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© 2008 Edizioni del Vento c.p.405 – 30016 Jesolo Lido (VE) [email protected] Ogni sforzo è stato fatto per rintracciare tutti i titolari di diritti dei testi e delle immagini utilizzati nella realizzazione di questo libro. Edizioni del Vento si dichiara pertanto a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comu- nicare direttamente. Con il supporto dell’Amministrazione Comunale di Fossalta di Piave. CONTROVENTO 2 Matteo Polo Giugno 1918: la battaglia di Fossalta
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Con il supporto dell’Amministrazione Comunale di Fossalta di Piave.
Il presente volume viene rilasciato con licenza Creative Commons “Attribuzione – Non commerciale – Non opere derivate Italia 2.5”.
Tu sei libero di riprodurre, distribuire, comunicare al pubblico, esporre in pubblico, rap-presentare, eseguire e recitare quest’opera alle seguenti condizioni. Attribuzione: devi attribuire la paternità dell’opera nei modi indicati dall’autore o da chi ti ha dato l’opera in licenza. Non commerciale: non puoi usare quest’opera per fi ni commerciali. Non opere derivate: non puoi alterare o trasformare quest’opera, né usarla per crearne un’altra. Ogni volta che usi o distribuisci quest’opera, devi farlo secondo i termini di questa licenza, che va comunicata con chiarezza. In ogni caso, puoi concordare col titolare dei diritti d’autore utilizzi di quest’opera non consentiti da questa licenza.http://creativecommons.org/licenses/by-nc-nd/2.5/it
Ogni sforzo è stato fatto per rintracciare tutti i titolari di diritti dei testi e delle immagini utilizzati nella realizzazione di questo libro. Edizioni del Vento si dichiara pertanto a disposizione degli aventi diritto con i quali non è stato possibile comu-nicare direttamente.
© 2008 Edizioni del Ventoc.p.405 – 30016 Jesolo Lido (VE)[email protected]
ISBN-10: 88-89890-07-XISBN-13: ISBN 978-88-89890-07-3
www.edizionidelvento.itwww.myspace.com/edizionidelventowww.youtube.com/edizionidelvento
2
CONTROVENTO
di qui non passerannoGiugno 1918: la battaglia di Fossalta
Matteo Polo
Si desidera ringraziare per la preziosa collaborazione e per aver messo a di-
sposizione il proprio sapere, sotto qualsiasi forma, don Umberto Modulo,
don Roberto Donghi e G. Dal Cin, oltrechè tutte le persone che mi hanno
aiutato lungo questa strada: Fabrizio Pizzol e Sandro Perissinotto dell’uf-
fi cio anagrafe di Fossalta di Piave, assieme al dottor Federico Mariani, per
avermi aiutato a rintracciare i “miei” morti, Gian Ernesto Cattel per aver-
mi spinto a migliorare questo lavoro, Flavia Furlanetto per le “strigliate”
stilistiche, e molti altri.
Un pensiero speciale e aff ettuoso va a Bruno Marcuzzo, vero e ultimo “re-
cuperante” dei nostri tempi.
Ma il ringraziamento più grande, per i suoi insegnamenti, va a Mario
Isnenghi.
Dedico questo lavoro ai miei genitori.
