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Da "Il libro delle piante magiche"
di Caterina Kolosimo
1
• Il Vilucchio: Convolvulus arvensis e Calystegia
Sepium
• La Malva
• La terribile Belladonna
• L'Aconito e lo Stramonio
• Il Giusquiamo
• La Dulcamara e l'Erba Morella
• Arum Maculatum, il "Pan di Biscia"
• La Digitale
• Il Sigillo di Salomone
• L'Ombelico di Venere
• La Drosera
• Leggende sui Mughetti
• La Quercia
• La Mela
• L'Uva Turca
2
Quando ero piccola, il vilucchio ("Convolvulus arvensis"
o la variante dai grandi fiori bianchi "Calystegia
sepium") era il mio fiore preferito! Passavo ore e ore
a raccoglierli, per adornarmi i capelli, o realizzarmi
monili intrecciando i fuscelli intricati e allacciandoli
come se fossero braccialetti e collane!
In realtà, questa pianta, così graziosa, è odiatissima
da giardinieri e agricoltori, perchè è una pianta
infestante: si avvolge attorno altre piante e le soffoca
quando crescono. I suoi fusti esili, di crescita rapida,
strisciano sul terreno e si arrampicano su qualsiasi
supporto disponibile. La sommità dei fusti ruota in
senso antiorario facendo un giro completo in meno di
due ore e avvolgendosi con rapidità intorno al
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supporto.
L'apparato radicale, esteso e profondo, tende ad
impoverire il suolo; anche dopo averla sradicata, ogni
pezzetto lasciato nel terreno sviluppa rapidamente
nuovi germogli, tornando ad infestare il terreno.
Esistono poi le varianti "Calystegia soldanella"
(Convolvolo delle sabbie), presente nella sabbia e nei
ciottoli delle spiagge,
4
e Calystegia Sepium (Vilucchione) dai grandi fiori
bianco-neve.
I fiori di Calystegia Sepium restano aperti tutta la
notte, se c'è la luna, per questo in Inghilterra la
chiamano "Gloria del Mattino"; una tipica farfalla
attratta da questi fiori è la "Sfinge del convolvolo"
5
(Herse Convolvoli) che adoperando la lunga
"proboscide" succhia il nettare secreto alla base del
fiore, impollinando la pianta. In passato le Calystegia
(Sepium e Sylvatica, con corolle che va dai 6 ai 7,50
cm) erano associate al Convolvulus, fino a che il
botanico Robert Brown non ritenne di separare
queste due piante in una nuova collocazione nella
sistematica botanica, in riferimento alle grandi
brattee che ricoprono i boccioli fiorali, lunghi e conici:
"Calystegia" deriva da "Kalyx", "coppa" e "Stege",
"coprenti".
Malva Sylvestris, presente lungo le strade polverose e
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nei terreni abbandonati, ha sempre goduto della
stima popolare, sia per la bellezza dei suoi grandi fiori
rosa-violetti sia per il suo valore come alimento e
medicinale. Già nel VIII a.C, i giovani germogli
venivano consumati come verdura e questa abitudine
persistette anche in epoca romana. Cicerone si
lamentava che questa pietanza gli avesse procurato
un'indigestione. Il poeta Marziale aveva usato Malva
Sylvestris per farsi passare gli effetti delle nottate
passate a bere e a mangiare e Plinio scoprì che la
linfa di questa pianta mescolata all'acqua gli dava
un'efficacia protezione contro i dolori di stomaco.
Nell'epoca medioevale, quando era diffusa la
convinzione che gli elisir d'amore fossero efficaci,
questa pianta godette di una reputazione come anti-
afrodisiaco, favorente cioè una condotta calma e
sobria. In tempi più recenti, le foglie di malva sono
state usate per estrarre i pungiglioni di vespa e la sua
linfa gommosa è stata ridotta in poltiglia e adoperata
come pomata rinfrescante.
L'uso delle giovani foglie di malva in insalata ha un
effetto lassativo come documenta fin dall'antichità
una lettera di Cicerone.
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Il posto d'onore tra i vegetali impiegati dalle streghe,
secondo le credenze, spetta alla Belladonna, una
pianta delle Solanacee.
