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Cari lettori, Come ho già avuto modo di scrivere nell’introduzione di ‘Appunti di Logistica’, primo fascicolo della collana ‘Quaderni di Protezione Civile’, la lunga esperienza che il Sistema nazionale di Protezione civile ha maturato durante la gestione del post terre- moto in Abruzzo, con particolare riferimento all’assistenza della popolazione, ha pro- dotto una serie di riflessioni e quindi anche di revisioni di procedure e direttive in vigo- re precedentemente. Lo abbiamo sempre detto che i grandi salti di qualità del nostro Sistema sono stati, purtroppo, realizzati in seguito a grandi calamità. Senza andare troppo indietro nel tempo, ricordiamo l’alluvione che mise in ginocchio il Piemonte nel ’94 e la qualità della risposta che il settore regionale di Pc seppe, invece, dare nella suc- cessiva alluvione del 2000. Nel ’97 il terremoto colpì Umbria e Marche senza che que- ste Regioni avessero una vera organizzazione di Pc. Dopo il sisma Umbria e Marche maturarono due ottimi servizi regionali di Protezione civile. Lo stesso avvenne per il Molise dopo il terremoto del 2002, mentre in Puglia nacque il servizio regionale dopo i violenti incendi dell’estate 2007 che devastarono il Gargano e Peschici in particola- re. La missione Arcobaleno del 1999 è stata una tappa fondamentale per la crescita della protezione civile italiana, in cui per la prima volta furono collaudate le Colonne mobili regionali con il coordinamento del Dipartimento nazionale. E dieci anni più tardi abbiamo avuto la tragica e difficile esperienza del sisma in Abruzzo. Nel luglio del 2010 il Dipartimento aprì un tavolo tecnico con Regioni e Province autonome che si proponeva di ridefinire, alla luce dell’esperienza abruzzese, gli indi- rizzi operativi sull’utilizzo dei moduli sanitari in caso di catastrofe. Il confronto ebbe successo e oggi gli indirizzi sono diventati direttive con l’avvallo successivo dei Ministeri dell’Economia e della Sanità. Le nuove direttive rientrano in un contesto di generale evoluzione del Sistema nazionale di Protezione civile, come, per esempio, lo furono l’anno scorso quelle riguardanti l’uso dei lampeggianti e dei segnalatori acustici per i mezzi dei volontari e quest’anno il regolamento d’attuazione del D.L. 81 sulla sicurez- za per la protezione civile. Questi nuovi indirizzi, a mio parere, vanno anche nella direzione di ottimizzare risorse finanziarie e umane in caso di maxiemergenze... ‘Metti uomini e strutture giuste nei posti giusti e nei momenti giusti’. Buona lettura! Franco Pasargiklian Direttore responsabile QUADERNI DI PROTEZIONE CIVILE I T A L I A N A L A LE MAXI EMERGENZE SANITARIE 3 All’amico Marco Esposito, primario del Pronto Soccorso dell’Ospedale di Macerata, fondatore e presidente dell’Ares, rapito all’affetto dei suoi cari, dei colleghi, della protezione civile marchigiana e italiana il 14 luglio scorso da un tragico incidente

DI PROTEZIONE CIVILE 3 LE MAXI · Come ho già avuto modo di scrivere nell’introduzione di ‘Appunti di Logistica’, primo fascicolo della collana ‘Quaderni di Protezione Civile’,

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Page 1: DI PROTEZIONE CIVILE 3 LE MAXI · Come ho già avuto modo di scrivere nell’introduzione di ‘Appunti di Logistica’, primo fascicolo della collana ‘Quaderni di Protezione Civile’,

Cari lettori,Come ho già avuto modo di scrivere nell’introduzione di ‘Appunti di Logistica’, primofascicolo della collana ‘Quaderni di Protezione Civile’, la lunga esperienza che ilSistema nazionale di Protezione civile ha maturato durante la gestione del post terre-moto in Abruzzo, con particolare riferimento all’assistenza della popolazione, ha pro-dotto una serie di riflessioni e quindi anche di revisioni di procedure e direttive in vigo-re precedentemente. Lo abbiamo sempre detto che i grandi salti di qualità del nostroSistema sono stati, purtroppo, realizzati in seguito a grandi calamità. Senza andaretroppo indietro nel tempo, ricordiamo l’alluvione che mise in ginocchio il Piemonte nel’94 e la qualità della risposta che il settore regionale di Pc seppe, invece, dare nella suc-cessiva alluvione del 2000. Nel ’97 il terremoto colpì Umbria e Marche senza che que-ste Regioni avessero una vera organizzazione di Pc. Dopo il sisma Umbria e Marchematurarono due ottimi servizi regionali di Protezione civile. Lo stesso avvenne per ilMolise dopo il terremoto del 2002, mentre in Puglia nacque il servizio regionale dopoi violenti incendi dell’estate 2007 che devastarono il Gargano e Peschici in particola-re. La missione Arcobaleno del 1999 è stata una tappa fondamentale per la crescitadella protezione civile italiana, in cui per la prima volta furono collaudate le Colonnemobili regionali con il coordinamento del Dipartimento nazionale. E dieci anni piùtardi abbiamo avuto la tragica e difficile esperienza del sisma in Abruzzo.

Nel luglio del 2010 il Dipartimento aprì un tavolo tecnico con Regioni e Provinceautonome che si proponeva di ridefinire, alla luce dell’esperienza abruzzese, gli indi-rizzi operativi sull’utilizzo dei moduli sanitari in caso di catastrofe. Il confronto ebbesuccesso e oggi gli indirizzi sono diventati direttive con l’avvallo successivo dei Ministeridell’Economia e della Sanità. Le nuove direttive rientrano in un contesto di generaleevoluzione del Sistema nazionale di Protezione civile, come, per esempio, lo furonol’anno scorso quelle riguardanti l’uso dei lampeggianti e dei segnalatori acustici per imezzi dei volontari e quest’anno il regolamento d’attuazione del D.L. 81 sulla sicurez-za per la protezione civile. Questi nuovi indirizzi, a mio parere, vanno anche nelladirezione di ottimizzare risorse finanziarie e umane in caso di maxiemergenze... ‘Mettiuomini e strutture giuste nei posti giusti e nei momenti giusti’. Buona lettura!

Franco PasargiklianDirettore responsabile

QUADERNI DI PROTEZIONE CIVILE

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LE MAXIEMERGENZE

SANITARIE

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All’amico Marco Esposito, primario del Pronto Soccorso dell’Ospedale diMacerata, fondatore e presidente dell’Ares, rapito all’affetto dei suoicari, dei colleghi, della protezione civile marchigiana e italiana il 14 luglioscorso da un tragico incidente

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La gestione delle maxiemergenze sanita-rie rappresenta uno dei nodi centrali nel-l’organizzazione dei soccorsi, e uno deifattori cruciali per la riuscita di un inter-vento di protezione civile. L’ambito sani-tario è chiamato a inserirsi contempora-neamente nella dimensione dell’emer-genza e in quella della vita ordinaria delterritorio, rendendo allo tempo stesso unservizio alla popolazione e uno alla mac-china dei soccorsi. Essere in grado di pre-disporre un intervento efficiente nellemaxiemergenze sanitarie richiede, quin-di, non solo le giuste competenze sulfronte sanitario e logistico, ma ancherispetto alla conoscenza dei luoghi colpi-ti dalla calamità, alla sua organizzazione e

La gestione delle maxiemergenzesanitarie: un sistema

che sta crescendo

Intervista al dottor FedericoFederighi. Il responsabile del Servizio di emergenzasanitaria del Dipartimentodella Pc nazionale spiegacosa sta avvenendo e cosaavverrà in un prossimo futuro in questo settore anchein riferimento alla direttivapubblicata sulla GazzettaUfficiale (G.U. 250 del 26ottobre 2011)

di Franco Pasargiklian e Francesco Unali

Il dottor FedericoFederighi, a destra, con il dottor EnricoGenerali in una fase dell’intervista condotta da Franco Pasargiklian

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alle sue quotidiane esigenze, sapendocoinvolgere nella maniera più adeguatatutte le risorse disponibili, umane emateriali con l’obiettivo di continuare agarantire i servizi sanitari alla popolazio-ne. Per capire come sta lavorando su que-sto fronte il Dipartimento nazionaleincontriamo a Roma a un anno e mezzodal suo insediamento, Federico Fede-righi, responsabile del Servizio emergen-za sanitaria, medico urgentista e rianima-tore con decennale esperienza nel 118 edelisoccorso.

Ci può spiegare in cosa consiste il suolavoro al Dipartimento?Nell’ambito della gestione delle emer-genze il mio ruolo è quello di proporremodelli di mobilitazione e utilizzo deimezzi sanitari di emergenza di questoPaese. Oggi il sistema si è evoluto insenso regionale, e dobbiamo tenere ingrande considerazione questo elemento.Noi, come “coordinatori” del sistema deisoccorsi a livello centrale possiamo perfe-zionare il meccanismo di lavoro di uomi-ni e mezzi in caso di emergenza. Uninsieme di “hardware” e “software” chegià lavora congiuntamente. Per hardwareintendo i soccorritori volontari, mezzispecializzati, aspetti di logistica sistema-tizzati. Il “software” è invece il personalemedico e infermieristico “in forza” alsistema sanitario nazionale che garantiscela qualità delle cure offerte nel Pma in cuiopera. Noi ci occupiamo di riprodurre emettere a punto il sistema sanitario nel-l’ambito di un’emergenza per far sì chepossa funzionare al meglio.

In questo senso dal 2010 vi siete parti-colarmente impegnati nella realizza-zione di una direttiva dedicata proprioagli “indirizzi operativi” sull’utilizzo

dei moduli sanitari in caso di catastro-fi. Qual è stato il suo percorso?Il Dipartimento ha iniziato a lavoraredall’anno scorso su questa direttiva,prima con le Regioni e le Province auto-nome nel gruppo tecnico interregionale“emergenza e urgenza”, cioè i tecnicidella sanità. La proposta di direttiva fufatta per la prima volta nel luglio 2010 edebbe subito un’ottima accoglienza. Nelsettembre successivo fu migliorata, conmodeste correzioni. È stata quindi ap-provata dalla Protezione civile e successi-vamente dal Ministero dell’Economia,poi dal Ministero della Sanità e quindi èdiventata la direttiva attuale.

Cosa cambia con questo documento?Nella direttiva si stabilisce il meccanismocon cui il Dipartimento e le Regioni pos-sono mobilitare le risorse nel più brevetempo possibile. Viene spiegato il sistemadi mobilitazione della sanità nelle maxie-mergenze, tenendo conto del cambia-mento tecnologico e operativo di cuidispone oggi il Paese, avendo potutoanche fare tesoro dell’esperienza delsisma abruzzese che ha permesso di rac-cogliere un gran numero di informazionisul campo. La direttiva definisce, inoltre,il sistema informativo per la gestione deimoduli e le procedure di attivazione ecoordinamento delle strutture sanitarie.

Avete anche definito quale deve essereil livello dei professionisti coinvolti aseconda dell’emergenza?Sì, per noi nella catena di comando econtrollo devono entrare assolutamenteprofessionisti della sanità, con le dovutedistinzioni. Se la calamità ha provocatoun alto numero di feriti la direttiva stabi-lisce che sia un medico emergenzista aoccuparsi dell’intervento sanitario.

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Se invece la catastrofe non ha provocatoun alto numero di feriti, ma altri tipi didanni gravi che comunque interrompo-no il normale livello di assistenza allapopolazione, saranno coinvolti soprat-tutto esperti nella sanità pubblica, coa-diuvati da personale che li collega allasanità locale, che nel frattempo sarà in viadi ripristino. Questo per tentare di forni-re in ogni circostanza il personale piùadeguato alle mutate esigenze di assisten-za sanitaria della popolazione, che nonsono mai le stesse anche all’interno dellestesse emergenze. Per questo, ad esempio,nei Coc e nei Com, stiamo proponendoche operino anche i medici di famiglia:sono le figure più adeguate perché cono-scono il territorio, i loro pazienti, le risor-se a disposizione sul territorio e possono

fare in meno tempo le scelte più efficacia favore della popolazione colpita.

