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MAURO SCROCCARO Trento 2000 DALL'AQUILA BICIPITE ALLA CROCE UNCINATA L’Italia e le opzioni nelle nuove provincie Trentino, Sudtirolo, Val Canale (1919-1939)

Dall’aquila bicipite alla croce uncinata: Trentino, Sudtirolo, Val Canale, 1919-1939

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620.000 tra sloveni, tedeschi, croati e ladini e circa 888.000 italiani dei territori di Trento e Trieste: queste le cifre inerenti l’annessione da parte dell’Italia, prima liberale e poi fascista, di ampie zone abitate da forti minoranze allogene. Un fenomeno che portò non solo problemi politico-amministrativi, ma soprattutto culturali. Grazie ai materiali d’archivio e alla letteratura (archivio storico del Ministero degli affari esteri in Roma, archivi locali di Trento, Bolzano, Udine e Trieste, archivio sloveno di Ljubljana) si confrontano in queste pagine le diverse reazioni suscitate dall’annessione: da una parte slavi e tedeschi fortemente attratti dagli stati nazionali o multinazionali d’oltreconfine, dall’altra l’Italia fascista preoccupata del proprio prestigio interno e internazionale.

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MAURO SCROCCARO

Trento 2000

DALL'AQUILA BICIPITEALLA CROCE UNCINATA

L’Italia e le opzioni nelle nuove provincieTrentino, Sudtirolo, Val Canale (1919-1939)

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COLLANA DI PUBBLICAZIONIDEL MUSEO STORICO IN TRENTO onlus

MAURO SCROCCARO

Trento 2000

DALL’AQUILA BICIPITEALLA

CROCE UNCINATAL’Italia e le opzioni nelle nuove provincie

Trentino, Sudtirolo, Val Canale (1919-1939)

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Premessa

Mauro Scroccaro si è avvicinato alla tematica delle opzioni at-traverso i suoi studi sulla questione ladina della val di Fassa notandoquale risonanza ebbero anche per questa valle - pur rimanendone deiure, ma non di fatto esclusa - gli accordi del 16 giugno 1939 tra laGermania nazista e l’Italia fascista sull’esodo «volontario» delle mino-ranze «allogene» di lingua tedesca (e ladina) dal territorio italianonelle terre del Reich. Questo approccio - chiamiamolo dall’esterno -lo portò a valutare i fatti innanzitutto da un’ottica globale, collocandolinell’ambito dei molteplici tentativi degli stati nazionali europei a farcoincidere a tutti costi i propri confini nazionali anche con quellilinguistici.

Nel capitolo introduttivo l’autore elabora una panoramica detta-gliata sulle dimensioni delle varie misure intraprese da diversi regimipiù o meno autoritari o totalitari per risolvere in questo modo que-stioni di minoranze scomode entro i propri confini e di creare final-mente stati-nazione etnicamente puri e puliti. Per lo più si tratta discambi di popolazioni. L’attenzione è rivolta soprattutto all’Europacentro-orientale ed in particolar modo ai Balcani, dove in conseguen-za del progressivo sfacelo dell’Impero ottomano si ebbero dall’Otto-cento in poi diversi scambi di popolazione più o meno coatti accordatifra gli stati interessati. Questa tendenza si acuì in seguito alla GrandeGuerra ed ai trattati di pace del 1919, quando il dogma della confor-mità tra stato e nazione segnò un apice. Se ne appropriò anche laGermania nazista nel tentativo di incamerare nel proprio stato tutte leminoranze tedesche sparse per l’Europa in funzione del futuro domi-nio del continente europeo. In questo ambito l’accordo sulle opzionidei sudtirolesi servì da battistrada.

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Dopo aver consultato molto approfonditamente archivi e lettera-tura soprattutto italiane, fra i quali spiccano l’archivio storico del Mi-nistero degli affari esteri in Roma e gli archivi locali di Trento, Bolzano,Udine e Trieste come pure quello sloveno di Ljubljana, MauroScroccaro ci fornisce un’ampia descrizione dei problemi culturaliinnanzitutto, ma anche politici ed amministrativi, che l’Italia liberaleprima e quella fascista poi furono costrette ad affrontare con l’annes-sione di ampi territori abitati in maniera compatta da forti minoranze«allogene»: più di 620.000 tra sloveni, tedeschi, croati e ladini secon-do il censimento del 1921, oltre ai circa 888.000 italiani «redenti» deiterritori di Trento e Trieste. Sia per gli slavi che per i tedeschi gli statinazionali (o multinazionali) d’oltreconfine rappresentavano una forteattrazione condizionando con ciò ulteriormente l’operato dell’Italiafascista perennemente assillata da problemi di prestigio nazionale edinternazionale.

Riguardo al gruppo degli «allogeni» tedeschi e ladini, sui quali èincentrato questo saggio, la prima volta si dà ampio spazio alla mino-ranza tedesca meno numerosa come pure meno appariscente dellaval Canale con il suo capoluogo Tarvisio che nel 1919 venne staccatadalla Carinzia. Come l’autore ampiamente descrive la situazione deicanalini era differente, anche se non meno interessante, da quellatrentino-sudtirolese per il fatto della presenza di un forte gruppo sloveno- vera e propria minoranza nella minoranza - e delle miniere dipiombo presso Rajbl che alla dimensione nazionale aggiunsero pureuna dimensione sociale.

Il progressivo avvicinamento tra le due dittature soprattutto dopol’Anschluß del 1938 portò ad una sorta di stritolamento di questeminoranze tra i due stati che nel loro totalitarismo non poteronotollerare zone grigie tra di loro. La via verso le opzioni come unasorta di pulizia etnica «indolore» ormai era imboccata. Molto ogget-tivamente e senza dubbio come primo in lingua italiana nella suaampiezza l’autore dibatte la vexata quæstio di chi fosse il primo adavere l’idea diabolica di applicare il mezzo delle opzioni nei confrontidi queste minoranze. Come pure sono molto ben approfonditi i diver-si ruoli che giocarono Germania ed Italia in tutta la vicenda. I nazistiche ebbero le idee chiare dal principio: opzione totale per la Germa-nia da conseguire con tutti i mezzi necessari; emigrazione totale pure,perché in questo modo era possibile alleviare la crescente penuria diuomini nel Reich; forti pressioni anche in campo economico per gli

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indennizzi dei beni lasciati in Italia, perché così le opzioni potevanorivelarsi pure un affare. Dall’altra parte i fascisti: nessuna identità divedute e chiarezza degli intenti fra le varie branche amministrative;chi voleva un abbandono possibilmente totale del territorio da partedegli «allogeni» e chi voleva un’emigrazione solamente delle «testecalde» e dei ceti alti per poter così meglio dominare i rimanenti;allargare o restringere la cerchia degli aventi diritto ad optare, spin-gere od ostacolare e via dicendo.

Lo smacco subito dalle autorità della grande Italia fascista per laquasi totalità delle opzioni per la Germania nazista venne ulterior-mente ingrandito dalla corsa di un nutrito gruppo di italiani ad essereammessi pure loro alle opzioni per poter legalmente emigrare inGermania nella certezza di un avvenire economico roseo che l’Italianon sapeva offrire. Tutto ciò si inserisce in una progressiva perdita dipotere contrattuale delle autorità italiane che presto cedettero ogniiniziativa all’alleato, soprattutto in seguito agli esiti sempre più cata-strofici della cobelligeranza italiana.

Tedeschi dell’Alto Adige, tedeschi della val Canale, tedeschi delleisole linguistiche nel Trentino, ladini dell’Alto Adige, ladini del Trentino,sloveni della val Canale e dell’Alto Isontino, italiani del Trentino comepure del Veneto: l’universo di coloro che spinsero o vennero spintialle opzioni si presenta molto variegato e l’autore ben riesce a tra-smetterci questa varietà di diversi motivi ed aspettative, spesso con-trastanti, che portarono le opzioni a quell’esito. In chiusura egli ag-giunge pure un ultimo capitolo sulle opzioni e sul trasferimento totalein Germania dei tedeschi dell’isola linguistica di Gottschee in Sloveniache dal 1941 fece parte dell’effimera provincia italiana di Lubianaquale esempio di cosa facilmente sarebbe potuta accadere anche dallenostre parti se una sorte migliore non ce l’avesse risparmiato.

CHRISTOPH H. VON HARTUNGEN

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Introduzione

Quando il 20 dicembre del 1895, a Coccau, da Martin Martinz eLucia Wedam, contadini originari di Valbruna, quarto di nove figli,nacque Thomas, Coccau, anzi Goggau come fino ad allora tutti l’ave-vano chiamata, era una piccola frazione di Tarvis all’inizio della ValCanale nella parte meridionale della Carinzia ai confini dell’Imperoaustro-ungarico.

Secondo il censimento austriaco del 1910 era abitata da 408 per-sone, 191 uomini e 217 donne, delle quali 401 erano cattoliche e 7protestanti.

Il censimento, anche se in forme che vennero comunque criticate,rilevava tra l’altro anche il dato etnico attraverso la lingua d’uso, laUmgangssprache, e dava per Goggau una popolazione pressoché com-patta di 403 tedeschi, mentre complessivamente nel resto del comunesi registravano 3480 tedeschi, 93 sloveni e 198 genericamente definiti«altri»1.

Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, Thomas, gio-vanissimo, viene arruolato assieme a due suoi fratelli e inviato sul fronterusso in Galizia. Qui, nel 1915, viene fatto prigioniero.

Come molti altri verrà impiegato nei lavori agricoli, e avrà piùfortuna dei suoi fratelli dei quali uno morirà in prigionia, l’altro pocodopo sul fronte del Tirolo meridionale combattendo contro gli italiani.

Terminata la guerra, nel 1919, dopo non poche peripezie, Thomasriesce a tornare a casa, dove riprende la sua vita di contadino. La valCanale e anche la sua Goggau nel frattempo sono state occupate dagliitaliani e Klagenfurt, il capoluogo della Carinzia, è rivendicata e minac-ciata dal nuovo Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni che nel

1) SPEZIALORTSREPERTORIUM 1918: 61.

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frattempo si è creato a pochi chilometri da Goggau, oltre Weißenfels,dove iniziava fino a pochi mesi prima la regione della Carniola.

Attorno al piccolo maso dei Martinz le coordinate politico-geogra-fiche cominciavano a non essere più le stesse, e di lì a poco, in baseal trattato di Saint Germain, anche Tarvis con tutta la val Canale finoa Pontafel, in nome di superiori esigenze strategico militari, sarebbediventata italiana.

Goggau diventa allora Coccau, Tarvis Tarvisio, la nuova provinciadi appartenenza Udine, mentre ora l’Austria era diventata solo unapiccola repubblica il cui territorio iniziava a pochi passi dalla casa diThomas.

Questo gran trambusto inizialmente non cambia nulla nella sua vitadi contadino, e non può essere diversamente, dato che la terra, la sichiami in tedesco, in sloveno o in italiano, bisogna sempre e comunquezapparla, seminarla, ararla.

A Coccau, la famiglia dei Martinz è una delle più solide economi-camente. Thomas possiede prati, parti di bosco, terreno ad arativo,pecore, dodici bovini, una segheria funzionante ad acqua sul Wagenbach,il rio dei carri, acquistata da un fallimento nel 1935 ed una casa sulleloro proprietà, lasciatagli in eredità dal padre.

Nel 1930, dopo la morte della prima moglie, Thomas si risposa conAloisia Klavora, di Plezzo nell’alta valle dell’Isonzo, passata anche que-sta all’Italia nel 1918 con la dissoluzione dell’Austria-Ungheria.

Anche Aloisia è contadina, di famiglia slovena, come la quasi to-talità degli abitanti della valle2.

I due si sono conosciuti tramite un cugino di Aloisia, che come altrisuoi compaesani frequentava la val Canale per vendere di casa in casai formaggi e le ricotte fatte in famiglia.

Da allora, molte volte Thomas, a cavallo della sua bicicletta, eraandato a trovarla, valicando il passo di Rajbl che divide le due valli subitoal di là delle grandi miniere di monte Re, dove, praticamente da sempre,moltissimi loro compaesani condividevano il duro lavoro nelle gallerie.

Tra il 1931 e il 1935 Thomas e Aloisia hanno tre figli, Liliana,Carolina e Giuseppe. Questi i loro nomi all’anagrafe, ma in casa i trebambini vengono chiamati Lili, Lina e «Peperle», diminutivo di Josef.

Liliana, la maggiore, nel 1937 inizia a frequentare la scuola e acasa deve spiegare che al familiare gruss Gott bisogna sostituire laparola buongiorno, che la storia ha come ombelico del mondo Roma,

2) SPEZIALORTSREPERTORIUM 1919: 24-28.

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1932: Roma, Josef Anderwald in servizio di leva al 3o reg. artiglieriada campagna

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1935: Etiopia, il caporale Josef Anderwald richiamato per la guerra al Negus

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i romani e i loro discendenti italiani guidati oggi fulgidamente dal Duceverso nuovi traguardi di grandezza e splendore, che gli altri sono solodiscendenti di genti rozze e barbare3, che la vecchia Austria di Fran-cesco Giuseppe era quel grande oppressore di popoli e nazioni che nel1918 anche l’Italia aveva contribuito a sconfiggere liberando finalmentedalla tirannia terre da sempre italiane e raggiungendo i naturali e legit-timi confini delle Alpi.

