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David Lynch (Missoula, 1946) è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense. Ha diretto i lungometraggi Era- serhead. La mente che cancella (1977), The Elephant Man (1980), Dune (1984), Velluto blu (1986), Cuore selvaggio (1990, Palma d’oro per il miglior film), Fuoco cammina con me (1992), Strade perdute (1997), Una storia vera (1999), Mulholland Drive (2001, Palma d’oro alla regia) e Inland Empire. L'impero del- la mente (2006). Nel 2006 ha ricevuto il Le- one d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia. Traduzione di Marco Borroni € 25,00 pp. 432 IN LIBRERIA DAL 30 GIUGNO David Lynch IO VEDO ME STESSO La mia arte, il cinema, la vita Il fuoco, il fumo. Strade notturne con semafori rossi mossi dal vento, tende rosse agitate da brezze invisibili. Il fischio delle se- gherie, le sirene sull’acqua. Queste e mille altre ossessioni af- follano la fantasmagoria allucinata di David Lynch, regista fra i più visionari della sua generazione, forse uno degli ultimi, come diceva Hitchcock, a «pensare per immagini». Il suo cinema è un’e- sperienza simile a quella che si vive al risveglio, quando il mondo del sogno sfuma lentamente nella consapevolezza. È un sogno vi- gile, un viaggio attraverso l’ignoto, l’oscuro, il bene e il male che forgiano ognuno di noi. Per questo Lynch è così difficile da spie- gare e così restio a spiegarsi, perché la parola non può attingere al nucleo dell’incubo, può solo lambirlo. Il Saggiatore propone un’opera indispensabile per esplorare le geografie immaginifiche di Velluto blu e Strade perdute, Elephant Man e Mulholland Dri- ve: la provincia americana scandita da staccionate bianche e rose rosse, resa insonne da night club dove bande inesistenti suonano avvolte dal fumo; e una Los Angeles perennemente notturna che è, insieme, viale del tramonto e fabbrica impazzita di fantasmi. Io vedo me stesso è il risultato di più di un decennio di interviste raccolte da Chris Rodley, a cui David Lynch ha affidato il racconto della propria formazione, la passione per la pittura e l’influenza di artisti come Oscar Kokoschka e Francis Bacon, il lavoro di foto- grafo e la collaborazione musicale con Angelo Badalamenti, fino alle grandi opere cinematografiche, spesso frutto di difficili com- promessi per mantenere il controllo creativo. Io vedo me stesso è però soprattutto la risorsa più preziosa per comprendere la vita, il cinema, l’arte di Lynch; la voragine in cui precipitare per esplo- rare il suo paese delle meraviglie, in cui la percezione, alterata ma mai falsificata, è proiettata al di là del visibile; uno spazio di sogno dove il banale può mostrare la sua intima ironia, la verità del desiderio rivelarsi con forza prorompente e dove lo sguardo, fendendo il reale, riesce ad affacciarsi sullo spazio nero tra un pensiero e il successivo, il mistero che non ci è dato conoscere.

David Lynch - Il Saggiatore...2016/07/07  · vento, tende rosse agitate da brezze invisibili. Il fischio delle se-gherie, le sirene sull’acqua. Queste e mille altre ossessioni af-follano

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Page 1: David Lynch - Il Saggiatore...2016/07/07  · vento, tende rosse agitate da brezze invisibili. Il fischio delle se-gherie, le sirene sull’acqua. Queste e mille altre ossessioni af-follano

David Lynch (Missoula, 1946) è un regista, sceneggiatore e produttore cinematografico statunitense. Ha diretto i lungometraggi Era-serhead. La mente che cancella (1977), The Elephant Man (1980), Dune (1984), Velluto blu (1986), Cuore selvaggio (1990, Palma d’oro per il miglior film), Fuoco cammina con me (1992), Strade perdute (1997), Una storia vera (1999), Mulholland Drive (2001, Palma d’oro alla regia) e Inland Empire. L'impero del-la mente (2006). Nel 2006 ha ricevuto il Le-one d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia.