C’è poi l’aspetto riguardante l’utilizzodei moduli sanitari, a seconda dellediverse esigenze. Come vi siete con-frontati con questa problematica?La direttiva tocca proprio il nodo del dia-logo tra il Dipartimento e le Regioni perla mobilitazione delle risorse sanitarieregionali d’urgenza, cioè il “modulo sani-tario”. In questo senso il Dipartimento sagià prima quali e quante sono le risorse adisposizione delle Regioni e delle Pro-vince autonome. Il meccanismo che si vaa creare (l’abbiamo provato tra l’altro nel-l’esercitazione Terex del 2010) individuail Dipartimento che per primo comunicacon il livello locale e indica come utiliz-zare i mezzi locali. Ma quando poi dallivello “Regione” (o Provincia autonoma)vengono manifestate altre esigenze, è ilDipartimento nazionale che recepiscel’informazione dal basso e completa lafornitura di mezzi “presi” da altri territo-

Esercitazione regionale Marche, luglio 2010,COM di Fabriano. Federico Federighi con i colleghi del DPC Fabrizio Ceccaroni e MariaRosa Casagrande e a sinistra Roberto Oreficini,direttore Dipartimento regionale Politiche integratedi Sicurezza e Protezione civile

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ri. In Terex, ad esempio, mobilitammo inGarfagnana moduli sanitari di Liguria,Emilia Romagna, Marche, Umbria,Lazio e persino di una struttura pesantedella Lombardia. Abbiamo potuto sco-prire, sebbene fosse un’esercitazione, itempi di arrivo e disposizione dei mezzi.

Quali sono i mezzi che utilizzate?I Posti medici avanzati di primo livellosono eccellenti strumenti da usare nellacatastrofe. La direttiva punta a valorizzar-ne l’utilizzo nelle più diverse situazioni diemergenza. Per molti anni sono stateconsiderate strutture “da incidente mag-giore” non utilizzabili in catastrofi, mal’esperienza dell’Abruzzo ha fatto com-pletamente cambiare opinione al riguar-do. Oggi i Pma sono considerati alta-mente versatili e funzionali: perché sonopiccoli, rapidissimi ad arrivare sul postoe, anche quando dovessero finire le risor-se, continuano a trasmettere informazio-ni. Il punto chiave dei Pma è la velocitàdi intervento, la capacità di rispondereprontamente alla richiesta dell’ente loca-le che in quel momento non è più ingrado di rispondere con le proprie risor-se. Inoltre, potrebbe sembrare ovvio adirsi ma l’abbiamo voluto mettere “nerosu bianco”, la direttiva specifica cheall’interno del Pma deve operare perso-nale specializzato nelle urgenze, medici einfermieri insieme. Infine, stiamo lavo-rando su alcuni particolari della logistica,per fare in modo che le persone che lavo-rano nel Pma con tutte le attrezzaturepossano, non solo operare con i mezzicon cui sono partite, ma anche per esserein grado di rifornire il Pma quando nesorgesse il bisogno.

State sperimentando anche delle strut-ture sanitarie, per così dire, innovative?

Sì, abbiamo provato delle strutture cam-pali non urgentiste chiamate provviso-riamente PASS (Posto di AssistenzaSocio Sanitaria). Le prime di questogenere le stanno realizzando i volontaridi Cuneo, in Piemonte. Noi stiamolavorando su strutture che non devonosalvare vite, ma possono risolvere pro-blematiche altamente presenti in tutti itipi di emergenze in cui vengono scon-volte le normali abitudini delle persone.Queste strutture, che hanno funzioneprecisa e autonomia logistica, risultanofondamentali quando serve assistenzaspecifica per dare vita ad ambulatori dacampo, che possono ripristinare nel-l’emergenza l’equilibrio psicologico osanitario di persone come anziani, mala-ti o persone fragili che in un attimo siritrovano senza medico, pediatra o conla farmacia locale chiusa perché inagibi-le. I PASS dispongono di professionistiprovenienti da almeno cinque aree:medici di famiglia, pediatri, l’area infer-mieristica di territorio, l’area psicologi-ca-psichiatrica e l’assistenza sociale. Essipossono far fronte validamente a tutte leproblematiche anche gravi, ma che nonriguardano il “salvare la vita” alle perso-ne: si pensi ad esempio alla mancanza diun riferimento sul territorio per com-prare le medicine di cui è composta unaterapia salvavita da seguire quotidiana-mente. Rispetto ai Pma quindi i Passpossono partire con più calma di unPma, con tempistiche su cui stiamoancora lavorando. La differenza è che iPass devono essere predisposti ad allac-ciarsi alle reti di servizi ordinarie, ancheperché rimangono sul posto più tempodi un Pma. Anche dopo l’emergenza ilPass diventa così luogo centrale per iservizi sanitari, lì andranno a lavorare glispecialisti del posto. �

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L’intervento nelle maxiemergenze è spessoanche un intervento internazionale. Comeaccadde nel caso del devastante terremotodi Haiti del 2010, dove il piccolo e poveroPaese non era preparato a rispondere e dovei danni sono stati superiori a qualsiasi capa-cità di risposta nazionale, portare il contri-buto italiano alla gestione delle emergenzenel mondo è compito dell’Ufficio RelazioniIstituzionali del Dipartimento della Prote-zione civile. Ne parliamo con l’ingegnerLuigi D’Angelo, a capo del servizio Rela-zioni internazionali. Qui il coordinamento,che normalmente viene svolto a livellonazionale, prende forma in ambito europeoe persino mondiale. E le maxiemergenzediventano, ancor prima dell’intervento,piccole questioni “diplomatiche”.

Il vostro è un ufficio strategico per ilDipartimento. Siete in un certo sensole sentinelle internazionali. Dove col-locate la vostra azione?Il Dipartimento nazionale garantisce ilcoordinamento generale della risposta ita-

liana in caso di grandi emergenze all’estero.In particolare l’Ufficio Gestione delleEmergenze definisce le modalità e coordinal’impiego delle risorse di Protezione civileitaliana anche nelle emergenze internazio-nali: mobilitazione di squadre di soccorso,moduli sanitari sia di proprietà degli enti

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L’Italia nelle maxiemergenze

internazionali

Come opera la Pc in caso di interventi anche sanitarid’emergenza che riguardano Paesi terzi? Ce lo spiega Luigi D’Angelo, a capo del ServizioRelazioni Internazionali del Dipartimento

di Francesco Unali

L’ingegner Luigi D’Angelo

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locali, sia in possesso del Dipartimento stes-so. Il servizio relazioni internazionali assicu-ra il corretto collegamento con tutte leistanze internazionali impegnate nella ge-stione delle emergenze, altri Paesi (europeie non), Nazioni Unite, Unione Europea.

Come si realizza questa azione?Da un lato attuiamo tutta una serie dinostri contatti con le Protezioni civilidegli altri Stati e gestiamo rapporti chevariano da Paese a Paese e che si differen-ziano a seconda delle relazioni preesisten-ti sancite con il governo italiano, sia alivello bilaterale, europeo e internaziona-le. Nel campo dell’emergenza internazio-nale diventa fondamentale la raccolta diinformazioni e il coordinamento con gliStati o gli enti sovranazionali per garanti-re un contributo italiano che sia il piùefficace possibile.

Quindi come agite, in pratica?Ogni emergenza è differente perché coin-volge nazioni e territori diversi. Ci sonoPaesi che prediligono il rapporto bilateralecon l’Italia, perché non sono sempre favo-revoli all’intervento della comunità interna-zionale. Talvolta può prevalere il coordina-

mento a livello di Unione Europea, mentrein casi come Haiti c’è stata una massicciamobilitazione a livello mondiale: una sceltache si è rivelata la migliore per raggiungereun raccordo forte, poiché il quadro del-l’emergenza è apparso da subito uno deipiù difficili da gestire. In ogni caso, la deci-sione è presa dal Governo sul momento, inbase alle esigenze. Il Dipartimento, infatti,in questi casi non si muove mai da solo, masempre in stretto accordo con il ministerodegli Affari Esteri. In ogni caso la rispostaitaliana viene strettamente coordinata conle attività del resto della comunità interna-zionale, al fine di evitare duplicazioni,sovrapposizioni e aumentare l’efficacia del-l’intervento.

D’altro canto, però, il vostro compito èdi reagire il più rapidamente possibileproprio per mettere a disposizione delPresidente del Consiglio la “risposta ita-liana” in caso di emergenza internazio-nale. Dunque cosa fate, nell’emergenza?Per prima cosa raccogliamo le principaliinformazioni sulla maxiemergenza che si èverificata. Per questo utilizziamo diversicanali che vanno dai rapporti con le amba-sciate, fino a tutti i possibili contatti con i

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Gennaio 2010. Partenza del primo teamdi aiuti del DPC per Haiti.Al centro della foto l’allora responsbiledell’Ufficio Volontariato eRelazioni internazionali,Agostino Miozzo

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Paesi colpiti, comprese le relazioni con leaziende italiane presenti sul posto. La Salasituazioni Italia è un importante punto diraccordo delle informazioni, in contattocon il ministero degli Affari Esteri e con ilMic (Monitoring Information Centre), lacomponente operativa del MeccanismoComunitario di Protezione civile. Il serviziointernazionale cerca quindi di delineare ilprima possibile il quadro di quanto accadu-to, per poi comunicare al capo delDipartimento le informazioni che gli per-mettano di attivare il sistema di rispostadella Protezione civile italiana. Tutto questoavviene d’intesa con il ministero degli Affariesteri e la Presidenza del Consiglio deiMinistri, dopo una serie di valutazioni dilivello tecnico, istituzionale e politico.Inoltre, in caso di emergenza all’estero,come prevede un decreto legge del 2005,per passare alla fase operativa vera e propria,deve essere prima dichiarato lo stato diemergenza, quindi convocato un comitatooperativo presso il Dipartimento a cui par-tecipano il ministero degli Esteri e tutti ivertici delle componenti della Protezione

civile. In quel consesso si comincia a stabi-lire un comitato di crisi permanente che sioccupa del coordinamento e della gestionedell’emergenza specifica.

Dicevamo dell’importanza di unarisposta rapida nonostante la dimen-sione internazionale dell’intervento.Faccio un esempio. Nel caso di Haiti noiavevamo subito avviato il rapporto con ilconsolato italiano a Port au Prince, conl’ambasciata italiana a Santo Domingo eattivato il supporto, logistico e non solo,delle aziende italiane presenti in loco. Ingenerale, dal momento dell’allerta, il tempodi risposta va dalle 6 alle 8 ore, più il temponecessario a predisporre tutto e convogliarele risorse e quindi avere uomini e mezzi “supista” pronti a partire. Per interventi nelbacino del Mediterraneo diciamo che siarriva sul luogo dell’emergenza entro le 12ore: in Turchia, nel 1999, i nostri Vigili delfuoco erano operativi dopo 10 ore. Comeprima cosa noi inviamo un team avanzatointerforze (composto dalle diverse struttureoperative, dal Dipartimento di Pc al Corpo

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Immagine di Port Au Prince, capitale di Haiti, distrutta dal sisma

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nazionale dei Vigili del fuoco, dal Mi-nistero della Difesa a quello degli Esteri)che con un velivolo leggero raggiunge ilposto e fa una prima valutazione delle esi-genze. Solo dopo vengono inviati uomini,mezzi e aiuti.

E per gli aspetti sanitari quali sono leproblematiche specifiche? Ancora qualche esempio. Per i Postimedici avanzati (Pma) già da prima chearrivino le strutture decidiamo insiemeall’ambasciata dove debbano essere mon-tate. A livello tecnico si parla di “modu-li” grazie al fatto che è stata approvatadall’Unione Europea la standardizzazio-ne delle modalità di intervento: la squa-dra di ricerca e soccorso deve essere com-posta dai un certo numero di uomini,cani, mezzi e così via. Anche il Pma èstato standardizzato rispetto al personaleoperante e al numero di cittadini che vipossono essere trattati. Ciò permette un

coordinamento più facile tra i diversiPaesi europei. È da notare che nella squa-dra sanitaria insieme a medici e infermie-ri è inserito anche un gruppo di logistiche permetterà nel giro di 2-3 ore dimontare tutte le unità, i posti medici e lestrutture inviate, rendendole operativenel minor tempo possibile. Si tratta dipersonale integrato nelle strutture chegestiscono il modulo. In Italia abbiamoun’esperienza importante come il “Pro-getto Pisarte” finanziato dalla Commis-sione Europea: il gruppo di chirurgiad’urgenza di Pisa insieme ai VVFF diPisa e con l’associazione di volontariatolegata ai chirurghi d’urgenza hanno orga-nizzato un modulo composto dal Pmapiù VVFF che è partito in pochissimotempo per Haiti, sperimentando lineed’intervento tutte nuove in sintonia coni dettami della Commissione Europea.

