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«Philomusica on-line» – Rivista del Dipartimento di Musicologia e Beni culturali e-mail: [email protected] – Università degli Studi di Pavia <http://philomusica.unipv.it> – ISSN 1826-9001 – Copyright © 2014 Philomusica on-line – Pavia University Press Philomusica on-line 13/2 (2014) Dal dance floor al grande schermo L’electronic dance music nel cinema di fine millennio Maurizio Corbella Dipartimento di Beni culturali e ambientali – Università degli Studi di Milano [email protected] § Alla fine degli anni Novanta il cinema ha avuto un ruolo significativo nel ‘rimediare’ l’electronic dance music (EDM) impiegandola come risorsa so- nora per la costruzione di nuove gram- matiche audiovisive. L’articolo offre un quadro esemplificativo di alcune moda- lità d’impiego cinematografico dell’EDM, attraverso l’analisi di sequenze tratte da Trainspotting, Fight Club, Go e Re- quiem for a Dream. L’analisi si articola in quattro sezioni, rispettivamente dedicate a mettere in luce: (1) il concor- so di procedure compositive dell’EDM, sound design e montaggio video digitale alla realizzazione di accentazioni cross- modali, sullo sfondo di una concezione cinetico-patemica dell’esperienza au- diovisiva; (2) l’enfasi sul film come ‘traccia’ audiovisiva da performare, espletata nel parallelo tra filmmaker e disc-jockey; (3) la permeabilità di un dispositivo narrativo filmico come la voce narrante rispetto al modello del master of ceremonies (MC) presente in molte pratiche EDM; (4) la rinegozia- zione del pubblico dell’EDM operata dal cinema, che ha ampliato l’orizzonte sostanzialmente sotto-culturale dell’EDM verso un orizzonte mainstream. § By the end of the 1990s, cinema had a significant role in ‘remediating’ electronic dance music (EDM) and using it as a sonic resource for con- structing new audio-visual gram- mars. This article provides an over- view of the main modalities through which such integration took place and analyses sequences from Train- spotting, Fight Club, Go and Requiem for a Dream. The analysis unfolds over four sections, respectively aimed at highlighting: (1) the convergence of compositional pro-cedures of EDM, sound design and digital video ed- iting for the realization of cross-modal accents, against the backdrop of a cinetic-pathemic conception of audio- visual experience; (2) the emphasis on film as an audiovisual ‘track’ to be performed, exhibited in the parallel between the filmmaker and the disc- jockey; (3) the permeability of a film narrative device such as the voice- over to the model of the master of ceremonies (MC), which is present in several EDM practices; (4) the re- negotiation of EDM audiences trig- gered by cinema, which shifted the substantially sub-cultural horizon of EDM to the mainstream.

Dal dance floor al grande schermo

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«Philomusica on-line» – Rivista del Dipartimento di Musicologia e Beni culturali e-mail: [email protected] – Università degli Studi di Pavia

<http://philomusica.unipv.it> – ISSN 1826-9001 – Copyright © 2014 Philomusica on-line – Pavia University Press

Philomusica on-l ine 13/2 (2014)

Dal dance floor al grande schermo L’electronic dance music nel cinema di fine millennio

Maurizio Corbella Dipartimento di Beni culturali e ambientali – Università degli Studi di Milano [email protected]

§ Alla fine degli anni Novanta il cinema ha avuto un ruolo significativo nel ‘rimediare’ l’electronic dance music (EDM) impiegandola come risorsa so-nora per la costruzione di nuove gram-matiche audiovisive. L’articolo offre un quadro esemplificativo di alcune moda-lità d’impiego cinematografico dell’EDM, attraverso l’analisi di sequenze tratte da Trainspotting, Fight Club, Go e Re-quiem for a Dream. L’analisi si articola in quattro sezioni, rispettivamente dedicate a mettere in luce: (1) il concor-so di procedure compositive dell’EDM, sound design e montaggio video digitale alla realizzazione di accentazioni cross-modali, sullo sfondo di una concezione cinetico-patemica dell’esperienza au-diovisiva; (2) l’enfasi sul film come ‘traccia’ audiovisiva da performare, espletata nel parallelo tra filmmaker e disc-jockey; (3) la permeabilità di un dispositivo narrativo filmico come la voce narrante rispetto al modello del master of ceremonies (MC) presente in molte pratiche EDM; (4) la rinegozia-zione del pubblico dell’EDM operata dal cinema, che ha ampliato l’orizzonte sostanzialmente sotto-culturale dell’EDM verso un orizzonte mainstream.

§ By the end of the 1990s, cinema had a significant role in ‘remediating’ electronic dance music (EDM) and using it as a sonic resource for con-structing new audio-visual gram-mars. This article provides an over-view of the main modalities through which such integration took place and analyses sequences from Train-spotting, Fight Club, Go and Requiem for a Dream. The analysis unfolds over four sections, respectively aimed at highlighting: (1) the convergence of compositional pro-cedures of EDM, sound design and digital video ed-iting for the realization of cross-modal accents, against the backdrop of a cinetic-pathemic conception of audio-visual experience; (2) the emphasis on film as an audiovisual ‘track’ to be performed, exhibited in the parallel between the filmmaker and the disc-jockey; (3) the permeability of a film narrative device such as the voice-over to the model of the master of ceremonies (MC), which is present in several EDM practices; (4) the re-negotiation of EDM audiences trig-gered by cinema, which shifted the substantially sub-cultural horizon of EDM to the mainstream.

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Premessa

UE ordini di considerazioni suggeriscono l’avvio di un’indagine sui modi d’integrazione tra musica elettronica popular e cinema. In primo luogo la

musica per film, a partire dagli anni Ottanta (ma con un incremento decisivo negli anni Novanta), ha adottato metodi compositivi e procedure organizzative plasmate in misura sempre più determinante su strumenti tecnologici come sequencer, campionatori e sintetizzatori digitali.1 V’è dunque una contiguità più che apparente tra essa e pratiche musicali che su quegli strumenti hanno fondato i propri valori strutturali ed estetici: tra queste, i generi identificati entro l’etichetta electronic dance music (EDM) svolgono un ruolo di primaria importanza. La seconda considerazione è di natura audiovisiva. L’affermarsi, anche in questo caso a partire dagli anni Ottanta, di tecnologie che permetto-no il montaggio digitale di suono e immagine, ampiamente sfruttate nell’allora nascente industria del videoclip musicale, ha dato impulso a una trasforma-zione della grammatica cinematografica, osservabile soprattutto in una generazione di filmmakers formatasi in quella temperie, che ha saputo tradurre queste competenze in poetiche espressive (CALAVITA 2007, pp. 19-20). Thomas Elsaesser ha sottolineato come il cinema digitale si sia reso portatore di un «mutamento d’enfasi dalla produzione alla post-produzione» (ELSAESSER 2013, p. 35): in tal senso l’attenzione verso un macro-genere musicale come l’EDM, per la gran parte fondato sulla post-produzione, può costituire una chiave d’accesso ad alcune dinamiche dello scenario audiovisivo contemporaneo.