Sommario
Memorie del Basso Piave di Daniele Ceschin Presentazione
I fatti militari (ottobre ’-giugno ’)Fossalta nel post-Caporetto
La Battaglia del solstizio a Fossalta (- giugno ): antefatto
Fossalta occupata dagli Austriaci: giugno
Il contrattacco italiano fermato all’ansa di Gonfo: giugno
La lotta di Scolo Palumbo: giugno
La perdita di Capo d’Argine: giugno
Le piene del Piave: giugno
L’attacco degli Arditi: giugno
La liberazione di Fossalta: e giugno
Dopo la battaglia
Il racconto uffi cialeI bollettini di guerra
«La Tradotta» e «La Domenica del Corriere»
I protagonistiDue lettere a confronto: Giuseppe Roncola e Benedetto Panciera
Glorie e miserie della Trincea
Diario di un fante
Don Giuseppe Bianchi
«I gas asfi ssianti»
«Medaglie d’oro conferite per fatti d’arme avvenuti
sul Piave e sul Montello»
«Sono un ragazzo del Basso Piave»L’ossessione di Fossalta
La guerra del soldato Ernest
L’appuntamento col destino a Buso de Burato
Il racconto di Fossalta
Il profugato (-) «Gli esuli di Caporetto»
La “Via Crucis” di don Gallina
Fossalta a Prato
Il lungo ritorno a casa
Il mito del Piave a Fossalta Il mito della Grande Guerra: la cerimonia dell’acqua
Contrasti fra due poteri
I luoghi e i segni della memoriaIl battistero della Pace
Il cimitero
L’altare ai Caduti
Il capitello di Sant’Antonio
I monumenti e le lapidi
I nomi delle vie
Appendice: «È mancato ai vivi...», i soldati fossaltini
caduti nella Grande Guerra
Bibliografi a
Memorie dal Basso Piavedi Daniele Ceschin
Decine e decine di microcosmi anonimi diventano all’improvvi-so, tra il e il , luoghi attraversati dalla guerra con attori, soldati e civili, pronti a recitare la loro piccola parte. Luoghi che vengono segnati profondamente dal confl itto, che mutano radical-mente la loro fi sionomia fi no ad esserne stravolti, che conservano – talvolta persino nel toponimo – il segno e la memoria di fatti che non hanno una rilevanza solo locale ma anche nazionale. È il destino spesso atroce dei paesi del fronte dell’Isonzo, di quelli del-l’Altopiano di Asiago e ancora della linea del Piave. In questi casi le macerie non sono solo materiali – si pensi, ad esempio, alle distru-zioni provocate dall’artiglieria – ma incidono le singole esistenze dei civili, scardinano la quotidianità dei luoghi, rimettono in discus-sione appartenenze e identità. Passata la guerra, rimangono pure le tracce immateriali, quelle della memoria, che però rivendicano la loro precisa origine facendola pesare su atteggiamenti e riti.
Fossalta non fa eccezione. Diventa protagonista suo malgrado, dopo Caporetto, per la sua posizione a ridosso del Piave che ne fa zona di operazioni delle truppe italiane, sia nelle settimane imme-diatamente successive alla ritirata, che nei giorni della cosiddetta Battaglia del solstizio. Nel primo caso uno dei testimoni d’eccezione è Luigi Gasparotto che nel suo diario, a tratti un po’ troppo enfati-co, descrive l’inizio della distruzione del paese. Ma è nel giugno del che l’off ensiva austriaca trova in questo piccolo comune un baluardo insormontabile: «Fu una giornata tremenda. Alle grida dei nostri si aggiungevano i rantoli degli austriaci morenti, fulminati sul greto dai nostri colpi e abbandonati al loro destino da compagni che li avrebbero soccorsi solo al sopraggiungere della notte». Occu-pato per diversi giorni, l’abitato viene defi nitivamente liberato il giugno. Di lì a poco arriverà nella zona anche «un ragazzo del Basso Piave», Ernest Hemingway, che verrà ferito proprio a Fossalta.
La minuta ricostruzione degli aspetti militari, tuttavia, è solo il cappello iniziale rispetto a quello che costituisce il cuore del volu-me, ovvero la vicenda di soldati e civili presenti sulla scena del Piave. Numerose, in questo senso, sono le fonti che mettono in evidenza il
senso di desolazione provocato dalla guerra: «La campagna attorno [a Fossalta] mostra le sue ferite attraverso un rosso terreno sconvolto dalle esplosioni e tronchi d’alberi divelti alzano i loro rami anneriti verso il cielo come moncherini». Probabilmente sono però i civili costretti alla condizione di profughi ad essere le vere vittime della guerra. Per Fossalta lo sgombero della popolazione – poco meno di . persone – è inevitabile, come del resto per gli altri paesi rivie-raschi del Piave. Diventa a questo punto importante seguire le pere-grinazioni di centinaia e centinaia di sfollati dispersi in ogni regione d’Italia, anche se è Prato a diventare la «piccola patria» dei fossaltini, la «colonia» che si ricostituisce attorno alle sue fi gure di riferimento, tra cui il sindaco e il parroco, riproponendo, come è logico che sia, anche la preesistente e paternalistica gerarchia sociale.
