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4 178 Dal neorealismo al documentario animato scientifico: le animazioni “realiste” di Gibba 1 di Cristina Formenti È l’1 agosto 1946, quando ad Alassio nasce l’Alfa Circus Film, una «società a responsabilità limitata […] per la pro- duzione di cortometraggi a disegni ani- mati e di ogni altra attività affine» 2 . A costituirla, firmando una scrittura pri- vata alla presenza del notaio Emanuele Rinaldi, sono Giannetto Beniscelli, Mario Fazio e l’allora venti- duenne Francesco Maurizio Guido, in arte Gibba, oggi considerato uno dei pionieri del cinema d’animazione ita- liano 3 . In un primo tempo, sotto l’egida dell’Alfa Circus vengono realizzati solo film pubblicitari, ma nel 1947, sull’on- da degli apprezzamenti ottenuti per questi ultimi, Gibba e Beniscelli matu- rano l’idea di produrre un vero e pro- prio cortometraggio narrativo. In parti- colare, dopo aver vagliato diversi possi- bili soggetti, essi scelgono di racconta- re la storia di un orfano in costante lotta contro la fame e il freddo, che, per sopravvivere, vende sigarette di con- trabbando agli angoli delle strade in compagnia del suo unico amico: il cane Matteo. Prende dunque avvio la lavorazione de L’ultimo sciuscià (1948) 4 , che si pro- trarrà per undici mesi tra difficoltà tec- niche e finanziarie. In una lettera scrit- ta a Cesare Zavattini in data 12 agosto 1948 Gibba racconterà, infatti, che il suo lavoro «è andato, com’era inevita- bile, dal macinatore di colori allo sce- nografo, dallo sceneggiatore all’opera- tore, all’animatore, al montatore» e spiegherà di essersi potuto avvalere solo dell’«aiuto di otto ragazzi otto», ai quali avrebbe «dovuto per prima cosa insegnare da che parte si ha da tenere la matita» 5 . Inoltre, egli aggiunge: «Fatti 10.000 e più disegni, 45 scenografie, 123 riprese fotografiche. Il tutto in mezzo a un numero disperante di diffi- coltà e di ostacoli in massima parte dovuti alle nostre minime capacità finanziarie» 6 . In ogni caso, nel giugno del 1948 il cor- tometraggio – che nel complesso è costato all’incirca due milioni di lire – è terminato, anche se «tecnicamente lascia alquanto a desiderare» 7 , come viene puntualizzato in un appunto redatto dalla commissione ministeriale preposta al rilascio del visto censura, che l’8 luglio 1948 revisiona il film. Tuttavia, dal momento che esso «non contiene elementi censurabili né per la A cab 178 lab 1-70.qxd 27/01/2015 16.23 Pagina 4

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Dal neorealismo al documentarioanimato scientifico: le animazioni“realiste” di Gibba1

di Cristina Formenti

È l’1 agosto 1946, quando ad Alassionasce l’Alfa Circus Film, una «società aresponsabilità limitata […] per la pro-duzione di cortometraggi a disegni ani-mati e di ogni altra attività affine»2. Acostituirla, firmando una scrittura pri-vata alla presenza del notaioEmanuele Rinaldi, sono GiannettoBeniscelli, Mario Fazio e l’allora venti-duenne Francesco Maurizio Guido, inarte Gibba, oggi considerato uno deipionieri del cinema d’animazione ita-liano3. In un primo tempo, sotto l’egidadell’Alfa Circus vengono realizzati solofilm pubblicitari, ma nel 1947, sull’on-da degli apprezzamenti ottenuti perquesti ultimi, Gibba e Beniscelli matu-rano l’idea di produrre un vero e pro-prio cortometraggio narrativo. In parti-colare, dopo aver vagliato diversi possi-bili soggetti, essi scelgono di racconta-re la storia di un orfano in costantelotta contro la fame e il freddo, che, persopravvivere, vende sigarette di con-trabbando agli angoli delle strade incompagnia del suo unico amico: ilcane Matteo. Prende dunque avvio la lavorazione deL’ultimo sciuscià (1948)4, che si pro-

trarrà per undici mesi tra difficoltà tec-niche e finanziarie. In una lettera scrit-ta a Cesare Zavattini in data 12 agosto1948 Gibba racconterà, infatti, che ilsuo lavoro «è andato, com’era inevita-bile, dal macinatore di colori allo sce-nografo, dallo sceneggiatore all’opera-tore, all’animatore, al montatore» espiegherà di essersi potuto avvaleresolo dell’«aiuto di otto ragazzi otto», aiquali avrebbe «dovuto per prima cosainsegnare da che parte si ha da tenerela matita»5. Inoltre, egli aggiunge: «Fatti10.000 e più disegni, 45 scenografie,123 riprese fotografiche. Il tutto inmezzo a un numero disperante di diffi-coltà e di ostacoli in massima partedovuti alle nostre minime capacitàfinanziarie»6. In ogni caso, nel giugno del 1948 il cor-tometraggio – che nel complesso ècostato all’incirca due milioni di lire – èterminato, anche se «tecnicamentelascia alquanto a desiderare»7, comeviene puntualizzato in un appuntoredatto dalla commissione ministerialepreposta al rilascio del visto censura,che l’8 luglio 1948 revisiona il film.Tuttavia, dal momento che esso «noncontiene elementi censurabili né per la

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politica né per la morale»8, ottiene ilnulla osta e di lì a poco viene proietta-to al cinema Vittoria di Alassio9.Trascorreranno, invece, quasi due anniprima che venga distribuito su scalanazionale. Se nell’agosto del 1948Gibba avvia una corrispondenza conZavattini è, infatti, proprio per portarealla sua attenzione le difficoltà incon-trate nel trovare qualcuno disposto adacquistare il cotometraggio. Il giovaneanimatore spera così di riuscire nonsolo a far sì che lo sceneggiatore emi-liano si renda disponibile a vedere lapellicola, ma che sia anche indotto adaiutarlo concretamente a farla circola-re nelle sale italiane. Pertanto, il 3 ago-sto 1948 gli scrive:

Dopo la sonorizzazione […] mi sonomesso in cammino per la vendita.“Ma il 3% lo avete?” è stata la primadomanda che mi rivolse il vice portie-re della prima casa cinematograficache mi capitò di visitare. Da allorasono passati due mesi. LaCommissione per il 3% a tutt’oggi nonsi è riunita e chissà quando si riunirà,e se si riunirà, pare sia difficile pernoi ottenere il sullodato premio, datoche la voce “cartoni animati” non èconsiderata accanto a “documenta-rio”. Con il 3% poi nessuno lo vorrà lostesso perché viene a costare moltomeno una pecionata di documentarioqualunque10.

