica però, che miglio-rare la propria autostima è,spesso, un lavoro lungo ecomplesso, un continuumche, a volte, può durare tut-ta la vita. La mancanza diautostima (atteggiamentogeneralizzato verso se stes-si) incide pesantementesulla vita di una persona, alpunto da essere conside-rata uno degli eventi piùdolorosi dell’esistenza. Daqui, appare abbastanzachiara l’importanza di par-lare di autostima, soprat-tutto in fanciullezza e ado-lescenza, in termini ap-propriati e seri, in quantomolti stati di disagio psi-cologico riflettono eviden-temente una carenza diautostima basata su unapercezione-valutazione ne-gativa del concetto di sé.Spesso, nel percorso edu-cativo ci si dimentica diquanto sia importante po-tenziare l’autostima, a vol-te perché prevale un’edu-cazione rigida in cui si cu-rano troppo le forme epoco l’essenza, o perché sidà per scontato che a un fi-

glio si voglia bene a pre-scindere, senza dover-glielo comunicare o ma-nifestare quotidianamen-te. L’impreparazione af-fettiva, sia dei genitori chedegli insegnanti, è talvoltail terreno fertile dove cadeil seme del distacco, doveprende forma l’incapacitàa comunicare e condivi-dere le emozioni. È im-portante per un bambinosentirsi “autentico” fin dal-la prima infanzia, sentirsiamato per quello che è eper quello che può dare, in-segnandogli a prendereatto e convivere con i pro-pri limiti. In questi termi-ni, è evidente che l’autosti-ma rappresenti un ele-mento essenziale, poichéconsente un riconosci-mento adeguato delle pro-prie risorse e qualità. Unbambino che ha vissutoun’infanzia poco serena,che non si è sentito amato,potenziato, stimolato, ri-fletterà una scarsa stima disé, rivelando un senso diinadeguatezza di frontealle sfide importanti che lavita gli porrà dinanzi. Loscopo di questo articolo èdi offrire alcuni spunti diriflessione e, nel contempo,evidenziare quanto sianoimportanti le esperienzeinterattive del bambi-no/adolescente con adultisignificativi (famiglia, asi-lo, scuola) in quanto sa-ranno determinanti sulla

formazione dell’identità edell’autostima. Seminare bene nell’infan-zia, permetterà di racco-gliere i frutti in età adulta.La carenza di “cure paren-tali” procura una scarsaconsiderazione del propriovalore personale e, di con-seguenza, l’incapacità diesprimere i propri senti-menti e le proprie capacità.Lo sviluppo dell’autosti-ma viene ostacolato, e avolte compromessa, quan-do relazioni genitoriali pri-marie non garantiscono ibisogni fondamentali, inprimis, il sentirsi amato,accettato e valorizzato. Infatti, un bimbo che vie-ne potenziato, avrà mino-ri difficoltà a relazionarsi,ad esprimere i propri sen-timenti, e sarà equipag-giato a dovere per affron-tare con consapevolezza eserenità i compiti che do-vrà affrontare nella vita.Nella formazione del-l’identità personale ci por-tiamo dietro schemi men-tali, programmi di com-portamento che abbiamoregistrato nella nostra in-fanzia, e che veicolano for-temente i nostri compor-tamenti. Un bambino che è statoeducato a non esprimere leproprie emozioni, peresempio, sarà decisamen-te più vulnerabile a fru-strazioni; vivrà col timoredi essere criticato e non ac-

Danilo Littarru Docente e Bioeticista

Il ruolo dell’autostimaNei processi di crescita psicologica

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cettato. Saper esprimere gli stati affettivisignifica saper comunicare con se stessi econ gli altri, e non innalzare un sistema di“difesa disfunzionale”. Il soggetto conproblemi di autostima si può percepire fal-lito, non meritevole di amore, e sperimentauna lunga serie di sconfitte accompagna-te da sentimenti d’impotenza; nei primianni di vita il bambino sviluppa un’im-magine di sé in base alla percezione (po-sitiva o negativa) della relazione con le fi-gure genitoriali. La formazione del proprio modo di con-siderarsi e definirsi e la valutazione del pro-prio valore avviene ad un’età molto pre-coce, dato non trascurabile. Alcuni dei va-lori che regolano la nostra vita, spesso, nonderivano dai nostri bisogni autentici, mapossono nascere, soprattutto, da aspetta-tive genitoriali, culturali, che ostacolano ilprocesso di crescita personale. Capita spesso che i genitori tendano a rie-laborare il proprio “lutto personale” ri-ponendo aspettative troppo alte sui figliche, non potendole soddisfare a pieno, soc-combono in silenzio, crescendo all’ombradella proiezione genitoriale, che non per-mette loro di vivere al meglio la propriaidentità perché tenderanno ad adattarla econformarla a quella delle figure prima-rie. Forme di attenzione negativa, critichecelate, continui confronti con fratelli ocompagni, tesi a svalutare il ragazzo, rien-trano in una forma di “abuso psicologico”che si possono ascrivere ad una forma dimaltrattamento infantile, che condizioneràindubbiamente il futuro e la crescita per-sonale. Sappiamo bene che il modo in cuigli altri ci vedono e ci giudicano condizionala nostra percezione e il nostro giudizio sunoi stessi. Ovvie ripercussioni si avrannoin adolescenza, momento decisivo per losviluppo dell’identità adulta, nel quale l’im-magine di sé è continuamente alimenta-ta dal confronto con il gruppo dei pari, dalsuccesso scolastico, dal rapporto con gli in-segnanti, dall’aspetto fisico e dal rag-giungimento degli obiettivi nei compitiprefissi. È fondamentale, pertanto, chescuola e famiglia lavorino in sinergia, perpotenziare il ragazzo affinché possa, sot-

to una forte spinta motivazionale, incre-mentare la propria autostima affer-mando il coraggio di essere autentico.Dobbiamo imparare e insegnare ad ama-re ed essere amati, per quello che si è. In questo senso l’educazione sta all’amo-re come il sole sta al cielo, non ci può es-sere l’uno senza l’altro, un legame di in-terdipendenza a doppio filo. Ecco perchéreputo che l’educazione del cuore debbaessere permanente e continua in ognifase della vita, diretta ad arricchire, enon a spegnere, i carismi che ciascuno dinoi ha. Troppo spesso ci dimentichiamoche i ragazzi altro non sono che dei dia-manti da sgrezzare, dei vasai che lavora-no la creta per modellare al meglio la loro

vita, e che chiedono direttamente o indi-rettamente riscontri per capire se il loro la-voro procede nella direzione giusta. André Gide Osa scriveva: Diventa ciòche sei. E non disarmarti facilmente. Cisono meravigliose opportunità in ogni es-sere. Persuaditi della tua forza e della tuagioventù. Continua a ripetere incessan-temente: “Non spetta che a me”. Su questi presupposti deve necessaria-mente poggiare una valida azione edu-cativa, tesa a promuovere, valorizzare,potenziare e stimolare i carismi, in unosguardo paterno capace di accogliere eleggere, nelle profondità dell’animo,

gennaio marzo 2015 Vita soma-

sono coraggiosa

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Non vogliamo lasciar passare invanoquesto invito appassionato di papa Fran-cesco ad ogni cristiano. Con un pizzicodi ardimento proviamo a imparare daGesù stesso in che modo trasmettere lafede: non è forse lui il migliore evange-lizzatore che abbia mai camminato suquesta terra? Il suo “metodo” potrà di-ventare, almeno un poco, anche il nostro. Prendiamo, per esempio, il suo incontrocon la donna samaritana raccontato nelcapitolo 4 di Giovanni. Senza alcuna ambizione di completezzavorrei cogliere qualche particolare, qual-che sprazzo di luce. Ci sarà utile, in

particolar modo, per avvicinare quellepersone che sono rimaste ferite negli af-fetti o sconfitte nella loro vita senti-mentale. Il primo è subito palese: Gesù prendel'iniziativa. È lui che parte rivolgendo alladonna la parola. Lei, con ogni probabi-lità, non avrebbe osato. Attinta furtiva-mente la sua brocca d'acqua, sarebbe cor-sa via dal marito numero sei. Ci sono per-sone che non osano avvicinarsi a noi, sitengono a distanza, non ci parlano. Non per pregiudizio, non per disprezzo

verso la Chiesa che forse rappresentia-mo ai loro occhi, ma perché si credonotagliate fuori, o pensano che noi le re-putiamo indegne. Fare il primo passo diviene allora ne-cessario, un saluto, una parola, un gestoche le faccia sentire prese in considera-zione. Che parola, che gesto? Qui Gesùsorprende lei e noi: le chiede un favore:“Dammi da bere”. Non è soltanto il ricevere un servizio checi fa sentire amati: spesso, quando ci sen-tiamo estromessi, è la richiesta di un ser-vizio che ci può sbloccare, facendociscoprire valorizzati, utili. Qualcuno ha fiducia in me e pensa cheio sia ancora in grado di amare. Il dialogo prosegue e giunge il momen-to della verità. Inutile il tentativo di na-sconderla: Gesù le dice schiettamente disapere bene dei suoi sei mariti. È necessaria la verità nelle relazioni ba-sate sul vangelo. Eppure la donna non siadira, non si difende, perché in quel-l'uomo non ha percepito nemmeno l'om-bra del disprezzo. È questo il capolavoro di Gesù: nonchiudere gli occhi alle situazioni reali, ma,allo stesso tempo, non giudicare mai nes-suno. Ed ecco che la donna non può ta-cere di questo straordinario incontro eproprio lei, che si credeva lontana dallaLegge di Dio, diventa apostola, sorgen-te d'acqua viva.

Le dice la verità: (non nascondere a noistessi chi siamo); - allo stesso tempo, la valorizza (è possi-bile quando non ci sentiamo giudicati);La conduce al cuore del vangelo: (si fa co-noscere pienamente);- diventa apostola, sorgente: (perchénon può tacere);- lo fa ponendo una domanda ai sama-ritani: (non impone una verità).

La donna che non osavaDentro di meDentro di me

p. Michele Marongiu

Riscoprire la gioia di annunciare il vangelo

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DossierDossier

Somaschi a Venezia

p. Giuseppe Oddone

Venezia, la città unica al mondo

per le sue vie d’acqua,

per la luce del cielo e del mare,

per i palazzi che s’innalzano

e paiono fiorire

sulle rive dei suoi canali

e continuamente trascolorano

secondo le ore del giorno,

ha una sua millenaria storia

di stato e di repubblica

libera ed indipendente,

ed ha scritto una ricchissima pagina

di civiltà, di arte, di fede

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Somaschi a VeneziaVenezia è nel cuore diogni devoto di San Giro-lamo Emiliani o Miani(Venezia 1486 - Somasca1537), il patrizio venezia-no che dopo una lunga at-tività civile nella Repub-blica, alla soglia dei qua-rant’anni, mise al serviziodi Cristo, della Chiesa edei poveri tutta la suavita, fondando la Com-pagnia dei Servi dei po-veri, che diverrà con ilConcilio di Trento la Con-gregazione dei ChiericiRegolari Somaschi.Il primo campo di caritàfu la sua stessa casa:nella carestia del 1527 viaccoglieva i poveri, li sfa-mava, distribuiva loro ilpane preparato da lui du-rante la notte. Qui il 6febbraio 1531 rinunziò,con atto del notaio AlviseZorzi, a tutti i suoi beni re-sidui in favore dei nipoti e,vestito di poveri panni, sitrasferì a S. Basilio.