Non è senza importanza che nel volume trovi ampio spazio ciò che succede nel dopoguerra, quando simboli e riti della guerra vit-toriosa entrano di prepotenza nel discorso pubblico locale cercando di fare il verso alla retorica nazionale. E quale simbolo migliore del Piave che si appresta ad acquistare i crismi della sacralità? Le cerimo-nie collegate al fi ume che aveva sbarrato la strada all’avanzata del-l’esercito austroungarico, qui come altrove, non si contano. Quella della borraccia d’acqua del Piave off erta al Milite Ignoto nel , è senz’altro la più curiosa, in una fase che comunque vede ormai l’egemonia patriottica del fascismo al potere.
Senza la pretesa di essere esaustivo, il volume di Matteo Polo cer-ca di mettere in rilievo il corto circuito tra la storia della Grande Guerra e la sua memoria collettiva, sia pur in un ambito circoscritto come quello di un paese investito improvvisamente e direttamen-te dalla violenza bellica. Verrebbe ora da chiedersi se a distanza di novant’anni dagli eventi non sia giunto il momento di uscire dal localismo cui sembrano orientate e alla fi ne destinate – spesso, per la verità, in maniera inconsapevole – molte di queste operazioni della memoria, per tentare di sistematizzare conoscenze, rilevanze e occorrenze di un teatro, quello del Piave, che al di là degli usi ed abusi della retorica, costituisce ancora un cantiere aperto. Anzi, se è concesso, una miniera per moderni “recuperanti” – non di cimeli arrugginiti o immateriali – ma di storie della Grande Guerra.
Pieve di Soligo, marzo 2007
Premessadi Matteo Polo
Questo lavoro di ricerca, nato come tesi di laurea triennale sulla memoria, è stato stimolato non solo da motivi professionali ma so-prattutto da curiosità personali, diventando una sorta di “arazzo” di connessioni, che sarebbe probabilmente mancato qualora fosse stato presente uno solo dei due aspetti.
Una volta raccolto il materiale, ho cercato di decifrarlo mediante chiavi interpretative che ho, parzialmente, acquisito dalla frequenta-zione delle lezioni e del seminario laureandi del Prof. Mario Isnen-ghi, il quale mi ha spinto, fi n dal colloquio per la richiesta di soste-nere la tesi di laurea triennale con lui, a studiare il mito del Piave come fi ume-simbolo della Grande Guerra, a cominciare da uno dei paesi che ne costituiva la linea difensiva, per l’appunto Fossalta.
Un’analisi che, a partire da quegli studi che indagano la dupli-ce identità della regione Veneto nell’immediato dopo-Caporetto sia come terra di combattimenti che di occupazione, di soldati e civili in fuga, restringe il campo di osservazione sul Piave, inteso sia nel senso proprio di luogo geografi co che in quello più ampio di luogo simbolo che arriva a coinvolgere, come altrove, anche la Chiesa, esemplarmente rispecchiata nella pervasiva fi gura di Andrea Giacin-to Longhin, vescovo di Treviso nonché «del Piave e del Montello».
Si tratta, cioè, delle diverse rappresentazioni che un luogo, nel nostro caso Fossalta, dà della propria memoria, relativa alla Grande Guerra e in particolare alla Battaglia del solstizio.
Fonte preziosa è stata anche la memorialistica come può essere quella di un Luigi Gasparotto, foriera di pregiate suggestioni, e a parte il caso di Hemingway, gli scritti di Cecchin, Alba Bozzo e don Modulo: inizio, stella polare e fi ne del nostro viaggio.
Questi ultimi tre, che si occupano direttamente di Fossalta, mossi da ambizioni e fi nalità diverse, percorrono itinerari quasi contrap-posti e manchevoli di una sintesi complessiva, quale io ho l’ambi-zione di avere fornito con il mio contributo: la rifl essione è ancora viva e probabilmente necessita solo di nuovi stimoli, in gradi di concretizzarsi materialmente per diventare fonte di un nuovo recu-pero della memoria.
di qui non passerannoGiugno 1918: la battaglia di Fossalta
Cap.