Tornando alle modalità di organizza-

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Moduli sanitari del ’Gruppo Chirurgia d’Emergenza’ di Pisa giunti ad Haiti con il DPC

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zione, ci descrive il vostro rapportocon il MIC?Nell’ambito europeo opera il MIC, acroni-mo di Monitoring Information Center, unnetwork tra il centro di Protezione civile diBruxelles e i 31 stati che partecipano almeccanismo europeo. Il MIC è attivo 24ore su 24, rappresenta la componente ope-rativa del Meccanismo comunitario diProtezione civile e permette che la raccoltae scambio di informazioni tra i Paesi mem-bri. È composto di esperti permanenti dellacommissione europea con il supporto diesperti nazionali delle varie Protezioni civi-li. La Sala Situazioni Italia è il focal pointdel Mic per l’Italia. Quando un Paese è col-pito da calamità comunica al Mic la suarichiesta di intervento dell’Unione Euro-pea. Il Mic ribatte la richiesta a tutti gli statimembri e ciascuno contribuisce nell’ambi-to del Coordinamento europeo. È quantoaccaduto recentemente con il Pakistan, peril quale sono state richieste pompe, medici-ne, tavolette per purificare l’acqua, in occa-sione delle alluvioni causate dalle fortissimepiogge monsoniche.Contestualmente il Mic è in grado di fare ilpunto sulla situazione, ma non muoveuomini o mezzi. Questa procedura è ormaitestata e rodata.

Esistono anche linee guida internazio-nali, legate alle Nazioni unite, come leInsarag?Certo, e vengono soprattutto usate peril coordinamento dell’intervento inPaesi terzi rispetto all’Unione Europea,specialmente quelli con un grado di svi-luppo minore o molto distanti. Questelinee guida, a cui devono attenersi tuttigli operatori nazionali coinvolti, sonostate tracciate nel 1999. Si tratta di indi-cazioni molto stringenti, alle quali tut-tavia finora l’Italia non ha aderito, pur

avendo squadre di soccorso tra lemigliori al mondo. In generale, sonoancora pochi i Paesi registrati. Stiamoavviando in questi giorni un accordocon il ministero degli Affari Esteri perpoter registrare alle linee Insarag lesquadre di soccorso italiane: sarannocomposte prevalentemente da Vigili delfuoco e seguiranno un percorso formati-vo che durerà circa due anni.

Quali sono le azioni in corso per ilmiglioramento della risposta interna-zionale di Protezione civile?Partecipiamo quotidianamente al percor-so europeo in questo senso, con discus-sioni che stanno portando a rivedere ilmeccanismo europeo delle procedure. Il testo, che e risale al 2011, deve esserepresentato entro la fine di questo anno edovrà poi essere ratificato dal Parlamentoe dal Consiglio Europeo entro i primimesi dell’anno prossimo.

In questo momento partecipiamo aqualche intervento internazionale?Al momento non stiamo intervenendodirettamente in alcuna situazione diemergenza internazionale. Stiamo invecedando supporto per la costruzione deisistemi di protezione civile in alcuniPaesi. Parliamo di Stati come Albania,Libano o nei Caraibi, dove sono in corsoprogetti che svolgiamo in collaborazionecon il ministero degli Esteri. Per le emer-genze internazionali al momento ci stia-mo concentrando sul Pakistan, di cuistiamo monitorando la situazione insie-me agli altri Paesi europei e valutando lemodalità di intervento. Non abbiamosquadre sul campo, ma come spesso acca-de in questi casi, si cercano le soluzionimigliori per inviare o reperire sul postomateriali e aiuti. �

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L’inscindibile rapporto tra uomo e ani-male assume nelle maxiemergenze unprofilo del tutto particolare. Per garanti-re la salute, la sicurezza e il benessere dellepersone uno degli aspetti non secondarida tenere in considerazione è la cura di

tutti gli animali presenti sul territorio chepossono contrarre malattie o trasmetter-ne all’uomo. Bestiame di allevamento,animali randagi o selvatici e i tantissimianimali da compagnia, dal gatto fino agliesotici serpenti e iguana, sono il variega-

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Le maxiemergenzesanitarie e il problema

degli animali

Ce ne parla Marco Leonardi, esperto in questioni veterinarie del Servizio Emergenza sanitaria del Dipartimento

di Francesco Unali

Il dottor Marco Leonardi, in primo piano

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to panorama che si presenta di fronte achi è chiamato ad affrontare una maxie-mergenza sanitaria dal punto di vistaveterinario. Per garantire la salute umanaè necessario quindi ripristinare, ancheper gli animali, condizioni sanitarie ade-guate, evitando l’insorgere di “emergenzenell’emergenza” che potrebbero innesca-re ulteriori problematiche sanitarie ancheserie in una fase particolarmente delicata.A occuparsi di questi aspetti sono gliesperti del Servizio Emergenza sanitariadel Dipartimento nazionale della Pro-tezione civile. “Il nostro servizio - spiegail dottor Marco Leonardi - deve garanti-re che le aziende sanitarie locali, checoordinano i servizi veterinari a livelloregionale, abbiano gli strumenti perrispondere all’emergenza. Un ruolo im-portante è coperto dagli istituti Zoo-

profilattici, ma anche da altre struttureoperative, come il Corpo Forestale delloStato, che possiedono strumenti per agireconcretamente in questo ambito”.Mettere in sicurezza il bestiame, elimina-re le carcasse, contenere il randagismo,assicurare i tanti animali domestici chevengono coinvolti nell’emergenza, riavvi-cinarli ai loro padroni e garantire la con-vivenza nelle tendopoli diventa quindiuna priorità nell’emergenza. Per fare tutto ciò il Dipartimento ottieneinformazioni dal territorio, verifical’azione a livello locale e può intervenireper sopperire a eventuali mancanzeinviando strutture e personale da altriterritori. L’attenzione alla sanità pubblica- umana e animale - nelle grandi emer-genze nasce con il terremoto del 1980,quando i servizi veterinari locali non

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3Abruzzo 2009. ’Il miglior amico degli uomini’ in una tenda del campo di accoglienza di Villa Sant’Angelo,gestito dall’Emilia Romagna

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erano ancora ben sviluppati. “Allora ladifesa del patrimonio zootecnico - prose-gue Leonardi - e la salute pubblica eranole assolute priorità. Nel tempo però, cre-scendo certe sensibilità, i temi del ricon-giungimento e della convivenza con glianimali di compagnia, anche quelli nonconvenzionali, hanno assunto una sem-pre maggiore importanza, accrescendocosì il ruolo sociale dei veterinari”. Una dimensione, quella del rischio sani-tario per gli animali da compagnia, che èfortunatamente limitata in Italia, poichémalattie come la rabbia “urbana” sonoormai sradicate. La cura degli aspettiveterinari nell’emergenza può inveceincidere positivamente sul livello socio-economico di un’area, quando i veterina-ri aiutano gli imprenditori del settore asalvare gli allevamenti colpiti dalla cata-strofe e a curare gli animali dalla malattieendemiche. Quanto alle emergenze sanitarie di tipopandemico degli ultimi anni come lerecenti influenze aviaria o suina, Leo-nardi ci spiega che “non abbiamo avuto

scenari tali da richiedere lo stato di emer-genza e quindi l’intervento della Pro-tezione civile. Noi in ogni caso collabo-riamo con il ministero della Salute e conle Regioni per eventualmente concorrerealla risposta a queste pandemie”. Il terre-moto dell’Aquila nel 2009 è stata unavolta in più banco di prova e occasione dicrescita anche nell’ambito veterinario: èstato svolto un grande lavoro sulla sicu-rezza alimentare, sono nate le prime col-laborazioni con il volontariato zoofilo e siè accresciuta la coscienza del ruolo deiveterinari nell’emergenza, mentre sulfronte delle tecnologie, sempre più utiliz-zate, è in crescita l’uso delle cartografietematiche, indispensabili per individuaresul territorio e utilizzare le strutture stra-tegiche per intervenire in sicurezza. �

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Tokio, Ambasciata d’Italia - marzo 2011.Relazione ai connazionali presenti di MarcoLombardi, team leader della missione italiana inGiappone dopo il disastro di Fukushima

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Dei problemi e delle strutture relativi allemaxiemergenze sanitarie abbiamo parlatocon Roberto Cova, direttore generale dellaProtezione Civile lombarda: la Sanitàinfatti ricade sotto la giurisdizione diProtezione civile nel momento in cui siravvisa lo stato di crisi emergenziale.

In campo sanitario la Lombardia èall’avanguardia a livello nazionale.Vero, c’è una radicata e importante tradi-zione in questo campo. Il sistema Pc inLombardia, in materia di maxiemergenzesanitarie, è sempre stato all’avanguardiaanche per via di una significativa esperien-za pregressa in materia di strutture sanita-rie per calamità ed emergenze. Infatti, evalga come premessa, seppure di origine“privata”, sul nostro territorio abbiamol’Ospedale Mobile da campo di Ana(Associazione Nazionale Alpini).Operativo dal 1988, creato dagli alpiniconvenzionatisi prima con gli Ospedali

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La Lombardia all’avanguardia

nella gestione delleemergenze sanitarie

Roberto Cova, direttore generale della Protezione Civile,Polizia Locale e Sicurezza di Regione Lombardia, parla di Areu e delle strutture esistenti nella Regione per far fronte alle maxicalamità sanitarie

di Adriana Marmiroli

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Roberto Cova, Direttore generale Protezione Civile,Polizia Locale e Sicurezza di Regione Lombardia

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Riuniti di Bergamo e in un secondomomento con l’Ospedale San Raffaele diMilano, che ne assicurano la gestione sani-taria medica e paramedica, è forse il piùattrezzato PMA di 2° livello non solo italia-no ma europeo. È una struttura complessae avanzata, in grado di far fronte alle primeemergenze e oltre, di operare come un veroe proprio ospedale, dotato di reparti diver-si, chirurgici e di rianimazione. Una strut-tura tanto complessa e importante che sap-piamo benissimo di dover “cedere” a unlivello più alto, quello nazionale, essendo lostesso Dipartimento il suo naturale e piùcorretto interlocutore (e la nuova conven-zione che è da poco stata firmata tra ANAe Dipartimento va in questo senso, tenden-te anche alla razionalizzazione delle risorse edei budget).

Perché poi la Regione Lombardia si èanche lei dotata di un suo PMA di 2°livello. Tutto parte dalle scelte fatte nel 2009dalla Regione Lombardia, quando vennecostituita l’Areu (Azienda RegionaleEmergenza Urgenza). Si tratta di un enteche opera come un’azienda sanitaria,affiancandosi alle Asl e alle aziende ospe-daliere attive sul territorio, assicurando atutte una sorta di “service” che copre lafunzione di emergenza-urgenza sanitaria.In quell’occasione la Regione Lombardiadefinì con delibera di Giunta che, perquanto riguardava la sanità, a livelloregionale, la copertura di ogni emergen-za era assicurata da tale ente: o diretta-mente con le sue strutture o in coordina-mento con quelle private (le Croci, peresempio). Questo ha portato a un rap-porto molto stretto tra noi di Pc e Areu,che è infatti sempre presente alle nostreesercitazioni. Inoltre in quell’occasione laRegione decise di dotarsi di un proprio

Pma di 2° livello: operativo presso l’ospe-dale di Niguarda a Milano, è una struttu-ra completa ma agile, che forse rispondemeglio alle nostre esigenze di tempestivi-tà e prima operatività di quanto nonpossa fare quella di Ana. Non è un casoche più volte, in occasione di esercitazio-ni (vedi quella internazionale del dicem-bre scorso in Garfagnana-Lunigiana,dove è stato simulata un’emergenza deri-vata da un grave evento sismico), abbia-mo ricevuto encomi e riconoscimenti perla tempestività e l’efficacia del nostrointervento.