Per i putti derelitti creò lasua prima opera specifica(1528) nella zona di SanBasilio, educandoli al la-voro, ad uno studio dibase, alla preghiera edalla dottrina cristiana.Nell’Ospedale del Ber-saglio, da lui fondato ediretto assieme a Gerola-mo Cavalli nello stessoanno accoglieva poveri diogni condizione, con unaparticolare attenzione agli

orfani privi di ogni soste-gno famigliare. Girolamo Miani vi abitòancora quando nel 1535tornò dalla Lombardia aVenezia. Dopo la morte di San Gi-rolamo (1537)l’ospedalefu aiutato anche da Lu-dovico Viscardi, strettocollaboratore di San Gi-rolamo; nel 1544 avvennela convezione con i Servidei poveri, che vi rimase-

I luoghi della presenza, delle opere, dei ricordi del Santo

Il piano a livello acqua della casa Miani, con i due portali di accesso per ingresso e scarico merci

La segnalazione del sottoportico e della corte di casa Miani

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ro ininterrottamente finoal 1797: benemerito fuFrancesco Quarteri, fra iprimi compagni del santo,commesso degli orfanifino al 1578. Per opera diG.B. Contarini, ammini-stratore della pia opera, vivenne fondato un piccoloseminario di 12 orfani nel1578. Qui P. Agostino Valerioebbe dalla famiglia Mianila vita manoscritta del-l’Anonimo. Nel 1650 vi erano sei reli-giosi che avevano l’im-pegno di educazione dioltre cinquanta orfani e lacura spirituale di tuttal’opera, ossia dei malati, dicentoventi orfane, e dellachiesa, molto frequentataper la pronta ammini-strazione dei sacramenti eper la musica.Girolamo, poiché il nu-mero dei suoi putti a SanBasilio aumentava, presein affitto (non sappiamocon esattezza la data diinizio) nuovi locali neipressi di San Rocco,aprendovi una nuova

scuola in cui manifestòtutto il suo genio educati-vo di vita comune con ipiccoli, di conoscenza e diamore per ogni singoloorfano, di organizzazionedel lavoro, di preghiera, dispirito di famiglia. Tuttavia, nell’aprile del1531, per invito dei go-vernatori dell’ospedale de-gli Incurabili, che ben co-noscevano il suo ardore dicarità, si trasferì con i suoiorfani di San Basilio e diSan Rocco nei locali del-l’ospedale per assumer-ne la direzione.

gennaio marzo 2015 Vita somasca

Zona di San Basilio, prospiciente il canale della Giudecca, ove Girolamo fondò la sua prima casa per putti derelitti (1528)

Facciata attuale della Chiesa dell’Ospedaletto,opera del Longhena. Girolamo iniziò il suo lavoro al Bersaglio (poi Ospedaletto) nel 1528

Statua di San Girolamo (del Morlaiter) sulla facciata

della Chiesa di san Rocco

Zona del Bersaglio, chiamato poi Ospedaletto, situato pressol’abside della basilica dei Santi Giovanni e Paolo

Chiesa e Scuola di San Rocco vista dall’alto

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Alla direzione dell’Ospe-dale degli IncurabiliGirolamo rimase fino allafine di aprile del 1532,quando venne inviato peruna missione di carità inLombardia. È opportuno ricordare cheagli Incurabili passaronosia pure per breve tempoben cinque santi del Ri-nascimento: San GaetanoTiene, Sant’Angela Merici,San Girolamo Miani, San-t’Ignazio di Loyola e SanFrancesco Saverio. I Servi dei poveri vennerochiamati per attendere al-l’educazione degli orfanied alla cura spirituale di

tutta l’opera con una con-venzione analoga a quelladel Bersaglio. Nel 1650era governato da venti-cinque cittadini e vi eranotre religiosi sacerdoti e trereligiosi laici, i quali s’af-

faticavano giorno e notte“con patimento più cheordinario”.Aveva 63 orfane, 33 orfa-nelli, due infermerie di-stinte molto affollate. Tra esse una Chiesa rag-guardevole, curata senzainterruzione dai Padri, nel-la quale si predicava conmolta frequenza. La con-gregazione cessò qui lasua opera con l’avventodi Napoleone (1806)L’Ospedale di San Lazaro ai Mendicanti(1629-1797) Costituiva conl’Ospedaletto e gli Incu-rabili una delle realtà as-sistenziali più importantidi Venezia. Nessuna me-raviglia quindi se nel 1629vi vennero chiamati i reli-giosi somaschi, semprecon le medesime conven-zioni che limitavano laloro opera all’educazione

DossierDossier

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Nella stampa del Seicento è ben visibile la Chiesa, officiata dai Padri ed ora rasa al suolo, posizionata dentro il chiostro

Ospedale degli Incurabili. Girolamo ne assunse la direzione nel 1531

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degli orfani ed alla curaspirituale delle orfane, deimalati e all’impegno pa-storale nella Chiesa, co-struita tra il 1601 ed il1631. Nel 1650 c’eranodue religiosi sacerdoti edue laici. I religiosi cessarono laloro attività durante il pe-riodo napoleonico nel1806. Dopo il Concilio diTrento i Somaschi, esper-ti nell’istruzione e nel-l’educazione, furono chia-mati alla direzione del Se-minario Patriarcale(1579-1810), che, salvoqualche breve trasferi-mento per motivi contin-

genti (anche alla Trinità,fino al 1630, anno dellapeste), ebbe la sua sedeabituale nell’abbazia diSan Cipriano a Murano. Vi furono impegnati i mi-gliori religiosi, diversi deiquali divennero generalidella Congregazione (i Pa-dri Fornasari, Terzani, Ve-celli) o vescovi (P. Cosmi

vescovo di Spalato, e nu-merosi altri). Nel 1650 vierano addetti 19 religiosi(12 religiosi e 7 laici) con40 chierici e 50 nobiliconvittori della Repubbli-ca che frequentavano perlo più da esterni la scuola.Tra di essi negli ultimianni del Settecento an-che Gasparo Gozzi ed UgoFoscolo, che vi completò isuoi studi classici. I religiosi somaschi lo la-sciarono con la secondasoppressione napoleonicanel 1810. Chiesa e seminario risul-tano già totalmente ab-battuti nel 1817.

gennaio marzo 2015 Vita somasca

Vecchia stampa dell’abbazia di San Cipriano in Murano (sulla sinistra) in posizione isolata e tranquilla

L’abbazia e seminario dopo la soppressione napoleonica furonocompletamente distrutti. È rimasto solo il nome di una strada

Chiesa Edificio Chiostro di San Lazzaro ai Mendicanti

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DossierDossier

Altro seminario direttodai Padri Somaschi fu ilSeminario Ducale consede presso san Nicolò diCastello, diretto dai So-maschi dal 1591 al 1810.Venivano formati qui alsacerdozio solo i Chieri-ci destinati al servizio

della basilica ducale diSan Marco: carriera am-bita, giacchè essi prima opoi diventavano canoni-ci di San Marco. Fu diretto per alcunianni dal P. Maurizio DeDomis, poi generale del-la Congregazione.

Nel 1650 vi abitavano 10religiosi (6 sacerdoti e 4laici) con 24 chierici e 24giovani secolari convit-tori. Le scuole dei semi-nari dirette dai Soma-schi erano aperte ancheai giovani della nobiltàveneziana. Il seminario ducale e laChiesa con gli edifici at-tigui vennero completa-mente demoliti nel 1810per far posto agli attua-li giardini pubblici.Fin dal 1590, in alcunecase offerte dai Patriar-chi di Venezia ed altreacquistate, i Somaschisi erano stabiliti allaTrinità per crearvi unacomunità formativa peri novizi ed i chierici pro-fessi. Tra il 1630 ed il 1670furono abbattuti Chiesae monastero della Trini-tà e venne eretto il tem-pio votivo della Ma-

La Chiesa ed il seminario ducale di San Nicolò di Castello furono completamente rasi al suolo nel periodo napoleonico per farvi un giardino pubblico. Si trovavano davanti a Campo San Isepo, prospicienti sul Canal Grande

Chiesa di San Nicolò di Castello (sulla destra),

con la piazza aperta sul Canal Grande

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donna della Salute;subito dopo sempre suprogetto di BaldassareLonghena fu costruita lacasa religiosa, che furesidenza anche del go-verno provinciale dellaCongregazione, studen-tato per la formazionedei giovani religiosi esede delle pubblichescuole, celebratissimedurante il secondo Sei-cento e nel primo Sette-cento, anche se nell’ulti-ma fase risentirono deldeclino politico della Re-pubblica veneziana. La casa, soppressa e tol-ta ai Somaschi nel 1810,fu definitivamente de-stinata ad essere semi-nario patriarcale nel1818, anche per interes-samento di nostri exre-ligiosi, insegnanti nel se-minario patriarcale diMurano. Aveva una ric-chissima biblioteca che

fu spogliata ed andò ingran parte dispersa nel-la soppressione del 1810. Nel 1650 durante la co-struzione della chiesadella Salute vivevano incomunità in 30 stanze“vecchie ed in mal ordi-ne” 20 religiosi: 8 sa-

cerdoti, due chierici pro-fessi, cinque fratelli lai-ci, 5 novizi. Si aspetta-vano che presto potesseessere conclusa la gran-de fabbrica della Chiesadella Salute ed edificataper loro una più digni-tosa abitazione.

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gennaio marzo 2015 Vita soma-

La casa religiosa somasca della Salute

Il complesso attale della basilica della Salute. Al centro ben visibile la nostra ex-casa religiosa,ora seminario diocesano

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L’Accademia dei No-bili alla Giudecca fu af-fidata ai Somaschi nel1724: aveva lo scopo dieducare a spese dello sta-to i nobili caduti in po-vertà. Accoglieva di norma40 convittori, anche se ilnumero era solo indicati-vo e nel 1781 vi erano ben67 convittori. Vi risiede-vano sette religiosi, 4 sa-cerdoti e tre laici prefettiCon i Somaschi l’Accade-mia visse un periodod’oro. La guidarono il dot-to Padre Stanislao Santi-nelli, studioso ed educa-

tore, autore di una docu-mentata Vita di San Giro-lamo, molto apprezzataancora oggi, il cultore diDante P. Gaspare Leo-narducci e vi insegnò perun certo periodo il P. Ja-copo Stellini, poi profes-sore all’università di Pa-dova.Con l’arrivo di Napoleoneuno dei primi atti del neo-governo rivoluzionario funel 1797 l’immediata sop-pressione del Collegio.L’edificio fu incameratodallo stato e venduto aprivati. Nell’Ottocento i Somaschifecero tre tentativi perreinserirsi a Venezia econtinuarvi la loro attivi-tà. Purtroppo tutti e trefallirono sia per la sop-pressione dell’Ordine nel1867 e la conseguente di-spersione dei religiosi, siaper le difficoltà giuridi-che ed economiche di por-tare avanti come sempli-ci privati le varie attività. Ci resta il rammarico di