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Com'è noto, la Belladonna contiene alcuni alcaloidi,
tra cui l'atropina e la scopolamina, ancora adoperati
in farmacopea. è la quantità di alcaloidi a
determinare il loro effetto positivo o negativo, e le
streghe ne usavano in grandi dosi per ottenere le loro
"visioni" (nota di Lunaria: l'uso di erbe, a scopo
divinitario/mistico è presente anche presso gli
Sciamani, si veda il blog dedicato all'argomento)
"L'atropina", ci dice Ugo Leonzio, "agisce provocando
eccitazione motoria e psichica, con offuscamento del
sensorio e della coscienza. I sintomi appaiono già dopo
la somministrazione di 5-10 mg. I soggetti intossicati
presentano fuga d'idee, loquacità, voglia di
camminare, di correre, che contrasta con le vertigini,
9
i tremori degli arti, l'andatura vacillante e
l'impossibilità di reggersi sulle gambe. Compaiono
allucinazioni visive e auditive, con eccitamento
maniacale, riso convulso o furiosa agitazione."
Con la scopolamina, ancora più velenosa, sono
sufficienti 5 mg, per ottenere allucinazioni d'intensità
maggiore. Entrambi gli alcaloidi entrano rapidamente
in circolo, sia se spalmati sotto forma di unguenti
sulla pelle, sia se assunti per fumo. La dose letale è
però molto elevata, per cui di rado si sono avuti casi
di intossicazione irreversibile.
Da "Guida pratica ai fiori spontanei in Italia"
"Cacciatela dai vostri giardini, e anche dall'uso",
implorava l'erborista del XVI secolo John Gerard,
"perchè questa pianta è furiosa e mortale".
I fagiani ne mangiano le bacche nere e lucide, senza
apparentemente risentirne, ma bastano due o tre di
questi frutti neri e seducentemente brillanti per
uccidere un bambino.
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Ogni parte di questa pianta - sinistra componente
della famiglia della patata - è pericolosa, compresi i
fiori porpora scuro. Contiene atropina, solanina,
giusquiamina, veleni alcaloidi che attaccano il sistema
nervoso, intensificando i battiti cardiaci, indebolendo
il polso e dilatando le pupille. Il nome generico
"Atropa Belladonna" si riferisce ad Atropo, una delle
tre parche, le creature che governavano la vita
dell'uomo. Atropo era la parca che recideva il filo
della vita."Belladonna" rimanda all'uso che ne
facevano le dame nel Rinascimento per dilatare le
pupille e rendere più attraente il loro sguardo.
Dal libro "Le piante medicinali" di Roberto Michele
Suozzi (1994)
Nel XVI secolo le donne veneziano usavano la
belladonna (Atropa Belladonna) per ravvivare la
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luminosità dello sguardo e per dilatare le pupille. La
belladonna è molto tossica; si trova nei boschi, in
prossimità delle siepi, e fiorisce in estate con bei fiori
rosso porpora e bacche nere e lucenti, che i francesi
chiamano "ciliegia della follia" e che, se ingerite,
possono essere mortali. La belladonna contiene
l'atropina, che è utilizzata in medicina per la sua
azione antispasmodica, antiasmatica e midriatica
(provoca dilatazione della pupilla) e anche in
preanestesia. Anticamente si preparava una "pomata
della strega" per rendere insensibile la pelle prima di
un intervento.
12
13
L'Aconito, un'erba delle Ranuncolacee, contiene un
alcaloide estremamente velenoso, l'aconitina, che ha
proprietà paralizzanti sulle terminazioni sensitive del
corpo umano. Per questo, nella realtà, le streghe nei
tempi antichi, avevano "la sensazione di volare".
Luoghi ombrosi, umidi, in prossimità dei ruscelli
rappresentano l'habitat ideale per la crescita
dell'aconito (Aconitum napellus).
è una pianta molto tossica, tanto che nell'antichità i
criminali venivano uccisi con questa droga; la sua
coltivazione fu vietata nell'antica Roma. Dalle sue
radici si ricava un farmaco antidolorifico e
antiasmatico.
Evitate di raccogliere i suoi splendidi fiori azzurro-
violacei a forma d'elmo: il veleno di questa pianta può
penetrare attraverso la pelle! (da "Le piante
medicinali" di Roberto Michele Suozzi, 1994)
14
Famoso era anche lo Stramonio.
Anche questa pianta appartiene alle Solanacee e
contiene nelle foglie e nei semi gli stessi alcaloidi della
Belladonna. Conosciuto come "pane spinoso", "erba del
Diavolo", "erba delle streghe", lo Stramonio "oltre ad
allucinazioni provoca uno stato di stupore psichico con
amnesia", scrive Leonzio.
