40
Cristiani nel mondo Anno XXIII - n. 2 - Marzo-Aprile 2008 Poste Italiane S.p.A. - Sped. in abb. post. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 2 DCB - Filiale di Roma Laicità Laicità

Cristiani nelmondo · 2020. 1. 9. · sorgente trascendente di salvezza e di gua-rigione. Egli, infatti, essendo quello che è, non potrebbe rispettare tutte quelle rego-le, senza

  • Upload
    others

  • View
    2

  • Download
    0

Embed Size (px)

Citation preview

  • Cristianinelmondo

    Anno XXIII - n. 2 - Marzo-Aprile 2008

    Post

    e Ita

    liane

    S.p

    .A.

    - Sp

    ed.

    in a

    bb

    . p

    ost

    . D

    .L.

    353/

    03 (

    conv

    . L.

    46/

    04)

    art.

    1 c

    om

    ma

    2 D

    CB -

    Fili

    ale

    di R

    om

    a

    LaicitàLaicità

  • Indice

    3 Presentazione

    p. Gian Giacomo Rotelli S.I. / Laicità

    Laicità

    4 p. Francesco Rossi de Gasperis S.I. / Sacerdozio di Gesù e laicità nel Nuovo Te-stamento

    14 p. Bartolomeo Sorge S.I. / Per una laicità nuova

    20 Armido Rizzi / Laicità, un’idea da ripensare

    26 Aldo Vendemmiati / Neutralità etica e laicità dello Stato

    30 Enzo Bianchi / La differenza cristiana

    35 Claudio Magris / Chi è laico. Chi è clericale

    Vita Ecclesiale

    38 Oana Guerrieri / L’assemblea Generale della CNAL sulla situazione del laicato

    CRISTIANI NEL MONDO - Periodico della Comunità di Vita Cristiana d’ItaliaVia di San Saba, 17 - 00153 Roma

    Direttore responsabile Francesco Botta S.I.

    Comitato di direzione Cristina Allodi, Umberto Bovani (direttore), Marilena D’Angiolella,Massimo Gnezda, Antonella Palermo, Gian Giacomo Rotelli S.I., Marina Villa

    Comitato di redazione Caterina Boca, Lorenzo Cremonese, Giuliana De Simone (segretaria),Marisa Gigliotti, Antonella Palermo (capo redattore), Francesco Riccardi, Laura Turconi

    Direzione e amministrazione Via di San Saba, 17 - 00153 Romatel. 0664580147 - fax 0664580148 - e-mail: [email protected]

    Progetto grafico e composizione Layout Studio / Giampiero MarziStampa Arti Grafiche La Moderna - Via di Tor Cervara, 171 - 00155 Roma - tel. 0622796348

    Chi desidera dare un contributo per le spese di stampa della Rivista, può farlo – specificando il motivo del versamento – tramite: contocorrente postale nº 76224005, intestato a: Cristiani nel Mondo, Via di San Saba 17, 00153 Roma; bonifico bancario: c/c n° 470/96,intestato a: Comunità di Vita Cristiana Italiana (CVX Italia), Via di San Saba 17, 00153 Roma; recapito bancario: Banca PopolareItaliana - Ag. 12, Via della Piramide Cestia, 9/11, 00153 Roma (ABI 05164 – CAB 03212 – CIN G).

    Registr. Tribunale di Roma n. 34 del 22.1.1986Poste Italiane S.p.A. - sped. in a.p. D.L. 353/03 (conv. L. 46/04) art. 1 comma 2 DCB - Filiale di Roma

    Non è stato sempre possibile reperire gli aventi diritto per la riproduzione delle immagini.L’Associazione è comunque a disposizione per l’assolvimento di quanto occorra nei loro confronti.

    In copertina: Masaccio, Il tributo (1426-27)

  • Anche se il mondo politico e culturale sembra aver messoaltri temi in agenda, siamo convinti dell’importanza di una ri-flessione oggi sul tema della laicità, per una comprensione nonsuperficiale e non troppo confusa del termine e soprattutto del-lo stile di vita che ci è richiesto.

    In questo numero di «Cristiani nel Mondo» potrà sembrareche partiamo da troppo lontano, ma riteniamo di grande rilie-vo ritornare al Nuovo Testamento e alla persona di Gesù diNazaret dove cogliere l’essenza di una vita laica e insieme l’u-nico sacerdote. Di qui il primo articolo proposto, del P. Rossi deGasperis.

    Il successivo testo del P. Sorge sviluppa in particolare l’inse-gnamento del Concilio Vaticano II e le sue conseguenze nel-l’ambito politico.

    Dallo splendido libretto di Armido Rizzi dal titolo Laicità ciè sembrato utile riproporre elementi di chiarificazione termi-nologica e riflessioni teologiche stimolanti.

    Anche il contributo di Vendemmiati va nella direzione di unapprofondimento dei termini relativi alla laicità.

    Presentiamo poi una serie di stralci da La differenza cristia-na di Enzo Bianchi, priore della Comunità di Bose. Un contri-buto che ci sembra particolarmente illuminante circa gli atteg-giamenti cristiani da assumere davanti alle ultime vicende chenella nostra Italia hanno agitato il tema della laicità. In praticache cosa significhi vita cristiana.

    Chiude questo numero un articolo di Claudio Magris che,pur non partendo da una prospettiva cattolica, ci è sembratocostituire un apporto ricco e stimolante alla questione “laicità”,prendendo spunto dalla vicenda della mancata visita del Papaall’Università La Sapienza di Roma.

    P R E S E N T A Z I O N E

    Laicitàdi p. Gian Giacomo Rotelli S.I.

  • Gesù non fu mai un sacerdote del suotempo, né tale fu mai consideratoLa posizione dei singoli evangelisti neiconfronti del culto sacerdotale è piuttostocauta. Ben raramente nei Vangeli si leg-gono tracce di una polemica diretta controi sacerdoti e contro il culto del tempio,come le si trovano invece nei confronti de-gli scribi e dei farisei. Molto più spesso glievangelisti, specialmente Luca, sottoli-neano una misteriosa relazione tra il tem-pio di Gerusalemme e il corpo di Gesù (Gv2,13-22). Durante la sua vita, Gesù fre-quenta il tempio ed è spesso presente allesue liturgie, ma da laico, e non da sacer-dote. Pur essendo Figlio, Gesù non si esi-me dal pagare il didramma per il tempio(Mt 17, 24-27), che egli chiama la casa delPadre suo (Gv 2, 16. Cfr. Lc 2, 49). La pro-fezia sulla sorte rovinosa del tempio e del-la città santa non è pronunciata da Gesùcon sentimenti di ostilità o di rivalsa manel dolore e nel pianto (Mt 24, 1-2).D’altro canto, il Gesù dei Vangeli apparetotalmente estraneo, in quanto laico, atutta l’istituzione sacerdotale. Quando

    egli trasgredisce il sistema delle separa-zioni, lo fa quale medico venuto per i ma-lati, e non per i sani (Mt 9, 9-13), e comesorgente trascendente di salvezza e di gua-rigione. Egli, infatti, essendo quello che è,non potrebbe rispettare tutte quelle rego-le, senza privare gli uomini della sua sal-vezza (Lc 19, 1-10; Gv 4, 1-43).Gesù non ha mai contestato il sistemadelle separazioni cultuali per rivendicareper sé una competenza sacerdotale o levi-tica, verso le quali, al contrario, ha spessomostrato deferenza e rispetto (Mt 8, 4).Comportandosi, però, con somma libertàmessianica nei confronti di tale sistema –e cioè, mangiando con i pubblicani; accet-tando l’omaggio di una prostituta; non fa-cendo sempre le abluzioni prima dei pa-sti; toccando i lebbrosi e la bara dei mor-ti; facendosi toccare da malati, dapeccatori e da pagani; accogliendo delledonne nel suo piccolo gruppo itinerante;facendo aprire le tombe; non digiunandocon la frequenza e secondo lo stile dei fa-risei o dei discepoli di Giovanni; interpre-tando liberamente il Sabato; dimorando

    L A I C I T À

    Sacerdozio di Gesù e laicitànel Nuovo Testamento

    1 P. Francesco Rossi de Gasperis S.I. ha insegnato in molti Centri di studi biblici e teologici, ha guidato corsi di Esercizi eha dato conferenze in diversi Paesi. È autore di molti libri soprattutto sulla dinamica degli Esercizi nelle Scritture. Que-sto articolo è tratto da: M. Castelli, S. Corradino, P. Parisi, P. Stancari S.I., Dialoghi sulla laicità, Ed. Rubbettino 2002[Data la tipologia della nostra Rivista abbiamo anche ridotto molto le citazioni bibliche, soprattutto dei passi paralleli aquelli citati].

    di p. Francesco Rossi de Gasperis S.I.1

    Attraverso un’esauriente analisi dei testi biblici relativi in particolare al sacerdo-zio emerge chi sia il sacerdote secondo il Nuovo Testamento (il solo Gesù) e inche cosa consista la laicale appartenenza al popolo sacerdotale.

  • due giorni in una città di samaritani; per-donando i peccati… –, Gesù ha posto ilsuo popolo e i suoi capi di fronte al pro-blema dell’origine e del valore trascen-dente della sua autorità e della sua mis-sione, e di conseguenza della propriaidentità di Salvatore e di Esorcista del po-tere demoniaco sul mondo (Mt 9, 32-34;12, 22-32; Gv 4, 42; ecc). La conclusioneche si doveva trarre dal comportamentodi Gesù era che la sua persona è il termi-ne di riferimento e la norma assoluta del-l’osservanza della Torah e del Sabato, del-la prassi della preghiera (Lc 11, 1-4), deldigiuno e dell’elemosina (Mt 6, 1-4. 16-18; ecc.); che Gesù è il termine – fine –compimento della Torah (Rm 8, 2; 10, 4; 1Cor 9, 21; Gal 6, 2; ecc.); egli è «Colui chedeve venire», e non si deve aspettare nes-sun altro (Mt 11, 2-6); egli è lo Sposo diIsraele (cfr. Mt 9,14-17; 22, 1-14).

    Sulla testimonianza data da Gesù di que-sta sua autocoscienza, invece, si svolse-ro non solo polemiche senza fine tra luie i capi religiosi di Israele, ma su di essasi aprirono le ostilità cruente che sfocia-rono poi nel dramma della passione delMessia (Mt 9, 15; 12, 14; ecc.).Gesù è mandato a diffondere lo Hesed(misericordia, tenerezza, favore, amo-re…) di YHWH. Invece di santificare sestesso separandosi dal comune e dal pro-fano, Gesù si santifica (Gv 17, 19) conse-gnandosi a tutti nel servizio messianico(Mt 20, 28; Gv 13, 1-20 ecc.), quale segnodell’universale accoglienza di Dio, di cuia Nazaret, nella sinagoga della sua pa-tria, egli ha proclamato l’anno di apertu-ra definitiva (Lc 4, 17-21). Gesù non habisogno di purezza rituale, essendo som-mamente puro (Gv 8,46; 2Cor 5, 21; Eb 9,13-28), perché in comunione permanente

    Cristiani nel mondo 5

    Karl Schmidt-Rottluff, I farisei (1912)

  • con il Padre (Gv 8, 28-29; 16, 32; ecc.).Questa comunione egli dona e partecipadinamicamente e gratuitamente intorno asè, superando ogni residua barriera di se-parazione tra gli uomini e Dio. Nessunapurificazione può, ormai, riuscire vera edefficace per un uomo prima che egli entriin contatto con Gesù, dato che solo ilcontatto con lui purifica l’uomo e gli ridàla vita (1Gv 3,3). In Gesù qualcuno piùgrande del tempio è arrivato in Israele.Per questo insieme di cose nacque intor-no a Gesù e alla sua Chiesa un diffuso so-spetto circa una loro pericolosità nei con-fronti del tempio di Gerusalemme e delculto di Dio. Incontriamo una tale opinio-ne durante lo svolgimento del processogiudaico a Gesù (Mt 26, 59-61; 27, 39-40).Una accusa simile appare anche tra le de-nunce sporte contro Stefano (At 6, 13-14),e persino contro Paolo a quasi trent’annidalla morte di Gesù! (At 21, 27-28; ecc.).Il coinvolgimento esistente tra la personadi Gesù e il tempio, e che è accentuatospecialmente da Luca, è percepito comeuna minaccia per il tempio e per il suo si-stema cultuale. Tutto questo vuol dire unacosa molto importante per il nostro argo-mento. Essere cristiani significa metterein questione, nella maniera più radicale edefinitiva, tutto il discorso concernente ilculto di Dio, perché il caso-Gesù di Naza-ret ha messo in questione, nel modo piùradicale e definitivo, tutto il sistema dellesacre separazioni che, prima di lui, ac-compagnavano il culto di Dio, sia nel giu-daismo, sia nelle altre religioni del sacro.I primi discepoli di Gesù hanno voluto edovuto offrire delle interpretazioni e deiconcetti che aiutassero a comprenderela novità, e insieme la continuità, dell’e-vento di Gesù, il quale non era il fonda-tore di una nuova religione, ma colui cheportava a compimento pieno l’antica.