I fatti militari (ottobre ’-giugno ’)
Fossalta nel post-Caporetto
Al momento dell’entrata in guerra dell’Italia, Fossalta si ritrova all’improvviso catapultata in «zona di guerra», cioè in una posizione di sostegno attivo all’esercito sia nel vettovagliamento dei soldati che nel fungere da zona di passaggio delle truppe1 che da Treviso e Mestre, via ferrovia, vanno al fronte.
In questa sorta di placido «lavoro per la guerra in attesa della pace»2 non tardano ad arrivare a Fossalta gli eff etti di una inattesa confl agrazione: Caporetto.
Già dal ottobre i treni non arrivano più alla stazione ferroviaria fossaltina, ma pongono il loro nuovo capolinea a Meo-lo e i primi nuclei familiari cominciano ad abbandonare il paese volontariamente, mescolandosi ai soldati in rotta, che rapidamente affl uiscono a Fossalta per ripartire dopo poche ore, come avviene la mattina del novembre in cui compaiono «compagnie di sanità, reduci del Carso e della Bainsizza»3.
Lo scenario cambia: Fossalta si trova in prima linea poiché occupa una delle due rive del nuovo spartiacque della guerra, il Piave, in opposizione a quella caduta in mano al nemico. Piave che sarà pro-tagonista della battaglia (e non solo agente passivo) con le sue im-provvise piene a danno ora dell’uno ora dell’altro dei contendenti.
Immediata conseguenza è la conversione del paese a base per i sol-dati che si riversano ovunque: nelle case, nelle campagne, in piazza e sull’argine di San Marco*. La casa canonica diventa il novembre alloggio e posto di mensa per gli Uffi ciali; Fossalta, infatti, rientra nella zona di operazioni del xxiii corpo della iii Armata del Piave – con la a e la a divisione – comandato dal generale Diaz.
L’ordine è uno solo: resistere. E la popolazione rimasta non tarda ad accorgersene.
* Argine di contenimento, costruito dai Veneziani nel .
di qui non passeranno
Il novembre viene diramato l’ordine di sgombero, in quanto le prime pattuglie di austriaci, che hanno attraversato il Tagliamento, cominciano a premere sul Piave dove le loro prime pattuglie vengo-no avvistate la sera stessa.
Venerdì novembre, alle del mattino, vengono fatti saltare i ponti di Ponte di Piave e San Donà di Piave; tre ore dopo arriva in paese la brigata Catania o reggimento, mentre alla stessa ora a Meolo, nella villa Folco ora Drena, avviene il passaggio del coman-do supremo da Cadorna, il «generalissimo», a Diaz che viene sosti-tuito alla guida del xxiii corpo dal generale Petitti di Roveto.
Nel novembre-dicembre ’ vi sono le prime avvisaglie di com-battimenti a Fossalta sulla cui linea prende servizio la nuova classe del . Si tratta comunque di episodi isolati che preludono alla battaglia chiamata del Solstizio, in cui Fossalta per la sua posizione strategica assume un ruolo di notevole importanza: da lì infatti si ha il controllo delle operazioni di passaggio del Piave e da lì parte la strada della Fossetta, ambitissima dal nemico poiché conduce diret-tamente a Treviso e Mestre.
La Battaglia del solstizio a Fossalta (15-23 giugno 1918): antefatto
Utile torna l’inquadramento geografi co che Alba Bozzo pone come premessa della sua narrazione della battaglia:
Uno sguardo alla cartina: la zona geografi ca del combattimento è con-
tenuta tra Ponte di Piave e la linea del Piave fi no a Caposile. Da tale linea
si diparte la strada Callalta che conduce a Treviso diretta o girando per
Monastier; quella di Fossalta da dove parte la strada della Fossetta, di cui
noi conosciamo l’importanza; da Musile a Caposile, aggirando le paludi,
ora bonifi cate, si chiude l’ala destra girando lungo il canale di Milleper-
tiche. Fossalta è la cerniera principale della lunghissima azione.4
In particolare il settore Campolongo-ansa di Lampòl-borgata Ronche-paese di Fossalta-ansa di Gonfo è presidiato dalla brigata Avellino mentre più a nord, verso Zenson, c’è la brigata Ferrara.
