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Cure primarie pediatriche (a cura di M. Picca) Il pediatra di famiglia e la gestione del bambino con infezioni delle vie urinarie Le cure primarie in pediatria: tra pratica ed Evidence Based Medicine La ricerca nelle cure primarie pediatriche: i contributi italiani nella letteratura internazionale Ortopedia pediatrica (a cura di A. Borgo) Update sulla diagnosi e trattamento precoce della displasia congenita dell’anca Il trattamento del piede torto congenito idiopatico con il Metodo Ponseti Gli aspetti ortopedici nelle mucopolisaccaridosi Frontiere (a cura di A. Biondi, A. Iolascon, L.D. Notarangelo, M. Zeviani) Patologia ereditaria da gain of function Focus (a cura di G. Andria) La malattia emolitica feto-neonatale oggi Vol. 47 • N. 185 gennaio-marzo 2017 Periodico trimestrale POSTE ITALIANE SPA - Spedizione in Abbonamento Postale - D.L. 353/2003 conv.in L.27/02/2004 n°46 art.1, comma 1, DCB PISA Aut. Trib. di Milano n. 130 del 17/03/1971 - Stampa a tariffa ridotta - tassa pagata - Aut. Dirpostel Pisa n. 1/36131/4/1 del 10/09/1993 - Taxe perçue - Italia

Cure primarie pediatriche - SIP · con infezioni delle vie urinarie Le cure primarie in pediatria: tra pratica ed Evidence Based Medicine ... Nel secondo articolo, Montini e Alfano

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Cure primarie pediatriche(a cura di M. Picca)

Il pediatra di famiglia e la gestione del bambino con infezioni delle vie urinarie

Le cure primarie in pediatria: tra pratica ed Evidence Based Medicine

La ricerca nelle cure primarie pediatriche: i contributi italiani nella letteratura internazionale

Ortopedia pediatrica (a cura di A. Borgo)

Update sulla diagnosi e trattamento precoce della displasia congenita dell’anca

Il trattamento del piede torto congenito idiopatico con il Metodo Ponseti

Gli aspetti ortopedici nelle mucopolisaccaridosi

Frontiere (a cura di A. Biondi, A. Iolascon, L.D. Notarangelo, M. Zeviani)

Patologia ereditaria da gain of function

Focus (a cura di G. Andria)

La malattia emolitica feto-neonatale oggi

Vol. 47 • N. 185gennaio-marzo 2017

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Vol. 47 • N. 185gennaio-marzo 2017

Redazione EditorialeValentina BàrberiTel. 050 3130376 [email protected]

AmministrazionePacini Editore SrlVia Gherardesca, 156121 PisaTel. 050 313011 - Fax 050 [email protected]

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Le fotocopie per uso personale del lettore possono essere effettuate nei limiti del 15% di ciascun fascicolo di periodico dietro pagamento alla SIAE del compenso previsto dall’art. 68, commi 4 e 5, della legge 22 aprile 1941 n. 633. Le riproduzioni effettuate per finalità di carattere professionale, economico o commerciale o comunque per uso diverso da quello personale possono essere effettuate a seguito di specifica autorizzazione rilasciata da AIDRO, Corso di Porta Romana n. 108, Milano 20122, E-mail: [email protected] e sito web: www.aidro.org.

© Copyright by Pacini Editore Srl

Direttore Responsabile: Patrizia Alma Pacini

Rivista stampata su carta TCF (Total Chlorine Free) e verniciata idro.

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Comitato di DirezioneAndrea Biondi, MonzaFranco Chiarelli, ChietiGiovanni Cioni, PisaGiovanni Corsello, PalermoAchille Iolascon, NapoliAlberto Martini, GenovaLuigi Daniele Notarangelo, BostonFabio Sereni, MilanoRiccardo Troncone, Napoli

Comitato EditorialeSalvatore Auricchio, NapoliSergio Bernasconi, ParmaSilvano Bertelloni, PisaMauro Calvani, RomaLiviana Da Dalt, PadovaMario De Curtis, RomaMaurizio de Martino, FirenzePasquale Di Pietro, GenovaAlberto Edefonti, MilanoCiro Esposito, NapoliCarlo Gelmetti, MilanoGiuseppe Maggiore, FerraraGianantonio Manzoni, MilanoBruno Marino, RomaPierpaolo Mastroiacovo, RomaEugenio Mercuri, RomaPaolo Paolucci, ModenaLuca Ramenghi, GenovaDaria Riva, MilanoMartino Ruggieri, CataniaFranca Rusconi, FirenzeFrancesca Santamaria, NapoliLuigi Titomanlio, ParigiPietro Vajro, SalernoMassimo Zeviani, Cambridge, UKGianvincenzo Zuccotti, Milano

Redazione ScientificaRoberto Della Casa (Redattore Capo)Simona FecarottaGiusy Ranucci

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Cure primarie pediatriche (a cura di Marina Picca)

Presentazione ............................................................................................................................................. 1

Il pediatra di famiglia e la gestione del bambino con infezioni delle vie urinarieAngela Maria Pittari, Marina Picca .............................................................................................................. 2

Le cure primarie in pediatria: tra pratica ed Evidence Based MedicineTommaso Montini, Sara Alfano ................................................................................................................ 10

La ricerca nelle cure primarie pediatriche: i contributi italiani nella letteratura internazionaleLaura Reali, Milena Lo Giudice, Teresa Cazzato, Carlotta Bianchini, Marina Picca ..................... 18

Ortopedia pediatrica (a cura di Andrea Borgo)

Presentazione ............................................................................................................................................. 33

Update sulla diagnosi e trattamento precoce della displasia congenita dell’ancaVito Pavone, Maria Riccioli, Andrea Borgo ............................................................................................. 34

Il trattamento del piede torto congenito idiopatico con il Metodo PonsetiVito Pavone, Gianluca Testa, Andrea Borgo ......................................................................................... 42

Gli aspetti ortopedici nelle mucopolisaccaridosiAndrea Borgo, Vito Pavone ....................................................................................................................... 50

Frontiere (a cura di Andrea Biondi, Achille Iolascon, Luigi D. Notarangelo, Massimo Zeviani)

Patologia ereditaria da gain of functionEdoardo Errichiello, Beatrice Casati, Orsetta Zuffardi ...................................................................... 62

Focus (a cura di Generoso Andria)

La malattia emolitica feto-neonatale oggiDaniela Regoli, Mario De Curtis ............................................................................................................... 71

Prospettive in Pediatria

INDICE N. 185gennaio-marzo 2017

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Prospettive in Pediatriagennaio-marzo 2017 • Vol. 47 • N. 185 • P. 1

Cure primarie pediatriche

Come Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche (SICuPP) abbiamo accolto con molto interesse ed entusiasmo l’invito della direzione di Prospettive in Pediatria a curare una sezione dedicata alle cure primarie pediatriche, forse non del tutto consapevoli della complessità del lavoro richiesto. Una sezione su questo argomento rappresenta una novità per Prospettive in Pediatria ed è risultato difficile riportarla nello schema generale delle altre sezioni “specialistiche”, basate su una revisione della letteratura internazionale recente. Dopo varie proposte e riflessioni abbiano scelto di presentare tre articoli che rispondessero ai seguenti obiettivi: 1) identificare dati di letteratura che abbiano contribuito a modificare l’approccio diagnostico, terapeutico e assistenziale a patologie di frequente riscontro nella pediatria delle cure primarie; 2) verificare se per alcune pratiche cliniche di uso quotidiano esistano evidenze scientifiche che le supportino; 3) fare il punto sulla ricerca clinica svolta in Italia nelle cure primarie, un tema spesso trascurato, che dovrebbe, invece, essere valorizzato come strumento per migliorare qualità ed efficacia dell’assistenza.Il primo articolo di Pittari e Picca riassume la letteratura più recente sulla diagnosi, terapia e profilassi delle infezioni delle vie urinarie (IVU) e mette in evidenza come sia mutato l’approccio al bambino con IVU, e come il Pediatra di Famiglia possa gestire gran parte di questi pazienti, limitando alle situazioni più complesse il ricorso al secondo livello e la necessità di ospedalizzazione. L’importanza di una diagnosi e terapia tempestiva, il ruolo della genetica nel danno renale, l’utilizzo di esami strumentali e della profilassi in casi selezionati sono i dati più rilevanti e meritevoli di approfondimento.Nel secondo articolo, Montini e Alfano hanno selezionato tre pratiche molto diffuse nell’ambito delle cure pri-marie pediatriche e si sono proposti di verificare se esistono in letteratura evidenze che possano sostenere consigli e informazioni su questi argomenti. I risultati ottenuti attraverso un’indagine nella letteratura internazio-nale confermano che le evidenze scientifiche sono molto deboli e scarse, mentre vastissima è la pubblicazione e diffusione di consigli e affermazioni sui vari siti Internet, spesso consultati dalle famiglie. Tutto questo deve farci riflettere su come la rete e i social network riescano a disseminare notizie acriticamente recepite dai loro lettori. Di qui la necessità, per la comunità pediatrica, di vigilare su alcune pratiche ambulatoriali, anche se comunemente consigliate e attuate e di valutarle con documenti di consenso autorevoli ed evidence based. Il terzo articolo, di Reali e collaboratori, è dedicato a un’analisi bibliografica sulla ricerca nelle cure primarie pediatriche, condotta in Italia. Gli autori hanno tentato di rispondere al titolo un po’ provocatorio di un editoriale pubblicato su The Lancet nel 2003: “Is primary-care research a lost cause?” (Horton, 2003), che nel nostro caso suonerebbe: “La ricerca nelle cure primarie pediatriche è una causa persa?”.Si sono raccolte con grande pazienza le pubblicazioni di autori italiani comparse dal gennaio 2002 al dicembre 2016 su riviste indicizzate internazionali nel campo della pediatria del territorio. I numeri ottenuti sono certa-mente limitati, ma un dato “incoraggiante” è stato il rilievo di una progressiva crescita, per quantità e varietà, dei lavori apparsi anche su riviste internazionali di elevato Impact Factor, soprattutto in ambito non farmacologico. Certo tanti sono ancora i problemi e le criticità e molto lavoro resta da fare perché la (buona) ricerca clinica, come in qualunque campo della medicina, influenzi positivamente la qualità dell’assistenza .Prima di lasciarvi alla lettura, desideriamo ringraziare le colleghe e i colleghi che hanno accettato di lavorare, con entusiasmo e serietà, per la realizzazione di questa sezione dedicata alle Cure primarie pediatriche. Nella speranza di aver stimolato curiosità e interesse, non resta che augurare: buona lettura!

Marina PiccaPediatra di Famiglia, Milano

Past President Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche (SICuPP) 

Stefano del TorsoPediatra di Famiglia, Padova

Società Italiana delle Cure Primarie Pediatriche (SICuPP)

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gennaio-marzo 2017 • Vol. 47 • N. 185 • Pp. 2-9 Prospettive in Pediatria

Cure primarie pediatriche

Il pediatra di famiglia e la gestione del bambino con infezioni delle vie urinarie

Angela Maria Pittari1 Marina Picca2

1 Pediatra di famiglia, Firenze; 2 Pediatra di famiglia, Milano

After respiratory infections, urinary tract infections (UTI) are the most frequent bacterial infections in children. In Europe, recent data show a prevalence of 6% in children younger than 5 years, which refer to primary care. Since clinical data are highly variable, in all children of this age group with fever > 38°, without apparent explanation  for the fever, UTI must be suspected and a urine specimen must be obtained for both culture and urinalysis before an antimicrobial agent is administered. Timely diagnosis and treatment may alleviate short-term symptoms and potentially prevent long-term adverse conse-quences. Urine collection must be accurate to reduce the risk of false positive results and as soon as a sample of pathological urine is obtained, it is important to start antibiotic therapy pending urine culture results. The primary care paediatrician can use ambula-tory diagnostic tests, oral antibacterial drugs, assure continuity of care and manage most patients with urinary tract infections by limiting the need for hospitalisation, except for the most complex patients.

Summary

Le infezioni delle vie urinarie (IVU) rappresentano, dopo le infezioni respiratorie, le infezio-ni batteriche più frequenti in età pediatrica. In Europa dati recenti riportano una prevalenza del 6% in bambini di età inferiore ai 5 anni, che afferiscono alle cure primarie. I dati clinici sono molto variabili, pertanto in tutti i bambini di questa fascia di età con febbre > 38°, sen-za segni di localizzazione, deve essere sospettata una IVU e quindi è necessario racco-gliere un campione per eseguire un esame delle urine e un’urinocoltura prima di iniziare un trattamento antibiotico. La diagnosi e il trattamento tempestivo possono alleviare i sintomi a breve termine e potrebbero potenzialmente prevenire le complicanze nel lungo termine. La raccolta delle urine deve essere accurata per ridurre il rischio di falsi positivi e, appena ottenuto un campione di urine patologico, è importante iniziare una terapia antibiotica in at-tesa dell’esito dell’urinocoltura. La possibilità di utilizzare test diagnostici nell’ambulatorio, l’utilizzo di farmaci antibatterici per uso orale, le continuità di cure permettono al pediatra di famiglia la gestione di gran parte dei pazienti con infezioni delle vie urinarie limitando la necessità di ospedalizzazione e il ricorso al secondo livello ai pazienti più complessi.

Riassunto

Metodologia di ricerca bibliografica effettuataLa ricerca degli articoli è stata condotta nella banca bi-bliografica MedLine, utilizzando come motore di ricerca PubMed. Sono state impiegate le seguenti key words:

“urinary tract infections”, “urinary tract infections in chil-dren – guidelines”, “urinary tract infections – therapy”, “urinary tract infections”, “ultrasonography”, “vesico-uret-eral reflux”, “diagnosis and therapy”. Per ciascun termine sono stati applicati i seguenti limiti: età della popolazione (all children 0-18 years) e lingua (English, Italian).

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Il pediatra di famiglia e la gestione del bambino con infezioni delle vie urinarie

IntroduzioneLe infezioni delle vie urinarie (IVU) sono tra le infe-zioni batteriche più frequenti in età pediatrica. L’inci-denza delle IVU è diversa a seconda dell’età e del sesso del bambino, nonché del metodo utilizzato per la diagnosi. Le IVU vengono distinte clinicamente in infezioni delle alte vie urinarie (pielonefriti) e delle basse vie urinarie (cistiti). La presenza di febbre, so-prattutto se elevata, è un marcatore di localizzazione parenchimale dell’infezione (pielonefrite) ed è questo il motivo per cui nella pratica clinica è ormai universal-mente accettata la distinzione delle infezioni delle vie urinarie in febbrili e non febbrili. La prevalenza delle IVU in bambini di età inferiore ai 2 anni con febbre senza segni di localizzazione è pari al 3-6%; un ampio studio realizzato nel 2013 in soggetti di età inferiore ai 5 anni riporta una prevalenza del 5,9%(O’Brien et al., 2013). Sotto l’anno di vita sia femmine che maschi (non cir-concisi) presentano la stessa probabilità di IVU (Mon-tini et al., 2009). Tra i 2 anni e l’età scolare le bambine sono 4-5 volte più suscettibili di contrarre un’IVU ri-spetto ai coetanei maschi non circoncisi (questa mag-giore incidenza nel sesso femminile sembra essere legata alla struttura anatomica dell’uretra, decorso breve e meno tortuoso, e alla maggiore facilità alla colonizzazione periuretrale) (Cason et al., 2000). L’insidia diagnostica delle IVU in età pediatrica è lega-ta principalmente al fatto che i quadri di presentazione sono spesso aspecifici (febbre, irritabilità e vomito) e comuni ad altre condizioni acute di origine virale. Inol-tre la conferma laboratoristica della diagnosi richiede come step iniziale la raccolta di un campione di urine incontaminato, che risulta impegnativo in pazienti che non hanno ancora raggiunto il controllo degli sfinteri. Il ritardo diagnostico e quindi il ritardato trattamento antibiotico sono responsabili del deterioramento cli-nico e della possibile comparsa di una cicatrice, con dati di prevalenza molto variabili riportati in letteratura (Montini et al., 2009).Le linee guida pubblicate sull’argomento negli ultimi anni (NICE e AAP) enfatizzano l’importanza della diagnosi tempestiva microbiologicamente confermata e del trattamento nei bambini, soprattutto nell’ambi-to delle cure primarie, dove c’è l’evidenza che le IVU sono sottostimate (Birnie et al., 2017). Sono in corso a tal proposito studi prospettici su ampie coorti di bambini volti a validare algoritmi diagnostici che facilitino il riconoscimento rapido e appropriato delle IVU nell’ambito delle cure primarie (Downing et al., 2012). D’altro canto, negli ultimi anni la possibilità di utilizza-re test diagnostici di primo livello nell’ambulatorio del pediatra di famiglia, l’utilizzo di farmaci antibatterici per uso orale, la continuità delle cure hanno miglio-rato la gestione sul territorio di gran parte dei pazienti con infezioni delle vie urinarie, limitando la necessità di ospedalizzazione e il ricorso al secondo livello solo ai pazienti più complessi.

Eziologia e patogenesi La gran parte dei patogeni implicati nella patogenesi delle IVU, osservate nei nostri ambulatori di Pediatria di famiglia, sono Gram negativi, appartenenti alla fa-miglia delle Enterobatteriacee e di queste l’Escheri-chia coli (E. coli) predomina su tutte (90% dei casi in entrambi i sessi). Il Proteus risulta maggiormente re-sponsabile delle IVU ricorrenti, la Klebsiella è isolata più frequentemente nel periodo neonatale in entrambi i sessi e, infine, lo Pseudomonas aeruginosa ricorre come patogeno di IVU in bambini con anomalie uro-genitali e/o sottoposti a indagini strumentali invasive.Per quanto riguarda i virus, l’Adenovirus tipo 2 è re-sponsabile della cistite acuta emorragica, infezione autolimitantesi, la cui diagnosi è agevole poiché si presenta come un quadro di disuria-pollachiuria-ema-turia senza batteriuria, escludendo altre cause. L’infezione si propaga comunemente attraverso la via ascendente e l’uretra ne rappresenta la naturale porta d’ingresso. La flora batterica intestinale è considerata la fonte abituale dei germi che causano le IVU e la loro capacità di colonizzare la zona periuretrale appa-re elemento importante per l’instaurarsi dell’infezione. La brevità dell’uretra nella femmina spiega la mag-giore incidenza di IVU nelle bambine e le frequenti recidive (le cistiti ricorrenti sono appannaggio quasi del tutto femminili: il 60-80% dei casi) (Pattaragarn et al., 2002). I germi, favoriti dalla defecazione e dalla scarsa igiene, risalgono dal retto nell’area periuretra-le, da qui alla vescica il passo è breve, si moltiplicano e/o possono risalire l’uretere fino al parenchima rena-le. Perché la colonizzazione avvenga sono necessari due elementi: la virulenza dei batteri e i meccanismi favorenti o protettivi, presenti nell’ospite rispetto alle infezioni.

Fattori di virulenzaL’E. coli sembra essere il germe più virulento (70% di IVU), grazie alla presenza di antigeni di superficie (O, K e H), alla resistenza al potere battericida del siero e a particolari strutture della parete, quali le “fimbrie”, con le quali il germe può aderire ai recettori dell’uro-epitelio.

Meccanismi coinvolti nell’ospiteFavorenti:• malformazioni congenite o acquisite dell’apparto

urinario, che favoriscono il ristagno o la risalita di urina lungo gli ureteri, come l’incoordinazione vescicale nella instabilità vescicale, la tortuosità e dilatazione degli ureteri nei reflussi di alto grado e nel megauretere, importanti dilatazioni delle pelvi renali come nelle stenosi del giunto pieloureterale, la fimosi serrata, la fusione delle piccole labbra, l’ossiuriasi, le infezioni e micosi vaginali predi-spongono a IVU (Pattaragarn et al., 2002);

• numero e disponibilità dei recettori per le fimbrie; i

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A.M. Pittari, M. Picca

soggetti con IVU sembrano possedere un’elevata densità di recettori specifici per ceppi di E. coli fim-briati (Lomberg, 1983; 1989);

• la stipsi provoca spesso uno svuotamento incom-pleto della vescica, dovuto a una parziale ostruzio-ne da parte del segmento distale del retto, o RVU secondario a distorsione del trigono vescicale. La correzione della stipsi migliora la funzione vesci-cale e previene le IVU (O’Regan et al., 1985; Shim et al., 2009);

• una scarsa assunzione di liquidi e minzioni infre-quenti, come spesso si osserva nei bambini, cau-sano insufficiente flusso urinario e stasi urinaria vescicale, primo step per la colonizzazione batte-rica;

• la scarsa o assente educazione minzionale è rite-nuta una causa non infrequente di IVU: il pediatra di famiglia deve verificare ed eventualmente so-stenere i genitori nell’educare i bambini a urinare ogni 2-3 ore (nelle bambine a gambe allargate per impedire il reflusso vescico-vaginale).

Protettivi:• l’allattamento al seno, ipotizzato come fattore pro-

tettivo dal rischio di IVU, poiché promuove la pre-senza di fattori antiadesivi nelle urine e stabilizza la flora batterica intestinale con un minor numero di enteropatogeni (Lama et al., 1997), non è stato confermato da dati più recenti di letteratura (Li et al., 2014);

• la risposta anticorpale locale mediata da IgA se-cretorie, che attivano il complemento e riducono l’aderenza delle fimbrie batteriche all’uroepitelio. È stato documentato che bambini con IVU ricorrenti presentano una ridotta escrezione di IgA (Lama et al., 1997; Ludvigsson, Neovius e Hammarström, 2016);

• la flora saprofita periuretrale costituisce la prima linea di difesa contro l’IVU e di norma è rappre-sentata da una microflora anaerobica, in partico-lare lattobacilli, che ostacola la colonizzazione da parte dei coliformi patogeni. Nelle bambine, la co-lonizzazione di questa zona con bacilli Gram ne-gativi, come può accadere dopo una prolungata terapia antibiotica, può essere causa di IVU (Lama et al., 1997).

ClinicaIl pediatra di famiglia, nella sua pratica ambulatoriale, può trovarsi di fronte a diversi quadri sintomatologici a seconda dell’età del paziente:• nel neonato un’IVU si può manifestare con un

quadro drammaticamente grave, con compromis-sione dello stato generale, di tipo setticemico, feb-bre non necessariamente elevata e incostante o ipotermia, rifiuto del latte, convulsioni generalizza-te, ittero prolungato, disidratazione, turbe gastro-enteriche, irritabilità e segni di irritazione menin-

gea. Questo quadro impone l’invio immediato del bimbo al 2° livello per gli accertamenti e le cure del caso. Ritornerà all’osservazione del pediatra dopo la dimissione dall’ospedale per il follow-up clinico, urinario ed eventualmente terapeutico;

• nel lattante spesso i sintomi sono del tutto aspe-cifici: febbre, inappetenza, pallore, vomito, scarso o irregolare incremento ponderale, emissione di urine maleodoranti (tipico odore ammoniacale). La febbre, specie nei bambini piccoli costituisce spesso l’unico sintomo rilevabile e, se è elevata (> 39°C), è considerata un fattore di rischio e un marker specifico per un coinvolgimento del paren-chima renale;

• nel bambino più grande (seconda e terza infan-zia) la sintomatologia è più specifica: dolore addo-minale lombare o sovrapubico, “bruciore alla min-zione”, enuresi, stranguria, disuria con pollachiuria o ritenzione urinaria (globo vescicale, turbe del mitto (debole, interrotto o “poche goccioline”). Può essere presente ematuria macroscopica o micro-scopica, febbre, pallore e malessere generale.

DiagnosiGli studi condotti nell’ambito delle cure primarie te-stimoniano l’alto livello d’attenzione verso le IVU; il conseguente numero di campioni di urine analizzati in bambini malati è aumentato, ma ancora non rag-giunge i valori di prevalenza riportati dalla letteratura (Hay et al., 2016).In tutti i bambini con febbre >  38°C della durata > di 24 h, senza segni di localizzazione, deve essere sospettata un’IVU e quindi è necessario eseguire un esame delle urine (AAP, 2011).Le indagini microbiologiche per esaminare le urine richiedono tempi di attesa più o meno lunghi, in al-ternativa, informazioni utili si possono ottenere con un test semplice, rapido ed economico, compreso nel self-help dell’ambulatorio pediatrico: il dip-stick (stri-scia di plastica con piccoli quadratini di carta, pads imbevuti di reagenti chimici per determinate sostan-ze). S’immerge la striscia nelle urine per non più di 1 secondo, quindi vengono valutati i cambi di colore dell’area reattiva con quelli di una scala colorimetri-ca di riferimento (ponendo attenzione all’intervallo di tempo per la lettura riportato sulla confezione), per una valutazione semiquantitativa di quelle sostanze (Pasinato et al., 2012; Edefonti et al., 2015). Si ha così la possibilità di individuare i soggetti che hanno un’alta probabilità di avere in atto un’IVU o, in caso di risultato negativo, di escluderne la diagnosi. Nella valutazione è importante il test ai nitriti che de-rivano dalla trasformazione dei nitrati a opera della maggior parte dei germi patogeni; affinché il test ri-sulti positivo è necessario che i batteri siano presenti in numero significativo e per un tempo di incubazione in vescica sufficiente, circa 4 ore, (tale condizione si

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Il pediatra di famiglia e la gestione del bambino con infezioni delle vie urinarie

verifica più facilmente nelle urine emesse al mattino) (Tamburlini, 1987; Edefonti et al., 2015). Falsi positivi si possono verificare su urine non fresche e falsi ne-gativi in presenza di batteri che non riducono i nitrati in nitriti (Gram positivi e Proteus), oppure in presenza di urine diluite.La rilevazione contemporanea di leucocituria accre-sce il valore diagnostico del test, mentre la presenza della sola leucocituria, anche se elevata, non è segno di IVU certa; i leucociti potrebbero derivare dalla va-gina, potrebbero essere conseguenti a disidratazio-ne (febbre) o a un processo infiammatorio anche in sede diversa, come nel caso di un’appendicite acuta (O’Regan et al., 1985). In media, il test per leucoci-turia ha una sensibilità dell’83% e una specificità del 78%, quello per i nitriti una sensibilità del 53% e una specificità del 98% (linee guida dell’AAP) (Whiting et al., 2006) [Tab. I]. Se entrambi i test sono positivi, la sensibilità si avvicina al 100%.L’esame microscopico delle urine a fresco, metodo dia-gnostico poco costoso e rapido (qualche ora) permette di evidenziare la batteriuria e risulta dirimente in caso di stick urine dubbio con sintomatologia suggestiva di IVU. Le urine devono essere viste al MO, appena emesse, centrifugando a 1500-2000  rpm (revolution per minute) per 5-10 minuti, in una camera per con-ta leucocitaria (10 globuli per campo corrispondono a 100.000 germi per ml all’urinocoltura (Vickers et al., 1992). Le modalità per eseguire l’esame microscopico sono consultabili sul Manuale di Nefrologia Pediatrica (2015) e sul sito: www.selfpediatrico.it.Da tenere presente che l’IVU può essere presente an-che con una bassa conta microbica in caso di elevato flusso urinario, che determina una minore permanen-za dei germi in vescica, di iperosmolarità urinaria che inibisce la crescita batterica o, al contrario, di estrema diluizione delle urine, di pH molto acido o di recente trattamento antibiotico.

Come si raccolgono le urine nel setting delle cure primarieCi sono 5 modalità di raccolta delle urine nei bambini: la puntura sovrapubica, il cateterismo vescicale, il mit-

to intermedio, il sacchetto assorbente nel pannolino (nappy pad) e l’applicazione del sacchetto perineale. Considerata la natura invasiva e le restrizioni tempo-rali, le prime due procedure non sono raccomanda-te nell’ambito delle cure primarie. Il mitto intermedio resta la metodica consigliata di raccolta ma, se non è possibile effettuarla, si utilizzano le altre due meto-diche.Le linee guida NICE tuttavia affermano che manca-no evidenze a supporto dell’affidabilità del sacchet-to e del nappy pad e studi recenti confermano che nell’ambito delle cure primarie andrebbe sempre ten-tato di ottenere il campione mediante il mitto interme-dio anche in lattanti (Birnie et al., 2017).Recentemente sono stati descritti alcuni suggerimenti per raccogliere le urine con mitto intermedio nei pri-missimi giorni di vita (Herreros Fernandez et al., 2013). Il pediatra deve porre molta attenzione nell’indicare ai genitori la modalità di raccolta delle urine e le buone pratiche di igiene dei genitali nei maschi e nelle fem-mine, per poter ottenere un campione contaminato il meno possibile, che permetta di individuare il bambi-no ad alta probabilità di IVU.Se il bambino è in condizioni generali scadenti e poco collaborante deve essere inviato in ospedale, dove verrà prelevato il campione di urine con il mitto inter-medio, quando possibile, o con il catetere vescicale, o puntura sovrapubica.Sul territorio, nella pratica ambulatoriale, nel bambino che non ha raggiunto il controllo sfinterico, è possi-bile ottenere un campione di urina con l’uso del sac-chettino perineale per eseguire il test rapido con stick urine ed eventualmente riservare il prelievo con mit-to intermedio per l’esecuzione di urinocoltura, per la conferma della diagnosi in caso di esame delle urine positivo o dubbio. Il mitto intermedio è una metodi-ca non sempre facile, che richiede un po’ di pazienza da parte dei genitori ma si è dimostrata attendibile, mentre l’utilizzo del sacchetto perineale, tuttora con-troverso, è consentito nelle raccomandazioni italiane, sottolineando l’importanza di un’accurata raccolta (metodo accettabile ma di seconda scelta, secondo Whiting, 2006).Le modalità di raccolta delle urine mediante sacchet-

Tabella I. Interpretazione dello stick urine (da Montini et al., 2009, mod.).

Nitriti positiviEsterasi leucocitaria positiva

Alta probabilità di IVU Eseguire urinocoltura e iniziare terapia antibiotica empirica

Nitriti positivi Esterasi leucocitaria negativa

Alta probabilità di IVU Eseguire urinocoltura e iniziare terapia antibiotica empirica

Nitriti negativiEsterasi leucocitaria positiva

Dubbio Eseguire esame microscopico delle urine se batteriuria positiva o sintomi specifici di IVU.Eseguire urinocoltura e iniziare terapia antibiotica empirica

Nitriti negativiEsterasi leucocitaria negativi

No IVU Ricercare diagnosi alternative

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A.M. Pittari, M. Picca

to sono riassunte in Tabella II. Un consiglio pratico è quello di allattare il bambino appena sveglio (verosi-milmente ha già prodotto la prima minzione durante il risveglio) per idratarlo, se l’attesa dovesse protrarsi più del dovuto, si consiglia di bagnare i piedini o la zona sopravescicale con acqua tiepida. Questa ma-novra stimola la contrazione del detrusore, che pro-voca la minzione (Edefonti et al., 2015). Pertanto nel sospetto di IVU è necessario eseguire uno stick delle urine: se negativo possiamo escludere un’IVU, se positivo o dubbio, è indispensabile un’uri-nocoltura per la conferma della diagnosi e della te-rapia specifica. Inoltre l’urinocoltura sarà di aiuto an-che in quei casi in cui, dopo 2-3 giorni dall’inizio del trattamento, vi sia persistenza dei sintomi generali e della febbre, e si possa quindi ipotizzare un germe diverso dall’E. coli o la presenza di resistenza all’anti-biotico utilizzato. Si considera positiva un’urinocoltura che dimostra la crescita di un solo germe con numero di colonie >  100.000  cfu/ml, se le urine sono state raccolte con il mitto intermedio, > 10.000 cfu/ml con cateterismo vescicale (AAP, 2011).

Esami ematiciSulla base delle linee guida e della letteratura recente l’esecuzione di esami ematici quali la PCR e la con-ta dei globuli bianchi, contrariamente al passato, non sono ritenuti utili e affidabili per stabilire la localizza-zione dell’IVU (NICE 2007)[grado B] quanto invece il dosaggio della pro-calcitonina (PCT), il cui l’aumento (valori > a 0,5 ng/ml) ha un’elevata accuratezza nell’e-videnziare IVU severe con interessamento del paren-chima (Buzzetti et al., 2006), permettendo altresì di individuare i casi a rischio di RVU.

Diagnostica strumentaleL’utilità di eseguire un’ecografia dell’apparato urinario dopo un primo episodio di IVU è oggi supportata da una raccomandazione di grado C poiché, pur essen-do in grado di fornire informazioni su sede, forma e struttura del rene, morfologia delle vie urinarie (Huang et al., 2008), non è sufficiente a escludere RVU di gra-do non elevato, non dà informazioni sulla funzionalità renale, né permette di escludere la presenza di cica-trici renali. Il fatto di essere non invasiva, largamente disponibile e di costo accettabile ne fa uno strumento largamente richiesto, anche se l’affidabilità diagnosti-ca, purtroppo, risulta essere operatore dipendente.L’ecografia, se eseguita da un esperto, in un bambino con IVU febbrile, dopo pochi giorni dall’episodio acu-to, dà utili informazioni su eventuali dilatazioni delle vie escretrici, su una diminuzione o aumento delle dimensioni renali, prima di passare a eventuali esami più invasivi.In termini di outcome eseguire un’ecografia a distan-za di 6-8 settimane può essere utile per escludere la persistenza, oltre la fase acuta, di alterazioni transito-rie, secondarie alla flogosi (AAP, 2011).Se l’ecografia renale è normale e non vi sono fattori di rischio associati (familiarità, età < 6 mesi, scarsa compliance ecc.), non sussistono le indicazioni a ul-teriori indagini strumentali (grado B) (Fig. 1).Invece un’ecografia renale patologica e/o fattori di ri-schio associati costituiscono indicazione per lo studio morfologico delle vie urinarie e del rene (cistografia e scintigrafia (grado B) (Montini et al., 2009; AAP, 2011).

TerapiaLa maggior parte degli autori concorda nell’intervento terapeutico con antibiotico quanto più precocemen-te possibile, subito dopo aver raccolto il campione di urine, in base al sospetto clinico, alla positività dello stick urine o dell’esame microscopico. Ne consegue che verrà iniziata una terapia empirica in attesa della risposta dell’urinocoltura e dell’antibiogramma (Bryce et al., 2016). La tempestività terapeutica è importante per l’eradicazione dell’infezione, per la prevenzione di una possibile batteriemia (specie nei neonati e lattanti) e per migliorare le condizioni cliniche del bambino. In merito all’efficacia della terapia iniziata precocemen-te come prevenzione delle sequele a lungo termine vi sono dati molto contrastanti in letteratura (Montini, 2009). Dati recenti riportano ancora l’importanza del-la tempestività della terapia e di come la durata della febbre oltre le 72 ore prima del trattamento sia un fat-tore significativamente predittivo dello sviluppo di ci-catrici renali (Shaikh et al., 2016; Kyriaki et al., 2017). Altri autori, invece, sottolineano come i fattori genetici (la displasia preesistente, la suscettibilità individuale al danno renale) giochino un ruolo più importante ri-spetto ai fattori acquisiti (infezioni) nell’evoluzione del danno renale (Smellie et al., 2001; Hewitt, 2008).

Tabella II. Scheda-genitori: istruzioni di raccolta di un campione di urine con sacchetto (da Diagnostica ambu-latoriale, 2012, mod.).

Utilizzare un blando detergente, pulire accuratamente la zona genitale senza sfregare e con movimenti diretti sem-pre dall’avanti all’indietro.

Asciugare tamponando.

Applicare il sacchetto (esistono modelli differenti per ma-schio o femmina).

Se il bambino urina entro mezz’ora, staccare il sacchetto e raccogliere l’urina nella provetta (meglio se aspirando-la con l’ausilio di una siringa sterile), oppure consegnare direttamente il sacchetto contenente l’urina entro un’ora dal prelievo.

Se dopo mezz’ora il bambino non ha ancora urinato, staccare il sacchetto, buttarlo via e applicarne uno nuovo, ripetendo le operazioni precedentemente descritte.

Consegnare il campione entro 1 ora; se fosse necessario più tempo, conservalo in frigorifero per non più di 4 ore.

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Il pediatra di famiglia e la gestione del bambino con infezioni delle vie urinarie

In attesa dei risultati dell’antibiogramma è necessario procedere dunque a instaurare una terapia antibiotica empirica, con farmaci che abbiano un ampio spettro di azione sui patogeni responsabili delle IVU, una buona penetrazione nel tessuto renale, facilità di somministra-zione, scarsi effetti collaterali e buona palatabilità. Gli antibiotici che soddisfano queste caratteristiche sono l’amoxicillina con acido clavulanico e le cefalo-sporine di terza generazione. Nelle ultime linee guida si ribadisce, nelle forme di IVU non complicate, la pa-rità di effetti tra la somministrazione orale e quella pa-renterale dell’antibiotico (grado A), in merito al tempo di defervescenza, recidiva dell’infezione, incidenza di cicatrici renali a 6-12 mesi (grado A). La terapia pa-renterale è da riservare alle IVU complicate (aspetto settico, vomito, febbre settica o > 40°C, disidratazione di grado medio o severo, scarsa compliance).Non ci sono dati a favore di una terapia di lunga du-rata (14 giorni), in genere vengono ritenuti ragionevoli

e sufficienti 7-10 giorni per eradicare l’infezione nel-la maggior parte dei pazienti trattati (Montini et al., 2009). In presenza di mancata risposta alla terapia antibio-tica instaurata entro 72  ore, con persistenza della febbre, è giusto ipotizzare un’eventuale resistenza all’antibiotico utilizzato e/o un’infezione urinaria atipi-ca, che frequentemente sottende un reflusso vescico-ureterale. Il bambino in questa situazione richiede una valutazione più approfondita presso il centro di riferimento.Sarà cura del pediatra informare la famiglia, dopo un episodio di IVU, sul programma diagnostico, di sor-veglianza e sul comportamento sanitario (esecuzione stick urine e urinocoltura) da tenere in caso di episodi febbrili senza altra causa apparente. Un’attenzione particolare dovrà essere riservata alla famiglia con scarsa affidabilità, per evitare il drop out di un bambino a rischio.

Figura 1. Flow chart diagnostica IVU (da Montini et al., 2009, mod.).

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A.M. Pittari, M. Picca

ProfilassiDopo un primo episodio di IVU, secondo le recenti raccomandazioni dell’AAP (2011), non è utile instau-rare una profilassi antibiotica di routine (grado A), in quanto non ci sono evidenze che questa possa ridurre il rischio di gravi conseguenze: ipertensione arteriosa, compromissione della funzione renale, insufficienza renale cronica, lesioni parenchimali (scars), rallenta-mento della crescita del bimbo (Jodal et al., 2006; Na-gler et al., 2011; The RIVUR Trial Investigators, 2014). È opinione condivisa che una profilassi antibiotica, in mono-somministrazione giornaliera debba essere in-trapresa in casi selezionati:• nelle IVU ricorrenti (> 3 episodi di pielonefrite en-

tro 12 mesi) (William et al., 2011);• nei neonati e/o lattanti dopo la terapia dell’episo-

dio acuto in attesa degli accertamenti strumentali (cistografia minzionale radio isotopica, radiologia o cistosonografia);

• nei RVU di grado inferiore al terzo in caso di infe-zioni urinarie frequenti (> 3 episodi in 6 mesi o 4 episodi in 1 anno). Nei maschi valutare ed even-tualmente considerare il trattamento della fimosi (AAP, 2011).

Quando ricoverareIl ricovero sarà indicato in caso di:• neonato e lattante inferiore ai 90 giorni di vita;• quadro clinico severo (sepsi, disidratazione, vomi-

to);• famiglia inaffidabile;• mancato sfebbramento dopo 3 giorni di terapia an-

tibiotica mirata.

Conclusioni Le IVU rappresentano, ancora oggi, una vera e pro-pria sfida di diagnosi e trattamento per le cure pri-marie pediatriche. L’incidenza, la variabilità con cui si manifestano clinicamente, la ricorrenza, le proble-matiche di imaging, nonché la strategia terapeutica fanno sì che le IVU siano oggetto di grande interesse scientifico testimoniato dalle diverse linee guida re-datte in tutto il mondo. Data la complessità dei mec-canismi patogenetici delle IVU si rende imperativa una diagnosi tempestiva al fine di iniziare una terapia adeguata che possa eradicare l’infezione, limitare la risposta infiammatoria dell’organismo e impostare un corretto percorso diagnostico terapeutico.

Box di orientamento

• Cosa sapevamo primaUn trattamento antibiotico tempestivo veniva ritenuto necessario oltre che per l’eradicazione dell’infezio-ne, la prevenzione di una possibile batteriemia (soprattutto nei primi mesi di vita), il miglioramento delle condizioni cliniche, l’eliminazione dei sintomi, anche per ridurre l’incidenza di sequele a lungo termine. La profilassi antibiotica nei bambini portatori dei vari gradi RVU è stata utilizzata in passato, in alternativa o in attesa dell’intervento chirurgico, nell’ipotesi che prevenendo le recidive di infezione urinaria si potes-se prevenire il danno al parenchima renale e la sua progressione.La diagnosi di IVU sintomatica ha comportato l’esecuzione di accertamenti invasivi e un follow-up pro-lungato giustificati da un ipotizzato ruolo nel determinare un danno renale.

• Cosa sappiamo adessoI dati più recenti sottolineano che un trattamento antibiotico precoce della pielonefrite acuta in lattanti e bambini potrebbe non avere un effetto significativo sulla riduzione dell’incidenza delle cicatrici renali. Oggi il danno renale appare sempre più legato alla displasia più che alla ricorrenza delle infezioni. Alcuni recenti RCT sembrano evidenziare che la profilassi antibiotica non ridurrebbe in maniera significativa il rischio di recidiva di IVU e non modificherebbe la progressione del danno renale.

• Quali ricadute sulla pratica clinicaImportanza di eseguire con accuratezza l’esame delle urine e urinocoltura per porre diagnosi di infezione delle vie urinarie e di ricercarla nel bambino piccolo febbrile, senza segni di localizzazione.Si raccomanda un atteggiamento meno ansioso (non supportato da EBM) dei medici e della famiglia nei confronti delle recidive di IVU febbrili. Resta importante la necessità di una diagnosi e di un trattamento adeguato e tempestivo; la durata della febbre oltre le 72 ore prima del trattamento è un fattore predittivo dello sviluppo di cicatrici renali.La profilassi antibiotica delle recidive viene riservata a situazioni particolari, poiché non ci sono evidenze in letteratura di un effetto favorevole della profilassi antibiotica nelle IVU. Limitare gli esami strumentali di secondo livello a una fascia di bambini considerata più a rischio di uro-patia malformativa associata.