A chiusura della lettera egli, poi, chie-de: «Se ha qualche minuto di tempo, laprego, se lo vada a vedere L’ultimosciuscià. È nella sua scatola neppuredi latta (di fibra) al Ministero, in viaVeneto, in attesa del 3% famoso»11. Oltre a rispondere personalmente aGibba – instaurando così un dialogoepistolare che durerà per anni –,

Zavattini pubblicherà parte della sualettera su «Bis» in forma anonima, perportare all’attenzione dell’opinionepubblica il problema sollevato dall’ani-matore. Non vedrà, invece, il suo film.Ancora in data 14 dicembre 1948 egli,infatti, dichiara: «le circostanze non mihanno ancora permesso di cercare ilsuo cortometraggio al Ministero. Legiornate diventano sempre più piene dicose inutili e prepotenti […], io non sonpiù padrone di un’ora, addirittura di unquarto d’ora»12. E non riuscirà a trova-re il tempo di visionarlo nemmeno neglianni a seguire. A comprovarlo è il fattoche in una missiva del 6 ottobre 1950affermi: «Mi rendo conto così bene delsuo stato d’animo pur senza sapere sele cose che fa lei sono belle o meno;ma la sua passione è così sincera ecostante che lei deve aver ragione»13. Si noti, inoltre, che L’ultimo sciuscià sivede attribuire il premio ministeriale apochi giorni di distanza dall’iniziale let-tera inviata da Gibba a Zavattini e quin-di ben prima che essa appaia su«Bis»14. Si rivelerà, invece, corretto ilpronostico del giovane animatore circale effettive possibilità di vendita delfilm. L’ottenimento del 3% non sarà,infatti, sufficiente a indurre una casadi distribuzione ad acquistarlo, giac-ché, come lui stesso ha più voltemesso in evidenza, all’epoca nel daretale contributo non si operava unadistinzione tra documentari e film d’a-nimazione, penalizzando così questiultimi, i cui costi di realizzazione eranodi molto superiori15. Il 29 novembre1948 Gibba si trova pertanto nuova-mente costretto a rivelare allo sceneg-giatore emiliano: «Nonostante il 3%(che noia!) nessuno vuole il nostro cor-

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tometraggio, nemmeno al prezzo dicosto, e perché il “rimborso” non è suf-ficiente e perché, comincio a crederlo,non piace»16. Ciò porterà l’Alfa Circus a svendereL’ultimo sciuscià, cedendolo allaEuropeo film per sole 300.000 lire. Ilcortometraggio verrà poi abbinato aScandalo internazionale (A ForeignAffair, 1948) di Billy Wilder e uscirànelle sale italiane nel gennaio del1950. L’animatore alassino nel set-tembre di quello stesso anno commen-terà così la vicenda in una missiva,ancora una volta, indirizzata aZavattini: «Sa di quel film che avevorealizzato allora, L’ultimo sciuscià?Nessuno lo voleva nemmeno vedere.Lo abbiamo venduto – sì; rida! – a300.000 lire (ci era costato due milio-ni) e adesso sta rendendo agli attualiproprietari il doppio di quanto avevamospeso noi!»17.

1. Tra Andersen e De SicaCome lo stesso Gibba spiega sempre aZavattini in una lettera datata 3 agosto1948, nel realizzare L’ultimo sciuscià ilsuo obbiettivo era quello di dar vita auna pellicola che si discostasse «daisoliti “topolini”»18. In altre parole, desi-derava creare un film che, da un lato,prendesse le distanze dal dominantemodello statunitense e, dall’altro,sapesse parlare sia ai più piccoli sia aun pubblico adulto. A ben vedere, però, non solo, comenotano Anna Antonini e ChiaraTognolotti in Mondi Possibili, questocortometraggio è caratterizzato da unostile grafico «rotondo e vicino ai canonidisneyani – soprattutto nella figura delcane Matteo»19, ma tra i personaggi

secondari troviamo addirittura dueroditori dai comportamenti antropo-morfi, uno dei quali è persino dotato diparola. Per di più, non siamo qui alcospetto di una vicenda squisitamentedrammatica, bensì di una tragicomme-dia, in quanto lungo l’arco del film ai(pur prevalenti) momenti dai tonimalinconici se ne alternano altri in cuivengono proposte gag ispirate ai car-toon d’oltreoceano. Protagonista diqueste ultime è generalmente Matteo,che vediamo, ad esempio, tentare dimangiare un dolce presente solo nellasua mente, lottare con un topo che sidimostra essere più forte di lui o venirripetutamente frustrato nei suoi tenta-tivi di uscire da sotto a un tombino acausa del continuo sopraggiungere delvigile da cui cerca di nascondersi. L’ultimo sciuscià ricorda, inoltre, moltoda vicino un cortometraggio d’anima-zione prodotto da Charles Mintz e can-didato all’Oscar nel 1938: Little MatchGirl (t.l.: La piccola fiammiferaia, 1937,di Art Davis). Più precisamente, la pros-simità tra quest’adattamento cinema-tografico dell’omonima fiaba di HansChristian Andersen e la pellicola diGibba è tale da far sì che ci si possaspingere a definire L’ultimo sciusciàuna versione al maschile del film diret-to dieci anni prima da Davis. Entrambii cortometraggi hanno, infatti, per pro-tagonista un bambino costretto a ven-dere per le strade per sopravvivere.Cambiano solo il suo sesso e la mercevenduta (fiammiferi nel caso del filmstatunitense e sigarette in quello italia-no). A ciò si aggiunga che ambedue lepellicole sono costituite da una primaparte, ove vediamo il personaggio prin-cipale tentare invano di piazzare i pro-