Il periodo gennaio-maggio è contraddistinto da quelle che il Co-
. I fatti militari (ottobre ’-giugno ’)
mando Supremo chiama «piccole operazioni off ensive»5: alcune av-vengono a Caposile il gennaio e il maggio , risoltesi entrambe in successi italiani.
Fossalta occupata dagli Austriaci: 15 giugno
La grande off ensiva austriaca, largamente prevista, ha inizio, lun-go tutto il fronte dall’Astico al mare, il mattino del giugno ’. Nella nostra zona, le infi ltrazioni nemiche tra Zenson e Noventa vengono respinte, mentre gli austriaci riescono a costituire due teste di ponte: a Fagarè e a Musile, all’altezza della linea ferroviaria San Donà-Mestre.
Nell’analisi che ne fa il Comando Supremo6 la linea di collega-mento tra Zenson e Fossalta viene individuata come una di quelle zone maggiormente esposte a un attacco nemico dalla sponda sini-stra del Piave: la zona fa parte delle operazioni della a Armata, in particolare dei xxiii e xxviii Corpi d’armata.
Per quanto riguarda gli austriaci, davanti a Fossalta opera la sera del giugno il xxiii Corpo d’armata austroungarico con la a Divisione7.
Alle del giugno comincia un violento bombardamento au-striaco con l’uso di gas lacrimogeni e asfi ssianti che si concentra in particolare sulle anse di Zenson e di Lampòl per facilitare la strada ad alcuni battaglioni ungheresi: sulla riva davanti Fossalta battaglio-ni d’assalto austriaci della Isonzo Armèe passano il Piave alle , si impadroniscono delle prime linee dell’argine regio e fanno prigio-niera una compagnia con il colonnello del ° reg. Fanteria della brigata Catania.
Corre in aiuto il ii Battaglione, ma verso mezzogiorno gli austriaci sono sull’argine di San Marco dove combattono tutto il giorno con i soldati italiani, fi nchè questi ultimi non ricevono ordine di ritirarsi fi no al caposaldo dell’Osteria di Fossalta, così ribattezzato dai Co-mandi militari per via della preesistente osteria dell’Orsola, per poi assestarsi sul bivio Fossalta-Capodargine; nel frattempo le truppe nemiche occupano l’abitato di Fossalta e arrivano fi no allo Scolo Palumbo dove accorre la brigata Ionio.
di qui non passeranno
Il settore di Osteria viene accanitamente difeso per impedire alle truppe austriache sbarcate di congiungersi alle colonne pervenute a Musile e marciare verso Venezia.
Esse ormai hanno formato due teste di ponte: una a nord di Fos-salta e l’altra a sud, in modo da creare con l’occupazione delle zone di Zenson, Lampòl, Gonfo, Ronche, Fossalta e Capo d’Argine un eff etto tenaglia nei confronti degli attacchi delle nostre truppe, che, prive di una sistemazione, si trovano sempre risucchiate in una con-tinua alternanza di posizioni.
Il contrattacco italiano fermato all’ansa di Gonfo: 16 giugno
All’alba del giugno8, poco prima delle , dopo un ulteriore bombardamento, giunge notizia che nell’adiacente settore del xxiii Corpo la brigata Sassari è riuscita a occupare il caposaldo di Croce e prosegue la sua azione verso l’argine San Marco: si fa perciò pressio-ne sul comando della a Divisione perchè spinga a fondo l’avanzata del o fanteria verso l’ansa di Gonfo in modo da agire in conco-mitanza con la Sassari. Quest’ultima, però, nel suo ulteriore scatto dalla linea Osteria-Croce è arginata dalla resistenza austriaca: così l’azione in tandem viene rinviata a mezzogiorno, con successo, deci-dendo di diversifi care le linee d’azione del o e della Sassari.