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Il pediatra di famiglia e la gestione del bambino con infezioni delle vie urinarie

Corrispondenza

Angela Maria PittariPediatra di famiglia, via degli Scardassieri 181, 50019 Sesto Fiorentino (FI) - E-mail: [email protected]

Bibliografia American Academy of Pediatrics. Dia-

gnosis and management of an initial UTI in febrile infants and young children. Pedia-trics 2011;128:595-610.

*** Riassume le raccomandazioni su diagnosi, terapia, profilassi.

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Edefonti A, Picca M, Verrina E. Manuale di nefrologia pediatrica. Bologna: Esculapio 2015.

*** Sono descritte le modalità di ese-cuzione e interpretazione dell’esame delle urine e le raccomandazioni su diagnosi, terapia, profilassi.

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* Sono riportate alcune indicazioni prati-che per favorire la raccolta delle urine con mitto intermerdio nei neonati.

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** Lo studio analizza l’insorgenza di ci-catrici renali in rapporto all’inizio della tera-pia antibiotica. La proporzione di bambini che sviluppa cicatrice renale aumenta solo dopo il terzo giorno di febbre.

Huang H, Lai Y, Tsai IJ, et al. Renal ul-trasonography should be done routinely in

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** Ripropone l’importanza di ricercare l’infezione delle vie urinarie per una terapia tempestiva e come la durata della febbre oltre le 72 ore prima del trattamento sia un fattore predittivo dello sviluppo di cicatrici renali.

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** La profilassi antibiotica di routine non sembra ridurre il rischio di gravi con-seguenze: ipertensione arteriosa, della fun-zione renale, insufficienza renale cronica, lesioni parenchimali (scars), rallentamento della crescita.

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*** Riassume le raccomandazioni di SI-NePe su diagnosi, terapia, profilassi, con particolare attenzione anche alle problema-tiche della gestione sul territorio.

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*** La revisione sistematica ha eviden-ziato che la profilassi antibiotica a lungo termine non riduce significativamente le recidive di infezione delle vie urinarie nei soggetti con reflusso vescico-ureterale.

National Institute for Health and Clinical Excellence. Urinary tract infection in chil-dren: diagnosis treatment and long term management. NICE Clin Guid 2007;54.

*** Riassume le raccomandazioni su diagnosi, terapia, profilassi.

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*** Sono descritte le modalità di esecu-zione e i criteri di interpretazione degli esa-mi diagnostici nell’ambulatorio del pediatra di famiglia.

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** Ripropone l’importanza di ricercare l’infezione delle vie urinarie per una terapia tempestiva, per ridurre il rischio di cicatrici renali.

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Smellie JM, Barrott TM, Chattler C. Med-ical versus surgical treatment in children with severe bilateral vescicoureteric reflux and bilateral nephropathy a randomised tri-al. Lancet 2001;257:1329-33.

** Viene sottolineato che i fattori geneti-ci (come la displasia preesistente) sembra-no giocare un ruolo più importante rispetto ai fattori acquisiti (infezioni) nell’evoluzione del danno renale.

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gennaio-marzo 2017 • Vol. 47 • N. 185 • Pp. 10-17 Prospettive in Pediatria

Cure primarie pediatriche

Le cure primarie in pediatria: tra pratica ed Evidence Based Medicine

Tommaso Montini1 Sara Alfano2

1 Pediatra di Libera Scelta, ASL NA1 Campania, Napoli;

2 Dipartimento di Scienze Mediche e Traslazionali, Settore

di Pediatria, Università degli Studi “Federico II” di Napoli

Daily clinical practice requires continuous revision and improvement of skills to apply ev-idence based medicine in an outpatient paediatric setting. Internet channels have revolu-tionised the exchange of information, allowing worldwide diffusion of medical knowledge, that is, however, difficult to control.In this study, we analysed some accepted practices in pediatric patients: 1) nasal washes for daily care in the first year of life;2) waiting for the first bath of newborns until the umbilical stump falls off;3) thermal therapy for management and prophylaxis of chronic and recurrent diseases of

the upper respiratory tract during childhood.We compared the scientific literature and information available on the Internet and found that, even if there are none or limited medical evidence, they are routinely recommended and used in clinical practice.Google versus PubMed: what is the correct strategy?

Summary

Anche nella comune pratica ambulatoriale è necessario un continuo monitoraggio delle proprie abilità per applicare le evidenze della letteratura internazionale ai casi specifici.L’accesso libero a sistemi di informazione telematici di straordinaria potenza ha permesso la diffusione di conoscenze in modo capillare, ma ha anche messo in luce il problema del controllo delle fonti di informazione. Notizie non validate da evidenze attraverso la rete riescono a trovare amplificazioni pervasive che diventano condizionanti anche per gli ope-ratori del settore.Nel presente studio abbiamo analizzato alcune pratiche comunemente consigliate dai pediatri: 1) i lavaggi nasali al neonato e al lattante con soluzione fisiologica per l’”igiene quotidiana”; 2) l’attesa della caduta del moncone ombelicale per il primo bagnetto al neonato;3) le cure termali per le patologie croniche o ricorrenti delle prime vie aeree nell’età

pediatrica.Abbiamo valutato le evidenze disponibili nella letteratura scientifica e le abbiamo confron-tate con le informazioni facilmente reperibili nel più diffuso motore di ricerca: Google.Risultati: in assenza o paucità di evidenze c’è una vastissima diffusione di queste pratiche, peraltro largamente promosse da Google.Google versus PubMed: quale strategia per indirizzare/informare i medici?

Riassunto

Metodologia della ricerca bibliografica effettuataL’articolo è una revisione della letteratura scientifi-ca, confrontata con i sistemi di comunicazione web aperti, riguardo a tre tematiche attuali della pediatria

ambulatoriale: i lavaggi nasali per l’igiene quotidiana del lattante sano, l’attesa della caduta del moncone ombelicale per il primo bagnetto nel neonato e le cure termali per le affezioni croniche e ricorrenti delle pri-me vie aeree nel bambino. La ricerca bibliografica è stata condotta in agosto-settembre 2016 nella banca

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La pediatria di famiglia tra pratica clinica ed EBM

bibliografica Medline, utilizzando come motore di ri-cerca PubMed, secondo le modalità illustrate in Ta-bella I. Sono stati selezionati gli articoli originali, le re-visioni, i clinical trial e gli studi epidemiologici ritenuti utili alla stesura della revisione.Per le stesse tematiche, è stata ripetuta la medesima ricerca sul web, utilizzando il motore “Google”.

ObiettiviCondurre un’analisi critica, evidence-based, su alcu-ne pratiche ambulatoriali comunemente consigliate, al fine di stimolare una riflessione sulle modalità di aggiornamento e informazione dei medici operanti nell’ambito delle cure primarie.

IntroduzioneNella pratica ambulatoriale alcune procedure applica-te routinariamente sembrano ormai consolidate dal-la consuetudine. Banalità, che tuttavia incidono sulla spesa e sulla vita quotidiana delle famiglie.I lavaggi nasali con soluzione fisiologica nei neonati e lattanti sani come comune pratica di igiene quoti-diana, l’attesa della caduta del moncone ombelicale prima del bagnetto al neonato, le cure termali nella gestione delle affezioni delle alte vie respiratorie…C’è un’evidenza di efficacia in letteratura per queste procedure?Qual è la fonte informativa che ne sostiene la diffusione? Ci siamo posti la domanda su quali fossero le evi-denze disponibili per questi consigli che, per quanto banali, rappresentano per le famiglie un impegno.

I lavaggi nasali nel neonato e nel lattante sano“L’igiene del nasino”, o i “lavaggi nasali” con fisiologica al neonato e lattante sano sono entrati da tempo nel-la pratica clinica come misura terapeutica/preventiva di una presunta difficoltà respiratoria del bambino nel corso del primo anno di vita.

È noto che il neonato ha una respirazione nasale ob-bligata e che le dimensioni ridotte delle cavità nasali nei primi due/tre mesi di vita provocano frequente-mente un respiro rumoroso. Questo spesso preoc-cupa i genitori. Probabilmente per questo motivo, la dimissione dal nido con una prescrizione di gocce o spray di soluzione fisiologica è diventata consuetudi-ne diffusa, spesso corredata da istruzioni su una “cor-retta somministrazione” della soluzione acquosa, che andrebbe “spruzzata con decisione”, “con il bambino posto su un fianco per avere un’effettiva efficacia di ‘lavaggio’ delle cavità nasali ecc”.La ricerca bibliografica su PubMed sull’efficacia e uti-lità di questa pratica nel neonato e lattante sano tutta-via ha dato esito negativo: non è stato trovato alcuno studio che rispondesse ai criteri di ricerca. Esiste sicuramente una florida letteratura sull’utilizzo dei lavaggi nasali a scopo terapeutico nelle patologie, soprattutto acute, a carico delle prime vie aeree, ma nulla in merito a un uso profilattico o di “igiene quoti-diana”. Alcuni lavori (Kiselev e Chaukina, 2012; Montanari et al., 2010) descrivono l’uso profilattico del lavaggio nasale e dell’aspirazione nasale delicata per ridurre la frequenza delle riacutizzazioni in bambini affetti da rinite allergica, rinosinusite cronica, otite media acuta ricorrente; si tratta, però, di una fascia d’età più avan-zata rispetto al neonato-lattante e di pazienti inqua-drati in specifici ambiti nosologici. Una menzione particolare merita la relazione tra lavaggi nasali e bronchiolite: sebbene sia molto co-mune l’uso delle irrigazioni con soluzione fisiologica quale terapia aggiuntiva in tale patologia, nessu-na delle principali linee guida internazionali (NICE, WHO-NCC) e nazionali (Società Italiana di Pedia-tria) ne contempla la validità. Viene attribuita piuttosto un’utilità all’aspirazione superficiale delle secrezioni nasali, per ridurre il distress respiratorio e favorire l’a-limentazione.A riprova invece della diffusione capillare di tale prati-ca in pediatria, Marchisio et al., in un lavoro del 2014, hanno intervistato 900 pediatri di famiglia delle regio-

Tabella I. Metodologia della ricerca bibliografica.

Argomento Parole chiave Limite di età Limite di data di pubblicazione

Lavaggi nasali nel lattante sano (Saline OR sodium chloride OR physio-logic OR hypertonic) solution AND na-sal (drops OR irrigations OR washes) AND healty (newborn OR infant)

Infante (nascita-23 mesi)

Nessuno

Primo bagnetto dopo la caduta del moncone ombelicale

Umbilical AND (newborn OR neonatal) AND (bath OR wash)

neonato (nascita-1 mese)

Ultimi 26 anni

Le cure termali per le patologie respiratorie alte del bambino

(Thermal therapy) AND children AND (otits OR rhinitis OR sinusitis OR respi-ratory infections)

Bambino (nascita-18 anni)

Ultimi 26 anni

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T. Montini, S. Alfano

ni del Nord Italia e il 99,3% di questi ha confermato di prescrivere lavaggi nasali con soluzione salina nei bambini in età prescolare, nel 60,3% dei casi con fi-nalità sia terapeutiche che profilattiche. Per il 37,8% degli intervistati, ciò era vero soprattutto per i bambini nel primo anno di vita (Fig. 1). La ricerca sui lavaggi nasali nel lattante sano, effet-tuata tramite Google, il motore più utilizzato dalla po-polazione mondiale, restituisce 40.700 risultati! Tutti complessivamente concordi nel sottolineare l’impor-tanza di tale pratica clinica. Tantissimi sono pareri di “professionisti esperti” (“Tecniche di lavaggio nasale: i consigli del pediatra” http://www.laretedellemamme.it/index.php/salute/bambino-salute/raffreddore-e-tosse/393-tecniche-di-lavaggio-nasale-per-bambini), supportati da esperienze dirette e video illustrativi su “corrette metodiche di applicazione” (“Pulire il nasino del bambino: ecco il modo giusto per farlo” https://www.youtube.com/watch?v=OoZkbI_-66s&t=177s). Si apprende così che “i bambini dovrebbero essere posizionati su un fianco… Che la soluzione fisiologica dovrebbe essere spruzzata con energia in ogni narice possibilmente chiudendo l’altra…” o “fino a vedere la fuoriuscita dell’acqua dalla narice controlaterale…”.In netto contrasto dunque col sapere scientifico di PubMed, il web popolare promuove i lavaggi nasali a misura universale di puericultura, nessun lattante escluso.

Primo bagnetto al neonatoCome per i lavaggi nasali, è consuetudine diffusa consigliare di rimandare la pratica del bagnetto del neonato a dopo la caduta del moncone ombelicale. C’è una variabilità nei tempi proposti, da uno a tre giorni successivi alla caduta, ma sembra ci sia un ac-cordo unanime sull’opportunità di attendere.La ricerca bibliografica sul primo bagnetto del neona-

to, condotta su PubMed, restituisce 47 lavori (Fig. 2): di questi, otto sono stati selezionati perché risponden-ti al quesito posto (Tab. II).In particolare, nel 2007 si è svolto il primo Europe-an Round Table meeting sulla Best Practice for In-fant Cleansing e un pannello di esperti dermatologi e pediatri da tutta Europa ha cercato di realizzare una consensus su bagnetti e pulizia dei neonati. Essi hanno concluso che, al di là delle culture e creden-ze popolari, il bagnetto può tranquillamente essere praticato prima della caduta del moncone ombelicale (Blume-Peytavi et al., 2009). Vengono riportate 3 re-ferenze a sostegno di tale affermazione:1) in uno studio del 1981 sono stati confrontati 2

gruppi di neonati, il primo sottoposto a bagnetti completi, il secondo semplicemente pulito con un asciugamano umido. Poche infezioni non serie si sono osservate in entrambi i gruppi. La coloniz-zazione batterica del moncone ombelicale in ter-za giornata era sovrapponibile, mentre significa-tivamente più alta era la temperatura rettale nei bambini puliti con l’asciugamano, che piangevano anche di più. Pertanto lo studio conclude che i ba-gnetti siano sicuri e rendano i neonati più tranquilli (Henningsson et al., 1981);

2) Bryanton et al., nel 2004, hanno confrontato 51 neonati sottoposti a bagnetto con 51 coetanei pu-liti senza completa immersione in acqua. I neonati del primo gruppo andavano incontro a una minor perdita di temperatura e apparivano complessiva-mente più sereni, in base alla Brazelton Neonatal Behavioral Assessment Scale, così come le loro mamme più soddisfatte. Lo stato del moncone om-belicale, valutato attraverso l’osservazione quoti-diana, con particolare attenzione all’insorgenza di segni di infezione, è risultato confrontabile nei 2 gruppi. Pertanto gli autori concludono che il ba-gnetto dei neonati, eseguito precocemente, sia

Figura 1. La prescrizione di lavaggi nasali nella pediatria di famiglia: intervista a 900 pediatri italiani di libera scelta (mo-dificata sulla base dei dati di Marchisio et al., Ital J of Pediatr 2014).

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La pediatria di famiglia tra pratica clinica ed EBM

una pratica sicura e piacevole (Bryanton et al., 2004);

3) nel terzo studio citato sono stati valutati la traspira-zione cutanea, il pH della pelle, l’idratazione dello strato corneo e la produzione di sebo nei neonati; tali fattori non sono risultati negativamente alterati dalla pratica del bagnetto precoce (Garcia Bartels et al., 2009).

Andando a ritroso nel tempo, un lavoro del 1983 de-scrive i risultati del confronto tra 305 neonati sottopo-sti a bagnetti precoci con immersione in acqua a 37°C e 313 puliti solo con un panno bagnato: non sono sta-te riscontrate differenze in termini di infezioni o altre complicanze cliniche, sebbene nel secondo gruppo sia stata riscontrata con maggiore frequenza una per-dita di calore e disconfort neonatale (Hylén, 1983).Nella stessa epoca, Rush non riscontrava differen-ze nei tassi di colonizzazione ombelicale e nasale a opera di Staphyloccous aureus tra 95 neonati, in cui veniva praticato il bagnetto completo e 86 coetanei puliti semplicemente con una spugna (Rush, 1986).Un più recente studio clinico prospettico randomizza-to e controllato ha invece confrontato il nuovo metodo dei bagnetti precoci, associato all’attesa dell’asciuga-tura naturale del moncone ombelicale e la pratica tra-dizionale in uso in Argentina di pulire quotidianamen-te il moncone con alcol, rimandando il bagnetto a 2 giorni dopo la caduta del moncone stesso. Sono stati arruolati 362 neonati (181 per gruppo). Si è visto che il nuovo metodo consente di ridurre il tempo di caduta

del moncone (da 7 a 6 giorni) e, sebbene si associ a un più alto tasso di colonizzazione batterica, il ri-schio di infezioni cutanee e congiuntivali clinicamente significative non risulta aumentato (Covas Mdel et al., 2011).Negli atti della consensus del 2007 viene infine ripor-tato solo uno studio, condotto in Egitto (Shoaeib et al., 2005), in cui si osservava un aumento delle on-faliti associato ai bagnetti precoci. Tale studio tuttavia presenta dei limiti intrinseci: parte dei dati erano infatti raccolti tramite intervista ai genitori e questo non ne rendeva pertanto riproducibili e confrontabili i risultati.La ricerca su PubMed mostra dunque complessi-vamente che il ritardare il bagnetto al neonato per attendere la caduta del moncone ombelicale non è supportato da evidenze di vantaggi. Piuttosto sembra vero il contrario: il bagnetto precoce riduce il rischio di superinfezioni e migliora il benessere del bambino. La nostra analisi, ripetuta utilizzando Google, ha pro-dotto invece 20.500 risultati. In grandissima parte ancora una volta si trattava di pareri di “operatori esperti”. La quasi totalità dei link visionati sottolineava l’importanza del tempo di atte-sa prima di praticare il bagnetto per presunti rischi di infezione o ritardi di cicatrizzazione. In molti casi le raccomandazioni erano proposte come diktat piut-tosto che come suggerimenti (http://www.mamme.it/vademecum-primo-bagnetto-cosa-ce-sapere/; http://www.faropediatrico.com/articolo/ombelico-del-neo-nato-istruzioni-per-l-uso-).

Figura 2. Il bagnetto del neonato prima della caduta del moncone ombelicale: analisi della letteratura scientifica dispo-nibile.

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T. Montini, S. Alfano

Le cure termaliLe cure termali sono rimedi terapeutici antichissimi. Gli effetti fluidificanti ed espettoranti delle inalazioni sulfuree o bromo iodiche naturali ebbero grande dif-fusione nel mondo greco romano, grazie alla ricchez-za della disponibilità di territori vulcanici. Ancora oggi reperti archeologici monumentali ne ricordano i fasti.L’efficacia, ampiamente certificata dalla storia, ha trovato una spiegazione patogenetica: l’azione dello zolfo romperebbe i ponti di solfuro componenti del muco e l’inalazione caldo umida favorirebbe l’espet-torazione. Recentemente sarebbe stata ipotizzata an-che un’azione significativa sul biofilm batterico, che rappresenta un problema emergente delle cronicizza-zioni e delle resistenze alle comuni terapie (Varricchio et al., 2013).Per questi motivi le cure termali restano un rimedio attuale, che spesso viene proposto anche ai bambini come trattamento di problematiche ostruttive, croni-che o ricorrenti, delle prime vie respiratorie.La prescrizione di terapie termali mantiene una dif-

fusione a macchia di leopardo, spesso legata alla vi-cinanza di realtà termali disponibili. Frequentemente viene indotta da specialisti otorinolaringoiatrici. La nostra ricerca su PubMed ha restituito 36 studi (Fig. 3), di cui 6 sono stati selezionati per l’attinenza al quesito in esame (Tab. III).Tutti i lavori disponibili documentano l’efficacia delle cure termali per le patologie ostruttive e ricorrenti del-le prime vie respiratorie. Solo tre studi però sono randomizzati e di questi uno ha arruolato un numero di casi molto piccolo. Solo uno studio è stato condotto in doppio cieco.Come si evince dalla Tabella, si tratta di lavori rea-lizzati su singole realtà termali presenti sul territorio. Cinque su sei sono studi italiani (il sesto, francese, risale a 26 anni fa e si tratta di un lavoro retrospettivo osservazionale). Queste osservazioni inducono a considerare queste evidenze confinate a una realtà di nicchia, ben lon-tane dall’essere contemplate nelle linee guida per il management delle patologie respiratorie ostruttive croniche delle alte vie respiratorie.

Tabella II. Confronto tra studi sulla pratica del bagnetto precoce in età pediatrica.

Articolo Setting Tipo di studio Conclusioni

Blume-Peytavi et al., 2009

Europa Atti del 1st European Round Table meetingsulle ‘Best Practice for Infant Cleansing’

Il bagnetto può tranquillamente essere praticato prima della ca-duta del moncone ombelicale

Henningsson et al., 1981

Svezia Prospettico, caso-controllo (bagnetto com-pleto vs pulizia con l’asciugamano)

La colonizzazione batterica in terza giornata non è superiore nei neonati sottoposti a bagnetto completo

Bryanton et al., 2004

Canada Prospettico, caso-controllo (bagnetto com-pleto vs pulizia senza immersione in ac-qua)102 neonati

I neonati sottoposti a bagno com-pleto sono più sereni

Garcia Bartels et al., 2009

Germania Prospettico, caso-controllo (bagnetto vs non bagnetto)57 neonati

pH della pelle, idratazione del-lo strato corneo e produzione di sebo non sono alterati dalla prati-ca del bagnetto precoce

Hylén, 1983 Svezia Prospettico, caso-controllo (bagnetto com-pleto vs pulizia senza immersione in acqua)618 neonati

Non ci sono differenze in termini d’infezioni o altre complicanze cli-niche

Rush, 1986 Canada Prospettico, caso-controllo (bagnetto com-pleto vs pulizia con una spugna)181 neonati

Non ci sono differenze nei tassi di colonizzazione ombelicale e nasale a opera di Staphyloccous aureus

Covas Mdel et al., 2011

Argentina Prospettico, caso-controllo (bagnetti preco-ci con asciugatura naturale del moncone ombelicale vs pulizia con alcol del monco-ne, rimandando il bagnetto a 2 giorni dopo la caduta dello stesso)362 neonati

Il bagnetto precoce riduce il tem-po di caduta del moncone e non aumenta il rischio di infezioni cu-tanee e congiuntivali clinicamente significative

Shoaeib et al., 2005 Egitto Semi-sperimentale con uso di interviste (metodi tradizionali di cura del moncone vs asciugatura naturale)70 neonati

I bagnetti precoci aumentano il ri-schio di onfaliti

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La pediatria di famiglia tra pratica clinica ed EBM

La ricerca su Google con le medesime parole chiave ha fornito ben 83.500 risultati. Emergeva da questi link l’assoluta utilità delle cure termali, ritenute mol-to vantaggiose rispetto alle altre terapie. In moltissimi casi erano presenti suggerimenti su luoghi e moda-lità di prenotazione (http://www.termeitaliane.com/Terme-e-bambini.aspx#.WEGbbfnhDIU).Con questa riflessione non s’intende mettere in di-

scussione l’efficacia di una modalità terapeutica che per secoli è stata utilizzata con successo. Le terme, che in genere sono anche luoghi ameni e gradevoli, certamente hanno un impatto positivo sul benessere dei pazienti e probabilmente anche oggi possono es-sere considerate validi supporti alle terapie.Nonostante queste considerazioni che vengono da una consuetudine storica, dobbiamo però rilevare che

Figura 3. Le cure termali: analisi della letteratura scientifica disponibile.

Tabella III. Confronto tra studi sulla crenoterapia respiratoria in età pediatrica.

Articolo Setting Tipo di studio Conclusioni

Varrichio, 2013 Terme di Agnano(Italia)

Prospettico, caso-controllo (inalazioni di acqua termale salso-sulfurea vs soluzio-ne salina isotonica), randomizzato107 bambini con IRR

La crenoterapia previene le IRR, riducendo l’ostruzione nasale, il blocco del complesso ostiomea-tale, il biofilm batterico e l’infiam-mazione in generale

Miraglia Del Giudice, 2013

Terme di Ischia(Italia)

Prospettico, caso-controllo (aerosol con ac-qua termale vs sol. fisiologica), randomizzato40 bambini con rinite allergica stagionale

La crenoterapia è efficace nella rinite allergica da Parietaria

Passariello, 2012 Italia Prospettico, non randomizzato, non con-trollatoBambini con rinosinusite cronica

La crenoterapia induce una down-regulation dei mediatori dell’in-fiammazione a livello della mucosa nasale nella rinosinusite cronica

Salami, 2008 Terme di Taibano(Italia)

Prospettico, caso-controllo (inalazioni di acqua sulfurica termale vs soluzione fi-siologica), randomizzato, in doppio cieco100 bambini con IRR

Le inalazioni di acqua sulfurea ri-ducono la ricorrenza di infezioni del tratto respiratorio superiore ed eser-citano un’azione immunomodulante

Tozzi, 2006 Bagni di Gallerarie(Italia)

Prospettico, non randomizzato, non con-trollato35 bambini con otite media secretiva/deficit di ventilazione della tuba di Eusta-chio

Le cure termali migliorano le otiti medie secretive e prevengono la sordità a esse correlata

Fauquert e Labbé, 1990

La Bourbolule spa(Francia)

Retrospettivo, osservazionale3000 pazienti (Registro Nazionale Fran-cese della Salute)

Le cure termali riducono il consumo di farmaci e la medicalizzazione di soggetti con infezioni croniche o ri-correnti a carico delle alte vie aeree

IRR: infezioni respiratorie ricorrenti

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le evidenze disponibili sulla loro efficacia nel tratta-mento delle patologie ostruttive croniche o recidivanti delle prime vie aeree sono deboli, quando valutate secondo rigorosi criteri statistici.Deboli non significa inefficaci ma, se la terapia terma-le diventa un costo e un impegno familiare importan-te, il dubbio sulla opportunità di prescriverla diviene legittimo. Alcune pratiche sono oggi a carico del SSN: quanto incidono in un anno sulla spesa pubblica?I dati ricavati dai conti economici inseriti nell’NSIS (Nuovo Sistema Informativo Sanitario del Ministero della Salute) e illustrati nel prospetto sull’andamen-to della spesa sanitaria nelle Regioni per gli anni 2008-2014 realizzato da Agenas, mostrano una spe-sa pari a 582.847 euro nell’anno 2014 con variazione dell’11,10% per le prestazioni termali da privati in con-venzione su base nazionale.Indipendentemente da queste considerazioni, colpi-sce comunque lo stridente contrasto tra le informazio-ni scientifiche ricavabili attraverso canali controllati e quelle che invadono la rete. Il problema dei conflitti d’interesse in chi diffonde “co-noscenze” e quello dell’autoreferenzialità emergono come rischi sempre più acuti nel sistema di diffusione delle informazioni, contrariamente al bisogno di una medicina guidata da evidenze oggettive.

ConclusioniL’analisi delle evidenze disponibili in letteratura ha mostrato che non ci sono prove sufficienti che sup-portino consuetudini come i lavaggi nasali nel neona-to e lattante sano, il primo bagnetto rimandato a dopo la caduta del moncone ombelicale, le cure termali per le patologie delle prime vie aeree. Lo stridente contrasto tra i risultati ricavabili da una

ricerca in ambito scientifico controllato e quella ge-nerica, accessibile a tutti con il motore di ricerca più diffuso, induce a una riflessione.La possibilità di accedere facilmente alle banche dati mondiali e alla consultazione di una vastissima let-teratura scientifica da parte di chiunque ha aperto la strada all’EBM, la medicina basata sulle evidenze, anche per gli utenti più periferici. Le evidenze sono classificate in una gradazione di ri-levanza: il parere degli esperti giace sul gradino più basso, mentre i risultati ottenuti con sperimentazioni controllate in doppio cieco rappresentano il gold stan-dard delle sperimentazioni. Non è così per le ricerche libere in rete, dove i pareri di esperti prevalgono come “evidenza”.Internet offre la possibilità a chiunque di diffondere contenuti senza controlli e creare “conoscenze” che si alimentano nel passaparola. Giudizi e affermazioni sono sostenuti spesso dalla sola autoreferenzialità e sfuggono da qualsiasi criterio di medicina basata sul-le evidenze. La facilità di accesso a tali sistemi, da parte anche della popolazione generale crea spesso problemi agli operatori costretti a confrontarsi con messaggi e pseudo conoscenze che spesso sono in contrasto con le pratiche sostenute da evidenze. Citiamo il caso delle vaccinazioni, che sono sconsigliate in base a presunti rischi, delle pseudo intolleranze alimentari che vengono diagnosticate in modo empirico senza test validati, delle terapie consigliate senza validazio-ni ecc.Quest’articolo vuole pertanto sensibilizzare tutti gli operatori nelle Cure primarie verso un rigore scientifi-co nelle loro fonti di informazione ed essere di stimo-lo nel realizzare programmi di ricerca o documenti di consenso autorevoli, su alcune delle pratiche ambu-latoriali comunemente consigliate.

Box di orientamento

• Cosa sapevamo primaAlcune pratiche cliniche di uso quotidiano, come i lavaggi nasali per l’igiene quotidiana del neonato e del lattante sano, l’attesa della caduta del moncone ombelicale prima di eseguire il primo bagnetto, le cure termali per le patologie delle prime vie aeree sono entrate nella consuetudine e vengono oggi raccoman-date in maniera diffusa (le cure termali sono maggiormente consigliate dagli specialisti ORL).

• Cosa sappiamo adessoQueste pratiche sono basate per lo più su opinioni di esperti che trovano ampio consenso sul web, ma che non appaiono supportate da solide evidenze scientifiche.

• Quali ricadute sulla pratica clinicaAppare utile mantenere un approccio critico anche verso le comuni pratiche cliniche pediatriche, rifug-gendo una medicina basata sull’abitudine per fare una buona evidence based medicine anche nello studio del pediatra di famiglia.

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La pediatria di famiglia tra pratica clinica ed EBM

Corrispondenza

Tommaso MontiniASL NA1 Campania, via Vincenzo Migliaro 27, 80128 Napoli - E-mail: [email protected]

Bibliografia

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** Prospettico, caso-controllo (inalazio-ni di acqua sulfurica termale vs aerosolte-rapia tradizionale), randomizzato, in doppio cieco su 100 bambini con infezioni respira-torie ricorrenti.

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* Studio prospettico, caso-controllo, randomizzato di confronto tra inalazioni di acqua termale salso-sulfurea e aero-solterapia tradizionale su un campione di 107 bambini con infezioni respiratorie ricorrenti.

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gennaio-marzo 2017 • Vol. 47 • N. 185 • Pp. 18-32 Prospettive in Pediatria

Cure primarie pediatriche

La ricerca nelle cure primarie pediatriche: i contributi italiani nella letteratura internazionale

Laura Reali1

Milena Lo Giudice2

Teresa Cazzato3

Carlotta Bianchini4

Marina Picca5

1 Pediatra di famiglia, Roma; 2 Pediatra di famiglia, Palermo; 3 Pediatra di famiglia, Taranto;

4 Medico in formazione in Pediatria, Roma; 5 Pediatra di

famiglia, Milano

Paediatric primary care is a discipline with its own distinct content of clinical research, education and practice; in Italy it is carried out by primary care paediatricians. The aims of this work are firstly to provide a comprehensive survey of the clinical research activities performed in the paediatric primary care setting in Italy and specifically those published in international scientific journals, indexed in PubMed, from January 1st 2002 to Decem-ber 31st, 2016; and secondly to evaluate if the publication of the Ministerial Decree (May, 2001) on “Clinical Research in general medicine and paediatric primary care” favoured an increase of the pharmacological research in the primary care setting during the same time frame. Using different search strategies, 94 research studies were collected, mostly surveys on good clinical and organisational practices. The majority of the research investi-gations were published between 2012 and 2016; this positive time trend was less relevant for pharmacological studies. The problems, limitations and proposals for the Italian clinical research in paediatric primary care setting are discussed.

Summary

Le cure primarie pediatriche sono una disciplina con un suo peculiare contenuto educativo di ricerca, formazione e attività clinica; in Italia viene svolta dalla Pediatria di Libera scelta, che negli ultimi anni preferisce definirsi Pediatria di Famiglia. Questo articolo vuole realiz-zare una raccolta, la più esaustiva possibile, delle ricerche prodotte nel campo delle cure primarie pediatriche in Italia dagli anni ’80 a oggi e, in particolare, di quelle pubblicate su ri-viste indicizzate su PubMed da gennaio 2002 a dicembre 2016. Secondariamente intende valutare se la pubblicazione del DM ministeriale del maggio 2001 sulla “Sperimentazione clinica controllata in Medicina Generale e in Pediatria di Libera Scelta”, ha prodotto un in-cremento delle ricerche in pediatria delle cure primarie in ambito farmacologico dal 2001 a oggi. Usando diverse strategie di ricerca sono stati raccolti 94 lavori, prevalentemente os-servazionali e per lo più su argomenti di buone pratiche cliniche e organizzative. I lavori di ricerca in generale hanno avuto un incremento positivo, soprattutto nel quinquennio 2012-2016, questo trend positivo è stato meno rilevante per le ricerche di argomento farmacolo-gico. Vengono esaminati i problemi e le criticità relative e suggerite alcune proposte.

Riassunto

IntroduzioneDefinizione di cure primarie pediatricheLe Cure Primarie (CP) sono una specialità clinica ca-ratterizzata dal fatto di essere centrata sul paziente nel suo ambiente di vita, ma sono anche una disciplina ac-cademica e scientifica, con un suo peculiare contenuto educativo di ricerca e di attività clinica evidence based (The European Definition of General Practice/Family

Medicine. WONCA, 2011; Primary Care definition Ame-rican Academy of Family Physicians - AAFP, 2016). Le Cure Primarie Pediatriche (CPP) declinano le stesse caratteristiche nell’età pediatrica (ECPCP, 2016) e questa loro specificità è stata riconosciuta an-che nell’ambito del Decreto di riordino delle Scuole di Specializzazione (Decreto Interministeriale 4 febbraio 2015 n. 68), dove per la prima volta ne viene definito un percorso formativo specifico.

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La ricerca nelle cure primarie pediatriche: i contributi italiani nella letteratura internazionale

Le CPP quindi si occupano della cura delle malattie acute, ma anche degli aspetti preventivi nel bambino sano, con particolare attenzione alle vaccinazioni e al monitoraggio della crescita e dello sviluppo, esteso anche agli aspetti neuro-psico-sociali. Inoltre negli ul-timi anni si è aggiunta anche la cura delle malattie cro-niche (Barak et al., 2010), ormai sempre più frequenti. C’è buon accordo in letteratura sull’importanza delle CP per la salute pubblica, sia dal punto di vista assi-stenziale (Starfield, 1994; The World Health Report. Primary health care: now more than ever, 2008), che della ricerca (Del Mar et al., 2003; Bonati et al., 2000).

La Pediatria di Famiglia italianaLa Pediatria di libera scelta, più recentemente de-nominata Pediatria di Famiglia (PdF), che in Italia si occupa delle CPP, è nata all’inizio degli anni  ’70 sull’onda della riforma  sanitaria del 23/12/78, Leg-ge  833, che istituì il Servizio Sanitario Nazionale (SSN) come complesso delle funzioni, dei servizi e delle attività destinate alla promozione, al manteni-mento e al recupero della salute fisica e psichica di tutta la popolazione. In un primo momento, proprio per costruire questa nuova tipologia di assistenza sul territorio, non prevista fino ad allora negli ordina-menti accademici, la PdF si è dedicata, in maniera per lo più autonoma, soprattutto alla formazione e alla didattica nella medicina pediatrica territoriale e solo successivamente sono comparse le prime ricer-che. L’Accordo Collettivo Nazionale, che regola l’atti-vità della PdF, prevede infatti che il Pediatra di libe-ra scelta (PLS) “svolga attività medico specialistica di assistenza (diagnosi, terapia e riabilitazione) nei confronti di bambini e adolescenti con particolare at-tenzione all’integrazione e coordinamento delle cure per patologie acute e croniche; garantisca attività di prevenzione, educazione sanitaria e di promozione della salute con attenzione allo sviluppo fisico, psi-chico, relazionale, cognitivo del bambino e dell’a-dolescente nel contesto ambientale e sociale in cui è inserito; progetti e partecipi ad attività di ricerca sul territorio; promuova e aderisca a programmi di formazione professionale”. Degli oltre 7500 PLS at-tualmente in attività, il 53,4% ha un’età compresa tra i 55 e i 70 anni, quindi tra il 2015 e il 2030 ol-tre 6000 di essi (80%) saranno in età pensionabile. Tale situazione potrebbe migliorare con l’attuazione dell’indirizzo in pediatria delle CP previsto dal De-creto di riordino delle scuole di specializzazione, che dovrebbe portare alla formazione di nuovi professio-nisti specificamente formati alle CPP e anche alla ricerca clinica sul territorio (Bertelloni et al., 2016).

Obiettivo del lavoroObiettivo di questo articolo è realizzare un quadro il più esaustivo possibile delle ricerche prodotte nel

campo delle CPP in Italia dagli anni  ’80 a oggi e pubblicate su riviste indicizzate su PubMed e, se-condariamente, valutare se la pubblicazione del DM ministeriale del maggio 2001 sulla sperimentazione clinica controllata in medicina generale e in pediatria di libera scelta ha prodotto un incremento delle ri-cerche in pediatria delle CP in ambito farmacologico dal 2001 a oggi. Un’indagine con questi obiettivi, per quanto ci risulta, non è mai stata effettuata finora.

La ricerca in pediatria delle cure primarie in Italia fino al 2001La prima ricerca in pediatria delle CP in Italia viene pubblicata nel 1988: si tratta di una sperimentazio-ne clinica controllata in PdF sull’uso degli immu-nomodulanti nelle infezioni respiratorie ricorrenti in età pediatrica (Tamburlini et al., 1988). A un anno di distanza viene pubblicato una sorta di primo reso-conto (Tamburlini, 1989) delle esperienze, delle pro-spettive, dei possibili ostacoli e delle eventuali stra-tegie per la ricerca nelle CP, allora riconducibili a tre grandi linee di indirizzo: realizzare sperimentazioni cliniche controllate come “strumento per risolvere problemi di terapia farmacologica o assistenziale ri-masti irrisolti, o per verificare pratiche entrate nella routine, senza un adeguato supporto sperimentale”; effettuare valutazioni della qualità delle cure su spe-cifici indicatori e fasce di popolazione a rischio; rea-lizzare osservatori epidemiologici, come strumento per la pianificazione di interventi, a livello nazionale, regionale o a livello di singola ASL. Indicazioni tutte ancora attualissime.Grazie anche a quel resoconto si sviluppò un dibat-tito tra le diverse anime della pediatria italiana su temi rilevanti connessi alla ricerca, come le possibili motivazioni e prospettive, le criticità organizzative, il rapporto con i pazienti, l’eticità, la trasparenza, l’indi-pendenza, la rilevanza delle tematiche scelte e i fondi necessari (Marchetti, 2001). Tale dibattito portò ad esempio alla pubblicazione nel 1997 del documento sulla ricerca nell’area delle cure primarie (Gangemi, 1997) dell’Associazione Cultura-le Pediatri (ACP). Tutto questo impegno ha prodotto alcune ricerche in PdF (Fornaro et al., 1997; Bonin et al., 1998; Andreotti et al., 1999; Brivio et al., 2000; Cazzato et al., 2001), in alcuni casi anche di rilevanza internazionale (Fornaro et al., 1999, Menniti-Ippolito, 2000, Cazzato et al., 2001).

DM su “Sperimentazione clinica controllata in medicina generale e in pediatria di libera scelta” del 10/05/01: obiettivi e criticitàNel maggio 2001 in Italia viene varata la normativa specifica (DM 10/05/2001), per definire i meccani-

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smi e regolare la partecipazione dei pediatri di libe-ra scelta (PLS) e dei medici di medicina generale (MMG) a studi di ricerca clinica su farmaci in fase III e IV di specifico interesse. Tale ambito era stato fino ad allora loro precluso, pur essendo importante per la rilevanza delle patologie trattate, del tipo di inter-vento terapeutico realizzato e delle dimensioni del campione interessato. Il DM del 10 maggio 2001, ol-tre alle procedure operative per avviare la sperimen-tazione, descrive: ambito di applicazione, rapporti tra paziente, sperimentatore e proponente della ricerca, nonché ruolo e compiti della ASL nella sperimenta-zione in Medicina Generale (MG) e in PdF. I MMG e i PLS, autorizzati a condurre le sperimentazioni clini-che, debbono essere iscritti in apposito registro, isti-tuito e aggiornato ogni sei mesi da ciascuna azienda sanitaria locale (ASL), con definiti criteri e requisiti per l’iscrizione. Il Ministero della Sanità svolge attività di formazione, con crediti formativi ECM, per migliorare le competen-ze nella ricerca clinica di MMG e PLS, per uniformare le procedure di conduzione ai requisiti richiesti dal-le norme di buona pratica clinica e agli accertamenti ispettivi del Ministero della Sanità. In pratica ai PLS (e ai MMG) viene riconosciuta, dopo adeguata for-mazione istituzionale alla ricerca, la competenza di realizzare studi di fase  III su best practice vs stan-dard of care, oltre che studi di fase IV (post-marke-ting surveillance). Questi studi sono rilevanti perché possono rappresentare un’efficace sistema per ridur-re l’uso off-label/unlicensed dei farmaci, come via di rimodulazione e di riduzione della spesa, indirizzan-dola verso pratiche più costo-efficaci ed evidence-based. Inoltre l’utilizzo dei dati raccolti nella pratica clinica rappresenta un’efficace opportunità, per acqui-sire nuove informazioni sui farmaci in uso nelle CP, ad esempio per migliorare le conoscenze del loro profilo di sicurezza in termini di effectiveness e per acquisi-re informazioni aggiuntive sugli effetti avversi più rari e sui sottogruppi di popolazione poco studiati nelle sperimentazioni cliniche controllate. La PdF sarebbe il setting ideale per svolgere ricerche di questo tipo (Bonati, 2000). Ciononostante l’applicazione del de-creto è stata piuttosto frammentaria e disomogenea su tutto il territorio nazionale, il ruolo delle ASL ca-rente, i MMG e PLS iscritti negli elenchi aziendali dei medici ricercatori sono una rarità, né questi elenchi vengono regolarmente aggiornati su tutto il territo-rio nazionale come vorrebbe la legge. Inoltre, dopo un’iniziale formazione, realizzata nei primi anni a ri-dosso della pubblicazione del DM, i corsi di periodico refreshment sulla formazione alla ricerca, sia a livello nazionale, che regionale o aziendale, sono diventa-ti sempre più rari. In sostanza l’applicazione del DM del 10 maggio 2001 è stata scarsa sia per la parte che riguarda la formazione degli aspiranti ricercatori, che per il sostegno organizzativo ed economico alla ricerca.