In questo articolo mi occupo di alcuni film realizzati alla fine del secolo scorso, che in varia misura portano il segno di quella stagione. Soprattutto condividono l’impiego pervasivo di EDM, che in quegli anni raggiungeva una forma di autoconsapevolezza storica proprio allor quando si frammentava in decine di varianti stilistiche e sottoculturali, segno di massima vitalità.2 Come vedremo, l’investimento su tale tipologia musicale ha implicazioni importanti sulla retorica discorsiva dei film in esame. Questo articolo presuppone l’esistenza di un fil rouge che collega film come Trainspotting (1996) e The Beach (2000) di Danny Boyle, Fight Club (1997) di David Fincher, i due film d’esordio di Darren Aronofsky, ∏ (Pi greco: Il teorema del delirio, 1997) e Requiem for a Dream (2000), Lola rennt (Lola corre, 1998) di Tom Tykwer e

1 I film music studies hanno negli ultimi anni moltiplicato gli sforzi per entrare nelle pieghe delle dinamiche produttive e industriali della musica per film contemporanea: tra i molti esempi mi limito qui a segnalare un passaggio della lunga intervista di Ron Sadoff a Ira Newborn in cui si discute dell’impatto del digitale nelle metodologie compositive (NEWBORN – SADOFF 2010, pp. 6-7) e gli studi che hanno messo in luce i cosiddetti toolkits di Trevor Jones (SAPIRO – COOPER 2008, COOPER 2009). 2 «Electronic dance music since the 1990s has been characterized by a dramatic increase in the number of genres under its fold and the terms used to describe them. By the turn of the century, genre labels in use included trance, progressive house, nu-NRG, deep house, tech-house, minimal techno, glitch-pop, IDM, two-step, happy hardcore, big beat, funky breaks, electro, and breakbeat – to name just a few» (BUTLER 2006, p. 47).

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Go (Go – Una notte da dimenticare, 1999) di Doug Liman.3 La natura di questo legame è eminentemente musicale e discende dalle peculiari tecniche compositive che contraddistinguono l’EDM, le sue caratteristiche morfologico-strutturali e il suo orizzonte di fruizione.

L’ipotesi preliminare alla base della mia indagine è che la presenza perva-siva di EDM abbia influenzato in modo coerente le strategie di costruzione dei film presi in esame, al netto delle specificità stilistiche e delle poetiche di ciascun autore. In seconda battuta, rilevo come l’impiego di tale musica tematizzi una forma di reazione a un modello di teen cinema la cui retorica discor-siva è stata stigmatizzata come ‘MTV oriented’ e i cui tratti distintivi sono stati messi in luce da vari autori, tra cui Kay Dickinson:

rapid edits, often constituted from restless moving shots, zooms and swish pans of, at times, less than a second’s length. Tempo is sustained through an impatience with the shot/reverse shot typical of film dialogue. Cuts between characters mid-speech which serve little reactive purpose […] are not infrequent. Cinematically unconventional montages built up of shots covering objects from slightly differing angles are brutally intercut with disjunctive single shots bearing other subject matter. At times, the pace is accelerated by a blatant, even comedic, use of speeded up footage (DICKINSON 2001).4

Al di là del fatto che una riduzione di questi tratti al solo modello comuni-cativo del videoclip sia stata ampiamente messa in discussione come «simpli-stic […,] somewhat wrongheaded and […] ahistorical» (CALAVITA 2007, p. 17), ci è utile segnalare che i film presi in esame, pur condividendo molte delle caratteristiche testé elencate, sembrano piuttosto usarle per proporre una critica di tale modello: paiono cioè inclini a sondare i risvolti sociali ed esistenziali che sottostanno all’impiego di tali tratti stilistici. In altri termini, questo cinema si interroga sul mutamento del paesaggio mediale di cui è esso stesso parte, proponendo letture tendenzialmente distopiche, che passano anche attraverso una contrapposizione tra forme musicali che, pur riconduci-bili all’etichetta popular, sono strutturalmente diverse nei presupposti compositivi e negli esiti.

Sotto il profilo musicale occorre per esempio notare che la forma-canzone, elemento ovviamente cruciale nel formato del videoclip e strutturan-te nei teen movies a esso accostati,5 è invece ridimensionata o comunque reinventata nelle pellicole qui prese in esame, in nome di configurazioni più mobili che si reggono proprio sul fluido apparato formale delle EDM. Ricorda in proposito Mark J. Butler: «In EDM, it is certainly possible to map these characteristics onto individual tracks in isolation […]. Nevertheless, it is

3 Cfr. Filmografia per maggiori dettagli sui film citati. 4 La descrizione di Dickinson si riferisce a William Shakespeares’ Romeo + Juliet (B. Lurhmann, 1996) ma è dall’autrice portata a esempio di una tendenza più ampia. 5 Tra i titoli citati da Dickinson troviamo per esempio: Flashdance (A. Lyne, 1983), Top Gun (T. Scott, 1986), Batman Forever (J. Schumacher, 1995) e The Faculty (R. Rodriguez, 1998) (DICKINSON 2001).

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ultimately more productive and accurate to conceive of the structure of an EDM work as open» (Butler 2006, p. 203; enfasi dell’autore). L’‘apertura’ descritta da Butler, su cui torneremo, non va qui considerata tanto in senso orizzontale, per quanto nell’EDM, come in altri generi di musica groove-based a essa imparentati, la definizione di track sia più sfumata che non in altri ambiti popular, quanto piuttosto in senso verticale; osserveremo, per esem-pio, come l’EDM si presti a incorporare di volta in volta altri elementi della soundtrack del film, quali dialoghi, voci narranti ed effetti sonori, tramutan-doli temporaneamente in oggetti ‘musicali’: l’orizzonte formale della canzone può essere talora evocato o addirittura sbalzato, ma non è l’unico esito possi-bile nell’organizzazione del materiale sonoro e musicale. In altri termini sarà interessante mettere in luce quanto l’impiego di EDM si tramuti in approccio compositivo alla soundtrack basato sull’elaborazione di materiali ‘grezzi’ (moduli, layers, grooves, ecc.) soggetti a possibilità combinatorie e manipolato-rie, invece che di materiali chiusi dotati di drammaturgia interna pre-esistente.6