L’ex Accademia dei Nobilicome appare oggi, prospiciente il canale della Giudecca

Calle lunga dell’Accademia dei Nobili,

a sinistra della facciata

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non essere riusciti ad an-corarvi in modo stabile ilnostro fervore caritativo,pur avendo alle spalle unostraordinario impegno nelcampo dell’assistenza agliorfani, della scuola e del-la cultura, che si manife-stò in particolare nel Set-tecento, il secolo miglioreper la nostra presenza edazione nella Serenissima.Nel 1850 venne affidato aiSomaschi l’orfanotro-fio dei Gesuati (1850 -1881) con l’annessa Chie-sa dedicata alla Visitazio-ne, in cui i padri com-missionarono e fecero im-mediatamente collocareuna bella tela di san Gi-rolamo, ma la Congrega-zione si ritirò nel 1881. L’orfanotrofio diretto dalveneziano Padre Giusep-pe Palmieri, anima di tut-te le nostre opere dell’Ot-

tocento veneziano, con-servava due anelli dellecatene di San Girolamo,che dopo alterne vicendefinirono l’uno nella basi-lica del Crocifisso di Como

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Facciata posteriore dell’Accademia dei Nobili alla Giudecca

L’Accademia dei Nobili alla Giudecca. È rimasto anche il nome di una calle

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e l’altro in Centroamerica.I padri nel 1881 si sposta-rono provvisoriamente inuna casa vicina dei fratel-li Cavanis (ora scuola) edacquistarono il palazzoPisani, per aprirvi un con-vitto con scuola annessa.La seconda opera fu quel-la del Collegio Manin(1857 – 1867), un istitutodi beneficenza fondato dalnobile veneziano Ludovi-

co Manin. Iniziò la sua attività nel1833. Nel 1857 fu traferi-to nella zona di Lista diSpagna ed affidato allaconduzione dei Somaschiche vi rimasero fino allasoppressione del 1867.Contava circa 300 ragaz-zi, cui veniva impartitauna istruzione professio-nale come sarti, falegna-mi, fabbri, tornitori. Ai più dotati intellettual-mente veniva permessoanche l’accesso agli studi

superiori. Nel 1881 i So-maschi aprirono nel Pa-lazzo Pisani il CollegioEmiliani (1881- 1999)prima per l’accoglienza diorfani, poi come convittoe scuola per l’educazionedella gioventù. Difficoltàeconomiche e di perso-nale non permisero dicontinuare l’opera chevenne chiusa nel 1899. Ilnome di Collegio Emilia-ni passò alla casa di Ge-nova Nervi che iniziava ilprimo settembre del 1899

Ubicazione dell’Istituto Manin Il Collegio Emiliani era a fianco dell’attuale Accademia, sede del Museo

Prospetto laterale dell’antico Istituto Manin(oggi Hotel Principe)

L’attuale Hotel Ca’ Pisani,sede del Collegio Emiliani

dal 1881 al 1899

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L’unica opera che rima-ne ai Somaschi in Vene-zia è la Parrocchia delCuore Immacolato diMaria in Venezia-Me-stre. Una importantedecisione pastorale delCard. Angelo Roncalli fuquella di riportare i So-maschi nella sua diocesi,obiettivo raggiunto conl’assegnazione ai Soma-schi della Parrocchia del-la Madonna Pellegrinadi Mestre, località Alto-bello, una zona allorapovera e periferica: “Se-gno questa giornata frale più liete della mia vitapastorale a Venezia …per il ritorno alla loropatria di origine dei Pa-

dri Somaschi dopo unsecolo e mezzo di deso-lata assenza…. Appenagiunto a Venezia comePatriarca subito mi pre-sero il desiderio ed ilproposito di ricondurrequesta diletta e santafamiglia religiosa al suopunto di partenza. Oggitutto è compiuto!” (LibroAtti comunità di Mestre18 settembre 1955). La parrocchia, stimata eben inserita nella dioce-si veneziana, continuafino ad oggi la sua attivi-tà pastorale, la sua atti-vità scolastica con lascuola materna parroc-chiale, e l’opera caritati-va con la mensa quoti-diana dei poveri.

L’altare di San Girolamo nella Chiesa della Madonna Pellegrina, affrescato da E. Pellegrini

Zona della Chiesa della Madonna Pellegrina

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Il Villaggio “Cuore Amico”o “Miani Nagar”, in Than-namunai, Batticaloa, SriLanka, nato dopo lo tsu-nami, e’ stato per la Fa-miglia Somasca (Padri,Missionarie e Laici) la“dolce occasione” che Dioha proposto per realizza-re il nostro dover essere.

Nato con il supporto eco-nomico di “Cuore Ami-co” e di Associazioni e Be-

nefattori, si trova ora adessere una realtà viva incontinua evoluzione. Casa di accoglienza perle bambine e ragazze or-fane e abbandonate, ilCentro Medico, la ScuolaMaterna, il Laboratoriodi artigianato sono lestrutture fisiche, in cui leMissionarie Figlie di s.Girolamo portano avantile loro attività.Otto anni fa, quando fuinaugurata la struttura,la guerra civile era ancorain corso: siamo state te-stimoni di quegli anni dif-ficili, condividendo conla gente l’angoscia e lapreoccupazione per un fu-turo difficile da pianifica-re. Ma di una cosa si era si-curi, di essere nelle manidi Dio, e di avere il sup-porto di tanti.Abbiamo accolto il primogruppo di bambine in unacasetta in affitto, vicinoalla Chiesa parrocchiale.Una casetta di tre stan-zette, più una piccola cu-cina, è stata la residenzaper più di un anno, perquattordici bambine (indùe cristiane) e quattro mis-sionarie. L’emergenza nonera solo lo tsunami, ma laguerra civile in corso daoltre vent’anni e, comesempre, le persone più arischio erano le bambinee le ragazze delle famiglie

povere ed emarginate. La povertà era reale e vi-sibile, si sapeva di perso-ne che avevano un solopasto al giorno, e di tanteche mancavano dell’es-senziale; le case, se in mu-ratura, spoglie e disador-ne, se fatte con le foglie dipalma e lamiere, basse esoffocanti. La lingua tamil e le tradi-zioni culturali radicate dasecoli erano la realtà concui confrontarsi e metter-si in gioco ogni giorno.Dato che la gente del po-sto parla tamil fu contat-tata subito una religiosa diun’altra congregazioneche poteva insegnare lalingua. Ma sfortunata-mente questa suora tantodisponibile, si ammalò e lalingua tamil rimase unsogno.... in compenso, lebambine e ragazze impa-rarono presto l’inglese ederano loro spesso a fare datraduttrici per le tantepersone che bussavanoalla porta chiedendo unaiuto, un lavoro o sempli-cemente la condivisione diuna sofferenza o di una in-giustizia subita.Si era in una zona con-trollata dal gruppo “terro-rista” LTTE e dalla Polizia, ma nessuno dei due eraaffidabile, le nostre bam-bine erano terrorizzate da-gli uni e dagli altri, la pau-ra diventava palpabile

La persona al centro di tutto

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Vita e missioneVita e missione

sr. Maria Grazia Dessi

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Suore Missionarie Figlie di s. GirolamoSuore Missionarie Figlie di s. Girolamo

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quando scendeva la sera ele luci diventavano fioche,la paura anche di andarealla toilet esterna da sole... A Luglio del 2007, final-mente, ci si trasferì nellenuove case, e al primogruppo si aggiunsero altrebambine e ragazze. L’esperienza di una dellenostre ragazzine, che a 15anni,  nel giro di pochigiorni, si ritrovava sposa-ta con una persona a leiestranea, ci aveva fattocapire che la cultura e letradizioni erano ben radi-cate e a niente valeva pro-testare. Ciò che per noi era un so-pruso, un’ingiustizia a cuibisognava ribellarsi, perloro era il normale corsodella vita a cui sacrificarsi.Sacrificio era la parolachiave per capire la cul-tura e le tradizioni a cui ledonne, ancora adesso, de-vono sottostare. Soprattutto le ragazze po-vere e orfane sono quellemaggiormente discrimi-nate, quelle che pagano ilprezzo più alto in una cul-tura che le vuole comeornamento o come mercedi scambio. Ma se non era possibilecambiare una cultura conle sue varie tradizioni,potevamo almeno ren-dere coscienti le nostreragazze circa la dignità eresponsabilità che cia-scuna deve avere per sestessa e per ciò che è evuole essere, tenendosempre presente che pernoi cristiane, la primacultura da seguire è quel-la del Vangelo.

Abbiamo subito messoin chiaro con le ragazze erelativi parenti, che nonavremo pagato loro nes-suna “dote”, ma poteva-mo assicurare una edu-cazione (titoli di studio ecorsi vari), dove ciascunapoteva diventare re-sponsabile nel costruirsiil futuro.La persona è sempre ilcentro su cui ruotano tut-te le attività delle Missio-narie, questo vale per l’at-tività con le ragazze, valeper il Medical Centre,dove si è sempre disponi-bili a tutte le ore a dare unprimo soccorso, a chi ar-riva malato o ferito e valeanche per la Scuola Ma-terna che raccoglie tutti ibambini del villaggio edintorni.“La bellezza salverà ilmondo” di Benedetto XVIè diventata per noi unasfida da sfruttare, per ac-cogliere e far sentire “infamiglia” tutte le personeche ci avvicinano. Ci siamo rese conto che inun Paese da ricostruire, lanostra testimonianza do-veva essere tangibile, cre-dibile, fattibile. “Tangibile”: chi arriva nel-le nostre strutture, devevedere pulito e ordinato,sentire e respirare questaserenità, che mette in cuo-re sentimenti di pace, diarmonia. “Credibile”: da anni siamoqui a vivere con loro, a la-vorare e condividere conloro tutto ciò che succede(guerra civile, calamitànaturali, disagi di ognitipo), credendo insieme a

loro all’amore di Dio. “Fattibile”: lavorare, daretutte le nostre energie per-ché si realizzi il piano diDio, il suo Regno, ma an-che come ci insegna san Gi-rolamo, essere accorti nelcapire che: “quando vieneproposta una cosa buona,che non si può fare, biso-gna ritenere certo che è

tentazione luciferina”. Gesù ci ha già redenti,non siamo i salvatori dinessuno! Insieme a questi nostrifratelli siamo questo po-polo nuovo che costruisceil Regno di Dio nel MianiNagar, dove non si faniente di straordinario,ma tutto è straordina-