Forse Thomas cominciò allora a chiedersi che cosa realmente stavaaccadendo, forse ne aveva già qualche volta discusso guardingo con gliamici del paese la domenica mattina al bar giocando alle carte dopo laMessa.

Forse già se ne parlava da tempo, dopo che il nuovo stato e il nuovogoverno fascista avevano imposto tutta una serie di trasformazioni maldigerite sulla gestione collettiva del bosco, sul regime fiscale diventatosempre più oppressivo, sul sistema di eleggere i propri rappresentanti alcomune, sull’imposizione di cambiare nome a posti e persone.

È certo comunque che le cose non andavano molto bene. Dopo laguerra molte persone erano state costrette ad emigrare in cerca dilavoro, e anche tre delle sorelle di Thomas ed il fratello più giovane,Pepi, del 1907, avevano lasciato il paese diretti nelle Americhe, in cercadi una vita meno dura.

Nostalgia per il passato? Chi lo sa.Sicuramente quella guerra era stata una sciagura; quattro anni

lontano da casa, sofferenze, terrore, la morte di due fratelli; per fortunaera finita, anche se dalla parte degli sconfitti, di quelli che comunquequalcosa dovevano pur pagare.

Nel marzo del 1938 la Germania di Hitler si annette quel che erarimasto dell’Austria, e alle porte dei Martinz, alla sbarre del confine, sicambiano di nuovo colori. Alla bandiera austriaca si sostituisce ora lacroce uncinata della grande Germania nazionalsocialista, la Vaterland,la grande patria di tutti i Volksdeutsche, di tutto il popolo tedesco.

È un momento di grande inquietudine. In modo sempre più deciso,anche a Tarvisio e nella val Canale si agitano idee, persone ed immaginiche richiamano all’unità di tutti i tedeschi. Ciò che prima erano solo dellevoci, delle velate allusioni, delle speranze, ora che la potente Germania

3) Significativo a questo proposito è quanto aveva scritto già prima dell’inizio della guerraEttore Tolomei, il più fermo sostenitore del diritto italiano sull’Alto Adige: «Le Alpi segna-no il limite tra la coltissima Italia e le regioni gelide transalpine, dove in mezzo a vasteselve albergavano in capanne povere le squalide tribù dei barbari domati» (TOLOMEI 1935:36). Sulla vita e l’operato di Tolomei si veda BENVENUTI - HARTUNGEN 1998.

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ha trasformato la piccola e debole Austria in una semplice espressionegeografica, la Ostmark, ora tutto sembra possibile. Si riaccende, o megliosi accende del tutto nuovo un irredentismo pantedesco filo germanico, siparla, anche se impropriamente, di un «ritorno» del Sudtirolo e della valCanale al Reich tedesco, si profila l’idea che gli italiani se ne vadano, sene tornino a casa loro.

Niente di tutto questo. Troppo rischioso incrinare un’alleanza tradue regimi totalitari per poche migliaia di tedeschi finiti al di qua delleAlpi nel corso dei secoli per qualche balordo scherzo della storia. Madato che ci sono e costituiscono un problema, questo va risolto unavolta per tutte e in forma definitiva; a Thomas e ai suoi compaesani,i «problemi», verrà imposto di decidere entro il 31 di dicembre del1939, se rimanere tedeschi, quali erano, e dunque trasferirsi nei territoridel Reich, oppure di accettare di diventare buoni italiani e perciò...

Ma quel perciò non si capisce che cosa significhi.Thomas, come molti altri, è dubbioso, incerto, preoccupato, è

una decisione terribile e aspetta fino al 20 dicembre; poi, comequasi tutti, deciderà di «votare» per la Germania. Torna perfino suofratello dal Sudamerica apposta per optare, raggiunto a Buenos Airesdalla efficientissima propaganda nazista, convinto di poter approfit-tare di una grossa occasione per sistemarsi per il resto della vita. Inpaese, tra coloro, come il fratello, che avevano avuto pochi dubbisulla scelta da fare, c’erano soprattutto i più giovani, lusingati sullapossibilità di un futuro migliore e assolutamente sfiduciati nei con-fronti dell’Italia fascista e che si troveranno ben presto a combatterein giro per l’Europa con la divisa della Wermacht. Così era toccatoanche al figlio dei vicini di Thomas, Josef Anderwald, nato a Coccauil 12 marzo del 1911 che, ragazzino, Thomas aveva tenuto alle suedipendenze per condurre i buoi nel bosco a trasportar legna o perguidarli nel lavoro dei campi. Nel 1935, Josef, richiamato, avevacombattuto in Africa contro il Negus, tra le file del Regio Esercitoitaliano; al ritorno, aveva tentato di entrare prima in ferrovia, senzaesito, poi nella guardia di finanza, forte della sua condizione direduce dalla guerra che aveva dato all’Italia il suo impero e convintoperciò di essere in credito nei confronti della «sua patria». Convoca-to a Tolmezzo per la visita di idoneità si vedrà invece assurdamentescartato per piedi piatti, e senza nemmeno essere visitato! Eppurenel 1932 aveva pienamente assolto ai suoi obblighi di leva proprioa Roma, presso il 13o regimento artiglieria da campagna, senza chenessuno si accorgesse dei suoi fantomatici piedi piatti; gli stessi miste-riosi piedi piatti non gli avevano poi certo risparmiato la campagna

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etiopica e non gli risparmieranno nemmeno la campagna di Russiacon l’esercito tedesco e relativa prigionia, dopo che per effetto delleopzioni aveva senza esitazioni deciso di diventare cittadino germaniconella speranza di trovare una patria più generosa e un lavoro menoduro e pericoloso di quello di vagonaro alla miniera di Rajbl, doveper quarant’anni aveva lavorato anche suo padre.

Il 18 settembre del 1940, Thomas, i suoi tre figli e la moglie slovena,ottengono la cittadinanza germanica, e in attesa di trasferirsi nei territoridel Reich diventano tutt’a un tratto stranieri in casa loro.

Per ben tre volte Thomas va in Carinzia, nella Rosental, a vederela possibile nuova abitazione completa di campi e segheria.

Per ben tre volte rinuncia. Molte cose non lo hanno convinto: lecase che vede, ancora arredate come se i veri proprietari per unaqualche oscura ragione se ne fossero andati pochi minuti prima, lalunghezza e l’incertezza della vendita dei suoi beni, l’idea di doverlasciare la propria terra, la propria casa, la propria valle.

Nonostante il passaporto pronto fin dal febbraio del 1940, Thomase la sua famiglia non partono, non vogliono partire, e quando nell’esta-te del 1942 un camion dell’organizzazione germanica si avvicina a casaper iniziare forzatamente il trasloco, Thomas riparati i suoi figli in casaesce e affronta molto energicamente quelli che erano venuti a portarlovia: si mette a gridare che mai lascerà casa sua, che una guerra luil’aveva già fatta e che tanto aveva già dato, che da lì non si sarebbespostato nemmeno se fossero arrivati i russi, che se ne andassero.

Se ne andranno, e Thomas Martinz, cittadino germanico, rimarràa casa sua in Italia, a Coccau, nel comune di Tarvisio in provincia diUdine, e i suoi figli, cittadini germanici, continueranno a varcare lafrontiera tutti i giorni per andare a scuola a Maglern, appena oltre ilconfine nel loro «nuovo» paese, la Germania; a mostrare ogni giornoil lasciapassare ad un qualche carabiniere, a marciare nelle file dellaHitlerjungend il mattino a scuola, ad alzare il braccio nel saluto romanoper qualche gerarca fascista di passaggio per le strade di Tarvisio ilpomeriggio, una volta tornati a casa.

Piccole anomalie in un mondo sconquassato di nuovo dalla guerra,dagli eccidi, dalle devastazioni.

L’8 settembre del 1943 Thomas è ancora a Coccau. Con l’occupa-zione tedesca qualcosa si normalizza, i suoi figli possono tornare ascuola a Tarvisio nella nuova scuola tedesca e la sua famiglia, per ilmomento, non è più ospite in una nazione straniera.

Thomas ha molto lavoro alla segheria, commissionato dallaWermacht, deve anche prestare servizio con il fratello nella Selbstschutz,

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una sorta di polizia locale incaricata di garantire l’ordine e la sicurezza.Quando il 30 aprile del 1945 Hitler si suicidò nel suo bunker a

Berlino e pochi giorno dopo scomparve la Germania nazionalsocialista,Thomas era ancora nella sua casa di Coccau, nei suoi campi, nella suasegheria.

In quei giorni un’unità inglese, composta di soldati ebrei, arriva aTarvisio, gli requisisce del legname senza pagarlo, picchiano il fratello,commettono altri piccoli abusi leggitimati dal fatto di trovarsi di frontea delle persone la cui colpa era di essere dei tedeschi che avevanochiesto di diventare cittadini del Reich, e perciò possibili fiancheggiatoridei nazisti.

Finisce la guerra e ancora una volta alla porta dei Martinz, allabarriera di confine, si cambiano le bandiere; rinasce l’Austria, mentreil paese della moglie, Plezzo, finisce nella nuova Jugoslavia di Tito, aldi là della «cortina di ferro» e di uno dei confini più blindati e delicatidi quel momento, di quel mondo diviso in due che aveva definitivamenteseparato due valli e due comunità da sempre strettamente in comuni-cazione.

Per i Martinz, ancora cittadini germanici, un altro seccante problema.Thomas riacquisterà la cittadinanza italiana nel febbraio del 1948,

finalmente di nuovo regolare residente in casa sua.Ancora una volta l’anagrafe muterà il nome dei suoi familiari, questa

volta in modo definitivo.Per altri paesani che invece si erano trasferiti, le cose furono anche

più complicate. Josef Anderwald, il figlio dei vicini, tornato dalla prigio-nia in Russia, si era fermato in Austria dove era stato assunto dalleferrovie come manovratore alla stazione di Villach. Qui, ma solo alcunianni più tardi, e solo indagando su di un sistematico ritardo che subivaogni mese il suo stipendio, si era accorto di essere ancora cittadinogermanico, e non austriaco. Ancora una volta «cittadino nella patriasbagliata»; dovrà attendere il 1952 e pagare 1.500 scellini per vederefinalmente regolarizzata la sua posizione.

Thomas Martinz morirà cittadino italiano, sopravvissuto alla disso-luzione della piccola comunità carinziana della sua Coccau, con il nomedi Tommaso il 20 giugno del 1989.

Per i figli lo sloveno, che la moglie aveva comunque voluto inse-gnar loro, rimane oggi un ricordo poco praticato; per i nipoti il tedescosolo una lingua imparata a scuola e parlata al di là dell’attuale confine4.

4) Testimonianze orali raccolte nell’inverno del 1996 a Coccau da Giuseppe Martinz e dallasorella Liliana.

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1936: congedo di Josef Anderwald richiamato per la guerra in Etiopia

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1936: congedo di Josef Anderwald richiamato per la guerra in Etiopia

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Nella vicenda complessa e drammatica degli accordi italo-tedeschidel 1939 sul trasferimento «degli allogeni e dei cittadini germanici», piùnoti come «opzioni», ma soprattutto nei suoi aspetti più grotteschi eparadossali, mi ero imbattuto la prima volta nel corso della ricerca perla mia tesi di laurea sulla minoranza ladina della val di Fassa. Per unastrana, anche se per loro fortunata ragione, ai ladini fassani, a differen-za dei loro confratelli ex suddti asburgici delle altre vallate dolomitiche,non era stato esteso il diritto all’opzione e la valle di Fassa era rimastaesclusa dai territori contemplati negli accordi. Stranamente però risulta-va da diverse testimonianze che non pochi ladini fassani nel 1939avevano optato ed ottenuto la cittadinanza germanica.

Bisognava allora chiarire perché e secondo quali modalità questofosse accaduto.

Ho iniziato allora una ricerca piuttosto macchinosa sul fondo del-l’ex Alto commissariato per le migrazioni e la colonizzazione-delegazio-ne per l’Alto Adige presso l’Archivio di stato di Bolzano. Il fondo,consistente di uno schedario vastissimo, è composto dalle migliaia emigliaia di schede contenenti i dati anagrafici e di proprietà di tutticoloro che tra il 1939 e il 1940 avevano optato per la cittadinanzagermanica, ne avessero o meno diritto.

La ricerca fu allora relativamente veloce, mirata come era ad indi-viduare un gruppo ben definito e circoscritto di persone; ma nel rapidosfogliamento delle schede, tra un fassano e l’altro, mi imbattevo in unacongerie di casi e situazioni che facevano presagire una realtà molto piùcomplessa e drammatica di quello che risultava dai numeri conosciutie dalle cose fin là lette.

Tra le schede, la più parte scritte a penna, alcune illeggibili, altredifficilmente interpretabili non solo per difficoltà di lettura, ma più spes-so per la non corretta trascrizione del nome dei comuni di nascita e diresidenza degli optanti da parte di funzionari italiani quasi sempre adigiuno, se non del tutto ignari, della lingua tedesca, mi erano sfilatidavanti una quantità davvero imprevedibile di casi molto particolari,per certi versi simili a quello della comunità ladina della valle di Fassadi cui mi stavo occupando, per altri davvero molto strani.