Come funziona tale struttura? Prati-camente a chi fa capo Areu?Innanzitutto è Areu che decide chi attivaredelle diverse strutture mobili emergenziali,quali inserire nelle colonne mobili, si trattidelle Croci, dei Pma di 1° livello, fino alPma di Niguarda. Tuttavia: a monte ditutto, anche della decisionalità di Areu, c’èun sistema di sinergie unitario e unificante,che è la sala opertiva della Protezione civile.Perché sia ben chiaro: il governo dellemaxiemergenze è qui, è nostro. In questicasi Areu assicura una sua operatività maall’interno della sala operativa della Pc, doveè istituita l’unità di crisi. Per semplificare:Areu ricade sotto la responsabilità e dipen-de dalla direzione della Sanità in condizio-ni ordinarie (si tenga anzi ben presente ladifferenza che c’è tra una maxiemergenza el’amministrazione di emergenze "ordina-rie"). In caso di emergenza invece diven-ta parte del sistema di Protezione Civilee di conseguenza risponde a noi. Questoperché - comunque e sempre - in caso diemergenza la prima struttura ad essereallertata è la sala operativa di Pc. Che asua volta, a seconda delle richieste rice-vute, fa attivare e partire le strutture cheservono realmente. �

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Della Regione Lombardia Areu(Azienda Regionale EmergenzaUrgenza) è una delle eccellen-ze, struttura agile e testa pen-sante oltre che unità operativaper far fronte alle maxi calami-tà di carattere sanitario, non haeguali in nessun altra realtàlocale italiana. Creata con conL.R. 12.12.2007, pienamenteoperativa dal 2009, ne è diret-tore generale fin dalle origini ildott. Alberto Zoli, medico emanager, romagnolo pendolarea Milano, che ha alle spalle unalunga esperienza nel settoredelle emergenze-urgenze sani-tarie. «Come medico d’urgenzaho iniziato negli anni 80 inRomagna, all’inizio con Anpasdi Ravenna. Il mio “salto diqualità” avviene con la crisi del

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AREU, un caso

unicoDell’Azienda per l’emergenza urgenza creata dalla Regione Lombardia ci parlano il direttore generale,dottor Alberto Zoli, e il suo braccio destro e direttoresanitario, dottor Marco Salmoiraghi

di Adriana Marmiroli e Franco Pasargiklian

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Marco Salmoiraghi e a destra Alberto Zoli,

rispettivamente direttore sanitario e direttore generale di AREU

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Kosovo: ho la responsabilità della orga-nizzazione e direzione sanitaria su man-dato della Regione Emilia Romagna delcampo profughi di Kukes 2. La stessacosa avviene per l’ospedale da campo diPec, mentre a Pristina collaboro con leong legate alla Regione. Nel 1999, arrivoin Lombardia all’ospedale Niguarda diMilano, dove resto per più di tre annicome direttore sanitario, quindi passocon lo stesso incarico presso l’AziendaOspedaliera di Lecco dove resto per 5anni. In quel periodo collaboro anche,all’interno del gemellaggio tra CapoVerde e la Regione Lombardia, allo svi-luppo di alcuni reparti dell’ospedaledell’Isola di Fogo». È a questo punto che,quando viene creata, Zoli diventa diret-tore generale di Areu.

Quale lo specifico di Areu?AREU è realtà atipica in Italia: insieme al

Lazio, che ha configurato però un’orga-nizzazione diversa, la nostra è l’unicarealtà di azienda regionale per l’emergen-za urgenza. Siamo organizzati come unaholding: le risorse umane, i beni e i servi-zi li acquisiamo secondo un principio disussidiarietà orizzontale dalla Societàcivile (i mezzi di soccorso di base-ambu-lanze) e dalle Aziende Sanitarie dellaregione per quanto riguarda i professio-nisti medici e infermieri impegnati sulterritorio. Con i direttori generali dellestesse abbiamo stipulato 37 contratti diservizio.

Lei è in Areu fin dall’atto costitutivo, sipuò dire.Sono partito da solo (prima sede a Lecco,per circa un anno) e ho creato una squa-dra prevalentemente di dirigenti. Ora ilquartier generale dell’azienda è a Milano.Vi operano in tutto 34 persone, di cui

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Missione Arcobaleno, Albania-campo di Kukes 2, aprile 1999. Alberto Zoli in missione come responsabile sanitario della Colonna mobile dell’Emilia Romagna

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una decina della segreteria amministrati-va. Noi non abbiamo la gestione direttadel personale medico infermieristico etecnico: in ogni provincia abbiamo unanostra emanazione, un nostro rappresen-tante, responsabile territoriale che è statoscelto e nominato da me e dal direttoregenerale dell’Azienda da cui (ancora)dipende. Come il nostro rappresentantelocale, così tutto il personale del Serviziosanitario regionale che lavora in Areuresta dipendente delle singole aziende edelle Asl.

Chi paga chi, allora?L’Areu paga le aziende che pagano le per-

sone. Avendo mantenuto la titolarità delpersonale dal punto di vista giuridicosono loro infatti a emettere fisicamente labusta paga. Questo perché noi non sele-zioniamo singoli individui ma compe-tenze, qualifiche professionali. Noi diAreu (quartier generale) siamo la dirigen-za, il coordinamento regionale di emer-genza urgenza Lombardia. Localmentel’attività viene svolta dalle ArticolazioniAziendali Territoriali (AAT), che corri-spondono alle province, e constano dipersonale medico, infermieristico e tecni-co, hanno la disponibilità delle tecnolo-gie, dei mezzi su strada, elicotteri... Etutti - personale, beni e mezzi - sonofinanziati da Areu in virtù di quei con-tratti, rendicontati trimestralmente econtrollati.

Quale la finalità di questo tipo distruttura?Puntiamo all’uniformità del sistema e delservizio su tutto il territorio regionale:creiamo standard, definiamo sistemi eorganizzazione, distribuendo le risorsesul territorio in modo che siano uniformie non sperequate a seconda delle zone edelle province. Operativa dal 2009,l’Areu è ormai una realta consolidata,abbiamo raggiunto risultati che pensavosarebbero stati conquistati più avanti neltempo. E ora ci stiamo accingendo a unariorganizzazione della nostra struttura subase territoriale: dalle attuali 12 CentraliOperative vogliamo passare a 4 sole, cor-rispondenti ad altrettante sale operativeregionali, ciascuna con una macro area diriferimento: a fronte di maggiori risorse

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Alberto Zoli nel campo di Kukes 2 tra Staffan De Mistura Alto Commissario ONU per i profughi del Kosovo e a destra Mirko Nanni,l’allora coordinatore regionale dell’ANPAS EmiliaRomagna

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sul territorio otterremo una loro ottimiz-zazione ed economie di scala. Le nuovesale operative gestiranno territori sovra-provinciali in una logica di sistema regio-nale e non più provinciale.Operativamente significa non avere piùuna gestione difficoltosa sui territori diconfine interprovinciali, non avere dupli-cazioni, colmare le carenze in alcune aree.L’attivazione delle 4 macro aree inizieràgradualmente a partire dal prossimoanno.

Oltre alle maxi calamità e alle emer-genze urgenze locali, ad Areu sonostati affidati altri compiti? Dal maggio 2010 ci occupiamo anchedel coordiamento logistico di prelievo e

trapianto degli organi e tessuti e del coor-dinamento e compensazione a livellointra e inter regionale delle attività trasfu-sionali e degli emoderivati.

Quali sono a questo punto i rapporticon Pc delle cui colonne mobili sieteparte in caso di maxi calamità?La regione ha definito le attività di 1° e 2°livello e di intervento fuori dai confinilocali, ovvero in ambito nazionale edeventualmente internazionale: Areu haun ruolo chiaro, a questo proposito. Irapporti con la Pc sono definiti da unadelibera del 2009 che riguarda PC regio-nale, Areu e Direzione Generale Sanità;quest’ultima garantisce una perfetta inte-grazione per la disponibilità delle risorsesanitarie regionali (AREU, aspetti relativiall’igiene e attività specialistica ospeda-liera). Questa integrazione è particolar-mente importante soprattutto quando sideve attivare un PMA di 2° livello chenecessita appunto di personale di prove-nienza ospedaliera. In caso di attivazionedell’emergenza urgenza sanitaria è la salaoperativa della centrale operativa di Pcche avvia le procedure: a questo punto lastruttura di Areu diventa la componentesanitaria della colonna mobile di Pc;quindi all’interno di una colonna mobiledi Pc, la gestione sanitaria fa capo adAreu. Ovvero siamo noi a organizzare edefinire l’entità del nostro intervento.Dipenderà altresì da noi la richiesta dicollaborazione (sempre a livello sanita-rio) del personale delle diverse associazio-ni volontarie.

Un bel cambiamento rispetto al passa-

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Marco Salmoiraghi tra Massimo Raffeli, rianimatore118 e a destra Vallerio Zucchelli dell’ANPAS,durante l’esercitazione internazionale TEREX realizzata in Toscana nel novembre 2010

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to, anche recente.In questo periodo molte cose stannocambiando. Sono in seno al Sistema sani-tario regionale le risorse di personale cuiattingere in caso di maxi emergenza.Anche il rapporto con il dipartimento diPc si è rafforzato e chiarito da quandoabbiamo per interlocutore una personaaddentro nei fatti, lombardo per giunta,come il dott. Federigo Federighi, exmedico del 118.

Praticamente cosa avviene?Cosa avverrà, direi piuttosto, visto che ilprotocollo non è ancora operativo. Incaso di emergenza il Dipartimento attivale singole Regioni, che a loro volta sirivolgono alle Unità sanitarie locali.Ovvero: quando partirà l’allarme saran-no/dovrebbero essere in tutto il Paese leRegioni ad attivarsi. Questo perché alivello di sanità sono le Regioni ad averele potenzialità, il personale, i materiali, lestrutture, la capillarità e quindi a permet-tere una maggiore immediatezza di inter-vento. L’organizzazione delle Regioni èimbattibile.

Si parla di emergenza urgenza, ma nonè ben chiaro quanto debba durare ilvostro intervento. L’emergenza urgenza dovrebbe risolversi- perché sia davvero tale - nell’arco delle72 ore. Non esiste che l’emergenza duri(come è capitato) per mesi. Dopo, da unpunto di vista sanitario, si torna allaMedicina Generale, struttura che devesubentrare a noi dopo questo periodo diassestamento. Ancora una volta L’Aquilaci servirà come esempio di intervento peril futuro: in quel caso dopo pochi minu-ti eravamo già in grado di mandare unelicottero per fare scouting, mentreintanto si attivavano le colonne con le

strutture necessarie che sarebbero giuntea destinazione meno di 24 ore dopol’evento (ma quei tempi sono moltomigliorabili con un po’ più di organizza-zione). Tuttavia è chiaro che in quell’oc-casione è stato giusto che fossero leMarche, limitrofe geograficamente, amuoversi e a svolgere questo compito diemergenza urgenza. Tuttavia bisogna direche la qualità e il tipo di intervento che civiene richiesto (come la nostra risposta)devono essere modulati in funzione deltipo di calamità che ci si trova ad affron-tare. Insomma, una cosa è un terremoto,una cosa - per esempio - un campo pro-fughi.

AREU: LE SUE STRUTTURE E I RAPPORTI CON LA PROTEZIONE CIVILEDirettore sanitario dell’azienda Areu esuo “braccio operativo”, Marco Salmoi-raghi è medico di direzione sanitaria concirca 25 anni di esperienza, di cui 20 tra-scorsi presso gli Ospedali Riuniti diBergamo, 2 all’Azienda di Lodi per poiapprodare all’Areu nel giugno del 2008.

I numeri di Areu«Faccio quindi parte della “direzione stra-tegica”, anche se poi nella realtà comespesso capita ai direttori sanitari, mitrovo coinvolto nella attivià “pratica” inprima persona. La direzione sanitaria ècomposta da me e da altri tre medici dicui un direttore di presidio, da un diri-gente infermieristico e da tre coordinato-ri infermieristici. Il nostro lavoro ha dueambiti prioritari di attività: la formazionedel personale (il 4° piano della nostrasede è destinato ad aule per i corsi cheorganizziamo) e il coordinamento delleunità operative, ovvero delle 12 AATlombarde. Dire di quanto personale è

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costituita AREU non è semplice. “Atempo pieno” lavorano per AREU 12responsabili medici e le 12 capo caposaladelle AAT e poche altre unità. Ci sonoinvece i tanti medici e infermieri che al118 dedicano solo una parte del lorotempo. Se avessimo solo persone a tempopieno direi che siamo circa in 1500, dicui 300 medici, 900 infermieri e 200 tec-nici. In realtà non è così e il numero dellepersone coinvolto è molto maggiore».