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Nel 1527 Paracelso bruciò a Basilea i libri del sapere
ufficiale, e non esitò a dichiarare che tutte le sue
conoscenze gli venivano proprio dalle streghe. Erano
state loro ad usare la Digitale per curare le malattie
del cuore, il Giusquiamo come calmante della
muscolatura liscia, e ad imparare la dosatura delle
erbe più temibili, la Belladonna e lo Stramonio, a
scopo terapeutico: la prima era impiegata come
antispastico, il secondo come antiasmatico. Avevano
anche scoperto il rimedio per attuare i dolori del
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parto, ricorrendo alla Segala Cornuta,
una graminacea, che però contiene un fungo che
produce l'ergotina, un alcaloide tossico, in grado di
provocare stati di allucinazione. La studiosa Linda R.
Caporal ha ipotizzato che le ragazze di Salem, e più
in generale, l'isteria di massa che colpì la cittadina nel
1692, fossero i risultati di un intossicamento da
Segala Cornuta, la cui farina veniva impiegata per
preparare il pane.
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Hyoscyamus Niger è conosciuto fin dall'antichità per
le sue virtù terapeutiche, ed era compreso tra le
piante medicinali egizie perchè è nominato nel
famoso papiro di Ebers. Citato da Dioscoride, non
ignorato dagli Arabi, nel Medioevo entrò nell'alone
cupo della fama delle streghe. Il Giusquiamo è una
pianta vischiosa e fetida, i cui principi attivi ne fanno
un sedativo nervoso usato contro i dolori nevritici, gli
spasmi dell'apparato digerente, l'alcoolismo e le
malattie mentali accompagnate da eccitazione o
melanconia. Poichè contine alcaloidi velenosi la sua
utilizzazione può essere attuata esclusivamente sotto il
controllo del medico; all'esterno, un cataplasma di
foglie di Giusquiamo lenisce il dolore.
(da "Guida alle Piante Medicinali" di Paola Lanzara)
18
***
Come molte Solanacee, questa pianta ha un aspetto
insieme misterioso e affascinante. Ha proprietà
allucinogene e si dice che nel passato fosse usata per
ricavare pozioni d'amore. Come Atropa Belladonna
contiene sostanze alcaloidi (giusquiamina,
scopolamina, atropina) e ogni parte della pianta è
velenosa.
Sintomi caratteristici di avvelenamento sono: disturbi
alla vista, delirio e convulsioni, coma, morte.
Piccole quantità di questa pianta sono state per lungo
tempo usate dai medici per portare sollievo ai
sofferenti. Al tempo degli Assiri, si usava un estratto
della pianta contro il mal di denti; oggi si usano gli
alcaloidi estratti dalle foglie e dai germogli verdi della
pianta come sedativo per curare malanni quali le
malattie mentali e il mal di mare. Il nome
Hyoscyamus significa in greco "fava di porco" e allude
alla capsula, una fava velenosa, da lasciare ai porci.
19
20
Due delle mie piante preferite! Mentre la Dulcamara
l'ho vista una sola volta, da piccola, l'Erba Morella è
abbastanza diffusa persino sui marciapiedi.
21
***
In estate i fiori viola di Solanum Dulcamara spiccano
nelle siepi e ai margini dei boschi, dove il suolo è
abbastanza umido.
22
Da settembre in poi, per tutto l'autunno, le bacche di
color rosso brillante rinnovano la vistosità dei fiori.
Solanum Dulcamara è una pianta a crescita rapida,
che appoggia i suoi esili fusti ad altre piante,
utilizzandole come supporto.
23
Le bacche della Dulcamara, sebbene non velenose
come quelle della Belladonna, possono comunque
causare malesseri se ingerite.
Il nome "Dulcamara" deriva dall'unione di due parole
latine, "dolce" e "amaro", questo perchè l'alcaloide
tossico solanina, presente nel fusto, nelle foglie e nelle
bacche, conferisce a queste parti della pianta un
sapore dapprima amaro e poi dolce, per i glucosidi
che, in seguito, liberano zuccheri per idrolisi operata
dalla saliva. L'infuso e il decotto hanno azione
diuretica, depurativa, anafrodisiaca; per uso esterno,
è utile contro gli eczemi. Tuttavia si ricordi che è pur
24
sempre una pianta tossica.
Solanum Nigrum, Erba Morella (o Mora) ha invece
fiori rosastri/bianchi a forma di stella,
25
che in autunno danno alla luce delle piccole bacche
nere.