Accanto a gruppi più o meno compatti di valligiani, o di nucleifamiliari già residenti in Germania, tutti originari del Trentino e tutt’al-tro che appartenenti alla minoranza ladina o alle isole tedesche delFersina o di Luserna, mi imbattevo infatti in bellunesi, veneti in genere,istriani, sloveni non solo della val Canale ma anche della valle dell’Isonzo,dell’Istria e perfino del nuovo regno di Jugoslavia. Oltre a questi, stra-nieri di tutte le nazionalità, specie dei paesi del centro ed est Europa,

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sudtirolesi e valcanalesi, come il fratello di Thomas Martinz che rientra-vano o optavano da altri continenti, dalle Americhe, dall’Australia, unoperfino dalla città tristemente famosa di Hiroshima, in Giappone (chissàche fine avrà poi fatto), tutte persone che per i motivi più svariati edoscuri chiedevano la cittadinanza germanica, e assieme a loro altri com-paesani, pubblici dipendenti spediti in altre regioni d’Italia lontano dallapropria terra, dalla propria gente, dalla propria lingua, ferrovieri, stradini,ma anche carabinieri e guardie di finanza.

Molte le donne sole, ragazze madri, altre a servizio nelle grandi cittàpresso qualche ricca famiglia italiana nella duplice veste di domestichee balie di madrelingua tedesca.

Un firmamento di storie comuni e allo stesso tempo diverse traloro, di persone che percorrevano un loro viaggio sul treno della storiaaccanto alle molte altre che la semplice lettura delle schede non facevaemergere, come quella di Aloisia Klavora, slovena o «slava di razza edi lingua», come con disprezzo avrebbero scritto tanto i funzionari ita-liani quanto quelli tedeschi, se non si fosse sposata al carinziano ThomasMartinz della val Canale, accedendo al diritto\dovere di seguire, in unasorte di anonimato etnico le scelte del marito.

Da quella prima veloce e parziale consultazione nacque lo stimoload approfondire questa triste vicenda di «riordino etnico» che, come leschede facevano intuire, andava ben al di là dal coinvolgere la solaminoranza tedesca ex austriaca del Sudtirolo e della val Canale, macoinvolgeva anche tanti ladini, sloveni e italiani, per una cifra totale,secondo dati riportati dallo storico Renzo De Felice, di 13.756 persone5,quasi il 7% di tutti coloro che avevano optato.

Chi erano e perché l’avevano fatto è stata la domanda alla qualesi è cercato di rispondere.

Fondamentale perciò è stato riprendere in mano l’intero fondodell’ex Alto commissariato, scorrendo questa volta molto più attenta-mente scheda per scheda, e caso su caso cercando di quantificare conla minore approssimazione possibile il fenomeno.

Come già detto, le modalità di compilazione delle schede, scritteper lo più a penna e legate alle diverse capacità e competenze deglistessi compilatori, lasciano alcuni margini, anche se minimi, di incertez-za sulle cifre definitive, con la conseguenza di rendere non assoluti i datiche qui vengono forniti.

Per i casi dubbi si tratta il più delle volte delle schede degli optanti

5) DE FELICE 1973: 56.

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residenti all’estero che i funzionari italiani compilavano di seconda mano,sulla base di documentazioni personali fornite nella grande maggioranzadei casi dalle autorità tedesche, o di quei casi nei quali il funzionario,all’oscuro della toponomastica tedesca e della stessa geografia del ter-ritorio, riportava nomi di località maldestramente tradotti o il più vicinopossibile ad una trascrizione fonetica, specie per le piccole località e lefrazioni poco note, con la conseguente difficoltà, oggi, di riuscire adattribuirle con certezza a questo o a quel comune (almeno due volte siè constatata la sostituzione di Trenta, nell’Alto Isonzo, con Trento).

Tanto vale anche per il rilievo delle consistenze proprietarie, dovesi è evidenziata una diversa attenzione da parte dei compilatori cheandava dalla meticolosa e puntigliosa descrizione nelle schede della valCanale, dove lo scrupoloso funzionario arrivava a registrare ad esempiostrumento per strumento gli attrezzi di lavoro di un sarto e della suabottega, con tanto di forbici e aghi, all’approssimazione dei colleghimeno solerti, operanti nelle valli del Sudtirolo, le cui descrizioni sonocaratterizzate da indicazioni del tutto imprecise come un generico «pro-prietà», «casa», «terreni».

Questa parte della ricerca, statistico-sociologica, è stata utilmenteintegrata dalla consultazione del fondo della Questura di Trento «Sov-versivi Radiati», conservata presso l’Archivio di stato di Trento.

I fascicoli raccolti nel fondo riguardano le persone schedate dallaquestura trentina per motivi politici. Tra le migliaia di casi iscritti etra le voci più disparate, come tedescofilo, pangermanista, hitleriano,optante, ma anche come socialista o comunista, si rinvengono moltidegli incartamenti di optanti trentini appartenenti al gruppo etnicoitaliano, non raramente schedati proprio per questo loro gesto.

Uno spaccato molto utile, come vedremo, per focalizzare le condi-zioni nelle quali tra molti italiani veniva maturando la strana e per certiversi contraddittoria scelta di chiedere la cittadinanza germanica e ditrasferirsi nel Reich nazionalsocialista.

La parte di ricerca storico-documentaria si è basata principalmentesui fondi conservati presso l’Archivio storico del Ministero degli affariesteri a Roma e l’Archivio centrale dello Stato, sempre a Roma, fondiche verranno di volta in volta citati nelle note. Molto importante, specieper la parte relativa alla val Canale, è risultato poi il fondo della Pre-fettura di Udine, presso l’Archivio di stato di Udine, senz’altro il piùcompleto per la questione delle opzioni, e perciò utile anche per laricostruzione dei modi di lavoro e delle strutture operative di parteitaliana.

Sempre per la val Canale particolarmente interessante, specie per

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gli aspetti socio-economici ed i riflessi su questi delle opzioni, si è rive-lato il fondo della miniera di Rajbl, che al momento della consultazioneera stato da poco acquisito dall’Archivio di stato di Trieste dopo lachiusura delle miniere agli inizi degli anni novanta, e ancora mancantein quel momento di un’inventariazione che ne rendesse agevole e siste-matica la consultazione.

È risultato invece del tutto vano il tentativo di rintracciare a Roma,presso l’Archivio centrale dello Stato o presso gli archivi del Ministerodell’interno le carte dell’Ufficio di Gabinetto, «Ufficio Alto Adige», l’or-gano del Ministero dell’interno, presso il quale dovevano transitare tuttele questioni e le carte relative alle opzioni.

Pare infatti che di tutto il fondo, e con esso anche di parte dellecarte della Delegazione economico finanziaria (DEFI), sempre dipen-dente dal Ministero dell’interno ed incaricata di tutte le operazioni divalutazione e stima dei beni degli optanti, si siano perse le tracce findall’8 settembre del 1943.

Sorte migliore pare non aver avuto il fondo dell’Ufficio di Gabinettodella Prefettura di Bolzano-Ufficio speciale per l’esecuzione degli accordiitalo-tedeschi, cui facevano capo tutte le operazioni e direttamente dipen-dente dal prefetto di Bolzano. Tutti i tentativi condotti per individuarnela presenza e l’eventuale consistenza presso l’attuale Commissariato delGoverno per la provincia di Bolzano non hanno dato grandi frutti, se nonl’accesso ad un paio di buste molto scarne e piuttosto disarticolate chefanno pensare che forse qualcosa, magari ancora in forma altrettantodisomogenea, da qualche parte si sia salvata.

Va da sé che sono proprio questi due ultimi fondi d’archivio, pur-troppo mancanti, quelli che in assoluto e più di altri potrebbero daremolte delle risposte su come la vicenda delle opzioni fu gestita edorganizzata da parte italiana.

Un’ultima nota è relativa all’archivio dell’Ente per le Tre Venezie,l’ente del Ministero delle finanze incaricato dell’acquisto e della gestionedei beni degli optanti.

L’Ente, trasformato ripetutamente dopo la guerra, ha cessato diesistere come organo della regione Veneto con il nome di ESAV, Enteper lo sviluppo agrario del Veneto, tra gli anni ottanta e novanta,passando a far parte degli enti disciolti.

Tutto il suo archivio, con la consistente documentazione sulle pra-tiche relative ai beni degli optanti, si trovava nel 1995 presso gli Archivigenerali degli Enti disciolti del Ministero del Tesoro a Roma, in attesadelle operazioni di liquidazione da parte della Ragioneria generale delloStato.

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1940: libretto di lavoro del neocittadino germanico Josef Anderwald

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1940: libretto di lavoro del neocittadino germanico Josef Anderwald

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Purtroppo l’incerta sistemazione affatto funzionale ad una consul-tazione sistematica, e la mole stessa del fondo, non hanno reso possibileuno studio di quelle carte concernenti per la più parte le pratiche diacquisto, liquidazione o gestione dei beni degli optanti, tra le quali, inquel momento, non si sono rinvenute più interessanti documentazionisulla gestione «politica» delle operazioni.

Concludiamo facendo cenno ai fondi «Alto commissario per la Pro-vincia di Lubiana 1941-1943» e «Emona» consultati presso l’Archivio distato della Repubblica Slovena a Lubiana, indicatimi dal prof. ToneFerenc e ricchi di interessante materiale concernente il periodo dell’oc-cupazione italiana in Slovenia, ed in particolare per il tema qui affron-tato, sugli accordi italo-tedeschi per il trasferimento nel Reich dellecomunità di origine tedesca presenti nella provincia di Lubiana.

* * *

L’elenco delle persone che dovrei ringraziare per essere riuscito aportare a termine questo lavoro sarebbe troppo lungo e correrei senz’altrol’imbarazzante rischio di dimenticarmene qualcuna per strada.

Non mi posso però esimere dal ringraziare personalmente il professorVincenzo Calì e la dottoressa Patrizia Marchesoni, del Museo storico inTrento, che fin dall’inizio di questa ricerca mi hanno costantementesupportato ed incoraggiato.

Sono particolarmente grato al professor Tone Ferenc per avermiconsigliato e guidato tra i fondi dell’Archivio di stato della Repubblicaslovena di Lubiana e al dottor Hubert Gasser, direttore dell’Archivio distato di Bolzano, per le facilitazioni concessimi nel consultare il ponde-roso fondo dell’ex Alto commissariato per le migrazioni.

Fondamentali sono stati i contributi e le riflessioni del professorChristoph von Hartungen, che ha letto la stesura finale della ricercafornendomi preziose indicazioni delle quali ho potuto tener conto per laversione definitiva del testo.

Un ringraziamento particolare va poi alla famiglia di Josef (Giusep-pe) Martinz di Coccau, generosi ospiti e preziosi intermediari con alcunidei testimoni sopravissuti delle vicende narrate della val Canale.Infine vorrei di cuore ringraziare mia moglie, Sara Rosetta, senza la cuipazienza, senza il cui sacrificio, anche mentre era incinta di nostro figlio,non sarei riuscito a terminare questa fatica.

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Introduzione

Quando il 20 dicembre del 1895, a Coccau, da Martin Martinz eLucia Wedam, contadini originari di Valbruna, quarto di nove figli,nacque Thomas, Coccau, anzi Goggau come fino ad allora tutti l’ave-vano chiamata, era una piccola frazione di Tarvis all’inizio della ValCanale nella parte meridionale della Carinzia ai confini dell’Imperoaustro-ungarico.

Secondo il censimento austriaco del 1910 era abitata da 408 per-sone, 191 uomini e 217 donne, delle quali 401 erano cattoliche e 7protestanti.

Il censimento, anche se in forme che vennero comunque criticate,rilevava tra l’altro anche il dato etnico attraverso la lingua d’uso, laUmgangssprache, e dava per Goggau una popolazione pressoché com-patta di 403 tedeschi, mentre complessivamente nel resto del comunesi registravano 3480 tedeschi, 93 sloveni e 198 genericamente definiti«altri»1.

Nel 1914, allo scoppio della prima guerra mondiale, Thomas, gio-vanissimo, viene arruolato assieme a due suoi fratelli e inviato sul fronterusso in Galizia. Qui, nel 1915, viene fatto prigioniero.

Come molti altri verrà impiegato nei lavori agricoli, e avrà piùfortuna dei suoi fratelli dei quali uno morirà in prigionia, l’altro pocodopo sul fronte del Tirolo meridionale combattendo contro gli italiani.

Terminata la guerra, nel 1919, dopo non poche peripezie, Thomasriesce a tornare a casa, dove riprende la sua vita di contadino. La valCanale e anche la sua Goggau nel frattempo sono state occupate dagliitaliani e Klagenfurt, il capoluogo della Carinzia, è rivendicata e minac-ciata dal nuovo Regno dei Serbi, dei Croati e degli Sloveni che nel

1) SPEZIALORTSREPERTORIUM 1918: 61.

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frattempo si è creato a pochi chilometri da Goggau, oltre Weißenfels,dove iniziava fino a pochi mesi prima la regione della Carniola.

Attorno al piccolo maso dei Martinz le coordinate politico-geogra-fiche cominciavano a non essere più le stesse, e di lì a poco, in baseal trattato di Saint Germain, anche Tarvis con tutta la val Canale finoa Pontafel, in nome di superiori esigenze strategico militari, sarebbediventata italiana.