I PMA«La denominazione esatta dei modulisanitari è PMA (Presidio MedicoAvanzato). Si dividono in PMA di 1°livello, PMA di 2° Livello (come quelloche in questi ultimi anni è stato acquisi-to dalla AO di Niguarda), PMA di 2°livello avanzato (ovvero dotato di unitàchirurgica) e Ospedale da campo. InLombardia ogni AAT di AREU ha un

suo PMA di 1° livello, a volte diretta-mente a volte con la collaborazionedelle Associazioni di volontariato delterritorio. Per spiegarci, questi sono imoduli sanitari pronti a partire entro 30minuti dall’allarme. Possono esserecoinvolti per gravi incidenti locali comeper le maxi calamità. Sono dotatisoprattutto di attrezzature di prontointervento e hanno una struttura logisti-ca ridotta, funzionale alla situazione incui ci si può trovare a operare. Il PMAdi 2° livello è invece uno solo, quellonoto come URGE (Unità RegionaleGrandi Emergenze): preesistente la crea-zione di Areu, è stato acquistatodall’Ospedale di Niguarda su finanzia-mento e per incarico della Regione.Quando è stata istituita Areu, la direzio-ne è stata trasferita a noi con deliberaregionale. Tale PMA di II livello, adoggi non dispone di modulo chirurgico,

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Il PMA di 2° di AREU

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tale modulo è in fase di acquisto e asse-gnazione da parte del Dipartimentonazionale e a breve l’unità chirurgicasarà operativa. Questa struttura è pensa-ta per partire entro 6 ore dall’attivazionee rimanere nel luogo dell’evento per 72ore, con il coinvolgimento di una setti-mana di persone tra medici, infermieri etecnici. In questo caso noi saremo ingrado di fornire sul luogo dell’eventocalamitoso un supporto sanitario anchevicariante quello di strutture ospedalieredanneggiate, pur non disponendo diuna struttura completa di ospedale dacampo. In Lombardia, data la quantità ecapillarità di presidi ospedalieri esisten-ti, è difficile immaginare che si debbaricorrere al supporto di un PMA di 2°livello. È una struttura pensata più perun intervento a livello nazionale o inter-nazionale, anche se più aumentano ledistanze e i tempo di intervento e piùsono necessarie altre strutture e altrecompetenze professionali. Quali Ospe-dali da campo, in Italia esistono solol’Ospedale da campo dell’ANA el’Ospedale di Pisa.Tornando al Pma di 2° livello affidatoall’Areu va precisato che a Niguardaresta affidato il reclutamento del perso-nale medico e infermieristico ospedalie-ro che vi deve lavorare. Mentre nel Pmadi 1° livello si impiegano medici e infer-mieri del 118, in questo secondo caso,oltre ai “centodiciottisti”, occorronomedici con competenza ospedaliera: dipronto soccorso, di terapia intensiva,radiologi, chirurghi,... Il coordinamen-to e la formazione di questo personalerimane in carico a Niguarda, che non lorecluta solo tra il proprio personale matra quello di tutti gli ospedali lombardisedi di dipartimenti di emergenzaurgenza (anche se i più coinvolti sono

stati, finora, oltre a Niguarda, Bergamoe Monza).

AREU e la Pc lombardaLe cose stanno cambiando in questimesi. Prima Pc sottoscriveva convenzio-ni direttamente con le varie Associazionidi volontariato che mettevano a disposi-zione di Pc le proprie strutture. La Pcora coordina le colonne mobili e dirigee gestisce tutta l’attività tecnica e logisti-ca.La Sanità mette invece a disposizione diPc le proprie strutture sanitarie. LeAssociazioni di volontariato limitata-mente alle risorse di tipo sanitariodovranno interfacciarsi non con Pc madirettamente con la Sanità.

Le esperienze operative Areu-PcAbbiamo operato a L’Aquila, con unPMA di 1° livello e con quello di 2°. Abbiamo altresì partecipato all’esercita-zione TEREX di simulazione di un terre-moto in Garfagnana con un coinvolgi-mento verosimile proprio per la vicinan-za di quel territorio con la Lombardia. Lafinalità era quella di testare il tempo diallertamento, arrivo e montaggio dellastruttura. Già che eravamo lì abbiamopoi partecipato a un secondo livello diesercitazione, che consisteva nell’acco-glienza dei pazienti di un ospedale localeche aveva dovuto essere evacuato.L’Aquila e Terex ci hanno reso coscientiche ci sono ancora alcune problematicheda risolvere. In questo periodo stiamoapprontando delle procedure ben codifi-cate sui diversi scenari che ci permette-ranno di rispondere ancora più veloce-mente all’emergenza. Essere pronti a par-tire in 30 minuti o in 6 ore significa averegià tutto prestabilito, pronto e moltoorganizzato. �

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Il coordinamento degli interventi di soc-corso per la Regione Toscana è regolatoin base alle norme contenute nella L.R.n° 67/2003: Ordinamento del sistemaregionale della protezione civile e disci-plina della relativa attività. In base a talelegge il coordinamento opera con lemodalità definite nelle procedure opera-tive regionali per l’intervento sanitarionelle emergenze. Le Asl, e più in genera-le le strutture facenti parte del serviziosanitario, concorrono a sostenere il siste-ma regionale di Protezione civile. L’ingegner Alessandro Guarducci, fun-zionario del settore regionale toscano diProtezione Civile, spiega: “Il Serviziosanitario regionale costituisce una dellecomponenti della complessa organizza-zione che viene attivata in caso di eventinaturali, calamità, catastrofi o eventi diorigine antropica, di cui all’art. 2 della

legge n° 225/1992 (la legge istitutiva delServizio Nazionale della Protezione civile,ndr), vale a dire in tutte le situazioni diemergenza di Protezione civile. Dal chepuò desumersi che un’emergenza sanitariasi inserisce di regola in una più generaleemergenza di protezione civile. Ecco cosìche i piani sanitari per le emergenze costi-tuiscono lo strumento attraverso il quale ilServizio sanitario regionale organizza larisposta ad emergenze derivanti da eventistraordinari, in modo da garantire il coor-dinamento di tutte le attività di compe-tenza del servizio medesimo”. Tale necessità di coordinamento, ha infineconcluso Alessandro Guarducci, “è ancorapiù significativa e deve essere organizzatacon riferimento alla fattispecie di rischioche superano le capacità di risposta dellevarie Asl afferenti l’area vasta di riferimen-to, oltre che, ovviamente, alle fattispecie

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Il Servizio sanitarioregionale toscano

come parte del sistema regionale

di Protezione civile

Alessandro Guarducci, funzionario della Protezione civile regionale, e il dottor Andrea Niccolini, direttoredella Centrale Operativa 118 dell’ Asl 12 della Versilia,spiegano le linee guida della loro attività in caso di maxiemergenze sanitarie

di Mario Pellegrini

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già oggetto della ordinaria integrazione sulterritorio regionale”.A questo proposito si è dimostrata di fon-damentale importanza l’esercitazioneeuropea nota come Terex 2010, svoltasidal 25 al 28 novembre 2010, con la simu-lazione di un evento sismico che ha coin-volto le province di Lucca, Massa Carrara,Pistoia e Pisa, nel corso della quale è stataappunto testata la capacità di coordina-mento della risposta extraospedaliera, lavalidità dei Piani di emergenza ospedalie-ri, sia nel caso di massiccio afflusso di feri-ti, sia di evacuazione in ottemperanza allaDgr 1390/04, e infine la sperimentazione– unitamente alle risorse del volontariatoregionale e in accordo con il Diparti-mento della Protezione Civile - dell’allesti-mento di presidi di assistenza socio-sanita-ria. A questo proposito durante lo svolgi-mento di tale esercitazione sono stati pre-disposti 12 Pma di 1° livello dei Servizi118 regionali ed il Pma chirurgico delGruppo Chirurgia d’Urgenza di Pisa.In precedenza già l’alluvione del 16 giu-gno 1996 in Alta Versilia e più recente-mente l’esplosione del carro cisterna cari-co di GPL avvenuta alla stazione ferrovia-ria di Viareggio il 29 giugno 2009 aveva-no permesso di testare l’efficienza e l’orga-nizzazione del Servizio sanitario che – puressendo ovviamente sempre migliorabile –è da ritenersi ormai efficiente in tutta laToscana. La cosa è tanto più significativase si pensa che la maggior parte del terri-torio regionale è sottoposto a rischi sismi-ci, idrici e idrogeologici non indifferenti,per cui per quanto grandi o piccole leemergenze sono sempre incombenti.“Durante l’esercitazione Terex 2010 – ciha detto il dottor Andrea Niccolini, diret-tore della Centrale Operativa 118dell’ASL 12 della Versilia e quindi facenteparte della struttura operativa composta

dalle dodici Centrali 118 della Toscana –è stato accertato con soddisfazione chel’attivazione di tutti i Pma, previsto entro60 minuti dal lancio dell’allarme, si è pun-tualmente verificato, come prescritto dalSistema Regionale d’Intervento. Questo adimostrazione della raggiunta efficienzaprofessionale, nonché della preparazionespecifica delle nostre strutture operative.Nel caso di una qualsiasi maxiemergenza,la Centrale 118 investita territorialmente,dopo averne verificato l’effettiva impor-tanza, deve richiedere la collaborazionedelle centrali limitrofe, in modo da coor-dinare nel più breve tempo possibile tuttal’attività logistica che il caso richiede, dalnumero dei mezzi di cui si può disporre,alla quantità e specializzazione del perso-nale medico e paramedico a disposizione,fino alla ricerca immediata degli ospedaliritenuti in grado di ospitare i feriti.

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In primo piano Alessandro Guarducci

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Tutto questo fino all’attivazione dellaS.O.U.P. (Sala Operativa Unificata Per-manente) della Regione Toscana, anchequesta funzionante 24 ore su 24 per 365giorni, cui devono far capo le singoleCentrali Operative 118 della Regione”.Per le maxiemergenze di qualsiasi tipo, idodici Centri Operativi 118 della Toscanasono pertanto dotati di strutture tendentiad affrontarle in modo omogeneo, oltre aessere forniti dello stesso tipo di materiale,avuto in dotazione secondo le linee guidadel Coordinamento Regionale 118. Inprimo luogo i Centri hanno a disposizio-ne una grande tenda pneumatica destina-ta a ospitare un Pma di 1° livello dove deveoperare soltanto personale medico e para-medico della struttura chiamata in causa.Si tratta, fra l’altro, di una tenda di tipomodulare e quindi capace di unirsi ad altrein caso che più 118 siano chiamati a inter-venire. Questi Pma hanno un’autonomialavorativa che va dalle 6 alle 12 ore e -come ha già sottolineato il dottor AndreaNiccolini - deve essere pronta in stradaentro e non oltre 60 minuti dal ricevutoallarme. Infine, sempre in dotazione aidodici Centri 118, c’è anche una tenso-struttura NBCR per decontaminazione

nucleare, biologica, chimica e radioattiva,ovviamente utilizzata soltanto a supportotecnico dei Vigili del fuoco che sonodemandati a questa particolare operazio-ne. Sempre per quanto riguarda le maxi-emergenze, il personale impiegato deveessere costituito da soccorritori di livelloavanzato, che hanno quindi superato gliesami che si svolgono a conclusione dicorsi specifici della durata di diversi mesi.In pratica questi soccorritori devono risul-tare esperti nelle tecniche di rianimazionee di barellaggio e conoscere i sistemi diintervento per le cardiopatie di base. “È evidente che, sia pure e organizzati estrutturati in modo omogeneo - ha dettoancora il dottor Niccolini –, ogni CentroOperativo dispone di uomini e mezzicapaci di intervenire a seconda della geo-morfologia del territorio posto la sua giu-risdizione. È poi necessario tener contoche la Regione ha messo a disposizione delServizio 118 tre elicotteri Pegaso di basepresso l’Ospedale fiorentino di Ponte aNiccheri (al centro) e gli aeroporti diGrosseto (a sud) e del Cinquale a MassaCarrara (a nord), cioè a dire i tre puntiritenuti strategici per coprire tutto il terri-torio toscano”. �

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Andrea Niccolini

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Il Gruppo Chirurgia d’Ur-genza, una Onlus presiedutadal professor Giuseppe Evan-gelista, è oggi composto da120 volontari fra medici,infermieri e tecnici, di cui il 90% appar-tiene all’Azienda Universitaria Ospeda-

liera di Pisa, dove ha anche lasede. A far tempo dalla suacostituzione, si è sempre messoa disposizione per intervenire -sia in Italia che all’estero - a

favore delle popolazioni colpite da gran-di eventi naturali come terremoti, eruzio-

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Il Gruppo Chirurgiad’Urgenza di Pisa

Creato nel 1985, ha operato con successo e efficienzain diversi scenari nazionali e internazionali in situazionidi grandi calamità naturali, tanto da essere preso a modello per strutture similari dalla Comunità Europea

di Mario Pellegrini

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Giuseppe Evangelista,presidente

del ’Gruppo Chirurgiad’Emergenza’ di Pisa

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ni e inondazioni o in seguito ad eventibellici verificatisi nei paesi limitrofi. Iltutto, ovviamente, secondo le direttivedel Dipartimento della Protezione civilenazionale e, ultimamente, della Comu-nità Europea che, addirittura, lo ha presoa esempio per i modi ed i termini con cuiè stato visto operare. In sostanza si trattadi una realtà forse non conosciuta comesi dovrebbe, ma che a livello nazionalecostituisce un insostituibile punto di rife-rimento nel caso di catastrofi o calamitànaturali.“Ideatore dell’iniziativa e artefice del pro-getto per la sua attuazione – ci racconta ilprof. Giuseppe Evangelista - è stato ilprof. Enrico Cavina nel 1985, alloraDirettore della cattedra di Chirurgiad’Urgenza. La sua filosofia era quella di

portare sul campo, con le dovute peculia-rità, una operatività quotidiana nel trat-tamento delle emergenze-urgenze. Alfine di amalgamare le persone e quindistimolarle alla partecipazione, venne fon-data un’associazione di volontariatoOnlus denominata Gruppo Chirurgiad’Urgenza per interventi di protezionecivile. Oggi ha come riferimento per laformazione e il training chirurgicol’Unità Operativa di Chirurgia Generalee d’Urgenza nonchè la Scuola di Spe-cializzazione in Chirurgia d’Urgenza ePronto Soccorso dell’Università di Pisadiretta dal prof. Massimo Seccia. Il coor-dinamento del Gruppo, quale presidentedell’associazione, è stato affidato a me.Per attuare le sue finalità il Gruppo dove-va avere un supporto logistico sotto-