26
Il nome "Solanum" significa "sollievo" e si riferisce alle
proprietà mediche di questa pianta: in tempi antichi,
le foglie di questa piantina venivano usate per
alleviare il dolore di scottature e vesciche, mentre il
loro succo veniva considerato un colluttorio. Anche
Solanum Nigrum, come la Dulcamara, contiene
solanina, che viene prodotta durante i periodi
soleggiati.
Esistono più di 1700 specie di Solanum nel mondo,
ma solo la Dulcamara e l'Erba Morella sono presenti
in Italia; queste piante (come del resto la Belladonna!)
sono affini alla patata e anche le foglie e le bacche
della pianta della patata contengono la velenosa
solanina.
27
28
Un pomeriggio, mia zia mi portò in un grande parco,
non ricordo dove, (forse Gorla o Monza) ma era un
parco sul limitare del bosco. Ricordo che mi addentrai
nelle zone più scure, e vidi di fronte a me dei
mostruosi fiori, la pianta nota comunemente come
"Pan di Biscia" (Arum maculatum).
Erano altissimi, (o almeno, lo erano agli occhi della
me- bambina) mi fermai in contemplazione di quella
pianta, che mi parve spaventosa. Non ricordo se la
toccai, ma so per certo che se avessero avuto le
bacche, quasi certamente le avrei mangiate.
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Non ho più avuto modo di vedere il "Pan di biscia";
probabilmente è una pianta abbastanza rara, ma
credo che se mi capitasse di rivederla, mi fermerei
ancora a guardarla.
Riporto qui alcune informazioni sul "Pan di biscia";
30
"In Arum maculatum, un'ampia brattea, chiamata
spata, circonda un'infiorescenza allungata terminante
a clava, lo spadice, che emette un odore di sostanza
organica in decomposizione. Tale odore, insieme al
lieve calore emanante dallo spadice, attira gli insetti e
questi vengono intrappolati dai peli che si trovano
nello spadice, sopra i fiori maschili.
I fiori sono disposti in due gruppi: quello superiore è
formato dai fiori maschili, quello inferiore dai fiori
femminili. Gli insetti prigionieri girano attorno ai
fiori, raccogliendo e depositando il polline, finché non
muoiono o non riescono a liberarsi. Questo può
accadere quando la spata avvizzisce, dopo la
fecondazione. Nel passato, le radici venivano raccolte
per il loro alto contenuto di amido e nel secolo XVII
erano usate per irrigidire i colletti alti a piegoline,
allora di moda.
Le bacche rosse di questa pianta, che sono velenose,
possono rivelarsi letali se ingerite dai bambini: infatti,
Arum maculatum e Arum italicum sono chiamati
anche "pan di biscia".
31
L'altezza della pianta varia dai 30 ai 45 cm. Fiorisce
da aprile a giugno."
("Guida pratica ai fiori spontanei in Italia" Selezione
dal Reader's digest)
32
33
34
35
Digitalis Purpurea è una pianta di grande interesse
ma estremamente velenosa, per cui deve essere
perentoriamente esclusa dalla fitoterapia famigliare e
affidata esclusivamente ai dosaggi di un medico. Nel
XVIII secolo un medico inglese avendo imparato l'uso
di questa erba da una "vecchia delle erbe" ne
sperimentò le caratteristiche e ne divulgò le virtù, ma
subito dopo la pianta tornò nel dimenticatoio donde
fu tratta solo nel 1842 da R.P. Debreye che la
consacrò definitivamente tra i cardiotonici.
36
In Inghilterra fu il medico William Withering a
parlarne per primo, nel 1785; la chiamò "Foxglove",
"guanto di volpe".
In Italia la sia chiama "Digitale" per la forma a ditale
dei suoi fiori che Pascoli celebrò nella poesia dedicata
a questa pianta:
"Una spiga di fiori, anzi di dita/spruzzolate di
sangue/dita umane"
La parte farmacologicamente attiva sono le foglie del
secondo anno, prima della fioritura (la pianta
produce anche 80 fiori su un unico stelo), raccolte nel
pomeriggio quando è massimo il contenuto in
glucosidi. I principi attivi sono la digitossina, la
gitossina e la gitalossina, la cui concentrazione varia a
seconda delle piante, specialmente in quelle
spontanee. La Digitale è il principale medicamento
per il cuore e viene usata nelle insufficienze cardiache
e nelle turbe di ritmo.
37
Il nome Polygonatum Multiflorum ("Polys", molti, e
"Gònatos", ginocchio) è perfetto per descrivere il 38
ripiegamento ad angolo dei peduncoli fiorali che si
riscontra in tutte le specie di questo genere.