Goggau diventa allora Coccau, Tarvis Tarvisio, la nuova provinciadi appartenenza Udine, mentre ora l’Austria era diventata solo unapiccola repubblica il cui territorio iniziava a pochi passi dalla casa diThomas.

Questo gran trambusto inizialmente non cambia nulla nella sua vitadi contadino, e non può essere diversamente, dato che la terra, la sichiami in tedesco, in sloveno o in italiano, bisogna sempre e comunquezapparla, seminarla, ararla.

A Coccau, la famiglia dei Martinz è una delle più solide economi-camente. Thomas possiede prati, parti di bosco, terreno ad arativo,pecore, dodici bovini, una segheria funzionante ad acqua sul Wagenbach,il rio dei carri, acquistata da un fallimento nel 1935 ed una casa sulleloro proprietà, lasciatagli in eredità dal padre.

Nel 1930, dopo la morte della prima moglie, Thomas si risposa conAloisia Klavora, di Plezzo nell’alta valle dell’Isonzo, passata anche que-sta all’Italia nel 1918 con la dissoluzione dell’Austria-Ungheria.

Anche Aloisia è contadina, di famiglia slovena, come la quasi to-talità degli abitanti della valle2.

I due si sono conosciuti tramite un cugino di Aloisia, che come altrisuoi compaesani frequentava la val Canale per vendere di casa in casai formaggi e le ricotte fatte in famiglia.

Da allora, molte volte Thomas, a cavallo della sua bicicletta, eraandato a trovarla, valicando il passo di Rajbl che divide le due valli subitoal di là delle grandi miniere di monte Re, dove, praticamente da sempre,moltissimi loro compaesani condividevano il duro lavoro nelle gallerie.

Tra il 1931 e il 1935 Thomas e Aloisia hanno tre figli, Liliana,Carolina e Giuseppe. Questi i loro nomi all’anagrafe, ma in casa i trebambini vengono chiamati Lili, Lina e «Peperle», diminutivo di Josef.

Liliana, la maggiore, nel 1937 inizia a frequentare la scuola e acasa deve spiegare che al familiare gruss Gott bisogna sostituire laparola buongiorno, che la storia ha come ombelico del mondo Roma,

2) SPEZIALORTSREPERTORIUM 1919: 24-28.

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1932: Roma, Josef Anderwald in servizio di leva al 3o reg. artiglieriada campagna

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1935: Etiopia, il caporale Josef Anderwald richiamato per la guerra al Negus

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i romani e i loro discendenti italiani guidati oggi fulgidamente dal Duceverso nuovi traguardi di grandezza e splendore, che gli altri sono solodiscendenti di genti rozze e barbare3, che la vecchia Austria di Fran-cesco Giuseppe era quel grande oppressore di popoli e nazioni che nel1918 anche l’Italia aveva contribuito a sconfiggere liberando finalmentedalla tirannia terre da sempre italiane e raggiungendo i naturali e legit-timi confini delle Alpi.

Forse Thomas cominciò allora a chiedersi che cosa realmente stavaaccadendo, forse ne aveva già qualche volta discusso guardingo con gliamici del paese la domenica mattina al bar giocando alle carte dopo laMessa.

Forse già se ne parlava da tempo, dopo che il nuovo stato e il nuovogoverno fascista avevano imposto tutta una serie di trasformazioni maldigerite sulla gestione collettiva del bosco, sul regime fiscale diventatosempre più oppressivo, sul sistema di eleggere i propri rappresentanti alcomune, sull’imposizione di cambiare nome a posti e persone.

È certo comunque che le cose non andavano molto bene. Dopo laguerra molte persone erano state costrette ad emigrare in cerca dilavoro, e anche tre delle sorelle di Thomas ed il fratello più giovane,Pepi, del 1907, avevano lasciato il paese diretti nelle Americhe, in cercadi una vita meno dura.

Nostalgia per il passato? Chi lo sa.Sicuramente quella guerra era stata una sciagura; quattro anni

lontano da casa, sofferenze, terrore, la morte di due fratelli; per fortunaera finita, anche se dalla parte degli sconfitti, di quelli che comunquequalcosa dovevano pur pagare.

Nel marzo del 1938 la Germania di Hitler si annette quel che erarimasto dell’Austria, e alle porte dei Martinz, alla sbarre del confine, sicambiano di nuovo colori. Alla bandiera austriaca si sostituisce ora lacroce uncinata della grande Germania nazionalsocialista, la Vaterland,la grande patria di tutti i Volksdeutsche, di tutto il popolo tedesco.

È un momento di grande inquietudine. In modo sempre più deciso,anche a Tarvisio e nella val Canale si agitano idee, persone ed immaginiche richiamano all’unità di tutti i tedeschi. Ciò che prima erano solo dellevoci, delle velate allusioni, delle speranze, ora che la potente Germania

3) Significativo a questo proposito è quanto aveva scritto già prima dell’inizio della guerraEttore Tolomei, il più fermo sostenitore del diritto italiano sull’Alto Adige: «Le Alpi segna-no il limite tra la coltissima Italia e le regioni gelide transalpine, dove in mezzo a vasteselve albergavano in capanne povere le squalide tribù dei barbari domati» (TOLOMEI 1935:36). Sulla vita e l’operato di Tolomei si veda BENVENUTI - HARTUNGEN 1998.

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ha trasformato la piccola e debole Austria in una semplice espressionegeografica, la Ostmark, ora tutto sembra possibile. Si riaccende, o megliosi accende del tutto nuovo un irredentismo pantedesco filo germanico, siparla, anche se impropriamente, di un «ritorno» del Sudtirolo e della valCanale al Reich tedesco, si profila l’idea che gli italiani se ne vadano, sene tornino a casa loro.

Niente di tutto questo. Troppo rischioso incrinare un’alleanza tradue regimi totalitari per poche migliaia di tedeschi finiti al di qua delleAlpi nel corso dei secoli per qualche balordo scherzo della storia. Madato che ci sono e costituiscono un problema, questo va risolto unavolta per tutte e in forma definitiva; a Thomas e ai suoi compaesani,i «problemi», verrà imposto di decidere entro il 31 di dicembre del1939, se rimanere tedeschi, quali erano, e dunque trasferirsi nei territoridel Reich, oppure di accettare di diventare buoni italiani e perciò...

Ma quel perciò non si capisce che cosa significhi.Thomas, come molti altri, è dubbioso, incerto, preoccupato, è

una decisione terribile e aspetta fino al 20 dicembre; poi, comequasi tutti, deciderà di «votare» per la Germania. Torna perfino suofratello dal Sudamerica apposta per optare, raggiunto a Buenos Airesdalla efficientissima propaganda nazista, convinto di poter approfit-tare di una grossa occasione per sistemarsi per il resto della vita. Inpaese, tra coloro, come il fratello, che avevano avuto pochi dubbisulla scelta da fare, c’erano soprattutto i più giovani, lusingati sullapossibilità di un futuro migliore e assolutamente sfiduciati nei con-fronti dell’Italia fascista e che si troveranno ben presto a combatterein giro per l’Europa con la divisa della Wermacht. Così era toccatoanche al figlio dei vicini di Thomas, Josef Anderwald, nato a Coccauil 12 marzo del 1911 che, ragazzino, Thomas aveva tenuto alle suedipendenze per condurre i buoi nel bosco a trasportar legna o perguidarli nel lavoro dei campi. Nel 1935, Josef, richiamato, avevacombattuto in Africa contro il Negus, tra le file del Regio Esercitoitaliano; al ritorno, aveva tentato di entrare prima in ferrovia, senzaesito, poi nella guardia di finanza, forte della sua condizione direduce dalla guerra che aveva dato all’Italia il suo impero e convintoperciò di essere in credito nei confronti della «sua patria». Convoca-to a Tolmezzo per la visita di idoneità si vedrà invece assurdamentescartato per piedi piatti, e senza nemmeno essere visitato! Eppurenel 1932 aveva pienamente assolto ai suoi obblighi di leva proprioa Roma, presso il 13o regimento artiglieria da campagna, senza chenessuno si accorgesse dei suoi fantomatici piedi piatti; gli stessi miste-riosi piedi piatti non gli avevano poi certo risparmiato la campagna

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etiopica e non gli risparmieranno nemmeno la campagna di Russiacon l’esercito tedesco e relativa prigionia, dopo che per effetto delleopzioni aveva senza esitazioni deciso di diventare cittadino germaniconella speranza di trovare una patria più generosa e un lavoro menoduro e pericoloso di quello di vagonaro alla miniera di Rajbl, doveper quarant’anni aveva lavorato anche suo padre.

Il 18 settembre del 1940, Thomas, i suoi tre figli e la moglie slovena,ottengono la cittadinanza germanica, e in attesa di trasferirsi nei territoridel Reich diventano tutt’a un tratto stranieri in casa loro.

Per ben tre volte Thomas va in Carinzia, nella Rosental, a vederela possibile nuova abitazione completa di campi e segheria.

Per ben tre volte rinuncia. Molte cose non lo hanno convinto: lecase che vede, ancora arredate come se i veri proprietari per unaqualche oscura ragione se ne fossero andati pochi minuti prima, lalunghezza e l’incertezza della vendita dei suoi beni, l’idea di doverlasciare la propria terra, la propria casa, la propria valle.

Nonostante il passaporto pronto fin dal febbraio del 1940, Thomase la sua famiglia non partono, non vogliono partire, e quando nell’esta-te del 1942 un camion dell’organizzazione germanica si avvicina a casaper iniziare forzatamente il trasloco, Thomas riparati i suoi figli in casaesce e affronta molto energicamente quelli che erano venuti a portarlovia: si mette a gridare che mai lascerà casa sua, che una guerra luil’aveva già fatta e che tanto aveva già dato, che da lì non si sarebbespostato nemmeno se fossero arrivati i russi, che se ne andassero.

Se ne andranno, e Thomas Martinz, cittadino germanico, rimarràa casa sua in Italia, a Coccau, nel comune di Tarvisio in provincia diUdine, e i suoi figli, cittadini germanici, continueranno a varcare lafrontiera tutti i giorni per andare a scuola a Maglern, appena oltre ilconfine nel loro «nuovo» paese, la Germania; a mostrare ogni giornoil lasciapassare ad un qualche carabiniere, a marciare nelle file dellaHitlerjungend il mattino a scuola, ad alzare il braccio nel saluto romanoper qualche gerarca fascista di passaggio per le strade di Tarvisio ilpomeriggio, una volta tornati a casa.

Piccole anomalie in un mondo sconquassato di nuovo dalla guerra,dagli eccidi, dalle devastazioni.

L’8 settembre del 1943 Thomas è ancora a Coccau. Con l’occupa-zione tedesca qualcosa si normalizza, i suoi figli possono tornare ascuola a Tarvisio nella nuova scuola tedesca e la sua famiglia, per ilmomento, non è più ospite in una nazione straniera.

Thomas ha molto lavoro alla segheria, commissionato dallaWermacht, deve anche prestare servizio con il fratello nella Selbstschutz,

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una sorta di polizia locale incaricata di garantire l’ordine e la sicurezza.Quando il 30 aprile del 1945 Hitler si suicidò nel suo bunker a

Berlino e pochi giorno dopo scomparve la Germania nazionalsocialista,Thomas era ancora nella sua casa di Coccau, nei suoi campi, nella suasegheria.

In quei giorni un’unità inglese, composta di soldati ebrei, arriva aTarvisio, gli requisisce del legname senza pagarlo, picchiano il fratello,commettono altri piccoli abusi leggitimati dal fatto di trovarsi di frontea delle persone la cui colpa era di essere dei tedeschi che avevanochiesto di diventare cittadini del Reich, e perciò possibili fiancheggiatoridei nazisti.

Finisce la guerra e ancora una volta alla porta dei Martinz, allabarriera di confine, si cambiano le bandiere; rinasce l’Austria, mentreil paese della moglie, Plezzo, finisce nella nuova Jugoslavia di Tito, aldi là della «cortina di ferro» e di uno dei confini più blindati e delicatidi quel momento, di quel mondo diviso in due che aveva definitivamenteseparato due valli e due comunità da sempre strettamente in comuni-cazione.

Per i Martinz, ancora cittadini germanici, un altro seccante problema.Thomas riacquisterà la cittadinanza italiana nel febbraio del 1948,

finalmente di nuovo regolare residente in casa sua.Ancora una volta l’anagrafe muterà il nome dei suoi familiari, questa

volta in modo definitivo.Per altri paesani che invece si erano trasferiti, le cose furono anche

più complicate. Josef Anderwald, il figlio dei vicini, tornato dalla prigio-nia in Russia, si era fermato in Austria dove era stato assunto dalleferrovie come manovratore alla stazione di Villach. Qui, ma solo alcunianni più tardi, e solo indagando su di un sistematico ritardo che subivaogni mese il suo stipendio, si era accorto di essere ancora cittadinogermanico, e non austriaco. Ancora una volta «cittadino nella patriasbagliata»; dovrà attendere il 1952 e pagare 1.500 scellini per vederefinalmente regolarizzata la sua posizione.

Thomas Martinz morirà cittadino italiano, sopravvissuto alla disso-luzione della piccola comunità carinziana della sua Coccau, con il nomedi Tommaso il 20 giugno del 1989.

Per i figli lo sloveno, che la moglie aveva comunque voluto inse-gnar loro, rimane oggi un ricordo poco praticato; per i nipoti il tedescosolo una lingua imparata a scuola e parlata al di là dell’attuale confine4.