Sul versante narrativo, il carattere iperrealistico e distopico che accomuna il plot di queste pellicole è rispecchiato in una particolare forma di intermedia-lità in cui il cinema – il medium antico – rappresenta, critica, interagisce e si mescola con media più recenti – quali la televisione, i videogiochi e la realtà virtuale – secondo un meccanismo ampiamente descritto da Jay David Bolter e Richard Grusin nel loro saggio sulla ‘rimediazione’. Il volume di Bolter e Grusin vedeva la luce proprio alla fine del millennio (1999) e si apriva con una citazione da Strange Days (1995),7 un film che, seppure non direttamente attinente sul piano musicale, ho tenuto sullo sfondo della mia trattazione, insieme ad altre pellicole emblematiche di queste tendenze.8 Allo stesso tempo, oggetto della rimediazione cinematografica è soprattutto l’EDM in quanto pratica musicale che dà luogo a valori relazionali e ideologici incarnati dalle cosiddette EDMCs (electronic dance music cultures). Cercherò pertanto di illustrare come il cinema rielabori e risemantizzi, entro i suoi collaudati dispositivi narrativi, gli orizzonti di significazione di cui la EDM si fa veicolo, in qualità di pratica largamente accessibile e sempre più ampiamente ‘consu-mata’ in svariati momenti della quotidianità – non solo, quindi, nei luoghi originariamente a essa adibiti, quali club, discoteche o rave party. 6 «In fact, most EDM is made with the understanding that it will be manipulated. This expectation stands out clearly in participants’ characterizations of the functions of records. They frequently described records as ‘tools’» (BUTLER 2003, p. 279) 7 «Strange Days captures the ambivalent and contradictory ways in which new digital media function for our culture today. The film projects our own cultural moment a few years into the future in order to examine that moment with greater clarity. The wire is just a fanciful extrapolation of contemporary virtual reality, with its goal of unmediated visual experience. […] Still, contemporary virtual reality is, like the wire in Strange Days, an experiment in cinematic point of view» (BOLTER – GRUSIN 1999, p. 4). 8 A beneficio della lettura, cito alcuni titoli che hanno costituito parte integrante della mia perlustrazione: accanto a Strange Days di Kathryn Bigelow e a Romeo + Juliet di Baz Lurhmann, Natural Born Killers (1994) di Oliver Stone, il primo episodio della trilogia The Matrix (1999) di Andy e Lana Wachowski, Magnolia (1999) di Paul Thomas Anderson e Memento (2000) di Christopher Nolan.

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Se scelgo di privilegiare una prospettiva trasversale su più film all’affondo analitico su un singolo caso di studio, ciò è dovuto soprattutto al fatto che allo stato dell’arte si può contare su alcune valide analisi monografiche realizzate da altri autori, che costituiscono il punto di partenza al quale aggiungere nuovi esempi analitici. I due testi a cui mi riferisco sono dedicati rispettivamente a ∏ (KULEZIC-WILSON 2008)9 e a tre film di Tykwer, tra cui Lola rennt (SPRING 2010).10 A partire da essi è possibile tracciare alcune sintetiche linee di indagine:

a) a livello micro-strutturale, l’EDM favorisce il formarsi di complesse configurazioni di ritmo audiovisivo: tipico è l’uso di tecniche definibi-li come ‘accentazioni cross-modali’, in cui ‘accenti visivi’11 sono posti in «congruenza strutturale» (SPRING 2010, p. 3) con accenti sonori propri della musica o di effetti di sound design. Tali configurazioni – di per sé affatto nuove e presenti nella grammatica cinematografica almeno fin dalle teorizzazioni di Ejzenštejn – sono in questi casi for-temente influenzate dalle tecniche di looping e sampling, che infor-mano le EDM e in particolari generi musicali quali l’hip hop e la te-chno, e su una gestione digitale delle sincronie audio-video che permette anche micro-interventi e la possibilità di tornare sulle pro-prie decisioni;

b) a livello medio- e macro-strutturale, l’impiego di tracce composte secondo la sovrapposizione di pattern ritmico-melodici su un flusso di beat regolare, a sottolineare intere sequenze o porzioni di film an-che più ampie, funziona insieme da piede ritmico, impulso cinetico e collante patemico di intere sequenze;12 allo stesso tempo esso è anche un terreno su cui si innestano configurazioni devianti, effetti-sorpresa e discrasie, grazie all’intervento del sound design. Come già anticipato, in presenza di una traccia di EDM, intesa come oggetto formale aperto e manipolabile, bisognerà prestare attenzione al rap-porto verticale che si istaura con gli elementi del sound design e le componenti verbali del discorso filmico.

9 Prevedibilmente, l’interesse musicologico per il cinema di Aronofsky è in netta crescita in questi anni: nell’affrontare Requiem for a Dream terrò presente una relazione di Meghan Joyce presentata alla Music and the Moving Image Annual Conference 2013 (JOYCE 2013), segnalando che la stessa autrice sta lavorando a una tesi di dottorato sulle collaborazioni tra Aronofsky e il compositore Clint Mansell, presso la UCSB. 10 Gli altri due film analizzati da Spring sono Winter Sleepers (1997) e The Princess and the Warrior (2000). 11 «For example, the motion of a character across a frame serves as an accent when the remaining contents of the mise-en-scène are relatively immobile. Or, shots of short duration qualify as accents when they are inserted into sequences comprising shots of longer duration» (SPRING 2010, p. 3). Per una disamina teorica sulla nozione di accentazione cross-modale, cfr. LIPSCOMB 2013. 12 «The role of the sound track is also crucial in how it acts as the unifying agent for the sequences made of different visual fragments. The agitated rhythm of the camera movement and the different speeds of camera work could easily be perceived as an indistinct flow of images if there were no sound effects and music to establish their pulse. Finally, the general kinetic drive of the film is inevitably influenced by the affective properties of the employed music» (KULEZIC-WILSON 2008, p. 31).

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Seguendo tale bipartizione, il resto di questo articolo sarà organizzato secondo due direttrici analitiche: l’indagine di fenomeni micro-strutturali a partire da quanto è stato notato in relazione a Tykwer e Aronofsky; l’indagine di fenomeni medio- e macro-strutturali connessi alla sovrapposizione tra oggetti di sound design e tracce elettroniche, con particolare attenzione alle configurazioni della voce narrante.

Micro-sincronie e presente esteso

Darren Aronofsky non ha mai fatto mistero di quanto le sue distintive tecniche di montaggio siano state influenzate da pratiche musicali contemporanee al periodo della sua formazione, primo fra tutti l’hip hop.

I grew up in Brooklyn during the eighties and the golden age of hip hop; before Eminem. As a kid I was a really bad graffiti artist and a really bad break-dancer but I still wanted to take some hip hop ideas and apply them to narrative filmmaking. So that’s where all the fast cutting came from. It just happened to work really well with the idea of obsession and addiction (HARKNESS – ARONOFSKY 2001).