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Nella tranquilla Via della Moletta 10-28sorge un grande edificio dipinto con coloritenui, ma allo stesso tempo luminosi. Sitratta della scuola primaria e per l’infan-zia “Benedetta Cambiagio” o “Suore Be-nedettine della Provvidenza”. Il nome è le-gato all’opera della Madre FondatriceBenedetta Cambiagio, che dedicò la suavita a tanta gioventù abbandonata. La co-struzione di questa scuola risale al 1934,con una prima sede nella parallela a ViaPigafetta. La storia è una sorta di avventura inizia-ta nel lontano 25 giugno 1934 ad opera evolontà di tre coraggiose quanto deter-minate suore: sr Annetta Ivaldi, sr Lim-bania Baggini e sr Luigia Ravazzi, che par-tirono dalla Casa madre di Genova con l’in-tento di creare un asilo d’infanzia, un do-poscuola, una scuola lavoro e infine unoratorio estivo a Roma. Quale inizio mi-gliore se non un colloquio diretto con ilSanto Padre e la sua benedizione percreare e portare avanti la missione? In-coraggiate dalle parole del Papa: “Venitepure, mie care Figliuole, venite che c’èmolto da lavorare, anzi c’è una veramissione da compiere, non però nel cen-tro; ma nella periferia; andate dal-l’Em.mo Cardinale mio Vicario ed Egli viindicherà il luogo ove dovete fondare unamissione. Fabbricatevi una casa, unaChiesa e Noi penseremo a provvedervi ilSacerdote. Andate e dite che vi mando io”.Le tre suore vennero indirizzate a mons.Ercole, il quale si dimostrò entusiasta delloro progetto. Mise loro a disposizione treluoghi dove poter svolgere quest’attività:Viale Angelico, la Garbatella e infine Via-le Trastevere. La scelta ricadde sulla seconda giacché adetta di quest’ultimo, “quartiere vicino alporto di Ostia, una zona molto bella. Quivi si stabiliranno molti uffici e vi saran-no molti impiegati di modo che voi avre-

te molto da lavorare anche per la pre-senza di nuovi fabbricati ed il notevoleaiuto che potete apportare alle fami-glie”. Per prima cosa era necessario trovare i lo-cali per lo svolgimento delle attività sco-lastiche. Iniziarono non poche difficoltàdovute anche alle precarie situazioni fi-nanziarie delle quali esse disponevano, male tre suore non si scoraggiarono e, grazieall’aiuto e all’interessamento di mons.Ercole, trovarono una prima locazioneprovvisoria nei locali delle Ferrovie delloStato in Via Pigafetta. Lo stabile com-prendeva anche lo spazio per una Cappellae per i laboratori per un totale di 632 liremensili. Le tre sorelle furono entusiaste siadei locali che del posto, in quanto “zonaprotetta dal glorioso s. Benedetto, Patronodell’ istituto scolastico”. Trovata que-st’iniziale sistemazione, le suore partiro-no da Ronco Scrivia e, dopo un faticosis-simo viaggio, giunsero a Roma dove do-vettero superare altri imprevisti. La seradel loro arrivo trovarono l’alloggio com-pletamente vuoto e si videro costrette achiedere ospitalità allo zio di una delle tresuore. Ma, come si suol dire, “Le vie delSignore sono infinite!”.Piene di entusiasmo, le suore erano ani-mate a portare il loro aiuto alle famiglie po-vere del posto, augurandosi “di salutarepresto il giorno in cui l’opera di Madre Be-nedetta Cambiagio, tanto benefica, in-cominciata e bene avviata, sia salutaremissione per tante anime assetate dibene, palestra di virtù e di formazione cri-stiana a tanta gioventù abbandonata. Evenne quel giorno desiderato, il 2 ottobre1934, festa degli Angeli Custodi, il dì na-talizio della Serva di Dio Ven. Madre Fon-datrice, giorno benedetto in cui la nostraCongregazione potrà mettere piede nel-la città, tanto agognata, ove tutte leCongregazioni ed Ordini Religiosi desi-

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Delma Salis exalunna

e madre di exalunni

80° anniversario

BUON COMPLEANNO

Dico a te che sei annatoa la statale:

“Te vedo triste, fai trapelà er disaggio;

peggio pe te, amico, hai fatto male!

Perché nun te sei iscritto al Cambiaggio?”.

Quest’anno la scola compie ottan’anni

de preziosa presenza a Garbatella.

Er tempo è passato, ma nun ha fatto danni;

lei è sempre più giovane, più bella.

Conoscenza, rispetto, educazione.

L’impegno, l’orgoglio e anche er coraggio,

l’amore profuso in ogni azione;è questo che s’insegna

a la Cambiaggio.

Volemoje bene, tenemosela stretta:

perché è una fabbrica de valori umani,

sull’esempio de Madre Benedetta, se impara

a esse ommini cristiani.

Vengheno dall’Africa, dall’Asiae dai paesi che nun ve so dì.

Questa è la “scola” per antonomasia, l’altri

la sogneno na scola così.

St’ottanta candeline virtualidiffondeno na luce…

un calore … Questa, ragà, è na scola senza uguali;

tangibile miracolo d’AMORE

Tonino Bernabuzzi

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derano essere rappresen-tati…”.Nonostante il disagio ini-ziale, le suore cominciaro-no il loro percorso. Moltoimportante fu anche l’ap-poggio del parroco di SanBenedetto, al quale rivol-sero un’accorata lettera, dicui riportiamo un brevestralcio, così da poterne

capire i toni: “Voglia, quin-di, rev.mo Signore, dirci laSua parola buona ed es-serci di aiuto in questanuova ed ardua impresa,poiché non avendo prati-ca di Roma non saprem-mo in qual modo miglioreriuscire nell’intento, se nonappoggiandoci al Pastoredella Parrocchia di QuelSanto di cui noi siamo fi-

gliuole, perché appuntoBenedettine della provvi-denza. La scelta di codestazona in cui speriamo di po-ter esplicare un grandeapostolato di bene, è prov-videnziale e l’accogliamocon gioia; perché zonaprotetta dal glorioso S.Benedetto, che è pure ilPatrono particolare del

nostro Istituto”. Grazie al loro impegno ealla loro costanza, ben pre-sto inaugurarono l’istitutocon le prime quarantaiscrizioni benché non aves-sero neanche “una tavo-letta di legno e si scrives-se in piedi“.Persino alla mancanza deibanchi sopperì la gentiledonazione proveniente dal-

le Suore Dell’Orto e la pri-ma Cappella fu arredatagrazie alla generosità delVicario.Fu così nei primitre anni di vita. In seguito, l’aumento del-le iscrizioni dovuto al buonlavoro delle suore permisedi trasferirsi nello stabile diVia della Moletta 28, loroattuale sede dal 1938. Negli anni successivi lascuola ottenne l’equipara-zione agli istituti statali equesto comportò anchemodifiche agli ambienti. Oggi l’edificio, con adia-cente la vecchia palazzi-na, si sviluppa su tre piani;dispone di un ampio giar-dino, una Cappella internae la Casa per Ferie “VillaBenedetta”. Il lavoro ini-ziato dalle tre suore geno-vesi e proseguito dalle pri-me sei maestre si è aperto

anche ad insegnanti lai-che ed è tuttora apprezza-to sul territorio.L’inizio di quest’avventuraè segnato da alcuni curio-si aneddoti, come raccon-tano le prime suore: “Questa mattina ci fer-mammo un po’ dinanzi alportone sulla strada, efummo presto attorniateda un buon numero dibimbi ed anche di mammeche ci fecero mille doman-de, specialmente le mam-me si mostrano felici di po-ter avere con loro le suore,ci dissero che avremo unbuon numero di bimbi al-l’asilo e avrebbero anchevoluto le scuole, ma comesi fa subito a soddisfare atante richieste? Per ora ilcompito è fissato, in se-guito penserà Iddio aprovvedere. (Fra tutti miha fatto meraviglia unpiccolino, che poteva aver5 anni e che è uscito conquesta domanda: Quantofate pagare?) … tutte lecose vanno discretamente,ma si procede a piccolipassi, ma già Roma è eter-na in tutto, e i genovesipeccano di troppa fret-ta…”. Un altro è quello che si ri-ferisce all’incoraggia-

Suore Benedettine della ProvvidenzaSuore Benedettine della Provvidenza

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Profili Profili

“Il lavoro alimenta l’uomo”, scrive Ales-sandro Dumas, nella sua opera Il Contedi Monte Cristo. “Rispetta quello che haiimparato a fare, perché in ciò hai dedi-cato gran parte della tua vita; le coseche indirizzano la persona alla sua rea-lizzazione sono frutto della dedicazionee della costanza, ma soprattutto dellapassione e del piacere”. È questo il segno impresso in me da p.Stefano Gorlini, mio superiore, confra-tello, amico e padre.Era contento, quell’anziano (dovuto al-l’età), sempre con attitudine calma, amotivo dei colpi e delle sorprese che lavita gli ha riservato. Ma come è invecchiato? Sempre in ri-cerca del meglio per la sua Famiglia so-masca. Sì, è invecchiato nell’arte delservizio, tra il cielo limpido che lo bene-diva e la terra che lo accoglieva. Tutti igiorni accarezzava la sua terra e la sua fa-miglia, con le sue mani forti e pulite,come unica fonte di sostegno e di felicità.Ha affrontato la dura ed esigente sfidadella bontà, della misericordia e della ca-rità con i più bisognosi.Iniziava sempre la giornata mettendo lasua vita nelle mani del Creatore. Tantesono le sere che lo vedevo ritornare dopotante ore di lotta, e lo udivo ripetere lafrase lapidaria: “sono stanco”. La stan-chezza è la conclusione del buon ope-rare.Voglio affermare che questo padreera felice, e devono sentirsi orgogliosi co-loro che lo hanno conosciuto, perchéquest’uomo ricco di anni e di saggezza hariposato, questa volta eternamente.Non dimenticherò mai, quel pomeriggiodel 15 febbraio, giorno della sua morte.Il sole tramontava all’orizzonte e alletantissime mie domande non c’erano ri-sposte al perché della notte e del vuotodi quel momento. Ma perché fare domande? Sono inutili.

Padre Stefano, con Carmenza e Alicia(mamma e figlia, laiche somasche, de-cedute nel tragico incidente stradale)hanno incominciato un nuovo cammino,precedendoci. Lo scrittore argentino Er-nesto Sàbato scrive che “la notte ha dellerivelazioni che il giorno ignora, però lanotte non è meno meravigliosa delgiorno”. La morte di queste care personehanno fatto sì che le mie lacrime visitas-sero la notte e conoscessero l’oscurità. La notizia mi ha reso silenzioso, mentreuna lacrima scendeva dal mio volto e leparole rimasero frenate da un nodo allagola. Non sono più riuscito a contenerele lacrime e coprendomi la testa hopianto a dirotto. È stata una cosa neces-saria per liberare in parte il peso del do-lore e della mia grande angustia. I tre, sempre, si sono lasciati vinceredalla dolcezza della vita e dal servizioprestato al più debole.La morte rappresenta sempre una sor-presa… in agguato! Una sorpresa sem-pre possibile.Undici giorni prima io stavo celebrando

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P. Stefano GorliniJosé Montaña

“Il cammino dell’amore spinge sempre ad andare oltre...”