4) Testimonianze orali raccolte nell’inverno del 1996 a Coccau da Giuseppe Martinz e dallasorella Liliana.

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1936: congedo di Josef Anderwald richiamato per la guerra in Etiopia

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1936: congedo di Josef Anderwald richiamato per la guerra in Etiopia

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Nella vicenda complessa e drammatica degli accordi italo-tedeschidel 1939 sul trasferimento «degli allogeni e dei cittadini germanici», piùnoti come «opzioni», ma soprattutto nei suoi aspetti più grotteschi eparadossali, mi ero imbattuto la prima volta nel corso della ricerca perla mia tesi di laurea sulla minoranza ladina della val di Fassa. Per unastrana, anche se per loro fortunata ragione, ai ladini fassani, a differen-za dei loro confratelli ex suddti asburgici delle altre vallate dolomitiche,non era stato esteso il diritto all’opzione e la valle di Fassa era rimastaesclusa dai territori contemplati negli accordi. Stranamente però risulta-va da diverse testimonianze che non pochi ladini fassani nel 1939avevano optato ed ottenuto la cittadinanza germanica.

Bisognava allora chiarire perché e secondo quali modalità questofosse accaduto.

Ho iniziato allora una ricerca piuttosto macchinosa sul fondo del-l’ex Alto commissariato per le migrazioni e la colonizzazione-delegazio-ne per l’Alto Adige presso l’Archivio di stato di Bolzano. Il fondo,consistente di uno schedario vastissimo, è composto dalle migliaia emigliaia di schede contenenti i dati anagrafici e di proprietà di tutticoloro che tra il 1939 e il 1940 avevano optato per la cittadinanzagermanica, ne avessero o meno diritto.

La ricerca fu allora relativamente veloce, mirata come era ad indi-viduare un gruppo ben definito e circoscritto di persone; ma nel rapidosfogliamento delle schede, tra un fassano e l’altro, mi imbattevo in unacongerie di casi e situazioni che facevano presagire una realtà molto piùcomplessa e drammatica di quello che risultava dai numeri conosciutie dalle cose fin là lette.

Tra le schede, la più parte scritte a penna, alcune illeggibili, altredifficilmente interpretabili non solo per difficoltà di lettura, ma più spes-so per la non corretta trascrizione del nome dei comuni di nascita e diresidenza degli optanti da parte di funzionari italiani quasi sempre adigiuno, se non del tutto ignari, della lingua tedesca, mi erano sfilatidavanti una quantità davvero imprevedibile di casi molto particolari,per certi versi simili a quello della comunità ladina della valle di Fassadi cui mi stavo occupando, per altri davvero molto strani.

Accanto a gruppi più o meno compatti di valligiani, o di nucleifamiliari già residenti in Germania, tutti originari del Trentino e tutt’al-tro che appartenenti alla minoranza ladina o alle isole tedesche delFersina o di Luserna, mi imbattevo infatti in bellunesi, veneti in genere,istriani, sloveni non solo della val Canale ma anche della valle dell’Isonzo,dell’Istria e perfino del nuovo regno di Jugoslavia. Oltre a questi, stra-nieri di tutte le nazionalità, specie dei paesi del centro ed est Europa,

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sudtirolesi e valcanalesi, come il fratello di Thomas Martinz che rientra-vano o optavano da altri continenti, dalle Americhe, dall’Australia, unoperfino dalla città tristemente famosa di Hiroshima, in Giappone (chissàche fine avrà poi fatto), tutte persone che per i motivi più svariati edoscuri chiedevano la cittadinanza germanica, e assieme a loro altri com-paesani, pubblici dipendenti spediti in altre regioni d’Italia lontano dallapropria terra, dalla propria gente, dalla propria lingua, ferrovieri, stradini,ma anche carabinieri e guardie di finanza.

Molte le donne sole, ragazze madri, altre a servizio nelle grandi cittàpresso qualche ricca famiglia italiana nella duplice veste di domestichee balie di madrelingua tedesca.

Un firmamento di storie comuni e allo stesso tempo diverse traloro, di persone che percorrevano un loro viaggio sul treno della storiaaccanto alle molte altre che la semplice lettura delle schede non facevaemergere, come quella di Aloisia Klavora, slovena o «slava di razza edi lingua», come con disprezzo avrebbero scritto tanto i funzionari ita-liani quanto quelli tedeschi, se non si fosse sposata al carinziano ThomasMartinz della val Canale, accedendo al diritto\dovere di seguire, in unasorte di anonimato etnico le scelte del marito.

Da quella prima veloce e parziale consultazione nacque lo stimoload approfondire questa triste vicenda di «riordino etnico» che, come leschede facevano intuire, andava ben al di là dal coinvolgere la solaminoranza tedesca ex austriaca del Sudtirolo e della val Canale, macoinvolgeva anche tanti ladini, sloveni e italiani, per una cifra totale,secondo dati riportati dallo storico Renzo De Felice, di 13.756 persone5,quasi il 7% di tutti coloro che avevano optato.

Chi erano e perché l’avevano fatto è stata la domanda alla qualesi è cercato di rispondere.

Fondamentale perciò è stato riprendere in mano l’intero fondodell’ex Alto commissariato, scorrendo questa volta molto più attenta-mente scheda per scheda, e caso su caso cercando di quantificare conla minore approssimazione possibile il fenomeno.

Come già detto, le modalità di compilazione delle schede, scritteper lo più a penna e legate alle diverse capacità e competenze deglistessi compilatori, lasciano alcuni margini, anche se minimi, di incertez-za sulle cifre definitive, con la conseguenza di rendere non assoluti i datiche qui vengono forniti.

Per i casi dubbi si tratta il più delle volte delle schede degli optanti

5) DE FELICE 1973: 56.

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residenti all’estero che i funzionari italiani compilavano di seconda mano,sulla base di documentazioni personali fornite nella grande maggioranzadei casi dalle autorità tedesche, o di quei casi nei quali il funzionario,all’oscuro della toponomastica tedesca e della stessa geografia del ter-ritorio, riportava nomi di località maldestramente tradotti o il più vicinopossibile ad una trascrizione fonetica, specie per le piccole località e lefrazioni poco note, con la conseguente difficoltà, oggi, di riuscire adattribuirle con certezza a questo o a quel comune (almeno due volte siè constatata la sostituzione di Trenta, nell’Alto Isonzo, con Trento).

Tanto vale anche per il rilievo delle consistenze proprietarie, dovesi è evidenziata una diversa attenzione da parte dei compilatori cheandava dalla meticolosa e puntigliosa descrizione nelle schede della valCanale, dove lo scrupoloso funzionario arrivava a registrare ad esempiostrumento per strumento gli attrezzi di lavoro di un sarto e della suabottega, con tanto di forbici e aghi, all’approssimazione dei colleghimeno solerti, operanti nelle valli del Sudtirolo, le cui descrizioni sonocaratterizzate da indicazioni del tutto imprecise come un generico «pro-prietà», «casa», «terreni».

Questa parte della ricerca, statistico-sociologica, è stata utilmenteintegrata dalla consultazione del fondo della Questura di Trento «Sov-versivi Radiati», conservata presso l’Archivio di stato di Trento.

I fascicoli raccolti nel fondo riguardano le persone schedate dallaquestura trentina per motivi politici. Tra le migliaia di casi iscritti etra le voci più disparate, come tedescofilo, pangermanista, hitleriano,optante, ma anche come socialista o comunista, si rinvengono moltidegli incartamenti di optanti trentini appartenenti al gruppo etnicoitaliano, non raramente schedati proprio per questo loro gesto.

Uno spaccato molto utile, come vedremo, per focalizzare le condi-zioni nelle quali tra molti italiani veniva maturando la strana e per certiversi contraddittoria scelta di chiedere la cittadinanza germanica e ditrasferirsi nel Reich nazionalsocialista.

La parte di ricerca storico-documentaria si è basata principalmentesui fondi conservati presso l’Archivio storico del Ministero degli affariesteri a Roma e l’Archivio centrale dello Stato, sempre a Roma, fondiche verranno di volta in volta citati nelle note. Molto importante, specieper la parte relativa alla val Canale, è risultato poi il fondo della Pre-fettura di Udine, presso l’Archivio di stato di Udine, senz’altro il piùcompleto per la questione delle opzioni, e perciò utile anche per laricostruzione dei modi di lavoro e delle strutture operative di parteitaliana.

Sempre per la val Canale particolarmente interessante, specie per

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gli aspetti socio-economici ed i riflessi su questi delle opzioni, si è rive-lato il fondo della miniera di Rajbl, che al momento della consultazioneera stato da poco acquisito dall’Archivio di stato di Trieste dopo lachiusura delle miniere agli inizi degli anni novanta, e ancora mancantein quel momento di un’inventariazione che ne rendesse agevole e siste-matica la consultazione.

È risultato invece del tutto vano il tentativo di rintracciare a Roma,presso l’Archivio centrale dello Stato o presso gli archivi del Ministerodell’interno le carte dell’Ufficio di Gabinetto, «Ufficio Alto Adige», l’or-gano del Ministero dell’interno, presso il quale dovevano transitare tuttele questioni e le carte relative alle opzioni.

Pare infatti che di tutto il fondo, e con esso anche di parte dellecarte della Delegazione economico finanziaria (DEFI), sempre dipen-dente dal Ministero dell’interno ed incaricata di tutte le operazioni divalutazione e stima dei beni degli optanti, si siano perse le tracce findall’8 settembre del 1943.

Sorte migliore pare non aver avuto il fondo dell’Ufficio di Gabinettodella Prefettura di Bolzano-Ufficio speciale per l’esecuzione degli accordiitalo-tedeschi, cui facevano capo tutte le operazioni e direttamente dipen-dente dal prefetto di Bolzano. Tutti i tentativi condotti per individuarnela presenza e l’eventuale consistenza presso l’attuale Commissariato delGoverno per la provincia di Bolzano non hanno dato grandi frutti, se nonl’accesso ad un paio di buste molto scarne e piuttosto disarticolate chefanno pensare che forse qualcosa, magari ancora in forma altrettantodisomogenea, da qualche parte si sia salvata.

Va da sé che sono proprio questi due ultimi fondi d’archivio, pur-troppo mancanti, quelli che in assoluto e più di altri potrebbero daremolte delle risposte su come la vicenda delle opzioni fu gestita edorganizzata da parte italiana.

Un’ultima nota è relativa all’archivio dell’Ente per le Tre Venezie,l’ente del Ministero delle finanze incaricato dell’acquisto e della gestionedei beni degli optanti.

L’Ente, trasformato ripetutamente dopo la guerra, ha cessato diesistere come organo della regione Veneto con il nome di ESAV, Enteper lo sviluppo agrario del Veneto, tra gli anni ottanta e novanta,passando a far parte degli enti disciolti.

Tutto il suo archivio, con la consistente documentazione sulle pra-tiche relative ai beni degli optanti, si trovava nel 1995 presso gli Archivigenerali degli Enti disciolti del Ministero del Tesoro a Roma, in attesadelle operazioni di liquidazione da parte della Ragioneria generale delloStato.

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1940: libretto di lavoro del neocittadino germanico Josef Anderwald

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1940: libretto di lavoro del neocittadino germanico Josef Anderwald

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Purtroppo l’incerta sistemazione affatto funzionale ad una consul-tazione sistematica, e la mole stessa del fondo, non hanno reso possibileuno studio di quelle carte concernenti per la più parte le pratiche diacquisto, liquidazione o gestione dei beni degli optanti, tra le quali, inquel momento, non si sono rinvenute più interessanti documentazionisulla gestione «politica» delle operazioni.

Concludiamo facendo cenno ai fondi «Alto commissario per la Pro-vincia di Lubiana 1941-1943» e «Emona» consultati presso l’Archivio distato della Repubblica Slovena a Lubiana, indicatimi dal prof. ToneFerenc e ricchi di interessante materiale concernente il periodo dell’oc-cupazione italiana in Slovenia, ed in particolare per il tema qui affron-tato, sugli accordi italo-tedeschi per il trasferimento nel Reich dellecomunità di origine tedesca presenti nella provincia di Lubiana.

* * *

L’elenco delle persone che dovrei ringraziare per essere riuscito aportare a termine questo lavoro sarebbe troppo lungo e correrei senz’altrol’imbarazzante rischio di dimenticarmene qualcuna per strada.

Non mi posso però esimere dal ringraziare personalmente il professorVincenzo Calì e la dottoressa Patrizia Marchesoni, del Museo storico inTrento, che fin dall’inizio di questa ricerca mi hanno costantementesupportato ed incoraggiato.

Sono particolarmente grato al professor Tone Ferenc per avermiconsigliato e guidato tra i fondi dell’Archivio di stato della Repubblicaslovena di Lubiana e al dottor Hubert Gasser, direttore dell’Archivio distato di Bolzano, per le facilitazioni concessimi nel consultare il ponde-roso fondo dell’ex Alto commissariato per le migrazioni.

Fondamentali sono stati i contributi e le riflessioni del professorChristoph von Hartungen, che ha letto la stesura finale della ricercafornendomi preziose indicazioni delle quali ho potuto tener conto per laversione definitiva del testo.