La musica elettronica e la sintesi sonora hanno storicamente rappresenta-to un’opzione ampiamente sfruttata per la rappresentazione di situazioni di alienazione e alterazione psico-percettiva al cinema. Ciò che tuttavia differen-zia esempi storici, di cui mi sono occupato altrove (CORBELLA 2011, CORBELLA

– WINDISCH 2013), da quelli trattati in questa sede è, per usare una formula sufficientemente comprensiva, il fattore di embodiment che la musica elettronica popular presuppone. Del resto, se è vero che un pioniere della musica concreta come Pierre Henry stigmatizzò la musica elettronica popular come «troppo connessa alle reazioni fisiologiche e non abbastanza a quelle mentali» (cit. in COLLINS – SCHEDEL et al. 2013, cap. 8), è proprio perché in essa si ritrovano accentuati due fattori determinanti e tra loro collegati, diversamente rintracciabili nelle esperienze di musica elettronica sperimenta-le di area ‘colta’: il fattore ‘cinetico’ e quello ‘patemico’ che si appellano rispettivamente a due orizzonti simbolici altamente feticizzati nel contesto delle EDMCs e in generale della popular culture – il groove e il sound. Se il primo riguarda il concorso ritmico del corpo all’ascolto, il secondo è collegato alle modalità immersive con cui il sound design contemporaneo mette in atto strategie di «pressione psicologica» e «manipolazione diretta del subconscio [del fruitore], non mediata da processi cognitivi consci basati sulla rappresen-tazione» (ALBERT 2011, p. 220).

Tale saldatura ‘patemico/cinetica’ trova nel cinema un veicolo privilegiato di realizzazione, poiché il film è in grado di rifornire l’embodiment sonoro di immaginario narrativo e, al contempo, di attivare in esso una modalità autoriflessiva senza tuttavia perdere gli elementi di ‘piacere’ fisiologico a esso connessi: dal momento che al cinema, salvo casi eccezionali, lo spettatore non si muove né tanto meno danza, questi in un certo senso ‘sublima’ le proprie

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sensazioni fisiologiche sotto forma di immaginazione. Tale caratteristica può essere osservata con accezioni diverse nelle pellicole che ho analizzato, a cominciare dal cinema di Aronofsky. La tecnica di fast cutting di cui si hanno impieghi pervasivi in ∏ e soprattutto in Requiem for a Dream, battezzata dal regista «hip hop montage», consiste in un montaggio veloce sincronizzato con un sound design improntato su tecniche di sampling. Ne derivano pattern di ritmo audiovisivo che assumono valore motivico nella narrazione, per l’impiego ricorrente che ne viene fatto. Nel caso di ∏, il principio costruttivo adottato per il montaggio diventa asse drammaturgico portante, poiché il film narra le vicende di un genio della matematica che è convinto che la realtà sia organizzata su ricorrenze numeriche: «∏ is a film about patterns, based on patterns» (KULEZIC-WILSON 2008, p. 19).

The network of patterns in the editing and in the sonic and visual design creates a complex repetitive structure that, in its dramaturgical rhythm and the gradual intensification of the ‘dynamic’ level that some of the repetitions create, resembles a more musical than narrative film form. The headache sequences are a good example of segments that are given a particularly significant place structurally, dramaturgically, and stylistically (ibid., p. 21).

In Requiem for a Dream la dipendenza da vari tipi di droghe (eroina, ecstasy, pillole dimagranti, televisione) che invariabilmente affligge tutti i personaggi è resa in forma di pattern da un montaggio veloce in cui si susseguono dettagli ravvicinati raffiguranti parti del corpo (bocca, pupilla, ecc.), immagini macro-fotografiche delle sostanze (molecole, plasma, ecc.) e particolari della ‘strumentazione tecnologica’ (accendino, stantuffo, teleco-mando ecc.). Il senso di prossimità con cui la macchina da presa iper-focalizza, quasi deformandolo, il piano visivo, è rispecchiato dal sound design, che porta altrettanto ‘in primo piano’ l’elemento sonoro (suoni vocali, click, glissandi ecc.), predisponendo lo spettatore a un atteggiamento empatico.

Se i pattern audiovisivi legati alla dipendenza da sostanze acquisiscono valore patemico, è sul piano cinetico che si saldano con l’elemento propria-mente musicale. Al suo primo impiego (0:05:31-0:06:05), il pattern audiovisi-vo legato all’endovena di eroina lancia – proprio come un break ritmico – la traccia Party [a] di Clint Mansell, durante la quale Harry (Jared Leto) mixa al piatto, evidentemente sotto l’effetto della dose appena somministratasi, mentre il suo compare Tyrone (Marlon Wayans) danza in stile hip hop. Il trattamento ritmico è ancora più evidente nella seconda occorrenza (0:15:16-0:15:51), in cui il pattern audiovisivo, questa volta raffigurante l’assunzione di ecstasy, è totalmente integrato in una sequenza che ha il sapore di un videoclip: Marion (Jennifer Connelly) in primissimo piano esclama «Anybody wanna waste some time?»; la frase svolge ritmicamente il ruolo di anacrusi della traccia musicale successiva (Party [b])13 che, in corrispondenza

13 Nella edizione discografica della colonna sonora, le due tracce si intitolano semplicemente Party. Esse naturalmente si richiamano l’una con l’altra, trattandosi verosimilmente di due

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dell’accento prosodico «time», attacca con un’introduzione del sintetizzatore della durata di 4 battute; su di essa si innesta il pattern audiovisivo che raffigura l’assunzione delle pasticche,14 i cui tre suoni corrispondenti alla bocca che inghiotte le pasticche sono sincronizzati con le posizioni 1, 3 e 4 della quarta battuta, costituendo di fatto un ‘lancio’ anacrusico del groove che attacca a battuta 5 (Esempio 1).

Esempio 1. Requiem for a Dream (0:15:16-0:16:51): Sincronizzazione audiovisiva delle battute 3-4 della traccia Party [b] (trascrizioni mie).

La traccia Party [b] si sviluppa per le successive 22 battute mentre l’immagine ci mostra, deformata dall’ottica grandangolare e a velocità acce-lerata, le fasi di un party a base di droghe con in primo piano il piatto della console di Harry, azionato rispettivamente da quest’ultimo in compagnia di Marion e da Tyrone; durante la scena, fuori campo ascoltiamo le voci dei tre personaggi che fantasticano sui loro piani per fare fortuna nel business dello spaccio, in un dialogo fortemente imbrigliato nel groove ritmico al punto da sembrare quasi rappato; a sancire la fine della sequenza è di nuovo il primo piano di Marion, la cui domanda «What’s the catch?» – che comincia a tempo su quello che sarebbe il primo quarto della battuta 27 – è ‘lanciata’ da un effetto sonoro sul quarto tempo di battuta 26.

Tale esempio ci consente di introdurre alcune considerazioni sulle possi-bilità di rappresentazione del tempo narrativo rese possibili dagli espedienti compositivi appena descritti. Incorniciata dai due primi piani di Jennifer Connelly nella medesima posizione, la scena del party accade in un tempo ‘altro’, sovrapposta al tempo ‘reale’ del dialogo (e in tal senso è interessante che sia configurata dalla battuta di Marion come una «waste of time»). Fin

tranche dello stesso ‘mix’. Io ho scelto per chiarezza di distinguerle tramite lettere alfabetiche. Per indicazioni discografiche dettagliate, cfr. Discografia. 14 I fotogrammi raffiguranti l’assunzione delle pasticche rimandano direttamente – vera e propria autocitazione – all’analogo pattern che si ritrova in ∏ (KULEZIC-WILSON 2010, p. 23).