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3Medici volontari del G.C.U. ad Haiti con alcuni Vigili del Fuoco e funzionari del DPC

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tenda per il trattamento delle vittime etutta la strumentazione e i presidi sanita-ri relativi per formare un’Unità SanitariaMobile campale. Con il passare deglianni tali supporti sono divenuti semprepiù sofisticati, mentre le tende tradizio-nali sono state sostituite da quelle pneu-matiche, di facile e rapido montaggio. Ilpersonale sanitario che per lo più lavoraquotidianamente in reparti di area criti-ca, viene formato sia con corsi certificatidall’American College of Surgeons, siacon corsi specifici di medicina delle cata-strofi, chirurgia di guerra, e inoltre conl’obbligo di frequentare il corso annualedi perfezionamento in tecniche sanitariedi Protezione civile, tenuto dal Di-partimento di Chirurgia”.Come è evidente il Gruppo Chirurgiad’Urgenza di Pisa dà forma e consistenzaad un’équipe altamente specializzata,dotata di tutti gli strumenti adatti ainterventi anche in condizioni estrema-mente precarie, come quelli dei terremo-ti in Turchia del 1991 - il primo in asso-luto in cui intervenne il Gruppo -, inUmbria (a Foligno) del 1998, di Algerinel 2003, di Bam in Iran fra il dicembre2003 e il gennaio 2004, del Sichuan inCina nel 2008 e di Haiti nel gennaio2010. In più ci sono da annoverare gliinterventi umanitari nel 1998 a Valona(nel contesto dell’operazione Arcobalenoe come appoggio tecnico all’Ospedaledell’Ana), e fra il dicembre 2004 e il gen-naio 2005 nello Sri Lanka, come conse-guenza dello tsunami che colpì l’EstremoOriente.In origine l’équipe d’intervento eracomposta da 14 unità (7 medici e 7infermieri), ma poi - anche per la com-plessità degli interventi - è stata portataa 20: 8 medici, di cui uno con le funzio-ni di team leder fra chirurghi, anestesi-

sti e traumatologi; 10 infermieri, com-preso uno strumentista, un’ostetrica eun tecnico di laboratorio, e 2 tecnici.“Giunti sullo scenario dell’evento - cispiega ancora il prof. Evangelista -,mentre una parte dei sanitari si dedica almontaggio dell’Unità Sanitaria Mobile,gli altri possono iniziare un primo tria-ge che verrà seguito dall’idoneo tratta-mento di stabilizzazione e la possibilitàdi procedere a interventi salva-vitaimprocrastinabili, avendo a disposizioneanche un’attrezzata sala operatoria delledimensioni di metri 7,50 per 5,25.Oltre a questa, il Gruppo dispone dialtre destinate al pronto soccorso di sta-bilizzazione e alla diagnostica.Completano il corredo strumentale unapparecchio per analisi cliniche conspettrofotometro, un apparecchio conecografo portatile, un’apparecchiaturaradio-satellitare con possibilità di tele-consulto. A queste vanno poi aggiuntele tende destinate a dormitorio, magaz-zino e servizi igienici”.Il materiale di cui dispone il Gruppo èdistinto fra logistico (tende, generatori,ecc.) e sanitario, che per ovvii motivideve essere sottoposto a verifiche periodi-che. Il tutto è preassemblato in appositicontenitori in alluminio con contrasse-gno con codice colore internazionale,mentre in caso di missione è prevista -per viveri, presidi sanitari ed equipaggia-mento - un’autonomia completa di cin-que giorni. Dato infine che gli interventirichiesti sono avvenuti nella grande mag-gioranza dei casi al di fuori del territorionazionale, esiste uno stretto rapporto dicollaborazione con la 46a Aerobrigata distanza all’ Aeroporto militare di Pisa,tanto è vero che esiste un piano di stoc-caggio del materiale da potersi attuare nelpiù breve tempo possibile. �

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Dal 1999 a oggi ha portato speranza neiluoghi del mondo e dell’Italia dove haoperato, una speranza che ha sempreavuto i colori dell’arcobaleno che con-traddistinguono il suo logo e anche la suaorigine. L’Ares-Associazione Regionale Emer-genza Sanitaria e Sociale (www.ares-italia.org), infatti, è stata costituita nel1999 da 19 operatori sanitari che aveva-no partecipato a un’azione umanitariadella Regione Marche nell’ambito dellaMissione Arcobaleno in Albania, un’ini-ziativa intrapresa a tutela della popolazio-ne del Kosovo. La spinta propulsiva allanascita dell’Ares arrivò da MarcoEsposito, direttore del Pronto soccorsodell’Ospedale di Macerata, scomparsoall’improvviso lo scorso luglio, a 52 anni,che ne è stato il presidente fin dalla suafondazione. “L’Associazione è nata dal-l’esigenza che ha sentito mio marito, diritorno dalla Missione Arcobaleno – ricor-

da la moglie, Olivia Ulivi, che, da sempre,affianca la sua professione di psicologa allacura della segreteria dell’Ares di cui èanche presidente onorario –, di formareun team di esperti che potessero interveni-re in situazioni di emergenza sanitaria”. Lascomparsa del dottor Esposito è stata unevento drammatico per la sua famiglia eper i componenti della Associazione, chetraevano ispirazione e forza, ogni giorno,dalle sua volontà. “Dare una rispostaall’emergenza, sempre e comunque. Conqualsiasi mezzo a disposizione. Una rispo-sta, però, va data”. Tania Ordonselli,medico che ha lavorato a suo fianco, ricor-da queste parole di Marco Esposito. “Ogni minuto – cita ancora la dottores-sa Ordonselli - abbiamo a che fare conpersone che soffrono, non possiamopermetterci di sbagliare”. Lo ripetevacostantemente ai suoi più stretti colla-boratori e a se stesso, anche se il primoa non averne bisogno era proprio lui.

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ARES, la "risposta"marchigiana

al problema dellemaxiemergenze sanitarie

Ripercorriamo la storia dell’Associazione creata dal dottorMarco Esposito nel 1999. Da una precisa idea di sanitàa una struttura all’avanguardia

di Paola Cimarelli

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Parole a cui seguivano i fatti, in manie-ra coerente con la sua condotta di vita,primo esempio per chi gli lavoravaaccanto. Ed esempio anche per la fami-glia e i figli che adorava”. “Un Medico di quelli con la “M” maiu-scola - prosegue la dottoressa Ordonselli–, animato esclusivamente da passione,sentimento e amore per una professioneassai delicata che è soprattutto missione.Proprio così Marco concepiva la sua vitaprofessionale. Instancabile, sempre con labattuta pronta, ma al tempo stesso esi-gente e disponibile con i suoi più stretticollaboratori. Un vero leader, capace diintervenire prima che lo sconforto pren-desse il sopravvento”.

La formazione è stata, da sempre, perl’Ares, l’antidoto allo sconforto di doveraffrontare le gravi situazioni che si creanonell’emergenza. La necessità di formareun gruppo operativo d’intervento sanita-rio in caso di urgenza nacque, infatti, inEsposito e negli altri fondatori dell’Ares,dalla consapevolezza che, nelle fasi acutedi catastrofi, l’improvvisazione non con-tribuisse a realizzare un intervento effica-ce. I protocolli di medicina delle cata-strofi sono differenti dalle pratiche medi-che ordinarie, così come i materiali e lespecializzazioni richieste, a seconda delgenere di evento da fronteggiare.Occorre, perciò, una preparazionecostante. Per questo la formazione è stata

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L’Aquila, aprile 1999. Visita delle autorità all’Ospedale da campo della Regione Marche, gestitodall’ARES. Da sinistra: Roberto Oreficini, direttore regionale Dipartimento Politiche integrate di Sicurezza ePc; un funzionario del DPC; Gian Mario Spacca, presidente della Regione Marche; Gianfranco Fini, presidente della Camera dei Deputati; Susanna Balducci, funzionario Pc della Marche; Agostino Miozzo,l’allora direttore dell’Ufficio Volontariato e Relazioni internazionali del DPC; Marco Esposito, fondatore epresidente dell’ARES e Franco Gabrielli, all’epoca prefetto dell’Aquila

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per l’Ares, da subito, il pilastro della suaefficacia e della sua preparazione e l’han-no portata a poter contare, alla data diluglio, su 659 soci fra medici, infermieri,psicologi, logisti, presenti in venti regio-ni italiane (tutte tranne Molise e Sicilia),attivi in particolare nelle Marche, inEmilia Romagna, Toscana e Piemonte.Le competenze e la professionalità deisoci dell’Ares le hanno permesso di esse-re iscritta all’elenco nazionale delleAssociazioni Onlus di Protezione civile edi avere una collaborazione costante eproficua con la Regione Marche che haportato a decine d’interventi in Italia enel mondo in situazioni di emergenza.L’Ares, infatti, costantemente operativanella sede del 118 degli Ospedali Riunitidi Ancona, è una risorsa che si attivaattraverso la Soup regionale (Sala Ope-rativa Unificata Permanente della Pro-

tezione Civile) nelle situazioni in cui lenecessità di una zona disastrata eccedanole capacità sanitarie della stessa, anche insede extra regionale e nazionale. A questo rapporto, ufficializzato con unaconvenzione sottoscritta, per la primavolta, nel novembre 2000, si sono ag-giunti, negli anni, accordi specifici siglatiper migliorare l’efficacia delle azioni dimaxiemergenza sanitaria: la convenzionesperimentale con l’I.N.R.C.A. di Anconaper l’approvvigionamento di farmaci pergli interventi urgenti di soccorso destina-ti ad essere usati nell’ospedale da campodella Regione Marche; il progetto per iPiani di Emergenza IntraospedalieraMassiccio Afflusso Feriti; la formazionerealizzata dall’Ares, in collaborazione conil personale delle Centrali operative dei118 regionali, per l’applicazione del pro-tocollo Triage Start, indirizzato ai soccor-

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Un reparto dell’Ospedale da campo marchigiano

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ritori sanitari delle organizzazioni divolontariato, Croce Rossa Italiana eAnpas regionali; l’istituzione dell’Epem(Equipes Psicologiche per le EmergenzeMarche) per la risposta psicosociale nellemaxiemergenze. “La Regione Marche ha sempre puntatoa specializzare la propria capacità dirisposta in ambito di maxiemergenzasanitaria – sottolinea Roberto Oreficini,direttore del Dipartimento per le Po-litiche Integrate di Sicurezza e per laProtezione civile – considerando che unodei fattori strategici e di prova dei sistemiterritoriali di emergenza è proprio l’orga-nizzazione dei soccorsi sanitari. La siner-gia quotidiana ha contraddistinto l’ope-rato di tutte le componenti del nostrosistema regionale di Protezione civile, inparticolare con l’Ares”.

Susanna Balducci, referente Emergenzesanitarie della Protezione civile dellaRegione Marche, spiega che, insieme,Ares e Regione, oltre ad aver partecipatoa numerose esercitazioni nazionali edeuropee, “hanno lavorato alla costituzio-ne del Gores (Gruppo Operativo Re-gionale Emergenza Sanitaria), creato peraffrontare le problematiche connesseall’organizzazione della risposta nellemaxiemergenze sanitarie, in cui MarcoEsposito era componente esperto nellamedicina delle catastrofi”. Hanno colla-borato, in Italia, alla realizzazione, nelsettembre 2004, del Grande evento diLoreto (An) dov’è stato allestito per laprima volta l’ospedale da campo regiona-le, con l’individuazione di modelli diintervento del soccorso sanitario inambito di Protezione civile.