Un ringraziamento particolare va poi alla famiglia di Josef (Giusep-pe) Martinz di Coccau, generosi ospiti e preziosi intermediari con alcunidei testimoni sopravissuti delle vicende narrate della val Canale.Infine vorrei di cuore ringraziare mia moglie, Sara Rosetta, senza la cuipazienza, senza il cui sacrificio, anche mentre era incinta di nostro figlio,non sarei riuscito a terminare questa fatica.

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La prima guerra mondiale, almeno sul fronte balcanico e meridio-nale, fu combattuta in larga misura all’insegna delle rivendicazioni ter-ritoriali di matrice irredentista.

Infatti, la contesa che anteponeva ad ovest la Francia ed il Reichgermanico per il dominio sull’Alsazia-Lorena, strappata alla Francia nel1870 e caraterizzata dalla presenza di due distinte comunità - quellafrancese e quella tedesca - non era sicuramente paragonabile alla com-plessità dei problemi che nell’area del centroeuropa e dei Balcani coin-volgevano due grosse entità, l’Impero austro-ungarico e l’Imperoottomano, accidentali sopravvivenze delle epoche precedenti.

L’ottocentesca restaurazione postnapoleonica nell’Europa uscita dalcongresso di Vienna aveva particolarmente svilito quei sentimenti dinazionalità che, pur se in chiave strumentale, le armate di Bonaparte sierano portate appresso nella loro espansione continentale.

Tutto l’Ottocento, specie nei Balcani, sarà un periodo di continuee turbolente trasformazioni caratterizzate dal progressivo ritiro dell’Imperoottomano e dalla nascita di nuovi stati indipendenti: la Grecia nel 1832e, a partire dal 1878, la Serbia, il Montenegro, la Romania e la Bulga-ria.

Il percorso di questi paesi verso l’indipendenza fu caratterizzato dadure e sanguinose rivolte che avevano portato già in precedenza arelative situazioni di autonomia: la Serbia nel 1815, la Grecia nel 1829,la Romania nel 1856.

Si trattava di trasformazioni alle quali non erano per nulla estraneele tensioni internazionali che vedevano Russia, Gran Bretagna, Francia,

CAPITOLO PRIMO

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Tra etnia e patria,le minoranze in Europa

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Germania e Austria-Ungheria contendersi l’espansione ed il controllopolitico ed economico nei Balcani e nel Mediterraneo1.

Anche nei compositi territori dell’Impero austro-ungarico, pur contrasformazioni meno radicali, l’Ottocento fu caratterizzato da rivolte esollevazioni a sfondo nazionale, specialmente nei territori italiani edungheresi.

In Italia, nel 1848, dopo i fallimenti dei motti carbonari del 1820-1821, e mentre a Vienna la rivolta esplosa nel cuore dell’Impero assu-meva toni di accesa rivendicazione politico-sociale, le agitazioni, trasfor-matesi rapidamente in vere e proprie sollevazioni e poi in guerre, mi-ravano a raggiungere non solo un progressivo distacco dal controllo edalla sottomissione di Vienna, ma anche alla creazione di una nuovacompagine statuale indipendente.

Le vicende, che vedevano paralleli e contemporanei protagonistianche i territori ungheresi dell’impero, sono abbastanza note per esserequi approfondite. Parliamo delle tre guerre d’indipendenza che porte-ranno al distacco dall’Austria in successione della Lombardia e delVeneto, e della sanguinosa rivolta ungherese cui seguirà, nel 1867,l’Ausgleicht, «l’accordo», che porterà alla riconciliazione tra la «ribelle»nazione ungherese e gli Asburgo con la creazione di due entità stataliautonome legate solo dall’unione personale del sovrano: gli imperiali eregi territori dell’Austria-Ungheria2.

Fino a ridosso della prima guerra mondiale, in Austra-Ungheria lasituazione «nazionale» e la composizione etnica rimasero per così direcongelate, pur se causa di continue instabilità e tensioni. Unica rilevantevariazione fu l’annessione, nel 1908, della Bosnia-Erzegovina, ed ilproblematico allargamento della presenza di popolazione slava, serba inparticolare, che ne era conseguito.

Ancora nel 1910, pochissimi anni prima della sua scomparsa, l’Im-

1) Molto in sintesi, Russia e Austria-Ungheria, quest’ultima anche se non continuativamentecon l’appoggio della Germania, si contendevano l’allargamento della loro sfera d’influen-za nei territori balcanici lasciati liberi dall’Impero ottomano, mentre la Francia e soprat-tutto la Gran Bretagna erano impegnate a contenere l’espansione russa verso il Mediter-raneo.

2) La monarchia austro-ungarica ufficialmente non aveva un nome proprio ben definito edera indicata secondo le due parti che la componevano: la Cisleitania e la Transleitania,i territori ricadenti nella parte ungherese al di là del fiume Leitha e quelli di pertinenzaaustriaca al di qua del corso d’acqua. Per le complesse vicende dell’Impero austro-ungarico, dalla sua nascita alla sua dissoluzione, si rimanda per tutti al testo di MAY 1973,e alla ricca e completa bibliografia in esso contenuta.

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Il 3 novembre 1918, mentre a villa Giusti ad Abano Terme in pro-vincia di Padova i delegati dei comandi supremi degli eserciti italiano eaustro-ungarico firmavano l’armistizio che avrebbe posto fine alle ostilitàa partire dalle ore 15 del giorno successivo, le truppe italiane, approfit-tando dello stato di confusione che regnava ormai sui resti dello sbandatoesercito austro-ungarico che si stava quasi ovunque arrendendo, di fattocon un giorno di anticipo, occupavano senza bisogno di ulteriori combat-timenti Trento e Trieste, entrando per la prima volta definitivamente neiterritori rivendicati alla monarchia asburgica.

Il giorno seguente, all’inizio reale dello stato armistiziale, i primisoldati italiani avevano già raggiunto Salorno, il passo della Mendola,Sluderno.

Il 5, su richiesta del comando dell’XI armata austro-ungarica schie-rata nel settore trentino, per garantire un efficace controllo dell’ordinepubblico, le truppe italiane prendevano il controllo delle linee ferrovia-rie Trento-Brennero e Fortezza-Brunico.

Il 6 erano state occupate Pola, Fiume, Zara e Sebenico; il 7 Bolzano1.L’esercito italiano, da vincitore, si schierava sulla concordata linea

armistiziale, là dove il patto di Londra aveva promesso al regno italianoi suoi nuovi confini e le relative annessioni: «Le Trentin, le Tyrol cisalpin

CAPITOLO SECONDO

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Nuove provincie nuovi problemiL’Italia e le minoranze ai confini

1) GATTERER 1988: 312-313; CORSINI - LILL 1988: 36-37.

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avec sa frontière geografique et naturelle - la frontière du Brenner» (art.4), e poi la linea dello spartiacque delle Alpi Giulie per il Predil, ilMangart, il Tricorno e la linea di spartiacque dei colli di Podbrdo, diPodlaniscam e di Idria, che significavano la val Canale, i margraviati diGorizia e Gradisca, Trieste, tutta l’Istria fino al Quarnaro compresaVolosca e le isole istriane.

Ma gli impegni dell’Intesa verso l’Italia, sottoscritti a Londra il 26aprile del 1915, prevedevano a suo favore anche il possesso dellaDalmazia e, ben al di fuori di più o meno legittime rivendicazioni diordine nazionale unitario, la piena sovranità su Valona e sull’isola diSaseno, in Albania, con una porzione di territorio sufficiente a garan-tirne la difesa (art. 6), la piena sovranità sulle isole greche delDodecanneso strappate alla Turchia durante la guerra per la Libia nel1911 (art. 8), la zona di Adalia sulla costa turca dell’Asia Minore edun’aliquota dei territori coloniali tenuti dai tedeschi in Africa2.

Sulla carta, dunque, il diritto del vincitore all’occupazione di terri-tori che poco avevano a che fare con i tanto decantati principi dell’unitànazionale che avevano contribuito in modo determinante a giustificarenell’opinione pubblica l’entrata in guerra dell’Italia, era più che mailegittimo; e ancora di più a guerra finita lo si volle legittimare rivendi-cando tutto il peso dei 680.000 caduti e degli enormi sacrifici che sierano fatti sostenere al paese per una guerra che, partita come la quartaguerra d’indipendenza per la liberazione di Trento e Trieste ed ilcompletamento dell’unità nazionale, era finita in realtà per diventareuna guerra di conquista in piena regola con delle conseguenze destinatead andare ben al di là di quelle che erano state le stesse intenzioniiniziali.

Per i fautori dell’intervento infatti oltrepassare il «parecchio», chesecondo la posizione neutralista di Giolitti si sarebbe potuto otteneredall’Austra-Ungheria risparmiando al paese una guerra che «[...] sareb-be stata lunghissima - con - enormi sacrifici di uomini - e - colossalisacrifici finanziari specialmente gravi e rovinosi per un Paese come ilnostro, ancora scarso di capitali, con molti bisogni e con imposte adaltissima pressione [...]»3, non pareva significare il progetto della disso-luzione dell’impero asburgico.

2) TRATTATI 1919-1946. 3) GIOLITTI 1970.

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L’esordio del nuovo governo fascista nei confronti delle minoranzeannesse non fu senz’altro dei più morbidi e non lasciava dubbi sulle suedure intenzioni: «Sulla base posta dal governo fascista [...] i tedeschidell’Alto Adige devono intendere che il governo fascista, pur con ilrispetto delle credenze e dei costumi e col proposito della pacifica con-vivenza delle due stirpi, non intende affatto dare quelle garanzie diperpetuità del germanesimo nella regione Atesina che sono state richie-ste dal Deutscher Verband ai governi passati»1. E ancora: «In un decen-nio bisogna spingere al massimo l’italianizzazione della regione e quindialterarne profondamente e durevolmente il carattere fisico, politico,morale, demografico; cioè sostituire, o almeno mescolare, all’attualemaggioranza tedesca, una maggioranza italiana o una minoranza fortis-sima che tolga alla regione il carattere che oggi ha, e che è prevalen-temente tedesco»2.

Con l’avvento al potere del fascismo nell’ottobre del 1922, dunque,si poteva dire praticamente conclusa qualsiasi possibilità di vertenzadialettica o democratica tra lo stato italiano e le popolazioni annessedegli ex territori asburgici fossero esse appartenute al gruppo etnico

CAPITOLO TERZO

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Stranieri in casa propria

1) Dall’ordine del giorno della seduta del Gran Consiglio del 13 marzo 1923, in TOLOMEI

1948: 454. 2) Dalle direttive date da Mussolini in occasione della creazione della provincia di Bolzano

in DE FELICE 1968: II, 498 sgg.

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italiano o alle minoranze etnico-linguistiche tedesche, slovene, serbo-croate, ladine.

Il breve periodo liberale per le popolazioni delle terre annesse si erachiuso ancora con i molti limiti ed i molti problemi cui già abbiamofatto cenno, proprio mentre su quelle stesse terre il fascismo stavamettendo in atto ai danni delle istituzioni le prime prove di forza, chelo porteranno alla marcia su Roma e all’avvio della dittatura, masche-rate dietro una quasi rispettabile, e in larga parte tollerata, lotta indifesa dei valori nazionali e dei nuovi legittimi confini conquistati conil diritto della vittoria.

Mentre nella Venezia Giulia tanto contro le minoranze slovene ecroate, quanto contro gli avversari politici e sindacali lo squadrismoaffinava i suoi sistemi, le sue pratiche e le sue alleanze sociali, è nellaVenezia Tridentina che il fascismo inizia concretamente l’assalto allostato, conclusosi con una rapida vittoria.

Il 2 settembre del 1922 il direttorio fascista, intendendo rivestire ipanni riparatori di chi si presentava come il riequilibratore della politicaliberale che aveva ceduto eccessivamente alle pretese di popolazionistraniere nelle zone di confine, aveva fatto pervenire un memoriale alconsiglio comunale di Bolzano nel quale si chiedevano le dimissioni delsindaco Perathoner, borgomastro della città da vent’otto anni e perciòritenuto uno scomodo e troppo invadente simbolo della passata ammi-nistrazione, l’assegnazione di uno dei quattro edifici scolastici comunaliad una scuola per la comunità italiana, lo scioglimento della poliziacittadina, altro elemento di perniciosa continuità con il passato asburgico,il bilinguismo negli uffici pubblici ed un calmiere sui prezzi dei generialimentari.

Il 28 settembre le richieste si mutarono in un ultimatum che davaal consiglio comunale della città quattro giorni di tempo per dar corsoalle richieste del partito. Il 2 ottobre, trascorsi i quattro giorni e di frontealla mancata soddisfazione delle richieste, centinaia di fascisti organiz-zati in colonne sotto la guida di Giunta, Farinacci, Starace e De Stefani,futuro ministro delle finanze, raggiunsero Bolzano provenienti da variecittà dell’Italia del nord.

Nel pomeriggio gli squadristi occuparono il palazzo municipale spin-gendo il commissario civile Credaro a sciogliere il consiglio comunalecon motivazioni di ordine pubblico. Requisita di fatto anche la scuolache era stata chiesta, il giorno successivo lungo la marcia di ritorno lecolonne fasciste occuparono anche il municipio di Salorno e, portatesia Trento, nella notte tra il 4 e il 5 occuparono anche il palazzo dellagiunta provinciale chiedendo le dimissioni di Credaro, colpevole di

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«A quel tempo si sentiva già parlare di un uomo dell’impero tedescoche esercitava assolutamente una grande forza di suggestione politica pres-so il popolo, egli era però un austriaco di Braunau e faceva il pittore, sichiamava Adolf Hitler. I turisti tedeschi portavano dietro perfino delle suefoto in formato cartolina; ne parlavano molto bene e sostenevano che fosseun genio poliedrico»1.