    Per questa ermeneutica di novità-conti-nuità, però, essi non hanno potuto utiliz-zare le categorie sacerdotali e cultuali,perché esse venivano smentite da ogniparte dal caso di Gesù. Nemmeno per in-terpretare la morte di Gesù tali categoriepotevano essere usate, perché questa, dalpunto di vista del culto sacrificale rituale,era stata un evento carico di empietà. Ol-tre alla polemica secolare contro i sacrificiumani, c’era il fatto che la morte di Gesùnon era avvenuta nel luogo sacro, ma per-sino fuori delle porte della città del Santo.Il sangue con cui si doveva aspergere ilsantuario nel Giorno dell’Espiazione do-veva essere quello degli animali (gioven-co e capro), i cui corpi dovevano poi ve-nir bruciati fuori dell’accampamento, inluogo puro (Lc 16,17-18). Il sangue uma-no, al contrario, era sorgente di impuritàlegale e rendeva tutto immondo (Lv 12, 1-8; ecc.). Il comportamento del sacerdote edel levita nei confronti dell’uomo lasciatomezzo morto dai briganti sulla via da Ge-rusalemme a Gerico (Lc 10, 30-32) vaspiegato, con ogni probabilità, propriocon l’osservanza delle separazioni ritualiin vista del culto del tempio.Il sacrificio non consiste nell’uccisione enelle sofferenze della vittima, ma nei ritidi offerta compiuti in un luogo santo. Èun atto solenne, glorificante e santifican-te, che mette in comunicazione con Dioed è sorgente di benedizioni per il popo-lo. La esecuzione capitale di un condan-nato è il peggiore dei castighi, oggetto diesecrazione. Essa significa l’eliminazionedel colpevole dal popolo di Dio (Nm 15,30-31). Il contrasto tra i due atti è totale.Gesù crocifisso fuori della città e al difuori di ogni contesto rituale, lungi dal-l’avere una qualunque apparenza sacrifi-cale, è, secondo la Torah, una maledizio-ne di Dio che contamina la terra del Si-

    6 Sacerdozio di Gesù e laicità nel Nuovo Testamento

  • gnore. Per questo egli va tolto dalla croceprima che il sole tramonti e cominci ilgrande giorno festivo (Gv 19, 31). Egliappare come l’incarnazione stessa del-l’empietà e del peccato (2Cor 5, 21).Come vederlo quale sacrificio di soaveodore offerto a Dio? (cfr. Ef 5, 2).

    L’impresa teologica della Lettera agli EbreiCome si è giunti alla Lettera agli Ebrei,con la sua affermazione sconcertante cheGesù è sommo e unico sacerdote, nonchévero sacrificio gradito a Dio una volta pertutte?È stato questo il frutto di un finissimo la-voro esegetico e teologico, che parados-salmente fa della Lettera agli Ebrei il te-sto più sacerdotale e, insieme, più laicaledel Nuovo Testamento.La lettera parte da una cristologia già co-mune di Gesù Messia e Figlio, superioreagli angeli, per arrivare, fin da 2, 17,all’asserzione che egli si è reso in tuttosimile ai fratelli per diventare un sommosacerdote misericordioso e degno di fedee di fiducia, accreditato presso Dio alloscopo di espiare i peccati del popolo (cfr.3, 1; 4, 14-15; ecc.). Comincia allora unlarghissimo impiego del vocabolario e dinozioni sacerdotali e rituali, per sé pro-pri del culto del tempio. Questo vocabo-lario e questo mondo di concetti, invece,trasferiti su Gesù, subiscono una trasfi-gurazione radicale in senso esistenziale,cioè, in fondo, laicale.Gesù non ha compiuto alcuna delle azio-ni riservate ai sacerdoti, ma ha reso alPadre un culto perfetto rovesciando i ter-mini di tutto il sistema cultuale.Essendo Figlio, egli era già gradito al Pa-dre, essendo in permanente comunionecon lui.Una volta assicurato questo gradimentoda parte di Dio, il problema era quello di

    entrare in comunione con gli uomini.Un simile problema non viene risolto dariti, ma dalla misericordia accogliente,che ha condotto Gesù a condividere lavita più ordinaria, e dunque laicale, de-gli uomini.Gesù ha offerto, perciò, non un culto ri-tuale fatto di cerimonie, di vittime scelte,di formulari di preghiera, di abiti, luoghie tempi determinati. Egli ha offerto tuttala sua esistenza, i giorni della sua carne,vissuti nell’obbedienza filiale al Padre(5, 7-8), pur essendo provato in ognicosa, a somiglianza di noi, escluso il pec-cato (4, 15). Egli non ha offerto sanguedi capri e di vitelli, ma il suo proprio san-gue. Con esso è entrato una volta persempre nel santuario, procurandoci cosìuna redenzione eterna (9, 12).In questo modo, il luogo del culto piùperfetto di Dio diventa l’esistenza del-l’uomo Gesù. Il santuario è la coscienza,il cuore del Figlio.Eb 5,7-10 precisa che attraverso le pre-ghiere e le suppliche, la sua pietà, la suaobbedienza e, infine, la sua passione erisurrezione, Gesù fu reso perfetto e di-ventò causa di salvezza eterna per tutticoloro che gli obbediscono, quale som-mo sacerdote alla maniera di Melchise-dek. L’espressione «reso perfetto» signifi-ca raggiungere lo scopo (telos), e nellaLXX designa il rito di consacrazione deisacerdoti. In Eb il verbo esprime il miste-ro della glorificazione del Cristo (2, 10; 5,9; 7, 28) che, secondo il tema dominantedella lettera-sermone, si realizza anchenella categoria del sacerdozio e del cul-to. Il nostro testo sembra accennare allapassione, abbracciata dalla coscienza fi-liale di Gesù in obbedienza alla volontàdel Padre, come al momento culminantedella sua «consacrazione sacerdotale».Così, dunque, Gesù è diventato mediato-

    Cristiani nel mondo 7

  • re dell’alleanza nuova, per sempre gradi-to a Dio (8, 6; 9, 15; 12, 24). Ciò che,come si è visto, era sommamente distan-te e alieno dal culto rituale, diventa luo-go e tempo privilegiato del culto nuovo.Un simile culto non è in continuità conquello celebrato dal sacerdozio levitico,incapace di compimento (teleiosis: 7, 11)in se stesso. La continuità propria dellasua novità va ricercata in una linea piùalta e trascendente, mediante una esege-si finissima, tipicamente rabbinica, delSalmo 110, 4, che al Messia davidico pro-mette anche un sacerdozio eterno almodo di Melchisedek (Eb 5, 6.10).Questo Melchisedek, re di Salem (= Ge-rusalemme), senza genealogia e sacerdo-te del Dio altissimo, offrì pane e vino,benedisse Abramo e ne ricevette le deci-me (= tutti atti rituali: Eb 7,1-3. Cfr. Gn14, 18-20). Questo significa che egli erapiù grande di Abramo, e dunque anchedi Levi, il quale si trovava ancora neilombi del suo antenato, quando gli ven-ne incontro Melchisedek (Eb 7, 9-10).Questo personaggio, menzionato due solevolte e in modo marginale dalla Bibbiaebraica (Gn 14, 18-20; Sal 110, 4), appuntoperché così marginale e di secondo piano,diventa per Eb un riferimento prezioso perasserire e spiegare come, se Gesù non fusacerdote levitico e aronnico, lo fu però se-condo un ordine più alto, che può identifi-carsi con la regalità (Eb 7, 11-28. Cfr. 8, 4).Il sacerdozio di Gesù consiste nel compi-mento-perfezione, a cui lo ha condottonon un rito, bensì la sua perfetta e filialeobbedienza alla volontà del Padre. Il suosacrificio consiste nell’offerta non didoni, cose (5, 1; 8, 3) o animali, bensìdel suo proprio corpo e del suo sangue,che egli ha in comune con tutti gli uomi-ni, offerti in obbedienza alla volontà delPadre (7, 26-27; ecc.).

    Un tale sacerdozio e un tale sacrificionon costituiscono più un sistema di cultoproprio di una categoria di persone edesclusivo di tutte le altre. Gesù è l’aposto-lo e il sommo sacerdote attraverso il qua-le passa la nostra confessione di fede inDio (3, 1; 4, 14; 12, 2; 13, 15). Obbeden-do a lui, nell’offerta dei nostri corpi, a no-stra volta, noi abbiamo accesso alla sal-vezza (5, 9), quando ci accostiamo concuore sincero, nella pienezza della fede,con i cuori purificati da ogni cattiva co-scienza e il corpo lavato con acqua pura;quando manteniamo senza vacillare laprofessione della nostra speranza; quan-do ci stimoliamo vicendevolmente nellacarità e nelle buone opere (10, 22-24).La carne di Gesù, che egli ha in comunecon noi e nella quale ha realizzato ormaigloriosamente la perfezione del suo cul-

    8 Sacerdozio di Gesù e laicità nel Nuovo Testamento

    S. Dalì, Crocifissione. Corpus Hypercubus (1954)

  • to, è diventata una via nuova e vivente,che egli ha inaugurata, affinché anchenoi possiamo penetrare nel santuarioattraverso il velo (Eb 10, 20). Queste af-fermazioni della Lettera agli Ebrei mo-strano il ruolo decisivo della risurrezionedi Gesù nella sua consacrazione. Il Cristomorto e risorto, in effetti, ha subito unatrasformazione quale era richiesta nel sa-cerdote perfettamente gradito a Dio enella vittima dell’olocausto.Anche la nozione di mediazione viene tra-sfigurata nel sacerdozio di Gesù. Egli nonè più un intermediario tra Dio e gli uo-mini. Nella carne del Figlio, infatti, l’uo-mo non viene a contatto immediatamentecon uno dei tanti uomini come lui, il qua-le lo metta poi (mediatamente) in contat-to con Dio. Gesù è un mediatore che, nel-la sua persona, rende immediatamentepresente il Padre, senza frapporre più nul-la tra Dio e l’uomo (Cfr. Gv 12, 45).Gradito per sempre a Dio, il Risorto è incontatto diretto con ciascun uomo. Lasua funzione di sacerdote perfetto, cherende perfetti tutti coloro che gli obbedi-scono, è assicurata per sempre. Non c’è,perciò, alcun bisogno di moltiplicare isacrifici e le espiazioni. Basta quello cheGesù ha fatto una volta per sempre: èquesto un ritornello nella Lettera agliEbrei (7,27; 9, 12. 26. 28; 10, 10.22.14;ecc.). Il sacrificio di Gesù non può e nondeve essere ripetuto, dal momento che lasua ripetizione sarebbe segno, come loera per i sacrifici antichi, che esso non èperfettamente gradito, e quindi nemme-no perfettamente efficace (9, 24-10, 18).Con l’avvento di Gesù, il luogo del cultodi Dio non è più un tempio determinato;il suo tempo non è riservato a ore deter-minate. Esso non richiede più certi segni,vesti, riti…. Il primo luogo dell’ultimoculto di Dio è l’esistenza dell’uomo Gesù

    (=nella storia della sua natura umana).Egli è e rimane sacerdote e vittima per-fetta ventiquattro ore su ventiquattro. Latrasformazione che questa liturgia esi-stenziale, realizzata con uno Spirito eter-no (9, 14), produce, non è più di caratte-re rituale, bensì, consiste nella santitàspirituale e morale, nell’obbedienza enella fedeltà, nella misericordia e nellabeneficenza. Di tali sacrifici, infatti, il Si-gnore si compiace (Eb 13, 16).

