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Da Fiaba d'amore agli Increati. Intervista... pubblicato da Le parole e le cose - http://www.leparoleelecose.it/?p=17689 Da Fiaba d'amore agli Increati. Intervista a Antonio Moresco a cura di Vanni Santoni [Una parte di questa intervista è uscita sul dorso toscano del «Corriere della Sera». Ho ritenuto opportuno, in questa versione integrale, rimuovere le domande onde lasciare maggior forza e organicità al flusso delle risposte (Vanni Santoni)]. Fiaba d’amore è un piccolo romanzo che mi è uscito di getto, non solo dalla testa ma anche dalla pancia e dal cuore. Il suo passo è diretto e rapido, la sua scrittura è semplice, ma le cose che vi sono evocate sono portanti e decisive per la nostra vita, e vanno anche oltre, al di là di se stesse. Se fossi un musicista del passato, direi che, rispetto ai miei libri più vasti (Gli esordi, Canti del caos) questo libro è come una sonata o un quartetto d’archi rispetto a una sinfonia o a una messa. Perché certe volte c’è anche bisogno di abbandonarsi al canto breve e intenso, all’espressione concisa ma lancinante, se vivi la tua vita di scrittore come traboccamento e qualcosa che non era previsto erompe da te senza chiederti il permesso. Però Fiaba d’amore è anche un satellite, un pezzo che si è staccato dal più grande romanzo che sto scrivendo e ha preso vita propria e autonoma. Negli Increati c’è qualcosa di tutto quanto ho scritto finora, quindi anche di questa Fiaba d’amore e dell’elemento in cui si muove, che è appunto l’amore. Con amore non intendo quella piccola cosa orizzontale che viene in genere indicata con questa parola, che in questa epoca è logorata dall’uso e vuole dire tutto e non vuole dire niente, ma una cosa molto più verticale e inattuale, una cruna, qualcosa che ha a che vedere con l’esplorazione e con l’invenzione, con l’irruzione dell’impossibile nella vita. Mi è successo più volte, in questi ultimi anni, di aver dovuto irresistibilmente interrompere il lavoro sugli Increati per dare vita in poche settimane a tre brevi romanzi, in qualche modo gemelli, ovvero Gli incendiati, La lucina e Fiaba d’amore. Nello stesso tempo ho scritto anche altri due piccolissimi libri: uno, per bambini ma credo apprezzabile anche dai grandi, deve ancora uscire per l’editore Rrose Selavy e si intitola Piccola fiaba un po’ da ridere e un po’ da piangere; l’altro è invece 21 preghierine per una nuova vita, uscito presso Nottetempo e formato da una serie di preghiere che rivolgo ad animali, compresi alcuni non particolarmente araldici, come il maiale, il lombrico, la puzzola, ventuno piccole preghiere molto intime, dove svelo il mio stato d’animo più profondo in questo momento nevralgico della mia vita di scrittore e di uomo, ma che credo possano intercettare il sentimento di molti altri in questa epoca finale o iniziale della nostra vita personale e di specie. Non so perché mi sta succedendo questo, perché mi trovo in un simile momento di esplosione creativa e nello stesso tempo mai come adesso desidero troncare tutto, separarmi da tutto e tornare là da dove sono venuto. C’entra probabilmente Gli increati, che uscirà a marzo: si tratta infatti di qualcosa che si avvicina al cuore e all’anima di tutto il mio lavoro di scrittore ma che va anche oltre, lo trascende. È il magnete primo, quello che si riesce a raggiungere, a vedere e toccare solo per ultimo, quando sei alla fine, all’inizio. Non è solo un vasto romanzo che si può leggere in modo autonomo e separato, è anche la conclusione e la vertiginosa agnizione del cammino che ho iniziato più di trent’anni fa con Gli esordi, che ho proseguito con Canti del caos e che si concluderà con questo romanzo, dando vita non tanto a una trilogia ma proprio a pagina 1 / 2

Da Fiaba D'amore Agli Increat. Intervista a Antonio Moresco

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Da Fiaba d'amore agli Increati. Intervista a Antonio Moresco

a cura di Vanni Santoni

[Una parte di questa intervista è uscita sul dorso toscano del «Corriere della Sera». Ho ritenuto opportuno, inquesta versione integrale, rimuovere le domande onde lasciare maggior forza e organicità al flusso delle risposte(Vanni Santoni)].