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la vita, il mio compleanno. Quelgiorno, ricordo che p. Stefano miaveva augurato: “Dio ti benedica esan Girolamo ti accompagni nelcammino quotidiano di servire ipoveri”. Durante il tempo condivisocon p. Stefano ho imparato che:“Non si insegna ad amare, ma sidimostra come si ama”. Ricorderòsempre il suo fresco saluto al mat-tino: “caracoles”, “ole chino”,“dònde andas”. È stato esempio permolti religiosi, la figura del vero so-masco, guida che conosceva il cam-mino, dolce come una mamma,forte come un diamante.Nei momenti aridi del mio cuore miregalava delle perle preziose: “Ilmale è una evidenza che non ha bi-sogno di dimostrazione, è necessa-rio invece dimostrare il bene”;“bisogna aiutare il più debole, dareuna mano a chi è nel bisogno senzaattendere un grazie, la stessa vitasi incaricherà di ringraziare”;“dobbiamo avere fiducia nellaProvvidenza”.Sempre attento alle ‘ferite’ dei suoiragazzi: niente per lui era futile o in-

sipido, al contrario, erano momentiprecisi per indicare cammini di li-berazione e di salvezza. Concludevasempre l’intensa giornata recitandoil santo rosario. In tante circostanzeho ascoltato i commenti delle per-sone: “Alla sua età… guarda cosafa ancora, ripara macchine e gron-daie, costruisce armadi, ripara letegole, ecc. È un uomo poliedrico,un tuttofare”. Titolo ben meritato.Mi ha insegnato che la vita è fatta dipenna (l’educazione), di pennello(l’arte di vivere) e di scalpello(l’amore al lavoro). L’apatia non erasua compagna di viaggio, avevasempre la capacità di rialzarsi e rea-lizzare qualcosa di buono. Mi ha insegnato che non bisogna ri-schiare niente per il proprio torna-conto, ma pensare al bene comune.Il suo cuore trasudava allegriaquando un lavoro era ben fatto. Maiha permesso che la mentalità delmondo lo distogliesse dalla sua mis-sione. Quante volte l’ho visto fer-marsi in silenzio davanti allagrandezza dell’Eucaristia, il suogrande amore!

Mi ha sempre manifestato il suo ap-prezzamento personale sincero,anche di fronte alle mie pazzie…; seun giorno avessi deciso di buttarmida un precipizio, lui non sarebbesaltato con me, ma mi avrebbeaspettato sotto per salvarmi. Così me lo ha dimostrato.Amico dell’orologio, sempre pun-tuale, soprattutto quando si trattavadelle cose di Dio: “Ogni istante è illuogo vivo e il momento preciso chesuccede una sola volta”. Condivi-deva con me i messaggi scherzosiche apparivano sul suo cellulare eche riteneva inutili, così pure laquantità di funzioni che secondo luicomplicavano la vita. Ma apprez-zava enormemente il servizio avan-zato prestato dalla tecnologia,aggiornandosi continuamente.Le rughe e i suoi capelli bianchi nonsono apparsi gratuitamente, cosìpure il brillo dei suoi occhi e la sin-cerità del suo sorriso: erano fruttodel lavoro ben svolto e portato a ter-mine. Mi angoscia ripensare al tra-gico incidente di transito e al modoin cui è avvenuto. A p. Stefano, Car-menza e Alicia, va il mio grazie sin-cero, mentre cerco ancora diassimilare questa tragica morte congli occhi della fede e della speranzaper aprirmi alla fiducia. Tra i moltimessaggi ricevuti per l’occasione,riporto la frase di un amico: “Ri-corda le parole di Gesù: ‘Io resteròcon voi’ e anche quelle di san Giro-lamo: ‘Vi sarò più utili dal cielo’.Infatti p. Stefano ti ha insegnato acredere e ad essere forte, non lo de-fraudare adesso”. Finalmente, vo-glio ricordare le parole di E.Levinás: “La vera umanità del-l’uomo è quella di vivere per unaltro uomo”. Grazie p. Stefano dellatua testimonianza, quella di avermesso in pratica lungo tutta la tuavita religiosa-sacerdotale il mottodel nostro fondatore san Girolamo:“Vivere e morire con loro”.

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Nel visitare Venezia sulleorme di San Girolamo edelle istituzioni del pas-sato dirette dalla Congre-gazione dei Padri Soma-schi mi sono imbattuto inalcune tele rappresentan-ti il nostro Fondatore, chehanno suscitato la miaemozione: si rinnova sem-pre il prodigio dell’arteche parla ai nostri sensi, alnostro cuore, alla nostraintelligenza.

Nel museo dell’Accademia,un tempo monastero della

Carità, che costituisce oggiun autentico scrigno dellapittura veneta con tanteopere di una bellezza stra-ordinaria dipinte da Gio-vanni Bellini, dal Carpac-cio, dal Lotto, dal Verone-se, dal Tintoretto, da Gio-van Battista Tiepolo, per ri-cordarne solo alcuni, mi hacolpito un grande telero,l’unico di Tiziano, che raf-figura la Presentazione diMaria Bambina al tempio.Esso si trova ancora nellasua collocazione originale,in una sala dell’albergo diSanta Maria della Carità, inquello che ai tempi di Gi-rolamo era la Scuola an-nessa al monastero, overisiedeva il direttore spiri-tuale del santo ed ove egliabitualmente si recava. Tutta la parte destra del di-pinto è dominata dalla lu-minosa figura di Mariabambina che sale gli scali-ni del tempio, con una pro-

spettiva dal sotto in su,mentre la parte sinistra equella centrale, collocatesullo stesso piano dellospettatore, sono straripantidi personaggi: un prete-sto per dipingere la vitareale di Venezia, con i piùsvariati tipi, gli uomini e ledonne del tempo, ed alcu-

ni confratelli della Scuola;tra coloro che guardano lospettacolo da una finestrac’è anche lo stesso Tizianocon la moglie.Tra i tanti particolari cistupisce il patrizio alla si-nistra del quadro, appenaentrato in scena da un’ar-cata, che consegna del de-naro ad una donna che hain braccio un bimbo semi-nudo e che con la sua pre-senza e con il colore del suoabito separa questo perso-

Nostra storiaNostra storia

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San Girolamo a VeneziaSecondo l’iconografia di Tiziano Vecellio e Alessandro Revera

p. Giuseppe Oddone

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naggio dagli altri che sem-brano mettersi in mostranel corteo. Poco sotto un altro ragaz-zino implora un aiuto, pro-tendendosi in alto. Tre mani ravvicinate: quel-la del patrizio un po’ tra-sandato nell’abbigliamen-to in confronto all’elegan-za impeccabile degli altri,quella della donna che ri-ceve il denaro, quella delbambino che attende conansia.Il quadro, iniziato nel 1534,è contemporaneo a Giro-lamo Miani. Nella tradizione della Con-gregazione è rimasta lafama di un ritratto del san-to, dipinto dal sommo Ti-ziano; ma al di là di qual-che vaga notizia non se neè trovato traccia. Per questo motivo moltihanno ravvisato nel patri-zio che pratica la carità,l’immagine di Girolamo,al tempo conosciuto ed ap-prezzato per le sue inizia-tive a favore dei poveri edei putti derelitti.Purtroppo, come si puònotare da un’antica stam-pa che riproduce l’operanella sua integrità, l’aper-tura di una seconda portanel primo Seicento ha par-zialmente mutilato il tele-ro in questa parte, taglian-do il piano d’appoggio e laparte inferiore di alcune fi-gure, sacrificando ad esem-pio lo slancio del bimboche sale un gradino peravvicinarsi alla mano che fala carità, mentre la donnasi volta intanto che lo di-scerne. È una scena pro-fondamente umana fuori

dal corteo compassato de-gli altri patrizi partecipan-ti, preoccupati di appariresulla scena: in questo an-golo si vede circolare lavita, la carità stessa, nei vol-ti, nell’incontro degli sguar-di, nelle mani che si cerca-no.

Un’altra tela lungamentecontemplata, anche se dicarattere devozionale, èstata la pala d’altare nellaChiesa della Visitazione aiGesuati, dov’è rappresen-tato Girolamo Emiliani cheaffida alla Beata Vergine isuoi orfanelli. Fu il rettore dell’orfano-trofio P. Luigi Gaspari acommissionare quest’ope-ra, ad indicarne l’idea cen-trale e la finalità ed a con-

cordarne il prezzo il 4 ago-sto del 1859 con il pittore“distinto” Alessandro Re-vera. I Padri Somaschi resserol’opera caritativa e la Chie-sa dal 1850 al 1881.Maria ha lo sguardo e lebraccia aperte rivolte ver-so il basso, per assicurarela sua protezione: con la si-nistra la Vergine trattieneun lembo del suo mantel-lo come per protenderlo eper coprire con esso il San-to ed i suoi orfani. Girolamo parzialmente in-ginocchiato è rappresen-tato di scorcio, anche luicon le braccia allargateverso l’alto in un gesto diofferta e di preghiera: difianco la palla di marmo ele catene della prigionia.

I tre gradini ambientano lascena ai piedi di un altaree con lo sfondo di una chie-sa: sul primo scalino è in-ginocchiato un ragazzettocon l’abito tradizionale de-gli orfani dell’Ospedalettodi Venezia, gestito fino al-l’epoca napoleonica dai So-maschi, sul secondo un al-tro in abiti borghesi, sulterzo un orfanello con lacamicia lacera ma con unacascata di riccioli d’oro.Tutti e tre sono in atteg-giamento di profonda de-vozione e preghiera. Il qua-dro molto espressivo con-tinuava a ricordare ai re-ligiosi ed ai ragazzi chefrequentavano l’Istituto,ben rappresentati dai trebambini in preghiera,l’amore per i piccoli e lamissione di carità del san-to veneziano GirolamoEmiliani, sotto la prote-zione della Vergine Maria.

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“Niente è meno cristianodella gerarchia”. Così con piglio pacato ecantilena veneta l’attricee regista Giuliana Mussopiemontese trapiantata aUdine dà vita ad uno spet-tacolo che fa meditare e ri-flettere sul difficile itine-rario educativo che i gio-vani seminaristi dovevanosubire (o subiscono an-cora?) nel loro itinerarioformativo prima di potereaccedere al raggiungi-mento del desiderato sa-cramento dell’ordine che liplasmava sacerdoti ineterno.“La fabbrica dei preti“,così si intitola lo spettacoloche raccoglie in tante cit-

tà italiane successo e ap-plausi prolungati rico-struisce e propone rifles-sioni drammatiche sullavicenda umana di tre an-ziani sacerdoti che guar-dano alle loro spalle letormentate contraddizio-ni e le rigidità che hannoaccompagnato la loro for-mazione religiosa. Tutto nasce dal forte im-pegno di don PietrantonioBellina, sacerdote friulanonato a Venzone (Udine)nel 1941 e morto nel 2007,che ha narrato la sua vi-cenda umana in un volu-me “La Fabriche dai pre-dis“, quattrocento pagine,in puro dialetto friulano,nelle quali descrive i tra-gici equivoci che soffoca-no libertà e personalità ditanti giovani che nel se-minario, per motivazionidiverse, cercavano unastrada di impegno e di vo-cazione originale. Sembrache alle autorità del semi-nario interessi piuttostopiegare gli alunni intelli-genti invece che animarequelli più scialbamenteremissivi e servili.Una immagine del semi-nario immutabile dai tem-pi del Concilio di Trento, inuna dimensione socialeiperconservatrice e ovvia-mente sessuofobica finoai confini del ridicolo. Ov-viamente, in una strutturadi gerarchia contradditto-ria con quanto si leggenelle pagine evangeliche. Lo spettacolo inizia con il

ricordo di Giovanni XXIIIche nella sera dell’apertu-ra del Concilio Vaticano ri-volse un famoso invito aicredenti accorsi in piazzasan Pietro: “Anche laluna… si è fermata aguardare. Tornate a casae fate una carezza ai vo-stri bambini e dite che è lacarezza del Papa”.Subito il reazionario car-dinale Giuseppe Siri fecesapere che il discorso eraapparso “sconveniente” efece scrivere sul quotidia-no genovese “il Cittadi-no“ che i guasti del Conci-lio non sarebbero staticancellati prima di cin-quanta anni. Giuliana Musso dà vocedapprima ad un timidoprete che ha scelto, ad uncerto punto della sua vita,di sposarsi e di scegliereuna vita nella pienezzadella tensione di amoreverso una donna, incon-trata nella pienezza di unsentimento, che smentivatutte le deformazioni “dia-boliche” che sulla figurafemminile gli erano stateproposte in seminario. Epoi la rappresentazione diun sacerdote seriamenteanticlericale così come in-segnano i vangeli letti nel-la loro giusta interpreta-zione di vocazione allaeguaglianza tra i membridella ecclesia. Infine un prete poeta, ope-raio, che cerca di allonta-narsi dai privilegi che lafunzione sacerdotale im-