    Dal culto di Gesù Cristo al culto deicristianiQuesta cristologia del sacerdozio esisten-ziale di Gesù, sviluppata tanto ampia-mente dalla sola lettera agli Ebrei, vienetrasferita da altri testi neotestamentari alpopolo cristiano.La perfezione del sacerdozio di GesùCristo risiede nel fatto che egli non soloha reso a Dio il culto perfetto, ma, resoperfetto (Eb 2, 10), con la sua unica of-ferta, a sua volta, ha reso perfetti, equindi soggetti capaci di prolungare ilsuo culto, coloro che, ascoltandolo e ob-bedendogli, vengono da lui santificati(Eb 5, 9-10; ecc.). Gesù ha aperto la stra-da perché, seguendo lui, tutto il popolodi Dio, e l’umanità chiamata a entrare inquesto popolo, diventi un popolo gradi-to a Dio, in cui ognuno gli offra il sacri-ficio di sé. Si realizza così la parola dettada YHWH a tutto Israele al Sinai (Es 19,6), e che nel tempo della prima alleanzasi era verificata immediatamente sola-mente per una delle dodici tribù, quelladi Levi (cfr. 1Pt 2, 9-10).Come ho detto sopra, la Prima Lettera diPietro e il Libro dell’Apocalisse estendo-no e applicano più ampiamente a tutti icristiani il vocabolario sacerdotale e cul-tuale, che la Lettera agli Ebrei attribuiscea Gesù. Ispirandosi alla metafora del

    Cristiani nel mondo 9

  • nuovo e ultimo tempio vivente, fondatosul Cristo-Pietra di volta e di fondazione(1Pt 2, 4- 8), il Nuovo Testamento defini-sce i cristiani come pietre viventi edifica-te in dimora spirituale, per offrire, qualesanta comunità sacerdotale, dei sacrificispirituali graditi a Dio per mezzo di GesùCristo (1Pt 2,5).In tal modo, Gesù che ci ama e ci ha libe-rati dai nostri peccati con il suo sangue,ha fatto di noi il tempio di Dio e la dimo-ra dello Spirito Santo (Cfr. 1Cor 3, 16-17;6, 19-20), un regno, dei sacerdoti per Diosuo Padre (Ap 1, 6; 5, 6; 20, 6). Anche aldi là dei termini hieréus e hieráteuma,dunque, noi troviamo nel Corpus paolinoun chiaro ed eloquente trasferimento del-le categorie cultuali dall’antica liturgia ri-tuale alla nuova liturgia esistenziale. Il testo più denso mi sembra quello diRm12, 1-2, che la Chiesa legge nella ce-lebrazione liturgica delle Lodi nel Comu-ne dei Santi, riconoscendovi così il nu-cleo centrale ed essenziale di ogni san-tità cristiana.Questo testo suona così: «Vi esorto, dun-que, fratelli, per la misericordia di Dio, aoffrire i vostri corpi quali sacrificio viven-te, santo, gradito a Dio; e cioè il vostroculto secondo la parola».Paolo sembra voler dire: «Non andate acercare animali, o comunque qualchecosa, da offrire: i vostri corpi dovete of-frire! È questo ormai il senso del culto se-condo il Logos di Dio». La crisi dellaChiesa primitiva, specialmente per i nuo-vi discepoli che provenivano dalla tribùdi Levi (Cfr. At 6, 7), consisteva nel vuo-to cultuale e liturgico, in cui la comunitàdi Gesù veniva a trovarsi a causa, comesi è detto, della laicità del Messia e delprogressivo, e spesso forzato, allontana-mento dei discepoli di Gesù dal culto deltempio e da quello sinagogale. I capi del-

    la Chiesa cristiana non erano più i sacer-doti, ma apostoli e anziani (apostoloi,presbyteroi), sorveglianti (episkopoi), iquali provenivano più spesso dal laicato(Cfr. At 11,30; 14, 23; ecc.).Questo vuoto cultuale e liturgico Paoloesorta a colmare con l’offerta del corpo,che è poi la stessa cosa del sacrificio inSpirito, di cui parla 1Pt. Il corpo dell’uo-mo, nella mentalità biblica, non è rap-presentato solamente dai chili del nostropeso. Esso è il luogo degli incontri e del-le relazioni tra l’uomo e Dio, tra l’uomoe gli altri, tra l’uomo e il mondo. Il corpodell’uomo è la memoria di tutto il suopassato, il prodotto presente di tutta lasua storia, tutto l’essere dell’uomo inquanto relazione. Psyché (l’anima), nel-l’antropologia biblica, è l’identità del-l’uomo, il suo io profondo. Soma (il cor-po) è questo stesso io, in quanto si espri-me nel mondo e nella storia. L’offertadell’io a Dio accade, dunque, nel corpo,dal momento che attraverso il corpol’uomo entra in contatto con Dio, con glialtri, e persino con se stesso.Nel v. 2 del testo citato (Rm 12, 1-2),Paolo specifica in che cosa consista que-sta offerta del corpo: «Non conformatevia questo secolo, ma trasformatevi con ilrinnovamento della mente, per discerne-re, quale sia la volontà di Dio, quel che èbuono e gradito e perfetto».Questi due versetti sono ricolmi di nozio-ni e di vocabolario cultuale: offrire. sacri-ficio vivente, culto, santo, gradito a Dio,perfetto: altrettante nozioni e parole chevenivano usate nel vocabolario sacerdo-tale per designare le vittime e i riti delculto del tempio. Tutto questo vocabola-rio è integrato qui in un orizzonte esi-stenziale: «Offrite voi stessi!». Offrire sestessi non vuol dire semplicemente fareogni mattina l’offerta della propria gior-

    10 Sacerdozio di Gesù e laicità nel Nuovo Testamento

  • nata, ma dalla mattina alla sera e dallasera alla mattina dire di no alla mentalitàdel mondo, nella misura in cui esso ci sipresenta con le sue pretese idolatriche emondane. «E trasformatevi – ecco la tra-sformazione che in Gesù per primo si èrealizzata quando, mediante la sua ob-bedienza, egli è passato dalla carne alloSpirito, dalla terra alla gloria – rinnovan-do la vostra mente in vista di un retto evero discernimento della volontà di Dio».Il coltello che opererà questo cultosacrificale non è più quello che separadalla carne di un giovenco il grasso cheavvolge le viscere. Il sacrificio spiritualeè operato dal discernimento spirituale(Rm 2, 18; 1Cor 11, 28-31; ecc.).Vedete bene che in un simile culto nonc’è più nulla di rituale. Noi lo rendiamovivendo in prima persona tutta la nostraesistenza, non però ciascuno per contosuo, chiuso nella sua «buona fede» e se-guendo illuministicamente la propria«buona coscienza», ma in conformitàcon la coscienza di Gesù Cristo, alla suasequela, obbedienti a lui così come egliha obbedito al Padre (Eb 5, 7-10; 7, 25).Gli uomini possono rendere a Dio il cul-to vero solamente entrando nel culto re-sogli dal Figlio.Giovanni, a suo modo, dice la stessacosa, quando dice che ormai il Padre cer-ca solo adoratori in Spirito e Verità (Gv4, 23-21): adoratori, cioè, nel Figlio-Ve-rità (Gv 14, 6), creduto, conosciuto e se-guito in virtù dello Spirito Santo, che èappunto lo Spirito della Verità, cioè delFiglio (Gv 14, 17. 26; ecc.). Figli nel Fi-glio, conformati al Figlio unico, il primo-genito tra molti fratelli (Rm, 8,29), invirtù dello Spirito del Figlio, noi siamocapaci di fare ciò che Gesù ha fatto perprimo, e dunque di continuare il suo sa-cerdozio (Gv 14, 12).

    Quando nella Chiesa, per esempio, si ce-lebra l’eucaristia, non lo si fa per ripete-re una seconda, o terza, o quarta... voltal’offerta da Gesù fatta di sé. Essa è statafatta una volta per sempre. Secondo laLettera agli Ebrei, ripetere un’altra voltail sacrificio di Gesù vorrebbe dire noncredere che esso sia stato sufficiente unavolta per tutte, come era il caso dei sacri-fici antichi. Mediante l’azione sacramentale noi ren-diamo presente (ri-presentiamo), nell’hicet nunc della liturgia ecclesiale, quell’u-nico e irripetibile sacrificio di Gesù perinserirvi l’offerta che noi facciamo di noistessi. «Fate voi, nelle vostre persone,quello che io ho fatto nella mia, in me-moria di me» (Lc 22, 19; 1Cor 11, 23-25).Celebrando l’eucaristia, noi non possia-mo limitarci a offrire al Padre l’offertache Gesù ha fatto di sé, rimanendone noifuori. L’offerta del sacrificio di Gesù daparte nostra ha senso solo se è accompa-gnata dall’offerta di noi stessi fatta permezzo di lui, con lui e in lui.E ancora, questa offerta di noi stessi alPadre per Cristo, con Cristo e in Cristonon può ridursi a un rito, e cioè al sologesto sacramentale. Tale gesto deve esse-re preceduto (e non solo seguito) da unavita conforme a quella di Gesù, dellaquale il gesto sacramentale è appuntoespressione, segno, sacramento insiemepersonale e comunitario. Questo è il vero motivo per cui la Chiesaci chiede di trovarci già in abituale co-munione con Dio (= in stato di grazia),quando diamo inizio alla liturgia eucari-stica.Nella Chiesa di Gesù-laico-sacerdote-se-condo-l’ordine-di Melchisedek il sacra-mento non può mai sostituire, adeguare,e nemmeno precedere il culto esistenzia-le. Lungi dall’essere puramente rituale,

    Cristiani nel mondo 11

  • la liturgia sacramentale è solo un mo-mento comunitario, anche se essenziale,del culto esistenziale del popolo di Dio;un segno significativo del riferimentocristologico-ecclesiale, che di tale culto ècostituito.