Metodologia della ricerca bibliografica nelle cure primarie pediatricheAllo scopo di individuare ricerche nelle CPP pubbli-cate su riviste internazionali indicizzate, che abbiano tra gli autori almeno un pediatra di famiglia italiano, abbiamo cercato dapprima su PubMed tutti gli studi pubblicati nel periodo gennaio 2002 – dicembre 2016, utilizzando diverse stringhe di ricerca, con le seguenti parole chiave: “ambulatory care”, physicians, “primary care”, “outpatient”, “outpatient care”, “physicians”, “re-search”, “infant”, “child”, “adolescent”, “Italy”, sia come termini MeSH, che in maniera libera. Abbiamo così selezionato 12 lavori. Considerando che il numero di lavori rilevati sembrava veramente esiguo e non riu-scendo a definire stringhe di ricerca più efficaci, ab-biamo deciso di ricercare studi su PubMed in base al nome degli autori che, su indicazione delle associa-zioni professionali e delle società pediatriche di CP di riferimento, erano noti per le loro attività di ricerca. Da questa modalità di ricerca, inusitata, non formale e con evidenti limiti, abbiamo comunque rilevato 99 la-vori e li abbiamo confrontati con i 12 precedentemen-te selezionati su PubMed, per escludere i doppioni e gli articoli che non erano ricerche, come editoriali o lettere. I lavori risultanti, che quindi rispettavano i criteri di essere ricerche pubblicate su riviste interna-zionali e che avevano almeno un Pediatra di Famiglia italiano tra gli autori, erano 94 (Appendice 1). Un’ulteriore ricerca sul Registro europeo (Clinical Trials Register EU) e sul Registro statunitense dei Trial clinici (ClinicalTrials.gov), utilizzando le parole chiave “primary care”, “outpatient” e “Italy”, non ha rilevato ul-teriori studi tranne un RCT (Clavenna, 2014), già in-dividuato con la ricerca su PubMed e un altro studio osservazionale prospettico, non ancora concluso (Cli-nicalTrials.gov Identifier:NCT02636933). Per avere informazioni sulle ricerche di tipo farmaco-logico prodotte in PdF dal 2001 a oggi, abbiamo poi esaminato i rapporti nazionali sulla sperimentazione clinica dei medicinali in Italia dal 2002 al 2016, cioè fino al 15° Rapporto Nazionale AIFA, che contiene i dati relativi a tutto il 2015 e abbiamo trovato solo l’RCT (Clavenna, 2014) già individuato nelle precedenti ri-cerche. I rapporti sono risultati molto poco informativi per le finalità della nostra ricerca, perché forniscono pochi dati sul setting e sulle popolazioni in studio. In sintesi le sperimentazioni farmacologiche realizzate in Italia riguardano soprattutto oncologia (37%) e ma-lattie rare (24,9%), sono in aumento le sperimenta-zioni su farmaci biologici/biotecnologici e sui farmaci di terapia avanzata, sono in calo le sperimentazioni no profit e in ulteriore e progressivo calo anche le ricerche pediatriche. Le caratteristiche di tutte queste sperimentazioni non sembrano da CPP. Un’ulteriore ricerca, scorrendo gli indici delle principali riviste in-ternazionali di riferimento in ambito pediatrico (The

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Lancet, NEJM, BMJ, Pediatrics, ADC, JAMA Pedia-trics, Arch Ped and Adol Medicine, J Pediatrics, Euro-pean J Ped, Italian J Pediatrics, Pediatric Research) dal 2002 al 2016, con le parole chiave “research”, “pri-mary care”, “pediatric primary care” e “outpatient care” e poi con i nomi degli autori già selezionati, non ha fornito ulteriori studi di ricerca nelle CPP, in cui fosse presente tra gli autori almeno un PLS italiano.

I risultati della ricerca bibliografica I 94 studi selezionati (Appendice 1) sono nella stra-grande maggioranza studi osservazionali riguardanti pratiche ambulatoriali di screening, di prevenzione o di sorveglianza (22 survey, 45 studi osservaziona-li 9 prospettici e 6 retrospettivi, 4 caso-controllo, 14 cross-sectional, 9 di coorte, 1 case report, 2 di sor-veglianza), 11 studi di intervento (8 RCT, 6 dei quali su farmaci, 2 clinical trial non randomizzati, 1 studio pragmatico), 16 studi di ricerca secondaria (8 revisio-ni della letteratura, 1 delle quali sistematica, 4 con-sensus, 4 linee guida), (Appendice 1 e Tabella I).Degli 11 studi di intervento rilevati, 6 riguardano far-maci: il primo confronta ibuprofene e paracetamolo in termini di efficacia anti-infiammatoria (Ruperto et al., 2011); il secondo confronta l’efficacia di 5 gg di Ce-faclor vs 10 gg di amoxi-clavulanico nel trattamento della faringite streptococcica (Bottaro et al., 2012); il terzo confronta l’efficacia di un cortisonico per aero-sol vs soluzione fisiologica (Clavenna et al., 2014); il quarto valuta efficacia e sicurezza di probiotici vs placebo (Alisi et al., 2014); il quinto valuta l’efficacia di uno sciroppo per la tosse vs placebo (Canciani, 2014); il sesto infine valuta l’efficacia di immunostimo-lanti vs placebo (Mameli et al., 2015) (Appendice 1).Per verificare l’eventualità di un trend temporale nella produzione degli studi, abbiamo poi raggruppato i la-vori di ricerca per tipologia e per epoca di pubblicazio-ne, secondo 3 intervalli di tempo di 5 anni ciascuno. In tal modo abbiamo rilevato un progressivo aumento nel tempo della numerosità dei lavori pubblicati: 8 nel periodo 2002-2006, 24 nel periodo 2007-2011 e 62 nel periodo 2012-2016 (Tab.  I). Si rileva anche una maggiore varietà del disegno degli studi realizzati. Per quanto riguarda la letteratura primaria: le survey sono 2 nel quinquennio 2002-2006, diventano 5 nel periodo 2007-2011 e infine 15 nel periodo 2012-2016. Gli altri studi osservazionali di vario disegno, con pre-valenza in generale del cross-sectional, sono 5 nel 2002-2006, diventano 12 nel 2007-2011 e infine 28 nel periodo 2012-2016. Non abbiamo rilevato studi di intervento nel quin-quennio 2002-2006; ci sono 3 RCT, uno dei quali su farmaci, nel quinquennio 2007-2011 e 8 studi, 5 RCT su farmaci, 2 clinical trial, 1 trial pragmatico, nel quin-quennio 2012-2016. Per quanto riguarda la letteratu-ra secondaria, abbiamo rilevato 1 sola revisione nel quinquennio 2002-2006; 1 revisione e 3 linee guida

nel 2007-2011; 6 revisioni, una delle quali sistematica, 1 linea guida e 4 consensus, nel quinquennio 2012-2016. (Tab. I).

Caratteristiche e limiti della ricerca nelle cure primarie pediatricheAbbiamo scelto di effettuare la nostra ricerca su PubMed perché è il database internazionale di libero accesso più ampio che esista, ma questa scelta ha il limite di aver escluso riviste rilevanti nelle CPP ita-liane, che non sono indicizzate su PubMed. Abbiamo intenzione di colmare questa lacuna e di esaminare i lavori pubblicati su riviste scientifiche nazionali in una successiva ricerca. Dall’esame dei lavori selezionati sembra di poter concludere che la ricerca in pediatria delle CP è in progressiva crescita su riviste interna-zionali a volte di elevato Impact Factor, anche se con una numerosità di lavori non ancora elevata. Nella stragrande maggioranza dei casi è il risultato del lavoro di singoli PLS, che seguono il proprio per-sonale ambito di interesse, collaborando con gruppi di studio di società scientifiche, gruppi di ricerca uni-versitaria, IRCCS o ospedali; oppure si tratta di grup-pi di PLS che fanno riferimento a un’associazione scientifica, culturale o professionale; più raramente è documentabile l’attività di un gruppo collaborativo di PLS specificamente dedicato (Del Torso, 2010, EA-PRASnet; Scherdel P, 2013; ECPCP), anche a livello sovranazionale. Gli argomenti oggetto di ricerca clinica sono preva-lentemente la prevenzione e le buone pratiche cli-niche, come la prescrizione di antibiotici (Ciofi degli Atti, et al., 2006), la collaborazione a consensus e linee guida (Chiappini et al., 2012), l’utilizzo di test o studi epidemiologici (Primavera et al., 2010; Russo et al., 2012). In particolare in ambito non farmacologico in PdF sono state realizzate alcune ricerche collabo-rative di buon livello (Marchetti et al., 2005 e 2012; Brambilla et al., 2007 e 2010; Giussani et al., 2013), talvolta anche su ampie casistiche, che hanno fornito prove atte a modificare la pratica professionale verso comportamenti clinici più appropriati, come ad esem-pio nel trattamento dell’otite media non complicata o del criptorchidismo, ma anche nella prevenzione e gestione dell’ipertensione e dell’obesità. Nello stes-so periodo la ricerca di intervento in generale, e sul farmaco in particolare, è risultata veramente limitata. In genere gli esperti sostengono che la ricerca di in-tervento è la più difficile, ma che è anche quella che cambia le pratiche rapidamente e che è quindi la più utile per il pediatra. Questo però non è sempre vero nelle CP, dove i bisogni di salute sono complessi e dove sono particolarmente importanti la rimodulazio-ne e riduzione della spesa, oltre all’entità dell’esposi-zione all’intervento, per l’ampiezza della popolazione su cui verranno poi applicati i risultati della ricerca. Comunque a fronte dell’incremento del numero e del-

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la tipologia dei lavori (Tab. I), l’introduzione in Italia del DM del maggio 2001 non sembra aver favorito l’au-mento di studi farmacologici di fase 4 o di fase 3 nelle CPP. L’esiguità degli RCT su farmaci e in particolare il fatto che dal 2001 a oggi sia stato pubblicato un unico esempio di ricerca formale di fase  IV, effettuata con fondi pubblici e registrata (Clavenna, 2014), evidenzia la difficoltà di realizzare questo tipo di studi. Restano infatti alcune criticità: dopo il DM del 2001 la formazione alla ricerca avrebbe dovuto condurre i pe-diatri alla riflessione critica sulla necessità di trasferire le prove di efficacia della medicina basata sull’eviden-za nella pratica dei contesti clinico-assistenziali e alla definizione delle priorità e degli indirizzi di ricerca. Ma nonostante la realizzazione episodica di alcuni corsi ad hoc, a opera di istituzioni pubbliche e private ac-creditate, la formazione alla ricerca è rimasta limitata e ha interessato pochi interlocutori nei diversi gruppi di PdF e di comunità. Questo non ha favorito la condi-visione da parte di tutti i pediatri della sua importanza per la salute della collettività. La limitatezza di fondi indipendenti destinati alla ricerca nelle CP ha rappre-sentato inoltre un’altra rilevante criticità, soprattutto per la realizzazione di quegli studi che il DM del 2001 sembrava auspicare. La mancanza di un progetto di

ampio respiro sull’attività di ricerca nelle CP a livello delle istituzioni e in ambito accademico, insieme alla mancanza di una regia di coordinamento comune a tutta la pediatria italiana, hanno reso difficile affron-tare queste criticità e arduo definire criteri condivisi di priorità su cui lavorare. Problematica è stata anche l’identificazione di strutture ospedaliere, aziendali o universitarie, istituzionalmente dedicate al lavoro di formazione-valutazione-ricerca, in quanto sedi di co-ordinamento tecnico-organizzativo di progetti rilevanti per i bisogni reali della popolazione pediatrica nel-le CP. Tutti questi limiti, già evidenziati in un articolo pubblicato in occasione del DM del 2001 (Marchetti, 2001), persistono in buona parte ancora oggi, nono-stante l’impegno di alcuni PLS e di alcune associa-zioni/società scientifiche, culturali e professionali. An-che la scelta normativa nel DM del 10 maggio 2001 di affidare alle ASL l’aspetto economico e organizzativo delle ricerche in pediatria delle CP non si è rivela-ta vincente, dato l’impianto aziendalistico di queste strutture, di per sé poco orientato all’interesse verso la ricerca. La difficoltà di superare le complessità e le corposità procedurali, nonché i costi dei diversi comitati etici, in particolare nel caso di ricerche multicentriche, hanno

Tabella I. Tipologia degli studi pubblicati per quinquennio dal 2002 al 2016.

Tipologia studi 2002-2006 2007-2011 2012-2016

Ricerca primaria

Studi osservazionali:

Survey (questionari) 2 5 15

Prospettici/retrospettivi 3/1 2/3 4/2

Caso-controllo 0 1 3

Cross-sectional 1 2 11

Coorte 0 2 7

Case report 0 0 1

Sorveglianza 0 2 0

Studi intervento con farmaci:

RCT 0 1 5

Studi intervento senza farmaci:

RCT 0 2 0

Clinical trial 0 0 2

Pragmatici 1

Ricerca secondaria

Revisioni 1 1 6

Linee guida 0 3 1

Consensus 0 0 4

Totale per quinquennio 8 24 62

TOTALE 94

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La ricerca nelle cure primarie pediatriche: i contributi italiani nella letteratura internazionale

rappresentato ulteriori e talora rilevanti fattori di osta-colo. L’auspicio è che il nuovo Regolamento europeo sulle sperimentazioni cliniche (UE n. 536/2014), la cui applicazione è prevista per ottobre 2018, possa rappresentare un miglioramento anche per la ricerca nelle CPP.

La ricerca nelle cure primarie pediatriche è una causa persa? “Is primary-care research a lost cause?” (Horton, 2003) è il titolo piuttosto provocatorio di un editoria-le pubblicato su The Lancet nel 2003, quando ven-ne presentato il Documento sulla Ricerca nelle Cure Primarie del WONCA, in occasione della Conferenza mondiale dell’associazione. Nell’editoriale, franca-mente critico sulla scarsa qualità delle ricerche nelle CP presentate alla Conferenza, si sottolineava il fatto che, data la carenza di solide basi di prove per molte delle decisioni comunemente prese in quel setting, i ricercatori avrebbero dovuto concentrarsi su doman-de concrete e verificabili, le cui risposte potessero fare la differenza per l’assistenza ai loro pazienti. Le domande quindi dovevano essere centrate sui biso-gni di salute reali e complessi (Thomas, 2004) della famiglia, contesto vitale delle CP, drammaticamente cambiata dal punto di vista economico, sociale e edu-cativo negli ultimi anni. Alcuni dei maggiori esperti al mondo di epidemiologia e ricerca nelle CP (Mant et al, 2004; Del Mar, 2009) risposero a quell’editoriale e, pur riconoscendo i limiti di questo tipo di ricerca (a step behind) rispetto a quella accademica, sottoline-arono che non solo non è una causa persa, ma che è invece una attività essenziale per garantire cure di qualità sul territorio, perché è proprio il tipo di ricerca in grado di fornire prove robuste sulle più efficaci mo-dalità di prevenzione, di diagnosi precoce, di follow-up e di trattamenti a lungo termine nelle CP. Pertanto le critiche di Horton andavano recepite come invito a colmare le carenze della ricerca nelle CP, che deve invece essere presa in seria considerazione e affron-tata con adeguati investimenti economici e umani per arrivare alla produzione di evidenze cliniche, che con-sentano di migliorare la qualità del servizio in ambito territoriale. Anche ricercatori italiani esperti in questa materia sottolinearono il fatto che le CP rappresenta-no il laboratorio naturale della ricerca e della pratica clinica (Bonati, 2000) e che la sfida di svolgere ricerca clinica in ambito territoriale dovrebbe essere conside-rata una delle priorità a livello regionale, nazionale e internazionale, allo scopo di garantire a tutti cure di qualità, dopo averne verificata efficacia e sicurezza. Tale obiettivo potrebbe essere affrontato meglio attra-verso la creazione di reti tra i medici e i pediatri del territorio, cioè là dove si verifica la maggior parte dei contatti dei pazienti con gli operatori sanitari (Tognoni et al., 1986; Mant et al., 2004). Nonostante tali auspici la ricerca nelle CP, anche pediatriche, è rimasta un

po’ la cenerentola in tutto il mondo, il “parente pove-ro” in termini di finanziamenti, e questo comporta una carenza di risultati di qualità a sostegno della pratica professionale. In Italia il DM del maggio 2001 vole-va rappresentare un supporto alla ricerca nelle CP, ma è evidente che non basta un Decreto ministeriale per cambiare le cose, se poi non vengono messi in atto e mantenuti nel tempo i presupposti organizzati-vi, formativi ed economici perché il DM possa essere applicato.

Proposte per il futuro della ricerca nelle cure primarie pediatriche Per ovviare alle criticità della ricerca nelle CPP sia a livello accademico, durante il corso di laurea e di spe-cializzazione, che anche dopo nel mondo lavorativo, alcuni esperti suggeriscono (Manifesto del Gruppo, 2003) di realizzare un’agenzia pubblica dedicata alla ricerca e legata a centri universitari dotati di expertise in materia, auspicabilmente gestita da una commis-sione mista, formata dalle diverse società scientifi-che pediatriche, che possa valutare e indirizzare la ricerca nelle CPP, come accade in altri paesi europei (Spagna, Francia), dotati di una pediatria delle CP strutturata e riconosciuta anche a livello accademico. Dopo l’esperienza di questo lavoro di ricerca, vorrem-mo sottolineare che sarebbe auspicabile realizzare anche un registro/osservatorio delle ricerche in pe-diatria delle CP, così da non disperdere il patrimonio di impegno e di attività finora profuso, utile anche per un’analisi critica del pregresso e per possibili migliori progetti futuri. Resta da chiarire se in Italia c’è sufficiente interesse e lungimiranza per modificare l’attuale situazione. In caso contrario si corre il rischio di perdere l’opportuni-tà di realizzare quelle ricerche nelle CPP, che potreb-bero da un lato suffragare di prove di efficacia com-portamenti clinici e preventivi costo-efficaci e appro-priati, con evidente miglioramento in termini di salute pubblica e dall’altro fornire le prove per sospendere comportamenti inefficaci o addirittura non sicuri.

ConclusioniLa ricerca è in generale una delle più efficaci attività di learning by doing, in grado di fornire potenti moti-vazioni a tutti i potenziali partecipanti e di promuove-re l’impegno a translare i risultati nella pratica clini-ca, per migliorare efficacemente l’assistenza (Toffol, 2012). Le esigenze della ricerca nelle CP e le difficoltà in questo campo, ampiamente descritte nella lettera-tura internazionale (Starfield, 1994; Mant et al., 2004; Del Mar, 2009) e brevemente ricordate in questo arti-colo, potrebbero essere sintetizzate in tre punti critici essenziali: carenza di formazione specifica alla ricer-ca e al lavoro in rete, sin dalla fase pre-laurea; caren-za di fondi specifici pubblici dedicati e controllati, per

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L. Reali et al.

una ricerca indipendente; carenze nell’organizzazio-ne formale del percorso di definizione e realizzazio-ne di una ricerca clinica sul territorio. Ciononostante, l’interesse di singoli PLS verso particolari ambiti di ricerca, la loro collaborazione con società scientifiche e la progressiva sensibilizzazione di PLS attivi in as-sociazioni culturali e professionali hanno portato a un graduale incremento di produzione di lavori di ricerca, quasi esclusivamente in ambito non farmacologico, caratteristica frequente nelle cure primarie. La strada però è ancora lunga e varrebbe la pena di dare ascolto alle esortazioni degli esperti epidemio-logi internazionali (Mant et al., 2004; Del Mar, 2009) e nazionali (Bonati, 2000; Tognoni et al., 1986), pren-dendo in seria considerazione la ricerca nelle CP an-che pediatriche e affrontando gli investimenti econo-mici e umani necessari per arrivare alla produzione di evidenze cliniche, che consentano di migliorare la qualità del servizio in ambito territoriale. Ricordiamo che un investimento sulla salute dei bambini è quel-lo con il maggior rendimento sociale ed economico (Barnett, 2011). Sarebbe pertanto auspicabile una nuova fase per la ricerca in PdF, che veda il coinvol-gimento di tutti i pediatri interessati e specificamente formati sin dall’inizio della progettazione dello studio, in quanto promotori e protagonisti attivi di progetti di

ricerca, che diano priorità alla soddisfazione dei bi-sogni reali dei pazienti e alla verifica delle pratiche basate sull’evidenza. Questo rappresenterebbe un indubbio vantaggio per la sanità pubblica, perché la buona qualità della ricerca nelle CP è anche un indice della buona qualità del sistema di cure stesso (Bach et al., 2006).Probabilmente sarebbe più efficace affidare il compito di formazione alla ricerca dei singoli medici, in ter-mini di definizione degli argomenti di interesse e di adeguata formalizzazione dei protocolli, a strutture o istituzioni che già hanno una provata esperienza di ricerca e questo non sembra essere il caso delle ASL. In conclusione se perfino in paesi dove le CP hanno un’attenzione ben maggiore che nel nostro si produce letteratura sulla necessità di dedicare ancora più cura a questo tipo di ricerca (Mant et al., 2004; Mc Kenna et al., 2004), vuol dire proprio che dobbiamo darci da fare anche in Italia, per realizzare le condizioni perché ciò sia possibile.

Disclaimer

Data le difficoltà rilevate nel reperire i lavori di ricerca pubblicati su riviste internazionali indicizzate su PubMed, la nostra raccolta non ha affatto la pretesa di essere esaustiva e anzi invitiamo i colleghi che avessero pubblicazioni che non risultano nell’elenco a darcene informazione al più presto, per un suo opportuno aggiornamento.

Box di orientamento

• Cosa sapevamo primaUn resoconto (Tamburlini, 1989) delle esperienze, delle prospettive, dei possibili ostacoli e delle eventuali strategie per la ricerca nelle CP indicava sin dalla fine degli anni ’80 tre grandi linee di indirizzo: realiz-zare sperimentazioni cliniche controllate come strumento per risolvere problemi di terapia farmacologica o assistenziale rimasti irrisolti, o per verificare pratiche cliniche entrate nella routine, ma prive di ade-guato supporto sperimentale; effettuare valutazioni della qualità delle cure su specifici indicatori e fasce di popolazione a rischio; realizzare osservatori epidemiologici, come strumento per la pianificazione di interventi, a livello nazionale, regionale o di singola ASL. Una breve revisione (Marchetti, 2001) sullo stato della ricerca nelle cure primarie pediatriche in Italia, pubblicata pochi anni dopo, illustrava lo stato dell’arte prima del DM del maggio 2001 sulla sperimentazione clinica nella CP e auspicava una maggiore produzione di ricerche di qualità e di utilità per i bisogni di salute della popolazione pediatrica italiana anche in campo farmacologico.

• Cosa sappiamo adessoQuesto articolo aggiorna la situazione alle ricerche comparse da gennaio 2002 fino a dicembre 2016 su riviste indicizzate internazionali, rilevando come la produzione di letteratura è in crescita, per quantità e varietà, soprattutto in ambito non farmacologico, aspetto peraltro caratteristico delle cure primarie anche in altri paesi. I limiti di formazione, di disponibilità di fondi indipendenti dedicati e di organizzazione sono stati in parte superati dalla collaborazione di singoli PLS o di gruppi di PLS con associazioni/società scientifiche, IRCCS, ospedali e altre istituzioni dedicate alla ricerca. Molto resta da fare a livello istitu-zionale e accademico per la formazione e per i fondi ed è auspicabile che venga realizzato, anche alla luce del nuovo Decreto di riordino delle scuole di specializzazione (2015) e del nuovo Regolamento dei comitati etici (2014).

Box di orientamento (segue)

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La ricerca nelle cure primarie pediatriche: i contributi italiani nella letteratura internazionale

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Brambilla P, Bedogni G, Buongiovanni C, et al. “Mi voglio bene”: a pediatrician-

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Cazzato T, Pandolfini C, Campi R, et al; ACP Puglia-Basilicata Working Group. Drug prescribing in out-patient children in Southern Italy. Eur J Clin Pharmacol 2001;57:611-6.

Chiappini E, Venturini E, Principi N, et al. Update of the 2009 Italian Pediatric Society Guidelines about management of fever in children. Clin Ther 2012;34:1648-53.e3.

Ciofi degli Atti ML, Massari M, Bella A, et al.; SPES study group. Clinical, social and relational determinants of paediatric ambu-latory drug prescriptions due to respiratory tract infections in Italy. Eur J Clin Pharma-col 2006;62:1055-64.

Clavenna A, Sequi M, Cartabia M; ENBe Study Group. Effectiveness of nebulized beclomethasone in preventing viral wheez-ing: an RCT. Pediatrics 2014;133:e505-12.

Sito web USA del Registro degli studi clini-ci. ClinicalTrials.gov. https://clinicaltrials.gov/

Sito web Europeo del Registro degli studi clinici. Clinical Trials Register UE. https://clinicaltrialsregister.eu/

Decreto Interministeriale 4 febbraio 2015 n. 68, Riordino scuole di specializzazione di area sanitaria. http://attiministeriali.miur.it/anno-2015/febbraio/di-04022015.aspx

Del Mar, C. Primary-care research is not a lost cause. Lancet 2003;361:1749.

Del Mar C. Is primary care research a lost cause? BMJ 2009;339:b4810.

** Editoriale utile e ancora attuale sulle criticità delle cure primarie.

Del Torso S, Van Esso D, Gerber A, et al. European Academy of Paediatrics Research in Ambulatory Setting network (EAPRAS-net): a multi-national general paediatric re-search network for better child health. Child Care Health Dev 2010;36:385-91.

EAPRASnet web site. http://eapaedia-trics.eu/eaprasnet-2/

** Rete di Ricerca in Pediatria Ambula-toriale della European Academy of Paedia-trics.

ECPCP website. http://www.ecpcp.eu/about-us/primary-care-paediatrics/

** Sito web dell’Associazione europea dei pediatri delle cure primarie (ECPCP), che ha uno working group dedicato alla ricerca.

Fornaro P, Gandini F, Marin M, et al. Pediatri sentinella: un possibile osserva-torio epidemiologico? Medico e Bambino 1997;7:27-30.

Fornaro P, Gandini F, Marin M, et al. Epidemiology and cost analysis of varicella in Italy: results of a sentinel study in the pediatric practice. Italian Sentinel Group on Pediatric Infectious Diseases. Pediatr Infect Dis J 1999;18:414-9.

Gangemi M. Ricerca nell’area delle cure primarie del bambino. Medico e Bambino 1997;7:31.

Giussani M, Antolini L, Brambilla P, et al. Cardiovascular risk assessment in chil-dren: role of physical activity, family histo-ry and parental smoking on BMI and blood pressure. J Hypertens 2013;31:983-92.

Horton R. Is primary-care research a lost cause? Lancet 2003;361:977.

Mameli C, Pasinato A, Picca M; AX-Work-ing Group. Pidotimod for the prevention of acute respiratory infections in healthy chil-dren entering into daycare: a double blind randomized placebo-controlled study. Phar-macol Res 2015;97:79-83.

• Quali ricadute sulla pratica clinicaLa ricerca nelle CPP sulla cui importanza per la sanità pubblica c’è buon accordo in letteratura, non può prescindere dal coinvolgimento attivo dei PLS che di CPP si occupano nel nostro Paese. È quindi essenziale a livello istituzionale e accademico sostenere, promuovere e mantenere la loro for-mazione alla ricerca e al lavoro in rete, sin dalla fase pre-laurea. Andrebbe inoltre favorita la disponibilità di fondi dedicati e indipendenti e di strutture organizzative deputate al supporto, nel percorso degli studi di ricerca nelle CP, puntando alla collaborazione in rete e ai grandi numeri che la PdF consente. L’obiettivo è di realizzare in questo modo lavori di ricerca nelle CPP, accurati, ben disegnati e volti a rispondere ai reali bisogni di salute di tutta la popolazione pediatrica, allo scopo di garantire cure di comprovata efficacia e sicurezza.

Box di orientamento (continua)

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L. Reali et al.

Corrispondenza

Laura RealiPediatra di famiglia, via Filippo Nicolai 74, 00136 Roma - E-mail: [email protected]

Marchetti F. Ricerca in Pediatria di fami-glia. Medico e Bambino 2001;5:293-6.

*** Interessante nonché unica revisione narrativa sulla nascita della ricerca nelle cure primarie pediatriche in Italia tra la fine degli anni ’80 e il 2001.

Marchetti F, Ronfani L, Nibali SC; Italian Study Group on Acut Otitis Media. Delayed prescription may reduce the use of antibi-otics for acute otitis media: a prospective observational study in primary care. Arch Pediatr Adolesc Med 2005;159:679-84.

Marchetti F, Bua J, Tornese G; Italian Study Group on Undescended Testes. Management of cryptorchidism: a survey of clinical prac-tice in Italy. BMC Pediatrics 2012;12:4.

Manifesto del Gruppo 2003: per una rinascita della ricerca scientifica in Italia. http://www.gruppo2003.org/node/37.

* Interessante e documentata, anche se un po’ datata, analisi delle criticità della ri-cerca scientifica in Italia.

Mant D, Del Mar C, Glasziou P. et al. The state of primary-care research. Lan-cet 2004;364:1004-6.

** Interessante, documentata e ancora attuale analisi dello stato della ricerca nelle cure primarie, redatta dai maggiori esperti al mondo in materia.

McKenna H, Ashton S, Keeney S. Barri-ers to evidence based practice in primary care: a review of the literature. Int J Nurs Stud 2004;41:369-78.

Menniti-Ippolito F, Raschetti R, De Cas R; the Pediatric Pharmacosurveillance Multicent-er Group. Active monitoring of advers drug reaction in children. Lancet 2000;355:1613-4.

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15° Rapporto nazionale sulla sperimen-tazione clinica dei medicinali in Italia http://www.aifa.gov.it/sites/default/files/15_Rap-porto_OsSC_2016.pdf

Regolamento (UE) N. 536/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio del 16 aprile 2014 sulla sperimentazione cli-nica di medicinali per uso umano. Opera-tivo da ottobre 2018, abroga la direttiva 2001/20/CE. La sua efficacia è oggetto di accese discussioni. http://ec.europa.eu/health//sites/health/files/files/eudralex/vol-1/reg_2014_536/reg_2014_536_it.pdf

Ruperto N, Carozzino L, Jamone R, et al. A randomized, double-blind, placebo-con-trolled trial of paracetamol and ketoprofren lysine salt for pain control in children with pharyngotonsillitis cared by family pedia-tricians. Ital J Pediatr 2011;37:48.

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Sperimentazione clinica controllata in medicina generale e in pediatria di libera scelta. https://www.agenziafarmaco.gov.it/ricclin/sites/default/files/files_wysiwyg/files/Normativa/DM_10_Maggio_2001_MMG_PLS.pdf

** Il DM che consente sperimentazioni di fase III e IV ai PLS e MMG, rimasto pe-raltro poco applicato.

Starfield B. Is primary care essential? Lancet 1994;344:1129-33.

Tamburlini G, Candusso M, Greco L, et al. Studio italiano sulle infezioni respirato-rie ricorrenti in pediatria. Medico e Bambi-no 1988;10:625-33.

Tamburlini G. Ricerca epidemiologica in pediatria di base. Prospettive in Pediatria 1989;19:207-12.

** Analisi, ancora attualissima, sui pos-sibili indirizzi della ricerca in pediatria di base in Italia.

The European definition of general prac-tice/family medicine. WONCA 2011. http://www.woncaeurope.org/sites/default/files/documents/Definition%203rd%20ed%202011%20with%20revised%20wonca%20tree.pdf).

** Importante Statement sulle Cure Pri-marie

The World Health Report. Primary health care: now more than ever, 2008. http://www.who.int/whr/2008/whr08_en.pdf

** Lo storico rapporto del WHO sulla necessità di dare alle cure primarie l’im-portanza che meritano.

Thomas P. The research needs of pri-mary care. BMJ 2000;321:2-3. 

Toffol G. La ricerca nelle cure primarie: è tempo di crisi? Quaderni ACP 2012;19:145.

Tognoni G, Bonati M. Second-ge-neration clinical pharmacology. Lan-cet 1986;2:1028-9. 

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La ricerca nelle cure primarie pediatriche: i contributi italiani nella letteratura internazionale

Appendice 1. Elenco ricerche pubblicate su riviste internazionali 2002-2016.Pubblicazione Disegno studio IF rivista/

n° citazioni

1. Ciofi degli Atti ML. Salmaso S, Bella A, Arigliani R, M, Chiamenti G, Brusoni G, Tozzi AE; Pediatric sentinel surveillance of vaccine-preventable diseases in Italy. Pediatr Infect Dis J 2002;21:763-8.

Osservazionale retrospettivo

2.587/81

2. Cuzzolin L, Zaffani S, Murgia V, Gangemi M, Meneghelli G, Chiamenti G, Benoni G. Patterns and perceptions of complementary/alternative medicine among paediatricians and patients’ mothers: a review of the literature. Eur J Pediatr 2003;162:820-7.

Review 1.791/93

3. Marchetti F. Ronfani L, Conti Nibali S, Bonati M, Tamburlini G. Restricted indications for the use of antibiotics in acute otitis media. Eur J Clin Pharmacol 2004;60:293-4.

Osservazionale retrospettivo

2.710/64

4. Benoni G. Zaffani S, Meneghelli G, Gangemi M, Murgia V, Chiamenti G, Cuzzolin L. Diseases of the upper respiratory tract in children in ambulatory care: an Italian experience. Pediatr MedChir 2005:67-74.

Survey 0.22/1

5. Pandolfini C. Campi R, Clavenna T, Bonati M. Italian paediatricians and off-label prescriptions: loyal to regulatory or guideline standards? Acta Paediatr 2005;94:753-7.

Osservazionale retrospettivo

1.764/25

6. Zaffani S. Cuzzolin L, Meneghelli G, Gangemi M, Murgia V, Chiamenti G, Benoni G. An analysis of the factors influencing the paediatrician-parents relationship: the importance of the socio-demographic characteristics of the mothers. Child Care Health Dev 2005;31:575-80.

Survey 1.754/17

7. Marchetti F, Ronfani L, Conti Nibali S, Tamburlini G. Italian Study Group on Acute Otitis Media (2005) Delayed prescription may reduce the use of antibiotics for acute otitis media: a prospecti-ve observational study in primary care. Arch Pediatr Adolesc Med 2005;159:679-84.

Osservazionale prospettico

0.13/64

8. Ciofi degli Atti ML, Massari M, Bella A, Boccia D, Filia A, Salmaso S. Clinical, social and relatio-nal determinants of paediatric ambulatory drug prescriptions due to respiratory tract infections in Italy. Eur J Clin Pharmacol 2006;62:1055-64.

Cross-sectional 2.710/43

9. Brambilla P. Pattarino G, Vezzoni M, Giussani M, Picca M, Acerbi L, Invernizzi D, Guazzarotti L, Marinello R, di Natale B, Zuccotti GV. Usefulness of the 5-6-yrs-old anthropometric health report for the evaluation of childhood overweight and obesity: pilot study in Lombardia (Italy). Epidemiol Prev 2007;31:56-61.

Osservazionale retrospettivo

0.19/3

10. Casati M. Picca M, Marinello R, Quartarone G. Safety of use, efficacy and degree of parental satisfaction with the nasal aspirator Narhinel in the treatment of nasal congestion in babies. Mi-nerva Pediatr 2007;59:315-25.

Osservazionale prospettico

0.532/7

11. Bottaro G, Greco L. Report on the family pediatrician’s activity: territorial peculiarities and differences. Minerva Pediatr 2007;59:484-5.

Osservazionale retrospettivo

0.532/0

12. Esposito S, Marseglia G, Novelli A, de Martino M, Di Mauro G, Gabiano C, Galli L, De Luca G, Leo G, Navone C, Nicoletti G, Passali D, Serra A, Vierucci A, Principi N. Acute, subacute and recurrent bacterial rhinosinusitis in pediatrics: guidelines of the Study Group of the Italian Society for Pediatric Infectious Diseases (SITIP). Minerva Pediatr 2007;59:474-5.

Linee guida 0.532/1

13. Reggiani L. Out-patient instrumental diagnostic procedures: ECG, echo, impedancemetry, spirometry: useful, useless, impossible? Minerva Pediatr 2007;59:537.

Review 0.532/0

14. Genovesi S, Pieruzzi F, Giussani M, Tono V, Stella A, Porta A, Pagani M, Lucini D. Analysis of heart period and arterial pressure variability in childhood hypertension: key role of baroreflex im-pairment. Hypertension 2008;51:1289-94.

Caso-controllo 4.94/38

15. Sturkenboom MC, Verhamme KM, Nicolosi A, Murray ML, Neubert A, Caudri D, Picelli G, Sen EF, Giaquinto C, Cantarutti L, Baiardi P, Felisi MG, Ceci A, Wong IC. Drug use in children: a cohort study in three European countries. BMJ 2008;337:a2245.

Coorteprospettico

19.697/136

16. Giammanco G, Ciriminna S, Barberi I, Titone L, Lo Giudice M, Biasio LR. Universal varicella vaccination in the Sicilian paediatric population: rapid uptake of the vaccination programme and morbidity trends over five years. Euro Surveill 2009;14:19321.

Sorveglianza 5.98/28

17. Viggiano D, De Filippo G, Rendina D, Fasolino A, D’Alessio N, Avellino N, Verga MC, Prisco AG, Sorrentino FA, Sabatini P, Chiarelli F; Screening of metabolic syndrome in obese children: a primary care concern. J Pediatr Gastroenterol Nutr 2009;49:329-34.

Cross-sectional 2.4/31

18. Tardivo S, Poli A, Zerman T, D’Elia R, Chiamenti G, Torri E, Bonetti A, Pedevilla E, Pancheri P, Lubrano P, Savastano R, Meneghelli G, Romano G. Invasive pneumococcal infections in in-fants up to three years of age: results of a longitudinal surveillance in North-East Italy. Ann Ig 2009;21:619-28.

Sorveglianza 0.86/5

19. Esposito S, Indinnimeo L, Duse M, Giancane G, Battistini E, Longhi R, Di Mauro G, Di Pietro P, Principi N, Rossi GA. Diagnosis and treatment of community-acquired pneumonia in pediatric age-guidelines of the Italian Pediatric Societies (SIP, SITIP, SIMRI, SIAIP, SIPPS, SIMEUP). Miner-va Pediatr 2009;61:887-90.

Linee guida 0.532/7

20. Primavera G, Amoroso B, Barresi A, Belvedere L, D’Andrea C, Ferrara D, Cascio AL, Rizzari S, Sanfilippo E, Spataro A, Zangara D, Magazzù G. Clinical utility of Rome criteria managing functio-nal gastrointestinal disorders in pediatric primary care. Pediatrics 2010;125:e155-61.

Coorteprospettico

5.80/17

21. Albano F, Lo Vecchio A, Guarino A. The applicability and efficacy of guidelines for the manage-ment of acute gastroenteritis in outpatient children: a field-randomized trial on primary care pedia-tricians. J Pediatr 2010;156:226-30.

RCT 3.890/27

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28

L. Reali et al.

Pubblicazione Disegno studio IF rivista/n° citazioni

22. Del Torso S, Van Esso D, Gerber A, Drabik A, Hadjipanayis A, Nicholson A, Grossman Z. European Academy of Paediatrics Research in Ambulatory Setting network (EAPRASnet): a multi-national general paediatric research network for better child health. Child Care Health Dev 2010;36:385-91.

Survey 1.754/7

23. Murgia V, Bilcha KD, Shibeshi D. Community dermatology in Debre Markos: an attempt to define children’s dermatological needs in a rural area of Ethiopia. Int J Dermatol 2010;49:666-71.

Osservazionale 1.415/12

24. Genovesi S, Antolini L, Giussani M, Brambilla P, Barbieri V, Galbiati S, Mastriani S, Sala V, Valsecchi MG, Stella A. Hypertension, prehypertension, and transient elevated blood pressure in children: association with weight excess and waist circumference. Am J Hypertens 2010;23:756-61.

Cross-sectional 3.182/54

25. Brambilla P, Bedogni G, Buongiovanni C, Brusoni G, Di Mauro G, Di Pietro M, Giussani M, Gnecchi M, Iughetti L, Manzoni P, Sticco M, Bernasconi S. “Mi voglio bene”: a pediatrician-based randomized controlled trial for the prevention of obesity in Italian preschool children. Ital J Pediatr 2010;36:55.

RCT 1.614/15

26. Esposito S, Azzari C, Bartolozzi G, Fara GM, Giovanetti F, Lo Giudice M, Galeone C, Ciofi degli Atti M. Knowledge of vaccination of allergic children among Italian primary care pediatricians, hospital pediatricians and pediatric residents. Vaccine 2010;28:7569-75.

Survey 3.413/5

27. Marchisio P, Bellussi L, Di Mauro G, Doria M, Felisati G, Longhi R, Novelli A, Speciale A, Mansi N, Principi N. Acute otitis media: from diagnosis to prevention. Summary of the Italian guideline. Int J Pediatr Otorhinolaryngol 2010;74:1209-16.

Linee guida 1.125/78

28. Tornese G, Festini F, Siani P, Simeone G, Marchetti F. Management of Febrile Seizures: Atti-tudes of Health Care Workers. Pediatric Res 2011;70:219.

Survey 2.761/0

29. Grossman Z, Van Esso D, Del Torso S, Hadjipanayis A, Drabik A, Gerber A, Miron D. Primary care pediatricians’ perceptions of vaccine refusal in Europe. Pediatr Infect Dis J 2011;30:255-6.

Survey 2.34/13

30. Clavenna A, Andretta M, Pilati P, Dusi M, Gangemi M, Gattoni MB, Lombardo G, Zoccante L, Mezzalira L, Bonati M. Antidepressant and antipsychotic use in an Italian pediatric population. BMC Pediatr 2011;11:40.