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Matteo Lo [email protected]

Giuliana Musso

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La fabbrica dei preti

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pone alle ipocrisie dei benpensanti. Mentre altro ci vuole nella società seco-lare, nella quale alle piazze piene di cre-denti in esaltato protagonismo da stadiosi oppongono chiese disperatamentevuote e vocazioni latitanti in modo tra-gico. Lo spettacolo mira a dare alla figu-ra del prete una struttura mossa dalla fe-lice considerazione che accompagnava lesofferenze di don Primo Mazzolari, che

amava ricordare “Voglio servire la chie-sa in piedi” oppure “condannato al mar-tirio della moderazione”. Troppo spesso anche nelle cronache ci sioccupa di scandali poco cristiani che in-vestono qualche sacerdote, mentre la di-sciplina burocratica viene presentatacome intoccabile. Del libro di don Bellina non esiste più co-pia in circolazione. Lo spettacolo di Giuliana Musso navigatra ironia, rabbia e commozione. E alla fine della rappresentazione glispettatori si interrogano su un cristia-nesimo che si vorrebbe vivesse nei fattiquotidiani per trovare un fermento evan-gelico autentico. Franco Ferrarotti, au-torevole sociologo, ebbe a dire tempo fa:“sembra che il cristianesimo nel 2000debba ancora iniziare”. Roba che papa Francesco potrebbe anchearrabbiarsi, ma è certo che sarebbe me-glio pensare non ad una “fabbrica di pre-ti”, ma ad un costume di solidarietà in cuitutti possano testimoniare una vita inconcreta ricerca della verità che abita nel-l’amore da costruire.

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Il nome di Floribert Bwa-na Chui va ricordato, lasua storia conosciuta: unbel libro la racconta (“Ilprezzo di due mani pulite”Paoline 2014). Era un giovane congolesedi 26 anni, viveva a Goma,città di confine col Rwan-da. Era caposervizio del-l’Office Congolais de Con-trôle, agenzia che vigilasulla qualità delle merci inentrata ed uscita dal pae-se. Più volte avevano ten-tato di importare in Con-go riso avariato o zucche-ro mischiato a polvere divetro e loro lo avevanoimpedito facendo distrug-gere tali merci. Nel luglio2007 ci tentano ancora,offrendo a Floribert 1.000,poi 2.000, 3.000 $, unafortuna da quelle parti! Lui rifiuta e arrivano le mi-nacce. Siamo all’indoma-

ni delle ultime elezionipolitiche seguite ai terribilifatti del genocidio rwan-dese e della successiva“guerra civile del Congo“.La corruzione è diffusissi-ma: il paese è al 160° po-sto su 176 nell’indice dipercezione della corruzio-ne di Transparency Inter-national. Nella provinciadi Goma la povertà è dif-fusa, ma lo è anche l’ideache da ora in poi ci si pos-sa arricchire in fretta. Il clima è pesantissimo, laviolenza frequentissima,per pochi soldi si uccidechiunque. Floribert era unmembro della Comunità disant’Egidio, si occupavadei maibobo, i ragazzi distrada che vivono in ban-de, che tutti temono, chenessuno vuole avvicinare.Rifiuta i soldi e viene ra-pito, torturato ed ucciso.

Il 9 luglio 2007 il suo cor-po viene trovato, stran-golato, i denti rotti, unbraccio spezzato, sul cor-po segni di gravi ustioni.Una settimana prima ave-va telefonato ad un’amicareligiosa cercando soste-gno. “Il denaro prestosparirà, diceva, e invece lepersone che dovesseroconsumare quei prodotti,cosa sarebbe mai di loro?”e continuava: “Se accettotutto questo vivo nel Cri-sto o no? Vivo per Cristooppure no? Come cristia-no non posso permettereche si sacrifichi la vita diqualcuno. È meglio mori-re piuttosto che accettarequei soldi“. Floribert è unmartire dell’integrità difronte alla corruzione. La corruzione, insieme allaguerra, è madre di tutte lepovertà, nel terzo mondocerto, ma anche da noi. InItalia “Crisi economica e

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La testimonianza di Floribert Bwana ChuiBasta corruzione!

Marco [email protected]

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corruzione procedono di pari passo, in uncircolo vizioso, nel quale l’una è causa edeffetto dell’altra”, lo ha ricordato, per l’en-nesima volta, ancora di recente, il presi-dente della Corte dei Conti. E il Santo Padre, quante volte ne ha par-lato! “La corruzione non è solo un atto,ma uno stato, personale e sociale, nelquale ci si abitua a vivere”. C’è una vi-gilanza da esercitare ed una lotta da so-stenere, tanto nella coscienza di ognunoche nell’arena sociale e culturale, controquell’ “avidità del denaro che è la radi-ce di tutti i mali, contro la forza ed il fa-scino della dittatura del guadagno facilee dell’avere”. La corruzione poi, è fun-zionale a tutte le mafie. Se per trovare un

lavoro è necessaria una raccomanda-zione, se per un avanzamento in carrie-ra bisogna dare qualcosa in cambio, ma-gari anche solo sottomissione e acquie-scenza, se per vincere un concorso uni-versitario o un primariato in un ospeda-le occorre avere un padrino, se un poli-tico che vince le elezioni sceglie gli uominia cui affidare gli incarichi in base alla loroappartenenza, se la meritocrazia in Ita-lia è una parola vuota, per cui i migliorisono costretti ad andare all'estero, pen-sare di estirpare la mafia senza aver pri-ma modificato questo tessuto socialeche ci caratterizza è un'impresa impos-sibile. Nando Dalla Chiesa, sociologo tra i piùesperti di criminalità organizzata, hascritto che non basta più votare per can-didati onesti, occorre votare persone ca-paci di non far rubare gli altri, “non ani-me buone, ma combattenti”. A Floribert in Congo è stato dedicato uncentro di salute ed una scuola. La sua te-stimonianza ci deve scuotere e far ver-gognare, noi che ancora non abbiamo sa-puto scrivere una legge anticorruzione de-cente. Estirpare la corruzione, per supe-rare l’attuale crisi economica è un dove-re di noi occidentali che avremmo le ri-sorse non solo per stare meglio tutti noi,ma anche per fare molto, molto di più perla pace e lo sviluppo del terzo mondo.Da lì oggi ci viene una lezione di san-

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La Città di DajabonRepubblica Dominicana

La gioia dello stuporeIniziando un anno altrove…

Elisa Fumaroli 26.01.2015 comincia l’avventura! Il viaggio con una valigia in cui avrei vo-luto far entrare molte più cose di quel-le che ci stavano, l’arrivo in un luogo maivisto, i primi giorni in esplorazione, inascolto, a volte in ozio o in solitudine. En-trando in questa realtà sconosciuta inpunta di piedi, con le orecchie tese e ilcuore aperto. Lasciando spazio alle prime impressio-ni, sapendo che, a volte, l’apparenzainganna e a volte l’istinto sa il fatto suo!Dopo una decina di giorni, inizia a essereun po’ più chiaro cosa potrei fare e, dopouna riunione con il padre superiore e lealtre figure educative, l’8 febbraio cam-bio casa!! Quale miglior auspicio della fe-

sta di san Girolamo per spostarmi nel-la “casa 8” dell’internado e cominciarela vita con questi piccoli!! O meglio con queste ragazze che hannotra i 13 e i 18 anni e che arrivano la do-menica pomeriggio, chiacchierando eraccontando del loro fine settimana in fa-miglia. Sono 17 ragazze, vengono dapaesi più o meno lontani e studiano inuna scuola qui in città, per cui restano nelcentro dalla domenica sera al venerdìmattina. Verrebbe da pensare che siamoun dormitorio, ma basta qualche sera quicon loro per veder nascere un rapportoche via via si sta facendo più significati-vo e coinvolto. E ogni giorno che passa rende più evi-

Dalla città di Dajabon (Repubblica Dominicana), dove i religiosi somaschi

sono presenti dal 2010 a seguito del terribile terremoto

che ha colpito Haiti, ci giunge la testimonianza

di Elisa Fumaroli, dell’equipe MLS. Ha deciso di dedicare parte della sua vita a condividere

sofferenze, gioie e speranze di tanta gioventù bisognosa.

Percepiamo la sua scelta coraggiosa come uno dei frutti maturi e più belli

del Movimento Laicale Somasco

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dente la bellezza di con-dividere pezzi di vita. E spazi di confronto chenon sempre sono vissutinell’armonia, perché le li-tigate non mancano, mache spingono comunque acrescere nei tempi di stu-dio, nelle chiacchiere, inpreghiera, con risate, di-scussioni e momenti difesta e di riunione, perdecidere insieme le rego-le e gli orari più opportu-ni. A proposito, la svegliasuona alle 6 e la musicaitaliana che invade la casapare mettere tutte di buonumore, nonostante il son-no pervada ogni volto. Ladoccia fredda risveglia etempra e si parte allagrande… dopo la nostra

preghiera insieme e la co-lazione, per chi ha vogliadi energia. Rientrano nelpomeriggio a scaglioni, aseconda dei compiti e cor-si che fanno nel “ColegioSanto Ignacio de Loyola”o della stanchezza che lispinge a tornare a casa ilprima possibile. C’è tempo per tutto: pergiocare, riposare, scher-zare, studiare, fare unapartita a calcio, una sfidaa pallavolo, far merenda,guardare un film sul pc.Qualcuna partecipa ai ve-spri, le altre si preparanoe dopo cena (se non è ilnostro turno di lavare ipiatti) torniamo a casa erimaniamo fuori a parla-re e scherzare con i coe-tanei fino a quando le zan-

zare non ci divorano! Poi si studia, si preparanodivisa e zaino per il gior-no successivo e si va adormire… anche se a vol-te è un’impresa perché ilchiacchiericcio tipico del-le fanciulle rimane il sot-tofondo costante e ci vuo-le un po’ per tornare al si-lenzio della notte.Forse la descrizione delsusseguirsi delle azionidel quotidiano non rendemolto del clima che si re-spira… ma chi ha parteci-pato a un campo estivo oancor più a una settimanacomunitaria avrà benchiaro ciò che avviene ecome si sta, nella condi-visione del tempo libero,di studio o di confronto. Sì, perché la vita comuni-