    La sacramentalità della Chiesa e, inparticolare, del sacerdozio ministerialeLe cose dette finora possono aiutare acomprendere il senso specifico della sa-cramentalità della Chiesa di Gesù Cristo.Questa sacramentalità non continua il si-stema rituale secondo Aronne.La sacramentalità cristiana aduna i fedelia significare che il nuovo culto esisten-ziale del popolo di Dio avviene sempre enecessariamente per Cristo. Essa fa que-sto in una duplice maniera.Prima di tutto, convocando i fedeli in as-semblea sacramentale, essa significa chea tutti gli uomini nessun altro nome èdato sotto il cielo, nel quale ci sia salvez-za, se non il nome di Gesù di Nazaret, ilMessia crocifisso e risorto (At 4, 8-12).La moltitudine dei fedeli riuniti in comu-nione confessa l’unicità del mediatoredel loro culto all’unico Dio Padre, resopossibile dalla partecipazione a tutti del-l’unico Spirito.Di fronte a questa assemblea, poi, che èsempre segno di tutta la Chiesa-Sposa-dell’Agnello, la liturgia sacramentalepone, nelle persone dei ministri del sa-cramento, il segno della persona del Cri-sto-Sposo, il quale, nel Nuovo Testamen-to, è ormai sempre presente alla Sposa,sia pure ancora sotto il velo della fede edella speranza (Cfr. Is 62, 1-5. 12; ecc.).La prassi sacramentale della Chiesa, per-ciò, è una confessione gioiosa del Nomedel Figlio, un sacrificio di lode (Eb 13,15), con cui noi celebriamo la nostra li-berazione, da lui operata (Gv 8,31-36),

    dalla condizione errabonda di umanitàdispersa dietro se stessa (Gv 11, 51-52);come pure la vocazione rivoltaci a diven-tare figli di Dio nel Figlio unico (1Gv 3,1-2; ecc.).Ché l’uomo non è figlio di Dio per dirittodi nascita, ma solo per grazia di una vo-cazione, cui si risponde comunque conla fede (Gv 1, 12; Rm 8, 28-39; ecc.).Il sistema sacramentale della Chiesa,perciò, non tende minimamente a ricrea-re in seno al popolo di Dio una divisionedi classe tra sacerdoti e laici. Nel Nuovo Testamento non c’è più unatribù sacerdotale separata dal resto delpopolo di Dio, ma un unico sacerdote,Gesù Cristo. La distinzione ri-presentatadai ministri dei sacramenti, e in partico-lare dal sacerdozio ministeriale, non èquella tra sacerdoti (al plurale) e laici,bensì la distinzione-comunione nuzialetra Gesù Cristo, sommo, unico ed eternosacerdote e la Chiesa-popolo (laos) diDio (Ef 5, 22-33), tra lo Sposo e la Sposa(Ap 19, 7-8; ecc.), tra il Figlio unico (Gv1, 14; ecc.) e i figli, resi tali perchè cre-denti nel Figlio (Gv 1,12; 1Gv 3, 1; ecc.).Spero che sia chiaro che non intendo mi-nimamente sostenere una posizione disapore protestante, secondo la quale l’u-nicità del sacerdozio di Gesù Cristo livel-lerebbe il popolo cristiano al punto chenon ci sarebbe posto nella Chiesa per unsacerdozio ministeriale vero e proprio.Sostengo semplicemente che il recuperodi un sacerdozio-sacrificio-culto secondol’ordine di Melchisedek non può e nondeve significare, per la Chiesa di Gesù diNazaret, il rimanere o un ritornare all’or-dine cultuale di Levi e di Aronne. So-stengo che la differenza tra Melchisedeke Aronne non può essere asserita e poisubito ridotta a un senso puramente no-minalistico.

    12 Sacerdozio di Gesù e laicità nel Nuovo Testamento

  • Nella Chiesa del Verbo incarnato c’è, e leè essenziale, un culto visibile e comunita-rio, dotato di segni adeguati e guidato dapersone a questo ordinate. Senza dubbioha senso una distinzione canonica e unacerta divisione di mansioni tra i ministrisacri (o chierici) e quelli designati qualilaici. Si può comprendere, pure, che, alpresente stato delle cose, i canoni riguar-danti tutti i «christifideles» siano 24, men-tre quelli riguardanti i chierici sono 309.Il problema non è l’esistenza di un mini-stero ordinato a ri-presentare Gesù Cristonella Chiesa attraverso lo spazio e il tem-po, ma la sua qualità. Un disagio nasceper l’uomo neotestamentario quando ilmodo con cui questa struttura ecclesia-le, la cui giustificazione è esclusivamen-te cristologico-sacramentale, e non piùaronnica o addirittura sociologica, sem-bra, di fatto e sotto diversi aspetti, conti-nuare il sacerdozio levitico, con tutte lesue rigide separazioni e i suoi vistosi se-gni esteriori; quando un culto di segni edi riti sacramentali sembra diventarequasi autoconsistente, o comunque indi-pendente, di fronte al culto esistenziale;quando la celebrazione, la visibilità, ladignità, la precedenza del ministero sa-cerdotale e di tutto il sistema liturgico-sacramentale sembra ispirarsi più al mo-dello levitico e aronnico del culto deltempio che a quello del servizio-liturgianon rituale, ma esistenziale, di Gesù Cri-sto (Mt 20, 25-28; Gv 10, 1-18; 13, 1-20;ecc.); quando la tenda perfetta del corpodi Gesù Cristo non fatta da mano diuomo (Eb 9,11.24), viene significata dastrutture imponenti che ricordano il tem-pio di Salomone o quello di Erode, piùche la Gerusalemme-fidanzata-sposa del-l’Agnello, di cui architetto e costruttore èDio solo (Eb 11, 9-10), dove non c’è piùtempio, perché YHWH Dio, l’Onnipoten-

    te, e l’Agnello sono il suo tempio (Ap 21).In una parola, il disagio neotestamenta-rio a proposito del culto ecclesiale nascequando, invece di trarre tutte le conse-guenze dalla novità di Melchisedek, siapprofitta delle nuove categorie cultualidel Nuovo Testamento per reinterpretar-le nell’antico senso di Levi e di Aronne.Clericalismo e laicismo hanno insidiato,fin dalla nascita, la Sposa neotestamen-taria. Fa una certa impressione ricordareche la parola clero (kleròs) designa, nelNuovo Testamento, tutto il popolo di Dio,quale porzione di Dio toccata in sortealla cura dei presbiteri (1Pt 5, 3. Cfr. At26, 18; Col 1, 12). Significativo è pure ilfatto che l’autore ecclesiastico il quale haconiato per primo la parola gerarchia ec-clesiastica, lo Pseudo-Dionigi, lo ha fattoper designare non i soli ministri sacri,ma l’intera Chiesa, considerata nei suoidiversi ordini come un tutto conforme almodello degli ordini celesti (=gerarchiaceleste) e dotata tutta di note deiformi.Questa categoria, sia pure ispirata dalplatonismo dell’autore patristico, era dalui utilizzata in modo forse più neotesta-mentario di quanto non lo sia nel cor-rente uso ecclesiastico, che sembra piut-tosto ispirato dalle categorie sacerdotalidella prima alleanza.Concludo con un asserto metodologicoche non credo possa venire facilmentecontestato. Nella Chiesa è la Scritturaquella che deve ispirare e condizionarela teologia, ed è la teologia quella chedeve ispirate e condizionare la legislazio-ne canonica. Le categorie canonichevanno interpretate, comprese, ed even-tualmente adattate, alla luce della teolo-gia e della Scrittura. Il magistero eccle-siastico procede in questo modo, e nonviceversa. Così, dunque, deve procedereanche la nostra riflessione.

    Cristiani nel mondo 13

  • Da qualche tempo il dibattito sulla laicitàè all’ordine del giorno nel nostro Paese,alimentato da occasioni continue. Si co-minciò con la ordinanza del Tribunaledell’Aquila sulla rimozione del crocifissoda un’aula scolastica, venne poi la boc-ciatura a Strasburgo del ministro Butti-glione, quindi il rifiuto di menzionare le«radici cristiane» nel preambolo del Trat-tato costituzionale europeo, fino a giun-gere ai recenti interventi del card. Ruinia proposito del referendum sulla procrea-zione assistita e sulla questione dei PattiCivili di Solidarietà (PACS). La conclusio-ne che si può trarre dal dibattito, è unagrande confusione di idee. È utile, dun-que, tentare di chiarirne alcuni puntifondamentali: 1) la questione della «reli-gione civile»; 2) il ripensamento del con-cetto di laicità; 3) la necessità di unanuova laicità in politica.

    1. La «religione civile»Le recenti ricerche sociologiche e l’espe-rienza stessa indicano che nella culturaoccidentale, secolarizzata e laicizzata, daqualche tempo si verifica un ritorno diattenzione verso la religione in genere, everso quella cristiana in particolare. Ci sirende conto, cioè, che la religione ha una

    sua importanza sociale. Superate le diffi-denze legate all’uso deviato che se ne èfatto in passato (di cui oggi la Chiesachiede perdono), si riconosce che la reli-gione invece dà stabilità e coesione allavita civile, si oppone alla violenza, favo-risce la pace. Pertanto in via di fatto sonosuperate le vecchie ragioni dell’illumini-smo, che — di fronte agli abusi perpetra-ti in nome di Dio — aveva fatto ricorsoalla «laicità» come a una istanza di ragio-ne universale esterna alla religione, ridu-cendo quest’ultima a mero fenomenoprivato. È una evoluzione certamente positiva,ma non senza problemi. Infatti, c’è il ri-schio che la religione sia vista soprattut-to come un utile supporto al raggiungi-mento di finalità civili, con possibili nuo-ve reciproche strumentalizzazioni nelrapporto tra Stato e Chiesa, simili a quel-le che caratterizzarono la vecchia «cri-stianità». Il danno maggiore lo subirebbela Chiesa. Infatti – come scrive E. Bian-chi –, la riduzione della religione a feno-meno culturale e civile fa nascere «uncristianesimo finora inedito (lo si puòforse definire post-cristiano) che […]non vuole più essere giudicato sul suoessere o meno “evangelo”; un cristiane-

    L A I C I T À

    Per una laicità nuova

    di p. Bartolomeo Sorge S.I.1

    La riflessione biblica (vd. articolo precedente) e teologica che ha preceduto e ac-compagnato il Concilio Vaticano II è confluita nei testi del Concilio stesso che haavviato così ufficialmente quella che può chiamarsi una “nuova laicità”.

    1 P. Bartolomeo Sorge S.I., Direttore della rivista «Aggiornamenti Sociali». Questo articolo è stato pubblicato sul numerodi novembre 2005.

  • simo che preferisce essere declinatocome “religione civile”, capace di fornireun’anima alla società, una coesione aidentità politiche, diventando così quellamorale comune che oggi sembra deduci-bile solo a partire dalle religioni. In que-st’ottica pare che l’unico interesse siache la Chiesa rappresenti un elementocentrale della vita della società, e pocoimporta se questo significa che il Vange-lo perda il suo primato, che non ci siapiù possibilità di profezia, che finiscanoper prevalere logiche di potere» («Chi mi-naccia il cristianesimo?», in La Stampa,23 luglio 2005).Si tratta di un pericolo reale, verso cuispingono i cosiddetti «atei devoti». Sonoalcuni intellettuali e figure istituzionali dispicco che, pur dichiarandosi non cre-denti (e magari avendo avversato la Chie-sa fino a ieri), oggi – di fronte ai processidi secolarizzazione e di frammentazionespirituale che accompagnano l’affermarsidi una società multietnica e multireligio-sa – vedono nel cristianesimo un baluar-do a difesa della identità e della culturaoccidentale, con la quale lo identificano.Questa visione strumentale del cristiane-simo spegne di fatto la profezia evangeli-ca. È lamentevole, perciò, che non se nerendano conto quegli ecclesiastici e queimovimenti che parteggiano apertamenteper gli «atei devoti».Nel contesto della «religione civile» sicomprendono meglio i rischi che com-porta la prassi, instauratasi in Italia dopola scomparsa della DC e la fine dell’unitàpolitica dei cattolici, per cui la Gerarchiatende a gestire in proprio i rapporti con ilGoverno, intervenendo talvolta su aspettilegislativi di problemi che prima erano la-sciati – come è giusto – alla mediazionedei politici. Certo, nessuno può impedireai vescovi di rivolgersi anche ai responsa-

    bili del bene comune, in particolarequando sono in discussione esigenze eti-che fondamentali, come quelle riguar-danti la persona, la vita, la famiglia. È unloro dovere, che rientra nella missionedella Chiesa di illuminare e formare le co-scienze sul piano etico e religioso. Tutta-via, i Pastori non devono sostituirsi ai lai-ci, ai quali spetta la responsabilità dicompiere le necessarie mediazioni daiprincipi alla prassi politica. «Dai sacerdo-ti – dice il Concilio Vaticano II – i laici siaspettino luce e forza spirituale. Nonpensino però che i loro pastori siano sem-pre esperti a tal punto che a ogni nuovoproblema che sorge, anche a quelli gravi,essi possano avere pronta una soluzioneconcreta o che proprio a questo li chiamila loro missione: assumano invece essi,piuttosto, la propria responsabilità, allaluce della sapienza cristiana e facendo at-tenzione rispettosa alla dottrina del Ma-gistero» (Gaudium et spes, n. 43). Più re-centemente la Congregazione per la Dot-trina della Fede conferma: «Non ècompito della Chiesa formulare soluzioniconcrete – e meno ancora soluzioni uni-che – per questioni temporali che Dio halasciato al libero e responsabile giudiziodi ciascuno, anche se è suo diritto e do-vere pronunciare giudizi morali su realtàtemporali quando ciò sia richiesto dallafede o dalla legge morale» (Nota dottrina-le circa alcune questioni riguardanti l’im-pegno e il comportamento dei cattolicinella vita politica, in L’Osservatore Roma-no, 17 gennaio 2003, n. 3). È importante quindi, per quanto concer-ne il Magistero, evitare, anche nel tono enella forma, di dare l’impressione cheesso voglia «dettare leggi» allo Stato o at-tentare alla sua laicità. Ciò servirebbesolo ad accreditare ulteriormente l’ideadi una «religione civile». Nello stesso