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dalla sceneggiatura di lavorazione, la volontà di creare un cortocircuito temporale è eloquente. Aronofsky riferisce esplicitamente l’intenzione di condensare in tre minuti una scena di tre ore (1999, p. 16).15 Ma in realtà il film si spinge ben oltre: il montaggio comprime il party in addirittura trenta secondi, la durata della traccia musicale, riducendo il dialogo a un essenziale scambio di battute. Il fatto che anche quest’ultimo risulti ‘imbrigliato’ ritmicamente nella traccia elettronica, attiva nel fruitore un’esperienza di eccitazione psico-fisica plausibilmente empatica a quella dei personaggi sotto l’effetto di stupefacenti; non si tratta dunque di un linguaggio esplicitamente surreale, bensì di un insieme di procedure che cerca di emulare uno stato percettivo plausibile, nelle condizioni di un partecipante a un rave party.

Esempio 2. Requiem for a Dream (0:15:16-0:16:51): lo schema tenta di rendere conto della configurazione temporale della sequenza in esame.

L’Esempio 2 cerca di rendere con mezzi grafici tale complessa configura-zione narrativa: i tre piani audiovisivi identificati dai numeri – il party (1), il dialogo (3) e l’assunzione di ecstasy (2) – a cui corrispondono rispettivamente tre strati sonori (musica di Clint Mansell, voci dei personaggi, effetti di sound design), procedono su tempi narrativi potenzialmente permutabili. Sta all’im-maginazione dell’audiospettatore decidere una sequenza possibile degli eventi. Formulo sinteticamente una serie di ipotesi di consequenzialità, tutte a loro modo plausibili: (a) i tre personaggi hanno organizzato un party, assumono ecstasy e, mentre la casa si popola di ospiti, fantasticano sul loro futuro; (b) i tre assumono ecstasy e si scatenano in un party al quale invitano altri amici e, in un momento imprecisato della serata, fantasticano sui loro piani; (c) i tre personaggi assumono ecstasy e fantasticano sui loro piani; a un certo punto della serata danno inizio a un party a cui prendono parte anche altre persone.

15 L’elemento della velocità, già notato da Dickinson in relazione all’MTV aesthetic, è ribadito come caratteristica portante del cinema contemporaneo anche da Lara Thompson (2011).

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In realtà l’audiospettatore non ha tempo di formulare alcuna di queste ipotesi, perché tutto accade troppo velocemente. Ciò che è chiaro è che egli è privato della possibilità di esperire il tempo in modo lineare; Aronofsky è interessato a creare le condizioni patemiche e cinetiche favorevoli a che l’audiospettatore si abbandoni alla tempesta di stimoli audiovisivi in uno stato di ‘trance’, vigile quel tanto che basta per immagazzinare le poche informazioni necessarie al prosieguo della trama (per l’appunto contenute nel dialogo dei personaggi).

Katherine Spring ha proposto un convincente quadro ermeneutico in cui è possibile calare anche l’esempio appena illustrato. Esso si basa sulla categoria di perceptual present che deriva dagli studi di area neuro-cognitiva ed è, peraltro, da molti anni invocata da Philip Tagg nei suoi studi sulla popular music, sotto l’etichetta di extended present, per rendere conto della natura musematica della semiosi musicale.16 Per Spring, la musica elettronica popu-lar contemporanea tematizza la possibilità di articolare, dilatandola, l’espe-rienza del presente, secondo una logica che Tagg chiamerebbe di «sincrisi intensionale» (intensional syncrisis).

Estimated to last between three and eight seconds, the perceptual present is defined as the part of an experience that is accessible to one’s consciousness, devoid of memory, at any given moment. It consists of the contents of the present before the brain stores them in short-term memory. Whether or not composers are aware of the rules of music cognition, they may use techniques of the medium in order to manipulate a listener’s sense of the perceptual present, creating impressions of expanded or contracted time (SPRING 2010, p. 5).

Il film è in grado di governare in un unico flusso, strati sonori e visivi che possono fare riferimento a dimensioni temporali differenti. Spring ha in mente i film di Tykwer, ma in realtà esempi analoghi si ritrovano frequente-mente nei film che ho analizzato.

Emblematico è il caso di Go. La trama del film è articolata in tre segmenti narrativi che ripercorrono, secondo una modalità evidentemente influenzata dal modello di Pulp Fiction (Q. Tarantino, 1994), il lasso temporale di una notte particolarmente movimentata, intrecciando le vicende di tre gruppi di personaggi. Il primo segmento presenta vari usi interessanti di EDM, in quanto coincide con il tentativo da parte di tre amici guidati da Ronna (Sarah Poller) di raggirare uno spacciatore di ecstasy (Timothy Olyphant). A partire dal momento in cui Mannie (Nathan Bexton) assume due pasticche, interven-gono alcune sequenze in cui la musica, in stretta congruenza con il video, assume il compito di focalizzare la distorsione percettiva del personaggio. Intorno al minuto 23 accade l’esempio più significativo ai nostri scopi: mentre Ronna sta trattando con lo spacciatore, la macchina da presa si disinteressa della scena principale per andare letteralmente a cercare Mannie (azione enfatizzata dall’uso della macchina a mano) che segue la conversazione

16 Numerosi i contributi di Tagg che si appellano a questa nozione. Mi limito a segnalare TAGG 2009, pp. 161-162.

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qualche metro più indietro. Mentre si avvertono fuoricampo le parole di Ronna, l’attacco della traccia17 coincide con una serie di otto bruschi stacchi di montaggio che, nello spazio di appena una battuta musicale, frazionano l’avvicinamento progressivo della macchina da presa a Mannie. Gli stacchi di montaggio (jump cut) avvengono in sincrono con alcuni accenti della prima battuta della traccia, che corrispondono alla coda di delay di un elemento percussivo filtrato che decade in dissolvenza nel giro di tre battute (Esempio 3).

Esempio 3. Go (0:23:47-0:24-55): sincronizzazione audiovisiva nella prima battuta della traccia [sn]. Vengono mostrate le corrispondenze tra ritmo sonoro e ritmo visivo.

La tecnica qui illustrata è tipica ancora una volta di molti videoclip, ma la sua immissione nel tessuto di un découpage realistico stabilisce una disconti-nuità spazio-temporale che può essere interpretata in due modi: 1) come ellissi, in certa misura corrispondente a un’intermittenza percettiva da attribuire al soggetto dell’inquadratura (Mannie, che sta progressivamente perdendo lucidità); 2) come velocizzazione del flusso visivo cui corrisponde una dilatazione di quello temporale.

17 Non è stato possibile rintracciare i riferimenti di questa traccia nell’edizione discografica della colonna sonora del film. Brian Transeau (in arte BT) è accreditato come compositore principale del film, ed è dunque plausibile ascrivere a lui tutte le cues non comprese nell’edizione discografica e non accreditate nei titoli di coda.