Survey 1.813/16

31. Bottaro G. Report on the working activity of an Italian family aediatrician: a three-year analysis 2004-2006. Minerva Pediatr 2011;63:271-8.

Osservazionale retrospettivo

0.532/1

32. Ruperto N, Carozzino L, Jamone R, Freschi F, Picollo G, Zera M, Della Casa Alberighi O, Salvatori E, Del Vecchio A, Dionisio P, Martini A. A randomized, double-blind, placebo-controlled trial of paracetamol and ketoprofren lysine salt for pain control in children with pharyngotonsillitis cared by family pediatricians. Ital J Pediatr 2011;37:48.

RCT in doppio cieco su farmaco

1.614/12

33. Marchetti F. Bua J, Tornese G, Piras G, Toffol G, Ronfani L and Italian Study Group on Unde-scended Testes. Management of cryptorchidism: a survey of clinical practice in Italy. BMC Pediatr 2012;12:4.

Survey 1.813/17

34. Genovesi S, Brambilla P, Giussani M, Galbiati S, Mastriani S, Pieruzzi F, Stella A, Valsecchi MG, Antolini L. Insulin resistance, prehypertension, hypertension and blood pressure values in paediatric age. J Hypertens 2012;30:327-35.

Coorteprospettico

5.062/24

35. Bottaro G, Biasci P, Lo Giudice M, Mele G, Montanari G, Napoleone E, Santucci A, Tucci PL, Fano M, Biraghi MG. 5 days Cefaclor vs 10 days amoxicillin/clavulanate in the treatment of childhood streptococcal pharyngitis. Data from a randomized clinical trial. Minerva Pediatr 2012;64:341-6.

RCT in apertosu farmaco

0.532/2

36. Chiappini E, Parretti A, Becherucci P, Pierattelli M, Bonsignori F, Galli L, de Martino M. Parental and medical knowledge and management of fever in Italian pre-school children. BMC Pediatr 2012;12:97.

Survey 1.813/55

37. Chiappini E, Venturini E, Principi N, Longhi R, Tovo PA, Becherucci P, Bonsignori F, Esposito S, Festini F, Galli L, Lucchesi B, Mugelli A, de Martino M; Update of the 2009 Italian Pediatric Society Guidelines about management of fever in children. Clin Ther 2012;34:1648-1653.e3.

Linee guida 2.925/44

38. Grossman Z, del Torso S, Hadjipanayis A, van Esso D, Drabik A, Sharland M. Antibiotic prescri-bing for upper respiratory infections: European primary paediatricians’ knowledge, attitudes and practice. Acta Paediatr 2012;101:935-40.

Survey 1.764/16

39. Russo G, Brambilla P, Della Beffa F, Ferrario M, Pitea M, Mastropietro T, Marinello R, Picca M, Nizzoli G, Chiumello G. Early onset of puberty in young girls: an Italian cross-sectional study. J Endocrinol Invest 2012;35:804-8.

Cross-sectional 1.994/10

40. Marchisio P, Cantarutti L, Sturkenboom M, Girotto S, Picelli G, Dona D, Scamarcia A, Villa M, Giaquinto C; Pedianet. Burden of acute otitis media in primary care pediatrics in Italy: a second-ary data analysis from the Pedianet database. BMC Pediatr 2012;12:185.

Osservazionale retrospettivo

1.813/8

41. Brambilla P, Antolini L, Street ME, Giussani M, Galbiati S, Valsecchi MG, Stella A, Zuccotti GV, Bernasconi S, Genovesi S. Adiponectin and hypertension in normal-weight and obese children. Am J Hypertens 2013;26:257-64.

Cross-sectional 3.182/28

42. Zuccotti G, Fabiano V, Dilillo D, Picca M, Cravidi C, Brambilla P. Intakes of nutrients  in Ital-ian children with celiac disease and the role of commercially available gluten-free products. J Hum Nutr Diet 2013;26:436-44.

Cross-sectional 2.583/28

43. Spagnolo A Giussani M, Ambruzzi AM, Bianchetti M, Maringhini S, Matteucci MC, Menghetti E, Salice P, Simionato L, Strambi M, Virdis R, Genovesi S. Focus on prevention, diagnosis and treatment of hypertension in children and adolescents. Ital J Pediatr 2013;39:20.

Review 1.614/44

Page 32: Cure primarie pediatriche - SIP · con infezioni delle vie urinarie Le cure primarie in pediatria: tra pratica ed Evidence Based Medicine ... Nel secondo articolo, Montini e Alfano

29

La ricerca nelle cure primarie pediatriche: i contributi italiani nella letteratura internazionale

Pubblicazione Disegno studio IF rivista/n° citazioni

44. Brambilla P, Picca M, Dilillo D, Meneghin F, Cravidi C, Tischer MC, Vivaldo T, Bedogni G, Zuccotti GV. Changes of body mass index in celiac children on a gluten-free diet. Nutr Metab Cardiovasc Dis 2013;23:177-82.

Caso-controllo 2.16/24

45. Giussani M, Antolini L, Brambilla P, Pagani M, Zuccotti G, Valsecchi MG, Lucini D, Genovesi S. Cardiovascular risk assessment in children: role of physical activity, family history and parental smoking on BMI and blood pressure. J Hypertens 2013;31:983-92.

Coorteprospettico

5.062/23

46. Viazzi F, Antolini L, Giussani M, Brambilla P, Galbiati S, Mastriani S, Stella A, Pontremoli R, Valsecchi MG, Genovesi S. Serum uric acid and blood pressure in children at cardiovascular risk. Pediatrics 2013;132:e93-9.

Cross-sectional 5.80/41

47. Scherdel P, Salaün JF, Robberecht-Riquet MN, Reali L, Páll G, Jäger-Roman E, Crespo MP, Moretto M, Seher-Zupančič M, Agustsson S. Growth monitoring: a survey of current practices of primary care paediatricians in Europe. PloS One 2013;8:e70871.

Survey 3.54/15

48. Fancelli C, Prato M, Montagnani C, Pierattelli M, Becherucci P, Chiappini E, de Martino M, Galli L. Survey assessment on pediatricians’ attitudes on head lice management. Ital J Pediatr 2013;39:62.

Survey 1.614/1

49. Zuccotti G, Fabiano V, Dilillo D, Picca M, Cravidi C, Brambilla P. Intakes of nutrients in Italian children with celiac disease and the role of commercially available gluten-free products. J Hum Nutr Diet 2013;26:436-44.

Cross-sectional 2.583/28

50. Chiappini E, D’Elios S, Mazzantini R, Becherucci P, Pierattelli M, Galli L, de Martino M. Adhe-rence among Italian paediatricians to the Italian guidelines for the management of fever in children: a cross sectional survey. BMC Pediatr 2013;13:210.

Survey 1.813/7

51. Mazzoleni S, Boscardin C, Toderini D. Low vitamin D status of northern italian children in pe-diatric primary care setting: What to Do? Br J Med Medical Res 2014;4:170-83.

Cross-sectional ND/1

52. Nobili V, Cutrera R, Liccardo D, Pavone M, Devito R, Giorgio V, Verrillo E, Baviera G, Musso G. Obstructive sleep apnea syndrome affects liver histology and inflammatory cell activation in pediatric nonalcoholic fatty liver disease, regardless of obesity/insulin resistance. Am J Respir Crit Care Med 2014;189:66-76.

Coorte prospettico 2.69/53

53. Vicedomini D, Lalinga G, Lugli N, D’Avino A. Diagnosis and management of acute pharyngo-tonsillitis in the primary care pediatrician’s office. Minerva Pediatr 2014;66:69-76.

Review 0.532/4

54. Peñas E, Uberti F, Baviera G, Di Lorenzo C, Restani P. Clinical monosensitivity to salmon and rainbow trout: a case report. Pediatr Allergy Immunol 2014;25:98-100.

Case report 2.91/5

55. Fortunato F, Martinelli D, Cozza V, Ciavarella P, Valente A, Cazzato T, Piazzolla R, Prato R, Pedalino B. Italian family paediatricians’ approach and management of celiac disease: a cross-sectional study in Puglia Region, 2012. BMC Gastroenterol 2014;14:38.

Cross-sectional 1.397/3

56. Clavenna A, Sequi M, Cartabia M, Fortinguerra F, Borghi M, Bonati M Effectiveness of nebuli-zed beclomethasone in preventing viral wheezing: a RCT. Pediatrics 2014;133:e505-12.

RCT in doppio cieco su farmaco

5.80/10

57. Pasinato A, Indolfi G, Marchisio P, Valleriani C, Cortimiglia M, Spanevello V, Chiamenti G, Buzzetti R, Resti M, Azzari C; Italian Group for the Study of Bacterial Nasopharyngeal Carriage in Children. Pneumococcal serotype distribution in 1315 nasopharyngeal swabs from a highly vaccinated cohort of Italian children as detected by RT-PCR. Vaccine 2014;32:1375-81.

Cross-sectional 3.413/11

58. Marchisio P, Picca M, Torretta S, Baggi E, Pasinato A, Bianchini S, Nazzari E, Esposito S, Prin-cipi N. Nasal saline irrigation in preschool children: a survey of attitudes and prescribing habits of primary care pediatricians working in northern Italy. Ital J Pediatr 2014;40:47.

Survey 1.614/5

59. Alisi A, Bedogni G, Baviera G, Giorgio V, Porro E, Paris C, Giammaria P, Reali L, Anania F, Nobili V. Randomised clinical trial: The beneficial effects of VSL#3 in obese children with non-al-coholic steatohepatitis. Aliment Pharmacol Ther 2014;39:1276-85.

RCT in doppio cieco su farmaco

6.32/79

60. Canciani M, Murgia V, Caimmi D, Anapurapu S, Licari A, Marseglia GL.Efficacy of Grintuss® pediatric syrup in treating cough in children: a randomized, multicenter, double blind, placebo-controlled clinical trial. Ital J Pediatr 2014;40:56.

RCT in doppio cieco su farmaco

1.614/2

61. Baviera G, Leoni MC, Capra L, Cipriani F, Longo G, Maiello N, Ricci G, Galli E. Microbiota in healthy skin and in atopic eczema. Biomed Res Int 2014;2014:436921.

Review 2.17/21

62. Baraldi E, Lanari M, Manzoni P, Rossi GA, Vandini S, Rimini A, Romagnoli C, Colonna P, Bion-di A, Biban P, Chiamenti G, Bernardini R, Picca M, Cappa M, Magazzù G, Catassi C, Urbino AF, Memo L, Donzelli G, Minetti C, Paravati F, Di Mauro G, Festini F, Esposito S, Corsello G. Inter-society consensus document on treatment and prevention of bronchiolitis in newborns and infants. Ital J Pediatr 2014;40:65.

Consensus 1.614/31

63. Chiappini E, Mazzantini R, Bruzzese E, Capuano A, Colombo M, Cricelli C, Di Mauro G, Espo-sito S, Festini F, Guarino A, Miniello VL, Principi N, Marchisio P, Rafaniello C, Rossi F, Sportiello L, Tancredi F, Venturini E, Galli L, de Martino M. Rational use of antibiotics for the management of children’s respiratory tract infections in the ambulatory setting: an evidence-based consensus by the Italian Society of Preventive and Social Pediatrics. Paediatr Respir Rev 2014;15:231-6.

Evidence based consensus

2.536/18

64. Shashaj B, Bedogni G, Graziani MP, Tozzi AE, Di Corpo ML, Morano D, Tacconi L, Veronelli P, Contoli B, Manco M. Origin of cardiovascular risk in overweight preschool children: a cohort study of cardiometabolic risk factors at the onset of obesity. JAMA Pe-diatr 2014;168:917-24.

Coorte prospettico 9.5/30

65. Shashaj B, Graziani MP, Tozzi AE, Manco M. Obesity and cardiovascular risk in children. Recenti Prog Med 2014;105:454-6.

Review 0.32/2

Page 33: Cure primarie pediatriche - SIP · con infezioni delle vie urinarie Le cure primarie in pediatria: tra pratica ed Evidence Based Medicine ... Nel secondo articolo, Montini e Alfano

30

L. Reali et al.

Pubblicazione Disegno studio IF rivista/n° citazioni

66. Costa S, Astarita L, Ben-Hariz M, Currò G, Dolinsek J, Kansu A, Magazzu’ G, Marvaso S, Micetic-Turku D, Pellegrino S, Primavera G, Rossi P, Smarrazzo A, Tucci F, Arcidiaco C, Greco L. A point-of-care test for facing the burden of undiagnosed celiac disease in the Mediterranean area: a pragmatic design study. BMC Gastroenterol 2014;14:219.

Pragmatic study 1.397/0

67. Mameli C, Faccini M, Mazzali C, Picca M, Colella G, Duca PG, Zuccotti GV. Acceptability of me-ningococcal serogroup B vaccine among parents and health care workers in Italy: a survey. Hum Vaccin Immunother 2014;10:3004-10.

Survey 2.146/4

68. Quitadamo P, Miele E, Alongi A, Brunese FP, Di Cosimo ME, Ferrara D, Gambotto S, Lam-borghini A, Mercuri M, Pasinato A, Sansone R, Vitale C, Villani A, Staiano A. Italian survey on ge-neral pediatricians’ approach to children with gastroesophageal reflux symptoms. Eur J Pediatr 2015;174:91-6.

Survey 1.791/4

69. Hadjipanayis A, Grossman Z, Del Torso S, van Esso D, Dornbusch HJ, Mazur A, Drabik A, Montini G. Current primary care management of children aged 1-36 months with urinary tract infections in Europe: large scale survey of paediatric practice. Arch Dis Child 2015;100:341-7.

Survey 3.231/6

70. Meglio P, Caminiti L, Pajno GB, Dello Iacono I, Tripodi S, Verga MC, Martelli A; SIAIP Group. The oral food desensitization in the Italian allergy centres. Eur Ann Allergy Clin Immunol 2015;47:68-76.

Survey 1.02/2

71. Pieruzzi F, Antolini L, Salerno FR, Giussani M, Brambilla P, Galbiati S, Mastriani S, Rebora P, Stella A, Valsecchi MG, Genovesi S. The role of blood pressure, body weight and fat distribu-tion on left ventricular mass, diastolic function and cardiac geometry in children. J Hypertens 2015;33:1182-92.

Coorte prospettico 5.062/7

72. Robberecht M.N, Beghin L, Deschildre A, Hue V, Reali L, Plevnik-Vodušek V, Moretto M, Agust-sson S, Tockert E, Jäger-Roman E, Deplanque D, Najaf-Zadeh A, Martinot A. Educating asthmatic children in european ambulatory pediatrics: facts and insights. PloS One 2015;10:e0129198.

Survey 3.54/0

73. Mameli C, Pasinato A, Picca M, Bedogni G, Pisanelli S, Zuccotti GV. Pidotimod for the pre-vention of acute respiratory infections in healthy children entering into daycare: A double blind randomized placebo-controlled study. Pharmacol Res 2015;97:79-83.

RCT in doppio cieco su farmaco

4.186/6

74. Miccheli A, Capuani G, Marini F, Tomassini A, Praticò G, Ceccarelli S, Gnani D, Baviera G, Alisi A, Putignani L, Nobili V. Urinary (1)H-NMR-based metabolic profiling of children with NAFLD undergoing VSL#3 treatment. Int J Obes (Lond). 2015;39:1118-25.

Clinical trial 5.337/2

75. Landi M, Meglio P, Praitano E, Lombardi C, Passalacqua G, Canonica GW. The perception of allergen-specific immunotherapy among paediatricians in the primary care setting. Clin Mol Allergy 2015;13:15.

Survey 2.86/1

76. Cantarutti A, Donà D, Visentin F, Borgia E, Scamarcia A, Cantarutti L, Peruzzi E, Egan CG, Villa M, Giaquinto C. Epidemiology of Frequently Occurring Skin Diseases in Italian Children from 2006 to 2012: A Retrospective, Population-Based Study. Pediatr Dermatol. 2015 Sep-Oct; 32(5):668-78.

Osservazionale retrospettivo

1.163/4

77. Asero R, Tripodi S, Dondi A, Di Rienzo Businco A, Sfika I, Bianchi A, Candelotti P, Caffarelli C, Povesi Dascola C, Ricci G, Calamelli E, Maiello N, Miraglia Del Giudice M, Frediani T, Frediani S, Macrì F, Moretti M, Dello Iacono I, Patria MF, Varin E, Peroni D, Comberiati P, Chini L, Moschese V, Lucarelli S, Bernardini R, Pingitore G, Pelosi U, Tosca M, Cirisano A, Faggian D, Plebani M, Verga C, Matricardi PM; Prevalence and Clinical Relevance of IgE Sensitization to Profiling in Childhood: A Multicenter Study. Int Arch Allergy Immunol. 2015;168(1):25-31.

Cross-sectional 2.61/5

78. Chiappini E, Camaioni A, Benazzo M, Biondi A, Bottero S, De Masi S,Di Mauro G, Doria M, Esposito S, Felisati G, Felisati D, Festini F, Gaini RM, Galli L, Gambini C, Gianelli U, Landi M, Lucioni M, Mansi M, Mazzantini R, Marchisio P, Marseglia GL, Miniello VL, Nicola M, Novelli A, Paulli M, Picca M, Pillon M, Pisani P, Pipolo C, Principi N, Sardi I, Succo G, Tomà P, Tortoli E, Tucci F, Varricchio A, de Martino M, Development of an algorithm for the management of cervical lym-phadenopathy in children: consensus of the Italian Society of Preventive and Social Pediatrics, jointly with the Italian Society of Pediatric Infectious Diseases and the Italian Society of Pediatric Otorhinolaryngology. Expert Rev Anti Infect Ther. 2015;13(12):1557-67.

Consensus 2.12/1

79. Cioffi L, Limauro R, Sassi R, Boccazzi A, Del Gaizo D. Decreased Antibiotic Prescription in an Italian Pediatric Population With Nonspecific and Persistent Upper Respiratory Tract Infections by Use of a Point-of-Care White Blood Cell Count, in Addition to Antibiotic Delayed Prescription Strategy. Glob Pediatr Health. 2016;3:2333794X15615771.

Clinical Trial 1.43/0

80. Nigri L, Piazzolla R, Pettoello-Mantovani M, Giardino I, Abbinante M, Gorgoni G. The Paedia-tric Ambulatory Consulting Service (PACS) program: a role for family pediatricians in the hospital emergency rooms. Ital J Pediatr. 2016;42:19.

Osservazionale prospettico

1.614/0

81. Mari G, Scorpecci A, Reali L, D’Alatri L. Music identification skills of children with specific language impairment. Int J Lang Commun Disord. 2016;51:203-11.

Caso-controllo 1.798/0

82. Masotti A, Baldassarre A, Fabrizi M, Olivero G, Loreti MC, Giammaria P,Veronelli P, Graziani MP, Manco M. Oral glucose tolerance test unravels circulating miRNAs associated with insulin resistance in obese preschoolers. Pediatr Obes. 2016, doi:10.1111/ijpo.12133.

Caso-controllo 3.689/0

83. Viazzi F, Rebora P, Giussani M, Orlando A, Stella A, Antolini L, Valsecchi MG, Pontremoli R, Genovesi S. Increased Serum Uric Acid Levels Blunt the Antihypertensive Efficacy of Lifestyle Modifications in Children at Cardiovascular Risk. Hypertension. 2016;67:934-40.

Coorteprospettico

4.94/6

Page 34: Cure primarie pediatriche - SIP · con infezioni delle vie urinarie Le cure primarie in pediatria: tra pratica ed Evidence Based Medicine ... Nel secondo articolo, Montini e Alfano

31

La ricerca nelle cure primarie pediatriche: i contributi italiani nella letteratura internazionale

Pubblicazione Disegno studio IF rivista/n° citazioni

84. Shashaj B, Graziani MP, Contoli B, Ciuffo C, Cives C, Facciolini S, Rigoni ML, Spaterna S, Taucci M, Raponi M, Manco M. Energy Balance-Related Behaviors, Perinatal, Sociodemographic, and Parental Risk Factors Associated with Obesity in Italian Preschoolers. J Am Coll Nutr. 2016; 35:362-71.

Coorteprospettico

1.64/1

85. Grossman Z, Del Torso S, van Esso D, Ehrich JH, Altorjai P, Mazur A, Wyder C, Neves AM, Dornbusch HJ, Jaeger Roman E, Santucci A, Hadjipanayis A. Use of electronic health records by child primary healthcare providers in Europe. Child Care Health Dev 2016;42:928-33.

Survey 1.754/0

86. Azzari C, Cortimiglia M, Nieddu F, Moriondo M, Indolfi G, Mattei R, Zuliani M, Adriani B, Degl’Innocenti R, Consales G, Aquilini D, Bini G, Di Natale ME, Canessa C, Ricci, de Vitis E1, Mangone G, Bechini A, Bonanni P, Pasinato A, Resti M. Pneumococcal serotype distribution in adults with invasive disease and in carrier children in Italy: Should we expect herd protection of adults through infants’ vaccination? Hum Vaccin Immunother 2016;12:344-50.

Cross-sectional 2.146/6

87. Strambi M, Giussani M Ambruzzi MA, Brambilla P, Corrado C, Giordano U, Maffeis C, Marin-ghin S, Matteucci MC, Menghetti E, Salice P, Schena F, Strisciuglio P, Valerio G, Viazzi F, Virdis R, Genovesi S. Novelty in hypertension in children and adolescents: focus on hypertension during the first year of life, use and interpretation of ambulatory blood pressure monitoring, role of physi-cal activity in prevention and treatment, simple carbohydrates and uric acid as risk factors. Ital J Pediatr 2016;42:69.

Review 1.614/0

88. Salvatore S, Barberi S, Borrelli O, Castellazzi A, Di Mauro D, Di Mauro G, Doria M, Francavilla R, Landi M, Martelli A, Miniello VL, Simeone G, Verduci E, Verga C, Zanetti MA, Staiano A SIPPS Working Group on FGIDs. Pharmacological interventions on early functional gastrointestinal dis-orders. Ital J Pediatr 2016;42:68.

Systematic review 1.614/0

89. Marchisio P,  Pipolo C,  Landi M,  Consonni D,  Mansi N,  Di Mauro G,  Salvatici E,  Di Pietro P, Esposito S, Felisati G, Principi N;  Italian Earwax Study Group. Cerumen: a fundamental but neglected problem by pediatricians. Int J Pediatr Otorhinolaryngol 2016;87:55-60.

Studio di prevalenza

1.125/0

90. Gallo P, Cioffi L, Limauro R, Farris E, Bianco V, Sassi R, De Giovanni M, Gallo V, D’Onofrio A, Di Maio S. SGA children in pediatric primary care: what is the best choice, large or small? A 10-year prospective longitudinal study. Glob Pediatr Health 2016;3:2333794X16659993.

Osservazionale prospettico

ND/0

91. Di Mauro G, Bernardini R, Barberi S, Capuano A, Correra A, De’ Angelis GL, Iacono ID, de Martino M, Ghiglioni D, Di Mauro D, Giovannini M, Landi M, Marseglia GL, Martelli A, Miniello VL, Peroni D, Sullo LR, Terracciano L, Vascone C, Verduci E, Verga MC, Chiappini E. Prevention of food and airway allergy: consensus of the Italian Society of Preventive and Social Paediatrics, the Italian Society of Paediatric Allergy and Immunology, and Italian Society of Pediatrics. World Allergy Organ J 2016;9:28.

Consensus statement

1.04/1

92. Brambilla P, Giussani M, Pasinato A, Venturelli L, Privitera F, Miraglia del Giudice E, Sollai S, Picca M, Di Mauro G, Bruni O, Chiappini E and on behalf of the “Ci piace sognare” Study Group. Sleep habits and pattern in 1-14 years old children and relationship with video devices use and evening and night child activities. It J Pediatrics 2017;43:7 (accepted Dec 2016).

Survey 1.614/1

93. Marchisio P, Esposito S, Picca M, Baggi E, Terranova L, Orenti A, Biganzoli E, Principi N; Milan AOM Study Group. Serotypes not included in 13-valent pneumococcal vaccine as causes of acute otitis media with spontaneous tympanic membrane perforation in a geographic area with high vaccination coverage. Pediatr Infect Dis J 2016. doi: 10.1097/INF.0000000000001485.

Cross-sectional 2.587/0

94. Marchisio P, Esposito S, Picca M, Baggi E, Terranova L, Orenti A, Biganzoli E, Principi N; Milan AOM Study Group. Prospective evaluation of the aetiology of acute otitis media with spontaneous tympanic membrane perforation. Clin Microbiol Infect 2017. doi: 10.1016/j.cmi.2017.01.010. (ac-cepted Dec.2016). In press.

Osservazionale prospettico

4.575/0

Totale: 94IF: Impact Factor della rivista nel 2016; n° citazioni dell’articolo; ND: non determinato

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32

L. Reali et al.

Appendice 2. Definizioni dei disegni degli studi clinici selezionati.

Ricerca primaria: comprende tutti gli studi, osservazionali e sperimentali, condotti sull’uomo.

Osservazionale: studio epidemiologico analitico caratterizzato dall’assenza di intervento da parte dello sperimentatore, che si limita a osservare il fenomeno in studio, così come accade nella realtà. Può essere descrittivo, se il ricercatore non analizza i dati, oppure analitico, se il ricercatore analizza i dati delle osservazioni e quindi impiega analisi statistiche.

Case report: dettagliata descrizione di segni e sintomi o risultati di laboratorio relativi a un “caso tipico” o a un piccolo gruppo di casi (se i casi sono numerosi si parla di serie di casi). Si tratta di osservazioni particolari rilevate nell’ambito di una normale attività routinaria.

Caso-controllo: studio tipicamente retrospettivo, la selezione del campione viene fatta in base alla malattia, cioè si osserva un gruppo di persone con una malattia o condizione (casi) rispetto a un altro gruppo della stessa popolazione che non ha quella malattia o condizione (controlli), per identificare eventuali associazioni tra la malattia o condizione in studio e fattori di rischio particolari, per ottenere il tasso (o il rischio) di incidenza di un evento, consentendo una stima del rischio relativo realizzata attraverso l’Odds Ratio (OR)

Cross-sectional: studio che valuta, in un determinato istante, l’esposizione in una popolazione a un possibile fattore di rischio e la pre-senza di malattia (prevalenza). Secondo l’obiettivo che si prefigge può essere distinto in descrittivo (survey) o eziologico. Può consentire un’iniziale valutazione dell’associazione esposizione-effetto. Non valuta il tempo di esposizione e l’incidenza.

Survey: ricerca quantitativa in cui si fa uso di un questionario formalizzato per la rilevazione dei dati e per la loro analisi statistica. Si svol-ge sul campo, può avere obiettivi sia esplorativi che confermativi. Può essere trasversale, o cross-sectional, quando studia una sezione trasversale di popolazione in un determinato momento. Longitudinale, o time-series, se ripetuta nel tempo. Quando gli intervistati sono sempre le stesse persone (compatibilmente con le variazioni demografiche: decessi, trasferimenti, malattie), viene chiamata panel; se le persone sono diverse viene chiamata trend.

Coorte: la selezione del campione viene fatta in base all’esposizione o meno a un fattore di rischio con o senza coorte parallela. Si segue nel tempo l’evoluzione di un gruppo di persone identificate in base a determinate caratteristiche (coorte). Vengono confrontati gli esiti delle persone all’interno della coorte e vengono poi messi in relazione alla loro esposizione a interventi o fattori specifici. Possono essere sia prospettici sia retrospettivi: uno studio di coorte prospettico definisce il gruppo di partecipanti e lo segue nel tempo. Uno retro-spettivo (o storico) identifica i soggetti da dati del passato e li studia dal periodo a cui risalgono i dati fino al presente.

Studio di sorveglianza: la sorveglianza sanitaria (epidemiologica, clinica o sindromica) è la continua, sistematica raccolta, analisi e interpretazione dei dati relativi alla salute, necessari per la progettazione, implementazione e valutazione di pratiche di salute pubblica.

Studio di intervento: studio sperimentale che ha l’obiettivo si stimare l’efficacia di uno specifico intervento, ad es. di terapia, di preven-zione, di screening, di educazione sanitaria o di diagnosi, in una determinata popolazione. Il ricercatore manipola le condizioni di ricerca e distribuisce i gruppi in modo aleatorio.

Randomized Clinical Trial (RCT) con farmaci/senza: studio clinico sperimentale controllato e randomizzato, che permette di valutare l’efficacia di uno specifico trattamento farmacologico o non farmacologico, in una determinata popolazione, in una situazione ideale. È ritenuto il sistema più rigoroso per determinare se esiste una relazione causa-effetto tra un trattamento e un esito e per valutarne la costo-efficacia.

Studio pragmatico: studio clinico sperimentale che ha l’obiettivo di valutare l’efficacia (effectiveness) nel mondo reale dell’intervento in studio. Si realizza solitamente nella fase III dello sviluppo di un farmaco, con criteri di inclusione limitati, al fine di ottenere un campione di partecipanti il più rappresentativo possibile della popolazione generale.

Ricerca secondaria: è la ricerca che ha l’obiettivo di integrare i risultati degli studi primari attraverso la loro selezione, sintesi e valuta-zione critica, comprende: revisioni sistematiche (con o senza meta-analisi), linee guida, report di Health Technology Assessment, analisi economiche e analisi decisionali.

Revisioni narrative: raccolta panoramica di informazioni su un determinato argomento, di cui generalmente affrontano ogni aspetto, rispondendo a domande molto ampie e generiche che indagano l’intero contesto, clinico ed epidemiologico, di quella determinata pato-logia. Mirano a fornire una conoscenza di base (background) sull’argomento. Data la non sistematicità della raccolta delle informazioni sono soggette a distorsioni.

Revisioni sistematiche: veri e propri progetti di ricerca che sintetizzano e valutano criticamente in un unico documento gli esiti di tutti gli studi sperimentali condotti riguardo a un determinato e ben definito quesito clinico o intervento sanitario. Per ridurre al minimo i rischi di distorsione i revisori si avvalgono, in ogni fase del processo di elaborazione, di una rigorosa metodologia scientifica standardizzata. Nel caso vengano usate tecniche statistiche per riassumere i risultati la revisione viene chiamata revisione sistematica quantitativa o metanalisi.

Linee guida: raccomandazioni finalizzate a ottimizzare l’assistenza al paziente fondate su una revisione sistematica delle prove di effi-cacia e su una valutazione di benefici e danni di eventuali opzioni assistenziali alternative. Sono strumenti di governo clinico, necessari per definire gli standard assistenziali e verificare l’appropriatezza dell’assistenza erogata.

Consensus: dichiarazione pubblica su un aspetto particolare del sapere medico, con l’obiettivo di consigliare i medici sul miglior modo possibile e accettabile di fare diagnosi e trattamento o come affrontare particolari decisioni su quell’aspetto, realizzata in genere da un gruppo rappresentativo di esperti, che concordano sulla conoscenza dello stato dell’arte, può essere evidence based, ma non ha la forza di una linea guida, perché non segue lo stesso rigoroso percorso metodologico di revisione critica delle prove.

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Prospettive in Pediatriagennaio-marzo 2017 • Vol. 47 • N. 185 • P. 33

Ortopedia pediatrica

La revisione della letteratura scientifica in materia di ortopedia pediatrica relativa agli ultimi anni mette in evidenza numerosi articoli, molti con un alto livello di qualità. Nel momento in cui la ricerca si focalizza sulle sole reali novità che la letteratura riporta, novità che in qualche modo siano tali da ispirare una modifica nella condotta clinica quotidiana, il numero degli articoli e il numero degli argomenti si riducono, diventando selet-tivi e specifici, e finendo per ispirare modifiche nella condotta clinica quotidiana solamente per gli specialisti in materia. Volendo brevemente elencare tali novità, vediamo come la letteratura evidenzi gli aspetti positivi dell’introduzione della check-list pre-operatoria obbligatoria, finalizzata alla minimizzazione dei possibili errori procedurali in corso d’intervento chirurgico, evidenzi i vantaggi dei mezzi di sintesi in lega di titanio rispetto ai più tradizionali mezzi di sintesi in acciaio, introduca il concetto di conflitto femoro-acetabolare e illustri i buo-ni risultati di alcune metodiche chirurgiche (osteotomie periacetabolari e artroscopia dell’anca), finalizzate a preservare l’anca displasica nel giovane adulto, descriva un aumento generale della pratica sportiva agoni-stica nel bambino e nell’adolescente, con un conseguente aumento di lesioni da sovraccarico e di traumi (in primis lesioni legamentose e meniscali al ginocchio), e illustri i risultati del loro trattamento chirurgico. Queste novità sono state ritenute troppo specifiche e non così pregne di ricadute significative nella pratica clinica del non-specialista per essere oggetto di un vero e proprio articolo di revisione, che classicamente Prospettive in Pediatria prevede nella sezione specialistica; perciò si è preferito approfondire due argomenti classici come la displasia dell’anca e il piede torto e illustrare un argomento nuovo, quale gli aspetti ortopedici delle mucopoli-saccaridosi.Il primo contributo alla sezione riguarda la displasia dell’anca, soprattutto la precoce diagnosi e il precoce trat-tamento. L’articolo illustra l’eziopatogenesi e l’anatomia patologica dell’anca pediatrica displasica, ne espone la semeiologia clinica e sottolinea come la diagnostica strumentale ecografica sia in grado di evidenziare anoma-lie presenti, anche se clinicamente non evidenti. La chiave di un buon successo terapeutico sta nella precocità della diagnosi, di qui la primaria importanza dell’ecografia dell’anca. È esperienza comune che la diagnostica ecografica della displasia dell’anca si stia oggi diffondendo e venga eseguita da molti radiologi, ortopedici e fisiatri, oltre che direttamente da alcuni pediatri: è necessario uniformarsi a determinati standard di esecuzione dell’esame e di interpretazione dei risultati.Un secondo contributo alla sezione riguarda il trattamento del piede torto congenito secondo il metodo Ponseti. Viene illustrata la classificazione dei vari tipi di piede torto, per soffermarsi sulle alterazioni anatomo-funzionali della forma più comune (equino-varo-addotto-supinato). Di quest’ultimo viene descritta la semeiologia e se ne illustra la classificazione, per poi soffermarsi sulla descrizione del trattamento. In passato molte sono state le metodiche proposte per il trattamento del piede torto, ma l’introduzione e la diffusione del metodo Ponseti ha effettivamente rappresentato una svolta nella cura del piede torto congenito: il testo ne illustra i principi sof-fermandosi sulle tempistiche della correzione, sulle manipolazioni e sui gessi, sulla tenotomia del tendine di Achille e sull’uso del tutore.Un terzo e ultimo contributo riguarda gli aspetti ortopedici delle mucopolisaccaridosi. Nell’ambito delle mucopo-lisaccaridosi e in generale delle malattie metaboliche, negli ultimi anni sono stati fatti numerosi passi in avanti e per molte di esse è ora possibile una cura. Fondamentale per una migliore efficacia delle cure disponibili è la precocità della diagnosi: di qui l’importanza del sospetto clinico di malattia, che spesso può essere rap-presentato da un aspetto muscolo-scheletrico. Le cure disponibili sono in grado di attenuare il decorso della storia naturale della malattia ma, in generale, l’effetto sugli aspetti scheletrici è scarso: di qui la necessità di monitorare il paziente, proponendo anche soluzioni chirurgiche ove necessario. L’articolo illustra la storia na-turale degli aspetti ortopedici delle mucopolisaccaridosi, pone l’accento sugli aspetti muscolo-scheletrici che devono destare il sospetto di malattia metabolica, sottolinea gli aspetti muscolo-scheletrici che devono essere monitorati nel tempo, una volta che la diagnosi è nota e suggerisce dei possibili trattamenti per la deformità dello scheletro.

Andrea BorgoUOC Ortopedia e Traumatologia

Azienda Ospedaliera Policlinico Universitario di Padova

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gennaio-marzo 2017 • Vol. 47 • N. 185 • Pp. 34-41 Prospettive in Pediatria

Ortopedia pediatrica

Update sulla diagnosi e trattamento precoce della displasia congenita dell’anca

Vito Pavone1

Maria Riccioli1

Andrea Borgo2

1 Clinica Ortopedica, AOU Policlinico Vittorio Emanuele,

Catania; 2 UOC Ortopedia e Traumatologia, Azienda

Ospedaliera Policlinico Universitario, Padova

Congenital hip dysplasia (CHD) describes a set of anomalies characterised by anatomical and clinical pictures ranging from instability to subluxation, dislocation and/or malformation of acetabulum. At birth, due to the presence of capsular laxity, the coxofemoral articulation may be unstable and lead to dislocation of the femoral head, which, however, can subse-quently reposition in situ in a spontaneous manner. Diagnosis is made by clinical examina-tion and by using maneuvers that still are considered of major importance. Instrumental di-agnosis is based primarily on the use of ultrasound, which are an accurate method of diag-nosis in the first months of life, allowing the clinician to highlight all the anatomical structures of the hip. Among the various methods, that of Graf is undoubtedly the most widespread in Europe. Clinical screening associated with ultrasound examination is considered to be the most useful method for diagnostic evaluation of CHD. In cases of early diagnosis, treatment involves the use of a harness. In recent years, a Tubingen harness has been widely used, which has been associated with few complications, and for this reason is now considered the gold standard treatment for CHD in infants younger than 6 months of age. Early diagno-sis is key to timely treatment, essentially conservative, although a surgical approach may be warranted in selected cases of conservative treatment failure.

Summary

La Displasia Congenita dell’Anca (DCA) comprende un insieme di anomalie caratterizza-te da differenti quadri anatomo-clinici che variano dall’instabilità, alla sublussazione, alla lussazione e/o ad anomalie malformative dell’acetabolo. Alla nascita, per la presenza di lassità capsulare, l’articolazione coxofemorale può risultare instabile sino a determinare una lussazione della testa femorale, che tuttavia può successivamente ricollocarsi in situ in modo spontaneo. La diagnosi di displasia dell’anca si effettua attraverso l’esame clinico e con l’utilizzo di manovre che ancor oggi sono ritenute di notevole rilevanza. La diagnosi strumentale si basa fondamentalmente sull’impiego dell’ecografia, che si è dimostrata un accurato metodo di diagnosi nei primi mesi di vita, consentendo di evidenziare tutte le strutture anatomiche dell’anca del bambino. Tra le varie metodiche, quella di Graf è sicura-mente la più diffusa in Europa. Lo screening clinico, associato all’esame ecografico, viene considerato il metodo maggiormente valido per la valutazione diagnostica della DCA. Nei casi di diagnosi precoce il trattamento prevede l’utilizzo di divaricatori, dinamici o statici, il cui utilizzo ha evidenziato un esiguo numero di complicanze, e per tale motivo questo tipo di trattamento è oggi considerato il trattamento gold standard per la DCA nei bambini di età inferiore ai 6 mesi. La diagnosi precoce è fondamentale per un trattamento tempestivo, essenzialmente conservativo, anche se l’approccio chirurgico può essere giustificato in casi selezionati di fallimento del trattamento conservativo.

Riassunto

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La displasia congenita dell’anca

AbbreviazioniDCA: displasia congenita dell’ancaLCA: lussazione congenita dell’ancaRR: rischio relativoSIAS: spina iliaca antero-superiore

Metodologia della ricerca bibliografica effettuataÈ stata svolta una ricerca attraverso PubMed utiliz-zando termini quali “DDH”, “neonatal hip examination”, “ultrasound screening”, “risks factors”, “treatment out-come ddh”, “guidelines”, “recommendations”, “splint”, “Pavlik”, “Tubingen”, anche incrociandoli tra loro, con filtro per articoli successivi al 2012. È stato inoltre in-cluso uno studio noto agli autori, anche se pubblicato prima di quella data.

ObiettivoLa presente review si è posta l’obiettivo di valutare lo stato dell’arte riguardo alla diagnosi e al trattamento pre-coce della displasia congenita dell’anca, prendendo in considerazione la variabilità dei criteri diagnostici attual-mente utilizzati, il timing e la tipologia del trattamento, al fine di promuovere un indirizzo terapeutico condivisibile.

IntroduzioneLa displasia congenita dell’anca (DCA) comprende un’ampio spettro di anomalie morfologiche e strutturali che coinvolgono l’anca neonatale. La diagnosi e il tratta-mento precoce sono fondamentali per ottenere il miglior risultato funzionale possibile. Infatti la displasia dell’an-ca, non correttamente trattata o passata misconosciuta, può condurre a disturbi della deambulazione, ipotrofia muscolare e aumento del tasso di incidenza di lesioni degenerative a carico dell’anca e del ginocchio. Il primo approccio diagnostico di DCA si basa sull’esame clinico neonatale e l’esecuzione di specifici test clinici riguardo alla stabilità articolare. L’avvento dell’esame ecografico, innocuo e ben tollerato dal paziente, ha completamente sovvertito la storia naturale della patologia, consenten-do di raggiungere in tempi precoci l’inquadramento dia-gnostico e di mettere a punto un approccio terapeutico tempestivo. Oggi la metodica ecografica più utilizzata in Italia è quella proposta da Graf, che distingue le anche displasiche in quattro stadi e indirizza verso il trattamen-to più adeguato. In passato, la principale indagine stru-mentale è stata la radiografia delle anche, oggi superata in quanto ritenuta tardiva, (non eseguibile prima dei 4 mesi di vita per la radiotrasparenza dei nuclei di accre-scimento delle teste femorali), pericolosa (espone a ra-diazioni ionizzanti) e di non univoca interpretazione. Tale metodica risulta ancora oggi utile nel valutare i risultati del trattamento a medio lungo termine.Il tipo di trattamento dipende dall’età del paziente e dalla gravità dell’affezione; fino a 6 mesi, il trattamento

principale è un tutore in flessione e abduzione d’anca come quello proposto da Pavlik negli anni Sessanta. Gli autori utilizzano da oltre quindici anni il tutore di Tubingen, evoluzione del Pavlik, con ottimi risultati e con bassa incidenza di complicanze precoci e tardive. Nel caso di fallimento del trattamento ortesico, è pos-sibile effettuare in anestesia generale un trattamento in gesso. Dopo i 18 mesi, il trattamento è prettamente chirurgico e consiste in una riduzione a cielo aper-to della displasia ed eventuale trattamento correttivo delle componenti scheletriche dell’anca. Lo screening neonatale è fondamentale per eviden-ziare precocemente le anche patologiche. Esistono varie modalità di screening: noi riteniamo che sia op-portuno sottoporre tutti i neonati, entro 2 mesi di vita, ad esame ecografico delle anche.