“Fiaba d’amore è un piccolo romanzo che mi è uscito di getto, non solo dalla testa ma anche dalla pancia e dalcuore. Il suo passo è diretto e rapido, la sua scrittura è semplice, ma le cose che vi sono evocate sono portanti edecisive per la nostra vita, e vanno anche oltre, al di là di se stesse. Se fossi un musicista del passato, direi che,rispetto ai miei libri più vasti (Gli esordi, Canti del caos) questo libro è come una sonata o un quartetto d’archirispetto a una sinfonia o a una messa. Perché certe volte c’è anche bisogno di abbandonarsi al canto breve eintenso, all’espressione concisa ma lancinante, se vivi la tua vita di scrittore come traboccamento e qualcosa chenon era previsto erompe da te senza chiederti il permesso. Però Fiaba d’amore è anche un satellite, un pezzoche si è staccato dal più grande romanzo che sto scrivendo e ha preso vita propria e autonoma.

Negli Increati c’è qualcosa di tutto quanto ho scritto finora, quindi anche di questa Fiaba d’amore e dell’elementoin cui si muove, che è appunto l’amore. Con amore non intendo quella piccola cosa orizzontale che viene ingenere indicata con questa parola, che in questa epoca è logorata dall’uso e vuole dire tutto e non vuole direniente, ma una cosa molto più verticale e inattuale, una cruna, qualcosa che ha a che vedere con l’esplorazionee con l’invenzione, con l’irruzione dell’impossibile nella vita.

Mi è successo più volte, in questi ultimi anni, di aver dovuto irresistibilmente interrompere il lavoro sugli Increatiper dare vita in poche settimane a tre brevi romanzi, in qualche modo gemelli, ovvero Gli incendiati, Lalucina e Fiaba d’amore. Nello stesso tempo ho scritto anche altri due piccolissimi libri: uno, per bambini ma credoapprezzabile anche dai grandi, deve ancora uscire per l’editore Rrose Selavy e si intitola Piccola fiaba un po’ daridere e un po’ da piangere; l’altro è invece 21 preghierine per una nuova vita, uscito presso Nottetempo eformato da una serie di preghiere che rivolgo ad animali, compresi alcuni non particolarmente araldici, come ilmaiale, il lombrico, la puzzola, ventuno piccole preghiere molto intime, dove svelo il mio stato d’animo piùprofondo in questo momento nevralgico della mia vita di scrittore e di uomo, ma che credo possano intercettare ilsentimento di molti altri in questa epoca finale o iniziale della nostra vita personale e di specie. Non so perché mista succedendo questo, perché mi trovo in un simile momento di esplosione creativa e nello stesso tempo maicome adesso desidero troncare tutto, separarmi da tutto e tornare là da dove sono venuto. C’entraprobabilmente Gli increati, che uscirà a marzo: si tratta infatti di qualcosa che si avvicina al cuore e all’anima ditutto il mio lavoro di scrittore ma che va anche oltre, lo trascende.

È il magnete primo, quello che si riesce a raggiungere, a vedere e toccare solo per ultimo, quando sei alla fine,all’inizio. Non è solo un vasto romanzo che si può leggere in modo autonomo e separato, è anche la conclusionee la vertiginosa agnizione del cammino che ho iniziato più di trent’anni fa con Gli esordi, che ho proseguito conCanti del caos e che si concluderà con questo romanzo, dando vita non tanto a una trilogia ma proprio a

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un’opera sola che fra qualche anno verrà finalmente pubblicata insieme e che si intitolerà L’increato. Non è statofacile arrivare fin qui, anche semplicemente in termini di organicità editoriale. La realtà che per molti anni hoconosciuto come scrittore, sotterraneo prima e poi emerso, è stata quella di una ostilità diffusa e pregiudiziale –che a volte diventava addirittura guerra aperta – dell’establishment editoriale, culturale, accademico e letterariocontro di me, e più in generale contro chiunque provasse a portare qualcosa di nuovo.