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pri articoli, e da una seconda, in cuiquest’ultimo, affamato e infreddolito,si addormenta e sogna di salire su diuna scala che lo conduce in paradiso.Analogo è poi anche il finale: dal sognosi torna alla realtà e ci viene rivelatoche i rispettivi protagonisti sono dece-duti, mostrandone il corpo esanime. Inentrambi i casi, la morte permette,però, a questi bambini di essere final-mente felici. Infine, se Davis apre LittleMatch Girl con una serie d’inquadratu-re raffiguranti persone benestanti chefesteggiano il capodanno, accentuan-do così la triste condizione in cui versala piccola fiammiferaia per contrastocon costoro, anche la pellicola di Gibbain un primo tempo proponeva una con-trapposizione simile. Le immagini dellosciuscià impegnato a vendere sigaret-te ai bordi delle strade erano, infatti,precedute da alcune inquadratureambientate in un interno borghese,ritraenti un gruppo di bambini impe-gnati a giocare. Come riportato daMario Verger, tale incipit è stato poitagliato per rendere la lunghezza delfilm conforme al metraggio richiestoper la distribuzione nelle sale cinema-tografiche italiane20. E oggi di questascena restano solo alcuni sfondi con-servati presso l’archivio personale del-l’animatore alassino. Tuttavia, unatraccia dell’originale opposizione tra losciuscià e i suoi coetanei più fortunatipermane nella sequenza iniziale dellapellicola, laddove una bambina, nelpassare con la propria madre davantial povero orfanello, tenendo tra lemani un dolce, lo sbeffeggia mostran-dogli la lingua. Questa scena, per altro,richiama a sua volta un momento dellaprima sequenza di Little Match Girl, in

cui la piccola fiammiferaia, fermatasiad ammirare le torte esposte nellavetrina di un fornaio, viene derisa daun gruppo di passanti.

Da questo breve confronto emerge,quindi, come non solo Gibba – in lineacon quanto era solito fare ancheDisney – riproponga qui una fiaba clas-sica21, ma addirittura modelli il propriocortometraggio su un prodotto statuni-tense che già aveva adattato lo stessosoggetto. Affiora inoltre come nemme-no la presenza di un finale tragico rap-presenti un’effettiva innovazionerispetto al panorama del cinema d’ani-mazione americano.

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Sorge pertanto spontaneo chiedersiper quale motivo nel luglio del 1948sulle pagine del settimanale «Cine-star», L’ultimo sciuscià venga presenta-to come un film che «si stacca profon-damente dai confratelli d’oltre oceano»e venga letto come l’auspicio cheanche nel campo dell’animazione, «inItalia, si dica una parola nuova»22. Sipotrebbe pensare che dietro tali affer-mazioni vi sia semplicemente unavolontà pubblicitaria o la mancatavisione della pellicola da parte di chiscrive, giacché essa uscirà solo oltreun anno più tardi. Eppure ancora nelluglio del 1980, su «La Stampa»,Gianni Rondolino dichiara: «Vi è […] inquesto film un tono decisamente anti-disneyano, nella forma e nel contenu-to, che indica, sia pure timidamente,una strada “nazionale” al disegno ani-mato del dopoguerra, fuori dalle stradebattute o dai confini imposti dalla pro-duzione hollywoodiana, in particolareda quella di Walt Disney»23. A suggerir-ci la vera ragione di queste asserzioniè lo stesso Rondolino, quando nelmedesimo articolo, riferendosi all’inci-pit della pellicola, afferma: «Potrebbeessere una sequenza di un film diRossellini o di De Sica, come Sciusciào Paisà (l’episodio romano): è invecel’inizio di un disegno animato realizza-to nel 1946 [sic] da FrancescoMaurizio Guido […] che s’intitola, em-blematicamente, L’ultimo sciuscià»24.Difatti, se il film è stato visto come unprodotto marcatamente “italiano”, lo sideve alla scelta di attualizzare la fiabadi Andersen, ambientandola nell’Italiapost-bellica, nonché facendo ricorso aciò che Alberto Farassino ha definito«l’italiano del cinema, la lingua nazio-

nale […], l’unica che […] ci dia un’iden-tità all’estero», ovvero al neoreali-smo25. Ecco quindi che l’innevata NewYork anni Trenta del film prodotto daMintz lascia qui il posto a un anonimopaesaggio cittadino ferito dalla guerrae, soprattutto nella seconda parte, adambienti degradati e spogli. Inoltre, ilcolore viene rimpiazzato dal bianco enero e la piccola fiammiferaia vienesostituita con un bambino che ricordamolto da vicino quei ragazzini, costret-ti loro malgrado a destreggiarsi tra lanecessità d’infrangere la legge persopravvivere e una polizia autoritariaintenta a combattere l’illegalità, chenell’Italia del secondo dopoguerra nonsolo popolavano le pellicole di registicome De Sica e Rossellini, ma costitui-vano anche una triste realtà sociale. All’interno de L’ultimo sciuscià Gibbaripropone, inoltre, alcuni dei topoiricorrenti nei film appartenenti al neo-realismo, come quello della procace“segnorina” dalla moralità dubbia o del«militare americano portatore dibenessere e di speranza»26. A fermarsiper acquistare la merce dello sciuscià,accendendo in lui la speranza di unguadagno, è infatti proprio una coppiaformata da un soldato di nome Joe eda una donna i cui costumi discutibilivengono evidenziati – oltre che attra-verso un trucco pesante e una vistosascollatura – dalla scelta di comprareun sigaro, atto considerato riprovevolesia dal suo accompagnatore sia dalcane Matteo27.Definire L’ultimo sciuscià antidisneya-no nella forma non è, però, propria-mente corretto. Al di là del ricorso afigure e temi caratteristici del neoreali-smo, a conferire a questo disegno ani-

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mato quell’effetto di realtà necessarioa renderlo ascrivibile a tale correntecinematografica è, infatti, proprio lascelta di Gibba di perseguire quell’«iper-realismo»28 che, come spiega PaulWelles, lo studio Disney ha reso il para-metro di riferimento per la misurazionedel grado di realismo di ogni altro filmd’animazione. Si potrebbe obbiettare che interna-mente all’universo qui proposto dall’a-nimatore alassino manchi una pienacoerenza, giacché, se Matteo, propriocome un cane del mondo reale, puòsolo abbaiare, il topo con cui lotta nellaseconda parte del film è, invece,inspiegabilmente dotato della parola.Ciò nonostante, è innegabile cheGibba si sia adeguato al modello iper-realista, rendendo ad esempio i suoipersonaggi soggetti alle principali leggidella fisica e della gravità, nonchéfacendo sì che compiano azioni e movi-menti coerenti con quanto osservabilenel nostro mondo. Difatti, dal momen-to che la nozione di realismo nell’ambi-to dell’animazione è ancor più relativache nel cinema dal vero e il parametrodi riferimento è proprio quello disneya-no, qualora egli non avesse aderito atale modello, agli occhi degli spettatoriquesto cortometraggio sarebbe sem-brato surreale e inverosimile, a dispet-to del carattere di “attualità” dellavicenda raccontata.