    Cristiani nel mondo 15

  • tempo, per quanto concerne lo Stato, oc-corre ribadire che autonomia dalla sferareligiosa non significa affatto autonomiadalla sfera morale, come invece propon-gono le teorie etiche procedurali, soste-nendo una (solo apparente) neutralitàdel diritto. Perciò, non ha senso ed èfuorviante definire «confessionale» la di-fesa da parte della Chiesa di esigenze eti-che, che concordano poi con i principilaici su cui si fonda la democrazia: il ri-spetto della persona, la libertà, la solida-rietà, l’uguaglianza dei diritti, la giusti-zia e la pace. In altre parole, la politica èlaica, laici sono i valori a cui essa si ispi-ra, laiche le finalità a cui tende. Pertantolaiche saranno anche le scelte che i cat-tolici sono chiamati a compiere in politi-ca insieme a tutti gli uomini di buona vo-lontà e in coerenza con la loro ispirazio-ne religiosa. A questo punto, però,occorre precisare il concetto di «laicità».

    2. Il ripensamento del concetto di «lai-cità»L’impiego non univoco del termine «lai-cità» ne rende difficile una definizioneprecisa (cfr CAIMI L., «Laicità», in BERTI E. -CAMPANINI G., Dizionario delle idee politi-che, AVE, Roma 1993, 417-427). Cionono-stante, secondo la accezione illuministi-ca, la «laicità» si fonda su alcuni valoriessenziali: ragione, libertà, uguaglianza.Dire «laicità» è dire razionalità, fare dellaragione l’unico metro del giudicare e del-l’operare; la ragione pertanto non potràmai essere coartata da nessuna verità as-soluta o trascendente, di cui si nega la co-noscibilità. Nello stesso tempo – sempresecondo l’accezione classica del termine– dire «laicità» è rivendicare il primatodella libertà di coscienza e di scelta, indi-pendentemente da ogni norma trascen-dente. Libertà è sinonimo di uguaglianza

    e di tolleranza: le diverse opinioni politi-che, culturali, morali e religiose sono daconsiderare tutte ugualmente legittime.Lo Stato non può sceglierne una e obbli-gare i cittadini a seguirla, ma a ciascunova lasciata piena libertà di ispirarsi all’o-pinione preferita. L’unico limite è il ri-spetto del diritto altrui; e l’unico princi-pio di autorità e di verità è la volontà del-la maggioranza. Su questo fondamento dirazionalità, di libertà e di uguaglianza sibasa la democrazia, al cui interno va ri-conosciuta la reciproca autonomia trasfera religiosa e sfera civile: «Libera Chie-sa in libero Stato». Ebbene, questa nozione di «laicità» distampo individualistico-radicale, nonsolo oggi è largamente superata nei fatti,ma è sempre meno condivisa anche invia di principio. Da un lato, vi ha contri-buito il Concilio Vaticano II, che ha rico-nosciuto la laicità come valore. Infatti –spiega la costituzione Gaudium et spes –le realtà temporali hanno un loro valoreintrinseco, hanno finalità, leggi e stru-menti propri, che non dipendono dallarivelazione soprannaturale: «È in virtùdella creazione stessa che le cose tuttericevono la propria consistenza, verità,bontà, le loro leggi proprie e il loro ordi-ne. L’uomo è tenuto a rispettare tuttociò, riconoscendo le esigenze di metodoproprie di ogni singola arte o scienza»(Gaudium et spes, n. 36). Per la Chiesa,quindi, la laicità non è un accidente sto-rico, ma ha addirittura un fondamentoteologico.D’altro lato, vi ha contribuito la derivadella laicità illuministica. Il nichilismo,l’egoismo e le tragedie immani della so-cietà contemporanea hanno favorito pa-radossalmente la rinascita del bisogno direligione, come punto di riferimento persuperare gli ostacoli alla costruzione di

    16 Per una laicità nuova

  • un mondo nuovo. Ciò ha reso possibili,anzi necessari, l’avvicinamento e la col-laborazione tra credenti e non credenti:l’abbandono da parte della Chiesa deivecchi schemi apologetici e il riconosci-mento che la democrazia laica è il mi-gliore sistema di governo, vanno di paripasso con il superamento da parte delloStato laico delle antiche diffidenze e conil riconoscimento della importanza so-ciale della religione. Ragione e fede nonsono alternative, ma complementari. Ilripensamento della nozione di laicità, invia di fatto e di principio, è richiesto dal-la evoluzione dei tempi e delle idee.Lo confermano due casi emblematici:l’Accordo di revisione del Concordato la-teranense tra la Santa Sede e la Repubbli-ca italiana (18 febbraio 1984) e il Tratta-to costituzionale europeo (firmato aRoma il 29 ottobre 2004). L’art. 1 dell’Ac-cordo di revisione recita: «La Repubblicaitaliana e la Santa Sede riaffermano chelo Stato e la Chiesa cattolica sono, cia-scuno nel proprio ordine, indipendenti esovrani, impegnandosi al pieno rispettodi tale principio nei loro rapporti e allareciproca collaborazione per la promo-zione dell’uomo e il bene del Paese». A

    sua volta, l’art. I-52 del Trattato costitu-zionale europeo riconosce lo status dicui le Chiese, associazioni o comunità re-ligiose godono nel proprio Paese (com-ma 1); quindi, dopo aver ammesso espli-citamente il valore sociale della religio-ne, dispone che si instaurino rapportistabili di collaborazione tra le istituzionidell’Unione e le Chiese, attraverso «undialogo aperto, trasparente e regolare»(comma 3). La religione, dunque, non èpiù considerata un fenomeno privato, elo Stato laico non può più ignorarla. Da questa concezione rinnovata di laicitàsi distanzia sempre di più il «laicismo». Ineolaicisti dei nostri giorni, infatti, conti-nuano ad assolutizzare la separazione il-luministica tra religione e vita civile, fa-cendo della laicità una ideologia dogma-tica e una sorta di «religione di Stato». Èla posizione – per esempio – della Leggen. 1378/2004, Legge sul rispetto del prin-cipio della laicità dello Stato, voluta dalPresidente francese J. Chirac, che vieta ascuola e negli uffici pubblici «i segni e gliabiti che manifestano ostensibilmentel’appartenenza religiosa» (art. 1), dalvelo delle ragazze musulmane alla kip-pah ebraica, alle croci cristiane di grandidimensioni. Era ineluttabile che il ripensamento dellanozione di laicità avesse una ricaduta sulpiano politico: quale via seguire per evi-tare gli scogli opposti della «religione ci-vile» e del «laicismo»? In particolare, checosa fare per rinnovare la politica e ade-guarla alle esigenze della nuova laicità?

    3. Per una nuova «laicità» in politicaNelle nostre società pluriculturali e plu-rietniche, il problema di trovare una viaall’incontro e al confronto interculturalee interreligioso è divenuto improrogabilee urgente. Le numerose esperienze di

    Cristiani nel mondo 17

    Il Card. Agostino Casaroli e Bettino Craxi alla firma della revisione del Concordato fra Italia e Santa Sede, 1984

  • dialogo e di collaborazionepolitica tra credenti e noncredenti oggi sono possibi-li, anche se gli uni e gli altrinon sempre coincidononella interpretazione deimedesimi valori. Tuttaviauna cosa è certa: solo il ri-ferimento alla laicità con-sente l’incontro fra tradi-zioni diverse, nel rispettodella identità di ciascuna.Comunemente si parla dinecessaria «contaminazio-ne» tra culture diverse; per-ché non parlare piuttosto di«fecondazione reciproca»,come fa Giovanni Paolo II aproposito dell’integrazioneculturale tra immigrati ecittadini dei Paesi ospitanti(cfr Messaggio per la Gior-nata Mondiale del Migrantee del Rifugiato 2005, n. 3)?Ora, sul piano politico, lanuova laicità, intesa nonpiù come separazione tradiversi, ma come «feconda-zione reciproca», comportache, senza rinunciare allapropria identità, credenti e non credenticerchino insieme piste concrete per rea-lizzare il maggior bene comune possibilein una data situazione, consapevoli dellenecessarie mediazioni da compiere. Ciòpuò fare problema soprattutto ai cattoli-ci, chiamati a ispirare le scelte politichea esigenze etiche fondamentali e irrinun-ciabili. Tuttavia, è la natura stessa del-l’arte politica a non consentire che quel-le esigenze assolute si traducano imme-diatamente in leggi, ma a imporre lanecessaria gradualità richiesta dalle si-tuazioni concrete. Lo rileva il Compendio

    della dottrina sociale della Chiesa: «Il fe-dele laico è chiamato a individuare, nelleconcrete situazioni politiche, i passi rea-listicamente possibili per dare attuazioneai principi e ai valori morali propri dellavita sociale. […] la fede non ha mai pre-teso di imbrigliare in un rigido schema icontenuti socio-politici, consapevole chela dimensione storica in cui l’uomo viveimpone di verificare la presenza di situa-zioni non perfette e spesso rapidamentemutevoli» (n. 568).Pertanto, la collaborazione politica deicattolici con partner di diverso orienta-