Traduzione di Marco Borroni

€ 25,00pp. 432

In LIbrerIa DaL 30 gIugno

David LynchIo vedo me stessoLa mia arte, il cinema, la vitaIl fuoco, il fumo. Strade notturne con semafori rossi mossi dal vento, tende rosse agitate da brezze invisibili. Il fischio delle se-gherie, le sirene sull’acqua. Queste e mille altre ossessioni af-follano la fantasmagoria allucinata di David Lynch, regista fra i più visionari della sua generazione, forse uno degli ultimi, come diceva Hitchcock, a «pensare per immagini». Il suo cinema è un’e-sperienza simile a quella che si vive al risveglio, quando il mondo del sogno sfuma lentamente nella consapevolezza. È un sogno vi-gile, un viaggio attraverso l’ignoto, l’oscuro, il bene e il male che forgiano ognuno di noi. Per questo Lynch è così difficile da spie-gare e così restio a spiegarsi, perché la parola non può attingere al nucleo dell’incubo, può solo lambirlo. Il Saggiatore propone un’opera indispensabile per esplorare le geografie immaginifiche di Velluto blu e Strade perdute, Elephant Man e Mulholland Dri-ve: la provincia americana scandita da staccionate bianche e rose rosse, resa insonne da night club dove bande inesistenti suonano avvolte dal fumo; e una Los Angeles perennemente notturna che è, insieme, viale del tramonto e fabbrica impazzita di fantasmi. Io vedo me stesso è il risultato di più di un decennio di interviste raccolte da Chris Rodley, a cui David Lynch ha affidato il racconto della propria formazione, la passione per la pittura e l’influenza di artisti come Oscar Kokoschka e Francis Bacon, il lavoro di foto-grafo e la collaborazione musicale con Angelo Badalamenti, fino alle grandi opere cinematografiche, spesso frutto di difficili com-promessi per mantenere il controllo creativo. Io vedo me stesso è però soprattutto la risorsa più preziosa per comprendere la vita, il cinema, l’arte di Lynch; la voragine in cui precipitare per esplo-rare il suo paese delle meraviglie, in cui la percezione, alterata ma mai falsificata, è proiettata al di là del visibile; uno spazio di sogno dove il banale può mostrare la sua intima ironia, la verità del desiderio rivelarsi con forza prorompente e dove lo sguardo, fendendo il reale, riesce ad affacciarsi sullo spazio nero tra un pensiero e il successivo, il mistero che non ci è dato conoscere.

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Franz Liszt (1811-1886) è stato un composi-tore, pianista, direttore d’orchestra e organi-sta ungherese.

Traduzione di Alessandra Burani

€ 38,00pp. 400

In LIbrerIa daL 30 gIugno

Franz LisztWagnerTannhäuser, Lohengrin, Il Vascello fantasmaParigi, 1840. Quando si incontrano per la prima volta nelle stanze dell’editore Maurice Schlesinger, Liszt è il pianista più acclamato d’Europa, conteso da tutti i salotti e dalle corti, mentre Wagner è un giovane compositore ancora sconosciuto, costretto a gua-dagnarsi da vivere con le trascrizioni per pianoforte. È il primo passo di una delle più feconde, celebri e complesse amicizie della storia della musica. Negli otto anni successivi, Wagner comporrà Il Vascello fantasma, Tannhäuser e Lohengrin, e già all’inizio de-gli anni cinquanta Liszt, compresa la portata rivoluzionaria delle tre opere, si butta anima e corpo in quella che lui stesso chiama «propaganda wagneriana»: il culmine è raggiunto a Weimar, il 5 marzo 1853, durante un ciclo – il primo di questo genere – in cui Liszt stesso dirige personalmente le tre opere. Accanto a una messe di articoli e interventi che celebrano il genio assoluto di Wagner, Liszt concepisce anche un libro, dove è manifesta la vo-lontà di non separare il compositore dal librettista – punto essen-ziale del nuovo sistema drammatico – e di mettere in primo piano i mezzi utilizzati da Wagner per fondere musica e dramma. Sono, queste di Liszt, pagine appassionate e profonde e rivelano una ricerca personale e musicale inesausta, sostenuta da innumerevo-li riferimenti alla filosofia, alla Bibbia, alle mitologie greco-latina e germano-scandinava, alla letteratura e alle arti figurative, e da un lessico ricco e raro. Il libro, per avverse vicende editoriali, non vide mai la luce, ma oggi, grazie all’attenzione e alla cura del mu-sicologo Nicolas Dufetel, che ha recuperato i diversi manoscritti, l’«Avviso alla stamperia», le annotazioni dello stesso Liszt, il pro-getto ha infine la compiutezza che meritava e che, sola, permette di apprezzare appieno la forza profetica delle parole di Liszt. Per Liszt, non poteva darsi musica senza poesia, l’opera lirica doveva mutare volto e voce, rinascere. Nessun dubbio, nessuna esita-zione su chi dovesse essere il messia di questa rigenerazione: Richard Wagner.