2. Gibba e l’animazione al serviziodella realtàSe con L’ultimo sciuscià Gibba si ado-pera per imprimere una carica realisti-ca a una fiaba classica, nel prosieguodella sua carriera tornerà più volte aconiugare animazione e fattuale, macon modalità e scopi ben diversi.

Per esempio, agli inizi degli anniCinquanta egli mette la sua arte al ser-vizio del racconto del reale realizzandofondini per alcuni documentari Incomin live action. Si pensi a Conquiste nelSud (1953) di Edmondo Cancellieri. Inquesto cortometraggio, che dà conto dicome in quel periodo l’Italia meridiona-le stesse attraversando un significativosviluppo, le cifre relative agli ettari diterreno bonificati o ai kilometri di stra-da sistemati non vengono fornite allospettatore attraverso il commento invoice over, bensì veicolate per iscritto,sovraimprimendole a disegni dai colorisgargianti realizzati da Gibba. Più pre-cisamente, vengono prima propostedelle elementari animazioni volte a illu-strare visivamente la nuova estensionedella rete stradale o delle aree resecoltivabili e, subito dopo, ne vengonoindicati in forma numerica i dati preci-si, dando così maggior risalto a questiultimi. Inoltre, per sottolineare come ilSud Italia stia effettivamente andandoincontro a una rinascita, ci si affida adue disegni fissi, legati tra loro da unadissolvenza a transizione morbida eraffiguranti rispettivamente un paesag-gio brullo e inospitale e una strada sucui si affacciano in modo ordinato unaserie di abitazioni. In questo caso, quindi, Gibba speri-menta una pratica radicata nel cinemadocumentario quale l’utilizzo d’insertianimati per illustrare cifre o concettiche, se enunciati solo verbalmente,rischierebbero di risultare aridi o dipassare inosservati29.Negli anni Sessanta, durante la suapermanenza presso la Corona Cine-matografica, egli ha, però, anche mododi lavorare a una serie di cortometrag-

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gi parascientifici interamente (o quasi)in animazione. Dal 1960 fino all’apriledel 1965 è infatti capo animatore delLaboratorio Cartoni Animati dellasocietà fondata dai fratelli Gagliardo30,dove, accanto ai cartoon di fiction, siproducono disegni animati che hannoper argomento il mondo reale, racco-gliendo la lezione di Disney, che giàalla fine degli anni Quaranta mettevain luce come l’animazione abbia lacapacità di «rendere chiari, semplici,interessanti (e soprattutto di trattare inmeno di un quarto d’ora) i problemi piùaridi e complessi posti dalla natura»31.In un articolo apparso sulla rivista«Sequenze» nel 1949, il creatore diMickey Mouse spiega: «Noi siamo ingrado di trattare il tema della creazio-ne del mondo, della bomba atomica odella vita dei microbi. Quello che è invi-sibile agli occhi o alla macchina dapresa non sfugge alla matita dei nostridisegnatori, si tratti del vento o deimovimenti di una corrente elettrica»32.Anche alla Corona Cinematografica sidecide quindi di mettere a frutto que-sta potenzialità del disegno animato,perseguendo la strada dell’animazioneeducativa attraverso la realizzazione diuna serie di cortometraggi che spazia-no dalla biologia all’astronomia, dallameteorologia alla fisica.A questo progetto Gibba prende partesia in qualità di regista sia come ani-matore di film diretti da altri. In partico-lare, ufficialmente egli è autore de Lacentrale dei sensi (1961), Avventuranella cellula (1962) e Magia dell’oc-chio (1963) – in cui si descrivonorispettivamente il modo in cui opera ilcervello in rapporto ai sensi, la compo-sizione e le fasi di vita di una cellula e

il funzionamento dell’occhio umano –,nonché de Il sistema solare (1961),ove s’illustrano i principali satelliti delSole, e de La nascita della Terra(1962), che spiega come si sia forma-ta la vita sul nostro pianeta. Vi sono poipellicole, come Laboratorio magico(1962), Il prodigio del sangue (1962) eAnatomia del moto (1962), che recanola firma di Elio Gagliardo, ma sarebberoin realtà state anch’esse dirette daGibba. Lo stesso animatore racconta,infatti, nella sua autobiografia che ilproduttore gli avrebbe più volte chiestodi cedergli la paternità dei suoi lavori edegli avrebbe finito per acconsentire33.Di ciò si trova riscontro sia nel fatto chenei titoli di testa del primo e del terzofilm in oggetto si attribuisca la sceneg-giatura a Guido Francesco – veri nomee cognome di Gibba, semplicementeindicati in posizione invertita –, sugge-rendo così come il suo contributoabbia ecceduto la sola attività di ani-mazione, sia nel fatto che tutti e tre icortometraggi in questione presentinoforti tratti di continuità con La centraledei sensi, Avventura nella cellula eMagia dell’occhio. Non solo è analogoil soggetto, giacché anch’essi illustra-no il funzionamento di una parte delcorpo umano – e più precisamente ilprocesso digestivo, la circolazione delsangue e le attività muscolari alla basedei nostri movimenti –, ma condivido-no anche un medesimo stile. Difatti,tendenzialmente le scenografie sonoastratte e colorate con toni pastello; lefigure umane sono disegnate traccian-done solo i contorni, facendo quindi sìche non si stacchino dallo sfondo eappaiano piatte e bidimensionali; inostri organi interni sono rappresenta-