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‘Film-Jockeying’ e performance della traccia audiovisiva

L’impiego della struttura ritmica della musica a orientare e frammentare la continuità visiva svolge anche la funzione di spostare l’attenzione del fruitore dal contenuto narrativo all’oggetto film in sé, manipolato da un regista che assume il ruolo che in un club o in un rave party è destinato al DJ. Il film diventa una ‘traccia’ manipolabile, e il tipo di coinvolgimento che richiama non è solo narrativo ma letteralmente performativo. Ciò è esemplificato nel prosieguo della sequenza di Go in esame, in cui al movimento a 360° della macchina da presa vengono sovrapposti effetti visivi come dissolvenze incrociate e movimenti diagonali sull’asse dell’inquadratura.

Go presenta altri tratti che analogamente esplicitano la componente per-formativa. Il caso forse più emblematico è costituito dai titoli di testa, in cui la traccia d’apertura, Fire Up the Shoesaw del trio britannico Lionrock, si insinua con il suo aggressivo big beat lo-fi addirittura nella continuità del jingle della Columbia Pictures, dando vita a un gustoso mashup; l’effetto di quella che a livello sonoro non è niente più che una sovrapposizione di tracce senza dissolvenza, si trasforma a livello visivo in una sorta di ‘transfert cross-mediale’. Il video cioè mutua dalla pratica del DJing una tecnica chiamata punch phrasing, che consiste nell’interpolare a una traccia in play sul piatto principale, brevi breaks tratti dalla traccia sul secondo piatto. Si badi che nel film questo non avviene a livello sonoro – infatti le due tracce audio sono semplicemente sovrapposte: l’accordo di Mi maggiore tenuto del jingle Columbia favorisce la percettibilità del vamp cromatico di contrabbasso che lancia la traccia dei Lionrock – bensì a livello visivo: il fotogramma della Columbia Pictures che accompagna l’accordo finale del celebre jingle viene intercalato da fotogrammi di scene di ballo in un rave party, con frequenza crescente simile a un effetto stroboscopico – in sincrono con l’andamento rockabilly di Fire Up the Shoesaw (Esempio 4). Come il vinile sul piatto di un DJ, il film rivela anch’esso la sua natura di supporto fisico nelle ‘mani’ sapienti di un ‘Film Jockey’, il demiurgo che sarà anche il responsabile del costante riavvolgersi della narrazione su se stessa.

Esempio 4. Go: effetto mashup tra il jingle della Columbia Pictures e Fire Up the Shoesaw. Ho trascritto la sola parte dei corni che conclude il jingle e il vamp cromatico del contrabbasso che apre la traccia dei Lionrock. La sequenza di fotogrammi è da considerarsi a puro livello indicativo, trattandosi di un’alternanza troppo veloce per essere raffigurata graficamente.

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La sensazione di essere letteralmente ‘nelle mani’ del regista è un elemento caratterizzante molta cinematografia contemporanea. Quentin Tarantino e Robert Rodriguez sono senz’altro tra i campioni di questa tendenza, che trova anche in Baz Luhrmann una declinazione simile sebbene stilisticamente distante.

Il film che, tra quelli analizzati, più di ogni altro tematizza il livello per-formativo del supporto filmico è senz’altro Fight Club. È noto che tra i mille lavori di copertura di Tyler Durden (Brad Pitt) ci sia quello di proiezionista, e che uno dei modi in cui l’alter ego del protagonista si prende gioco della società consumistica sia di inserire singoli fotogrammi pornografici nelle giunture tra la fine di un rullo di pellicola e il successivo. È noto infine che tali inserti siano presenti anche nel film vero e proprio, espediente che consente alla narrazione di travalicare i confini della diegesi e investire direttamente lo spazio del dispositivo. In un episodio centrale (1:24:18-1:24:53), che coincide con il primo vero e proprio attentato di Tyler e Jack (Edward Norton) a un rivenditore informatico, il sound design dei Dust Brothers concorre con l’immagine a suggerire l’impressione che la pellicola sia manovrata da una volontà esterna. Mentre Tyler pronuncia – lo sguardo rivolto in macchina verso lo spettatore – una delle battute più celebri del film: «You are the all-singing, all dancing crap of the world», la manipolazione dell’immagine simula lo sfarfallamento della pellicola lasciando intravvedere i bordi della guida di scorrimento, mentre la musica utilizza la tecnica dello scratch per simulare l’arresto del flusso audiovisivo: l’Esempio 5 mostra un campione di fotogrammi tratti da questo frammento e pone a confronto i sonogrammi del frammento finale del brano Hessel, Raymond K. dei Dust Brothers nella versione discografica della colonna sonora e in quella manipolata dallo scratch per la sequenza cinematografica. Si noti come il frammento manipolato con lo scratch sia più breve rispetto alla versione discografica, a causa del fatto che lo scratch incide sulla velocità di rotazione del piatto e dunque sulla lunghezza della traccia.

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Esempio 5. Fight Club: Manipolazione audiovisiva in corrispondenza della battuta «You are the all singing all dancing crap of the world».

MCs e voci narranti

L’unico singolo firmato a nome Dust Brothers, nella lunga carriera di music producers del duo statunitense (noto nel mondo della popular music per avere prodotto dischi particolarmente significativi negli anni Novanta, come Paul’s Boutique dei Beastie Boys [1989] e Odelay di Beck [1996]), si intitola This Is Your Life ed è tratto dalla colonna sonora ufficiale di Fight Club, peraltro l’unico album di cui i Dust Brothers risultano accreditati come autori. Il brano in questione non è però presente come tale nel film ma è semmai imparentato con esso in una modalità più sottile: si tratta di un remix dei titoli di testa su cui è montato un monologo di Brad Pitt/Tyler Durden che riprende alcune delle più significative e celebri battute del film, tra cui quella citata in chiusura del paragrafo precedente. Il monologo è adattato alla traccia in modo da avere un profilo ritmico che lo avvicina al rap.

Mi soffermo su questo aspetto perché, tra le caratteristiche sonore che spiccano in Fight Club, vi è sicuramente il ruolo della voce narrante, che accompagna l’intero film dalla prima all’ultima inquadratura. La funzione della voce narrante è tanto più significativa quanto più il film pone al centro il problema dell’identità coniugato a vari livelli: dall’identità del personaggio protagonista (il doppio Jack/Tyler che si ricompone in uno, solo tramite il suicidio), all’identità dell’individuo nella società consumistica, all’identità di

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genere.18 Cruciale è dunque il modo in cui la voce narrante conduce lo spettatore alla riflessione sulla propria identità, spesso rivolgendovisi direttamente (frequente è l’uso del deittico you, come nella sequenza sopra commentata), stigmatizzandone usi e abitudini, chiedendone la complicità. Naturalmente non mancano analogie con la retorica dell’hip hop e con i generi di EDM che fanno uso di rapper. Accanto alle ovvie funzioni narrative, il ruolo della voice over in questo film può essere infatti ricondotto a quello dell’MC (master of ceremonies) nella performance hip hop e techno. Non si tratta di una semplice analogia metaforica, poiché in questo film la voce narrante è preferenzialmente organizzata secondo strategie ritmiche che ne esaltano la pregnanza retorica, elevando semplici battute a veri e propri mantra ideologi-ci. Il singolo This Is Your Life, saldando la musica dei titoli di testa con la voce di Brad Pitt, diventa una sineddoche dell’esperienza cinematica, una forma ibrida che sta a metà strada tra la ‘canzone’ e il ‘trailer radiofonico’.