Il nome "Sigillo di Salomone" allude invece alle
macchie scure che si vedono sul rizoma, segno delle
cicatrici dei germogli aerei degli anni precedenti, da
cui si può dedurre l'età della pianta, anche se
qualcuno sostiene che si riferisca all'uso medicinale
della pianta, che "sigillava ferite e ossa rotte".
Esse sono disposte in modo da disegnare una specie di
sigillo, che la tradizione ha voluto attribuire a
Salomone in omaggio alla sua straordinaria
conoscenza del mondo vegetale. Il rizoma contiene un
glucoside affine alla convallarina del mughetto;
dissecato e polverizzato ha proprietà astringenti e
cicatrizzanti ed è ottimo in impacchi per eliminare
contusioni e distorsioni. La poltiglia ricavata dai
rizomi ridotti in polvere veniva usata per curare gli
occhi tumefatti. I frutti invece sono bacche nere,
simile a quelle dell'Erba Morella, e hanno un sapore
sgradevole.
39
Umbilicus rupestris è una pianta decisamente insolita,
che cresce sulle rocce a picco sul mare: le foglie, a
forma di disco, hanno una fossetta al centro, tale da
40
sembrare appunto un ombelico. I fiori sono lunghe
infiorescenze verdastre, con petali saldati a formare
un tubo. La pianta spesso cresce anche nelle fenditure
delle pietre.
41
Drosera Rotundifolia è una pianta che si nutre di 42
insetti dopo averli catturati con le foglie ricoperte di
una moltitudine di peli rossi, ciascuno dei quali è
sormontato da goccioline risplendenti. I moscerini ne
sono attratti ma non appena toccano il liquido ne
rimangono invischiati mentre i margini della foglia si
ripiegano verso l'interno. Le ghiandole all'apice dei
peli secernono succhi che digeriscono le parti
dell'insetto trasformandole in liquidi.
Diversi giorni dopo, la foglia si srotola e ricompaiono
le goccioline; questo comportamento è un
adattamento ai suoli acidi dove la pianta cresce
poichè non trova nel terreno nutrimenti azotati e la
pianta se li procura attraverso gli insetti.
I primi studiosi scambiarono queste goccioline per
rugiada ritenendo che la pianta fosse in grado di
trattenere l'acqua anche sotto il sole; da qui i nomi
"Rosolida, Drosera", nonché la fama di pianta magica.
43
44
Trovate su un blog.
Leggenda Medioevale
In un fitto bosco viveva una bambina che era rimasta
sola e orfana. Tutti gli animali erano suoi amici e le
facevano compagnia.
Si nutriva di tutto ciò che il bosco le offriva. Si
dissetava e si lavava con l’acqua spumeggiante di un
piccolo ruscello. Diventata grande perse l’interesse per
i suoi amici e cominciò a sentire il peso della
solitudine. Tutti i giorni erano ormai uguali: sola e
45
triste non riusciva a frenare il pianto disperato che le
scuoteva il petto.
Le sue copiose lacrime bagnavano il sottobosco. La
luna intenerita carezzò con i suoi raggi le lacrime che
si trasformarono in profumatissimi fiori bianchi, i
mughetti.
Un giorno il giovane principe Alino, d’azzurro vestito,
fu attirato dal profumo e dal candore dei mughetti.
Ne raccolse un bel po, ma fu subito colto da una
fastidiosa irritazione. Cominciò a grattarsi e a
lamentarsi. Azzurra lo sentì e corse ad aiutarlo. Lo
condusse al ruscello e gli consigliò di lavarsi. Pochi
sguardi, poche parole e… nacque l’amore. La storia,
naturalmente, ebbe un lieto fine.
Leggenda cristiana
Si narra che i primi mughetti nacquero dalle lacrime
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della Madonna sparse ai piedi della croce. Per questa
ragione e per il loro colore bianco, il mughetto
simboleggia la purezza.
Leggenda di San Leonardo
Si narra che San Leonardo dovette combattere
contro il diavolo.
Il combattimento fu cruento e durò a lungo. San
Leonardo vinse, ma perse molto sangue che cadendo
sul terreno si trasformò in bianche campanelline:
mughetto.
47
Leggenda russa
Per i russi i mughetti erano nati dalle lacrime della
bellissima Ljubava, la regina del fiume Volhov,
innamorata tradita.
L’usignolo innamorato
Un giovane usignolo s’innamorò perdutamente di una
rondinella.