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ti come complessi macchinari stilizzati;momenti in cui ci troviamo all’esternodel corpo umano si avvicendano adaltri in cui veniamo condotti dentro diesso. Come anticipato, Gibba ha poi anchecollaborato nel ruolo di animatore apellicole non sue. È il caso di NordNord-Ovest (1961, di Paulo Leone),L’arte della fotografia (1962, diGiampaolo Mercanti) e I pittori dellapreistoria (1962, di Elio Gagliardo), lequali alternano segmenti dal vero adaltri in animazione. L’ultima, ad esem-pio, è costituita da una prima parte inlive action, dove, attraverso una classi-ca narrazione in voice over, lo spettato-re viene condotto alla scoperta dellepitture rupestri – e in particolare diquelle presenti nella grotta di Altamura–, e da un inserto animato finale voltoa chiarire il forte senso del moto pre-sente in queste primitive espressioniartistiche. Vi sono, infine, casi di film rimasti sullacarta che avrebbero previsto il coinvol-gimento dell’animatore. Si tratta, adesempio, di Ecco la Luna e Storia delcalcolo. Il primo viene messo in cantie-re nel marzo 1963 e, stando al pianodi lavorazione, avrebbe dovuto esseregirato nel Laboratorio Cartoni Animatitra il 12 e il 23 di quello stessomese34. Un altro documento presentenel fondo Corona Cinematograficadella Cineteca di Bologna ci informa,inoltre, che la regia avrebbe dovutoessere curata proprio da Gibba, men-tre fotografia e musica rispettivamenteda Elio Gagliardo e da FrancescoRoberson35. Il progetto viene, poi,abbandonato. Leggendone il soggettopossiamo, però, farci un’idea dell’argo-

mento che s’intendeva trattare e dicome lo si volesse sviluppare:

Con il sistema dell’animazione lamacchina da presa va alla scopertadel satellite della Terra. Nel sistemasolare la Luna ha una grandezzaminima, ma all’occhio dell’uomoessa appare al primo posto. Con itelescopi oggi la Luna è stata studia-ta nella sua storia, nella sua geogra-fia, tutto si conosce della Luna: iventi, i mari, i vulcani, le montagne! Egià gli uomini si apprestano alla con-quista del globo lunare con l’invenzio-ne dei raggi spaziali36.

Per Storia del calcolo, invece, Gibbaavrebbe dovuto occuparsi solo delleanimazioni, mentre regia e fotografiaavrebbero dovuto essere di ElioGagliardo, con la consulenza scientifi-ca dell’ingegner Sandro Garino. Questocortometraggio era previsto venissegirato tra il febbraio e il marzo 1965 e

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anche di esso è sopravvissuto il sog-getto:

Il documentario tratta dapprima dellevarie forme di calcolo illustrandoinnanzitutto i vantaggi della numera-zione arabo-indiana, introdotta nelmondo occidentale nel secolo XV. Lanumerazione posizionale e l’innova-zione dello zero semplificano i calcolitradizionali sotto l’indispensabile pre-messa per le speculazioni più arditedel pensiero nel campo algebrico edel calcolo. La complessità dellenuove operazioni funzionali inducel’uomo ad affidare alle macchine iprocedimenti di calcolo. Dalla sempli-ce addizionatrice di Leibniz, seguitadalla moltiplicatrice di Pascal, sipassa alle moderne calcolatrici daufficio, illustrando infine i principaliinformatori delle ardite calcolatricielettroniche, di tipo analogico e ditipo digitale, che, pur dominate dal-l’intelligenza dell’uomo che le ha con-cepite, risolvono, a beneficio di tuttigli uomini, i più complessi calcoli chela mente umana possa concepire37.

3. Tra pianeti e cellule: i documentarianimati scientifici di GibbaSebbene in alcuni casi ottenganoanche dei riconoscimenti38, le pellicoleparascientifiche a cui lavora Gibbadurante la sua permanenza presso laCorona Cinematografica sono caratte-rizzate da un’animazione limitata, dovequest’ultimo termine è da intendersinon solo come indicazione dell’adozio-ne del metodo reso celebre dalla UPA,ma anche in una più letterale accezio-ne negativa. Difatti, come spiega lostesso animatore nella sua autobiogra-fia, in quel periodo l’imperativo dei fra-telli Gagliardo è di «fare metraggio colminimo dell’impegno e della spesa;vale a dire: impressionare con pochi

disegni il massimo di fotogrammi»39. Inaltre parole, gli è richiesto di realizzareprodotti dai costi contenuti che si limiti-no semplicemente a raggiungere illivello qualitativo minimo necessarioper ottenere il premio ministeriale. Diconseguenza, non solo spesso i dise-gni sono fissi ed è attraverso panorami-che laterali o carrellate in avanti eall’indietro che si restituisce un sensodi movimento, ma, a volte, una stessatavola può anche venir utilizzata in piùfilm. È il caso di quanto accade per duedisegni raffiguranti rispettivamente unbisonte e una coppia di cacciatori, rea-lizzati da Gibba imitando le estetichedelle pitture rupestri. Essi prendonovita nell’inserto animato posto a con-clusione de I pittori della preistoria, mali ritroviamo anche in Anatomia delmoto, all’interno del lungo sintagma agraffa iniziale composto d’inquadratu-re ritraenti esempi di rappresentazioniartistiche del moto nel corso dei secoli.Si noti poi che questi film non sonooggetto di maggiori sforzi nemmenodal punto di vista distributivo. Cia-scuno di essi viene infatti programma-to solo per pochi giorni in un numerolimitato di sale collocate in modo diso-mogeneo sul territorio nazionale.Paradossalmente, inoltre, in più di uncaso vengono mostrati prima di lungo-metraggi vietati a quegli stessi minoriche, teoricamente, costituiscono inve-ce il loro pubblico di riferimento. Adesempio, sebbene Anatomia del motosia ammesso alla proiezione in pubbli-co «senza limiti di età»40, il 18 maggio1963 al cinema Delle Terrazze diRoma lo si propone subito prima dellacommedia piccante Le massaggiatrici(1962, di Lucio Fulci). Analogamente,