Proviamo ad articolare più a fondo l’analogia tra MCing e uso della voice-over in questo film. Il monologo di Brad Pitt montato in This Is Your Life ripropone elementi che il film ha già provveduto a rendere ‘musicalmente’ autonomi attraverso strategie audiovisive. Consideriamo il passaggio che svol-ge nel singolo discografico la funzione di ritornello: «This is your life (x 4) / Doesn’t get any better than this / This is your life (x 4) / And it’s ending one minute at a time». Diversamente da quanto ci si potrebbe aspettare, queste parole non compaiono che una sola volta in tutto il film (e neanche letteral-mente), ma lo fanno in una delle sequenze più ritmicamente organizzata e memorizzabile di tutta la pellicola, che precede il primo incontro di Jack con il suo alter ego Tyler (0:19:14-0:20:20).

La voice-over di Jack descrive il suo lavoro impiegando la presto celebre metafora della «vita mono-uso»: Single Serving Jack è anche il titolo della cue preparata dai Dust Brothers per la sequenza. Durante il racconto, osserviamo Jack in continuo movimento, tra aeroporti, voli e camere d’albergo, e la sua voce funge da collante in una digressione temporale che ricorda da vicino l’esempio già analizzato di Requiem for a Dream. Se non che in questo caso non ha alcuna utilità interrogarsi sul tempo delle azioni narrate sullo schermo, perché è chiarissimo che l’episodio ha una valenza narrativa autonoma e con-chiusa rispetto al plot. Le azioni di Jack sono coniugate al simple present della quotidianità, azioni ripetitive e svuotate di senso che un businessman qua-lunque dal nome qualunque ha condotto per anni. Edward Norton imprime al suo flusso di coscienza una prosodia apparentemente monotona e distaccata, ma allo stesso tempo intima e incalzante. È a questo livello che la traccia trip hop entra in gioco, conferendo autonomia formale al monologo di Jack,

18 Il film e l’omonimo romanzo di Chuck Pahlaniuk sono stati letteralmente sezionati da una proliferazione di interpretazioni di stampo psicanalitico, politico e gender. Nella corposa bibliografia, mi limito a citare il numero monografico Stirring Stills, dell’«International Journal of Existential Literature» (2/2, 2005) dedicato al romanzo e LEE 2003, TA 2006 e GOODLAD 2007, che si occupano del film.

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rendendolo ‘oggetto musicale’ e, soprattutto fornendo al fruitore gli elementi cinetici e patemici per entrare in empatia con Jack.

La Tabella 1 mostra l’articolazione sonora della sequenza. Si noti che, dal-la struttura formale del brano, fondata sull’ingresso e la soppressione di layers sovrapposti, scaturisce una particolare suddivisione in sezioni del monologo.

Grazie a questa particolare configurazione formale, la ‘routine’ delle paro-le di Jack diventa ‘mantra’, un mormorare tra sé intrinsecamente imbrigliato nella griglia ritmica, che da essa ricava pregnanza retorica. Dopo una fase che potremmo definire preparatoria (sezioni A-B), le due sezioni centrali del monologo (C-D, coincidenti con bb. 13-31) corrispondono ai momenti di maggiore addensamento ritmico, nonché contenutistico, della ‘performance’ vocale, prima della coda cui corrisponde uno svuotamento della tessitura del groove (E), in corrispondenza con la parte più amara della riflessione di Jack («The people I meet on each flight, they’re single serving friends»).

Collocata in apertura della sezione C è proprio la frase destinata a diven-tare uno dei motti del film e il titolo del singolo dei Dust Brothers: «This is your life, and it’s ending one minute at a time». La frase è ‘sbalzata’ da un tipico procedimento formale della EDM, che consiste nella rarefazione temporanea della tessitura del groove, in questo caso rappresentata dalla soppressione degli accenti in battere della cassa (Esempio 6, b. 13), per lasciare in primo piano la voce sola. La nuova spinta cinetica ricavata dal ritorno della cassa (Esempio 6, b. 14), permette di caricare d’enfasi il periodo ipotetico successivo («If you wake up at a different time […] Would you wake up as a different person?»), la cui tensione retorica è sottolineata dall’unico break (Esempio 6, b. 21) che conduce nella sezione più scopertamente ‘rappata’ del monologo (Esempio 6, bb. 22-31), che sfrutta anche elementi anaforici e ritmicamente ripetitivi della sintassi discorsiva.

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Tabella 1: Single Serving Jack (0:19:14-0:20:20) Tempo Voice over Effetti speciali sonori

(sound design) Traccia musicale (Dust Brothers)

bb.

0:19:14 You wake up at Sea-Tac / SFO / LAX / You wake up at O’Hare / Dallas Fort Worth / BWI /

[anacrusi]: cross-fade in pan LR tra rombo motore corriera e rombo aeroplano b. 1: coda di boato bb. 2-5: Annunci aeroportuali e segnali telefonici filtrati con delay sincronizzato

A: groove (ca. 135 bpm): drum set sintetizzato composto da suono di synth percussivo intonato tra 48-53 Hz (~sol0) a emulare una grancassa; rullante, hi-hat

1-8

0:19:26 Pacific, Mountain, Central / Lose an hour, gain an hour / [Attendente di volo: «Check-in for that flight doesn’t begin for another two hours, sir»]

Coda di un annuncio filtrato con delay sincronizzato sulle semicrome

B: si aggiunge suono di bordone sintetizzato (~sol0)

9-12

0:19:33 This is your life, and it’s ending one minute at a time You wake up at Air Harbor International / If you wake up at a different time, in a different place, could you wake up as a different person? /

Per tutta la sezione si avvertono distintamente annunci aeroportuali

C: la cassa tace a b. 13 per poi riprendere a b. 14; il bordone è raddoppiato all’acuto (~sol2); a b. 14 una figura di crome formata da un suono acuto (~re6) modulato ritmicamente all’ottava inferiore, a cui risponde la medesima figurazione due ottave più in basso (~re4); la configurazione procede invariata fino a b. 20; a b. 21 break ritmico di 4/4

13-21

0:19:49 Everywhere I travel – tiny life / Single serving sugar / Single serving cream / Single pat of butter / The microwave cordon bleu hobby-kit / Shampoo-conditioner combos / Sample package mouthwash / Tiny bars of soap /

— D: il bordone è modulato da un generatore di rumore e filtrato ritmicamente

22-31

0:20:07 The people I meet on each flight, they’re single serving friends / Between take-off and landing we have our time together, that’s all we get / [dalla TV, Sheraton Channel: camerieri in livrea: «Welcome!»]