Anche al di là della mia esperienza personale, infatti, si tratta di una stortura prettamente italiana, la cui assenza èevidente in paesi come gli Stati Uniti, l’Inghilterra o la Francia, dove gli scrittori di qualche originalità e spessorenon vengono accolti con sospetto o addirittura presi a cannonate, ma valorizzati prima di tutto in patria, così daavvalersi poi di questa spinta interna per la proiezione verso altre lingue. Da noi sovente avviene il contrario, enon da oggi. Basta considerare la recente, clamorosa vicenda dello Zibaldone di Leopardi, tradotto finalmente eintegralmente, dopo quasi due secoli da quando è stato scritto, in lingua inglese, e questo solo per la tenacia diun piccolo gruppo di persone. Uscito l’anno scorso negli Stati Uniti e in Inghilterra, è stato accolto con grandeammirazione e stupore. “Possibile che esistesse un’opera di pensiero simile e che noi ancora non laconoscessimo?” si sono domandati in molti. Eppure altri grandi libri di pensiero, come quelli di Montaigne, Pascal,Nietzsche, Wittgenstein..., sono entrati in circolo in modo più rapido, diventando patrimonio anche di altre culture.Perché non è successo lo stesso con questa grandissima opera, che pure anticipa e forse addirittura oltrepassatali pensatori? C’entrano la sua asimmetrica grandezza e l’intima inaccettazione da parte della cultura italianadel suo tempo, ma se è avvenuto è anche perché non aveva trovato finora persone motivate al punto di farne unaquestione di vita o di morte. Dunque, quanto a ciò che dovrebbe cambiare in Italia nel cosiddetto mondo culturale,direi tutto. La situazione è tale che, se non cambia tutto, non cambia niente. Ci sono naturalmente delle eccezioniche anch’io ho avuto la fortuna di incontrare, ma mi pare che dal grosso della cultura italiana accreditata edell’accademia non ci si possa aspettare niente. Davvero in altri paesi va diversamente, l’eccezione è l’Italia, losto vedendo io stesso, una volta sbarcato in Francia con La lucina, c’è stata curiosità invece che sospretto, e nonho solo ottenuto una legittimazione ma anche un buon successo, c’è stato un forte passaparola di librai e lettori,e il romanzo è stato pure finalista al Premio Medicis. Un trattamento del tutto diverso da quello che mi è statoriservato per anni e anni in Italia.

Adesso tradurranno miei libri anche in altri paesi, tra cui gli Stati Uniti. All’estero hanno letto il primo libro mio chehanno avuto tra le mani senza i pregiudizi, le chiusure difensive e persino le piccole, depistanti macchine delfango con cui sono stato sempre accolto in Italia. E un’altra differenza è anche che là c’è una formidabile rete dilibrerie indipendenti, con librai esigenti in grado di dare consigli non banalmente allineati ai loro lettori. Mi pare diaver letto qualche settimana fa che la rete delle librerie indipendenti francesi ha chiuso l’anno appena trascorsocon un aumento del 20%. Vorrà dire qualcosa tutto questo? Se ne può trarre qualche utile insegnamento?

Al di là di ciò, se la mialetteratura è sopravvissuta fino a ottenere il riconoscimento che ha oggi, è stato in granparte per merito del passaparola di lettori giovani o molto giovani, una cosa che mi ha colpito e continua acolpirmi, tanto più che ho ormai la barba bianca e non sono certo uno scrittore giovanilistico e ammiccante. Forse,in ultima analisi, succede perché le persone giovani hanno un orizzonte d’attesa più ampio, non hanno paura diciò che è inaspettato e si muove fuori dai parametri prestabiliti. Perché credono ancora che la letteratura possaessere non intrattenimento per lettori addomesticati che hanno solo bisogno di passare il tempo che li divide dallapropria morte, ma anche sfondamento di piani, lacerazione, passaggio, prefigurazione, visione.”

[Immagine: Antonio Moresco (foto di Pierantonio Tanzola)].

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