48
Ogni giorno le dichiarava il suo amore: un canto
melodioso risuonava nell’aria intorno alla casa del
bosco dove le rondini avevano costruito il nido sotto il
tetto.
Gli dei, estasiati, si sporgevano dalle nuvole e le fate
del bosco dagli alberi per ascoltarlo.
La rondinella, pure, l’ascoltava, ma amava tagliare di
più l’aria con le sue ali. Col passare dei giorni il
dolcissimo canto si venò di tristezza, sempre più
profonda tanto da commuovere la fata più giovane
che fece innamorare la rondinella dell’usignolo.
Il canto d’amore riprese ad incantare e a far sognare
fate, dei, animali, uomini… tutti quelli che
l’ascoltavano.
La gioia dei due innamorati, però, durò poco: per la
rondinella giunse il tempo della partenza per i paesi
più caldi. La rondinella promise al suo amato di
tornare e gli diede alcune piume bianche, quale pegno
del suo amore, che la fata trasformò in bellissimi fiori
bianchi. Mughetti.
“Quando il primo fiore fiorirà io tornerò” disse la
rondinella.
Ecco perché gli usignoli, a primavera, aspettano la
fioritura del primo mughetto nel bosco per celebrare
49
il loro amore.
La leggenda di Fiorina
Sui monti dell'Alta Savoia, nelle lunghe veglie
invernali si narra la leggenda di Fiorina salvata
miracolosamente da un fatto eccezionale. In una
bellissima giornata di aprile, tanti e tanti anni fa, la
piccola pastorella Fiorina partì da casa per andare
all'alpe dove suo padre aveva portato il gregge a
pascolare. Quell'anno la stagione era in anticipo, e già
il caldo si faceva sentire. I fiori erano sbocciati tutti
prima del tempo e pur essendo in montagna, ai
margini del bosco i mughetti erano già fioriti e
spandevano intorno il loro profumo. Fiorina aveva
promesso al padre di non fermarsi a coglier fiori
50
perché il tempo in montagna cambia all'improvviso...
ma la bimba, Petit Fleur la chiamavano in paese, non
seppe resistere: erano così belli e così profumati. Delle
piccole campanelle che sembravano tintinnare al
vento. Ma il cielo si era oscurato, i tuoni seguivano
rapidamente ai fulmini e la piccola non aveva ancora
raggiunto l'alpe. Corse, allora, ma sul ciglio di un
burrone cadde esausta. Cadde e svenne. Quand'ecco
un tintinnio di campanelle si levò nell'aria e discese a
valle. Tutti l'udirono. E tutti pensarono che qualcosa
di eccezionale doveva essere successo in montagna, e
forse qualcuno era in pericolo. Fiorina fu salvata: i
mughetti, tutti i mughetti del bosco, per un volere
superiore, si erano messi a tintinnare. Da allora, in
quel paese i mughetti si chiamano anche "Les
clochette de la Vierge".
51
La civetteria del mughetto
E’ questa una leggenda diffusa nelle valli bresciane.
Si narra che un giorno di gioia, le fate del bosco
uscirono dalle loro case nascoste per dare una
bellissima festa tra gli alberi.
Cantarono e danzarono, spensierate e felici;
celebrarono riti ed ebbero una giornata colma di luce
e di profumi.
Ma le fate, prese dal vortice delle danze e dal delirio
dei canti, avevano abbandonato le loro tazzine di
giada per bere acqua al rio.
Le ritrovarono il giorno successivo, all’alba,
52
moltiplicate di numero e nascoste sotto il fogliame.
Il loro dio protettore avevano pensato bene di
nasconderle a sguardi indiscreti.
Poiché il prato era tutto chiazzato di piccoli calici
bianchi, la tradizione popolare fece derivare da quel
particolare il nome di “tazzine delle fate", dato ai
mughetti.
Essi, sempre secondo la tradizione, simboleggiano la
civetteria.
53
54
La Quercia, essendo un albero molto diffuso, ha dato
origine a leggende presso molti popoli europei, dai
Celti ai Romani, dagli Anglosassoni, ai Normanni,
continuando ad alimentarle attraverso l'intero
Medioevo fino ai nostri giorni. Era uno dei "sette
alberi nobili", della tradizione irlandese, e la sua
distruzione si ritorceva su colui il quale se ne era reso
colpevole con malattie, morìe di bestiame, rovesci
economici.
Quando san Columcille edificò una chiesa in Irlanda,
dopo aver incendiato una Quercia per far posto alla
costruzione, incorse nelle ire del re, il quale considerò
addirittura l'abbattimento della pianta alla stregua di
un omicidio. Il sant'uomo potè proseguire il lavore,
ma dovette impegnarsi a non toccare più alcuna
55
Quercia.