Cosa si definisce per displasia congenita dell’anca (DCA)?La DCA comprende un insieme di anomalie, caratte-rizzate da differenti quadri anatomo-clinici che varia-no dall’instabilità, alla sublussazione, alla lussazione e/o ad anomalie morfologiche dell’acetabolo (Pavone et al., 2015).Una normale posizione anatomica della testa del fe-more nell’acetabolo è condizione imprescindibile per un fisiologico sviluppo dell’anca. Allorché i rapporti articolari risultano alterati, si possono venire a deter-minare delle condizioni patologiche caratterizzate da: a) sublussazione della testa femorale se questa risul-ta instabile, ma si mantiene entro i confini dell’aceta-bolo o b) lussazione, se la testa femorale non è più contenuta nel suo alloggiamento naturale e fuoriesce dai confini acetabolari. La lussazione dell’anca viene altresì distinta in teratologica e idiopatica: la prima si manifesta in età prenatale ed è spesso associata a patologie congenite o sindromi malformative; la se-conda si manifesta in neonati sani e può presentarsi sia in epoca neonatale che postnatale.

Le alterazioni morfo-strutturaliDal punto di vista embriologico sia la testa del femore che l’acetabolo si sviluppano dallo stesso ceppo di cel-lule mesenchimali primitive e la loro separazione avvie-ne tra la settima e l’ottava settimana di gestazione, men-tre il completo sviluppo dell’articolazione coxofemorale si verifica intorno alla 11a settimana di vita intrauterina.Durante lo sviluppo fetale il rischio di lussazione dell’an-ca si determina con maggior frequenza in tre specifici periodi gestazionali: a) alla 12a settimana, allorché gli arti inferiori ruotano medialmente; b) alla 18a settima-na, periodo di sviluppo neuromuscolare, che se patolo-gico (come nei casi di artrogriposi), può essere causa di lussazione teratologica e c) a partire dalla 35a set-timana di gestazione, quando forze meccaniche ano-male (oligoidramnios, presentazione podalica ed altre

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V. Pavone et al.

cause) possono facilitare l’insorgenza della lussazione. In età postnatale il rischio di lussazione è riconducibile a posizioni anomale con anche estese e addotte, parti-colarmente se associate a lassità articolare.La DCA può insorgere sia in epoca intrauterina, che in periodo perinatale o durante la prima infanzia. Alla nascita sia la testa femorale, che l’acetabolo sono co-stituite da tessuto cartilagineo, il loro sviluppo tende a essere strettamente e vicendevolmente correlato e prosegue strutturalmente dopo la nascita. Talvolta, in età neonatale, per la presenza di lassità capsulare, l’articolazione coxofemorale può risultare instabile, sino a determinare una lussazione della testa femo-rale, che tuttavia può successivamente ricollocarsi in situ in modo spontaneo. La DCA implica un altera-to sviluppo dell’anca. La DCA non viene inclusa nel gruppo dei disturbi malformativi associati a patologie con una significativa lassità legamentosa, come la sindrome di Ehlers-Danlos o la sindrome di Marfan.Nei bambini è presente una fisiologica lassità lega-mentosa al momento della nascita, ma le loro anche di solito non sono instabili; infatti, è necessaria una determinata forza per lussare l’anca di un bambino. Pertanto, non è soltanto la componente legamentosa a causare la patologia. Alla nascita, tutti i bambini ten-dono ad avere un acetabolo poco profondo (Loder e Skopelja, 2011); questo può contribuire a un’alterazio-ne dell’alloggiamento della testa femorale, causando l’instabilità dell’anca. L’instabilità è conferita da una condizione di lassità articolare che consente a una te-sta femorale “centrata” di divenire sublussata o lussata se sottoposta a manovre di stress, finalizzate alla evi-denziazione di tale condizione potenziale. Nei bambini affetti da DCA, con il procedere della patologia si mani-festa più evidente il valgismo (l’angolo formato dall’as-se del collo femorale con quello della diafisi è maggio-re di 135-140°) e l’antiversione del collo femorale (ec-cessiva torsione del femore), l’ipoplasia dell’acetabolo, poco profondo e molto verticalizzato, circondato da un cercine cotiloideo irregolare (cordone fibro-cartilagineo disposto a guisa di cornice sul contorno della cavità acetabolare), che assume la forma del “neolimbus” (salienza smussa nella porzione postero-superiore del bordo dell’acetabolo) e da una capsula articolare più lassa. La testa femorale può poggiare sul ciglio cotiloi-deo, deformandolo e rendendolo più sfuggente.

IncidenzaL’incidenza della DCA è difficilmente quantificabile e varia in rapporto a fattori razziali e genetici, ai criteri diagnostici impiegati e alle differenti età del paziente. Sono colpiti da displasia acetabolare dai 5 a 30 su 1000 nati vivi. Solo 2,7 su 1000 nati vivi sono affetti da instabilità. In epoca neonatale, la lussazione viene ri-portata in 1-2,5 casi per 1000 neonati. L’incidenza nel Centro-Europa è del 2-4%, mentre in Italia è intorno all’1-3%.

L’anomalia è prevalente nel sesso femminile (DCA-F:M = 5:1), (LCA-F:M= 1,7:1). Inoltre, per un 20% l’affezione è bilaterale e l’anca sinistra è più interessata di quella de-stra (65%) (Loder e Skopelja, 2011; Wenger et al., 2013).L’incidenza varia in maniera significativa in base al gruppo razziale, che si prende in considerazione. Si passa da un’incidenza di 0,06 su 1000 nati vivi afri-cani a 76 su 1000 dei nativi americani, primi tra tutti quelli della tribù Navajo, e del popolo Sami (Lappo-nia). Probabilmente tale variabilità parrebbe ricondu-cibile ad alcune tradizioni o abitudini popolari, come l’usanza di portare i bambini a gambe divaricate, a cavalcioni sulla schiena della madre, sopra o davanti il fianco, o sopra una spalla (Clarke, 2014).

EziologiaL’eziologia è a tutt’oggi poco nota. Ha sicuramente una genesi multifattoriale. È possibile distinguere: fat-tori genetici, anche se non sono stati individuati degli specifici geni responsabili, ma si fa riferimento a un’e-redità poligenica a penetranza variabile (GDF5, IL-6, TGF-B1, PAPPA2, ASPN, TBX4) (Sun et al., 2015); fattori meccanici, come la posizione pre- e post-na-tale, la presentazione podalica, storia familiare (R.R. di 12,1 se parente di 1° grado affetto), la macrosomia; fattori ormonali materni (progesterone e relaxina), che potrebbero favorire un’instabilità intrinseca dell’an-ca (Rhodes e Clarke, 2016; Mooraleda et al., 2013). Molto spesso troviamo condizioni associate, come il torcicollo miogeno congenito (2,4% al 20%), piede metatarso varo (1,53% a 10%), piede torto congenito classico (0,3% a 5,9%) e malformazioni scheletriche arti inferiori (Jawadi, 2016; Tomlinson et al., 2016).

La diagnosi clinicaLa diagnosi di displasia dell’anca si effettua attraverso l’esame clinico e con l’utilizzo di manovre che ancor oggi sono ritenute di notevole rilevanza, per la dia-gnosi di anche instabili, lussate o lussabili. In epoca neonatale le manovre semeiologiche più utilizzate sono quelle di Ortolani e di Barlow. A partire dall’età di 8-12 settimane di vita queste manovre non sono facilmente valutabili e poco indicative.

Manovra di OrtolaniPer eseguire questa manovra correttamente, il pa-ziente deve essere supino e rilassato, con anche fles-se a 90°, tenendo il ginocchio nel palmo della mano. Il pollice dell’esaminatore è posto medialmente lungo la coscia del paziente, e l’indice viene delicatamente posizionato sul grande trocantere. Si abduce delicata-mente l’anca, ponendo una leggera pressione in dire-zione antero-posteriore sopra il grande trocantere. In presenza di DCA, si udirà un clunk (scatto), dovuto al ripristino dell’alloggiamento della testa del femore in precedenza lussata (Fig. 1).

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La displasia congenita dell’anca

Manovra di BarlowQuesto test si esegue a paziente supino con anche flesse a 90° e abdotte, tenendo il ginocchio nel palmo della mano con il pollice all’interno e il secondo e ter-zo dito sul grande trocantere. Si adducono le cosce, dopo averle portate sulla linea mediana, si esercita una leggera pressione sul ginocchio, dirigendo la for-za in senso antero-posteriore. In caso di instabilità, la manovra provoca la fuoriuscita della testa femora-le dalla sua sede anatomica, producendo uno scatto percepibile con il dito medio (segno dello scatto in uscita) (Fig. 2).

Clunk e clickÈ opportuno ricordare la differenza tra lo scatto, noto anche come clunk nella terminologia anglosassone, da quelli che possono essere fisiologici click o scro-sci articolari. Lo scatto, detto anche clunk, si avverte all’atto della fuoriuscita della testa femorale dalla ca-vità acetabolare o al momento della riduzione della lussazione dell’anca. Va ribadito che tale scatto non solo si percepisce al tatto, ma spesso è anche visibile o udibile. I click invece rappresentano dei rumori o scrosci articolari a carattere per lo più fisiologico.

Altri segni clinici importantiSoprattutto nei primi mesi di vita, è importante ricer-care l’asimmetria degli arti e in particolare dei femori, la presenza di pliche asimmetriche a livello gluteo o dell’inguine (Fig. 3) (nei casi di lussazione monolate-rale), nonché la limitazione della massima abduzione passiva possibile dell’anca (Kolb, et al., 2016) (Fig. 4). Con la crescita, poiché i rapporti tra la testa femora-le e l’acetabolo sono alterati e questa situazione non viene corretta precocemente, i segni clinici preceden-temente descritti sono maggiormente evidenti e inol-tre può instaurarsi un’eterometria degli arti inferiori e una positività del segno di Galeazzi (Herring, 2013). Questo test si esegue ponendo il bambino supino con anche e ginocchia flesse, con piedi appoggiati sul lettino: l’altezza ineguale delle ginocchia suggerisce una lussazione dell’anca (Fig. 5). L’eterometria degli arti inferiori può essere valutata anche con il test di Nelaton, che risulterà invece positivo se, ponendo il bambino in posizione supina con anche e ginocchia flesse a 90°, l’altezza delle ginocchia risulterà inegua-le. Altri esami clinici, più indicativi dopo i 6 mesi di vita, e di probabilità, sono il segno di Ludloff, quando il bambino viene posizionato con anca flessa a 90°, si osserva un aumento dell’estensione del ginocchio del lato affetto, causato dall’aumento apparente del-la lunghezza dei flessori del ginocchio; e il segno di Klisic, che si apprezza posizionando il dito medio sul grande trocantere e l’indice sulla SIAS (spina iliaca antero-superiore), la linea tra le due dita passa al di sotto dell’ombelico, in caso di lussazione.

La diagnosi strumentaleAttualmente, l’indagine strumentale, che ci permette una diagnosi accurata e precoce, si basa fondamen-talmente sull’impiego dell’ecografia, largamente dif-fusa negli ultimi anni e che ha soppiantato l’utilizzo dell’esame radiologico convenzionale. L’ecografia si è dimostrata un accurato metodo di diagnosi nei primi mesi di vita, consentendo di evidenziare tutte le strut-ture anatomiche dell’anca del bambino (Pavone et al., 2013). Tra le varie classificazioni ecografiche, quella di Graf è sicuramente la più diffusa in Europa e permette altresì di classificare il grado di gravità dell’anomalia

Figura 1. Manovra di Ortolani.

Figura 2. Manovra di Barlow.

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V. Pavone et al.

dell’anca, in base alla sua morfologia e ai valori degli angoli alfa e beta. L’esame ecografico viene condotto con il piccolo paziente in decubito laterale con cosce e gambe flesse e ginocchio del lato in esame addotto,

utilizzando sonde lineari di frequenza 5-7,5 MHz. La sonda deve essere appoggiata sull’anca perpendico-larmente al piano cutaneo di appoggio eseguendo, in sostanza, una sezione frontale al centro dell’aceta-bolo, corrispondente alla “sezione frontale standard”, secondo la definizione di Graf.Questa sezione, consente la corretta individuazione dei punti di repere fondamentali, che sono: la linea di base (che va dal punto d’inserzione della capsula al margine cotiloideo), la linea acetabolare (tangente al margine ileale inferiore e al margine cotiloideo) e la linea dell’asse cartilagineo (tra il margine cotiloi-deo e il centro degli echi del labbro acetabolare), in base alle quali si formano l’angolo alfa e l’angolo beta fondamentali nella classificazione dei vari tipi di anca. L’angolo alfa (angolo del ciglio osseo) risulta indicati-vo dell’inclinazione del tetto acetabolare ed è compre-so tra la linea di base e la linea acetabolare. L’angolo beta (angolo del ciglio cartilagineo) è indicativo del grado di inclinazione del tetto cartilagineo della testa femorale ed è compreso tra la linea di base e la linea dell’asse cartilagineo.

Figura 3. Asimmetria delle pliche inguinali e glutee.

Figura 5. Segno di Galeazzi.

Figura 4. Limitazione dell’abduzione dell’anca.

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La displasia congenita dell’anca

In tal modo è stato possibile tipizzare quattro princi-pali tipi di anca e alcuni sottotipi a partire dal tipo I, anca normale, sino al tipo  IV, anca lussata (Graf, 2014) (Tab. I). La radiografia del bacino trova la sua indicazione soltanto dopo i 4 mesi di vita, allorché i centri di ossificazione della testa femorale siano già sviluppati nella maggior parte dei lattanti.

Importanza della diagnosi precoceIn alcuni paesi europei, come l’Austria e la Germa-nia, si esegue lo screening ecografico universale per DCA; cioè tutti i neonati sono sottoposti a ecografia, indipendentemente dai fattori di rischio (Fitch, 2014).Tuttavia, lo screening ecografico universale non è sta-to accettato in maniera unanime da alcuni paesi euro-pei (Roposh, 2013). Restano delle incertezze circa la capacità di ridurre l’incidenza di una diagnosi tardiva di DCA di tali programmi di screening. A complicare la questione è l’assenza di dati effettivi che correlano lo screening ecografico al miglioramento dei risultati. Ulteriori dubbi riguardano la specificità, perché una displasia lieve dell’anca rilevata all’ecografia si risolve spontaneamente in una percentuale elevata di casi, con il rischio concreto di sovrastimare l’affezione. Da ultimo ma di primaria importanza, l’esito dell’esame dipende dall’esperienza dell’operatore. In alternativa, molti centri di assistenza sanitaria in Europa, Regno Unito, e Stati Uniti svolgono uno screening ecografico selettivo (per soggetti giudicati ad alto rischio). Sicu-ramente affinché il programma di screening selettivo possa avere successo, dovrebbe essere standardiz-zato e proprio per questo motivo è di fondamentale importanza la collaborazione tra pediatri, ortopedici e la famiglia, che devono impegnarsi nell’informazione, fornendo delle valide linee guida per la sua attuazio-ne. Inoltre, la popolazione a rischio deve essere ade-guatamente delineata (sesso, familiarità, alterazioni uterine, malformazioni associate, gemellarità). In Italia si preferisce attuare uno screening globale (Emilia Ro-magna e Piemonte) e più esattamente sottoponendo allo screening clinico tutti i neonati (Manovra di Orto-lani e Barlow); l’esame ecografico alla nascita, sia nei soggetti con certa e dubbia positività ai test clinici per l’instabilità dell’anca, sia nei soggetti con presenza di fattori di rischio universalmente riconosciuti (storia fa-miliare e presentazione podalica senza distinzione di sesso). Nella maggior parte dei casi, le lievi anomalie della morfologia e della stabilità, che sono presenti alla nascita si risolveranno, senza alcun tipo di trattamento.Lo screening ecografico verrà eseguito a tutti i neo-nati tra la quarta e la sesta settimana di vita. Infatti, in assenza di segni clinici e fattori di rischio, la displasia può essere lo stesso presente, e inoltre, a questa età, gli esami ecografici di controllo, consentono che in caso di displasia grave, sia ancora possibile attuare un trattamento precoce, in un’età in cui il potenziale di guarigione dell’anca è ancora molto alto (Chiara e De

Pellegrin, 2013). Lo screening clinico associato all’e-same ecografico viene considerato il metodo mag-giormente utile per la valutazione diagnostica della DCA, riducendo i costi chirurgici, grazie a una effica-ce e precoce diagnosi, che si traduce in una maggio-re propensione a trattamenti non invasivi. Oggigiorno tale metodica è considerata il gold standard per la diagnosi precoce di displasia congenita dell’anca, nonché fattore chiave per un tempestivo approccio te-rapeutico, premessa fondamentale per una prognosi ottimale (Gulati et al., 2013; Laborie et al., 2013). Se-condo numerosi specialisti, autori inclusi, l’approccio ecografico universale potrebbe essere ideale.

TrattamentoL’obiettivo del trattamento è quello di ottenere e mante-nere una riduzione concentrica della testa del femore all’interno dell’acetabolo da iniziare tempestivamente, in modo tale da promuovere il fisiologico sviluppo di en-trambe le strutture. La diagnosi di DCA, nelle prime set-timane di vita è di fondamentale importanza, perché la maggioranza dei casi si risolverà mediante trattamento incruento. Infatti, esiste una significativa correlazione tra la displasia residua e l’età di inizio del trattamento. Ideal-mente, i pazienti dovrebbero essere identificati e trattati durante le prime 6 settimane di vita. In età successiva, nei bambini positivi agli esami clinici e strumentali, si raccomanda l’inizio del trattamento il più precoce possi-bile. Un recente studio di revisione ha dimostrato che nei bambini, identificati clinicamente per anche instabili, ma senza lussazione o che sono stati identificati ecografi-camente per displasia di grado lieve, è possibile procra-stinare il trattamento da 2 fino a 8 settimane, senza un aumento significativo di diagnosi tardiva o necessità di intervento chirurgico (Shorter et al., 2013).Il trattamento della DCA è fondamentalmente conser-vativo se la diagnosi è stata effettuata entro i primi sei mesi di vita, ma può divenire cruento in base alla gravità dell’affezione, alla mancata diagnosi preco-ce o al fallimento della terapia conservativa. Nei casi di diagnosi precoce il trattamento prevede l’utilizzo di divaricatori, prevalentemente dinamici, in gran parte evoluzioni del tutore di Pavlik. Questo tutore dinamico, mantiene l’abduzione delle anche tra 45° e 55°e per-mette una flessione intorno a 90-110°, rispettando le zone di sicurezza descritte da Ramsey, indirizzando la testa del femore dentro l’acetabolo e permettendo la naturale motilità dell’anca secondo movimenti guidati, che determinano uno stimolo fisiologico per la crescita dell’acetabolo e la risoluzione della lassità articolare. La durata del trattamento varia dai 3 ai 6 mesi e dipen-de dall’età del bambino e dalla gravità della DCA.Negli ultimi anni ha trovato largo impiego il divaricatore di Tübingen (Fig. 6), un’evoluzione del tutore di Pavlik, il cui utilizzo ha evidenziato un esiguo numero di com-plicanze. Queste ultime, fortunatamente molto rare, consistono in necrosi avascolare della testa femorale e

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V. Pavone et al.

lesioni al nervo femorale (Pavone et al., 2015). L’indica-zione all’utilizzo del divaricatore è una displasia dell’an-ca senza instabilità, ma può essere utilizzato per anche tipo 3 e 4. In tali casi è opportuno sottoporre il paziente a esami ecografici seriati, cambiando il tipo di trattamento qualora i risultati ottenuti entro 4 settimane non siano soddisfacenti (Paton e Choudry, 2016). Questo tipo di trattamento è oggi considerato il trattamento gold stan-dard per la DCA nei bambini di età inferiore ai 6 mesi. Per quanto riguarda le anche di stadio 4 di Graf, è possi-bile iniziare il trattamento direttamente con l’applicazione di un apparecchio gessato, dopo aver ottenuto un’ade-guata riduzione della lussazione, confermata da un con-trollo ecografico. Qualora anche questo trattamento non dovesse essere sufficiente, si procederà a riduzione a cielo chiuso o in caso di insuccesso a riduzione cruenta e applicazione di gesso pelvi podalico per 6-12 settima-ne. Non è da escludere la possibilità di tenotomia dei muscoli adduttori come tempo addizionale. Trattamenti chirurgici più complessi, sulle parti ossee e/o sui tessuti molli, vanno riservati a pazienti più grandi con lussazioni non diagnosticate o non risolte incruentemente.

ConclusioniLa displasia congenita dell’anca è sfida impegnativa, sia per il piccolo paziente, che per la famiglia, i pediatri e gli ortopedici pediatrici. È obbligatorio un trattamen-to differenziato in base all’età in cui viene effettuata la diagnosi. Per tale motivo è di fondamentale importan-za una diagnosi tempestiva, unico modo per mettere a punto un trattamento precoce. La prognosi durante i sei

mesi di vita è migliore rispetto a una DCA diagnosticata tardivamente. Il successo del trattamento conservativo, mediante divaricatore, richiede una totale e accurata adesione da parte dei genitori. Da non sottovalutare l’im-portanza dei controlli periodici.

Figura 6. Divaricatore dinamico Tübingen.

Tabella I. Classificazione delle anche displasiche secondo Graf.

Tipizzazione Angolo α Angolo β

1 A Anca matura > 60° < 55°

B Forma di transizione ≥ 60° > 55°

2 A+ Immaturità fisiologica per età, entro il 3°mese di vita 50-59° > 55°

A- Immaturità NON fisiologica per età, entro il 3°mese di vita 50-59° > 55°

B Ritardo di ossificazione, dopo il 3° mese di vita 50-59° > 55°

C Anca “critica” 43-49° < 77°

D Anca che ste per decentrare 43-49° > 77°

3 A Anca decentrata < 43° > 77°

B < 43° > 77°

4 Lussazione Non misurabile Non misurabile

Bibliografia

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** Accurate linee guida per la diagnosi della DCA e il suo trattamento.

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La displasia congenita dell’anca

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** Riassunto circa le metodiche corren-

ti per il rilevamento e il trattamento della DCA, sottolineando gli aggiornamenti ri-guardo allo screening neonatale e al trat-tamento nel corso degli ultimi due decenni.

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Box di orientamento

• Cosa sapevamo primaIn passato la diagnosi di DCA veniva fatta in tarda età, mediante esame radiografico del bacino a 4-6 mesi. L’avvento dell’ecografia e la tipizzazione delle anche secondo Graf ha rivoluzionato il tipo di approc-cio terapeutico e ha aumentato la percentuale di successo, considerata la precocità in cui può essere fatta la diagnosi.

• Cosa sappiamo adessoAttualmente, grazie alla diagnosi precoce, è possibile trattare l’anca displasica incruentemente, mediante l’uso di un divaricatore. Questo tipo di trattamento è semplice da condurre e ben accettato dal bambino e dalla famiglia. Questo ha contribuito molto al successo del trattamento stesso.

• Quali ricadute sulla pratica clinicaLe manovre di Ortolani e Barlow, hanno ancora un ruolo fondamentale. Un bambino positivo a queste manovre deve essere controllato periodicamente, mediante ecografia, per ricevere eventualmente un trattamento di tipo incruento, al fine di non far evolvere la patologia.

Corrispondenza

Vito PavoneClinica Ortopedica e Traumatologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Policlinico Vittorio Emanuele, Università di Catania, via Plebiscito 628, 95124 Catania - E-mail: [email protected]

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gennaio-marzo 2017 • Vol. 47 • N. 185 • Pp. 42-49 Prospettive in Pediatria

Ortopedia pediatrica

Il trattamento del piede torto congenito idiopatico con il Metodo Ponseti

Vito Pavone1

Gianluca Testa1

Andrea Borgo2

1 Clinica Ortopedica, AOU Policlinico Vittorio Emanuele,

Catania; 2 UOC Ortopedia e Traumatologia, Azienda

Ospedaliera Policlinico Universitario, Padova

Congenital clubfoot is one of the most common congenital skeletal abnormalities, represent-ed by equinus, varus, adduction, supination and cavus foot deformities. Its aetiology is still unknown. An important role has been attributed to genetic and environmental factors. The treatment of choice for paediatric patients is the Ponseti method, which is based on correc-tive manipulation of the deformity, corrective long cast, percutaneous tenotomy of the Achil-les tendon and use of Denis Browne brace. The success of the method is strictly related to several factors, such as early initiation of treatment, a lower initial Pirani score and higher intra-operative dorsiflexion following tenotomy. The Ponseti method allows a painless, planti-grade, flexible and apparently normal foot to be obtained. Recurrences are the most feared complication of treatment and can be treated with re-application of the Ponseti method.

Summary

Il piede torto congenito è una delle anomalie scheletriche congenite più comuni, carat-terizzato dalla presenza di equinismo, varismo, supinazione, adduzione e cavismo. L’e-ziopatogenesi è ancora dibattuta, seppur un ruolo importante sia stato attribuito a fattori genetici e ambientali. Il trattamento di scelta è rappresentato dal Metodo Ponseti, che si basa sull’esecuzione di modellamenti correttivi, sul confezionamento di apparecchi gessati femoro-podalici, sull’esecuzione di tenotomia percutanea del tendine di Achille e sull’utiliz-zo del tutore di Denis Browne. Il successo della metodica è strettamente correlato a svariati fattori: trattamento precoce, gravità iniziale della deformità, in base al punteggio di Pirani e all’entità della dorsiflessione intra-operatoria post-tenotomia. Il Metodo Ponseti consente di ottenere un piede non dolente, con appoggio plantigrado, flessibile e di aspetto normale. La complicanza più temuta del trattamento è rappresentata dalla recidiva, che può essere trattata con la ripresa della metodica.

Riassunto

AbbreviazioniPTC: piede torto congenito

Metodologia della ricerca bibliografica effettuataGli autori hanno selezionato dalla letteratura più re-cente i contributi scientifici che a loro giudizio erano più rilevanti sull’eziologia e il trattamento del piede tor-to congenito. La ricerca degli articoli è stata effettua-ta su banca bibliografica MedLine, utilizzando come

motore di ricerca PubMed con le seguenti parole: “congenital talipes equinovarus”, “etiology of clubfoot”, “Ponseti Method”, “Diagnosis of clubfoot”, “Treatment of idiopathic clubfoot”, “Pirani Score”.

Cosa è il piede torto congenito?Il termine di piede torto congenito (PTC) indica un gruppo eterogeneo di malformazioni del piede, di en-tità variabile, che hanno come caratteristica comune una deviazione permanente degli assi anatomici dello stesso piede e di questo segmento rispetto alla gam-

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Trattamento del piede torto congenito

ba, con conseguente alterazione dei normali punti di appoggio (Pavone et al., 2013).

Quanti tipi di piede torto esistono?Per comprendere le tipologie di piede torto congenito, è necessario fare cenno alle singole componenti della deformità del piede:• equinismo/talismo: si evidenziano osservando la-

teralmente il soggetto. In condizioni normali l’asse del piede e della tibia formano un angolo di 90°; in presenza di equinismo, tale angolo è maggiore di 90°, in caso di talismo è minore di 90° (Figg. 1a-1b);

• varismo/valgismo: riguardano il retropiede, os-servando frontalmente il soggetto. In condizioni normali l’asse longitudinale della gamba e del re-tropiede formano un angolo aperto esternamente di 5-7°. In presenza di valgismo si registra un au-mento di tale angolo, in caso di varismo si assiste a una sua riduzione fino all’annullamento e alla negativizzazione dello stesso (Figg. 1c-1d);

• adduzione/abduzione: si riferiscono all’avampie-de, osservato dall’alto. In caso di piede addotto, l’asse dell’avampiede e del retropiede formano un angolo aperto medialmente, viceversa in presen-za di piede abdotto, l’angolo è aperto lateralmente (Figg. 1e-1f);

• pronazione/supinazione: sono le due possibili ro-tazioni dell’asse longitudinale del piede. Il piede si definisce pronato quando la superficie planta-re volge lateralmente, in caso di piede supinato la

pianta del piede volge medialmente (Figg. 1g-1h). Il PTC si manifesta secondo quattro varianti cliniche, elencate in ordine di frequenza: • piede equino-varo-addotto-supinato (70-75%): il

piede è caratterizzato da un disallineamento del complesso anatomico calcaneo-astragalo-navico-lare, con conseguente equinismo e varismo del re-tropiede, supinazione e adduzione dell’avampiede (Fig. 2a);

• piede talo-valgo-pronato (10-15%): il piede si pre-senta in massima flessione dorsale, l’arco longi-tudinale è piatto e l’appoggio avviene sul bordo mediale del piede (Fig. 2b);

• piede metatarso-varo (5-10%): la deformità è li-mitata all’avampiede che si presenta addotto, per deviazione verso l’interno dei raggi metatarsali e delle dita (Fig. 2c);

• piede valgo-convesso (4-6%): rara ma grave de-formità caratterizzata da inversione della volta lon-gitudinale (Fig. 2d).

Ognuna di queste varietà può essere di diversa gra-vità e interessare uno o entrambi i piedi con forme cliniche anche diverse tra loro.

Cosa s’intende oggi per piede torto congenito (PTC)?Oggigiorno per PTC si intende la varietà clinica più frequente, definita classica, che comprende l’asso-ciazione di equinismo, varismo, supinazione e addu-

Figura 1. a) Equinismo: angolo formato tra l’asse del della gamba e del piede maggiore di 90°; b) Talismo: angolo for-mato tra l’asse del della gamba e del piede minore di 90°; c) Varismo: angolo formato tra l’asse del della gamba e del piede minore di 5°; d) Valgismo: angolo formato tra l’asse del della gamba e del piede maggiore di 5°; e) Adduzione: angolo tra asse del piede e quello dell’avampiede aperto medialmente; f) Abduzione: angolo tra asse del piede e quello dell’avampiede aperto lateralmente; g) Supinazione: la pianta del piede volge medialmente; h) Pronazione: la pianta del piede volge lateralmente.

A

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B

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V. Pavone et al.

zione. Il piede presenta un disallineamento del com-plesso anatomico astragalo-calcaneo-scafoideo, con conseguente torsione dell’asse longitudinale, per cui la superficie plantare volge medialmente e l’appoggio al suolo può avvenire solo sul margine esterno del piede (Wainwright et al., 2002). È possibile distinguere tre differenti forme di PTC: da posizione o posturale, idiopatico e teratogeno o sindro-mico. Il PTC posturale è dovuto a un difetto di posizione intrauterina del piede; pertanto è flessibile ai tentativi di riduzione manuale e di solito guarisce spontaneamente. Il PTC idiopatico, che si manifesta in un bambino altri-menti sano, è secondario a una alterazione muscolo-scheletrica isolata e rappresenta una displasia primaria, locale dell’area anatomica interessata. Il PTC teratoge-no o sindromico è legato a una patologia malformativa congenita, si presenta con aspetto clinico marcatamen-

te rigido ed è difficile da trattare (Pavone et al., 2015).Oggetto della nostra trattazione è il PTC varietà clas-sica idiopatica.

Dati epidemiologiciIl PTC ha una prevalenza di 1-4,5 su 1000 nati vivi. Predilige il sesso maschile, con un rapporto di circa 3:1 rispetto al sesso femminile. Interessa prevalente-mente il lato destro, ma è spesso bilaterale (50%). Si associa ad altre malformazioni nel 7% dei casi ed è possibile riscontrare un’eredo-familiarità nel 15% dei casi (Zionts et al., 2015; Goldstein et al., 2015). Secondo il Registro Italiano dei Difetti congeniti (1994-2006), l’incidenza nel nostro Paese è 0,8-1,65 su 1000 nati vivi. Da quanto si evince dal registro ISMAC (Registro Siciliano delle Malformazioni Congenite), il

Figura 2. a) Piede torto equino-varo-addotto-supinato; b) Piede talo-valgo-pronato; c) Piede metatarso-varo; d) Piede valgo-convesso.

A B

C D

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Trattamento del piede torto congenito

PTC rappresenta un’anomalia relativamente frequen-te in Sicilia. Nel periodo tra gennaio 1991 e dicembre 2004, sono stati registrati 444.450 nati vivi di cui 743 casi con PTC (413 maschi, con un rapporto maschi/femmine di 1,25); 612 bambini presentavano un pie-de torto idiopatico (82,36%) e tra questi l’anomalia era bilaterale in 370 (60%) e 238 (39%) unilaterali e 136 (57%) sul lato destro. Nel periodo intercorso dal 1998 al 2005, l’analisi statistica ha evidenziato una maggiore incidenza nella zona orientale della regione con 268 casi, rispetto ai 184 riscontrati nella zona oc-cidentale (Pavone et al., 2012).

Qual è la causa del piede torto?La causa del PTC non è ancora nota. È un’affezione a patogenesi multifattoriale, in cui intervengono ele-menti ambientali scatenanti (iperpressione intraute-rina, parto pretermine, insufficienza placentare, am-niocentesi, fattori termici, tossici, stagionali, infezioni) e genetici predisponenti (Engell et al., 2014). Recen-temente sono state individuate delle associazioni tra il PTC e il polimorfismo di un singolo nucleotide (SNPs). Altre cause genetiche sono rappresentate dalle mutazioni dei geni promotori HOXA9, TPM1 e TPM2, che alterano lo sviluppo e la funzione dei mu-scoli nell’embrione (Weymouth et al., 2016). Tuttavia è opportuno sottolineare che non esiste un fattore ezio-logico specifico per la deformità del piede, che per tale motivo si definisce idiopatico.

Le alterazioni morfo-strutturaliIl PTC è una deformità tridimensionale; le alterazioni anatomo-patologiche variano in rapporto all’età e al tempo di inizio del trattamento.Alla nascita non si riscontrano deformità apprezzabili, ma sono presenti solo modifiche dei rapporti fra le va-rie componenti ossee e gli abbozzi osteo-cartilaginei, mentre le alterazioni principali sono a carico delle parti molli (Irani e Sherman, 1963). Le capsule, i legamenti, i tendini e i muscoli del lato plantare e mediale sono retratti; quelli dorsali e laterali si presentano allungati. Nella regione posteriore il tendine di Achille risulta iper-trofico e retratto, i muscoli della gamba sono ipotrofici e ipoplasici. La cute del lato mediale presenta solchi e aderisce tenacemente al tessuto sottocutaneo. L’astra-galo, per l’equinismo forzato inclina la testa in basso; la troclea astragalica perde i rapporti con il mortaio tibio-fibulare nei suoi 2/3 anteriori; solo la parte posteriore mantiene i rapporti articolari, ma si restringe a tal punto da non potere più rientrare del tutto nel mortaio. L’as-se longitudinale dell’astragalo subisce una rotazione in senso laterale, per cui la troclea volge antero-late-ralmente, protrudendo sotto i tessuti molli. Il calcagno ruota intorno al suo asse antero-posteriore; inoltre si presenta atteggiato in varismo e inclinato all’esterno. Lo scafoide è dislocato all’interno e la sua parte media-

le viene a contatto con il malleolo tibiale. Il cuboide è dislocato al di sotto dello scafoide, in quanto ruota uni-tamente al calcagno. I cuneiformi e le ossa metatarsali si sollevano dal lato mediale (Fig. 3).Queste alterazioni anatomiche non hanno alcuna possibilità di correzione spontanea; pertanto è ne-cessario iniziare tempestivamente il trattamento per ripristinare i normali rapporti articolari ed evitare che la deformità si possa strutturare (Herceg et al., 2006).

Come fare diagnosi?In epoca prenatale, è possibile eseguire diagnosi di PTC per mezzo dell’ecografia morfologica, che per-mette di individuare le alterazioni più importanti a carico dell’apparato muscolo-scheletrico, con una sensibilità diagnostica dell’ordine del 60% dei casi. Il periodo più utile per individuare la deformità, intercor-re tra la nona e la decima settimana di gestazione; più tardi, poiché il volume fetale aumenta, sarà diffici-le distinguere il vero PTC da un’alterazione posturale (Viaris de le Segno et al., 2016). La diagnosi prenata-le è fondamentale per distinguere piedi torti idiopatici da alterazioni pluridistrettuali e per preparare psico-logicamente i genitori alla patologia e al suo tratta-mento, sottolineando la corregibilità della deformità e aumentandone la compliance. La diagnosi clinica viene effettuata alla nascita e con-siste nell’individuazione dell’equinismo, del varismo del retropiede, del cavismo e dell’avampiede addot-to. Il grado di flessibilità è variabile e assume valore prognostico: un piede più flessibile ha una progno-si migliore. L’esame clinico è inoltre utile a escludere eventuali malformazioni sindromiche associate al PTC. Particolare attenzione deve essere dedicata a esclu-dere disturbi muscolo-scheletrici e neuro-muscolari. La radiografia rimane comunque di uso limitato, perché le ossa tarsali in epoca neonatale sono costituite, per la maggior parte, da abbozzi cartilaginei (Atanda et al.,

Figura 3. Alterazione dei rapporti articolari in un piede torto congenito.

BA

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V. Pavone et al.

2015). Pertanto eseguire una radiografia a un neona-to con PTC è assolutamente inutile e controindicato; l’utilizzo di tale metodica diagnostica resta valida per i PTC riscontrati tardivamente e per valutare la bontà del trattamento a medio/lungo termine (Zimmerman et al., 2015; O’Halloran et al., 2015).L’utilizzo di TAC e di RMN nel PTC assume un ruolo diagnostico secondario, ma risulta tuttavia determi-nante nella valutazione degli eventuali esiti a distanza (Ippolito et al., 2012; Moon et al., 2014).

Classificazione della gravità del piede torto congenitoEsistono molteplici sistemi classificativi (Wainwright et al., 2002). La classificazione più utilizzata è quella di Shafique Pirani, il quale ha ideato un metodo valido e affidabile per accertare clinicamente l’entità delle de-formità presenti in soggetti di età inferiore ai due anni.Tale sistema classificativo si basa sull’assegnazione di un punteggio (0 se normale, 0,5 moderatamente anormale, 1 gravemente anormale), sulla base di sei segni clinici. Tre segni clinici interessano il mesopiede e riguardano la curvatura del margine laterale, la plica cutanea mediale e la copertura della testa dell’astra-galo. Gli altri tre segni clinici interessano il retropiede e riguardano la plica cutanea del retropiede, il piede equino rigido e il calcagno vuoto (Pirani et al., 2001; Harvey et al., 2014). Il punteggio finale varia da 0 a 6, quest’ultimo inteso come massima gravità.

Il trattamento con Metodo PonsetiPer il trattamento del PTC sono state proposte va-rie metodiche, incruente o chirurgiche. Nel passato numerosi ortopedici hanno proposto di eseguire un approccio a cielo aperto, estremamente diffuso ne-gli anni Ottanta, che spesso determinava notevoli problematiche legate a retrazioni cicatriziali e con-seguente piede rigido (Pavone et al., 2015). Il dottor Ignacio Ponseti ha sviluppato un metodo economico ed efficace per il trattamento del PTC. Gli studi con-dotti a lungo termine hanno dimostrato che i piedi dei soggetti trattati secondo il Metodo Ponseti sono fles-sibili e non dolenti, dimostrando che tale metodo è il migliore per tutti i paesi e per tutte le culture (Shabtai et al., 2014). Consiste essenzialmente in manipola-zioni e applicazioni di apparecchi gessati; il ricorso a un trattamento chirurgico invasivo è minimo. È fonda-mentale iniziare il trattamento precocemente (entro 3 settimane) e seguire sequenzialmente le diverse tap-pe del trattamento (Zionts et al., 2016).Le diverse fasi (Dobbs et al., 2009) in cui si suddivide il Metodo Ponseti sono rappresentate da:• manipolazioni correttive;• applicazione apparecchi gessati;• tenotomia achillea;• tutore.

Manipolazioni correttive per il piede Le manipolazioni correttive consistono nell’iniziale correzione del cavismo, che si ottiene posizionando l’avampiede in corretto allineamento con il retropiede, in modo da ripristinare il normale arco longitudinale mediale. Il piede cavo dei neonati è sempre flessibi-le e richiede solo la supinazione dell’avampiede per ottenere la sua normalizzazione, in modo da ottenere un corretto arco. Le restanti deformità del PTC ven-gono corrette simultaneamente, a eccezione dell’e-quinismo. Per eseguire le manipolazioni del piede è fondamentale individuare la testa dell’astragalo, che rappresenta il fulcro per un’adeguata correzione, e consiste nell’abduzione del piede sotto la testa dell’a-stragalo, dopo che quest’ultima sia stata stabilizzata, creando il punto centrale intorno al quale il piede vie-ne abdotto il più possibile senza causare disagio al bambino (Figg. 4a-4b). L’equinismo migliora gradual-mente con la correzione dell’adduzione e del varismo del piede; ciò avviene perché il calcagno va in dorsi-flessione, mentre viene abdotto al di sotto l’astragalo. Nessun tentativo di correzione dell’equinismo deve essere effettuato fino a che il varismo del calcagno non sia stato corretto.

Applicazione apparecchi gessatiQuesta fase segue immediatamente le manipolazioni e consiste nel confezionamento di apparecchi gessati femoro-podalici (dalla radice della coscia alle dita del piede), rinnovati settimanalmente, secondo 5 diverse posizioni di correzione: la prima corregge il cavismo, la seconda, la terza e la quarta correggono gradual-mente il varismo e l’adduzione, la quinta corregge l’equinismo. Per piedi molto rigidi, potrebbe rivelarsi necessaria l’applicazione di un numero notevolmente maggiore di apparecchi gessati. La tecnica di confe-zionamento dei gessi va eseguita solamente dopo un adeguato training, seguendo i principi della metodi-ca, al fine di evitare complicanze quali: sfilamento del gesso, deformità del piede a dondolo, dita sovrappo-ste, piaghe da decubito, sindrome flebostatica.