È il 1932 e questo è uno dei passaggi con i quali, nell’autobiografiadel pittore fassano Francesco Ferdinando Rizzi, gli eventi politici rimastifino ad allora molto in ombra iniziano pian piano ad emergere intreccian-dosi con le sue vicende personali di sfortunato artista in cerca di sistema-zione.

Ladino, sudtirolese per autodefinizione, legato per formazione e cultu-ra al mondo tedesco: «Anche noi ladini non avevamo una grande padro-nanza della lingua italiana e già per questo non potevamo essere dei buoniitaliani e di conseguenza venivamo trattati, tanto che alla fine pensai divedere se era possibile andarmene con i miei familiari dall’Italia per arri-vare, in qualche modo, in territorio tedesco dai nostri fratelli al di là delBrennero»2, Rizzi ci aiuta, con la sua autobiografia essenzialmente rivolta

CAPITOLO QUARTO

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Germania-Italiaamici-nemici-semplici concorrenti

le minoranze tra due dittature

1) RIZZI 1998: 427. 2) RIZZI 1998: 480. Come sottolineato dalla curatrice, le difficoltà linguistiche qui accennate

da Rizzi non sono generalmente estendibili a tutti i ladini delle Dolomiti, tra i quali era

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alle proprie vicende personali di aspirante artista più che alle vicende sto-rico-politiche che gli fanno da sfondo, a leggere quel periodo con gli occhidi un «protagonista comune». Le suggestioni ed i ricordi riportati dal pittorefassano sono estremamente interessanti ed utili a svelare la diffusione diuno stato d’animo e la percezione degli eventi che furono comuni a moltaparte della minoranza tedesca del Sudtirolo e della val Canale e dellaminoranza ladina delle Dolomiti.

Scriverà ancora in seguito: «Tornato a casa - nella valle di Fassa - daallora in poi si sentì sempre più parlare dell’ambizioso Hitler [...]. Per quantomi concerneva non avevo bene le idee chiare su di lui. Da qualcuno eratemuto, perciò rifiutato, da altro celebratissimo ed estremamente voluto, edio mi trovai in una situazione di gran dubbio finchè alla fine divenne anchepresidente del Reich tedesco, ovvero Führer dei tedeschi [...]»3.

Agli inizi degli anni trenta la pressione del regime fascista nei confrontidelle minoranze etniche ai confini non dava certo segnali di voler diminu-ire. Anzi, continuava a persistere in certe componenti del regime la teoriadella occupazione della terra e della progressiva espulsione dei vecchi pro-prietari appartenenti alle minoranze allogene.

Nel 1926 il marchese Adriano Colocci Vespucci, stretto collaboratorepolitico di Ettore Tolomei, scriveva a questo proposito: «Noi non riusciremoa penetrare negli animi degli alto atesini, e quindi inseriamoci almeno nelleloro terre; fino a quando non sarà spezzato il compatto, assoluto dominiodegli alto atesini sulla proprietà terriera, saremo e rimarremo degli stranieri».

Qualche anno dopo, nel 1928, comunicava a Tolomei, ancora a que-sto proposito, di aver pensato alla fondazione di un istituto di credito, unasocietà, come egli stesso la definiva, «mefistofelica, diabolica», che dovevaprestare denaro a chi, già in crisi, non sarebbe riuscito a restituirlo, a chi

invece diffusa una buona padronanza della lingua italiana. Faceva eccezione la solacomunità gardenese che, nel periodo precedente la prima guerra mondiale, aveva subitocon più pressione i processi di tedeschizzazione che avevano portato nella valle all’elimi-nazione dell’italiano nelle scuole e nelle chiese. Per Rizzi, come a titolo individuale peraltri fassani, il problema era legato alla propria formazione scolastica, voluta dal padreanche per i suoi fratelli in lingua tedesca presso un paese del Sudtirolo, al fine di age-volarne il futuro inserimento economico professionale nelle regioni di lingua tedescadell’Impero, dove egli stesso esercitava la professione di pittore decoratore.

3) RIZZI 1998: 436. Lo spazio sempre più ampio che nell’autobiografia di Rizzi si riserva daquesto punto in poi alle vicende politiche legate all’ascesa del nazismo, è dovuto alla suasperanza personale di trovare finalmente, nel nuovo regime, e nello stesso Hitler, unpossibile mecenate in grado di cogliere il suo talento e conseguentemente di permetterglidi vivere grazie alla produzione artistica. Speranze deluse che lo porteranno comunquead optare nel 1939 per la cittadinanza germanica assieme a tutta la famiglia.

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A mano a mano che la politica di collaborazione battezzata «AsseRoma-Berlino» si trasformava in una vera e propria alleanza, la soluzio-ne del problema delle minoranze tedesche in Italia diventava una que-stione che sempre più pretendeva una sistemazione definitiva ed accet-tabile per entrambi i regimi, ora non più solo amici ma veri e proprialleati.

Le aspettative di «liberazione» dei tedeschi del Sudtirolo e della valCanale, lungi dall’essersi ridimensionate nonostante le posizioni ufficialidi Hitler e del governo nazista, si erano mantenute assai vive, e conesse tutto il poco gradevole agitarsi irredentista che le autorità italianecontinuavano a segnalare. A questo proposito, a poco più di un annodi distanza dall’Anschluß e ad occupazione avvenuta della Boemia edella Moravia (marzo 1939), il prefetto di Bolzano Mastromattei, in unpromemoria inviato all’ambasciatore a Berlino Bernardo Attolico, scri-veva: «Nell’attuale situazione politica internazionale, dati i rapporti conla Germania e a seguito delle ripetute dichiarazioni di Hitler e dei circoliufficiali responsabili germanici, ò sostenuto e sostengo la necessità di unaccordo fra le due nazioni dell’Asse per risolvere amichevolmente madecisamente la questione».

Il prefetto di Bolzano in particolare sottolineava l’indesiderata pre-senza di più di diecimila cittadini germanici, ex austriaci o ex cecoslo-vacchi (Sudeti), «quasi tutti nativi dell’Alto Adige e pertanto portatinaturalmente a fare dell’irredentismo». Approfittando della loro presen-za, continuava il prefetto, il partito nazista aveva creato in ogni località

CAPITOLO QUINTO

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1939le opzioni

la patria in un modulo

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della provincia «o una sezione o un gruppo ovvero una cellula» delmovimento. Un tessuto estremamente ramificato che si estendeva, se-condo le parole del prefetto, «anche ai comuni della cosiddetta zonamistilingue (circondario di Egna) soggetta alla giurisdizione amministra-tiva di Trento ed il cortinese soggetto alla provincia di Belluno [...],inoltre, com’è noto, nella zona di Tarvisio».

Accanto a ciò il prefetto lamentava «la propaganda spicciola manon meno efficace svolta dal numero enorme e crescente dei turistigermanici» che, spingendosi fin nei più piccoli villaggi, «vi accendono lesperanze, ravvivono i sentimenti di tedeschismo, incitano all’irredentismo[...]».

Per parte sua Mastromattei ricordava di aver chiesto l’interventodel console tedesco a Milano Otto Bene «in nome dell’amicizia che legale due nazioni dell’Asse, a dimostrazione pratica della sincerità degliinterventi tedeschi sulla questione atesina», ricevendone positivo riscon-tro e un dichiarato desiderio di collaborazione1.

Come accennato da Mastromattei, anche nella più piccola val Canalela situazione si presentava molto simile a quella sudtirolese. Sono infattiimmancabilmente segnalati da vari rapporti della questura di Udine,delle stazioni dei carabinieri e della prefettura, quegli stessi episoditestimonianti la preoccupante crescita di agitazioni a sfondo irredentista,che anche lì trovavano nei cittadini germanici ex austriaci ancora resi-denti in valle i più pericolosi sostenitori: croci uncinate, bandiere naziste,i cortei di turisti domenicali che entravano dal confine con la Carinzia,i festeggiamenti per il compleanno di Hitler2, episodi tutti che contribu-ivano a turbare la tranquilla armonia della popolazione allogena locale«sobria, laboriosa e soprattutto precisa nelle sue manifestazioni indu-striali e commerciali»3.

Anche nella val Canale si registravano spiacevoli incidenti tra mi-litanti fascisti e popolazione locale, che vedevano espresso il disappunto

1) ASMAE, Rappresentanze diplomatiche, Berlino 1867-1943, 1929, b. 169, f. 2, Alto Adige,documentazione varia, posiz. 64; promemoria del prefetto Mastromattei all’ambasciatorea Berlino Attolico in data 12 maggio 1939.

2) ASU, Prefettura di Udine, b. 26, f. 84, movimenti alloglotti; promemoria sulla situazionenei mandamenti di Cervignano e Tarvisio in data 30 aprile 1939.

3) ASU, Prefettura di Udine, «Movimento nazista in zona di frontiera», rapporti della Que-stura di Udine alla Prefettura in data 20 marzo 1939 e 21 aprile 1939. In entrambi, eraindicato, come animatore degli episodi, un cittadino germanico rappresentante del con-solato tedesco a Trieste, nonché fiduciario del partito nazionalsocialista a Tarvisio egestore di un albergo a Fusine.

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L’ingarbugliata parentesi delle opzioni tra i ladini, non può esserechiusa senza far cenno alla valle di Fassa, l’unica delle valli ladine cheper ragioni non esplicitate non venne compresa nei territori degli accor-di. Il motivo di tale esclusione non ci è fino in fondo chiaro, nonessendo verificabile da supporto documentario, come del resto, allaluce dei risultati, sono poco chiare le ragioni dell’inclusione nei territoridegli accordi di Cortina d’Ampezzo. Ci limitiamo dunque ad abbozzarel’ipotesi che sia per parte tedesca sia per parte italiana, la valle di Fassafosse ritenuta, tra tutte le valli ladine, quella meno legata al mondotedesco tirolese, per le particolari vicende storiche che l’avevavno vistafin dal 1817 staccata dal circolo di Bolzano e incorporata in quello diTrento nel cosiddetto Tirolo italiano, e pertanto quella che al momentoed in futuro meno delle altre valli ladine delle Dolomiti avrebbe potutodar luogo a particolari tensioni irredentistiche1.

Se queste fossero state le valutazioni alla base dell’esclusione dellavalle di Fassa dagli accordi del 23 giugno, come si diceva, è impossibile

CAPITOLO SESTO

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Fassani, Lusernesi, Mocheni,Italiani e Sloveni

le opzioni al di fuori degli accordi

1) Per tutta la particolare vicenda della valle di Fassa si veda: SCROCCARO 1990. A suppor-to di tale ipotesi, usiamo anche quanto in proposito alla minoranza ladina abbiamoriportato nel terzo capitolo dalle parole di Carlo Battisti, che nel 1931, descriveva ifassani come la parte meno contaminata dal germanesimo tra la minoranza ladina delleDolomiti.

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dimostrarlo; comunque è certo che l’esclusione ufficiale dei ladini fassanidall’opzione risparmiò loro il dramma che vide invece coinvolto perintero il resto della minoranza dolomitica.

La conferma di quanto fossero state parziali le eventuali valutazionidelle autorità e dei loro consiglieri, si ebbe dall’inaspettata e non irri-levante presenza anche di ladini fassani tra gli optanti: 225 in tutto, 368se accanto a loro conteggiamo anche i rispettivi familiari, e cioè il 6,5%dell’intera comunità presente nella valle secondo i dati dell’ultimo cen-simento disponibile, quello del 19362.

Nella realtà solo 45 di essi, con 41 familiari, vivevano e risiedevanoin valle, gli altri 180, con i relativi 102 familiari, risiedevano in altrelocalità del Sudtirolo o del Tirolo austriaco, a testimonianza del legameeconomico che continuava a mantenersi ben vivo e che non si era maispento, come già abbiamo avuto modo di accennare, tra la comunitàfassana e quello che era il suo reale retroterra culturale ed economicoaustro-tirolese.

Significative sono infatti le professioni dichiarate da questi optantiimprevisti: pittore decoratore in 50 casi e muratore in 18; quelle pro-fessioni che erano caratteristiche cioè delle migrazioni temporanee nelleterre tedesche del defunto impero autro-ungarico, e che ora, comunquesia, trovavano una continuità nel Sudtirolo.

Solo in 26 casi tra gli optanti fassani troviamo qualcuno che dichia-ri qualche proprietà in possesso; 19 risiedono già nel Reich, per lo piùad Innsbruck, e 110 sono nati prima del 18983.

Condizioni molto simili presentavano gli optanti residenti in valle,tra i quali, come abbiamo visto, anche il pittore Francesco FerdinandoRizzi, più alla ricerca di una sistemazione materiale che di un bisogno

2) ISTAT 1937. I dati danno per la valle di Fassa 5.638 presenti, 436 assenti e 5.602residenti. A tutte le cifre sono sommati gli abitanti della frazione di Forno, nel comunedi Moena, non appartenente alla comunità ladina.