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3Pakistan, sisma 2005. Marco Esposito in missione

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Un’esperienza che si è ripetuta, semprenella città mariana, con il Grande Eventodel 2007, con l’acquisizione di una salaoperatoria per ospedale da campo regio-nale, e, ancora, lo scorso settembre alGrande Evento del XXV CongressoEucaristico Nazionale. Nell’aprile 2005,inoltre, hanno partecipato, a Roma, alle

esequie di Papa Giovanni Paolo II, conl’intervento di due Pma di 2° livello, alle-stiti insieme ad Anpas Marche e Vigilidel fuoco volontari di Ancona. Fra lemissioni umanitarie internazionali, con ilcoordinamento della Protezione civilenazionale, Ares e Dipartimento dellaProtezione civile della Regione Marchesono intervenute, nel dicembre 2004,nell’emergenza del Sud-Est asiatico, pro-vocata dal maremoto, partendo con unmodulo sanitario. Da ottobre 2005 agennaio 2006 sono intervenuti nel-l’emergenza del terremoto del Pakistan,con un ospedale da campo insiemeall’Anpas Marche e ai Vigili del fuocovolontari di Ancona. Gli stessi soggetti,con una struttura campale sanitaria, sonoandati in Indonesia nel maggio 2006 peraffrontare le conseguenze del terremoto.Ad Haiti, nel febbraio-marzo 2010, c’èstata la partecipazione di un modulosanitario Ares con funzionari dellaProtezione civile regionale, volontarilogisti e cuochi di organizzazioni di

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Il dottor Mario Caroli, neo presidente di Ares

Catania, 2005 - Eurosot, esercitazione internazionale

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volontariato regionale e Anpas. L’ultimamissione nazionale dell’Ares è stata quel-la in Abruzzo per il terremoto del 6 apri-le 2009, dove l’Associazione è stata chia-mata a prestare assistenza sanitaria allapopolazione duramente colpita dalsisma. L’intervento è iniziato subito dopoil terremoto su richiesta del Diparti-mento della Protezione Civile regionale enazionale. Ad appena 10 ore dall’eventosismico, la Regione Marche ha allestito aL’Aquila un ospedale da campo, comple-to di una sala operatoria e di una tendaper le degenze di tutti quei pazienti cheerano già ricoverati nell’ospedale resoinagibile dal sisma e per quelli che sareb-bero giunti nei giorni successivi dal terri-torio disastrato. Dopo tanta esperienza accumulata inquesti anni e dopo la scomparsa diMarco Esposito, all’Ares nessuno hadubbi su quale sarà il futuro dell’Asso-ciazione, su quale sarà il suo ruolo, chetrarrà sempre ispirazione dal ricordo del-l’energia e della forza del suo ideatore. “Ritengo che il futuro dell’Ares sarà cer-tamente positivo – commenta la signoraUlivi – perché credo che mio marito

abbia seminato molto bene in questianni. Ha riunito tante persone accanto asé, persone formate dal punto di vistaprofessionale e che hanno una grandemotivazione, tutte decise ad andare avan-ti. Io continuerò sempre a fare la miaparte nel curare i rapporti con tutti i socisparsi sul territorio nazionale. L’inten-zione è di andare avanti e di farlo almeglio”. Mario Caroli, vicepresidente dell’Asso-ciazione, dice che “il progetto dell’Aresva avanti con il programma formativoche si svolge durante tutto l’anno (anovembre ci sarà un incontro a Ferrara).Sono previste attività formative per tuttii soci, che vengono preparati per esserepronti ad affrontare le situazioni di emer-genza e di catastrofe anche con percorsispecifici per le missioni internazionali”.Fra le azioni che l’Ares sta portandoavanti, inoltre, “c’è il progetto di parteci-pare sempre più attivamente al Mec-canismo Europeo di Protezione civile –aggiunge Caroli – per il quale abbiamopartecipato con l’ospedale da campodella Regione Marche all’esercitazioneche si è svolta a maggio in Olanda“. �

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Olanda, 2011 - Esercitazione internazionale

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Il dottor Giancarlo Mosiello è il respon-sabile della Centrale Operativa Regionaledell’Ares118 Lazio, azienda sanitariaregionale che risponde e gestisce le fasi diallarme e di risposta di emergenza sanita-ria in tutto il territorio della RegioneLazio. Ci siamo fatti raccontare da luitutti i particolari del “sistema” che dirige.

La centrale operativa dell’Ares118 è dicerto il miglior punto di vista perdescrivere il sistema dell’emergenzasanitaria, oggi.Sicuramente è un punto di vista privile-giato. La nostra azienda, istituita nel2004, coordina e gestisce le fasi di allar-me e di risposta extraospedaliera per leemergenze sanitarie, compresa l’emer-genza neonatale, il trasporto di sangue eorgani e i trasporti secondari legati alprimo intervento. Presso di noi operapersonale sanitario esperto in emergenza-urgenza che, seppur sostenuto da lineeguida, protocolli operativi nazionali,regionali e aziendali, è consapevole didover costruire una risposta “personaliz-

zata” rispetto ai bisogni di salute dellapersona che in quel momento, in quelcontesto ha attivato il contatto con il118. I nostri servizi puntano a mettere alcentro il paziente con prestazioni appro-priate e di qualità. In particolare poi, lafase di allarme è affidata alle centrali ope-rative Ares118: nelle due fasi di risposta,quella territoriale è coordinata e gestitadal “sistema soccorso” Ares118, mentrequella ospedaliera vede la partecipazionedi tutte le strutture sanitarie esistenti(Dea di II e I livello, Pronto soccorso,Punti di primo intervento) collegate conle postazioni Ares118 sparse sul territo-rio.

In cosa consiste il vostro lavoro e quel-lo delle centrali operative delle provin-ce laziali?Il nostro lavoro richiede innanzituttouna programmazione e pianificazione delsoccorso sanitario e quindi la concretagestione attraverso gli interventi, coordi-nati sul territorio e con le strutture sani-tarie che insistono sui vari territori della

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ARES 118 Lazio

La centrale operativa, di cui Giancarlo Mosiello è responsabile, si trova al centro di un nodo nevralgicoe delicatissimo per la quantità e qualità degli interventicui deve quotidianamente far fronte

di Francesco Unali

REGIONE LAZIO

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regione. Per questo ci avvaliamo, oltreche della centrale operativa regionale, disei centrali provinciali e di strutture comele unità complesse Elisoccorso e Maxi-emergenze. Il modello organizzativo cheutilizziamo da diversi anni si è dimostra-to adatto a rispondere alle necessità sani-tarie dei cittadini e dei turisti che, inqualsiasi mese dell’anno, si muovono nelvasto territorio della regione Lazio. Ilsistema dell’Ares118 è in grado di garan-tire una risposta efficace anche all’insie-me di manifestazioni ludiche, sportive ereligiose che si svolgono quotidianamen-te nella città di Roma.

Come operano le centrali operative?Le sei Centrali Operative Provinciali

(Roma Capitale, Roma Provincia, Fro-sinone, Rieti ,Viterbo e Latina) ricevonole richieste di bisogni sanitari che perven-gono al numero unico 118 sia da partedel cittadino che da tutte le istituzioni egli enti coinvolti in situazioni di emer-genza-urgenza. Esse attivano la rispostaadeguata al bisogno, gestiscono il soccor-so sanitario su ambulanza o elicottero dalmomento della chiamata fino alla presain carico da parte della struttura sanitariapiù idonea secondo procedure aziendalicodificate. Infine queste strutture pro-grammano e pianificano le proprie risor-se umane, tecnologiche e i mezzi di soc-corso.

Che ruolo ha in particolare la centrale

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Interno della Centrale operativa dell’Ares118 Lazio

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regionale che lei guida?La Centrale Regionale svolge tutta unaserie di attività che presentano valenza dicarattere regionale e non locale. Tra i suoicompiti c’è il coordinamento delle attivi-tà di trasferimento inter-ospedaliero dipazienti in “reparti di area critica”.Questo in tutto il territorio regionale e incasi di gravità eccezionale anche fuoriregione, come nel caso di grandi ustiona-ti o di trapianti d’organo. La centraleregionale ne coordina tutte le fasi, dallaricognizione preventiva delle disponibili-tà al contatto tra le strutture richiedentied accettanti, fino alla attivazione dellefasi di trasporto tramite elisoccorso oambulanza in collaborazione con i servi-zi interessati (Centrali Provinciali,Servizio di Elisoccorso, ecc). Supportainoltre con il Servizio trasporto emergen-za neonatale, il Servizio di trasporto assi-stito materno e il trasporto sul territoriodi sangue e organi. La Centrale Re-

gionale infine gestisce la Centraled’Ascolto dei medici addetti alla “Con-tinuità Assistenziale” di Roma e Pro-vincia (ex guardia medica).

Ha accennato alle due unità comples-se: Elisoccorso e Maxiemergenze.Ares118 può contare su un servizio di eli-soccorso impegnato sulle 24 ore per i tra-sferimenti interospedalieri e di 12 ore algiorno per i soccorsi primari incluse leisole Pontine. Il servizio si articola su trebasi operative (Roma, Viterbo e Latina)ed è svolto soprattutto per i trasferimen-ti nel territorio regionale. C’è poi l’Unitàmaxiemergenze e grandi eventi che ha ilcompito specifico di gestire i grandieventi e le manifestazioni che per il loroelevato numero di partecipanti necessita-no di una organizzazione autonoma e dirisorse supplementari che non possonoessere garantite dalle risorse di una singo-la provincia. Tra gli altri suoi compiti è da

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sottolineare il supporto svolto su circa2000 eventi minori all’anno, che si svol-gono prevalentemente nella città diRoma e che richiedono sempre una pre-senza di uomini e mezzi dell’Ares118.Infine, in caso di catastrofe regionale (manon solo) ha il compito di organizzare earmonizzare le procedure di risposta allemaxiemergenze tra le varie strutture.

Emergenza sanitaria quotidiana, maxi-emergenze e grandi eventi: questi i tregrandi filoni. Ci spiega quali sono leprincipali differenze nell’impostazionedei vostri interventi, e quali gli aspettiin comune?Nelle grandi emergenze così come negli

eventi sono fondamentali la presa in cari-co del paziente che non sempre puòrisultare agevole sia per il numero deipazienti che per l’accessibilità al sito. Inquesti casi diventa necessario garantire ilservizio evitando il sovraffollamentodegli ospedali per via dell’alto numerodei pazienti in arrivo. Per questo nellemaxiemergenze diventano necessari pianidi implementazione delle risorse, sullaviabilità e la circolazione dei mezzi, dicollaborazione con altri Enti, di ricoverodei pazienti. In questo ambito è fonda-mentale il ruolo del volontariato diProtezione civile che riesce a garantirel’intervento all’interno di una rete dirisposta organizzata.

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Nel 2006 a Roma ci fu un grave inci-dente nella linea A della Metropo-litana, con centinaia di feriti, una verae propria maxiemergenza sanitaria.Come organizzaste l’intervento e ilcoordinamento in quel frangente?Fu un impegno notevole che affrontam-mo efficacemente grazie a un pianorazionale per lo smistamento dei pazientinelle strutture sanitarie della Capitale.Fondamentali furono le attività di prepa-razione realizzate in precedenza: solo unanno prima infatti, nell’esercitazioneMatilda, avevamo simulato proprio unintervento in metropolitana. In quellacircostanza furono fondamentali la cor-retta attuazione delle procedure organiz-zative interne, l’utilizzo di piani di distri-buzione dei pazienti negli ospedali checoinvolsero ben 17 strutture sanitariediverse, l’effettiva collaborazione con glialtri enti coinvolti nel soccorso e l’attiva-zione di tutte le risorse regionali e divolontariato per far fronte all’emergenza.

Ci descriva uno dei grandi eventi in cuisiete stati protagonisti: come vi sieteorganizzati? Io penso, per esempio al1° maggio 2010, con la contempora-nea presenza della beatificazione dipapa Giovanni Paolo II e del "Con-certone" dei sindacati.?Quei due eventi hanno costituito unimpegno straordinario cui è stato possi-bile rispondere grazie alla attivazione diuna organizzazione integrata tra la nostraAzienda Regionale 118, le altre Isti-tuzioni, la Rete Ospedaliera. Abbiamodovuto assistere in contemporanea circadue milioni di persone, un milione emezzo per la beatificazione e circa cin-quecentomila per il concerto. Abbiamoattivato un ospedale da campo, 25 Pma,oltre 200 ambulanze, oltre 500 squadre

di barellieri. In tutto circa 3000 personeimpegnate nelle 48 ore dell’evento.Fondamentali sono state le implementa-zioni delle e risorse sanitarie fornite dallaCroce Rossa Italiana e dalle Orga-nizzazioni Nazionali di Protezione Civile(Anpas e Associazione Nazionale delleMisericordie d’Italia) che hanno richia-mato volontari anche dalle regioni limi-trofe. Importante in questo frangente èstato il collegamento diretto con tutte lestrutture coinvolte, non solo le risorseschierate in strada ma tutti i 20 ospedalidell’area romana. Abbiamo attivato 220postazioni radio, con due canali, uno disoccorso e uno di coordinamento, concirca diecimila comunicazioni radioeffettuate per 3000 soccorsi nelle duesole piccole aree degli eventi e appena150 ricoveri totali. Si pensi che, in ungiornata ordinaria, Roma registra circa1000 soccorsi nelle 24 ore in tutta lacittà.