    18 Per una laicità nuova

    Gustave Doré, Disputa con i farisei

  • mento culturale va impostata laicamentee nel rispetto delle regole democratiche,ma senza compromettere la propria iden-tità e in coerenza con i valori ispiratori.Il cristiano sa che Cristo è la via, la veritàe la vita (e ciò gli dà una certezza incrol-labile nell’agire), ma è cosciente che laconoscenza del percorso concreto è sem-pre imperfetta. Sarà lo Spirito a guidarealla conoscenza più piena della verità(cfr Gv 16,13), servendosi anche delle si-tuazioni storiche, dei «segni dei tempi» edel dialogo interculturale. Dando e rice-vendo. Quindi in politica il rispetto dellanuova laicità esige, da un lato, che il cri-stiano non tenti di imporre agli altri laluce che gli viene dalla fede religiosa, masi sforzi di tradurla in termini laici, com-prensibili e accettabili da tutti; d’altrolato, esso richiede che i partner laici sia-no ugualmente disponibili al dialogo e alconfronto, prendendo atto che la ispira-zione religiosa è portatrice di motivazio-ni forti per un impegno politico coraggio-so ed efficace. Questo incontro-confron-to tra credenti e non credenti sul pianodella laicità è una ricchezza della demo-crazia matura.In ogni caso, il cristiano è cosciente diessere portatore di un contributo specifi-co, di cui il mondo ha bisogno: immette-re nella vita politica e nella costruzionedella città dell’uomo il cemento della ca-rità, inteso laicamente come solidarietà.Coerentemente con il Vangelo, egli vivràl’esercizio del potere non come privile-gio, ma come servizio. Vigilerà affinchéla nuova laicità non degeneri in omolo-gazione (al «pensiero unico») e non favo-risca la deriva neoliberista, i cui esitisono altrettanto esiziali di quelli del libe-

    rismo illuministico. I cattolici, quindi,devono essere capaci anche di esercitareun ruolo di opposizione. Come potrebbe-ro non opporsi, democraticamente e lai-camente, a una visione utilitaristica dellapolitica, che usa il potere a difesa di inte-ressi corporativi o addirittura personali,relegando in secondo piano le ragioni deideboli che non godono dei diritti sociali?Come potrebbero non opporsi a sceltepolitiche che portano al disfacimentodella famiglia o attentano alla vita uma-na e alla sua dignità?Dunque i cristiani, mentre si impegnanoin politica a rispettare pienamente la lai-cità e le regole democratiche, ricercandoil maggior bene concretamente possibilein dialogo con gli uomini di buona vo-lontà, non rinunceranno mai a testimo-niare la forza profetica e critica del Van-gelo. Tocca alla Chiesa intera di annun-ziare profeticamente, con la Parola e conla vita, che «il potere di Dio è diverso dalpotere dei potenti del mondo. Il modo diagire di Dio è diverso da come noi lo im-maginiamo e da come vorremmo impor-lo anche a Lui. Dio in questo mondo nonentra in concorrenza con le forme terre-ne del potere. Non contrappone le suedivisioni ad altre divisioni. […] Egli con-trappone al potere rumoroso e prepoten-te di questo mondo il potere inerme del-l’amore, che sulla Croce – e poi sempredi nuovo nel corso della storia – soc-combe, e tuttavia costituisce la cosanuova, divina che poi si oppone all’in-giustizia e instaura il Regno di Dio» (Be-nedetto XVI, «Omelia alla Veglia di pre-ghiera, durante la XX Giornata Mondialedella Gioventù», in L’Osservatore Roma-no, 22-23 agosto 2005).

    Cristiani nel mondo 19

  • Per una ridefinizione della laicitàViene introdotto il concetto di nuova lai-cità come comune base etica “di principi edi valori che, da un lato, non si identifica-no semplicemente con le leggi dello Statoma che ridisegnano un costume, uno stiledi vita; dall’altro, non contrappongono eti-ca religiosa ed etica laica, ma ne colgono eraccolgono gli elementi condivisibili daambedue le prospettive”. Pertanto, in ana-logia con la concezione del laico all’inter-no della Chiesa, inteso non più come unaparte della comunità ecclesiale (la partenon clericale e monastica) ma come lacondizione cristiana in quanto tale, quali-ficata dal battesimo, “la “nuova laicità”non è la parte non credente dell’umanitàma l’intera comunità umana in quantosoggetto etico, di cui credenti e “laici”sono le figure alternative”.

    Autonomia del soggetto etico. Rappor-to tra la dimensione etica del soggettoe la dimensione religiosaNell’ambito di questa concezione di nuo-va laicità, l’Autore affronta la questionedell’autonomia del soggetto etico innan-

    zitutto nel rapporto tra dimensione eticae dimensione religiosa.“Autonomia del soggetto etico significaaffermare che non c’è bisogno di un pre-vio riconoscimento di Dio per fondare lavalidità degli imperativi etici: né del rico-noscimento religioso, né tanto meno, diun’idea filosofica di Dio”.Non c’è bisogno che l’uomo abbia quelrapporto con Dio che è il rapporto reli-gioso perché la coscienza etica sia vali-da, cioè il soggetto sia motivato ad agirein maniera eticamente positiva; per ilcredente Dio parla nella coscienza anchedi coloro che non lo conoscono o ricono-scono religiosamente.La coscienza etica, infatti, “è un’espe-rienza e dunque strutturalmente una co-noscenza prima, di quelle che non han-no nè possono avere altro alle spalle.Il costitutivo dell’eticità non è il riferi-mento a un’idea religiosa o filosofica: ilcostitutivo dell’eticità è l’esperienza chela mia vita non mi appartiene, che non neposso disporre, che il mio agire non è adlibitum, non riceve il proprio senso ulti-mo, la propria positività dalle mie scelte,

    1 Armido Rizzi, filosofo e teologo. È autore di numerosi volumi, tra cui ricordiamo Cristo verità dell’uomo; Messianismonella vita quotidiana (Marietti); Scandalo e beatitudine della povertà (Cittadella); Terra, paese dell’uomo (CENS); L’uo-mo di fronte alla morte (Pazzini). Il testo che presentiamo è una sintesi (a cura di Francesco Maffei della CVX di SanSaba), della III e IV parte del volume Laicità, Ed. Pazzini, 2004.

    L A I C I T À

    Laicitàun’idea da ripensare

    di Armido Rizzi1

    In un breve saggio l’Autore propone una ridefinizione del termine “laicità” pren-dendo le mosse dall’accezione che il termine “laico” ha avuto in vari ambiti seman-tici e nelle varie epoche della storia a cominciare dalla nascita del cristianesimo.

  • ma che viceversa queste sono vincolate aun’istanza che è la condizione assolutadella loro positività”.“Questo carattere di esperienza e quindidi originarietà riguarda sia la forma del-l’eticità, il sentimento del dover-essere,sia i suoi contenuti principali: per es. ilfatto che non posso disporre della vita al-trui (“non uccidere”), che anzi la vitaumana ha un valore sacro... Queste con-vinzioni per quanto assumano configu-razioni diverse a seconda delle culture,non vengono ultimamente da un calcolorazionale né da una rivelazione positivané da un’idea filosofica di Dio; nasconoda dentro, certo anche in forza dei biso-gni vitali e della loro affermazione, macon un sovrappiù di intenzionalià che èprecisamente la loro caratura etica”.Proprio questa originarietà dell’etica rap-presenta ciò che l’Autore definisce nuovalaicità sia rispetto a una visione di eticafondata sulla religione, sia rispetto aduna visione di etica laica fondata sullaragione, fondata cioè filosoficamente.Queste considerazioni portano pertantoa rivedere il rapporto tra religione e ra-gione, nel senso che queste “in luogo diessere il fondamento della vita etica, nesono la denominazione spontanea, sonoun’interpretazione dell’esperienza etica”.Allora la relazione tra esperienza etica edesperienza religiosa del divino come fon-te della prima va vista come un’autoin-terpretazione che l’esperienza eticaspontaneamente si dà. Non una fonda-zione ma un’interpretazione. L’accezione inedita di “laicità” che pro-pone l’Autore consiste proprio in questa“famiglia di esperienze che accomunanocredenti e non credenti in quanto sogget-ti etici”.Pertanto, secondo questa concezione,quella religiosa e quella razionale sono

    “le due modalità fondamentali dell’espe-rienza etica mentre la nuova laicità è ladimensione esperienziale dell’etica cometale”.Questa impostazione porta l’Autore adaffermare “come cristiano credo questo:che l’uomo etico esiste solo in forza del-la parola di Dio, incarnata in Gesù Cristomorto e risorto. Però quella stessa fedeche mi dice che ogni uomo etico è tale inforza di Gesù Cristo , in forza della gra-zia e del comandamento divino, mi por-ta a riconoscere quella grazia e quel co-mandamento anche fuori dell’ambitodella fede. È, questa, una interpretazionedella fede che si autotrascende: una fedeche riconosce che il Dio cui essa aderisceè presente anche nella coscienza etica dichi non crede in lui”.

    Universalità dell’etica: il problema dellaveritàQuesta posizione sulla presenza dell’i-stanza etica in ogni coscienza anche al difuori dello spazio della fede pone poi laquestione dell’universalità dell’etica ed ilproblema della verità.Secondo l’Autore, infatti, “in ogni espe-rienza etica c’è anche la coesperienzache ciò che è giusto o non giusto per melo è anche per gli altri. C’è una universa-lità qualitativa dell’esperienza etica: den-tro l’“io non posso uccidere” c’è almenoil presentimento che questo imperativonon vale solo per me, ma per tutti”.“Dall’altra parte però questa esperienzaè sempre data, proprio in quanto espe-rienza, all’interno del mondo dell’indivi-duo e, in quanto si oggettiva e si socializ-za, all’interno di una certa collettività, inquanto comunicazione e fusione delleesperienze etiche degli individui checompongono la collettività stessa”.Riguardo questo problema di come tra-

    Cristiani nel mondo 21

  • sformare in universalità di fatto l’univer-salità di principio dell’etica, l’Autore pro-pone tre principali modelli di soluzione.Il primo è quello più semplice e vien ri-condotto al principio di autorità basato sulprincipio di verità secondo il quale “c’è unluogo determinato, un luogo storico che èdepositario dell’etica universale, della ve-rità etica. Questo è stato implicitamente ilprincipio di tutte le religioni: luogo di ve-rità etica è il mito e la sua trasmisione”.Il secondo modello di soluzione è ancoraun principio di autorità non più basatasulla verità ma basata sull’autorità delloStato. La differenza rispetto al primo stanel fatto che “il vertice che detiene l’auto-rità-di-verità è tendenzialmente infallibili-sta, perchè la verità non dipende dai nu-meri, mentre il vertice dello Stato (nel sen-so moderno e democratico del termine)viene costituito dal consenso dei cittadinie dal compromesso tra la dimensione nu-merica (il principio-maggioranza) e la di-mensione qualitativa (il principio-verità)”.Terza soluzione è il dialogo inteso come“un processo, un cammino reale delle co-scienze nella loro diversità verso un pun-to ideale che è il riconoscimento effettiva-mente universale della vertà etica, alme-no negli ambiti di maggiore rilevanza”.“Se creare un governo mondiale significatrovare il minimo comun denominatore,al quale tutti devono attenersi per amoreo per forza, trovare la verità etica è inve-ce trovare il massimo comune denomi-natore, il sensus plenior dell’etica”.A questo proposito l’Autore riporta unapagina di un libro di P.C. Bori che parladi un’etica dei convincimenti fondamen-tali già presenti nelle grandi culture e nel-le grandi religioni “La certezza che il di-

    ritto non si attua senza il sentimento del-l’obbligo verso ogni essere umano, il pri-vilegio e l’onore riconosciuto ai deboli, lasuperiorità di chi sa non rispondere almale con il male ma con la forza persua-siva della parola indifesa, il valore dell’a-gire secondo coscienza, a prescindere daifrutti, l’idea che occorra saper governareanzitutto se stessi e la propria casa pergovernare anche gli altri, l’idea che lamaggior guerra sia quella contro se stes-si, l’esistenza assunta come somma dibenefici che occorra restituire, il rispettoe la pietà verso ogni vivente, la vita chesi acquista perdendola, la tranquillità e lapace che vengono dalla certezza di unagiustizia non affidata alla storia, questied altri sono gli antichi, profondi convin-cimenti che molta parte, la parte miglioredell’umanità ha posto a base del suo vi-vere in società, ha espresso in una straor-dinaria varietà di culture popolari tra loronon isolate e ha trasmesso, sopratutto at-traverso la sapienza della donna, sino almomento presente”.2

    A questo punto si può quindi dire chenuova laicità è “la convinzione che nonc’è nessuna cultura (religiosa o laica)che non possa dare il suo contributo po-sitivo alla scrittura di questo codice eticoideale e d’altra parte non c’è nessunacultura che possa considerarsene il luo-go integrale”.

    Bibbia e laicitàA conclusione di questo breve saggio,l’Autore affronta il tema della laicità inrelazione alla Bibbia muovendosi lungodue linee: una letture biblica della laicitàe alcuni approcci di lettura laica delle sa-cre scritture.

    22 Laicità, un’idea da ripensare

    2 P.C. BORI, Per un consenso etico tra le culture. Tesi sulla lettura secolare delle scritture ebraico-cristiane. Marietti, Geno-va 1991, 88-91.