3) Dei 180 residenti fuori valle 38 sono donne che dichiarano le seguenti professioni: 17casalinghe, 5 domestiche, 3 stiratrici, 3 cameriere, 2 cuoche, 2 cucitrici, 2 albergatrici,1 impiegata, 1 bidella.Tra gli uomini le altre professioni dichiarate sono le seguenti: 8 operi, 7 falegnami, 4autisti, 4 albergatori, 4 sarti -3 fabbri, 3 contadini, 2 calzolai, 2 panettieri, 2 elettricisti,2 barbieri, 2 servi, 2 agricoli, 2 commercianti, 2 bottai, 2 facchini, 1 lattoniere, 1impiegato, 1 guida, 1 telefonista, 1 maestro, 1 meccanico, 1 vigile, 1 minatore, 1scalpellino, 1 macellaio, 1 cameriere, 1 portiere, 1 artista, 1 commesso viaggiatore(ASB, schedario dell’ex Alto commisariato per le migrazioni e la colonizzazione, dele-gazione per l’Alto Adige).

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Il trasferimento nel Reich non fu per molti quell’evento festoso e tantoatteso che le immagini ufficiali dei giornali e della propaganda tedescatendevano a proporre. Per gli immigrati, raggiunta Innsbruck, o Klagenfurtse provenienti dalla val Canale, iniziava il problema della sistemazione neinuovi alloggi, non sempre confacenti ai bisogni e alle aspettative e nonsempre di immediata consegna, con la conseguenza di periodi più o menolunghi di residenza in campi d’accoglienza.

Anche la sistemazione lavorativa, per tanti tanto attesa, non era sem-pre immediata. Se, dato il grosso fabbisogno dell’industria bellica nellaGermania in guerra, non sussistevano grossi problemi per l’impiego dilavoratori specializzati, come i 77 minatori di Rajbl prontamente occupatidalla Bleiberger Bergwerks Union di Klagenfurt per le proprie miniere inCarinzia e nel Tirolo1, per molti altri si trattava di acettare occupazioniassai diverse rispetto ai settori professionali di provenienza, con immanca-bili disagi per l’optante e relative insoddisfazioni dei datori di lavoro.

Per gli uomini in età di leva, ad attenderli c’era l’immediato arruola-mento nelle forze armate tedesche e la prospettiva del fronte o delle forze

CAPITOLO SETTIMO

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Il trasferimentola fine della propaganda

l’inizio della realtà

1) ASTS, Miniere di Rajbl, b. 20; elenco degli operai presi in esame per un’eventualeassunzione alla Bleiberger Bergwerk Union in data 22 aprile 1940. Per l’occupazione diquesti 77 operai, il carteggio evidenzia le sollecitazioni germaniche per un rapido trasfe-rimento, a fronte dell’evidenziato problema da parte della direzione della miniera digradualizzare le partenze dei suoi dipendenti.

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di occupazione; il tutto, in più di qualche occasione, passando direttamen-te dalla divisa dell’esercito italiano a quella della Wehrmacht2.

La stessa accoglienza dei «fratelli di razza» non sempre era entusiasti-ca. I sudtirolesi ammassati nelle città finivano per essere vissuti come degliintrusi, dei privilegiati cui venivano garantiti casa e lavoro, e oltrettuttocome dei fanatici hitleriani per aver volontariamente deciso di trasferirsi nelReich3.

Questa è la situazione che già nel dicembre del 1939 descrivono iprimissimi trasferiti, i quali, con affannose corrispondenze, cercavano didissuadere parenti ed amici a dar corso alla partenza o addirittura, sepossibile, a rivedere la propria scelta4.

I rapporti consolari italiani di quello stesso periodo, pur non potendoessere assunti quali osservatorii imparziali, descrivono pietose situazionidi sudtirolesi sprovvisti di mezzi abbandonati a se stessi, visti addiritturachiedere l’elemosina per le strade di Innsbruck e contornati dal malumo-re dei locali che ne dovevano subire la presenza. Anche per i valcanalesi,da questo punto di vista, le cose non andavano diversamente. Nel di-cembre del 1941 il podestà di Tarvisio scriveva che molti cercavano diritardare la partenza, perché poco soddisfatti «dei provvedimenti addot-tati dalle autorità germaniche nei riguardi della sistemazione di molti dicoloro che erano già emigrati. È opinione dello scrivente che moltissimitra gli optanti per la cittadinanza germanica non ripeterebbero la dichia-razione di rinuncia alla cittadinanza italiana, come risulta da recrimi-

2) Su questo aspetto fu senz’altro più difficile la posizione di molti membri delle minoranzetedesche dell’est Europa e degli optanti per l’Italia dopo l’8 settembre 1943. Infatti, inbase ad un decreto di Hitler del 17 agosto 1939, nelle Waffen SS, i reparti combattentidelle SS, non poteva essere arruolato più del 5% degli iscritti nelle liste di leva, al finedi non urtare la sensibilità dei comandi della Wehrmacht. Il limite fu comunque aggi-rato proprio con l’arruolamento forzato di molti Volksdeutsche non ancora in possessodella cittadinanza germanica e perciò non ancora iscritti nelle liste di leva. Tra questi,appunto, molti tra i «rimpatriati» a forza dai paesi dell’est Europa passati sotto controllosovietico, e dopo l’occupazione dell’Italia anche diversi Dableiber (BALDINI 1991: 18-19).

3) ALEXANDER 1986: 194-234. Nel testo viene data una descrizione molto precisa dellevarie fasi del trasferimento e dell’apparato organizzativo allestito per gestirlo. La con-dizione di intollerati, nella quale si vennero a trovare molti sudtirolesi o valcanalesiemigrati, non dovette essere molto dissimile da quella di altre situazioni drammatica-mente analoghe, come ad esempio quella delle migliaia di italiani profughi dall’Istriae dalla Dalmazia dopo il 1946.

4) ASMAE, Archivio di Gabinetto, 23-43, serie N.CO.GE, 1940, b. 3, Questioni relativeall’Alto Adige, classe 1, sottoclasse 6; rapporto del consolato italiano ad Innsbruck alministro degli esteri in data 18 dicembre 1939.

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Risolto almeno sulla carta il problema del Sudtirolo e della val Canalecon il trasferimento in corso degli optanti, nel 1941, a seguito degli sviluppidelle vicende belliche, tra l’Italia fascista e la Germania nazionalsocialistavenne inaspettatamente ad interporsi, ad alleanza ormai consolidata e aguerra parallela intrapresa, la presenza di una minoranza tedesca conno-tata da spinte irredentiste, e finita improvvisamente e contro voglia sottosovranità italiana.

Si trattava della comunità tedesca della provincia di Lubiana, presentenel capoluogo, ma soprattutto in una costellazione di piccoli villaggi neidistretti di Kocevje, Crnomelj e Novo Mesto nella zona a sud est dellaprovincia nota come Gottschee; una parte consistente delle 28.054 personedi origine tedesca presenti in tutta la Slovenia secondo i dati del censimen-to del 19311.

Come l’Italia fosse pervenuta all’occupazione di questa parte dellaSlovenia è cosa ben trattata in altri testi2. Qui ne diamo solo un brevecenno, preoccupandoci piuttosto di vedere come l’accordo sulle opzioniper il Sudtirolo e la val Canale abbia avuto qui una piccola appendice fuori

CAPITOLO OTTAVO

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Gottschee, provincia di Lubianal’esperienza esportata

1) BIBER 1987: 147; KARNER 1998. 2) FERENC 1994. Nel testo sono contenuti tutti i necessari riferimenti sull’argomento relativi

alla storiografia di parte jugoslava. Per la parte italiana citiamo: COLLOTTI 1967; COLLOTTI

- SALA 1974.

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campo (nessuno dei due contraenti poteva infatti vantare il diritto di deci-dere questa ulteriore limata etnica se non per diritto di conquista), a dimo-strazione del convincimento tra i contraenti della bontà dei metodi adottatiper la soluzione del problema delle minoranze tedesche in Italia, anche se,come vedremo, con gli stessi intoppi, le stesse difficoltà, lo stesso giocodelle parti che anche nella Slovenia occupata, e dopo più di un anno diesperienza opzioni, vedranno l’Italia fascista subire di nuovo gli interessi ela volontà del più potente e temuto alleato.

Nell’aprile del 1941 un colpo di stato aveva rovesciato in Jugoslaviail governo filotedesco che aveva portato all’adesione al patto tripartito.

La nuova compagine si era affrettata a stipulare un patto di nonaggressione con l’URSS, ma in meno di ventiquattro ore truppe tedesche,italiane, ungheresi, bulgare e rumene avevano occupato il paese portando-lo alla resa nel giro di undici giorni.

La partecipazione diretta dell’Italia aveva momentaneamente compor-tato delle ripercussioni dirette nella val Canale, zona a ridosso del possibilefronte dove, vista la particolare e delicata situazione etnica e la presenzadi popolazione di origine slovena, la prefettura di Udine aveva predispostolo sgombero di tutti gli allogeni sloveni optanti per l’Italia o con l’opzionein sospeso, lasciando facoltà agli sloveni optanti per il Reich di decidere lapartenza immediata per la Germania o, diversamente, l’essere sgomberatia loro volta verso l’interno del regno3. Per gli optanti di origine tedescaavrebbero provveduto le organizzazioni germaniche che avevano per intan-to organizzato il trasporto verso l’interno della Carinzia, in zone più sicure,dei figli degli optanti per il Reich, tra i quali anche i figli di Thomas Martinz,nel ricordo dei quali l’episodio ha conservato il sapore di una collettiva edinaspettata vacanza, quasi un soggiorno in una colonia estiva con giochi digruppo, canti e lunghe passeggiate lungo le rive del Längsee a pochi chi-lometri da Sankt Veit an der Glan4.

Il 18 maggio e l’8 luglio, all’indomani della conclusione della breveguerra con il regno jugoslavo, gli stati aggressori firmarono gli accordi chene sancivano la spartizione e fissavano i vari confini che, relativamente alla

3) ASU, Prefettura di Udine, b. 28, f. 95, «Provvedimenti stato di guerra con la Jugoslavia»;fonogramma della Prefettura di Udine al commissariato di Pubblica sicurezza di Tarvisio.Nelle istruzioni veniva tra l’altro stabilito che eventuali elementi infidi, pur se optanti perla Germania, in caso di mancato immediato trasferimento da parte delle autoritàgermaniche, venissero comunque internati alla stregua degli altri sospetti.

4) Testimonianza orale, di Giuseppe Martinz e della sorella Liliana, raccolta nell’inverno del1996 a Coccau.

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Indice

Premessa pag. 5Introduzione pag. 9

Capitolo PrimoTra etnia e patria, le minoranze in Europa pag. 27

Capitolo SecondoNuove provincie nuovi problemiL’Italia e le minoranze ai confini pag. 49

Capitolo TerzoStranieri in casa propria pag. 79

Capitolo QuartoGermania-Italia: amici-nemici-semplici concorrenti.Le minoranze tra due dittature pag. 103

Capitolo Quinto1939 - Le opzioni. La patria in un modulo pag. 133

Capitolo SestoFassani, Lusernesi, Mocheni, Italiani e Slovenile opzioni al di fuori degli accordi pag. 189

Capitolo SettimoIl trasferimento: la fine della propaganda pag. 229

Capitolo OttavoGottschee, provincia di Lubiana; l’esperienza esportata pag. 245

Bibliografia pag. 265

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Allegati pag. 277

Allegato 1 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 279Allegato 2 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 282Allegato 3 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 284Allegato 4 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 291Allegato 5 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 301Allegato 6 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 308Allegato 7 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 311Allegato 8 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 313Allegato 9 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 314Allegato 10 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 316Allegato 11 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 333Allegato 12 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 354Allegato 13 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 363Allegato 14 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 372Allegato 15 . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . » 374

Indice dei nomi pag. 375

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2

ISBN88-7197-051-9€ 18,08 (L. 35.000)

Dopo aver consultato molto approfonditamente archivi eletteratura soprattutto italiane, fra i quali spiccano l’archiviostorico del Ministero degli affari esteri in Roma e gli archivi localidi Trento, Bolzano, Udine e Trieste come pure quello slovenodi Ljubljana, Mauro Scroccaro ci fornisce un’ampia descrizionedei problemi culturali innanzitutto, ma anche politici ed ammi-nistrativi, che l’Italia liberale prima e quella fascista poi furonocostrette ad affrontare con l’annessione di ampi territori abitatiin maniera compatta da forti minoranze «allogene»: più di620.000 tra sloveni, tedeschi, croati e ladini secondo il censi-mento del 1921, oltre ai circa 888.000 italiani «redenti» deiterritori di Trento e Trieste. Sia per gli slavi che per i tedeschi glistati nazionali (o multinazionali) d’oltreconfine rappresentava-no una forte attrazione condizionando con ciò ulteriormentel’operato dell’Italia fascista perennemente assillata da problemidi prestigio nazionale ed internazionale.

Mauro Scroccaro si è occupato a lungo della «questione ladina»,pubblicando nella collana del Museo due volumi dedicati all’identitàe al movimento autonomistico ladino: De Faša ladina. La questioneladina in Val di Fassa dal 1918 al 1948, Trento 1990; Guido Iori deRocia e la grande utopia dell’unità ladina (1945-1973), Trento 1994.

COLLANA DI PUBBLICAZIONIDEL MUSEO STORICO IN TRENTO onlus