I primi norvegesi invasori delle terre britanniche
introdussero la credenza secondo cui la Quercia era
l'albero del fulmine e perciò sacra a Thor,
aggiungendo che essa offriva protezione ai viandanti
durante i temporali. Può sembrare un controsenso,
ma la doppia credenza è spiegabile per il fatto che le
querce sono frequentemente colpite dal "fuoco celeste"
e per il detto secondo cui "il fulmine non cade mai
nello stesso posto".
Di qui l'usanza ancor viva tra certi contadini, di
tagliare un pezzo di tronco colpito appunto dal
fulmine e di appenderlo sulla porta di casa proprio
come "parafulmine magico".
La Quercia venne anche considerata un'eccellente
difesa contro le streghe, tanto che persino san Bedra,
il medico inglese dottore della Chiesa, famoso erudito,
narrava che sant'Agostino da Canterbury era uso
pregare sotto le fronde di questo albero da quando re
Etelberto (un sovrano del Kent, che favorì
l'introduzione del cristianesimo nel suo regno) glielo
aveva raccomandato per evitare l'azione di sortilegi.
Il culto della Quercia venne alfine proibito dalla chiesa
56
cristiana. Fu sempre tollerato, tuttavia, l'uso di
danzare tre volte attorno all'albero dopo un
matrimonio religioso, per invocare la buona sorte
sugli sposi. Dopo questa cerimonia si usava offrire
una bevanda a base di ghiande tritate e bollite.
Contro la tonsillite si usa portare al collo una
coroncina di 9 o 13 ghiande che simboleggiano le
tonsille infiammate. Staccatene una ogni giorno e
buttatela lontano da voi: gettata l'ultima, dovreste
essere guariti. Se non accade, ricominciate con la
cura, ma bruciate le ghiande. Se è un maleficio,
arrostite le ghiande, scoprirete la persona che ha
lanciato l'incantesimo, perchè sarà colpita da una
forte raucedine.
57
Tutti conosciamo la famosa mela della Genesi, che
molti ritengono alludi al sesso femminile (quando
viene tagliata a metà); eppure la mela era famosa
anche in ere pre-bibliche, tanto che in Asia era
considerata segno di bellezza, prosperità, ricchezza.
Ciò si riflette anche in quello offerto da Paride ad
Afrodite, nel famoso giudizio che la confermò "Miss
Universo".
Ugualmente nota è la favola delle Esperidi, le quali
custodivano con il draglo Ladone i pomi d'oro su
un'isola "del più estremo Occidente", pomi rapiti, poi,
da Ercole o secondo altri, da Atlante.
Perchè pomi d'oro? Perchè alla mela erano attribuiti
eccezionali poteri ristoratori e guaritori. Un riflesso
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del giardino delle Esperidi ci è dato dalla leggenda di
Re Artù, che vuole le ferite del vecchio sovrano curate
ad Avalon, la "valle dei meli" celtica.
I Romani coltivavano la pianta con gran cura,
prevedendo sanzioni severe per chi le arrecasse
danno. In Irlanda si giunse addirittura a chiedere un
sacrificio di sangue al responsabile del
danneggiamento, il quale doveva immolare un
animale ai piedi dell'albero abbattuto: un animale le
cui carni arrostite andavano ad indenizzare il
proprietario della pianta.
Gli Scandinavi ritenevano il melo apportatore di
fortuna e bellezza, tanto che lo avevano dedicato a
Idunn, Dea del rinnovamento e dell'eterna giovinezza,
e il sidro era la loro "bevanda magica", la
corrispondenza del nettare degli Dei ellenci, che
assicurava l'immortalità.
Di riflesso le sono stati attribuiti valori afrodisiaci,
sottolineati da manuali erotici indiani, dove la
troviamo come componente principale di una pomata
ottenuta aggiungendo alla sua poltiglia pepe nero,
pepe rosso e miele.
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Da "La Dea Bianca" di Robert Graves
Anche il simbolismo della mela fu corrotto dagli
Ebrei.