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quando quello stesso mese L’arte dellafotografia viene proiettato al Super-cinema di Trieste e al Cinema Astra diUdine lo si abbina rispettivamente aldocumentario a sfondo erotico AfricaSexy (1963, di Roberto BianchiMontero) e a Il dominatore (DiamondHead, 1962, di Guy Green)41. Ciò detto, è importante, però, notareche, a livello contenutistico, tali disegnianimati aspirano a un rigore scientificoe, dunque, nel realizzarli ci si avvaledella consulenza di esperti della mate-ria trattata42. Nel soggetto di Avven-tura nella cellula questa volontà di for-nire resoconti corretti viene addiritturaesplicitata. Difatti, dopo aver spiegatoche il cortometraggio si propone comeun viaggio all’interno di una di questeunità elementari del nostro organismo,si specifica: «Il viaggio è immaginarioma non fantastico in quanto tutto ciòche vediamo nel documentario ricer-cherà la realtà ed esporrà in terminiesatti quanto la scienza conosce sullacellula»43. Malgrado Annabelle Honess Roe nellasua monografia Animated Documen-tary dichiari che sia i film d’animazionea carattere scientifico sia quelli didatti-ci non possono rientrare nella catego-ria del cosiddetto documentario ani-mato, poiché «non sono né concepitiné recepiti come documentari»44, lepellicole in questione dimostranocome anche opere aventi per argo-mento la biologia o l’astronomia pos-sano essere ascritte a tale genere45.Questi cortometraggi, infatti, non solohanno per soggetto il mondo reale enon un universo immaginario, ma sonoanche stati concepiti come prodotti delcinema fattuale, come dimostrato pro-

prio dalla suddetta ricerca di un’accu-ratezza scientifica. Essi presentanopertanto tutte le caratteristiche indica-te dalla studiosa britannica comenecessarie, affinché un cartoon possaessere definito un documentario ani-mato46. Nel collocarli all’interno di questa cate-goria, non s’intende, però, suggerireche si tratti di prodotti del cinema delreale puri, bensì di docufiction47.Proprio com’è osservabile per filmquali Valzer con Bashir (Vals Im Bashir,2008, di Ari Folman) o Silence (1998,di Sylvie Bringas e Orly Yadin), anche inquesto caso siamo, infatti, in presenzadi pellicole caratterizzate da un’atten-zione verso la veridicità dei dati fornitie dei contenuti veicolati, cui si contrap-pone una tendenza a rappresentarevisivamente tali concetti attraverso ildispiegamento di quell’«anarchia grafi-ca e narrativa»48 consentita dall’ani-mazione stessa. In questi cortometrag-gi non mancano inquadrature dalcarattere prettamente esplicativo ovesi ricorre a diagrammi e frecce per illu-strare un concetto o a un vocabolariografico di tipo scientifico. È il caso diAnatomia del moto, dove, tra i varidisegni, ne vengono animati anchealcuni, raffiguranti la sezione di unbraccio, realizzati in linea con i canonidell’illustrazione medica. Tuttavia,nella maggior parte di tali film, a predo-minare è un linguaggio visivo “fantasti-co”, fatto di sineddochi, antropomorfiz-zazioni, condensazioni e così via. Adesempio, le similitudini utilizzate nelcommento sonoro, per permettere allospettatore di comprendere meglioquanto delineato, vengono spesso tra-sposte in modo letterale a livello grafi-

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tati come piccoli uomini forzuti e il cer-vello come un indaffarato centralini-sta, in Laboratorio magico la bileviene, ad esempio, raffigurata comeun cinese dal colore verde e la pepsinacome un operaio impegnato a mano-

co. Si pensi ad Avventura nella cellula.Qui l’asserzione della voice over percui questo organismo, nella sua formaelementare, potrebbe essere parago-nato a un uovo viene restituita visiva-mente attribuendo alla cellula propriol’aspetto di un uovo al tegamino. Inmodo analogo, quando ne La centraledei sensi il narratore afferma che ilnostro occhio «è come una telecamerapuntata sul mondo esterno che captale immagini», graficamente ci vieneproposta la sagoma di una testa che,al posto dell’organo della vista, presen-ta un apparecchio di ripresa stilizzato.Per di più, si riscontrano sovente casiin cui una figura storica o addiritturaun’intera classe d’individui è incarnatada un “attore” fatto di linee e colori.Per esempio, in Avventura nella cellulalo scienziato inglese Robert Hooke, cuispetta il merito di aver perfezionato ilmicroscopio ottico, è impersonato dauna figura animata uscita dalla matitadi Gibba. Gli antichi greci nella primasequenza di Magia dell’occhio e lacategoria professionale dei fotografinella parte iniziale de L’arte della foto-grafia vengono, invece, incarnati, persineddoche, rispettivamente da duepersonaggi che indossano abiti con-suetamente associati all’antica Elladee da un singolo omino che, nel tentati-vo di scattare alcune istantanee, sirende protagonista di una serie di gag. Inoltre, nell’illustrare il funzionamentodei vari organi di cui si compone ilnostro corpo si tende ad antropomor-fizzarne alcune componenti. Seguendoil modello tracciato da un film comeHemo the Magnificent (1957, di FrankCapra), dove i muscoli preposti alla cir-colazione del sangue sono rappresen-

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vrare una sorta di gru stilizzata. Peraltro, tale tendenza a ricorrere all’an-tropomorfizzazione di elementi nonumani sembra essere un tratto dell’ap-proccio di Gibba al racconto dellascienza. A suggerircelo è un soggettopreliminare di Meteorologia (1965, diElio Gagliardo). Originariamente que-sto film, che nella sua versione defini-tiva «esemplifica il meccanismo attra-verso il quale si producono tutti i prin-cipali tipi di variazione metereologi-ca»49, aveva per titolo Il tempo, doma-ni e doveva illustrare «alcune caratteri-stiche fisiche dell’acqua e dell’aria […]poco note al largo pubblico»50. A diri-gerlo doveva essere proprio Gibba e,curiosamente, era previsto fin dal sog-getto che si antropomorfizzassero idue elementi naturali in esso protago-nisti. Al termine del documento, infatti,leggiamo: «Un pupazzetto rappresental’“acqua”, un altro pupazzetto saràl’“aria”»51. Nel febbraio del 1965,però, titolo e regia cambiano e il pro-getto muta radicalmente: perde l’anar-chia grafica che avrebbe dovuto carat-terizzarlo in favore della schematicaillustrazione di vari fenomeni naturali,quali nebbia, brina e rugiada. Se a quanto delineato fino ad oraaggiungiamo che in questi cortome-traggi si ricorre a un’antinaturalisticaanimazione limitata, si tende a stilizza-re scenografie e personaggi e, a volte,si sconfina addirittura nel cinema spe-rimentale – proponendo sequenze incui forme e colori danzano a ritmo conla musica sul modello di quanto acca-de nei film di Len Lye e NormanMcLaren52 –, risulta chiaro come sipersegua qui una strada ben diversarispetto a quell’iper-realismo disneya-