  • Lettura biblica della laicitàPer quanto concerne il primo aspetto,l’Autore traccia un rapido riassunto di unlibretto di G. Barbaglio, La laicità del cre-dente. Interpretazione biblica (Cittadellaed., Assisi 1987) dove, riprendendo l’im-postazione già aperta da Bonhoeffer diuna lettura non-religiosa della bibbia, siafferma che la bibbia insegna la laicità inbase a tre nuclei di fede: la fede nellacreazione, nella incarnazione e nellaescatologia.La fede nella creazione è una lezione dilaicità in quanto sdivinizza il mondo e lodesacralizza. Infatti la bibbia sdivinizzala natura in quanto ne fa creatura di Dio,mentre la desacralizzazione avviene ri-conoscendo l’autonomia ai vari ambitidella vita dell’uomo. Autonomia vuoldire che questi ambiti hanno una loro lo-gica spiegazione (es. che le malattie nonsono mandate da Dio, che la guerra nonè santa, che la politica, come la sessua-lità e il matrimonio, pur essendo legateall’ordine divino, non sono il luogo dellamanifestazione del divino). Dunque “lafede nella creazione implica questa di-mensione di laicità che è come una libe-razione dagli idoli della natura e dagliidoli della cultura; natura e cultura chenon vengono negate nella loro realtà pro-pria ma neppure potenziate a realtà divi-ne, bensì riconosciute nel loro significatopositivo all’interno della creazione”.La fede nell’incarnazione, invece, compor-ta una dimensione di laicità perché abbat-te i muri che creano degli spazi separati.Innanzitutto la separatezza del culto. In-fatti, la parola di Gesù e poi la riflessionecristiana abbattono il muro della separa-tezza del sacro, della specializzazione delsacro, così che non si adora più Dio nè suquesto monte nè nel tempio ma lo si ado-ra in spirito e verità (cfr. Gv 4). Nel Nuovo

    Testamento, infatti, tutto il mondo è di Dioe tutta l’attività dell’uomo diventa attivitàcultuale. Poi c’è la separatezza degli ogget-ti e dei tempi impuri, la separatezza socia-le tra le classi e tra i due sessi. Tutte que-ste separazioni perdono rilevanza nellapredicazione e negli atteggiamenti di Gesùe poi nella fede cristologica.Infine c’è la fede escatologica che ha va-lore di laicità in quanto, da un lato, rela-tivizza la Chiesa, dall’altro segna anchela speranza del credente nel mondo e lescelte che ne conseguono di una nota didisincanto, che non permette di assolu-tizzarle come se fossero la realizzazionedel regno di Dio.

    Lettura “laica” della bibbiaPer quanto concerne poi questo secondoaspetto l’Autore specifica innanzituttoche in questo caso l’aggettivo “laico” staad indicare che questa lettura della bib-bia, a differenza di altre interpretazioni,non ha un senso determinato riferito adun complesso di autori o ad una scuoladi esegesi o altro che abbia proposto opraticato una certa interpretazione dellabibbia chiamandola laica.Lettura laica della bibbia vuol dire diversecose. L’autore ne fissa cinque accezioni.

    1) Lettura laica della bibbia come gran-de codice dell’Occidente.Il primo senso di lettura laica della bib-bia è quello di vedervi “la base della no-stra civiltà, della coscienza occidentale edelle sue oggettivazioni letterarie, figura-tive, musicali”. Secondo questa imposta-zione, l’approccio alla bibbia deve essereguidato dalla consapevolezza che qui ab-biamo a che fare con una delle grandifonti del patrimonio culturale che è allenostre spalle e che indica anche il nostrovissuto esistenziale e politico.

    Cristiani nel mondo 23

  • 2) Lettura laica della bibbia in quantofonte di conoscenza del mondo ebraico-cristiano, in ordine al dialogo intercul-turale.Lo scopo di questa lettura è quello di chi,pur non essendo ebreo o cristiano, è in-teressato a dialogare con queste culturee religioni allo scopo di capire l’“altro”che si ispira alla parola biblica. È la stes-sa operazione che il cristiano compiequando, senza aderire a un’ideologia, nestudia il profilo storico e concettuale peravviare un dialogo cristianamente consa-pevole.

    3) Lettura laica della bibbia in quantoattenta alla “terrestrità”.Questa è una lettura che si rifà al teologotedesco Dietrich Bonhoeffer che nellesue lettere dal carcere nazista ha usato ladizione “interpretazione non religiosadella bibbia”.Per Bonhoeffer, infatti, la religione è quel“movimento con cui la tradizione cristia-na ha proiettato ogni forma di attesa, disperanza, nell’aldilà, saltando l’aldiquà,privando di ogni significato autentica-mente religioso, spirituale, la vita chenoi stiamo vivendo sulla terra”.Va invece riscoperto nell’Antico Testa-mento il carattere autenticamente religio-so, spirituale, biblico della terrestrità,reimparando a leggere l’Antico Testamen-to con gli occhi dell’Antico Testamento,in questo senso con una lettura “non reli-giosa”.Si tratta, allora, di rileggere tutte le cate-gorie teologiche della tradizione cristianatrasferendole dall’ordine religioso ad uno“non religioso” e dobbiamo in questa ot-tica reinterpretare che cosa voglia dire re-denzione, salvezza, grazia come possibi-lità di vita su questa terra proprio perchèla promessa di Dio non riguarda le realtà

    ultime ma le “penultime”. “Penultime” inquanto non definitive, ma anche “realtà”e quindi consistenti, non evanescenti.Questo tipo di interpretazione della bib-bia è laica “non perchè non si faccia rife-rimento a Dio, che anzi resta il perno ditutto, ma perché l’insieme dei beni e deiconcetti in cui s’incarna e si dice la pro-messa di Dio è legato a quella realtà pro-fana, mondana, che è la nostra vita diogni giorno”. Si apre, così, la riflessionesul tema del quotidiano come luogo dellarealizzazione del senso e della pienezzaumana.

    4) Lettura laica della bibbia in quantofatta con criteri scientifici.Questo tipo di interpretazione porta a su-perare il rapporto tra scienza moderna ela bibbia applicando gli stessi criteri chei critici letterari applicano ad ogni operadi letteratura o storiografia; questo nonper negarne il significato di fede ma permostrare come esso sia stato organizzatoal servizio della fede e dei suoi interessi.Non ci sarebbe, dunque, opposizione trametodo scientifico e lettura di fede; anziquel metodo è lo strumento per coglierel’intenzione vera, originaria del testo.

    5) Lettura laica della bibbia in quantodono di senso per tutti.Questa lettura è quella che interessa dipiù l’Autore in quanto presenta la bibbiacome dono di senso che parla al creden-te ma che ha qualcosa da dire all’uomoin quanto tale.“È cercare di scoprire nel testo biblico unmondo di valori che non sono tali soltan-to per l’uomo di di fede che si riconoscein quella precisa fede e che accetta il ca-rattere autoritativo normativo del testo”.Si tratta di scoprire nel testo biblico “unorizzonte, un mondo di valori, di cui si ri-

    24 Laicità, un’idea da ripensare

  • conosce la universalità, di cui si coglie lasintonia con la propria coscienza, con lapropria responsabilità, con la fatica di es-sere uomini propria di ciascuno, così chesi stabilisce una circolazione tra la pro-pria esperienza etica, di senso del mon-do, e il testo biblico: la bibbia parla di te,non solo di te credente, ma di te uomo”.Questo tipo di lettura mette tra parentesigli elementi propriamente religiosi evi-denziando la grande esperienza umanache viene narrata nella storia della bibbia,accessibile anche oggi e con la quale tuttipossono confrontarsi ed arricchirsene.All’interno di questa lettura laica, però,possono scorgersi due livelli, due atteg-giamenti diversi nel considerare la bibbiacome maestra di umanità.Il primo consiste nel cercare nella bibbiauna conferma alle convinzioni già posse-dute. Un esempio può essere fornito dallastoria dell’Esodo letta come “una matura-zione di coscienza di un collettivo versola liberazione da una situazione oggettivadi schiavitù”. In pratica questo tipo di let-tura esemplifica ciò che uno già sa.L’altro livello attiene invece al cercarenella bibbia qualche cosa che difficil-mente si può trovare nella nostra espe-rienza di coscienza o in altri testi. Secon-do questa impostazione l’Esodo sul pia-no etico dice qualcosa che è difficiletrovare altrove, dice che l’asse della leg-ge è amare lo straniero come il Dio dellabibbia che si è rivelato Dio andando aprendersi delle creature che non eranonessuno, che erano non-popolo. In que-sta prospettiva, la storia dell’Esodo puòessere letta come un modo mitologicoper esprimere l’essenza di alterità dell’e-tica.”La relazione etica non è amare nel-l’altro il mio prossimo, ma amare nell’al-

    tro l’altro. Lo straniero diventa il simbo-lo dell’alterità che ognuno di noi è rispet-to all’altro e viceversa”.In questo senso “la lettura laica della bib-bia non è semplicemente conferma diquello che la coscienza o altre tradizionidicono, ma è proprio la scoperta di unadimensione di senso dell’umano a cui dasoli non arriveremmo”.Un altro esempio viene preso dal NuovoTestamento dove amare il nemico diven-ta l’asso nuovo dell’etica, il perdono.“L’etica è stata distrutta dal cuore violen-to, dal rifiuto di amare l’altro, e può esserericostruita soltanto accogliendo non solol’altro, ma il nemico, colui che producenegatività, che è come la personificazionedel male, del caos che minaccia”. Perquesto motivo si può dire che l’intenzio-nalità etica, secondo l’evangelo, rinasceattraverso il gesto della riconciliazione.Questo modo di leggere la bibbia fa sìche questa non fa da conferma alla sta-tura etica già raggiunta dalla mia co-scienza, ma è una vera alimentazione aquesta mia coscienza.“Nella lettura laica dico: amare l’altro,amare il nemico. Come credente dico chela possibilità di fare questo è la grazia,grazia come divinizzazione dell’uomo e“gratia Christi” come ridivinizzazionedell’uomo perduto”.“Lettura laica della bibbia non solo comeconferma di ciò che la coscienza laica giàsa, non solo come incoraggiamento aduna coscienza laica smarrita a ritrovaresemplicemente quello che la modernitàgià diceva, ma come rivelazione della co-scienza etica stessa, come incremento diquello che è la punta di diamante dellalaicità autentica, cioè l’esperienza di re-sponsabilità e solidarietà universale”.

    Cristiani nel mondo 25

  • Disamina dei concetti

    1. Neutralità eticaL’idea di “neutralità etica” è espressionedel relativismo culturale. Il relativismoè davvero, oggi come oggi, il pensierodominante. Possiamo distinguere un re-lativismo “virtuale” (sono possibili di-versi modi di pensare), un relativismo“fattuale” (di fatto esistono diversi cri-teri di pensiero e di azione), un relativi-smo “anti-etnocentrico” (non ha sensoapplicare criteri etici al comportamentodi chi non riconosce tali criteri) e infineun relativismo “soggettivistico” (poichéi criteri di validità di una tesi o di uncomportamento sono interni ad unateoria, qualunque tesi o qualunquecomportamento è giustificabile, a pattoche sottostia a un criterio qualsiasi). 2

    L’idea di fondo è, comunque, che non cisarebbero buone ragioni per giudicarele differenti posizioni etiche. Oggi que-sto atteggiamento prende il nome di“post-illuminismo” o “post-moderno”,“pensiero debole”, “etica senza fonda-mento”, “etica senza verità”, ecc. Il re-lativismo parte da un dato incontestabi-

    le: il fatto che culture diverse riconosco-no e propugnano valori diversi, e chenon tutti i valori sono compossibili; datali premesse, però, fa discendere con-seguenze arbitrarie ed erronee, in parti-colare una: che gli insiemi di valori,come le culture e le civiltà, non possa-no essere confrontati e giudicati. Per-tanto lo Stato dovrebbe essere “neutra-le” di fronte alle diverse visioni.In questa prospettiva il pluralismo eticoviene considerato come condizione perla democrazia: i cittadini rivendicano perle proprie scelte morali la più completaautonomia, mentre i legislatori ritengonodi rispettare tale libertà di scelta formu-lando leggi che prescindono dai principidell’etica naturale per rimettersi alla solacondiscendenza verso certi orientamenticulturali o morali transitori, come se tut-te le possibili concezioni della vita aves-sero uguale valore. I sostenitori dellaneutralità etica ritengono che il valoredella tolleranza richieda a molti cittadini– tra cui i cattolici – di rinunciare a con-tribuire alla vita sociale e politica deipropri Paesi secondo la concezione dellapersona e del bene comune che loro ri-

    L A I C I T À

    Neutralità eticae laicità dello Stato

    di Aldo Vendemmiati1

    Un ulteriore apporto alla chiarificazione del significato dei termini aiuta a evitareper quanto possibile fraintendimenti in un ambito complesso.