Tenotomia percutanea La tenotomia Achillea consiste nella sezione percuta-nea dell’intero tendine di Achille ed è indicata per la correzione dell’equinismo residuo, nei casi in cui la dorsiflessione della caviglia rimane inferiore a 10° so-pra il livello neutro. Con la tenotomia si acquisiscono ulteriori 15 o 20° di dorsiflessione. A tale procedura segue l’applicazione dell’ultimo apparecchio gessato con il piede extrarotato (60° rispetto al piano frontale della caviglia) e in dorsiflessione (15°), da mantenere per 3 settimane, tempo necessario alla rigenerazio-ne del tendine sezionato (Niki et al., 2013). Tale tec-nica ha rappresentato una significativa innovazione rispetto all’allungamento a zeta del tendine achilleo. Il vantaggio è quello di una minore invasività, sfruttando

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Trattamento del piede torto congenito

la notevole capacità di rigenerazione tendinea del ne-onato. La tenotomia achillea, effettuata nell’80% dei pazienti (Pavone et al., 2015), assume un ruolo chia-ve nella prevenzione di eventuali recidive, in quanto maggiore è l’equinismo residuo, maggiore è il rischio di recidive (Hosseinzadeh et al., 2016).

Tutore L’ultima fase consiste nell’applicazione di un tutore con lo scopo di mantenere il piede corretto in extrarotazione e in dorsiflessione. Il tutore è costituito da una barra di abduzione posizionata sulla superficie inferiore di scar-pe a suola piatta e aperte in punta. Il tutore viene appli-cato immediatamente dopo la rimozione dell’ultimo ap-parecchio gessato. Nei casi di piede torto unilaterale, il tutore dal lato del piede torto è regolato a 60° di rotazio-ne esterna, mentre dal lato sano viene posizionato a 30° di rotazione esterna. Nei casi di piede torto bilaterale, il tutore è regolato a 60° di rotazione esterna su entrambi i lati. La barra deve essere di lunghezza sufficiente a con-sentire che la distanza tra le parti posteriori delle scarpe sia uguale all’ampiezza delle spalle (Fig. 5).Il tutore deve essere indossato a tempo pieno (giorno e notte) per i primi tre mesi, dopo la rimozione dell’ulti-mo apparecchio gessato. Successivamente il bambino deve indossare il tutore per dodici ore di notte e dalle due alle quattro ore a metà giornata, per un totale di quattordici/sedici ore. Questo protocollo di trattamento deve essere seguito fino ai tre/quattro anni di età.Il successo della metodica è strettamente correlato a diversi fattori, tra i quali un precoce inizio del tratta-mento, un iniziale punteggio di Pirani più basso e una maggiore dorsiflessione intra-operatoria in seguito alla tenotomia (O’Shea e Sabatini, 2016).

Controlli follow-upDopo l’applicazione del tutore, in occasione della rimo-zione dell’ultimo apparecchio gessato, il bambino deve essere controllato per verificare l’adesione al trattamen-to e la presenza di eventuali segni di recidive secondo il seguente schema: mensilmente per i primi 3 mesi, per la risoluzione di eventuali problemi di tolleranza al tutore e ogni 2/3 mesi, fino all’età di tre anni; ogni 6 mesi dai tre ai quattro anni in poi fino al raggiungimento della matu-rità scheletrica (Pavone et al., 2013).

Quando iniziano a camminare i bambini trattati con Metodo Ponseti?La preoccupazione principale dei genitori riguarda l’i-nizio della deambulazione dei propri figli trattati con Metodo Ponseti. Un recente studio ha valutato le tap-pe motorie dei pazienti con piede torto congenito, di-mostrando che iniziavano la deambulazione autono-ma all’età di 14 mesi o approssimativamente circa 2 mesi dopo i bambini senza alcuna deformità al piede (Zionts et al., 2014).

Il piede torto congenito può recidivare?Le recidive rappresentano la complicanza più temuta e si suddividono in precoci e tardive. Le recidive precoci (entro l’anno di vita), sono spesso causate da un’insufficiente correzione del piede.Le recidive tardive (età maggiore di un anno) possono manifestarsi in un piede ben corretto che, nonostante

Figura 4. a) Individuazione della testa dell’astragalo (TH); b) La manipolazione correttiva si esercita riallineando la testa dell’astragalo (TH) con lo scafoide. È errato esercitare una manipolazione tentando di riallineare il calcagno e il cuboide.

A B

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V. Pavone et al.

l’utilizzo del tutore, recidiva dopo mesi o anni. A questa categoria appartengono anche piedi ben corretti con scarsa compliance del tutore (Chu e Lehman, 2012). Morcuende ha rilevato che le recidive si verificano solo nel 6% delle famiglie che seguono attentamente il pro-tocollo di trattamento e in più dell’80% delle famiglie che non lo rispettano (Morcuende et al., 2005).Al primo segno di recidiva si deve considerare la possi-bilità di ripresa della metodica Ponseti, ossia la ripresa di una nuova sequenza di gessi correttivi, al termine della quale si potrà riprendere il programma di utilizzo del tutore. Tuttavia, se al completamento della fase de-gli apparecchi gessati persiste un equinismo con una dorsiflessione inferiore a 10°, sarà necessaria la ripeti-zione della tenotomia achillea (Morin et al., 2014).Un piede che recidiva nella componente supinatoria dinamica trova beneficio dal trattamento chirurgico di trasposizione del tendine tibiale anteriore, consigliabi-le dopo i trenta mesi di età, quando il terzo cuneiforme va incontro a ossificazione. Tale procedura migliora la distribuzione dei carichi sul piede, ripristinando la for-za di eversione (Gray et al., 2014). Tuttavia persistono dubbi riguardo al timing chirurgico della trasposizione tendinea, in quanto è stato osservato che il rischio di una seconda recidiva è aumentato nei bambini più piccoli (Luckett et al., 2015).

ConclusioniNel corso degli anni il trattamento del piede torto congenito è stato caratterizzato da svariate metodi-che, chirurgiche e non. La svolta decisiva verso un trattamento più efficace e meno invasivo si è avu-

ta con il Metodo Ponseti, la cui tecnica si basa sul principio di modellare progressivamente e dinami-camente il piede, in modo da prevenire l’insorgenza di deformità ossee. Il Metodo Ponseti ha riportato notevoli successi, consentendo di ottenere un pie-de non dolente, plantigrado, flessibile e di aspetto fisiologico, che permette al bambino di svolgere una normale vita quotidiana e di partecipare alle comu-ni attività ludico-ricreative. La metodica deve essere iniziata precocemente e praticata da ortopedici pe-diatri esperti di tale patologia.È opportuno effettuare delle visite di controllo seriate negli anni fino alla maturità scheletrica, in modo da evidenziare tempestivamente eventuali segni di reci-diva, più frequenti entro i primi 3 anni di vita.

Figura 5. Tutore tipo “Denis Browne”.

Box di orientamento

• Cosa sapevamo primaPer il trattamento del PTC sono state proposte varie tecniche, incruente o chirurgiche. Numerosi ortope-dici nel passato hanno proposto di eseguire un approccio a cielo aperto, estremamente diffuso negli anni Ottanta, che spesso determinava notevoli problematiche legate a retrazioni cicatriziali e conseguente piede rigido. La svolta è stata rappresentata dalla diffusione del Metodo Ponseti.

• Cosa sappiamo adessoOggi è possibile eseguire una diagnosi ecografica prenatale in grado di preparare psicologicamente la famiglia, rendendola edotta della sua correggibilità e delle varie opzioni di trattamento.Oggi gli ortopedici pediatrici preferiscono il Metodo Ponseti, che rappresenta il gold standard nel trat-tamento del piede torto congenito, avvalendosi di una tecnica mini-invasiva, caratterizzata da manipo-lazioni correttive della deformità, confezionamento di apparecchi gessati femoro-podalici, esecuzione di tenotomia percutanea del tendine di Achille e utilizzo del tutore di Denis Browne.

• Quali ricadute sulla pratica clinicaSempre più importante diventa il trattamento precoce del piede torto congenito, che consente di avere risultati ottimali con basso rischio di recidive. Ai medici di libera scelta e ai pediatri di famiglia spetta il compito di inviare questi pazienti presso un centro specialistico di ortopedia pediatrica, al fine di eseguire correttamente il trattamento con Metodo Ponseti. Il rischio delle recidive è sempre in agguato e occorre saperle riconoscere e indirizzare il paziente e i genitori all’eventuale ripresa della metodica di trattamento.

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Trattamento del piede torto congenito

Corrispondenza

Vito PavoneClinica Ortopedica e Traumatologica, Azienda Ospedaliero-Universitaria, Policlinico Vittorio Emanuele, Università di Catania, via Plebiscito 628, 95124 Catania - E-mail: [email protected]

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** Spiega l’importanza di un trattamento precoce del piede torto congenito.

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gennaio-marzo 2017 • Vol. 47 • N. 185 • Pp. 50-61 Prospettive in Pediatria

Ortopedia pediatrica

Gli aspetti ortopedici nelle mucopolisaccaridosi

Andrea Borgo1 Vito Pavone2

1 UOC Ortopedia e Traumatologia, Azienda Ospedaliera Policlinico Universitario, Padova; 2 Clinica

Ortopedica, AOU Policlinico Vittorio Emanuele, Catania

Mucopolysaccharidoses (MPS) are a group of inherited diseases characterised by dis-orders in the catabolism of glycosaminoglycans (GAGs). The first sign of the disease can sometimes be a musculoskeletal manifestation. In the last years, the availability of enzyme replacement therapy (ERT) and early haematopoietic cell transplantation (HCT) have substantially modified the natural history of these diseases. Despite the general good results, the effects of HCT and ERT on the musculoskeletal system are poor, especially if started late. It is thus necessary that physicians, especially those working with children, understand the musculoskeletal manifestations of MPS. Firstly, some clinical signs (thora-columbar kyphosis, carpal tunnel syndrome, trigger finger, joint stiffness) should address the physician towards early, correct diagnosis. Secondly, once a diagnosis is made, the orthopaedic problems of the children should be followed in order to evaluate the opportu-nity to perform surgery during the growing age to prevent progression of the disease (up-per spinal stenosis and instability, thoracolumbar kyphosis, hip dysplasia, genu valgum, valgus deformity of the ankle). Since these are multi-organ diseases, the best treatment for patients involves a multidisciplinary team where the paediatrician plays a fundamental role in initial diagnosis, follow-up and the decision-making process.

Summary

Le mucopolisaccaridosi (MPS) sono un gruppo di malattie ereditarie caratterizzate da un difetto genetico nel catabolismo dei glicosaminoglicani (GAGs). Il primo segno della malattia a volte può essere una manifestazione muscolo-scheletrica. Negli ultimi anni la disponibilità della terapia enzimatica sostitutiva (ERT) e un precoce trapianto di cellule staminali ematopoietiche (HCT) hanno sostanzialmente modificato la storia naturale di queste malattie. Nonostante i buoni risultati generali gli effetti del HCT e della ERT nel si-stema muscolo-scheletrico sono scarsi, soprattutto se queste terapie non vengono iniziate precocemente. Ecco quindi la necessità da parte dei medici, soprattutto quelli che lavorano con bambini, di conoscere le manifestazioni muscolo-scheletriche delle MPS. In primo luogo alcuni segni clinici (cifosi toraco-lombare, sindrome del tunnel carpale, dito a scatto, rigidità articolare) dovrebbero orientare il medico verso un sospetto diagnostico precoce. In secondo luogo, una volta che la diagnosi è stata fatta, alcuni problemi ortopedici dei bambini dovrebbero essere monitorati al fine di valutare la possibilità di eseguire alcune procedure chirurgiche durante l’età dell’accrescimento, per prevenire la progressione della malattia (stenosi del canale vertebrale e instabilità, cifosi toraco-lombare, displasia dell’an-ca, ginocchio valgo, caviglia valga). Alla luce del fatto che si tratta di malattie multi-organo, la migliore presa in carico per questi pazienti è fatta da un gruppo multidisciplinare, nel quale il pediatra esperto di malattie metaboliche svolge un ruolo fondamentale nella dia-gnosi iniziale, nel monitoraggio e nel processo decisionale.

Riassunto

AbbreviazioniMPS: mucopolisaccaridosiGAGs: glicosaminoglicaniHCT: haematopoietic cell transplantERT: enzyme replacement therapyDS: dermatan solfato

HS: eparan solfatoKS: keratan solfatoCS: condroitin solfatoHA: acido ialuronico

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Gli aspetti ortopedici nelle mucopolisaccaridosi

Metodologia della ricerca bibliografica effettuataÈ stata svolta una ricerca attraverso PubMed, utiliz-zando il termine “mucopolysaccharidosis” e incro-ciandolo con termini quali “orthopaedics” e, più in dettaglio, “spine”, “upper limb”, “lower limb”, “hand”, “hip”, “knee”, “ankle”. Oltre alle citazioni trovate negli ultimi anni, sono stati inclusi studi e review noti agli autori pubblicati in precedenza.

IntroduzioneChe cosa sono le mucopolisaccaridosiLe mucopolisaccaridosi (MPS) sono un gruppo di af-fezioni a trasmissione ereditaria, il cui comune deno-minatore è rappresentato dall’incapacità dell’organi-smo di produrre degli enzimi coinvolti nel catabolismo dei mucopolisaccaridi (o glicosaminoglicani) (GAGs). Ne consegue l’incapacità di eliminare del tutto i GAGs che si accumulano progressivamente.

Trasmissione geneticaTutte le MPS sono a trasmissione autosomica reces-siva a eccezione della MPS II, la cui trasmissione è legata al cromosoma X (la madre è portatrice, tranne in caso di una nuova mutazione).

Classificazione delle MPSSino a ora sono noti 11 differenti deficit enzimatici che danno luogo a 7 differenti MPS. Il deficit enzimatico riguarda il lisosoma e può essere parziale o totale. Tut-te le cellule sono coinvolte e l’arresto nel catabolismo dei GAGs provoca un accumulo di depositi lisosomia-

li. Conseguenza dell’accumulo è il mal funzionamen-to della singola cellula, che poi comporta un danno all’intero organismo coinvolgendo in particolare cuore, ossa, articolazioni, sistema nervoso e apparato respi-ratorio. Le caratteristiche cliniche delle MPS possono non essere evidenti alla nascita, potendo necessitare di anni prima di essere clinicamente evidenti. La Tabel-la I fornisce uno schematico riassunto delle MPS.

ObiettivoPerché il pediatra deve conoscere gli aspetti ortopedici delle mucopolisaccaridosiL’obiettivo della presente review è di dare una panora-mica sistematica di quelli che sono gli aspetti musco-lo-scheletrici delle MPS. Al di là degli aspetti più divulgativi, un primo aspetto che si sottolinea è come alcuni segni clinici di natura strettamente muscolo-scheletrica possono essere i primi dati obiettivi visibili in questo tipo di patologie; il pediatra, di fronte a questi segni, deve essere in grado di prendere in considerazione l’ipotesi di una malattia metabolica, e in particolare di una MPS, orientando il paziente a un centro di riferimento. Per molte di queste malattie ematopoietiche esiste oggi una cura: il trapianto di cellule staminali (HCT) e la terapia enzimatica sostitutiva (ERT). Queste cure mo-dificano l’evoluzione della malattia. Va detto però che la chiave del successo delle cure sta nella precocità della diagnosi: da qui l’importanza del sospetto clini-co. I segni clinici di carattere muscolo-scheletrico che devono destare il sospetto di MPS sono riassunti nel-la Tabella II.

Tabella I. Classificazione delle MPS. Sono riportate per ciascuna MPS, l’eponimo della nomenclatura tradizionale, il deficit enzimatico nella catena catabolica dei GAGs e il tipo di molecola accumulata.

MPS Eponimo Deficit enzimatico GAG accumulati

MPS I H Hurler α-L-Iduronidasi DS, HS

MPS I S Sheie

MPS I H/S Hurler-Scheie

MPS II Hunter iduronato-2-solfatasi DS, HS

MPS III A Sanfilippo A eparan-sulfamidasi HS

MPS III B Sanfilippo B N-acetil-α-glucosaminidasi

MPS III C Sanfilippo C acetil-CoA-α-glucosaminide-N-acetiltransferasi

MPS III D Sanfilippo D N-acetilglucosamina-6-solfatasi

MPS IV A Morquio A N-acetilgalattosamina-6-solfatasi KS

MPS IV B Morquio B β-galattosidasi

MPS VI Maroteaux-Lamy N-acetilgalattosamina-4-solfatasi DS

MPS VII Sly β- glicuronidasi DS, HS, CS

MPS IX Natowicz ialuronidasi HA

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A. Borgo, V. Pavone

Un secondo aspetto riguarda il follow-up di quei pa-zienti dove l’evoluzione della malattia comporta il pro-gressivo instaurarsi di deformità scheletriche: alcune procedure chirurgiche sono in grado di produrre un miglioramento nella storia naturale degli aspetti mu-scolo-scheletrici, attenuando le deformità severe che la storia naturale della malattia comporterebbe. Inol-tre, pur essendo tecnicamente possibile la correzione di deformità nell’adulto, la storia naturale di queste malattie comporta una progressiva compromissione delle funzioni cardiache e polmonari, per cui un inter-vento chirurgico nell’adulto va preso in considerazio-ne con particolare circospezione: da qui la necessità di intervenire precocemente quando ancora le condi-zioni generali del paziente bambino sono buone (Al-denhoven et al., 2015).Un terzo aspetto riguarda i dati della letteratura circa il parziale effetto delle varie possibili terapie (ERT o HCT) sull’apparato muscolo-scheletrico: le cure sino-ra disponibili sono in grado di dare un’attenuazione della compromissione muscolo scheletrica senza però bloccarne significativamente la progressione e lo stesso, per ora, vale anche per nuove terapie spe-rimentate sul modello animale (Tomatsu et al., 2015). Dati più incoraggianti provengono da lavori sperimen-tali su modelli animali di MPS  I, dove il HCT viene effettuato nei primissimi giorni di vita, assistendo a una sostanziale normalizzazione delle manifestazioni ossee (Pievani et al., 2015). È quindi verosimile che nel prossimo futuro, pur in presenza di un sostanzia-le miglioramento delle condizioni generali e di un’au-mentata aspettativa di vita, si debba fare fronte alla cura degli aspetti muscolo-scheletrici pur attenuati dalle terapie disponibili e della precocità con la quale le stesse vengono iniziate.Un quarto aspetto e ultimo riguarda le MPS come pa-radigma di malattia: l’aumentata sopravvivenza otte-nuta grazie agli sviluppi delle cure ha messo in luce una serie di problematiche nuove nei confronti delle quali i vari specialisti (internisti e chirurghi) si sono do-vuti cimentare. È verosimile che, con il progredire del-le possibili cure per le malattie metaboliche si assista a una sostanziale modifica della loro storia naturale con un aumento della sopravvivenza e con quella che

potremmo definire una nuova normalità della malattia trattata. Dovremo farci trovare pronti con nuove solu-zioni sulla scia di quella che sarà l’evoluzione della cura nelle MPS.

Meccanismo patogenetico del danno e delle deformità a carico dell’apparato muscolo-scheletrico

Considerazioni generaliStoricamente il meccanismo patogenetico respon-sabile delle disfunzioni nelle MPS è stato considera-to essere l’accumulo. Tuttavia oltre all’effetto sterico dei GAGs, la recente letteratura mette in evidenza numerosi fenomeni anomali: l’accumulo dei GAGs sarebbe in grado di innescare un’attivazione infiam-matoria, si assiste alla compromissione della trasdu-zione dei segnali nella e tra le cellule, vengono com-promessi i processi di apoptosi e vi sono anomali processi di autofagia, si assiste inoltre all’accumulo di altre molecole (colesterolo, gangliosidi) e a una anomala risposta ai fattori di crescita (Archer et al., 2014; Alroy et al., 2014). In sintesi, il meccanismo attraverso il quale, partendo dal deficit enzimatico, si arriva al fenotipo finale è solo in parte noto e non è del tutto compreso.

Considerazioni specifiche sull’apparato muscolo-scheletricoSoffermandoci sulla fisiopatologia delle alterazioni che coinvolgono l’apparato muscolo-scheletrico si debbono considerare tre principali meccanismi: l’in-fiammazione, l’alterazione dei normali processi di ossificazione encondrale e l’accumulo dei GAGs nei tessuti molli.

Attivazione infiammatoriaL’accumulo dei GAGs è in grado di scatenare una ri-sposta infiammatoria, creando uno stato di flogosi per-sistente. Allo stato attuale non è previsto, nella cura del-

Tabella II. Segni clinici di carattere muscolo-scheletrico che devono destare il sospetto di MPS. Sono indicati i segni cli-nici di carattere muscolo-scheletrico che devono destare il sospetto di una malattia metabolica con particolare riferimento alle MPS. Nella colonna a destra è indicato il periodo di possibile comparsa degli stessi segni.

Segno clinico Periodo di possibile comparsa

Gibbo toraco-lombare a corto raggio A partire dai 7-8 mesi di età

Dito della mano a scatto (a eccezione del pollice) Prima e seconda infanzia

Sindrome del tunnel carpale Prima e seconda infanzia

Limitazione della prono-supinazione dell’avambraccio Prima e seconda infanzia

Rigidità simmetrica a carico degli arti, senza dolore, senza segni di infiammazione Prima e seconda infanzia

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le MPS, l’utilizzo cronico di farmaci in grado di modu-lare la risposta infiammatoria. Tuttavia, sulla base della più recente letteratura, è molto probabile che in futuro si utilizzeranno farmaci in grado di ridurre la compo-nente infiammatoria nelle MPS.

Compromissione dei fisiologici meccanismi di ossificazione encondraleL’accumulo dei GAGs coinvolge inizialmente i lisosomi del condrocita, quindi il suo intero citoplasma e infine la matrice extracellulare. Le disfunzioni a carico del con-drocita, unitamente all’accumulo dei GAGs a livello del-la matrice extracellulare, causano un’alterazione strut-turale della cartilagine di accrescimento. La transizione da tessuto mesenchimale a tessuto condrale comincia già nella vita intrauterina tra la quinta e l’ottava settima-na gestazionale: alla nascita le alterazioni istologiche nelle forme severe sono già presenti. Macroscopica-mente a livello istologico si nota una perdita della tipica struttura colonnare della cartilagine di accrescimento.

Accumulo dei GAGs a livello dei tessuti molli dell’apparato muscolo-scheletricoL’accumulo dei GAGs a livello dei tessuti molli, con particolare riferimento alle capsule articolari compor-ta un ispessimento e una riduzione di elasticità delle stesse, con conseguente riduzione delle escursioni articolari e rigidità. L’accumulo dei GAGs a livello del-le guaine tendinee può compromettere lo scorrimento del tendine all’interno della guaina. L’accumulo a livel-lo del perinevrio ne determina un ispessimento con stenosi della struttura nervosa. L’accumulo dei GAGs a livello della muscolatura striata, oltre a compromet-terne l’efficienza contrattile con conseguente debo-lezza muscolare, è causa di una minore estensibilità del muscolo con conseguente indiretta limitazione delle escursioni articolari.

Qual è il possibile fenotipoLo spettro dei possibili fenotipi varia a seconda della MPS. Nell’ambito della singola MPS vi possono esse-re inoltre forme severe o attenuate. La storia naturale della malattia ha subito una netta modifica con l’intro-duzione della ERT e del HCT, al punto da delineare una sorta di nuova storia naturale della malattia tratta-ta: da un lato le alterazioni muscolo-scheletriche sono attenuate, d’altro canto l’aumentata sopravvivenza rende possibile una progressione della malattia con la conseguente comparsa di nuove problematiche.

Caratteristiche generaliVi sono alcune caratteristiche generali che risultano essere comuni alle varie forme di MPS (Link et al., 2010; O’Brien et al., 2014; Parini et al., 2015; Schmidt et al., 2016; White e Harmatz, 2010; White e Sousa, 2013; White et al., 2011; White, 2011).La bassa statura, espressione di un meno efficiente

processo di accrescimento, può essere più o meno marcata. Nella MPS I, IV e VI la bassa statura è evi-dente sin dalla prima infanzia. Nella MPS II invece si osserva una statura superiore alla media circa fino agli 8 anni e poi un progressivo decremento della velocità di crescita con bassa statura finale. Diversamente, nel-la MPS III la statura è nella norma. Inoltre nella MPS I, IV e VI si osserva una compromissione della crescita

Figura 1. MPS I, 12 anni, F. Bassa statura con aspetto di-sarmonico, dove gli arti sono proporzionalmente più lunghi rispetto al tronco.

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più marcata nel tronco rispetto a quanto non avvenga per gli arti, con il progressivo verificarsi dalla tarda pri-ma infanzia di una bassa statura disarmonica, dove il tronco è in proporzione più corto degli arti (Fig. 1).A causa degli alterati processi di accrescimento sche-letrico, alle radiografie è evidente un certo ritardo di os-sificazione, nel senso che l’età cronologica tende a dif-ferire dall’età scheletrica, con un ritardo di quest’ultima.Tipica nelle MPS è la rigidità articolare, tipicamente simmetrica, non associata a dolore e non associata a fenomeni clinici di flogosi (Fig. 2a-b-c). Spesso in lette-ratura si parla di contrattura, traducendo direttamente il termine inglese contracture: troviamo tale termine equivoco in quanto, in italiano con il termine contrat-tura si designa una limitazione funzionale legata a un problema muscolare, come ad esempio la contrattura della muscolatura cervicale dopo un tamponamento stradale. Non è questa la causa della rigidità articolare

nelle MPS, dove la limitazione è legata all’accumulo dei GAGs a livello dei tessuti molli come le capsule, i legamenti e i tendini. Nell’adulto oltre a questo, la li-mitazione funzionale e la limitazione delle escursioni articolari è legata anche alla degenerazione su base displasica dei capi articolari dell’articolazione. Que-sta degenerazione, che comporta una grossolana al-terazione delle contrapposte superfici articolari, può essere causa anche di dolore; tuttavia nel bambino e nell’adolescente, dove non si sono verificate queste modifiche delle superfici articolari, è presente la rigidi-tà, ma il dolore è tipicamente assente. Unica eccezione a questa diffusa rigidità è la MPS IV, dove le strutture legamentose di alcuni distretti possono essere molto lasse. Le caratteristiche generali delle varie MPS sono schematizzate nella Tabella III.

Caratteristiche dei singoli distretti muscolo-scheletrici

Interessamento della colonnaIl coinvolgimento della colonna nelle MPS è costante anche se di grado variabile a seconda della specifica MPS e, nell’ambito della specifica forma può essere più o meno severo. Nelle forme più severe la compromissione è preco-ce: le vertebre sono appiattite (platispondilia) sin dalla prima infanzia, presentano un’irregolarità a cu-neo della porzione anteriore del corpo, specialmente a livello del passaggio dorso-lombare. Questo può comportare la tipica curva che questi piccoli pazien-ti possono sviluppare, ovvero la caratteristica cifosi dorso-lombare (Fig. 3) che può essere evidente già a partire dai 7-8 mesi di età. La cifosi dorso-lombare non è patognomonica di MPS, essendo di possibile riscontro anche in altre malattie tra cui per esempio l’acondroplasia, tuttavia caratteristicamente la cifosi nelle MPS non regredisce, anzi può peggiorare: deve essere monitorata e può necessitare di cure specifi-che quali busti anti-gravitari o correzione chirurgica, in caso di gravità o peggioramento (Abelin Genevois et al., 2014; Bekmez et al., 2016; Peck et al., 2016).Nei casi meno severi il coinvolgimento della colonna è comunque costante e si limita alla platispondilia. Va considerato che nel tempo le alterazioni morfologiche delle forme lievi possono dare origine a radicolopatie, dolore e stenosi del canale vertebrale nell’età adulta.Può essere riscontrata la scoliosi nei pazienti affet-ti da MPS, tuttavia si tratta perlopiù di una scoliosi lieve o moderata. Fa eccezione la MPS  III, dove la progressiva compromissione neurologica può portare a una scoliosi piuttosto severa che ricorda per caratte-ristiche generali le alterazioni scoliotiche dei pazienti affetti da malattie neurologiche.Nelle MPS è possibile una compressione del midollo a livello cervicale, a livello della giunzione atlo-assia-le e, più raramente, a livello della giunzione cervico-dorsale. La compressione midollare riconosce due

Figura 2. MPS VI, 3 anni, F. Rigidità delle articolazioni. Si notino il deficit di estensione e di supinazione del gomito (a), il deficit di estensione del ginocchio e l’atteggiamento di anca flessa (b), il deficit di abduzione della spalla con particolare riferimento al deficit di abduzione della gleno-omerale, compensato dalla abduzione della scapolo-tora-cica (c).

A

B

C

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cause: l’accumulo di GAGs a livello dei tessuti molli peri-articolari e a livello delle meningi, e la possibile instabilità della colonna. In generale, nelle MPS, l’in-stabilità della colonna con particolare riferimento al tratto atlo-assiale è un aspetto che va sempre tenuto in considerazione: tra tutte, la MPS IV in particolare è tipicamente associata a una lassità legamentosa, che può rendere il quadro di instabilità particolarmente severo. La possibile mielopatia cervicale va monitora-ta nel tempo: in caso di stenosi senza instabilità pos-sono essere necessari degli interventi decompressivi, nel caso di instabilità o associazione di stenosi e in-stabilità oltre alla decompressione è necessaria una stabilizzazione. Nelle MPS può essere presente una stenosi con instabilità anche a livello cervicale inferio-re e a livello della giunzione cervico-dorsale. Oltre al monitoraggio imaging, il paziente deve essere ogget-to di follow-up neurochirurgico.

Interessamento degli arti superioriA carico degli arti superiori è di comune riscontro una progressiva rigidità che nelle forme severe è già evidente nella prima infanzia. La rigidità nelle MPS è

Tabella III. Panoramica complessiva delle principali caratteristiche muscolo-scheletriche delle MPS. Sono riportate per ciascuna MPS le caratteristiche fenotipiche di carattere muscolo-scheletrico suddivise in generali e dei singoli distretti muscolo-scheletrici.

MPS Eponimo Principali manifestazioni muscolo scheletriche

Manifestazioni generali Manifestazioni in specifici distretti muscolo-scheletrici

MPS I H Hurler Bassa statura dalla prima infanziaRigidità articolareDisostosi multipla

Cifosi toraco-lombareDisplasia delle ancheValgismo del ginocchioValgismo della cavigliaSindrome del tunnel carpale

MPS I S Scheie Rigidità articolareDisostosi multipla

Sindrome del tunnel carpale

MPS I H/S Hurler-Scheie Rigidità articolareDisostosi multipla

Sindrome del tunnel carpale

MPS II Hunter Bassa statura dopo gli 8 anniRigidità articolareDisostosi multipla

Cifosi toraco-lombareDisplasia delle ancheSindrome del tunnel carpale

MPS III A, B, C e D Sanfilippo A, B, C e D Rigidità articolareDisostosi multipla

Ginocchio valgoScoliosi

MPS IV A e B Morquio A e B Bassa statura dalla prima infanziaDisostosi multiplaLassità articolare

Ipoplasia dell’odontoideCifosi toraco-lombareDisplasia delle ancheGinocchio valgo

MPS VI Maroteaux-Lamy Bassa statura dalla prima infanziaRigidità articolareDisostosi multipla

Cifosi toraco-lombareSindrome del tunnel carpale

MPS VII Sly Bassa staturaRigidità articolareDisostosi multipla

Ipoplasia dell’odontoideCifosi toraco-lombare

MPS IX Natowicz Bassa statura Masse nodulari di tessuto molle

Figura 3. MPS VI, 3 anni, F. Gibbo a piccolo raggio a livel-lo del passaggio dorso lombare della colonna.

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simmetrica, progressiva, e non associata a dolore. Si nota una limitazione della motilità della spalla ed è qui molto importante discriminare la rigidità della gleno-omerale da quello che è il meccanismo di compenso della scapolo-toracica: una valutazione della motilità della gleno-omerale deve avvenire a scapolo-toracica fissa (Fig. 2c). A livello del gomito si nota una limitazio-ne della flesso-estensione e della prono-supinazione (Fig. 2a). In particolare questa limitazione della prono-supinazione può essere uno dei primi segni clinici di MPS e può essere riscontrata anche nelle forme atte-nuate sin dalla prima infanzia. Le mani sono propor-zionalmente larghe e tozze e si nota una deviazione ulnare del polso. Le dita sono atteggiate in flessione. L’accumulo dei GAGs a livello delle capsule articolari rende ragione della rigidità e della flessione delle dita. L’accumulo dei GAGs a livello delle guaine tendinee può comportare l’insorgere del dito a scatto. Si sotto-linea come un quadro di pollice a scatto può essere un riscontro non così anomalo nei bambini di due-tre anni di età, diversa è l’evenienza nella prima infanzia di un dito a scatto che non sia il pollice e che deve destare il sospetto di MPS e spingere ad approfondi-menti diagnostici (Batdorf et al., 2015). L’accumulo dei GAGs nei tessuti molli delle strutture del carpo può comportare l’insorgere di sindromi canalicolari come quella del tunnel carpale (STC): l’evento di una STC in età pediatrica, dalla prima infanzia all’adolescenza, è un reperto assai anomalo e deve sempre essere presa in considerazione la possibilità di una malattia metabolica prima tra tutte una MPS. In caso di dito a scatto o di STC in MPS la soluzione sarà chirurgica e la procedura chirurgica non potrà limitarsi alle piccole procedure mini-open attuate per le medesime proble-matiche nel soggetto sano, dove l’atto chirurgico si ri-duce a una semplice sezione del legamento trasverso del carpo o delle pulegge flessorie delle dita ma deve prevedere, attraverso accessi cutanei più estesi, una completa asportazione del peritenonio e della guaina che, inspessiti dall’accumulo dei GAGs, causano la stenosi nervosa o tendinea.

Interessamento del bacino e degli arti inferioriComuni sono le anomalie a carico del bacino dove si notano ali iliache molto allargate e una pelvi propor-zionalmente piccola. L’interessamento dell’anca nelle MPS è sostanzial-mente costante, anche se di grado variabile. Si può assistere a una progressiva migrazione laterale del-la testa del femore. Volendo in questa sede tracciare una linea comune, pur nella variabilità delle singole MPS, possiamo osservare nell’anca quanto segue: 1. La cavità acetabolare è poco profonda, svasata e si osserva una scarsa copertura della testa femora-le nella porzione superiore dell’acetabolo; 2. La testa del femore perde progressivamente la sua sfericità; 3. L’angolo che la diafisi femorale forma con il col-lo del femore, va incontro a un progressivo aumento

(valgismo cervico-diafisario). Queste caratteristiche (acetabolo poco contenitivo e sfuggente, testa non sferica, angolo cervico-diafisario aumentato) rendono ragione della possibile progressiva migrazione late-rale della testa del femore che, nei casi più severi, può anche lussarsi. Anche nei casi in cui non vi sia la progressiva lussazione dell’anca, oppure dopo le sta-bilizzazioni chirurgiche, la degenerazione delle con-trapposte superfici articolari continua a causa della displasia di base, per cui si può andare incontro a una degenerazione dell’articolazione che può richiedere nel giovane adulto interventi di sostituzione protesi-ca (Lewis e Gibson, 2010; O’heireamhoin et al., 2011) (Fig. 4). La letteratura mette in evidenza come la pro-gressiva migrazione dell’anca sia un fenomeno che colpisce almeno la metà dei bambini affetti da MPS I e MPS II, iniziando sin dalla prima infanzia e tenden-do ad arrestarsi verso gli 8  anni (Fig.  3) (Ashby et al., 2016; Breyer et al., 2016; Borowski et al., 2007). Di conseguenza nelle MPS I e II l’anca deve essere oggetto di follow-up radiografico partendo dalla prima infanzia fino almeno agli 8 anni; si sottolinea come la migrazione dell’anca non comporti sintomi particola-ri, a eccezione di una certa faticabilità e l’indicazione chirurgica a interventi di contenimento dell’anca sia basata sulla progressione radiografica della migrazio-ne più che sui sintomi (Langereis et al., 2013; Lange-reis et al., 2016; Thawrani et al., 2013). Nella MPS III il coinvolgimento dell’anca riguarda circa metà dei pazienti: a differenza delle altre forme di MPS, nella MPS  III prevalgono la perdita di sfericità della testa e l’aumento dell’angolo cervico-diafisario del femore, mentre risulta in genere conservata la forma dell’ace-tabolo e la migrazione in genere non avviene, inoltre questi fenomeni sono assai rari prima dei 10 anni e tendono fare la loro comparsa in tarda adolescenza o nel giovane adulto: queste alterazioni morfologiche sono causa di dolore e di limitazione funzionale, tutta-via si verificano contestualmente al decadimento ge-nerale delle condizioni del paziente, per cui in lettera-tura, salvo rare eccezioni, non vengono riportati inter-venti chirurgici maggiori, ma solamente pratiche mini-invasive quali le infiltrazioni intra-articolari di steroidi con finalità antalgica (White et al., 2011; Fedele, 2015, Lewis e Gibson, 2010). L’anca nella MPS IV presenta alterazioni simili a quanto descritto per la MPS I, con particolare riferimento alla possibile migrazione della testa del femore, tuttavia la tendenza alla migrazione sembra essere di minore entità e riguardare la sola prima infanzia, per poi stabilizzarsi e non progredire, mentre nell’adolescente e nel giovane adulto prevale la perdita di sfericità della testa, oltre a un acetabo-lo poco contenitivo. Per la MPS IV la letteratura non propone un trattamento univoco: sono riportati alcuni casi di ricostruzione dell’anca, esitati perlopiù nel cor-so degli anni in parziali recidive per cui l’esperienza personale degli autori è di eseguire un monitoraggio dell’anca dalla prima infanzia agli 8-10 anni, dove in

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genere si osserva una stabilizzazione della migrazio-ne, per poi prendere in considerazione la sostituzione protesica dell’anca nel giovane adulto. Nella MPS VI si assiste alla progressiva perdita di sfericità della te-sta del femore e a una parziale migrazione laterale della stessa, tuttavia la migrazione è parziale e in genere i sintomi sono lievi; la letteratura in merito è assai scarsa e il ruolo della chirurgia in età pediatrica non è chiaro: in merito al trattamento dell’anca nelle MPS VI, l’atteggiamento degli autori è non chirurgico in età pediatrica, fermo restando l’eventuale interven-to di sostituzione protesica in età adulta.Oltre a queste considerazioni sugli aspetti ossei, a cau-sa dell’accumulo dei GAGs a livello dei tessuti molli

peri-articolari dell’anca, si assiste a una progressiva rigi-dità, con conseguente limitazione delle possibili escur-sioni articolari. Prima conseguenza è un atteggiamento dell’anca con una rigidità in flessione, che può essere evidente sin dall’infanzia (Fig. 2b). L’accumulo dei GAGs nei tessuti molli peri-articolari del ginocchio causa una limitazione delle possibili escursioni articolari e in parti-colare un atteggiamento in flessione del ginocchio. Lo stesso problema a livello della caviglia causa una certa limitazione della flessione dorsale, che nei casi più seve-ri può comportare una deformità in equinismo.La displasia ossea comporta anomalie a carico del fe-more distale e soprattutto della tibia prossimale per cui, sul piano frontale, è di comune riscontro un valgismo

Figura 4. Sequenza annua di radiografie dell’anca in MPS I. Si notino la progressiva migrazione laterale dell’anca, la progressiva perdita di sfericità della testa femorale e il progressivo aumento dell’angolo cervico-diafisario del femore. Contestualmente la cavità acetabolare è poco profonda e poco contenitiva (da Ashby et al., 2016, mod.).

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degli arti inferiori (Fig. 6). Il valgismo dell’arto inferiore può essere un riscontro non infrequente nel bambino sano, soprattutto se in sovrappeso, dove in genere la deformità principalmente risiede nel femore distale, mentre nel bambino affetto da MPS (e in genere nel soggetto affetto da malattia metabolica) la deformità è tipicamente nella tibia prossimale. Al di là delle consi-derazioni di carattere cosmetico, tale valgismo da un lato crea impaccio nella marcia e dall’altro, sul lungo termine, l’anomalia dei carichi comporta una maggiore usura della superficie articolare del ginocchio che va a peggiorare la già presente displasia ossea. Su queste considerazioni, le deformità in valgo possono essere trattate secondo le tradizionali metodiche di osteotomia volte al ripristino dell’asse di carico (Fig. 7). L’osteotomia correttiva ha sicuramente uno spazio nell’adulto, mentre l’attuale tendenza è di intervenire più precocemente du-rante l’accrescimento mediante procedure chirurgiche

minori di emiepifisiodesi, con le quali si può ottenere una crescita guidata che riduce di molto questa defor-mità. La procedura chirurgica di emiepifisiodesi sfrutta la presenza della cartilagine di accrescimento aperta, bloccandone in opportuni punti la crescita e favoren-done una crescita asimmetrica al fine di ottenere un ri-orientamento dell’asse dell’arto (Fig. 8) (Al Kaissi et al., 2016; Ashby e Eastwood, 2015; Cooper et al., 2016; White et al., 2014). Poiché i pazienti affetti da MPS han-no in genere una previsione di crescita minore rispetto ai soggetti normali, l’emiepifisiodesi dovrebbe essere considerata precocemente, già a partire dai 5-6 anni o anche più precocemente (3-4 anni) se la previsione di crescita sia molto ridotta, come per esempio nei pazienti affetti da MPS IV A; per le stesse considerazioni i tempi

Figura 5. MPS IV, 19 anni, M. Compromissione della rima articolare dell’anca (a) e successivo impianto di artropro-tesi (b).

Figura 6. MPS VI, 5 anni, F. Valgismo del ginocchio.

A

B

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richiesti per la correzione sono più lenti di quelli osser-vati nei soggetti sani. Si sottolinea che, quand’anche si ottenga un buon ripristino dell’asse, persiste il problema della compromessa superficie articolare che può essere motivo di dolore e disabilità nel soggetto adulto che può perciò necessitare di una sostituzione protesica: tuttavia il dolore e la limitazione funzionale a livello del ginocchio sono in genere molto meno severi rispetto a quanto si vede a livello dell’anca per cui nella nostra esperienza, la richiesta di sostituzione protesica di ginocchio è rara. Un eventuale impianto protesico su un ginocchio con un asse meccanico ripristinato è destinato ad avere durata e funzionalità migliori.La deformità in valgo descritta per il ginocchio è pre-sente anche a livello della caviglia. Analogamente

anche in questa sede possono trovare indicazione interventi di emiepifisiodesi a livello della tibia distale (Fig. 9), finalizzati alla correzione dell’asse della cavi-glia con miglioramento estetico e funzionale. La lette-ratura in merito all’emiepifisiodesi di caviglia è assai scarsa tuttavia, analogamente a quanto viene praticato a livello del ginocchio, anche in questa sede tale pro-cedura va presa in considerazione precocemente (dai 5-6 anni) o anche prima (3-4 anni) se le previsioni di crescita sono piuttosto scarse come nella MPS IV A. Il piede si presenta in genere più largo e più corto che di norma e in genere piatto. Di solito però le deformità a carico del piede sono di raro fonte di disabilità o vengono al limite ben compensate dall’uso di plantari e scarpe ortopediche su misura.