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taria ti butta dentro le cose, senza pre-avviso e senza riserve, ma con la gioiadello stupore per tutto quello che avvie-ne a dispetto della fatica e dei problemiche sempre ci sono, ma che, con un piz-zico di coraggio e di fede, trovano il piùdelle volte una buona soluzione.Ho parlato della casa 8, perché è quellain cui vivo e che conosco meglio, macome questa ci sono un’altra casa di ra-gazze e altre 3 case per adolescenti, chefrequentano la medesima scuola e che,insieme, formano un gruppo di circa 70ragazzi che condividono spazi e occasionidi crescita. A movimentare la vita di ogni giorno, cisono anche 30 bambini e bambine del-l’internado, minori orfani o con una fa-miglia che non riesce a seguirli a dove-re in settimana, ma che vanno a casa (daun qualche familiare più o meno vicino)dal venerdì alla domenica. In loro assenza il centro vive in un si-lenzio quasi insopportabile! Perché, ovviamente, questi bambini che

hanno tra i 6 e i 10 anni, sono vivacissi-mi, con una carica di energia, voglia digiocare e stare all’aperto enorme! Non stanno molto dentro le regole, nonsono particolarmente ubbidienti, ma sicapisce che in realtà cercano una pre-senza adulta non solo calda e rassicu-rante, ma anche capace di farsi rispettaree di creare un clima ordinato, in cuiognuno abbia il suo spazio. Le bambine sono più tranquille, ma nonmeno curiose e attive, sempre pronte agiocare e a coinvolgere in balli e canti. I pochi preadolescenti sono quelli che piùrichiamano l’attenzione non solo perchémettono alla prova e stuzzicano chiun-que, con quell’atteggiamento altalenan-te tra il “sono grande, faccio da solo” eil “sono ancora bambino, stammi vici-no”, ma perché hanno proprio bisogno evoglia di provarsi, di trovare il loro spa-zio e di essere visti!Nello stesso immenso Centro c’è ancheuna nuovissima scuola, con uno spazioverde intorno che è la gioia di tutti du-

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rante la ricreazione e lapausa pranzo. Per ora èaperta solo la scuola ba-sica e prescolare (il nostroultimo anno di scuola del-l’infanzia e la scuola pri-maria), in cui ci sono cir-ca 200 alunni, con 30-38alunni per classe! È bel-lissimo vedere le attivitàche svolgono, l’impegnoche ci mettono alcunibambini, la fatica di altria seguire e la voglia tipicadi tutti i piccoli di pri-meggiare e finire in fretta.Ed è una gioia guardarliapprendere e crescere digiorno in giorno, anchecon piccoli passi, accom-pagnando chi è più indie-tro a imparare a leggere escrivere. Alfabetizzare bambini di 9o 10 anni che arrivano dascuole pubbliche e nonhanno raggiunto una co-noscenza sufficiente dellospagnolo, oppure vederlipartecipi e coinvolti in in-contri su valori come il ri-spetto, l’amicizia, la con-divisione, a fronte di at-teggiamenti aggressivi ebellicosi che qui sono mol-to diffusi, anche tra i piùpiccoli. La loro sete dipresenza è costante. Ti fermano ogni volta cheti incrociano, ti chiamano,ti invitano a stare conloro, entrare in classe adaiutarli o a fare una lezio-ne alternativa. Trasmet-tono vita pura. Anchequando non smettono dilitigare, di rincorrersi, diinventare giochi con i car-toni dei brik del latte o conmazze da baseball e palli-ne improvvisate con qual-

siasi cosa.E per finire, c’è il mondodella parrocchia che i Pa-dri Somaschi hanno rice-vuto dal vescovo, ma che

sfortunatamente non sitrova nei pressi del centroeducativo San JeronimoEmiliani, a Dajabon, ben-sì in una cittadina sul

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mare che si chiama Man-zanillo ed è a mezz’ora diauto. Per ora le personecoinvolte e che parteci-pano assiduamente sonouna quarantina, ma c’èvoglia di fare, di cammi-nare insieme e chiamarealtri, allargare il cerchio. Ilgruppo dei ministranti(anzi delle ministranti,quasi tutte femmine) ènumeroso, così comequello dei giovani che par-tecipano all’incontro delvenerdì e che arrivano an-che dalle zone vicine in cuici sono solo cappelle, chesono però fulcro nelle va-rie comunità, in cui i padricelebrano la Messa ognidomenica. Le attività chesi potrebbero proporresono tante e l’entusiasmonon manca, almeno in al-cune persone più coinvol-te e che collegano la par-

rocchia alle ramificazioniterritoriali. Che altro dire?Sono stata accolta moltobene, la comunità sta cre-scendo, ogni giorno si co-struisce qualcosa di nuo-vo (fisicamente e in sensofigurato) e i più piccoliriempiono le giornate dicolore e vivacità! Insom-ma, la vita qui mi piacemolto. Non solo per quel-lo che si fa o per le attivi-tà che ci sono. Ma perchéha dei ritmi umani. Il tem-po scorre veloce, sì, comesempre quando uno stabene… ma senza lasciarequella sensazione tre-menda di vederlo sfuggi-re tra le dita come se unolo perdesse. O di correrglidietro e inseguirlo senzariuscire a raggiungerlo! Ogni giornata è diversa,sempre nuova, nonostan-te i ritmi costanti. Che

però hanno il vantaggio didare stabilità e permetto-no di prendere fiato. E di fermarsi a volte. Per contemplare il cielo. Per dire una preghiera.Per salutare chi si incam-mina verso la scuola. Per abbracciare un bam-bino che sorride e ti apreil cuore. O fare il solleticoa uno col muso per ve-derlo ridere di nuovo. Per ascoltare chi ha biso-gno di alleggerirsi. Per condividere con chi havoglia di raccontare. Per seminare piccoli gestidi amore. E ricevere mol-to più di quello che dai. E questo si può fare ovun-que. Perché “Ci sono mol-ti luoghi, ma condivido-no tutti lo stesso cielo!” E allora buon cammino.Ognuno nel suo luogo,ma insieme sotto lo

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In memoriaIn memoria

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p. Vittorio PiubelliniA 72 anni, è deceduto improvvisamente il 4 gennaio 2015, a Rreshen (Albania). Originario di Lurate Caccivio (CO), percepisce la chiamata del Signore e a 15 anni entranel probandato di Corbetta (MI). Dopo il noviziato, gli studi teologici e la professionereligiosa, viene ordinato sacerdote nel 1971. Impegnerà la sua vita in diversi campi: ani-matore vocazionale, assistente giovanile, educatore, insegnante. Sarà nominato supe-riore in diverse comunità (Statte, Morena, S.ta Maria in Aquiro - RO). Nel 2005 vieneinviato alla comunità di Rreshen (Albania) e dal 2013 assumerà l’incarico di superioree delegato della Delegazione provinciale. Un confratello così lo ricorda: “…uomo umile,buono e, nello stesso tempo, anche deciso, convinto, entusiasta nel comunicare Gesù aquelli che ancora non lo conoscevano. Mi piace ricordare p. Vittorio nel suo stile imme-diato, semplice e simpatico con i ragazzi e i giovani, nel lavoro educativo. Nella scuola(Qendra Profesionale “Sh. Jozefi Punetor”) e nel convitto, con gioia e semplicità, ha cer-cato di portare Gesù nel cuore dei ragazzi che stanno preparando il loro futuro. Nello stesso tempo non si è mai risparmiato, seppur non più giovane negli anni, nel ser-vizio missionario nei villaggi: non si è stancato di correre su e giù per la Mirdita, per an-nunciare la Buona Notizia della Salvezza, lottando con tutto se stesso per superare le dif-ficoltà della lingua, della cultura, delle strade e delle condizioni fisiche. Ha dato tutta lasua vita per i fratelli, in nome di Gesù, senza risparmiarsi”. (p. Michele Leovino)

p. Giuseppe AlessandriaA 88 anni, è deceduto l’1 febbraio 2015, a Narzole (Cuneo). Originario di La Morra (Cu-neo), a 12 anni entra nel seminario di Cherasco come aspirante iniziando il suo cam-mino formativo. Al termine del noviziato (1945) emette la professione religiosa, e do-po gli studi di teologia sarà ordinato sacerdote a Roma (1955). Dopo un breve periodotrascorso in Italia, sarà destinato alla Provincia Centroamericana dove per oltre 30 an-ni svolgerà un fecondo apostolato di bene in diversi campi, nelle comunità somaschedel Salvador e del Mexico: formazione dei giovani seminaristi, parroco e superiore. Così i confratelli lo hanno voluto ricordare: “Ringraziamo il Signore per i numerosi be-nefici che ci ha concesso grazie alla presenza e all’azione di p. Giuseppe. Ricordiamo il suo stile, l’amore per il lavoro silenzioso e pieno di passione, la sua vitaseminata di preghiera, la sua capacità di ascoltare le persone; la serena allegria e il suoraffinato senso critico, la sua tenerezza con i piccoli e la gente più bisognosa. Portiamo nel nostro cuore e nella nostra memoria l’immagine di un missionario inna-morato di Cristo, che seguendo la via del Crocifisso, sullo stile di san Girolamo, ha col-laborato per far germinare e crescere in Centro America e Mexico l’opera del Risorto”.

p. Umberto Stefano GorliniA 73 anni, è deceduto il 15 febbraio 2015, a Villavicencio (Colombia), a seguito di un in-cidente stradale. Entra molto giovane nel seminario di Corbetta (MI). Nel 1959, al ter-mine del noviziato, emette la professione religiosa. Dopo gli studi di filosofia e teologiaviene ordinato sacerdote nel 1970. Nel settembre dello stesso anno, giunge in Colom-bia, destinato al seminario vocazionale di Zetaquira. In seguito i superiori lo assegna-no alla comunità di Tunja per avviare un'opera in favore della gioventù bisognosa.Eserciterà il ministero pastorale e gli incarichi educativi in differenti comunità: Cen-

tro san Jerónimo Miani, di Bogotá; Villa san Jerónimo, a Rionegro-Antioquia; CentroJuvenil Amanecer, di Bucaramanga; Lugar de Paz, in Pinchote–San Gil. Tuttavia la suaattività principale si è svolta come rettore del Centro Juvenil Emiliani di Tunja, doveha lasciato orme profonde. Nel 2002, viene eletto Preposito provinciale della Provin-cia Andina. Più recentemente, gli venne affidata la direzione del Centro san JerónimoMiani, di Bogotá, con l'incarico di far avanzare anche il nuovo progetto a Ciudad Bolí-var. Padre Stefano è stato un religioso apprezzato dai confratelli per la sua testimo-nianza di vita religiosa, per le sue capacità organizzative, per le sue doti di dialogo, umil-tà, semplicità, paternità e disponibilità al servizio soprattutto dei bambini e dei giova-ni. E’ stato un uomo poliedrico, stimato non solo dai molti alunni, ma pure dai fedelidi tante comunità parrocchiali e dalle persone dove ha esercitato il ministero. Grazie p. Stefano, per il copioso bene seminato. (p. Alvise Zago)

gennaio marzo 2015 Vita soma-

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Recensioni Recensioni

MISTERO E STUPORE Meditazioni per la Settimana santa - Anni A-B-CMariano Pappalardo - pp. 111 - EDB, 2014 Cinque meditazioni per ognuno dei tre cicli liturgici, dalla domenica delle Palme a quella di Pa-squa, passando per il giovedì, venerdì, sabato santo. E ogni anno un soggetto particolare at-traverso cui leggere e partecipare ai giorni principali della “settimana autentica”. Nel ciclo B,quello in corso, l’ottica di meditazione è fornita dal mistero al femminile, reso evidente al mo-mento dell’ultima cena dal gesto, tipico delle schiave, di lavare i piedi del loro padrone. Il mi-stero assume concretezza di figure nella serva che, nella notte del processo che si apre sul ve-nerdì santo, mette in crisi Pietro (“serviva una donna, a Pietro, per riscoprirsi uomo…per sen-tire, come gli altri e più degli altri, di avere bisogno di essere confermato nella fede, in quellafede che scaccia ogni paura”) e nella evocazione di donne suscitata dai canti e letture della ve-glia del sabato santo (“se scorri la Bibbia ti accorgi di botto che la lode e il canto son faccendadi donne”). E poi, nel mattino di Pasqua, l’ora delle donne: “Osservando divengono la memo-ria della Chiesa; chi e come avrebbe potuto narrare gli eventi di Pasqua, senza la memoria diqueste intrepide donne? Senza di loro nessun racconto dei giorni fatali”. A un monaco bene-dettino (di casa al Terminillo, sopra Rieti) formato dalla meditazione e dal silenzio dinnanzi al-la Parola si deve questo contagio di stupore per chi vive la Pasqua cristiana.