I dati parlano di un successo del vostromodello organizzativo. Ma qual è adoggi la frontiera da superare nellagestione dei grandi eventi e delle maxiemergenze?Non credo che esista una frontiera o unlimite nella preparazione della rispostaalle Maxiemergenze. Bisogna sempreandare avanti per migliorarsi in un’otticad’integrazione costante e continua traservizi pubblici, professionisti del soccor-so e volontariato. Quanto al migliora-mento del servizio, troppo spesso si diceche bisognerebbe avere molte più risorseeconomiche, il che è sicuramente vero,ma prima di tutto, a mio parere, bisogne-rebbe procedere a una più attenta educa-zione sanitaria dei cittadini in relazione atutti i servizi sanitari, e maggiormentenell’ambito dell’emergenza-urgenza per

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evitare sprechi nell’erogazione del servi-zio stesso.

Un altro fronte su cui la vostra crescitaprofessionale è costante è quello delletecnologie che usate per fornire un ser-vizio sempre più tempestivo e puntua-le alle persone. Quali tecnologie utiliz-zate?Le tecnologie sono aggiornate costante-mente. Proprio in questo periodo stiamorinnovando i centralini telefonici e po-tenziando la rete radio. Durante l’eventodel 1° maggio un punto di forza è statoun ponte radio dedicato con apparatimobili per tutte le squadre. Stiamo lavo-rando poi allo sviluppo del numerounico europeo 112. Abbiamo il vantag-gio di essere una azienda regionale chegià collabora quotidianamente con laPolizia di Stato, i Carabinieri, Vigili delfuoco e la Protezione civile regionale. Giàoggi svolgiamo con loro attività comunicome un call center sanitario presso il113 o alcune postazioni di ambulanzegestite insieme ai Vigili del fuoco.

Per concludere, uno sguardo sull’Eu-ropa. Volendo paragonare la vostraesperienza a livello continentale, comesi posiziona Ares118?Nel 2008 a Torino si è svolto un incon-tro interministeriale proprio sul sistemadel Servizio Sanitario d’Emergenzanell’Unione Europea, teso a costruireuna mappa dei diversi sistemi nazionalidell’emergenza, al fine di individuaresoluzioni comuni ai punti critici. In taleambito si è evidenziato che ogni Ser-vizio di Emergenza deve assicurare,favorire e migliorare l’accessibilità alServizio stesso tramite un numero unicoterritoriale utilizzabile da tutti i cittadi-ni dell’Unione Europea e coordinandole fasi di risposta e intervento con pro-cedure e protocolli omogenei per tuttoil territorio comunitario. ARES118 perla sua valenza regionale e le esperienzeacquisite nei Grandi Eventi presentauna consolidata esperienza nel soccorsoa cittadini non italiani e protocolli d’in-tervento uniformi in tutto il territorio.Tali attività già collocano ARES118 in

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linea con le raccomandazioni europee.

Leggo di un vostro piano di riorganiz-zazione per cui vorreste che fosseroaffidati ad ARES118 il coordinamentoe la gestione sull’intero territorioregionale dei trasferimenti di tutti ipazienti di emergenza, in criticità o incontinuità di soccorso. A che punto èquesta idea e che problemi permette-rebbe di superare?I nuovi decreti regionali hanno realizzatoun percorso, soprattutto per la erogazio-ne di prestazione sanitaria in ambitoospedaliero, secondo quanto già prean-nunciato nella riforma Mariotti in basealla quale le strutture ospedaliere doveva-no diventare espressamente luoghi dicura graduando il livello delle prestazionida erogare. Noi oggi ci muoviamo all’in-terno di una rete sanitaria, non dissimiledal progetto del 1968, che vede i nodicruciali in strutture sanitarie con caratte-ristiche di HUB & SPOKE, strutture

sede di DEA di II e I livello, Pronto soc-corso e Punti di Primo soccorso. Con ilgrande progresso professionale e tecnolo-gico avvenuto in questi anni, si può senzadubbio “affidare il paziente alla strutturasanitaria più idonea al trattamento dellapatologia rilevata”. L’ARES118 con ilmodello organizzativo e le articolazioniaffidate alle proprie centrali operative hatutte le potenzialità per poter armonizza-re gli interventi sanitari nella rete inemergenza-urgenza, in quanto disponedi personale specializzato in attività disoccorso e di tecnologie di comunicazio-ne avanzate che collegano l’intera retesanitaria regionale. In tale ambito giàcoordina le attività di trasferimento inte-rospedaliero in emergenza per pazienticritici, e potrebbe fornire la propria espe-rienza per altre attività anche non urgen-ti, quali il cosidetto back trasport o tra-sporto di pazienti non più critici nell’am-bito di una attività integrata con gli altrisoggetti della rete assistenziale. �

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L’ospedale da campo dell’Associazionenazionale Alpini può essere consideratosicuramente uno dei fiori all’occhiellodell’articolata ed efficace macchina deisoccorsi che contrassegna il nostro Paese.Nato negli anni Ottanta dalle esperien-ze vissute da medici ed infermieri, alpi-ni e non, nei terremoti del Friuli (1976)e dell’Irpinia (1980), a fondarlo, suincarico di Leonardo Caprioli, allorapresidente dell’Ana, è stato il professorPantaleo Lucio Losapio, a quei tempi

aiuto ospedaliero. Losapio, 71 anni, èancora oggi direttore dell’ospedale eparlare con lui di questa prestigiosastruttura consente di ripercorrere i pro-gressi che l’hanno contrassegnata inoltre un trentennio di attività e di met-tere a fuoco le tappe più significativedegli aiuti offerti alle popolazioni colpi-te da calamità. A Losapio, dunque, siaddice di certo la definizione di “medi-co in prima linea”. Nel ricordare le sueinnumerevoli esperienze lui stesso am-

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L’ospedale da campo dell’Ana

Il professor Pantaleo Lucio Losapio tratteggia la storia della struttura da lui diretta e ne descrive il funzionamento

di Francesco Lamberini

ASSOCIAZIONE NAZIONALE ALPINI

Terremoto in Armenia 1988.

Il Prof. Losapio con in braccio una bambina

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mette: “Ho lasciato il cuore in tantiposti”.A livello logistico l’ospedale da campodell’Ana ha la sua sede direttiva con salaoperativa a Bergamo, nel presidio MatteoRota degli Ospedali Riuniti. Quella stan-

ziale, invece, sorge presso il 3° Reggi-mento Aquila dell’aeroporto di Orio alSerio, dove tutti i materiali sono stoccatia partire dal grande ospedale a quello cheè definito l’ospedale leggero, ovvero unPma di livello modulabile in funzione

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Maremoto Sri Lanka 2005. Rifornimenti per l’Ospedale da campo ANA

Maremoto Sri Lanka 2005. Visita del Prof. Losapio agli ambulatori dell’Ospedale da campo

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dell’emergenza, pronto a partire nel girodi sette ore per l’estero, ma utilizzabileanche sul territorio nazionale. Sempre insede stanziale ci sono poi una serie diautomezzi medicalizzati e logistici per itrasporti leggeri e le macchine di movi-mento per il caricamento delle autoco-lonne. Tutto è comunque predispostoaffinché in caso di calamità le varie strut-ture possano essere imbarcate sia su aereisia trasferite via terra. “Per l’estero – diceLosapio – vengono utilizzati quasi sem-pre dei velivoli, ma ci sono state ancheeccezioni. Per esempio, in un paio dioperazioni, in Armenia e in Albania,durante la guerra del Kossovo, le autoco-lonne sono state trasferite via nave inquanto composte da strutture pesanti”.“Quello che noi oggi proponiamo – sug-gerisce Losapio – è che, ultimata la pri-missima fase di emergenza caratterizzatamediamente da 48-72 ore, dovrebbeesaurirsi la competenza del 118. Da quelmomento noi siamo pronti a interveniremodularmene con una delle tante strut-ture che abbiamo, cioè l’ospedale dacampo leggero, quello pesante oppurecomponenti singole per l’assistenza loca-le”. La precisazione giunge opportuna

poiché sono ancora in corso di definizio-ne con il Dipartimento della Protezionecivile, nonché con la Regione Lom-bardia, i tempi di intervento e i ruoli cheriguardano il 118 e l’ospedale da campodell’Ana, inteso quest’ultimo come strut-tura nel suo complesso in quanto coin-volge anche la colonna mobile e i singolimoduli.“Una volta superata la fase dell’impattocon un evento calamitoso che vede inprima linea il 118 – dice dal canto suoUgolino Ugolini, direttore operativo esanitario dell’ospedale da campo – segueinevitabilmente il periodo della postemergenza che necessita di una strutturadi tipo ospedaliero in grado di offrirequei servizi sanitari ordinari venuti amancare e di cui la popolazione ha biso-gno. Pertanto ci auguriamo che vengadefinitivamente codificato quell’avvicen-damento che vede subentrare al 118 ivolontari della nostra Associazione, ingrado di garantire un’attività con caratte-ristiche ospedaliere. È dunque opportu-no che il Dipartimento e le Regioni siaccordino per considerare automaticoquesto tipo di sinergia, anche nell’otticadi garantire nel tempo gli opportunisostegni”.Le strutture finalizzate a prestare soccor-so alle popolazioni vengono calibrate,ovviamente, a seconda dell’intensità del-l’evento calamitoso e della sua estensio-ne. In caso di fenomeno ben localizzatoviene inviato sul posto il cosiddettoM.A.P.I. – H (Modulo abitativo di pron-to impiego ad uso sanitario), rapidamen-te installabile con pronto soccorso eambulatorio per le visite mediche.Quando invece si verificano calamitàmaggiori gli interventi sono attuati conposti medici avanzati dal 1° al 3° livello(quest’ultimo definito anche ospedale

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Mezzi della Colonna mobile

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leggero dal Dipartimento, e dotato disala operatoria) a seconda delle localinecessità. Quando infine si manifestanocalamità di tali proporzioni da distrugge-re le strutture sanitarie locali, viene invia-to il grande ospedale, come è avvenutoper esempio in Umbria. Per tutelare que-sto territorio si è provveduto ad attivareun Pronto soccorso H-24, a mettere adisposizione ambulatori per i medici dibase e ad aprire una farmacia. Interventisimili sono stati attuati, in tempi piùrecenti, anche in Abruzzo.In sede internazionale il grande ospedaleè “sbarcato” in Armenia, in occasione diuno dei più terrificanti terremoti delloscorso secolo che ha raso al suolo gran

parte di quella regione. Può essere consi-derata questa la prima grande missionein cui la struttura è stata utilizzata per ilpronto soccorso, la diagnostica, gliambulatori specialistici e la chirurgia. “Iostesso – sottolinea Losapio – durante lamia attività di chirurgo plastico ho ope-rato numerosi bambini con malforma-zioni facciali. Successivamente ci siamospostati in Albania dove è stato necessa-rio eseguire numerosi interventi maanche far nascere tanti bambini. I parti cihanno impegnato un po’ ovunque.

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L’Ospedale da campo ANA

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Ricordo che solo nello Sri Lanka ne sonovenuti alla luce circa 300 durante lanostra permanenza”.“Attualmente – dice Pantaleo LucioLosapio – siamo giunti alla quarta versio-ne di questa struttura, in pratica comple-tata rispetto alle versioni precedenti chel’hanno vista utilizzata a moduli nelle variemissioni, nazionali e internazionali. Mo-duli che di volta in volta sono stati lasciatisul posto e poi sostituiti”.L’ultima tipologia di ospedale da campo,definita anche maggiore, è stata presenta-ta a settembre 2010 a Milano, alla presen-za delle massime autorità, durante le gior-nate nazionali di Protezione civile.

Numeroso il pubblico che successivamen-te ha avuto modo di visitare il complesso.Si tratta di un grande ospedale dotato diaccettazione e Pronto soccorso che intro-ducono un articolato itinerario contrasse-gnato da diverse componenti sanitarie etecnico-logistiche. Molti sono gli ambula-tori specialistici a disposizione, comeOtorino, Oculistica, Radiologia, Chirur-gia, Ginecologia e Pediatria, che fannoleva su alte tecnologie.Quest’ultime sono posizionate in am-bienti a parete fissa, tipo container, ma chesi presentano di aspetto più raffinato.“Di persone disposte a partire per le mis-sioni – dice Losapio – ne abbiamo tante,ma sono 112 quelle sempre pronte a gesti-re l’operatività dell’ospedale da campo.Dopo l’esperienza in Sri Lanka è subentra-to a darci una grossa mano l’Aispo(Associazione italiana solidarietà tra ipopoli) dell’ospedale San Raffaele diMilano, nosocomio con cui già dal 2006abbiamo un accordo operativo a livello didisponibilità di personale sanitario.Inoltre siamo sempre grati agli OspedaliRiuniti di Bergamo per il fondamentalesostegno che ci ha sempre dato fin daiprimi anni della nostra attività”. �

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