Figura 7. MPS VI, 19 anni, F. Valgismo delle ginocchia (a) con cartilagini di accrescimento completamente chiuse e la successiva osteotomia della tibia prossimale (b).

A B

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Figura 8. MPS I, 8 anni, M. Valgismo del ginocchio con cartilagini di accrescimento aperte trattato con emiepifisio-desi della tibia prossimale.

Figura 9. MPS I, 8 anni, M. Valgismo della caviglia con cartilagini di accrescimento aperte, trattato con emiepifi-siodesi della tibia distale.

Box di orientamento

• Cosa sapevamo primaPrima dell’avvento delle ERT e del HCT la storia naturale dei pazienti affetti da MPS era caratterizzata da una scarsa sopravvivenza e dalla compromissione della funzione d’organo che ne pregiudicava l’ope-rabilità. Di conseguenza molti aspetti riguardanti l’apparato muscolo-scheletrico, pur evidenti, non erano di fatto aggredibili.

• Cosa sappiamo adessoLa disponibilità di ERT e di HCT oltre ad una serie di terapie di supporto hanno trasformato la storia naturale di queste malattie tracciandone una nuova storia naturale e attenuandone di molto il fenotipo. I miglioramen-ti sulla funzionalità d’organo sono evidenti. Meno evidente è invece l’efficacia di queste cure sugli aspetti muscolo-scheletrici che di fatto rappresentano per questi pazienti una notevole causa di limitazione funzio-nale e disabilità. Il miglioramento delle condizioni generali rende possibile la cura chirurgica di tali deformità. Con particolare riferimento all’età pediatrica possono trovare indicazione una serie di procedure chirurgiche volte a prevenire le gravi deformità che caratterizzerebbero la nuova storia naturale della malattia.

• Quali ricadute sulla pratica clinicaDiventa importante che il pediatra conosca la possibilità di cura delle MPS e abbia nel contempo contez-za del fatto che gli aspetti muscolo-scheletrici sono destinati a costituire una importante causa di disabili-tà per questi pazienti. Diventa importante conoscere le possibilità chirurgiche finalizzate alla correzione di tali deformità, con particolare riferimento a quelle indicate in età pediatrica. Si sottolinea infine che, negli ultimi anni e con ogni verosimiglianza ancor più nel prossimo futuro, l’interesse della ricerca scientifica è rivolto alla cura di malattie rare, tra cui in primis le malattie metaboliche, di conseguenza è verosimile che si assista alla modifica della storia naturale di molte di esse: le MPS rappresentano un paradigma di stretto lavoro multidisciplinare, nel quale il pediatra è di fatto parte integrante.

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CorrispondenzaAndrea BorgoUOC Ortopedia e Traumatologia, Azienda Ospedaliera Policlinico Universitario, via Giustiniani 2, 35128 Padova - E-mail: [email protected]

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** Descrive bene la morfologia ossea e carti-laginea dell’acetabolo nelle MPS.

Borowski A, Thacker MM, Mackenzie WG, et al. The use of computed tomography to assess acetabular morphology in Morquio-Brailsford syndrome. J Pediatr Orthop 2007;27:893-7.

** Buona descrizione della conformazione dell’acetabolo nella MPS IV.

Cooper GA, Southorn T, Eastwood DM, et al. Lower extremity deformity management in MPS IVA, Morquio-Brailsford Syndrome: preliminary report of hemiepiphysiodesis correction of genu valgum. J Pediatr Orthop 2016;36:376-81.

Fedele AO. Sanfilippo syndrome: causes, consequences, and treatments. Appl Clin Gen-et 2015;8:269-81.

Langereis EJ, Borgo A, Crushell E, et al. Treat-ment of hip dysplasia in patients with muco-polysaccharidosis type I after hematopoietic stem cell transplantation: results of an interna-tional consensus procedure. Orphanet J Rare Dis 2013;8:155.

*** Dà un’idea della difficoltà che s’incontra nel processo decisionale di fronte alle proble-matiche muscolo-scheletriche dei pazienti af-fetti da MPS I, con particolare riferimento alla compromissione dell’anca.

Langereis EJ, den Os MM, Breen C, et al. Progression of hip dysplasia in mucopolysac-charidosis type I Hurler after successful he-matopoietic stem cell transplantation. J Bone Joint Surg Am 2016;98:386-95.

** Descrive bene le problematiche dell’anca sul medio termine nei pazienti affetti da MPS I.

Lewis JR, Gibson PH. Bilateral hip replace-ment in three patients with lysosomal storage disease: mucopolysaccharidosis type IV and mucolipidosis type III. J Bone Joint Surg Br 2010;92:289-92.

** Descrizione di protesi d’anca in MPS, ar-gomento di cui la letteratura è povera.

Link B, de Camargo Pinto LL, Giugliani R, et al. Orthopedic manifestations in patients with mucopolysaccharidosis type II (Hunter syn-drome) enrolled in the Hunter outcome survey. Orthop Rev (Pavia) 2010;2(2):e16.

** Buona panoramica generale sulle proble-matiche ortopediche nella MPS II.

O’Brien A, Bompadre V, Hale S, et al. Muscu-loskeletal function in patients with mucopoly-saccharidosis using the pediatric outcomes data collection instrument. J Pediatr Orthop 2014;34:650-4.

*** Viene offerta una sorta di quantificazione sulla limitazione funzionale muscolo-scheletri-ca dei pazienti affetti da MPS.

O’hEireamhoin S, Bayer T, Mulhall KJ. Total hip arthroplasty in mucopolysaccharidosis type IH. Case Rep Orthop 2011;2011:832439.

** Descrizione di protesi d’anca in MPS I, argomento di cui la letteratura è povera.

Parini R, Rigoldi M, Tedesco L, et al. Enzy-matic replacement therapy for Hunter disease: Up to 9 years experience with 17 patients. Mol Genet Metab Rep 2015;3:65-74.

** Descrive bene la persistenza sul lungo ter-mine degli aspetti muscolo-scheletrici.

Pievani A, Azario I, Antolini L, et al. Neonatal bone marrow transplantation prevents bone pathology in a mouse model of mucopolysac-charidosis type I. Blood 2015;125:1662-71.

** Descrive gli ottimi risultati ottenuti sul modello animale dal trapianto effettuato nei primissimi giorni di vita.

Peck SH, Casal ML, Malhotra NR, et al. Pathogenesis and treatment of spine disease in the mucopolysaccharidoses. Mol Genet Metab 2016;118:232-43.

Schmidt M, Breyer S, Lobel U, et al. Mus-culoskeletal manifestations in mucopolysac-charidosis type I (Hurler syndrome) following hematopoietic stem cell transplantation. Or-phanet J Rare Dis 2016;11:93.

Thawrani DP, Walker K, Polgreen LE, et al. Hip dysplasia in patients with Hurler syndrome (mucopolysaccharidosis type 1H). J Pediatr Orthop 2013;33:635-43.

** Buona descrizione delle problematiche relative all’anca nella MPS I.

Tomatsu S, Alméciga-Díaz CJ, Montaño AM, et al. Therapies for the bone in mucopolysac-charidoses. Mol Genet Metab 2015;114:94-109.

*** Descrive la scarsa capacità di terapie note e di alcune terapie sperimentali di avere effetto sull’osso.

White KK, Karol LA, White DR, et al. Mus-culoskeletal manifestations of Sanfilippo syn-drome (mucopolysaccharidosis type III). J Pediatr Orthop 2011;31:594-8.

*** Buona panoramica generale sulle manife-stazioni muscolo-scheletriche nella MPS III.

White KK. Orthopaedic aspects of muco-polysaccharidoses. Rheumatology (Oxford) 2011;50(Suppl 5):v26-33.

*** Buona panoramica generale sulle pro-blematiche ortopediche nelle MPS.

White KK, Jester A, Bache CE, et al. Orthope-dic management of the extremities in patients with Morquio A syndrome. J Child Orthop 2014;8:295-304.

** Buona panoramica sulle problematiche muscolo-scheletriche dei pazienti affetti da MPS IV.

White KK, Harmatz P. Orthopedic manage-ment of mucopolysaccharide disease. J Pedia-tr Rehabil Med 2010;3:47-56.

** Panoramica generale sugli aspetti ortope-dici delle MPS.

White KK, Sousa T. Mucopolysaccharide disorders in orthopaedic surgery. J Am Acad Orthop Surg 2013;21:12-22.

*** Buona panoramica generale sulle pro-blematiche ortopediche nelle MPS.

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gennaio-marzo 2017 • Vol. 47 • N. 185 • Pp. 62-70 Prospettive in Pediatria

Frontiere

Patologia ereditaria da gain of function

Edoardo Errichiello Beatrice Casati

Orsetta Zuffardi

Dipartimento di Medicina Molecolare, Università degli

Studi di Pavia

Le varianti genetiche con guadagno di funzione (gain of function) possono portare al poten-ziamento della funzione di una proteina già esistente (ipermorfe) o all’acquisizione di nuove attività, talvolta aberranti (neomorfe). Mutazioni puntiformi, riarrangiamenti genomici quali le amplificazioni del numero di copie (Copy Number Variations, CNVs) possono esercitare un effetto di guadagno di funzione in patologie differenti, quali il cancro o sindromi genetiche rare causate da alterazione dello sviluppo embrionale. Tradizionalmente, il guadagno e la perdita di funzione sono considerati effetti funzionali antitetici di una certa variante geneti-ca. Mutazioni con guadagno di funzione possono essere associate a manifestazioni della malattia anche molto eterogenee o addirittura a condizioni cliniche completamente differenti rispetto a quelle associate a variazioni con perdita di funzione (loss of function) nello stes-so gene. Tuttavia, questo scenario dicotomico è diventato più sfumato nell’ultimo decennio con l’evidenza che entrambi i tipi di mutazione, quando presenti nello stesso gene, posso-no talvolta dare esiti fenotipici molto simili, come nel caso paradigmatico di TP53, che può promuovere la tumorigenesi dopo aver accumulato mutazioni sia ipomorfe, che neomorfe. È da considerare che anche altri fattori, come il tipo di tessuto in cui il gene è espresso e in generale l’intero background genetico, possono influenzare il fenotipo. Negli ultimi anni sono emersi nuovi meccanismi associati a guadagno di funzione, quali quelli conseguenti a riar-rangiamenti genomici che alterano l’espressione dei geni fiancheggianti (delezioni, trasloca-zioni, inversioni) o contenuti all’interno del riarrangiamento stesso (duplicazioni, inversioni), a causa della formazione di nuovi domini cromatinici, (Topologically-Associated Domains, neo-TADs). È importante notare che molte terapie innovative “personalizzate” hanno come specifico bersaglio il silenziamento della variante con guadagno di funzione attraverso diver-se strategie, come l’inibizione enzimatica, l’interferenza da RNA (RNA interference, RNAi) o l’editing genetico, suggerendo il potenziamento di questi approcci terapeutici in futuro.

Riassunto

SummaryGain of function variations may lead to enhancement of existing protein function (hyper-morph) or to acquisition of novel and possibly abnormal biological activities (neomorph). Point mutations, chromosomal rearrangements and copy number amplifications are com-mon mechanisms that exert a gain of function effect in several human diseases, such as cancer or rare developmental syndromes. Traditionally, “gain of function” and “loss of func-tion” are considered as the antithetical functional effects of a particular genetic variation. Accordingly, gain of function mutations may be associated with highly heterogeneous phenotypical manifestations of the disease or even completely distinct clinical conditions when compared to loss of function variations in the same gene. However, this dichotomic scenario has become less cogent in the last decade with the evidence that both muta-tion types, when present in the same gene, may result in strikingly similar phenotypic outcomes. Such is the paradigmatic case of TP53, which may promote tumourigenesis after accumulation of both hypomorph and neomorph mutations. Importantly, many other factors, such as tissue type and genetic background, may also influence the phenotype.In the last few years, novel pathogenic mechanisms associated with gain of function variations have emerged, including the formation of new chromatin domains, also known as neo-TADs (Topologically Associated Domains), as a result of genomic duplications. Importantly, many innovative personalised therapies take advantage of the specific target-ing of gain of function variations through different strategies, such as enzymatic inhibition, RNA interference or targeted genome editing, suggesting the implementation of these therapeutic approaches in the near future.

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Patologia ereditaria da gain of function

AbbreviazioniGoF: guadagno di funzioneLoF: perdita (loss) di funzioneCNV: varianti di numero di copie

Metodologia della ricerca bibliografica effettuataPubmed.gov US National Library of MedicineNational Institutes of Healthhttps://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed

IntroduzioneGli eventi mutazionali sono stati storicamente classificati in due ampie categorie, in base alle conseguenze quan-titative e qualitative sul prodotto proteico, che può risulta-re ridotto/abolito (ipomorfe, antimorfe, amorfe) o poten-ziato (ipermorfe), secondo il modello originale proposto da Hermann J. Muller nel 1932 (Muller, 1932). In anni più recenti, si è notevolmente rafforzata una terza categoria di alterazioni genetiche, la mutazione con guadagno di funzione (neomorfa), che crea funzioni proteiche com-pletamente nuove (e frequentemente aberranti) rispetto alla controparte wild-type. Mutazioni attivanti ipermor-fiche sono frequentemente associate allo sviluppo di tumori in seguito all’attivazione di proto-oncogeni. La presenza di mutazioni neomorfe può inoltre interferire con le terapie tumorali progettate per colpire il prodotto proteico wild-type (Takiar et al., 2016) (Fig. 1). Varianti con guadagno di funzione (gain of function, GoF) sono state identificate in un numero crescente di malattie umane con ereditarietà autosomica do-minante, come nei seguenti casi: morbo di Cushing

(Ma et al., 2015), ipertensione e sindrome di brachi-dattilia (MIM 112410) (Maass et al., 2015), osteoar-trite con condrocalcinosi (MIM 239000) (Ramos et al., 2015), sindrome metabolica con obesità addomi-nale di tipo 3 (MIM 615812) (Keramati et al., 2014), disordini dello spettro autistico ed epilessia (Sicca et al., 2016), malattie autoinfiammatorie (Canna et al., 2014; Nakagawa et al., 2015), vasculopatia STING-correlata a esordio infantile (SAVI; MIM 615934) (Liu et al., 2014; Melki et al., 2017), sindrome di Noonan (NS; MIM 163950) (Pannone et al., 2017), iperpa-ratiroidismo primitivo isolato familiare (PHPT; MIM 146200) (Guan et al., 2016), encefalopatia epilettica infantile precoce di tipo 46 (EIEE46; MIM 617162) (Li et al., 2016), discheratosi intraepiteliale della cornea (MSPC; MIM 616964) e cheratosi lichenoide familiare cronica (FKLC) (Zhong et al., 2016), le ultime due sin-dromi caratterizzate da disordini cutanei simili dovuti all’iperattivazione del pathway dell’inflammasoma.Solitamente, le mutazioni GoF sono rappresentate da sostituzioni missenso non-sinonime. Tuttavia, in lettera-tura sono ben documentate alcune eccezioni. Ad esem-pio, mutazioni germinali in eterozigosi del gene NOTCH2 sono state associate alla rara sindrome di Hajdu-Che-ney (HJCYS; MIM 102500), una malattia mutisistemica autosomica dominante caratterizzata da una grave e progressiva perdita di massa ossea dovuta a eccessi-va osteoclastogenesi e riassorbimento osseo. Sebbene tutte troncanti, e perciò ritenute esercitare un effetto di perdita di funzione, le mutazioni identificate sfuggono al nonsense-mediated mRNA decay (NMD), portando così all’espressione di polipeptidi tronchi con iperattiva-zione del segnale intracellulare di Notch, in accordo con l’acquisizione di funzione (Simpson et al., 2011). Analo-gamente, mutazioni eterozigoti troncanti della porzione terminale del gene CXCR4 si associano alla sindrome

Figura 1. Effetti funzionali di variazioni da perdita di funzione (LoF) e da guadagno di funzione (GoF). Variazioni GoF pos-sono portare a un potenziamento della funzione di una proteina esistente (ipermorfe) o all’acquisizione di attività biologi-che nuove e talvolta anormali (neomorfe). Dall’altra parte, mutazioni LoF possono causare la perdita completa (amorfe) o parziale (ipomorfe) della funzione genica o interferire con la funzione dell’allele normale (antimorfe o dominanti negativi). È importante considerare che mutazioni LoF sono frequentemente associate ad aploinsufficienza.

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E. Errichiello et al.

di WHIM, (Warts, Hypogammaglobulinemia, Infections and Myelokathexis, MIM 193670) caratterizzata da in-fezioni batteriche ricorrenti e suscettibilità alle infezioni da HPV con neutropenia, linfopenia e ipogammaglobu-linemia, che si manifestano fin dalla prima infanzia. In questo caso, la perdita della porzione citoplasmatica del recettore 4 della chemochina CXC comporta un’aumen-tata risposta al suo ligando CXCL12 con risultante che-miotassi e disfunzione del sistema immunitario (Dotta, Tassone e Badolato, 2011).

Guadagno di funzione (GoF) vs perdita di funzione (LoF)Le mutazioni con GoF possono essere associate a manifestazioni cliniche molto più eterogenee rispetto a quelle associate a variazioni con perdita di funzione (loss of function, LoF) nello stesso gene. Per esempio, mutazioni GoF nel gene SCN8A, codi-ficante per il canale del sodio voltaggio-dipendente NaV1.6, sono state associate a grave encefalopatia epi-lettica a esordio infantile precoce di tipo 13 (EIEE13; MIM 614558), mentre mutazioni LoF in eterozigosi causano disabilità intellettiva con o senza convulsioni (Blanchard et al., 2015). In altri casi, queste differenze possono es-sere più evidenti. Per esempio, mutazioni germinali in eterozigosi nel gene STAT1, codificante per il fattore di trascrizione trasduttore di segnale e attivatore della tra-scrizione 1, possono simultaneamente causare suscet-tibilità autosomica dominante a malattie micobatteriche (MIM 614892) o a candidosi mucocutanea cronica (MIM 614162) a seconda del coinvolgimento di meccanismi LoF o GoF, rispettivamente (Ueki et al., 2016; Sampaio et al., 2013). Mutazioni germinali LoF in un altro fattore di trascrizione (STAT3) causano immunodeficienza e malattie autoimmuni, mentre alterazioni somatiche GoF sono associate a leucemia linfocitica granulare a grandi cellule, sindrome mielodisplastica, e anemia aplastica (Milner et al., 2015). È importante notare che queste differenze cliniche potrebbero essere causate non solo dall’effetto funzionale delle varianti, ma anche dalla loro posizione lungo il gene. Mutazioni bialleliche LoF nel-le regioni N-terminale e centrale del gene PIEZO2, che causano NMD, sono state identificate in quattro fami-glie consanguinee con un fenotipo clinico variabile che comprende artrogriposi, insufficienza respiratoria alla nascita, atrofia muscolare distale degli arti inferiori, e scoliosi (Delle Vedove et al., 2016). Al contrario, muta-zioni missenso GoF in eterozigosi sono principalmente localizzate nell’estremità C-terminale della proteina, e causano artogriposi distale dominante di tipo 3 (DA3; MIM 114300), artrogriposi distale di tipo 5 (DA5; MIM 108145), o sindrome di Marden-Walker (MWKS; MIM 248700), caratterizzata da contratture di mani e piedi, scoliosi, oftalmoplegia e ptosi. Alterazioni GoF possono anche essere associate a manifestazioni cliniche completamente diverse rispet-to alla controparte LoF. Recentemente, mutazioni GoF

de novo in SMCHD1, le cui mutazioni LoF erano sta-te precedentemente associate a distrofia muscolare facio-scapolo-omerale di tipo 2 (FSHD2; MIM 158901), sono state identificate in pazienti affetti da arinia e mi-croftalmia (BAMS; MIM 603457) (Gordon et al., 2017). Analogamente, mutazioni GoF di TRPV4, che codifica per il canale che media l’afflusso di calcio nelle cellule epiteliali ciliate, sono state trovate in pazienti con oste-onecrosi della testa del femore (Mah et al., 2016), neu-ropatia assonale di tipo Charcot-Marie-Tooth (Klein et al., 2011), e brachiolmia (Rock et al., 2008); al contrario, varianti LoF sono state associate a iponatremia (Tian et al., 2009), atrofia muscolare spinale distale congenita (Fiorillo et al., 2012), artropatia digitale-brachidattilia fa-miliare (Lamandé et al., 2011), atrofia muscolare spinale (Auer-Grumbach et al., 2010), e osteoartrite indotta da obesità nei topi (O’Conor et al., 2013). Eccezionalmente, mutazioni GoF e LoF possono por-tare a effetti fenotipici apparentemente simili, come nel caso della malattia della ferroportina (FD; MIM 606069), un disordine da sovraccarico di ferro causato da mutazioni sia LoF sia GoF nel gene SLC40A1, co-dificante per la proteina ferroportina 1 (FPN1) (Sabelli et al., 2016). Tuttavia, è plausibile che discrepanze fe-notipiche possano emergere in futuro studiando coorti di pazienti più ampie.

Mutazioni attivanti associate a tumorigenesiÈ ben noto come le mutazioni GoF si associano a can-cro quando modificano specifici residui di proteine co-dificate da proto-oncogeni che stimolano la crescita, la divisione, e la sopravvivenza cellulare; al contrario, mu-tazioni LoF colpiscono più comunemente geni oncosop-pressori, che normalmente regolano la crescita cellulare e promuovono la riparazione del DNA. Ciononostante, uno scenario meno dicotomico è emerso nell’ultimo decennio. Mutazioni missenso germinali o somatiche localizzate nel dominio centrale del gene oncosoppres-sore TP53 sono le alterazioni genetiche più frequenti nei tumori umani, e possono associarsi a progressione tumorale. Sebbene la maggior parte di queste varianti abbia un effetto LoF e inibisca l’attività di soppressione della crescita tumorale svolta da p53 (Liu et al., 2016), alcune di queste occasionalmente esercitano effetti GoF (neomorfi) promuovendo progressione, metasta-si, instabilità genomica e resistenza alla chemioterapia (Soussi e Wiman, 2015; Oren e Kotler, 2016; Walerych et al., 2016). Sorprendentemente, nel topo la proteina p53 iperattivata a seguito di varianti germinali GoF induce caratteristiche fenotipiche simili a quelle della sindrome CHARGE (coloboma, malformazioni dell’orecchio inter-no ed esterno, difetti del tratto di efflusso cardiaco e ano-malie craniofacciali, MIM 214800) come conseguenza dell’attivazione inappropriata dei segnali di arresto del ciclo cellulare o dell’apoptosi durante lo sviluppo (Van Nostrand et al., 2014).

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Patologia ereditaria da gain of function

In modo simile a TP53, mutazioni di CBL sono state trovate allo stato di omozigosi in una varietà di tumori della linea mieloide, come leucemia mieloide acuta e sindromi mielodisplastiche, coerentemente con una presunta attività oncosoppressiva. Tuttavia, la protei-na mutata esercita un effetto oncogeno (GoF) durante la leucemogenesi mieloide dovuto alla trasduzione di un segnale aberrante (Ogawa et al., 2010). Mutazioni attivanti sono spesso reciprocamente esclu-sive e selezionate positivamente durante la progres-sione tumorale, come nel caso delle mutazioni GoF di KRAS (p.G12V) e EGFR (p.L858R) nell’adenocarci-noma polmonare (Ambrogio, Barbacid e Santamaría, 2016). Mutazioni GoF associate al cancro causano spesso l’attivazione di vie di trasduzione del segnale che controllano la crescita e il destino cellulare, come Wnt/β-catenina, MAPK/ERK, PI3K/AKT/mTOR, o cAMP/PKA. La duplicazione della regione genomica 19p13.12, che include il gene PRKACA, codificante per la subunità catalitica α della protein-chinasi A cAMP-dipendente (PKA), è stata associata a iperpla-sia adrenale bilaterale, mentre mutazioni somatiche di PRKACA sono state rilevate in adenomi surrena-lici unilaterali cortisolo-secernenti (Beuschlein et al., 2014). D’altro canto, mutazioni inattivanti nel gene PRKAR1A, codificante per la subunità α regolatoria di tipo 1 cAMP-dipendente, sono associate alla sin-drome del complesso di Carney (CNC) con neoplasie multiple (MIM 160980) (Groussin et al., 2002; Salpea et al., 2014). Inoltre, una triplicazione di 1.6-Mb del cromosoma 1p31.1, comprendente PRKACB, che co-difica per la subunità catalitica β, è stata identificata in una paziente con caratteristiche fisiche sovrappo-nibili a CNC, come acromegalia, macchie pigmentate, e mixomi, in assenza di morbo di Cushing (Forlino et al., 2014) (Fig.  2). Nell’insieme, queste scoperte di-mostrano che mutazioni LoF di PRKAR1A regolatoria portano alla manifestazione del fenotipo CNC, men-tre alterazioni GoF nelle subunità catalitiche PRKACA e PRKACB portano a fenotipi intermedi associati a CNC, con o senza manifestazioni surrenaliche, sug-gerendo così che il guadagno di funzione delle due principali subunità catalitiche di PKA, Cα e Cβ, può causare anomalie tessuto-specifiche differenti.In aggiunta, mutazioni somatiche GoF possono an-che indurre resistenza a terapie tumorali, come di-mostrato nel cancro al polmone con mutazioni atti-vanti in EGFR (Kanda et al., 2013; Dziadziuszko et al., 2016), nel melanoma BRAF-positivo (Wagle et al., 2011; Shen et al., 2016). Pertanto, l’identificazione di specifiche mutazioni GoF può orientare l’approccio terapeutico, come è stato ampiamente dimostrato nei pazienti con cancro colorettale e mutazioni attivanti sull’esone 2 di KRAS che non beneficiano della tera-pia contro il recettore del fattore di crescita epidermi-co (EGFR) (Ahronian et al., 2015; Misale et al., 2012; Douillard et al., 2013).

Variazioni di numero di copie (CNVs) e GoF Le variazioni del numero di copie (Copy number varia-tions, CNVs) nella forma di duplicazioni e amplificazio-ni geniche rappresentano la modalità principale con cui sono emerse durante l’evoluzione nuove funzioni geni-che. È interessante notare che specifiche duplicazioni/amplificazioni sono distintive dell’uomo rispetto alle scimmie antropomorfe o di certe popolazioni umane, in quanto selezionate dai fattori ambientali caratteristici di quella popolazione. Ad esempio, la duplicazione dei geni ARHGAP11B e SRGAP2C nell’uomo correla con l’espansione della neocorteccia e la maggiore densità dei dendriti rispetto al cervello delle scimmie antropo-morfe (Sudmant et al., 2015) mentre i geni HP, HPR (haptoglobin e haptoglobin-related) sono espansi fra gli africani per un possibile effetto protettivo contro la tripanosomiasi (Hardwick et al., 2014). Peraltro, le du-plicazioni sono associate a numerose malattie perché alterano il dosaggio genico. Guadagni del numero di copie di DNA possono esse-re acquisiti somaticamente durante lo sviluppo tumo-rale (Jiang et al., 2016; Arakawa et al., 2017; Richman et al., 2016), oppure essere già presenti a livello ger-minale (Lane et al., 2014; Iribe et al., 2016; Villacis et al., 2016; Shi et al., 2016), predisponendo così allo sviluppo di tumori. È significativo considerare che du-

Figura 2. Interazione delle subunità catalitiche e regolato-rie del tetramero PKA. Il complesso PKA (Protein Kinase A) viene attivato dal legame con cAMP (AMP ciclico) alle subu-nità regolatorie, che promuovono un drastico cambiamento conformazionale e conseguente rilascio delle subunità cata-litiche, affinché fosforilino i loro substrati bersaglio. Mutazioni da perdita di funzione (LoF) nel gene PRKAR1A, codificante per la subunità regolatoria α di tipo 1 cAMP-dipendente, sono associate alla sindrome da complesso di Carney (CNC). Al contrario, variazioni da guadagno di funzione (GoF) di PRKA-CA, codificante per la subunità catalitica α, sono state asso-ciate a iperplasie surrenaliche e adenomi, mentre variazioni da GoF della subunità catalitica β (PRKACB) ad acromegalia, macchie pigmentate e mixomi.

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E. Errichiello et al.

plicazioni costituzionali possano entrare in sinergia con mutazioni attivanti acquisite nella promozione della tumorigenesi. Per esempio, la trasmissione au-tosomica dominante di una duplicazione di 700-Kb, comprendente ATG2B e GSKIP, collabora con muta-zioni acquisite di JAK2, MPL e CALR durante lo svi-luppo di neoplasmi mieloproliferativi, che frequente-mente progrediscono a leucemia (Saliba et al., 2015). Tralasciando il cancro, duplicazioni del DNA sono anche la causa di disordini dello spettro autistico (ASD) (Oiko-nomakis et al., 2016), o di malattie neurodegenerative a eredità dominante come la malattia di Alzheimer con duplicazioni di APP (Rovelet-Lecrux et al., 2006), e la malattia di Charcot-Marie-Tooth di tipo 1 (MIM 118220), causata dalla duplicazione del gene PMP22. In quest’ul-timo caso, un eccesso di proteina PMP2 impedisce il corretto assemblaggio con le altre proteine che formano la mielina, provocando una demielinizzazione dei neu-roni periferici con conseguente ridotta velocità di condu-zione nervosa e atrofia dei muscoli distali.L’aumentato dosaggio spiega però solo una parte delle duplicazioni associate a malattia. In altri casi la duplicazione interrompe il gene, impedendo la tra-scrizione di RNA messaggeri funzionali e, quindi, con un effetto di aploinsufficienza sovrapponibile a quello delle delezioni (Newman et al., 2015). Infine è importante sottolineare come duplicazioni di re-gioni di DNA sia non-codificante che codificante posso-no causare la formazione di nuovi domini cromatinici, anche conosciuti come neo-TADs (Topologically-Asso-ciated Domains) (Franke et al., 2016), che alterano l’e-spressione di geni fiancheggianti o contenuti all’interno della regione di duplicazione causando malformazioni congenite, disabilità intellettiva o cancro. Ne è un esem-pio efficace la duplicazione a monte di SOX9 che porta ad alterata espressione del gene durante lo sviluppo go-nadico con differenziazione testicolare anche in assen-za di SRY: soggetti 46,XX con la duplicazione risultano maschi infertili o con ambiguità genitale (Vetro et  al., 2015) mentre la stessa duplicazione non ha alcun effetto in soggetti 46,XY. Allo stesso modo, amplificazioni foca-li di regioni non codificanti contenenti super-enhancers vicino a KLF5, USP12, PARD6B e MYC sono associate a iperespressione di questi geni correlati a cancro nei tumori epiteliali umani (Zhang et al., 2016), suggerendo un nuovo meccanismo di oncogenesi.

Variazioni GoF in mosaico Variazioni di guadagno di funzione possono insorge-re anche in stato di mosaico, germinale o somatico. Il mosaicismo somatico è stato recentemente indicato come meccanismo causativo nella sindrome di acrogi-gantismo X-linked (XLAG; MIM 300942), una forma di gigantismo pediatrico descritta recentemente con tu-mori pituitari aggressivi, che è causata da duplicazioni submicroscopiche sul cromosoma Xq26.3 con dimen-sioni variabili ma sempre comprendenti il gene GPR101

(Trivellin et al., 2014; Beckers et al., 2015; Naves et al., 2016; Daly et al., 2016). Mutazioni somatiche puntifor-mi attivanti in mosaico sono state riportate anche per il gene PIK3CA, che è associato a sindrome CLOVES (MIM 612918), caratterizzata da ipertrofia lipomatosa congenita, anomalie vascolari, epidermiche e schele-triche (Kurek et al., 2012). Mosaicismo somatico della mutazione attivante p.G12S di HRAS, frequentemente osservata nei tumori solidi, è stato individuato anche in pazienti con la sindrome di Costello (CS; MIM 218040), nei quali probabilmente la mutazione somatica insorge precocemente durante lo sviluppo embrionale (Gripp et al., 2006). È importante considerare che alterazioni GoF presenti nello stato di mosaico possono associar-si a un fenotipo clinico più lieve. Per esempio, è stato recentemente riportato un caso di mosaicismo gono-somico NOD2/CARD15 in un paziente con sindrome di Blau (BLAUS; MIM 186580) (Mensa-Vilaro et al., 2016), caratterizzata dalla triade sintomatica artrite granuloma-tosa, dermatite e uveite (Miceli-Richard et al., 2001; de Inocencio et al., 2015). È interessante sottolineare che i sintomi clinici nei figli del caso descritto, portatori della stessa mutazione germinale in eterozigosi, sono insorti più precocemente e comprendevano aspetti infiamma-tori più gravi, come poliartrite, dermatite, e uveite.

Varianti GoF bersaglio di terapie personalizzateLa terapia genica è un’opzione terapeutica disponibi-le nei trattamenti clinici per curare malattie causate da aploinsufficienza, dove l’introduzione di una copia nor-male di un gene nel paziente può ripristinare con suc-cesso il livello fisiologico del prodotto proteico mancante (D’Avola et al., 2016; Mearini et al., 2014). Tuttavia, l’ap-plicazione di questa tecnologia nelle malattie da guada-gno di funzione è meno scontata. Per esempio, la tera-pia da interferenza da RNA (RNA interference, RNAi) è stata proposta in pazienti affetti da SLA (sclerosi laterale amiotrofica) con mutazioni GoF in SOD1, che generano un polipeptide mutato con proprietà tossiche per i moto-neuroni (Ralph et al., 2005; Raoul et al., 2005) e, più re-centemente, in pazienti con mutazioni GoF in TMC1 che causano una malattia autosomica dominante con perdi-ta dell’udito (MIM 606705) (Shibata et al., 2016) o anco-ra in pazienti con encefalopatia epilettica FHF1 (FGF12) (Al-Mehmadi et al., 2016). Inoltre, un possibile impiego del sistema CRISPR/Cas9 per prevenire la generazione di mRNA e proteine mutanti è stata recentemente dimo-strata nella malattia di Huntington, un disordine neuro-degenerativo a esordio tardivo causato dall’espansione del numero di ripetizioni della tripletta nucleotidica CAG con un effetto neurotossico (Shin et al., 2016).Mutazioni attivanti sono anche un potenziale bersaglio di nuove terapie antitumorali, come nel caso di p53 (Jung et al., 2016; Mantovani et al., 2016). Inoltre, mutazioni GoF nella via MAPK1/ERK2 inducono risposte variabili alle terapie dirette contro RAF, MEK e ERK, influenzan-

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do così fortemente la scelta terapeutica (Brenan et al., 2016). Un esempio è rappresentato dall’introduzione degli inibitori tirosin-kinasici (TKIs) nella pratica clinica, che ha portato a esiti ampiamente migliori nei pazienti con neoplasmi mieloproliferativi (MPNs), caratterizzati dall’attivazione costitutiva della via JAK (Janus chinasi) – STAT (Signal transducer and activator of transcrip-tion) (Castagnetti et al., 2017; Stein et al., 2015; Deinin-ger et al., 2015; Hexner et al., 2014). È significativo il fatto che alcuni farmaci tradizionalmente utilizzati nella cura del cancro potrebbero essere utilizzati per trattare altre condizioni cliniche. Per esempio, l’idelali-sib (GS-1101), è un inibitore orale di prima generazione di PI3Kδ che ha mostrato una sostanziale attività in pazien-ti con leucemia linfocitica cronica recidivante/refrattaria (CLL) (O’Brien et al., 2015). Il suo uso clinico è stato defi-nitivamente approvato nel 2014 negli Stati Uniti d’America e nell’Unione Europea per il trattamento di leucemia linfo-citica cronica recidivante/refrattaria (in combinazione con rituximab), linfoma follicolare recidivante, e linfoma linfo-citico a piccole cellule recidivante (come monoterapia) (Yang et al., 2015). Sorprendentemente, la sindrome da fosfoinositide 3-chinasi δ attivato (APDS) è un’immuno-

deficienza causata da mutazioni GoF in PIK3CD, codifi-cante per la subunità catalitica del fosfoinositide 3-chinasi δ (PI3Kδ) (Angulo et al., 2013), ed è stato dimostrato che il trattamento con GS-1101 riduce l’attività dell’enzima mu-tante in vitro, suggerendo un nuovo approccio terapeutico per i pazienti con APDS (Coulter et al., 2016).

ConclusioniGli effetti biologici delle alterazioni da perdita di funzio-ne sono solitamente più facilmente prevedibili rispetto a quelli da guadagno di funzione, la cui validazione funzio-nale generalmente richiede processi in vitro complessi e lunghi, sebbene lo sviluppo di nuovi metodi computa-zionali per predire l’esito funzionale di varianti genetiche possa aiutare nella pratica clinica. Tuttavia, evidenze crescenti supportano il comune coinvolgimento di un ampio numero di malattie umane attraverso meccanismi patogenetici inaspettati, come anche la loro potenziale sensibilità a farmaci con l’obiettivo di ripristinare i livelli fisiologici della proteina alterata negli individui affetti. Di conseguenza, variazioni GoF devono essere considera-te attentamente sia dai genetisti, che dai clinici.

Box di orientamento

• Cosa sapevamo prima In passato, il guadagno e la perdita di funzione erano generalmente considerate effetti funzionali antitetici di una certa variante genetica.

• Cosa sappiamo adessoRecentemente è emerso come entrambi i tipi di mutazione, quando presenti nello stesso gene, possono dare esiti fenotipici molto simili, come nel caso paradigmatico di TP53, che può promuovere la tumorige-nesi dopo aver accumulato mutazioni sia con perdita, che con guadagno di funzione.

• Quali ricadute sulla pratica clinicaMolte terapie innovative “personalizzate” hanno come specifico bersaglio il silenziamento della variante con gain of function attraverso diverse strategie, quali l’inibizione enzimatica, RNA interference o editing genetico.

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Corrispondenza

Edoardo ErrichielloDipartimento di Medicina Molecolare, Università degli Studi di Pavia, via Forlanini 14, 27100 Pavia - E-mail: [email protected]

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gennaio-marzo 2017 • Vol. 47 • N. 185 • Pp. 71-80 Prospettive in Pediatria

Focus

La malattia emolitica feto-neonatale oggi

Daniela Regoli Mario De Curtis

Dipartimento di Pediatria e Neuropsichiatria Infantile, La

Sapienza, Università di Roma, UOC di Neonatologia, Patologia

e Terapia Intensiva Neonatale, Policlinico Umberto I, Roma

La malattia emolitica feto-neonatale (MEFN) è causata dalla presenza nel sangue materno di anticorpi che attraversano la placenta e sono diretti contro antigeni gruppo-ematici fetali, ereditati dal padre. Nella sua forma più classica e nota è dovuta ad anticorpi anti-RhD. Negli ultimi decenni si è assistito nei paesi a maggiore sviluppo economico e sociale a una drastica riduzione della prevalenza e mortalità di questa malattia. Questo successo è do-vuto sia alla prevenzione con l’ampia diffusione dell’immunoprofilassi pre- e post-partum che alle scoperte e alla introduzione di tecniche diagnostiche e terapeutiche che permet-tono una valutazione e un trattamento efficace sia del feto che del neonato. Nei paesi a scarso sviluppo socio-economico invece la MEFN e in particolare l’iperbilirubinemia, che è una delle sue principali manifestazioni, continua a rappresentare una frequente causa di morte e di gravi sequele neurologiche. Con l’aumento dell’immigrazione, che si è verificata negli ultimi anni, anche i paesi più avanzati si sono trovati di nuovo a confrontarsi con que-sta malattia. Lo scopo di questo articolo è di evidenziare i più importanti successi raggiunti nel trattamento di questa patologia e mettere in luce le problematiche ancora presenti.

Riassunto

SummaryHaemolytic disease of the foetus and newborn (HDFN) is caused by maternal antibodies that cross the placenta and directed against foetal blood group antigens inherited from the father. The most classic and known disease is due to anti-RhD antibodies. In recent decades, economically and socially developed countries have managed to drastically de-crease the prevalence and mortality of anti-D-mediated disease. This was possible thanks to the widespread diffusion of anti-D immunoglobulin prophylaxis pre- and post-partum as well as to the discovery and introduction of diagnostic and therapeutic techniques that allow evaluation and effective treatment of the foetus and the newborn. Conversely, in countries with poor socio-economic development, HDFN – particularly hyperbilirubi-naemia, one of its main manifestations – continues to be a frequent cause of death and severe neurological sequelae.  At present, the increased immigration rates seen in recent years have again brought the management of  this condition on the forefront in affluent countries. The purpose of this article is to highlight the most important achievements in the treatment of HDFN and highlight persisting problems.

Metodologia della ricerca bibliografica effettuataÈ stata effettuata una ricerca degli articoli più rile-vanti utilizzando come motore di ricerca PubMed e come parole chiave: “red blood cell alloimmunization”, “hemolytic disease of the fetus and newborn”, “fetal RHD genotyping”, “anti-RhD prophylaxis”, “bilirubin en-cephalopathy”, “kernicterus”, “hyperbilirubinemia”.Sono stati anche tenuti presenti articoli di revisione e

capitoli di libri di più recente pubblicazione. Alcuni dei lavori citati sono derivati dall’analisi delle referenze bibliografiche degli articoli selezionati.