    1 Aldo Vendemmiati è professore ordinario di Filosofia Morale nella Pontificia Università Urbaniana (Roma). Ha scritto:In prima persona, Roma 2004; La legge naturale, Roma 1995; Fenomenologia e realismo, Napoli 1992; La specificità bio-etica, Soveria Mannelli 2002.2 Cfr. D. MARCONI, L’eredità di Wittgenstein, Laterza, Roma-Bari 1987.

  • tengono umanamente vera e giusta.3

    L’esperienza dei totalitarismi del XX se-colo ha portato molti a considerare consacro terrore il riferimento alla verità, ri-tenendo che esso sia sintomo di preteseassolutiste e quindi illiberali. Il pensiero“liberale” si sente oggi in dovere di pre-sentare la propria storia come quella diuna ribellione di un’autorità controun’altra autorità e del conflitto tra auto-rità rivali, fino al punto in cui si prendecoscienza che tutte le filosofie nate e cre-sciute nel metacontesto giustificazionistasarebbero intrinsecamente autoritarie, equindi illiberali. Dunque non resterebbeche abbandonare la ricerca di un fonda-mento certo in etica e nella teoria politi-ca. Il tentativo di “fondare” o “giustifica-re” le proprie posizioni etico-politiche èvisto come un abuso della ragione cheha prodotto soltanto dubbi, incertezze econtraddizioni insolubili.4 I mentori delrelativismo ripetono con martellante, re-clamistica insistenza che «la causa primadel conflitto è sempre il dogmatismo»,responsabile di «molte sofferenze» e del«sangue versato da schiere di uomini edonne»,5 giacché «sappiamo tutti che laTerra è inzuppata di sangue versato innome di idee metafisiche».6

    Mi sia consentito porre due rilievi a que-sta posizione filosofico-politica:1. Se si rinuncia al metacontesto giustifi-cazionista, il liberalismo stesso risulta in-giustificato. Esattamente come il nazifa-scismo o il marxismo-leninismo. Se«anything goes»,7 allora anche il nazismo«goes», anche Stalin e Pol Pot «do go», ed

    il liberale non avrà altro argomento con-tro di loro che le proprie preferenze e ipropri gusti individuali – rispettabili tan-to quanto quelli di Hitler o di Semirami-de. Qui non si tratta solo di «salvare le ap-parenze», come direbbe Martha Nus-sbaum (anche se – necessariamente – «leapparenze», ossia i giudizi morali comu-nemente condivisi delle persone raziona-li, vanno salvate). Qui si tratta di distin-guere tra criteri validi e criteri vani, per-ché la Shoah e i Gulag non si ripetano,perché – per dirla con Hans Jonas – in fu-turo possa esistere un mondo simile al-l’attuale, adatto ad essere abitato daun’umanità degna di questo nome.8 Giac-ché, se non c’è un criterio valido per af-fermare che la Shoah e i Gulag sonomale, non c’è un motivo valido per con-trastarne il ritorno. Se non c’è un criteriovalido per affermare che l’esistenza delmondo e di un’umanità degna di questonome – e parimenti di un criterio o di uninsieme di criteri in base ai quali farsiun’idea di cosa sia la dignità dell’umanità– non ha senso impegnarsi per la salva-guardia dell’ambiente e per la promozio-ne umana. Allora davvero si realizza ilparadosso di Sartre, secondo cui è la stes-sa cosa condurre i popoli od ubriacarsi insolitudine, e tra l’esercizio della medicinadel premio Nobel A. Schweitzer e quellodel criminale nazista J. Mengele non c’èalcuna differenza di qualità etica.2. Una falsità ripetuta innumerevoli vol-te finisce con l’essere creduta vera –come ben sanno tutti i propagandisti. Mala falsità resta. Ed affermare che i conflit-

    3 Cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale circa alcune questioni riguardanti l’impegnoe il comportamento dei cattolici nella vita politica (24 novembre 2002), n. 2 (con relative note).4 Cfr. D. ANTISERI, Cristiano perché relativista, relativista perché cristiano, Rubbettino, Soveria Mannelli 2003, p. 6.5 Ibid., p. 12: due volte.6 Ibid., p. 48: due volte.7 P. K. FEYERABEND, Contro il metodo (1970), Feltrinelli, Milano 1975, p. 25.8 Cfr. H. JONAS, Il principio responsabilità (1979), Einaudi, Torino 1993, p. 15.

    Cristiani nel mondo 27

  • ti e le guerre con «la Terra inzuppata disangue versato», siano colpa della «me-tafisica», delle «idee non-falsificabili» edei «demoni del dogmatismo», è e rima-ne una falsità. I conflitti e le guerre sonoscatenati dal capitale e dalla volontà deipotenti, che è volontà-di-potenza; controdi essa l’Occidente ha trovato una difesa– per quanto povera e nuda9 – proprionella ragione, nell’idea non-falsificabiledi diritto e nella metafisica della perso-na. Non sono i demoni del dogmatismoa richiedere i tributi di sangue, ma l’aurisacra fames (come ci ha insegnato Virgi-lio assai prima di Marx).La pretesa di difendere la causa del libe-ralismo democratico e del pluralismomediante l’apologia della neutralità eticaequivale a tagliare dall’albero il ramo sucui si è seduti, ossia – fuori metafora –privarsi di ogni argomento razionale ingrado di confutare il totalitarismo e pre-cipitare inesorabilmente nella tiranniadella volontà dei più forti.

    Laicità dello StatoVi sono fondamentalmente due conce-zioni della laicità. 1. Una, che potremmo definire “laicista”,sostiene che lo Stato debba prescindereda ogni riferimento religioso e confessio-nale. In tal senso, ad uno Stato laico siapplica in pienezza l’espressione di Gro-zio «etsi Deus non daretur», giacché lasua costituzione, le sue leggi e la suaprassi sono ispirate soltanto dal riferi-mento ad una ragione chiusa ad ogni for-ma di trascendenza e ad ogni riferimentoreligioso.10

    Coloro che sostengono questa posizione,vedono nel dovere morale dei cristiani diessere coerenti con la propria coscienzaun segno per squalificarli politicamente,negando loro la legittimità di agire in po-litica coerentemente alle proprie convin-zioni riguardanti il bene comune. In que-sta prospettiva, infatti, si vuole negarenon solo ogni rilevanza politica e cultu-rale della fede cristiana, ma perfino lastessa possibilità di un’etica naturale.2. Un’altra, concezione, fatta propria dalMagistero della Chiesa ma sostenuta an-che da molti non-cattolici, intende la lai-cità come autonomia della sfera civile epolitica da quella religiosa ed ecclesiasti-ca, ma non da quella morale. GiovanniPaolo II ha più volte messo in guardiacontro i pericoli derivanti da qualsiasiconfusione tra la sfera religiosa e la sferapolitica: «Assai delicate sono le situazioni in cuiuna norma specificamente religiosa di-venta, o tende a diventare, legge delloStato, senza che si tenga in debito contola distinzione tra le competenze della re-ligione e quelle della società politica.Identificare la legge religiosa con quellacivile può effettivamente soffocare la li-bertà religiosa e, persino, limitare o ne-gare altri inalienabili diritti umani».11

    “Laicità” in questo senso significa che gliatti specificamente religiosi (professionedella fede, adempimento degli atti di cul-to e dei Sacramenti, dottrine teologiche,comunicazioni reciproche tra le autoritàreligiose e i fedeli, ecc.) restano fuoridalle competenze dello Stato, il quale nédeve intromettersi né può in modo alcu-

    9 Su questo tema mi permetto di rinviare al mio Povera e nuda. Saggio di filosofia della filosofia, “Euntes Docete”(Roma), 59 (2006), 199-220.10 Cfr. C. ZUCCARO, Etica laica ed etica cristiano-cattolica, Radio Vaticana, 7 novembre 2006.11 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la celebrazione della Giornata Mondiale della Pace 1991: “Se vuoi la pace, rispettala coscienza di ogni uomo”, IV, AAS 83 (1991) 410-421.

    28 Neutralità etica e laicità dello Stato

  • Cristiani nel mondo 29

    no esigerli o impedirli, salve esigenzefondate di ordine pubblico. Il riconosci-mento dei diritti civili e politici e l’eroga-zione dei pubblici servizi non possonorestare condizionati a convinzioni o pre-stazioni di natura religiosa da parte deicittadini.Questione completamente diversa è il di-ritto-dovere dei cittadini – sia che profes-sino una religione sia che non la professi-no – di cercare sinceramente la verità e dipromuovere e difendere con mezzi lecitile verità morali riguardanti la vita sociale,la giustizia, la libertà, il rispetto della vitae degli altri diritti della persona. Il fattoche alcune di queste verità siano ancheinsegnate dalla Chiesa o da altre organiz-zazioni religiose non diminuisce la legitti-mità civile e la “laicità” dell’impegno di

    coloro che in esse si riconoscono, indi-pendentemente dal ruolo che la ricercarazionale e la conferma procedente dallafede abbiano svolto nel loro riconosci-mento da parte di ogni singolo cittadino. La “laicità” così intesa, infatti, indica inprimo luogo l’atteggiamento di chi ri-spetta le verità che scaturiscono dalla co-noscenza naturale sull’uomo che vive insocietà, anche se tali verità sono nellostesso tempo insegnate da una religionespecifica, poiché la verità è una. Ma in-dica anche la consapevolezza storico-culturale di chi ritiene che la marginaliz-zazione del Cristianesimo non potrebbegiovare al futuro progettuale di una so-cietà e alla concordia tra i popoli, ed anziinsidierebbe gli stessi fondamenti spiri-tuali e culturali della civiltà.12

    12 Cfr. CONGREGAZIONE PER LA DOTTRINA DELLA FEDE, Nota dottrinale…, cit., n. 6 (con le note).

    Il Papa Benedetto XVI con il Rettore dell’Università «La Sapienza» Renato Guarini

  • In una società pluralista, tutti sono espo-sti al confronto e alla critica, tutti obbliga-ti a elaborare ragioni nell’agora pubblica,e i cristiani devono imparare a esprimersiin termini che non siano né dogmatici, nésoltanto sostenuti dalla loro fede, devonousare un linguaggio antropologico, tale daessere comprensibile anche dagli altri ecapace di mostrare le «ragioni umane»che sostengono le loro posizioni e le loroscelte. I cristiani non possono condurrele loro battaglie trincerandosi dietro i dog-mi e usando come arma la loro dottrina: èquestione, innanzitutto, di custodia dellafede e delle sue parole più proprie e, in se-condo luogo, di termini e di modalità didialogo capaci di mostrare che il cristiane-simo è sempre al servizio dell’umanizza-zione di ogni persona e della collettività,al servizio della costruzione di un mondopiù abitabile segnato da giustizia, pace, ri-spetto del creato e della dignità umana.Ci sono convinzioni alle quali i cristianinon possono rinunciare e sono quelle sucui si accende in questi tempi il confron-to: etica sessuale e matrimoniale, aborto,eutanasia, bioetica… Con forte determi-nazi