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Barry Miles è un luminare della cultura un-derground. Ha conosciuto personalmente e scritto biografie di Jack Kerouac, Charles Bu-kowski e Allen Ginsberg, nonché libri sui Be-atles, i Pink Floyd, i Clash, e London Calling, storia della controcultura londinese dal 1945 a oggi. Il Saggiatore ha pubblicato I Settanta (2014).

Traduzione di Fabio Pedone

€ 40,00pp. 832

Barry MilesIo sono BurroughsWilliam Burroughs ha cinque anni quando, seduto con il fratello nella casa di famiglia, in un ricco quartiere altoborghese di St. Louis, scoppia improvvisamente a piangere: «Era come la sensa-zione disperata e assoluta di essere vulnerabile». William ne è ancora ignaro, ma lo Spirito del Male è già penetrato in lui, entità ostile che lo perseguiterà per tutta la vita. Che studi medicina a Vienna o antropologia ad Harvard, che faccia il disinfestatore a Chicago o si rifugi tra le braccia dell’amico Allen Ginsberg a New York, lo Spirito del Male non gli darà mai pace, portandolo alle azioni più sconsiderate e alle sperimentazioni più folli, ma anche, per reazione violenta, alle visioni più lucide e le verità più drammaticamente insondabili. L’uccisione della moglie nella delirante e ubriaca imitazione del Guglielmo Tell, la ricerca di giovani corpi nei casini di Tangeri, l’automutilazione del mignolo, per farne dono all’innamorato, la dipendenza dall’alcool e dalle droghe, la fascinazione per l’occulto in tutte le forme con cui si manifestava nella modernità, dallo sciamanismo a Scientology alla stregoneria: Burroughs, vestito di un abito scuro e di un cap-pello fedora per scivolare tra la folla come un hombre invisible, con in tasca l’immancabile pistola e la freddezza inquietante del-lo studioso, sperimenta ogni possibile deragliamento dei sensi, convinto di poter sfuggire al controllo dello Stato, delle religioni, del sesso, della droga, delle dipendenze solo immergendovisi fino in fondo, sprofondandovi ogni volta, dando in pegno la sua vita per guadagnarne mille. Sempre in fuga – Tangeri, Parigi, Città del Messico, New Orleans, Chicago, New York – e sempre un passo oltre, non solo rispetto agli amici beat, che ammirati lo elessero a capo spirituale, ma anche alle mode letterarie e culturali e a qualsiasi limite dell’immaginario e della morale.Il Saggiatore porta in Italia la biografia fondamentale di uno degli scrittori più radicali e decisivi del xx secolo a firma di Barry Miles, che assistette in presa diretta alla sua eccezionale esistenza e ne ricostruisce qui, tramite testimonianze inedite, l’intera vicenda biografica. Una storia privata estrema che getta nuova luce sull’o-pera letteraria di Burroughs come tentativo disperato di esorciz-zare lo Spirito del Male e «scrivere la propria via di fuga».

In lIBrerIa dal 7 luglIo

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Susan Sontag (New York, 1933-2004) è stata un’intellettuale, scrittrice di saggistica e nar-rativa, regista e attivista politica statunitense. Tra le sue opere pubblicate in Italia ricordiamo Viaggio a Hanoi (Bompiani, 1969), Contro l’in-terpretazione (Mondadori, 1998), Io, eccetera (Mondadori, 2000), Malattia come metafora (Mondadori, 2002) e Sulla fotografia (Einaudi, 2004).