La mela era sacra a Venere; che gli ebrei praticassero
un rito di adorazione del Capro (Dioniso-Capro, Pan;
gli ebrei lo chiamavano Azazel e lo sacrificavano nel
giorno dell'Espiazione), come altri popoli, è
testimoniato dal precetto deuteronomico - che per
noi suona assurdo - "Non cuocere un capretto nel
latte di sua madre", che vieterebbe quindi un rito
eucaristico non più tollerato dai sacerdoti di Jahvèh
(Nota di Lunaria: in realtà gli Ebrei inizialmente
erano politeisti: furono i violenti sacerdoti di Jahvèh, i
Leviti, e sopra di questi, l'elite dei Konath - poi Cohen
- discendenti da Aronne, che riscrissero miti e storia,
proibendo il culto della Dea Ashera "moglie" di Jahvèh
e imponendo il culto monoteista unico. In questo
modo potevano accentrare tutto il potere nelle loro
mani, dominando incontrastati, come poi è stato.
Maometto del resto fece la stessa identica cosa,
perchè per consolidare il potere, impose il culto del
solo allah, a discapito della Triplice Dea: Al Lat,
Manat, Al Uzza; gli Arabi pre-islamici erano
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politeisti!)
Lo stesso Maimonide (Ebreo Spagnolo del XII secolo
riformatore della religione giudaica) interpreta il
precetto deuteronomico come un'ingiunzione contro
la partecipazione al culto di Astaroth.
Il Dio Dioniso veniva commemorato facendo cuocere
un capretto farcito di mele: in Grecia i termini
indicanti la capra o la pecora e la mela sono identici
(melon/malum).
Eracle che riuniva in una sola persona Apollo e
Dioniso era chiamato Melon perchè i devoti gli
offrivano mele e perchè le Tre Figlie dell'Ovest (le
Esperidi: ancora la Triplice Dea) gli avevano donato il
ramo delle mele d'oro, che lo aveva reso immortale.
Si pensa che la mela abbia rivestito una così
straordinaria importante mitica perchè se si taglia
una mela orizzontalmente, ciascuna metà ha al
centro una stella a cinque punte, simbolo di
immortalità, che rappresenta la Dea nelle sue cinque
stazioni: dalla nascita alla morte e di nuovo alla
nascita. Rappresenta anche il pianeta Venere, adorato
come Espero, la stella della sera in una metà del
frutto e come Lucifero figlio del mattino nell'altra
metà
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(Nota di Lunaria: si noti come sia la mela, che il
nome Lucifero furono poi profanati dai cristiani che
diedero loro valenze negative...)
Il mito di Adamo ed Eva non è che una rielaborazione
del mito di Trittolemo, favorito dalla Dea dell'orzo
Demetra, che venne espulso da Eleusi e mandato
nell'Attica con una sacca di sementi per insegnare al
mondo l'agricoltura. [...] Il fatto che Eva "la madre
dei viventi", sia stata foggiata dalla costola di Adamo,
deriverebbe da una raffigurazione pittorica della Dea
Anatha di Ungarit ignuda, che osserva Aleyn alias
Baal mentre spinge un coltello a lama ricurva sotto la
quinta costola del suo gemello Mot: questa uccisione è
stata interpretata erroneamente come la rimozione
da parte di Jahvèh di una sesta costola, che poi
diventerà Eva.
(Nota di Lunaria: i cristiani hanno persino
perfezionato la misoginia del mito: pontificarono
l'inferiorità morale della donna perchè "tratta" da
una costola ricurva - e lo stesso Maometto avvalora
questo precetto, parlando della debolezza e della
curvità delle donne e quindi della necessità della loro
sottomissione. Sicuramente i Greci furono un popolo
misogino, e tra i più misogini nell'antichità, ma ai
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livelli dei popoli del dio unico non ci arrivarono: San
Tommaso d'Aquino è molto più misogino di
Aristotele, del resto, che ci risparmiò il concetto di
"dio che nasce maschio in terra".)
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Phytolacca Decandra è conosciuta col nome "Uva
Turca" ed è diffusa anche nelle città.
Importata dall'America settentrionale nel XVII secolo,
si è poi spontaneizzata nella regione mediterranea. è
un arbusto dalle infiorescenze bianche cui fanno
seguito bacche rosse contenenti una sostanza usata un
tempo per tingere vini, liquori e dolci; le bacche, di
sapore gradevole, mangiate in gran quantità possono
però provocare avvelenamenti. La parte
terapeuticamente più attiva è la radice, ma anche il
resto delle pietre conviene gli stessi principi attivi che,
in dosi eccesive, possono diventare tossici. La radice è
usata in polvere come purgativo e depurativo, e
anche contro l'obesità; la sua azione viene indicata
come terapeutica anche per gli effetti da reumatismo
cronico. I giovani turioni e le foglie vengono consumati
cotti.
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