PER UNA CHIESA SERVA E POVERA Yves M.-J. Congar – pp. 170 – Edizioni Qiqajon, 2014 Gesti, linguaggio e scelte del papa “venuto dalla fine del mondo” hanno reso improvvisamen-te nuovi e attuali valori e termini del Vangelo, messi, anche in tempi recenti, “a pié di pagina”.In piena “epoca Francesco”, è riapparso in Francia, e subito in traduzione in Italia, un libro del1963, del domenicano Congar, il teologo forse più attivo in Concilio , cardinale “per onore” nel1994 e morto l’anno dopo, a 91 anni. Si parlava allora, in pieno Concilio, della “Chiesa serva epovera”, l’unica pensata e voluta dal Signore: quella dei primi secoli cristiani, quella del “ritor-no allo stato di santità degli apostoli”, sempre richiamato nelle varie stagioni di riforma, e a cui,sulla scia di papa Giovanni XXIII, hanno dato rilievo normativo i più originali testi del Conci-lio. Il libro si compone di articoli e di una conferenza dei primi anni ’60 (del secolo passato).Poche novità per noi, oggi, negli scavi scritturistici e nella esposizione della concezione cristia-na dell’autorità, cioè della “gerarchia come servizio”; molto interessante invece l’analisi del suosvolgersi (“il destino storico”). Nella Chiesa dei martiri (i primi quattro secoli), e anche fin ol-tre il X secolo, la nozione di comando unifica tre valori: “un’affermazione molto forte della au-torità, un suo strettissimo legame con la comunità cristiana, un carattere marcatamente cari-smatico o spirituale” (pp. 45-46). I vescovi sapevano di essere mossi dallo Spirito il quale abi-ta la comunità cristiana, a cui essi restavano legati nell’esercizio dell’autorità. Le cose cambia-no lungo il sec. XI (dall’epoca di Gregorio VII, che muore nel 1085). La sua “riforma” è neces-saria, ma comporta una svolta nella rivendicazione dei diritti dell’autorità, del “diritto pontifi-cio” in specie. Si consolida l’idea della “trasmissione orizzontale di un potere che risiede nel-l’istanza terrena (il papa)” (p. 62) e che, per quanto ricevuto dall’alto, è posseduto e usato datale istanza, come qualsiasi autorità. La risultante è un giuridismo che intende solo appurare“la validità formale dell’autorità, il suo titolo legalmente posseduto…senza porre esplicitamen-te il nesso tra esercizio del comando e celebrazione dei misteri” (p. 63). La storia ecclesiasticadegli ultimi cinque secoli è quella di “uno sviluppo del principio di autorità”, contestato (da Lu-tero e movimenti riformatori), affermato (con il concilio di Trento), e vissuto spesso con veraresponsabilità e umiltà da più di un capo. Il libro si chiude con il “patto delle catacombe”, sot-toscritto a Roma da alcune centinaia di vescovi a fine concilio: 13 brevi punti di impegno per ipastori, che l’esempio di papa Francesco ha reso praticabili ancora da tutti.

I TRE DIALOGHI E IL RACCONTO DELL’ANTICRISTO Vladimir Solov’ev - pp. 221 - Vita e Pensiero, 2012 (ristampa) Spesso, in momenti del dibattito tra gruppi di Chiesa, ritorna il nome di Solov’ëv con la suacreazione originale, l’Anticristo. E’ opportuna la ristampa (da parte della casa editrice della Uni-versità cattolica) dell’ultima opera del pensatore russo, filosofo, storico e critico letterario, mor-to a 47 anni a fine luglio 1900, presentata con una solida introduzione sulla “grandezza con-troversa” dell’uomo ritenuto “l’espressione più profonda e universale del pensiero russo mo-derno”. A “I tre dialoghi e il racconto dell’Anticristo” è attribuita la predizione della crisi che hacolpito il Cristianesimo negli ultimi decenni del Novecento. “Come nessun altro Solov’ëv ha ca-

p. Luigi Amigoni

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pito il secolo ventesimo (di cui ha previsto le ultime grandi guerre, le discordie intestine e le ri-voluzioni), ma il secolo ventesimo non ha capito lui”. Il suo carattere (mite, non violento, for-mato alla sobrietà e al perdono) e la sua biografia, con l’impegno per la pace, la fratellanza uni-versale, la giustizia sociale, la difesa degli ebrei nella Russia zarista, l’unione delle Chiese cri-stiane, la difesa della natura avrebbero potuto portarlo a personalizzare quell’Anticristo (figu-ra di derivazione neotestamentaria), a cui delegherà la somma di ogni buon atteggiamento, diasceta, devoto di Dio, studioso, filantropo, benefattore. Ma nell’opera dell’Anticristo (La viaaperta verso la pace e la prosperità universale) non c’è il nome di Cristo, verso il quale egli peraltro non aveva una ostilità di principio ma del quale non accettava le preoccupazioni morali,la assoluta unicità e la risurrezione.Contro questo “cristianesimo dei valori, senza Cristo”, di-feso e diffuso da Tolstoj, Solov’ëv oppone la fede residuale, ma solida di promessa, della mi-noranza delle catacombe: “quel che abbiamo di più caro nel cristianesimo è Cristo”.

LUCE Dalla disperazione alla gioia - Un malato di SLA si raccontaAntonio e Giorgio Spreafico - pp. 159 - EMI , 2014 Ci sono condizioni estreme di SLA (Sclerosi Laterale Amiotrofica) che solo consentono, grazieal supporto dei mezzi tecnologici di oggi, comunicazioni molto concentrate (e tuttavia inten-se); altre lasciano ancora o potenziano una capacità di analisi e di trasmissione che solo la ten-tazione (sempre da affrontare) della disperazione e della rabbia affina e quasi abbellisce di iro-nia, di profondità e di incanto. Di questo secondo tipo è l’impressione coinvolgente che si prova leggendo il libro a quattro ma-ni, di due fratelli lecchesi (di poco sopra 60 anni), esperti uno in arte e musica e l’altro in gior-nalismo, accomunati dall’amore alla montagna e dalla pratica del volontariato. Sono 34 i capi-toli del libro, paralleli alle tappe di una trasferta, mai definitiva, dal dolore alla gioia, dalla con-sapevolezza di una domanda in agguato (“quella di farla finita”) alla forza di rileggere e rifor-mulare le “perentorie convinzioni” del tempo felice della buona salute. È senza dubbio questoradicale riaffacciarsi di interrogativi e risposte nel momento scatenante della “brutta bestia” ilpunto di più alta tensione della vicenda personale che carica il racconto: “Che bravi siamo a di-re ciò che gli altri dovrebbero fare. Come ci viene bene e come siamo saggi e pieni di granitichecertezze quando i drammi girano al largo, ci interpellano da lontano consentendoci di trattar-li come fossero vetrini di laboratorio, ridotti a pure ragioni di principio. La vita vissuta è cosadiversa: un giorno arriva con una smorfia cattiva in faccia, ti stringe alle corde. Vediamo un po’adesso come te la cavi, signor Io No, vediamo” (pag. 20)

LA GUERRA DEI NOSTRI NONNI 1915-18: storie di uomini, donne, famiglieAldo Cazzullo - pp. 248 - Mondadori , 2014 A cento anni dal suo inizio “la guerra dei bis-nonni” (l’ultimo dei fanti della “grande guerra” èmorto nel 2005 a 110 anni) è fissata, oltre che nei resoconti ufficiali conservati negli archivi enelle cronache degli “inviati al fronte” dei giornali, nelle memorie e negli aneddoti tramanda-ti dai nipoti (penultimo capitolo del libro), nei diari e lettere dei combattenti, nelle scritte e neiresiduati, nelle canzoni apprese nelle trincee del Carso o del Grappa (“Sian maledetti quei gio-vani studenti che hanno studiato e la guerra voluto, hanno gettato l’Italia nel lutto, per centoanni dolor sentirà”). Questo materiale di ricostruzione ha utilizzato, con la sapienza consuma-ta del giornalista e del pubblicista di successo, Cazzullo, del Corriere della Sera, albese, quasisessantenne, anch’egli “terminale” delle rievocazioni del nonno, “ragazzo del ‘99” e prigionie-ro sul Piave nell’ultimo anno di guerra. Il conflitto mondiale, iniziato per l’Italia nel maggio1915, la “inutile strage” di Benedetto XV, passa come la prima guerra di massa, che ha di fattounito gli italiani - nella lingua e nel sangue - con i braccianti del sud e i mezzadri del centro-nord mandati a morire in una zona d’Italia (20.000 fanti caduti solo nel primo mese di guer-ra e 4.000 soldati, nel primo mese autunnale, in una sola zona di guerra) con mezzi inadegua-ti e per scopi largamente manipolati da una propaganda interventista senza dignità e rispettodella verità. Curioso il capitolo (XIII) che trova in trincea un futuro papa e dittatori “in erba”(quest’ultimi defilati dalla linee di sangue) e ovviamente coinvolgente il capitolo (quarto) sul-la disfatta di Caporetto (capolavoro quasi programmato di ipocrisie, falsità, pressappochismoe cinismo dei capi e governanti, lucidi nel sacrificare migliaia di inconsapevoli) dell’ottobre 1917.Un “fioretto” nei giorni dell’onta nazionale è l’episodio, di sapore quasi biblico, di una anoni-ma vedova friulana che salva e ospita per mesi uno degli scampati, la cui sopravvivenza sta al-l’origine della fortunata vicenda imprenditoriale di una “discendenza” marchigiana.

gennaio marzo 2015 Vita soma-

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Convegno del Laicato Somasco

Albano Laziale28-29-30 - Agosto 2015

LA FAMIGLIAALLO SPECCHIO

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MOVIMENTO LAICALE SOMASCOP.za XXV Aprile, 2 - 20121 MILANO - TEL. 320-5309735

E-mail: [email protected] - www.movimentolaicalesomasco.wordpress.com

[email protected] - www.movimentolaicalesomsco.wordpress.com - Congregazione Padri Somaschi - tel. 06-7233580

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