Traduzione di Paolo Dilonardo

€ 20,00pp. 168

In lIBrerIa dal 7 luglIo

Susan SontagodIo sentIrmI una vIttImaSusan Sontag come non si è mai raccontata, in un'intervista-con-fessione inedita. Riflettere è stata l’attività principale nella sua vita. E scrivere. Riflettere e scrivere sulla malattia e sulla marginalità dei mala-ti, dei pazzi, degli artisti; sulla rottura delle categorie stereoti-piche di maschio e femmina o giovane e vecchio; sul rapporto tra amore, eros e amicizia; sulla necessità dell’impegno contro le guerre e della critica alla società occidentale; sul bisogno di reagire all’anti-intellettualismo. Nella sua vita, Susan Sontag ha sperimentato di tutto: la laurea a Harvard e l’insegnamento alla Columbia University insieme alle droghe e al punk-rock dei con-certi di Patti Smith al Cbgb; il divorzio e la fuga dall’insegnamento universitario e poi la vita tra New York e Parigi e l’amicizia con Roland Barthes.In Odio sentirmi una vittima Susan Sontag racconta che cosa si-gnifichi essere una donna intelligente, indipendente e appassio-nata. Una donna che ha saputo trasformare l’inquietudine esi-stenziale in un’incessante e fruttuosa ricerca, nella tensione a reinventarsi perpetuamente. Una donna che non ha avuto paura di rivoluzionare tutto più e più volte, muovendosi sempre in terra straniera e sempre scoprendo di essere già in cammino: una vita passata ad andare via, un eterno apprendistato alla vita.In Odio sentirmi una vittima – l’intervista-confessione che il Sag-giatore offre al pubblico italiano, punto d’accesso privilegiato per entrare nel laboratorio creativo dell’autrice – Susan Sontag so-prattutto racconta le proprie letture e i modelli letterari, le passio-ni artistiche e filosofiche, il lavoro di scrittrice e le scelte di vita che questo ha comportato. Non mangiare o mangiare male, dor-mire il meno possibile, sopportare mal di schiena e mal di testa, sentire spegnersi il desiderio del contatto umano, per lunghissimi, intensi e ossessivi periodi di scrittura totalizzante. Rinunciare alla coppia e alla socialità, e tra la vita e l’opera sacrificare la prima, perché solo così si può raggiungere il proprio livello più alto e insieme profondo. Perché solo assumendosene la responsabilità radicale si può diventare una grande scrittrice.

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arnold Schönberg è nato a Vienna nel 1874ed è morto a Los Angeles nel 1951. Dal 1963 il Saggiatore pubblica i suoi scritti: Trattato di armonia, Funzioni strutturali dell’armonia e Stile e pensiero.

Traduzione di Anna Maria Morazzoni

€ 23,00pp. 224

In lIBrerIa dal 14 luglIo

Arnold SchönbergLeggere IL cIeLoDiari 1912, 1914, 1923Leggere il cielo, leggere nelle nuvole il futuro, la guerra, la bel-lezza, l’arte: c’è tutta la vita di Arnold Schönberg, e tutta la sua musica, in questi diari scritti a partire dal 1912, l’anno successivo alla pubblicazione di quel Trattato di armonia che apriva la strada verso il pensiero dodecafonico. Sono pagine intensamente private, dal ritmo franto di chi cerca di restituire non il racconto ordinato di un’esistenza ma le im-pressioni dell’istante; pagine da cui affi ora un’immagine insolita dell’uomo e dell’artista: agli squarci aperti sull’intimità della vita domestica e al racconto delle prove d’orchestra fanno da contrap-punto le rifl essioni sul signifi cato del genio musicale, i giudizi ta-glienti dedicati ai critici musicali e i rapporti alterni con i colleghi, da Busoni a Berg, da Webern a Richard Strauss.Testimonianza unica e irripetibile, anche per la particolare con-tingenza storica che ne ha visto la nascita, i diari di Schönberg ritraggono un uomo sensibile a ogni fenomeno, pronto a ricevere il mondo, a risuonare con la storia, a interrogarsi su ogni evento: così, nel 1914, il diario diventa un giornale di guerra e Schönberg legge nelle manifestazioni atmosferiche i destini dell’umanità, con l’acume, la lungimiranza e la preveggenza degli antichi aru-spici, che sapevano scorgere l’invisibile nel visibile. Ed è la stessa attenzione al sovrasensibile a sostenere le pagine del 1923, dedi-cate alla moglie Mathilde da poco scomparsa. I testi che compongono Leggere il cielo sono oggi riproposti dal Saggiatore in una nuova veste critica, attenta tanto allo sviluppo degli studi su Schönberg quanto all’esigenza di non sovrapporsi alla sua voce, che qui emerge chiara e luminosa: rigorosa come una partitura, imprevedibile come la vita.