no che, come si è detto, è sinonimo direalismo nell’ambito dell’animazione. Mentre ne L’ultimo sciuscià si conferi-sce una patina di realtà a una vicendaimmaginaria e negli inserti perConquiste nel Sud ci si avvale di un les-sico visivo asciutto per illustrare datifattuali, in questi cortometraggi para-scientifici si compie quindi un’operazio-ne di segno ancora diverso, dandoconto del vero attraverso un linguaggiografico fantastico. Proponendo un cam-pionario di alcuni dei possibili modi in

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Note

1. Ringrazio sentitamente Francesco Maurizio Guido per avermi lasciato rovistare tra le cartedel suo archivio personale, nonché Claudia Giordani e Andrea Meneghelli per avermi accol-ta con grande disponibilità nei loro uffici ed aver favorito il mio acceso al fondo CoronaCinematografica.

2. Scrittura privata in: Archivio personale di Gibba, Alassio (d’ora in poi AG).3. Per un approfondimento sulla vita e sulle opere di Gibba, cfr. almeno Luigi Boledi (a cura

di), Grandi corti animati: Gibba, Guido Manuli, Walter Cavezzuti, Editrice Il Castoro, Milano2005; Marco Frassinelli, Carlo Griseri, Gibba e “Lele”: L’arte animata di FrancescoMaurizio Guido ed Emanuele Luzzati, Proxima, Imperia 2013. Si segnala anche l’autobio-grafia semi-seria Francesco Maurizio Guido, Gibba: Diario di un uomo di grande insucces-so, Editore Città di Alassio, Alassio 2008.

cui reale e animazione si possonointrecciare, la filmografia di Gibba èpertanto la dimostrazione di come, alpari di quanto accade per il cinema dalvero, anche l’animazione possa dialo-

gare con il fattuale in una molteplicitàdi modi differenti e di come l’incontrotra questi due opposti possa avvenire alivelli e su piani diversi.

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4. Riguardo all’anno di questo film si trovano molte indicazioni discordanti. Ad esempio,Raffaella Scrimitore indica il 1947, mentre Anna Antonini e Chiara Tognolotti scrivono addi-rittura che il cortometraggio sarebbe «uscito nel 1946» (cfr. rispettivamente: R. Scrimitore,Le origini dell’animazione italiana: La storia, gli autori e i film animati in Italia 1911-1919,Tunué, Latina 2013, pp. 195-196; A. Antonini, C. Tognolotti, Mondi possibili: Un viaggionella storia del cinema d’animazione, Il principe costante, Milano 2008, p. 101).Quest’ultima datazione la ritroviamo anche in: Marco Giusti, Dizionario dei cartoni anima-li: Gli straordinari personaggi del mondo dell’animazione, Garzanti Editore, Milano 1993,p. 262. Tuttavia, dalla corrispondenza intercorsa tra Gibba e Zavattini e dai vari articolipubblicati all’epoca sul film, emerge come sia il suo completamento sia la sua prima proie-zione pubblica abbiano avuto luogo nel 1948, per questa ragione viene qui indicato taleanno.

5. F.M. Guido, lettera a C. Zavattini, 12 agosto 1948, in: Biblioteca Panizzi di Reggio Emilia,Archivio Cesare Zavattini, Epistolario, G. 305 (d’ora in poi ACZ).

6. Ibidem.7. Appunto, in: Ministero per i Beni e le Attività Culturali di Roma, Direzione Generale per il

Cinema (d’ora in poi MBAC), fasc. 4348.8. Ibidem.9. Cfr. Anonimo, L’ultimo sciuscià ad Alassio, «Secolo XIX», 28 luglio 1948.

10. F.M. Guido, lettera a C. Zavattini, 3 agosto 1948, in ACZ.11. Ibidem.12. C. Zavattini, lettera a F.M. Guido, 14 dicembre 1948, in AG.13. C. Zavattini, lettera a F.M. Guido, 6 ottobre 1950, in AG. Sebbene Gibba abbia più volte

dichiarato che Zavattini avrebbe poi visto il film e si sarebbe commosso (cfr. ad esempioM. Giusti, Intervista a Francesco Maurizio Guido detto Gibba, in L. Boledi, Op. cit., p. 48),nella corrispondenza intercorsa tra loro non viene fatta menzione di ciò.

14. Cfr. F.M. Guido, lettera a C. Zavattini, 12 agosto 1948, in ACZ.15. Riguardo a tale questione, in una lettera a Zavattini Gibba scrive: «E […] pensare che per

risolvere realmente la situazione […] basterebbe […] una differenziazione sulla base deirimborsi erariali tra il documentario e il cortometraggio a disegni, oggi tanto assurdamen-te accomunati in quell’unico rimborso che va sotto la denominazione (molto ironica) di“premio” del 3% o ancora meglio “premio di produzione”. Possibile che non si capisca ladiversità di lavorazione, di tempo impiegato, di capitali occorrenti che intercorre fra questedue produzioni?» (F.M. Guido, lettera a C. Zavattini, 29 settembre 1950, in ACZ).

16. F.M. Guido, lettera a C. Zavattini, 29 novembre 1948, in ACZ.17. F.M. Guido, lettera a C. Zavattini, 29 settembre 1950, in ACZ.18. F.M. Guido, lettera a C. Zavattini, 3 agosto 1948, in ACZ.19. A. Antonini, C. Tognolotti, Op. cit., p. 102.20. Cfr. Mario Verger, L’ultimo sciuscià, in: L. Boledi (a cura di), Op. cit., p. 40.21. Per una trattazione di come Disney usasse riadattare fiabe, favole, miti e leggende si veda

Maureen Furniss, Art in Motion: Animation Aesthetics, John Libbey & Company, NewBarnet 1998; ed. riveduta 2007, pp. 114-116.