La sigla della trasmis-sione televisiva si ‘intromette’ nella traccia musicale. La parola «Welcome!» pronuncia-ta dai camerieri dallo schermo televisivo, chiude la sequenza sul quarto tempo di b. 37

E: cambia il groove, l’intonazione della ‘cassa’ sale a 53-59 Hz (~sol0); il rullante tace, mentre l’hi-hat è più sottile. A b. 33 si inserisce un bordone grave a dente di sega (~sol0) raddoppiato da un suono più acuto (~do4)

32-37

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(segue)

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Esempio 6 Fight Club: trascrizione di un frammento dell’ossatura groove della traccia Single Serving Jack (Sezioni C-D, bb. 13-31) e dei valori ritmici della voce narrante.

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Discrasie e dissonanze

Il ruolo cinetico della voce ‘narrante’ non è certo esclusivo di Fight Club. Al contrario esso è una caratteristica fondamentale di un campione considerevole dei film visionati. Oltre al già citato ∏, in cui la voice over del protagonista subisce un trattamento hip hop analogo a quello appena descritto,19 o a Memento, in cui le lunghe telefonate del protagonista nelle sequenze in bianco e nero sono spesso accompagnate da effetti ritmici di sound design, i film di Danny Boyle impiegano estensivamente la voce narrante, seppur in un modo più classico e ‘disteso’, con sincronismi metrici meno marcati e sequenze molto più estese: si pensi alla lunga sequenza d’apertura (della durata di ca. 4’30’’) di The Beach, in cui il protagonista Richard (Leonardo Di Caprio) ‘si presenta’ sulla traccia Snakeblood del duo britannico Leftfield riprodotta quasi nella sua interezza. A fare ‘scuola’ è indubbiamente la celebre sequenza della disintossicazione di Renton (Ewan McGregor) in Trainspotting, nei cui 6’50’’ ritroviamo alcune delle caratteristiche già ampiamente descritte: l’uso della micro-sincronizzazione audiovisiva con valore anacrusico (la sequenza si apre con il dettaglio del chiavistello della stanza di Renton chiusa a chiave dai suoi genitori – due inquadrature quasi ‘citate’ da Aronofsky in ∏); l’uso ritmico della voice-over; la sovrapposizione con altri oggetti sonori.

È con un accenno a quest’ultima caratteristica che intendo concludere la lunga carrellata di esempi qui presentata. La sequenza di Trainspotting (0:48:21-0:55:17) mette in conflitto strati sonori tra loro incommensurabili. Alla traccia Dark and Long (Dark Train Mix) degli Underworld si sovrappon-gono con chiaro valore ‘dissonante’ frammenti sonori che giungono a Renton sotto forma di allucinazioni. L’aspetto più interessante è costituito dall’ingresso di voci umane, timbri familiari nella vita di Renton, che diventa-no fonti altamente perturbanti nella loro dislocazione sulla tessitura della traccia musicale, con la quale non intendono collimare. Da un motivo di carillon riverberato, un passaggio di Temptation dei New Order canticchiato da Diane (Kelly McDonald), alle voci provenienti da un apparecchio televisivo, al pianto del neonato fino alle urla straziate del protagonista. Il paesaggio sonoro di una scena rave, composto da voci umane sormontate dall’onda di decibel del macroflusso musicale, è qui ribaltato in prospettiva; qui è la traccia techno a diventare lo sfondo esistenziale di un paesaggio sonoro interiore popolato di incubi, paure e sensi di colpa (descritto dal protagonista come «the junky limbo»). È un paesaggio sonoro più da iPod che da dance floor e, in un certo senso, segna la capacità del cinema di ritagliare all’EDM una dimensione espressiva accessibile anche ai non adepti. Spesso tacciata dai critici più moralisti come l’orizzonte più deteriore della spersonalizzazione alienata, l’EDM diventa in Trainspotting il segnale introspettivo più impor- 19 «Max’s voice-overs are made up of short sentences (he is a mathematician!) and are thus convenient for delivering over a percussive score […] The familiar phrases at the beginning of every voice-over […] very quickly become recognized as refrains, and that is also the case of Max’s main monologues» (KULEZIC-WILSON 2008, p. 28).

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tante che distingue l’identità individuale di Renton rispetto al mondo dei «living dead» che lo circonda. Un’identità tutta al negativo («But not me – I’m negative, it’s official»), ma che non per questo rinuncia all’affermazione di sé. Fuori dalla pista da ballo c’è il mondo, e dopo tutto il cinema continua a interessarsene.

I’m going to be just like you: the job, the family, the fucking big television, the washing machine, the car, the compact disc and electrical tin opener, good health, low cholesterol, dental insurance, mortgage, starter home, leisurewear, luggage, three-piece suite, DIY, game shows, junk food, children, walks in the park, nine to five, good at golf, washing the car, choice of sweaters, family Christmas, indexed pension, tax exemption, clearing the gutters, getting by, looking ahead, to the day you die.20

20 Monologo finale di Trainspotting, battute desunte dal film.

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Bibliografia

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UNDERWORLD (1994), Dark and Long, CD Single, Junior Boy’s Own [JBO19CDS].

Filmografia (ordine cronologico)

Trainspotting, UK 1996. Diretto da Danny Boyle, musica compilata da autori vari.

Lola rennt (Lola corre), DE 1998. Diretto da Tom Tykwer, musica di Reinhold Heil, Johnny Kilmer, Tom Tykwer.

∏ (Pi greco: Il teorema del delirio), US 1998. Diretto da Darren Aronofsky, musica di Clint Mansell.

Fight Club, US 1999. Diretto da David Fincher, musica dei Dust Brothers.

Go (Go – Una notte da dimenticare), US 1999. Diretto da Doug Liman, musica di BT e compilata da autori vari.

The Beach, UK-US 2000. Diretto da Danny Boyle, musica di Angelo Badalamenti e compilata da autori vari.

Requiem for a Dream, US 2000. Diretto da Darren Aronofsky, musica di Clint Mansell.

Maurizio Corbella è assegnista di ricerca presso l’Università degli Studi di Milano (Dote Ricerca: FSE, Regione Lombardia), dove ha conseguito il dottorato nel 2010. Si occupa principalmente di musica per film, musica sperimentale e popular music. È membro del gruppo di studio Worlds of AudioVision. Maurizio Corbella is a postdoctoral research fellow at the University of Milan (Dote Ricerca: FSE, Regione Lombardia), where he defended his Ph.D. Dissertation in 2010. His main fields of interest are film music, experimental and popular music. He is a member of the study group Worlds of AudioVision.