IntroduzioneLa malattia emolitica feto-neonatale (MEFN) è causa-ta da anticorpi materni, diretti contro antigeni gruppo-ematici presenti sui globuli rossi del feto, ereditati dal padre. La forma più nota è quella dovuta ad alloanticor-

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pi anti-RhD. Nei paesi economicamente più sviluppati, si è verificata una notevole riduzione della MEFN anti-RhD a seguito dell’ampio ricorso all’immunoprofilassi, ma nonostante questo intervento circa l’1-3 per 1000 delle donne RhD-negative sviluppa anticorpi anti-RhD. Ulteriori forme di alloimmunizzazione sono quelle cau-sate da altri antigeni del sistema Rh (c, E, e) oppure da antigeni di diversi sistemi gruppo-ematici (Kell, Duffy, Kidd, etc.) (Tab. I). La prevalenza di anticorpi contro globuli rossi, diversi dall’anti-RhD, è stimata 1 su 500 donne in gravidan-za, ma in questi casi minore è il rischio di sviluppare una malattia grave (de Haas et al., 2015).Uno studio olandese, basato sullo screening anti-corpale in 305.000 gravidanze, ha evidenziato che le donne immunizzate per antigeni diversi dal RhD erano 1.002 cioè lo 0,33%, mentre la MEFN grave, si era verificata nello 0,07% delle gravidanze esaminate (Koelewijn et al., 2008). La causa più frequente di anemia emolitica immuno-mediata è quella dovuta a incompatibilità AB0. La MEN AB0 si manifesta quasi esclusivamente nei neonati A o B, nati da madre 0. Gli anticorpi anti-A e anti-B sono in parte di classe IgM, che non attraversano la placenta, e tra le sottoclassi IgG la quota di IgG2 è caratterizzata solitamente da una minore capacità emolitica. Inoltre il passaggio di questi anticorpi è parzialmente neutraliz-zato dalla presenza di sostanze gruppo specifiche A o B presenti nel plasma e in altre cellule dell’organismo, pertanto solo una piccola quantità raggiunge i globuli rossi fetali. Va inoltre tenuto presente che gli antigeni A e B maturano lentamente durante la vita fetale e anche alla nascita non sono espressi completamente. Per questi motivi, la malattia comunemente ha manifesta-zioni meno gravi e a differenza della MEFN RhD si ma-nifesta generalmente dopo la nascita e non nel periodo fetale. Non mancano comunque casi di malattie emo-litiche neonatali da incompatibilità AB0 che per la loro gravità hanno avuto necessità di trattamento precoce anche con exsanguinotrasfusione (Liley et al., 2015).La MEFN RhD, mentre nel passato era una delle mag-giori cause di mortalità e morbosità, dal 1968, grazie alla diffusione su larga scala dell’immunoprofilassi anti-D nelle donne non immunizzate, a oggi è divenuta una pa-tologia rara e con buone possibilità di guarigione senza esiti. Questo importante risultato della medicina è stato possibile grazie alla comprensione degli aspetti fisiopa-tologici, allo sviluppo di affidabili mezzi diagnostici, agli studi genetici, a un programma di profilassi sempre più efficace e alla possibilità di utilizzare trattamenti in una fase relativamente precoce della gravidanza.Negli Stati Uniti si calcola una prevalenza da 3 a 80 casi su 100.000 nati per anno (Delaney, 2015).

PatogenesiLa sequenza di eventi che si verifica in caso di alloim-munizzazione Rh o nei confronti degli altri antigeni

gruppo ematici, che possono essere implicati, inizia generalmente durante la prima gravidanza di una donna negativa per tale antigene e portatrice di un feto positivo oppure a seguito di una trasfusione di sangue incompatibile, situazione che si può verificare più frequentemente per gli antigeni diversi dal D. Nella storia naturale della malattia, il passaggio de-gli eritrociti fetali nel circolo materno può provocare la sensibilizzazione del sistema immunitario della don-na. Nel corso di una successiva gravidanza, con feto portatore dell’antigene incompatibile di origine pater-na, il sistema immunitario della donna può produrre immunoglobuline della classe IgG dirette contro l’an-tigene gruppo-ematico coinvolto. Le IgG attraversano la placenta e provocano emolisi extravascolare, con le conseguenti manifestazioni cliniche (Moise, 2008). L’incompatibilità AB0 costituisce un fattore protettivo nei confronti dell’alloimmunizzazione anti-D. Probabil-mente questo fenomeno è da attribuire alla capacità degli anticorpi materni anti-A e anti-B di causare la rapida rimozione degli eritrociti fetali dal circolo ma-terno, impedendo la sensibilizzazione del sistema immunitario. È stato stimato che l’incompatibilità per l’antigene A tra madre e feto riduca il rischio di sensi-bilizzazione del 90% dei casi e quella per l’antigene B del 55% (Liley, 2015).La MEFN RhD si manifesta con un’ampia variabilità clinica: nel 50% dei casi può essere presente una sin-tomatologia lieve, che non richiede interventi terapeu-tici o di minima importanza. Nel 25% dei casi la malat-tia si presenta al momento della nascita con anemia e ittero e necessità di interventi mirati a evitare l’anemia grave, l’encefalopatia bilirubinica e il possibile conse-guente kernittero. Nel restante 25%, le forme più gra-vi, che possono presentare anemia fetale con idrope, versamento ascitico, pericardico ed edema, occorre intervenire prima della nascita in utero per prevenire la mortalità ed esiti gravi (Ross et al., 2013).

L’immunoprofilassiDalla metà degli anni ’60 viene praticata l’immunopro-filassi, cioè la somministrazione di immunoglobuline

Tabella I. Antigeni più frequentemente implicati nella MEFN.

Sistema antigenico

Antigene specifico

Gravità

Rhesus D, cSpesso grave

Kell K1

AB0 AB0

Raramente graveDuffy Fya

Kidd Jka

MNS M, Mta. S, U

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La malattia emolitica feto-neonatale oggi

anti-D a tutte le donne Rh negative non immunizzate per l’antigene D dopo il parto di un neonato RhD po-sitivo. Diverse ipotesi sono state proposte per spiegare il meccanismo d’azione, come ad esempio il fatto che i globuli rossi RhD positivi, legati agli anticorpi anti-D vengano rimossi dal circolo tramite i macrofagi, pre-venendo così la sensibilizzazione del sistema immu-nitario materno. La teoria più probabile sembrerebbe essere il legame crociato delle immunoglobuline anti-D e dell’antigene RhD presente sugli eritrociti fetali con il recettore per il frammento Fc di tipo IIb delle IgG e il recettore per l’antigene RhD espressi sulla membra-na dei linfociti specifici. Questo legame indurrebbe un segnale inibitorio per l’attivazione dei linfociti destinati a sintetizzare anticorpi anti-RhD, impedendo così l’im-munizzazione primaria della madre (Kumpel, 2005).L’immunoprofilassi, secondo le raccomandazioni ita-liane di recente pubblicazione (Bennardello et al., 2014) deve essere eseguita a tutte le donne Rh nega-tive, non alloimmunizzate, dopo il parto di un neonato RhD positivo, ma anche a tutte le donne Rh negative non alloimmunizzate nel corso della gravidanza a 28 settimane e in caso di eventi a rischio di immuniz-zazione (villocentesi, amniocentesi, aborti spontanei, interruzione volontaria di gravidanza ecc.). Seguendo queste indicazioni il rischio di immuniz-zazione, che senza immunoprofilassi era del 16%, è crollato allo 0,2% (McBain et al., 2015).La dose di immunoglobuline anti-D consigliata in Italia per eventi occorsi fino alla 19a settimana è di 625 UI (125 µg); dalla ventesima settimana e nel post-par-tum è di 1250-1500 UI (250-300 µg). È stato calcolato che 25 µg, cioè 125 UI, sono suf-ficienti a prevenire l’immunizzazione provocata dal passaggio di 2 ml di sangue fetale.In circa 1 su 400 donne in gravidanza si verifica un’e-morragia transplacentare al momento del parto mag-giore di 30 ml di sangue fetale (approssimativamente 17 ml di globuli rossi fetali Rh D positivi) che non è neu-tralizzata dalla profilassi standard (Liley et al., 2015). È possibile valutare l’entità dell’emorragia transpla-centare che si è verificata dal feto alla madre tramite test di Kleihauer-Betke, che si effettua subito dopo la nascita e che sfrutta la resistenza dell’Hb fetale all’e-luizione acida. Questo esame è da considerare solo un test di screening, perché oggi si dispone di meto-diche più precise come la citometria a flusso (Bennar-dello et al., 2014). La mancata valutazione dell’entità dell’emorragia feto-materna potrebbe determinare, se la donna è Rh ne-gativa con neonato Rh positivo, una profilassi insuffi-ciente e di conseguenza inefficace. Invece una valuta-zione più accurata dell’entità del passaggio di sangue fetale nel circolo sanguigno materno permette la som-ministrazione d’immunoglobuline anti-D a un dosaggio più preciso, evitando gli sprechi con somministrazioni eccessive di un prodotto, che oltre a essere costoso, sta diventando sempre più difficile da produrre.

La profilassi con una dose di immunoglobuline anti-D personalizzata, in relazione all’entità dell’emorragia feto materna viene considerata un obiettivo da rag-giungere, almeno nei paesi più avanzati.Le raccomandazioni che prevedono la somministra-zione di immunoglobuline anti-D anche durante la gravidanza, infatti, hanno ancora di più messo in ri-salto la loro scarsa disponibilità più evidente nei paesi a basse risorse. Le immunoglobuline anti-D prodotte dalle industrie farmaceutiche provengono dal plasma di donatori con alti livelli di queste immunoglobuline ottenute o per precedenti immunizzazioni o in volontari sottoposti allo stimolo immunogeno di globuli rossi RhD positivi.Sarebbe auspicabile la produzione di preparazioni di immunoglobuline anti-D ricombinanti monoclonali, che al momento vengono utilizzate a scopo di ricer-ca, ma non sono disponibili per la profilassi (Kumpel, 2008).L’immunoprofilassi a oggi non è possibile per gli al-tri antigeni potenzialmente immunogeni, c, E, e, Kell, Duffy, Kidd.

L’era molecolareL’identificazione dei due geni (RHD, RHCE) del siste-ma Rh è avvenuta nei primi anni  ’90. Tali geni sono strettamente associati sul cromosoma 1, e codificano rispettivamente per la proteina RhD e per la proteina RhCE, espressa nelle diverse combinazioni ce, Ce, cE o CE (Fig. 1).La mancanza del gene RHD determina il fenotipo Rh negativo caucasico. Negli anni  ’90 Lo dimostrò che DNA fetale rilasciato dal trofoblasto nella placenta era presente nel plasma materno (Lo, 1994). Dopo questa scoperta si sono in-tensificati gli sforzi per determinare, con una metodica non invasiva nel sangue materno, il genotipo RH fetale, evitando metodiche più rischiose, come l’amniocentesi.In una donna in gravidanza Rh negativa, con partner Rh positivo eterozigote, la conoscenza del genotipo fetale permette da un lato di ridurre gli interventi dia-gnostici e di profilassi con anti-D, se il feto è Rh nega-tivo, e dall’altro consente di monitorare con maggiore attenzione la gravidanza, se il feto è Rh positivo. La zigosità paterna, nei tempi precedenti alla determina-zione con metodiche molecolari, era valutata con ana-lisi statistiche di popolazione basate sull’origine etnica, sicuramente non precise, soprattutto oggi che in quasi tutti i paesi avanzati con l’aumento dell’immigrazione, la società sta diventando sempre più multietnica.Oggi le tecniche di biologia molecolare permettono di identificare se il padre è eterozigote o omozigote e in epoche relativamente precoci di gravidanza anche il genotipo fetale. In alcuni paesi (es. Olanda, Dani-marca) questo esame rientra nella routine in un’epo-ca gestazionale che va dalle 16 alle 20 settimane di gestazione (Qureshi et al., 2014).

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Questa informazione permette di evitare la sommini-strazione di immunoglobuline anti-D in quelle donne alla 28a  settimana di gravidanza, se portatrici di un feto Rh negativo, evento che si stima possa verificarsi nel 40% dei casi. Questo approccio determina quindi un risparmio economico, evitando una profilassi non necessaria (Akolekar et al., 2011). Ovviamente l’obiet-tivo da raggiungere è la determinazione del genotipo RH nelle epoche più precoci di gravidanza.L’accuratezza diagnostica della determinazione del genotipo fetale raggiunge elevati livelli dopo l’11 a set-timana di gestazione, con una sensibilità superiore al 99% e una specificità di circa il 95% (Chitty et al., 2014). L’incidenza di falsi negativi è bassa dopo l’11a settimana di età gestazionale, ma resta stabile nel corso delle successive settimane, perché la concen-trazione di DNA fetale nel sangue materno aumenta solo marginalmente tra 10 e 20 settimane di età ge-stazionale (Chitty et al., 2014).Un recente studio italiano ha messo in evidenza una sensibilità del 92,8% e una specificità del 94,1% con un’accuratezza fino a 93,3% in campioni di sangue materno prelevati tra 10 e 14 settimane (Picchiasassi et al., 2015).Se avere falsi positivi non è auspicabile, più grave è avere dei falsi negativi, perché comporta la mancata profilassi durante la gravidanza anche in presenza di eventi a rischio di immunizzazione. Ugualmente meno attento può essere il monitoraggio di una gravidanza già alloimmunizzata e di conseguenza possono esse-re fornite errate rassicurazioni. Con il perfezionamento degli studi genetici si è sco-perto che esistono anche delle particolari situazioni che possono invalidare l’accuratezza diagnostica. Ad esempio il genotipo africano Rh negativo solo in circa il 19% dei casi ha una delezione del gene RHD, per il resto presenta uno pseudogene inattivo RHD (RHDψ) nel 66% dei casi, oppure un gene ibrido RHD-CE-D nel 15% dei casi circa. Tutto questo può provocare una diagnosi genetica di Rh positività in un soggetto fenotipicamente Rh negativo (Fasano, 2016).La determinazione del genotipo fetale può riguardare oltre che il sistema Rh (DCE), anche il sistema Kell, Duffy e Kidd (Fasano, 2016).

Metodiche di diagnosi e terapia in corso di gravidanza

Test sierologiciLa determinazione del gruppo sanguigno, del sistema Rh, la ricerca degli anticorpi irregolari (test all’antiglo-bulina o di Coombs indiretto) sono gli esami da ese-guire alla prima visita in corso di gravidanza e anche prima di un’eventuale interruzione di gravidanza. Se si tratta di una donna Rh negativa, non immunizza-ta (ricerca anticorpi irregolari negativa), è fondamen-tale tener conto di eventuali condizioni in cui potrebbe

essere necessario effettuare la profilassi e in ogni caso ripetere lo screening per la ricerca di anticorpi alla 28a settimana di età gestazionale prima della sommini-strazione delle immunoglobuline anti-D preparto. Qualora, invece, la ricerca degli anticorpi irregolari sia positiva, si procede all’identificazione dell’anti-corpo irregolare presente e alla sua titolazione con metodiche manuali. Sarebbe opportuno che questo esame venisse effettuato sempre nello stesso labora-torio, per ottenere una migliore precisione. Oggi una buona precisione si può ottenere mediante metodiche automatizzate, non diffusamente utilizzate, che con-sentono la quantificazione degli anticorpi. Conoscere la specificità dell’anticorpo presente è im-portante per la gestione della gravidanza. Alcuni di questi anticorpi possono essere clinicamente non si-gnificativi oppure provocare malattia emolitica lieve, altri invece, come nel caso dell’anti-c, possono facil-mente provocare un quadro clinico sovrapponibile a quello di una MEFN da anti-D (Rath et al., 2013).Una menzione particolare merita l’anticorpo diretto contro l’antigene Kell. Questo antigene viene espres-so già nelle fasi di maturazione del globulo rosso, allo stadio di erythroid burst forming unit. L’anticorpo di-retto contro questo antigene determina la distruzione delle cellule progenitrici con anemia e reticolocitope-nia più che iperbilirubinemia.Quando viene identificato un anticorpo irregolare, a seconda della sua rilevanza clinica, la sua titolazione sarà monitorata nel tempo, secondo protocolli stabiliti (Bennardello et al., 2014).

Figura 1. GENE RH: A) modello schematico dei geni RHD e RHCE in alto nei soggetti Rh positivi e in basso Rh ne-gativi; B) schema delle proteine RhD e RhCE. I circoli scu-ri sullo schema RhD mostrano le differenti posizioni degli aminoacidi rispetto RhCE. I circoli sulla proteina RhCE mo-strano le variazioni degli aminoacidi responsabili dei poli-morfismi C/c e E/e (da Westhoff, 2007, mod.).

B

A

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La malattia emolitica feto-neonatale oggi

Il titolo considerato critico, generalmente laboratorio dipendente, per gli anti-D e anti-c è quello di 32 (corri-spondente all’agglutinazione rilevabile a una diluizio-ne di 1:32), ma per l’anti-Kell vengono considerati si-gnificativi, secondo alcuni autori, anche livelli inferiori di anticorpi dal momento che una MEFN grave può svilupparsi anche a titoli più bassi.

Valutazione spettrofotometrica del liquido amnioticoPer valutare la gravità della MEFN Rh e l’entità dell’e-molisi negli ultimi decenni si è ricorso all’analisi spet-trofotometrica del liquido amniotico. Questo esame introdotto negli anni ’60, si basa sulla determinazione del picco di assorbimento della bilirubina, situato at-torno a 450  nm. L’altezza di questo picco espressa come differenza di assorbanza (ΔDO) a 450 nm, con-siderata in rapporto all’età gestazionale è proporzio-nale all’entità dell’emolisi. Questo valore riportato su un grafico definisce la gravità della malattia fornendo indicazioni per eventuali interventi trasfusionali in ute-ro o per l’espletamento di un parto pretermine. Que-sta metodica è invasiva e richiede, per un attendibile monitoraggio della gravidanza, l’esecuzione di ripe-tute amniocentesi, che possono determinare però un aumentato rischio di ulteriori stimoli immunologici con un aumento del titolo degli anticorpi. Inoltre, sembra che tale esame tenda a sovrastimare il rischio per il feto (numerosi falsi positivi) (Nardozza, 2007).Per questi limiti oggi ha perso molto del valore iniziale.

Valutazione ecocolordoppler dell’arteria cerebrale media fetaleNel 2000, con l’obiettivo di scoprire metodiche sem-pre più precise e possibilmente non invasive per dia-gnosticare lo stato di salute del feto, è stata introdotta un’indagine ecografica, basata sulla determinazione del picco di velocità del flusso ematico sistolico, per identificare uno stato di anemia fetale. Questa misu-razione viene effettuata studiando l’arteria cerebrale media del feto, che risulta di facile visualizzazione (Fig. 2). Con questa tecnica, dimostratasi riproducibi-le, i valori vengono espressi come multipli della me-diana in relazione all’età gestazionale. Confrontando i valori ottenuti con il grado di anemia fetale, è risultato che una velocità di picco sistolico maggiore di 1,5 vol-te la mediana identificava tutti i feti a rischio di anemia severa o moderata (Mari, 2005).Questa metodica nel corso del tempo ha completa-mente soppiantato l’esame spettrofotometrico del liqui-do amniotico. È attualmente ritenuta attendibile e valida fino all’età gestazionale di 35 settimane. Va associata ovviamente a una valutazione generale ultrasonogra-fica finalizzata a identificare l’eventuale presenza di segni caratteristici della MEFN grave, come l’idrope fetale, il versamento ascitico, pericardico e l’edema.

Trasfusioni intrauterineIn presenza di una grave anemia fetale si ricorre alle trasfusioni intrauterine, che hanno rappresentato uno dei successi più rilevanti della medicina fetale. Questa tecnica prevede la trasfusione di sangue direttamente nella circolazione fetale attraverso la vena ombelicale sotto guida ecografica. Va sottolineato però che è una tecnica che può essere gravata da complicanze talora gravi: asfissia fetale, le-sioni legate alla procedura (rottura del cordone ombeli-cale, spasmo arterioso, tamponamento del cordone da ematoma o da eccessivo sanguinamento), sovracca-rico di liquidi, corionamnionite, rottura prematura del-le membrane amniotiche e parto pretermine. Dai dati della letteratura il rischio di aborto in seguito a questo intervento varia da 0,9 a 4,9% secondo i centri e si os-serva più spesso in feti con idrope e quando la trasfu-sione intrauterina è effettuata a una età gestazionale particolarmente bassa (Lindenburg et al., 2014).Tale tecnica è utilizzata in presenza di grave anemia provocata oltre che da MEFN anche da parvovirus B19. Con la notevole diminuzione dei casi di alloim-munizzazione RhD solo pochi centri hanno mantenu-to la capacità di effettuare tale tecnica con una buo-na expertise e buoni risultati, pertanto è opportuno concentrare il trattamento delle gravidanze di donne con alloimmunizzazione a più alto rischio solo presso questi centri di riferimento.

Quadri cliniciUna gravidanza complicata da alloimmunizzazione ri-chiede al momento del parto la presenza di un team di neonatologi, come avviene per tutte le gravidanze a rischio. È opportuno che il parto avvenga in un centro di riferimento con possibilità di assistere il neonato in un reparto di terapia intensiva per mettere subito in atto tutte le procedure necessarie. Inoltre è opportuno un colloquio tra neonatologo e genitori prima del parto.È anche importante che il neonatologo sia per tempo informato sulla diagnosi e sul decorso della gravidan-za (tipo di anticorpo identificato, titolo anticorpale, va-lutazione della velocità del picco sistolico dell’arteria cerebrale media, eventuale presenza di segni eco-grafici di ascite e versamento, eventuali trasfusioni intrauterine ecc.). I primi esami ematologici da effettuare al neonato sono: gruppo sanguigno, sistema Rh, test di Coombs diretto, emocromo, conta reticolocitaria e bilirubinemia. Al momento della nascita ci si può trovare di fronte a un quadro clinico caratterizzato da anemia e iperbili-rubinemia e, se la nascita avviene pretermine, anche da una sindrome da distress respiratorio, che può richiedere interventi immediati di rianimazione e di supporto ventilatorio. In presenza di una forma molto grave di anemia dia-gnosticata in utero sarebbe opportuno avere a dispo-sizione già al momento della nascita un concentrato di

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globuli rossi, CMV safe (cioè citomegalovirus negativi o leucodepleti con un residuo di leucociti < 5 x 106/uni-tà) e irradiati, per la correzione dell’anemia. Succes-sivamente, in base ai valori della bilirubinemia si può ricorrere alla fototerapia e alla exsanguinotrasfusione. L’exsanguinotrasfusione alla nascita va riservata a forme con bilirubinemia estremamente elevata, che si possono associare a una anemia lieve o moderata. Un altro quadro possibile è quello di un neonato da madre con alloimmunizzazione che non presenta alla nascita anemia né iperbilirubinemia. Questo neonato va comunque strettamente monitorizzato nelle prime ore di vita con controlli ravvicinati della bilirubina sie-rica, che può innalzarsi rapidamente e richiedere la fototerapia e, se necessario, l’exsanguinotrasfusione. Nei giorni e nelle settimane seguenti per il persistere dell’emolisi, anche se la bilirubinemia è sotto control-lo, si può verificare anemia tardiva che può richiedere una o più trasfusioni di eritrociti concentrati.Tenere sotto controllo il livello di bilirubina è impor-tante per evitare possibili danni irreversibili al sistema nervoso centrale, che possono essere causati dalla quota di bilirubina libera non coniugata e non legata all’albumina o ad altre proteine plasmatiche, che ha la caratteristica di attraversare la barriera ematoen-cefalica. L’esposizione in vitro di cellule del sistema nervoso alla bilirubina ha mostrato una riduzione delle arborizzazioni dendritiche e delle ramificazioni neuronali, una riduzione della proliferazione cellulare e un’aumentata morte cellulare per apoptosi. Il dosaggio della bilirubina libera circolante sarebbe l’indice più affidabile per valutare il rischio di neurotos-sicità, ma al momento non esiste un metodo sempli-ce ed economico per la sua determinazione. Pertan-to nella pratica clinica ci si basa su una valutazione indiretta tenendo presente la bilirubinemia totale e il rapporto bilirubinemia/albuminemia, considerando

che l’albuminemia può essere più bassa nel neonato pretermine e in alcune condizioni patologiche e che alcuni fattori, come l’acidosi, la sepsi e alcuni farma-ci, possono influire sul legame bilirubina-albumina (Watchko e Tiribelli, 2013). La Risonanza Magnetica Nucleare (RMN) ha messo in evidenza nei neonati, con livelli di bilirubina sierica molto alti, lesioni oltre che nei gangli basali, nelle vie neurosensoriali dell’udito, nell’ippocampo, nel dience-falo, nel cervelletto in particolare nel verme cerebel-lare e nei nuclei del tronco cerebrale dei nervi cranici deputati alla funzione dei movimenti oculari e della re-golazione respiratoria. La lesione caratteristica della RMN in caso di kernittero è l’aumentato segnale in T2 simmetrico e bilaterale nel globo pallido e nel nucleo subtalamico (Wisnowski, 2014). I segni clinici dell’encefalopatia bilirubinica del neona-to comprendono in una fase acuta cambiamenti del comportamento, del tono muscolare (ipotono alterna-to a ipertono, in particolare dei muscoli estensori fino all’opistotono), del pianto, sonnolenza, difficoltà di ali-mentazione. La morte può verificarsi per insufficien-za respiratoria, convulsioni fino allo stato di male e coma. La progressione dei segni clinici e la gravità del quadro dipende, oltre che dal livello di bilirubina nel sangue, dalla durata dell’esposizione alla bilirubina, dalla predisposizione del soggetto e dalla concomi-tanza di altre patologie che possono aggravare la si-tuazione (prematurità, sepsi, asfissia perinatale ecc.). La forma grave cronica, esito dell’encefalopatia bili-rubinica, chiamata kernittero, deve il suo nome alla lesione evidenziata in corso di autopsie su neonati af-fetti da grave ittero e caratterizzata da un colore giallo dei nuclei della base e in particolare del globo pallido. Il kernittero è gravato da mortalità, e nei sopravvissuti da paralisi cerebrale, coreoatetosi, perdita neurosen-soriale dell’udito, paralisi dello sguardo e deficit co-

Figura 2. Velocità di picco sistolico dell’arteria cerebrale media (PSV-MCA). Immagini Ecocolordoppler dell’arteria ce-rebrale media (MCA). Nell’immagine a sinistra (A) è riportato un esame normale, a destra (B) uno patologico (anemia fetale da grave MEFN anti-D) (per gentile concessione della prof.ssa A. Giancotti, Centro Diagnosi Prenatale, Policlinico Umberto I, La Sapienza Università di Roma).

A B

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La malattia emolitica feto-neonatale oggi

gnitivo, che dipende soprattutto dai problemi di udito, comunicazione e coordinamento motorio.Il termine BIND (bilirubin-induced neurologic disfun-ction), di recente introduzione, è stato utilizzato per indicare le lesioni del sistema nervoso centrale, che sembrerebbero essere sequele di una misconosciuta encefalopatia acuta bilirubinica e che possono pre-sentare un ampio spettro di manifestazioni compren-denti nelle forme più lievi disturbi non gravi dell’udito, goffaggine e incoordinazioni motorie dei movimenti sia fini che grossolani.

Interventi terapeuticiLa Tabella II elenca i principali interventi terapeutici in epoca neonatale. La fototerapia, messa a punto alla fine degli anni Sessanta dopo anni di studi e ricerche, si è rivelata un presidio fondamentale per il controllo dell’iperbilirubinemia e ha ridotto notevolmente il ricor-so all’exsanguinotrasfusione. Nel corso di questi anni la tecnologia ha prodotto presidi per fototerapia con lampade a led e/o combinazione di luce blu e verde, che permettono di raggiungere la giusta irradianza per effettuare una fototerapia intensiva (anche superiore a 30 µW/cm2/nm).L’exsanguinotrasfusione, introdotta negli anni Cin-quanta, è una tecnica salvavita perché, abbassando il livello di bilirubina sierica del neonato, previene il Kernittero. Si basa sullo scambio dei globuli rossi sen-sibilizzati, cioè legati agli anticorpi, con globuli rossi Rh negativi o comunque privi dell’antigene contro cui sono diretti gli anticorpi materni. In questa procedura contemporaneamente si riduce il livello sierico della bilirubina, degli anticorpi circolanti e si corregge l’e-ventuale anemia, perché si utilizza sangue ricostitui-to, cioè globuli rossi freschi, filtrati, CMV-safe e ricosti-tuiti con plasma fresco congelato a un ematocrito del 50-55%. Il prodotto finale così preparato è poi irradia-to per prevenire la Graft-versus-Host Disease.L’exsanguinotrasfusione, effettuata utilizzando un vo-lume di sangue di circa il doppio di quello circolante, rimuove circa il 90% dei globuli rossi sensibilizzati e circa il 50% della bilirubina sierica circolante. Si può poi assistere a un rebound per il passaggio della bilirubina dal compartimento extravascolare al circolo ematico. La quantità di sangue ricostituito da scambiare è cal-colata sulla stima del doppio del volume di sangue del neonato, 160 ml per kg di peso nel nato a termine e 200 ml per kg nel pretermine. L’exsanguinotrasfu-sione si effettua utilizzando un catetere posizionato in vena ombelicale (Girelli, 2015).Le complicanze più frequenti dell’exsanguinotrasfu-sione sono: la trombocitopenia, l’ipocalcemia, le al-terazioni elettrolitiche e l’enterocolite necrotizzante. Il rischio di morte a seguito di questa procedura è cal-colato tra lo 0,5 e il 2% (Falciglia, 2013).Negli ultimi anni sono state introdotte nella terapia an-che le immunoglobuline endovena (IGEV).

Il loro meccanismo di azione non è del tutto chiarito, ma sembrerebbe possano competere con il comples-so antigene-anticorpo bloccando il recettore Fc per le IgG sui macrofagi e in questo modo limitare l’emoli-si, riducendo il ricorso all’exsanguinotrasfusione. Le immunoglobuline circolanti non sono eliminate, come si verifica con l’exsanguinotrasfusione. Per questo motivo in seguito all’utilizzo di IGEV è aumentata la necessità di trasfusioni di globuli rossi per correggere l’anemia tardiva.Una recente metanalisi ha sottolineato che il ricorso alle IGEV in profilassi per la MEN Rh non ha determi-nato una significativa riduzione dell’exsanguinotrasfu-sione (Louis et al., 2014). Più utile sembra essere l’utilizzo delle IGEV quando, nonostante la fototerapia intensiva, il livello di bilirubi-na sierica continua a salire e si avvicina ai livelli a cui è indispensabile effettuare l’exsanguinotrasfusione. Sarebbero necessari ulteriori studi per definire meglio la categoria di neonati che si gioverebbe maggior-mente di questa terapia e a quali livelli di bilirubina dovrebbe essere effettuata.

Importanza del follow-up È importante che i neonati con malattia emolitica da alloimmunizzazione Rh siano periodicamente con-trollati in un adeguato follow-up, dopo la dimissione dall’ospedale. Hanno infatti un elevato rischio di anda-re incontro ad anemia tardiva. I neonati che hanno presentato un ittero prolungato, pur senza bisogno di essere sottoposti a exsangui-notrasfusione, possono sviluppare una anemia con elevati livelli di reticolociti. Quelli invece trattati con exsanguinotrasfusioni pos-sono presentare una grave anemia con livelli anche molto bassi di emoglobina soprattutto tra quattro e sei settimane. Il ritardo nell’incremento dell’eritropoiesi po-trebbe dipendere dal fatto che l’exsanguinotrasfusione è effettuata con sangue contenente emoglobina di tipo adulto, che favorisce una maggiore cessione di ossige-no ai tessuti e pertanto produce uno stimolo ipossico a livelli di emoglobina più bassi rispetto a quelli dei neo-nati che non hanno ricevuto questa terapia. Si può anche verificare una condizione di anemia tardi-va iporigenerativa tra due e sei settimane di vita in quei neonati che hanno ricevuto trasfusioni intrauterine o exsanguinotrasfusioni multiple. In questo caso oltre ai bassi livelli di Hb si osserva anche un ridotto numero di reticolociti (ipoplasia della linea eritroide) che, secondo alcuni autori, potrebbe dipendere dall’azione degli an-ticorpi diretti contro i precursori eritroidi. Si è in questi casi rivelata utile la somministrazione di eritropoietina umana ricombinante (RuEPO) che in circa due setti-mane provoca un significativo aumento dei reticolociti con la riduzione della necessità di trasfusioni.Oltre alla condizione di anemia tardiva, il follow-up di questi neonati, protratto nei primi anni di vita permette

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D. Regoli, M. De Curtis

di identificare tempestivamente eventuali esiti neuro-logici provocati in particolare dall’iperbilirubinemia e dall’anemia.

La malattia emolitica feto-neonatale nei paesi in via di sviluppoLa prevalenza della malattia emolitica feto-neonatale nel mondo, la mortalità e gli esiti che questa compor-ta dipendono dall’incidenza nelle diverse popolazioni degli antigeni gruppo ematici implicati, dalle risorse disponibili nei vari paesi e dalla possibilità di accede-re alle indagini diagnostiche e alle cure. Un recente studio (Bhutani, 2013) basato sulla stima dei casi di iperbilirubinemia e malattia emolitica Rh ha stimato che ogni anno ci sono nel mondo 24 milioni di donne e bambini a rischio di malattia Rh e grave iper-bilirubinemia neonatale. Inoltre mettendo a confronto gruppi di paesi con diversi tassi di mortalità infantile (<  5/1000, 5-15/1000 e ≥  15/1000 nati vivi) ha mo-strato una importante differenza, nella prevalenza di circa 11 volte, fra paesi a basse risorse 480 casi per 100.000 nati vivi rispetto a quelli più ricchi 42/100.000 nati vivi. I 3/4 della mortalità legata alla MEFN si verifica nelle regioni sub-sahariane dell’Africa e nella parte meri-dionale dell’Asia.In alcuni paesi in via di sviluppo si hanno difficoltà nell’eseguire un trattamento appropriato per l’ittero per la mancanza di apparecchiature che permettono una fototerapia intensiva. Anche per effettuare una exsanguinotrasfusione possono trascorrere nume-rose ore prima di reperire il sangue adeguato, per il quale lo screening per epatiti e HIV risulta standar-dizzato, ma non viene identificato lo stato di deficit di glucosio-6-fosfato deidrogenasi e un’eventuale posi-

tività per citomegalovirus e per malaria (dove questa malattia è endemica) (Mabogunje, 2016).Il contrasto è particolarmente forte fra l’Europa e gli Stati Uniti d’America, dove l’iperbilirubinemia, in par-ticolare quella legata alla malattia emolitica, non rap-presenta più un problema prioritario di salute pubbli-ca, e i paesi più poveri del sud dell’Asia e dell’Africa sub-sahariana, dove continua a essere un’importante causa di mortalità ed esiti neurologici a distanza.Questo fenomeno è legato in questi paesi alla man-canza, per i costi elevati, della prevenzione primaria, basata sull’identificazione delle donne Rh negative e sull’immunoprofilassi, ma ugualmente giocano un ruolo significativo anche la ridotta disponibilità di tec-niche di diagnosi e di terapia sia in gravidanza, che nel periodo neonatale (prevenzione secondaria).

ConclusioniI progressi sulla prevenzione e il trattamento della malattia emolitica feto-neonatale negli ultimi decenni sono stati molto importanti. Nei paesi a più elevate ri-sorse la prevalenza di alloimmunizzazione delle don-ne in gravidanza si è ridotta di più del 90%, il nume-ro di morti perinatali causate dalla malattia emolitica feto-neonatale è fortemente diminuito e così gli esiti neurologici dovuti all’iperbilirubinemia. Anche se molti progressi sono stati raggiunti in que-ste ultime decadi, altre questioni restano da affronta-re, come ad esempio l’applicazione allo studio della malattia emolitica feto-neonatale degli ultimi progressi dell’immunobiologia, della medicina molecolare e del-le tecnologie geniche. La sfida per il futuro potrebbe essere identificare e applicare le strategie per preve-nire alloimmunizzazioni di altri antigeni gruppo-ema-tici, studiare la possibilità che anticorpi monoclonali o ricombinanti possano essere utili per l’immunopro-

Tabella II. Principali terapie in epoca neonatale.

Trattamento Descrizione

FototerapiaLa luce di una determinata lunghezza d’onda provoca isomerizzazione della bilirubina non coniugata in composti idrosolubili (lumirubina e fotobilirubina), che vengono escreti con la bile. In questo modo si riducono i livelli di bilirubinemia.

Exsanguinotrasfusione

Scambio dei globuli rossi, legati agli anticorpi, con globuli rossi Rh negativi o comunque privi dell’antigene contro cui sono diretti gli anticorpi materni. Con questa procedura:• si riduce la bilirubina sierica• si riducono gli anticorpi circolanti • si corregge l’eventuale anemia

Immunoglobuline endovena

Il meccanismo probabile è quello di competere con il complesso antigene-anticorpo bloc-cando il recettore Fc per le IgG sui macrofagi e così limitare l’emolisi.Il ricorso alle IGEV in profilassi nella MEN Rh non ha determinato una significativa ridu-zione del numero di exsanguinotrasfusioni. Sarebbero necessari ulteriori studi per definire meglio la categoria di neonati, che si gioverebbe maggiormente di IGEV come terapia e a quali livelli di bilirubina dovrebbe essere effettuata.

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La malattia emolitica feto-neonatale oggi

filassi contro l’antigene D e gli altri antigeni gruppoe-matici (Hendrickson e Delaney, 2016).Riguardo l’immunoprofilassi, un impegno importante potrebbe essere quello di fornire un prodotto più fa-cilmente disponibile ed economico che possa rende-re possibile la massima diffusione in tutto il mondo, come pure sviluppare programmi di screening e inter-venti il più possibile a basso costo.Se consideriamo la situazione globale, questa malat-

tia rappresenta un rilevante problema di salute pubbli-ca dal momento che determina, soprattutto nei paesi più poveri, ogni anno più di 100.000 neonati mor-ti e più di 25.000 con danno cerebrale permanente (Slusher et al., 2011). Una maggiore attenzione per la MEFN deve aversi an-che nei paesi più sviluppati, in relazione all’incremento dell’immigrazione e all’arrivo di donne provenienti da paesi in cui non viene effettuata l’immunoprofilassi.

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Girelli G, Antoncecchi S, Casadei AM,

Box di orientamento

• Cosa sapevamo primaLa somministrazione di immunoglobuline anti D in donne Rh negative non immunizzate per l’antigene D ha ridotto la prevalenza della malattia emolitica feto-neonatale (MEFN).La MEFN può essere indotta oltre che dalla mancata profilassi anche da un’insufficiente somministrazio-ne di immunoglobuline anti D (fallimento della profilassi).La MEFN può essere causata da alloimmunizzazione per antigeni diversi dal D.

• Cosa sappiamo adessoLa revisione della letteratura evidenzia le acquisizioni più recenti riguardanti la prevenzione, la gestione della MEFN durante la gravidanza, le tecniche diagnostiche atte a stabilire la gravità della malattia, le condizioni fetali e le possibilità di trattamento pre e post natale.La prevalenza della MEFN e dell’iperbilirubinemia è elevata nei paesi a basse risorse, dove l’iperbilirubi-nemia continua a essere gravata da elevata mortalità e esiti neurologici.Aumento dei casi di MEFN nei paesi sviluppati in relazione all’incremento dell’immigrazione di donne provenienti da paesi in cui non è praticata l’immunoprofilassi

• Quali ricadute sulla pratica clinicaSarebbe opportuno identificare e applicare le strategie per prevenire alloimmunizzazioni di altri antigeni gruppo-ematici.È necessario continuare l’impegno volto alla produzione di anticorpi monoclonali o ricombinanti, che possano essere utilizzati per l’immunoprofilassi contro l’antigene D e gli altri antigeni gruppoematici.Sviluppare programmi di screening e interventi il più possibile a basso costo, accessibili anche ai paesi economicamente più svantaggiati, dove la MEFN causa ogni anno un inaccettabile numero di morti ne-onatali e di gravi disabilità nei sopravvissuti.

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Corrispondenza

Mario De CurtisUOC di Neonatologia, Patologia e Terapia Intensiva Neonatale, Azienda Policlinico Umberto I, viale Regina Elena 324, 00161 Roma - E-mail [email protected]; [email protected]

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La malattia emolitica feto-neonatale oggi

FORUM SIRP

Malattie rare in età pediatrica: ricerca, farmaci orfani e reti europee

di riferimentoNapoli, 29-30 giugno 2017

In collaborazione con FIARPED Federazione Italiana delle Associazioni e Società Scientifiche dell’Area Pediatrica

SIP Società Italiana di Pediatria

PROGRAMMA PRELIMINARE

TAVOLA ROTONDA

La ricerca italiana per le malattie rare in età pediatricaIn collaborazione con Prospettive in Pediatria

Moderatori: Giovanni Corsello, Generoso AndriaPartecipanti: Domenica Taruscio, Bruno Dallapiccola, Lucia Monaco, Ugo Capolino Perlingieri, Maurizio Scarpa, Renza Barbon Galluppi

Temi in discussione• L’attività scientifica del Centro di coordinamento nazionale malattie rare per le patologie pediatriche • Lo stato della ricerca per le malattie rare nei centri pediatrici nazionali• La ricerca indipendente promossa da Telethon per le malattie genetiche rare• Il ruolo dell’industria nello sviluppo dei farmaci orfani per le malattie rare• Le reti europee per le malattie rare: censimento delle reti attive, criticità e prospettive• Il ruolo delle Associazioni di pazienti per la ricerca sulle malattie rare pediatriche

SESSIONI SPECIALISTICHE

Le Società scientifiche e i Gruppi di studio pediatrici (AIEOP, SINePe, IPINET, SIMRI, SIFC, SIEDP, SIMMESN, SIGENP, SIMGePeD, SINPIA, SINP, REUMA, SICP) illustreranno nella sessione per l’area specialistica di competenza:

• Lo stato dell’arte della produzione scientifica più recente (ultimi 3 anni), per le malattie rare della rispet-tiva area specialistica

• Lo stato dell’arte sullo sviluppo dei farmaci orfani per malattie rare, frutto sia della ricerca industriale che indipendente, con la partecipazione alle sperimentazioni di gruppi italiani

• La ricognizione dei centri pediatrici che sono stati accettati nella rete europea di riferimento (ERN) per le malattie rare della specialità

10.5 crediti ECM per la partecipazione

SedeAula Magna - Area Didattica di Biotecnologie, Università degli Studi di Napoli Federico II

Via T. De Amicis 95 • 80131 Napoli

Segreteria Organizzativa e Provider ECM: Center - Comunicazione & CongressiVia G. Quagliariello 27 • 80131 Napoli • Tel. 081.19578490 • fax 081.19578071

www.centercongressi.com • [email protected]

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