22. Anonimo, L’ultimo sciuscià, «Cinestar», a. II, n. 26, 10 luglio 1948.23. Gianni Rondolino, Lo sciuscià rivale di Walt Disney, «la Stampa», 2 luglio 1980, p. 3.24. Ibidem.25. Alberto Farassino, Neorealismo, storia e geografia, in Id. (a cura di), Neorealismo: Cinema

italiano 1945-1949, E.D.T., Torino 1989, p. 21.26. Stefania Parigi, Neorealismo: Il nuovo cinema del dopoguerra, Marsilio, Venezia 2014, p.

145.27. La strada stessa, luogo dove lo sciuscià uscito dalla matita di Gibba esercita la propria pro-

fessione, costituisce un topos del neorealismo (cfr. Stefania Parigi, Op. cit., p. 73).28. P. Welles, Understanding Animation, Routledge, Londra 1998, p. 25 (la traduzione è mia).29. Paul Ward rileva, infatti, che «l’utilizzo dell’animazione come forma di espressione all’inter-

no del documentario vanta una lunga tradizione – per esempio per dimostrare il comples-so funzionamento di un macchinario in un documentario industriale, per la restante parte,dal vero» (Documentary: The Margins of Reality, Wallflower Press, Londra 2005, p. 82, latraduzione è mia).

30. Da una lettera di Gibba a Zavattini del giugno 1965 ricaviamo l’informazione relativa allacessazione del suo rapporto professionale con la Corona Cinematografica: «da aprile non

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faccio più parte della Corona (Gagliardo), attualmente cerco di fare veramente qualcosaper conto mio» (F.M. Guido, lettera a C. Zavattini, 17 giugno 1965, in ACZ). Si segnala inol-tre che, sebbene più volte si sia scritto che Gibba ha diretto il Laboratorio Cartoni Animatidella Corona Cinematografica (cfr. ad esempio A. Antonini, C. Tognolotti, Op. cit., p. 102),formalmente egli vi svolgeva solo l’incarico di capo animatore, mentre la direzione era diElio Gagliardo, come sottolineato nei titoli di testa di queste pellicole.

31. Walt Disney, Disegni animati educativi, «Sequenze. Quaderni di cinema», a. I, n. 2, ottobre1949, p. 23; poi in: «Ciemme», a. 34, n. 147, p. 77.

32. Ibidem.33. Cfr. F.M. Guido, Gibba, cit., p. 129.34. Piano di lavorazione Ecco la Luna, non datato, in: Cineteca di Bologna, Fondo Corona

Cinematografica (d’ora in poi CB), fasc. 137.35. Comunicazione d’inizio lavorazione, datata 11 marzo 1963, in CB, fasc. 137.36. Soggetto Ecco la Luna, datato 11 marzo 1963, in CB, fasc. 137.37. Soggetto Storia del calcolo, non datato, in CB, fasc. 239.38. Ad esempio, nel 1962 Laboratorio Magico è stato insignito del Sigismondo d’Oro alla I

Mostra Internazionale del Film di Animazione per la categoria “Film tecnico-scientifici”,mentre Il sistema solare e Il prodigio del sangue sono stati entrambi selezionati per con-correre alla XIV Mostra Internazionale del Film per Ragazzi di Venezia (cfr. Successi e rico-noscimenti nel 1962 alla Corona Cinematografica, non datato, in CB, faldone “Compensoad agenti ed esercenti”).

39. F.M. Guido, Gibba, cit., p. 125.40. Nulla osta, in MBAC, fasc. 37777.41. Cfr. Elenco incassi documentari n. 31, datato 22 giugno 1963, in CB, Faldone “Compenso

ad agenti ed esercenti”. Si noti che sia Le massaggiatrici sia Africa Sexy erano vietati aiminori di 18 anni, mentre Il dominatore ai minori di 14.

42. In particolare, solitamente ci si avvaleva della consulenza scientifica di Rodolfo Ghione.43. Soggetto Avventura nella cellula, non datato, in CB, fasc. 48.44. Annabelle Honess Roe, Animated Documentary, Palgrave Macmillan, Londra 2013, p. 4 (la

traduzione è mia).45. Per altro, non solo Sybil DelGaudio in un articolo del 1997 dal titolo If Truth Be Told, Can

’toons Tell It? («Film History», v. IX, n. 2, 1997, pp. 189-199), che costituisce uno dei primitentativi di teorizzare il documentario animato, fa riferimento quasi esclusivamente ad ani-mazioni ad argomento scientifico-didattico, quali Our Friend the Atom (1957, di HamiltonLuske) o Of Star and Man (1964, di John Hubley), ma anche Lawrence Thomas Martinellinella sua recente monografia Il documentario animato: Un nuovo genere di racconto delreale e i suoi protagonisti internazionali (Tunué, Latina 2012, p. 14) colloca all’interno delgenere tale tipologia di prodotti, seppur non soffermandosi poi a darne conto. La stessaHoness Roe, inoltre, entra in contraddizione parlando della serie Nel mondo dei dinosau-ri (Walking with Dinosaurs, 1999, di Tim Haynes e Jasper James) come di un esempio didocumentario animato (cfr. A. Honess Roe, Op. cit., p. 23).

46. Cfr. A. Honess Roe, Op. cit., p. 4.47. Per una trattazione approfondita delle ragioni per cui sia più corretto ascrivere il documen-

tario animato alla docufiction che non al documentario vero e proprio, cfr. C. Formenti, TheSincerest Form of Docudrama: Re-framing the Animated Documentary, «Studies inDocumentary Film», v. VIII, n. 2, 2014, pp. 103-115.

48. P. Welles, Op. cit., p. 23.49. Documento n. 272, datato 30 marzo 1965, in CB, fasc. 206.50. Soggetto Il tempo, domani, datato 7 luglio 1964, in CB, fasc. 206.51. Ibidem.52. È il caso de La centrale dei sensi, il quale termina con una sequenza in cui la macchina

da presa si sofferma su quello che nel film viene definito come «lo schermo delle idee»,ove si “proiettano” colori e forme che si muovono a ritmo di musica.

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