Seguiamo la relazione uffi ciale:
rioccupata Fossalta mentre il o fanteria puntava energicamente all’oc-
cupazione dell’argine di S. Marco da Fossalta a C. Gradenigo, la brigata
Sassari, nel settore contiguo, era costretta ad abbandonare il caposaldo
di Croce, brillantemente conquistato in mattinata. [...] Ma il contrattac-
co, iniziatosi felicemente lungo la corda dell’ansa di Gonfo, non potette
sostenersi a causa della violenta reazione nemica; ed in seguito al ripie-
gamento della Sassari, prima da Croce e successivamente anche da Capo
d’Argine, fu necessario ripiegare la linea, per Ronche, e C. Gorghetto
sullo Scolo Palumbo fi no a Losson, dove si mantenne il contatto col xxiii
Corpo d’Armata. [...] Malgrado le enormi perdite causate dall’intenso
tiro delle artiglierie e dai ripetuti attacchi del nemico [...] la a Divisione
manteneva sempre il possesso della linea del greto di Lampòl9.
. I fatti militari (ottobre ’-giugno ’)
La lotta di Scolo Palumbo: 17 giugno
Durante la notte la a Divisione è tuttavia costretta a sgomberare il caposaldo di Ronche e all’alba del giugno le brigate Avellino e Ferrara, che resistono ancora sull’argine di San Marco a nord di Fossalta, vengono fi accate dal fuoco nemico.
La pressione austriaca si fa insostenibile. A mezzogiorno arrivano gli Arditi della a Divisione10 d’assalto del
gen. Ottavio Zoppi, che nella notte si erano ammassati a Madonna del Vallio, per sostituire le brigate Sassari e Bisagno che hanno biso-gno di riordinarsi, mentre all’Avellino si affi anca la brigata Ancona.
Secondo gli ordini:
la a Divisione d’assalto doveva attestarsi nel pomeriggio sulla fronte
Lampòl-caposaldo Ronchi-scolo Palumbo-Losson dalla quale doveva
scattare all’attacco alle ; appoggiata dal maggior volume possibile di
fuoco delle batterie del xxviii e xxiii Corpo d’Armata, doveva raggiun-
gere in breve tempo la linea Fossalta-Osteria-Capo d’Argine: in secondo
tempo la linea Gradenigo-Croce-Fosso Gorgazzo; la brigata Bergamo
avrebbe seguito l’ala sinistra della Divisione per coprirne il fi anco ed
occupare l’argine di San Marco man mano che procedeva l’avanzata. Il
xxiii Corpo, dalla fronte Malipiero-C. Bellesine, doveva spingere all’at-
tacco le sue unità meno stanche, e appoggiandone la sinistra al canale
della Fossetta, tendere a saldarle a Capo d’Argine con la destra della
Divisione d’assalto; occupata la linea del Gorgazzo doveva, poi, dilagare
fi no all’argine di San Marco. [...] Il xxviii Corpo doveva contrattaccare
alle ali del settore in direzione di Fossalta, in concorso all’azione del xxiii
Corpo...11
Il xxviii Corpo, dopo la perdita nel corso della notte del capo-saldo di Ronche, è dislocato lungo le posizioni di C. Rossetto-C. Gambara-C. Gorghetto-Scolo Palumbo, pur continuando a mante-nere il possesso della linea del greto in corrispondenza di Zenson e all’ansa di Lampòl.
Per tutta la mattina del giugno si susseguono i contrattacchi in tutti i settori della linea del Piave. L’esercito italiano riconqui-
di qui non passeranno
sta il caposaldo di Ronche ma è un’azione effi mera poiché verso le gli austriaci, penetrati attraverso il caposaldo di Villa Premuda, causano l’arretramento del xxviii Battaglione d’assalto riuscendo a superare le difese di Scolo Palumbo e quindi spingendosi verso il caposaldo di Monastier.
Dovendo assolutamente ristabilire la situazione, il comando del Corpo d’armata sollecita pertanto l’avanzata del o fanteria, attar-datosi in zona Madonna del Vallio, verso il Palumbo per lasciare libero il passo alla Divisione d’assalto che, in notevole ritardo, si dispone ad assumere la posizione assegnata. La a Divisione, spin-gendo all’attacco parte del xxv Battaglione d’assalto e il xxii messo a sua disposizione dal comandante della Divisione d’assalto, e lan-ciando ancora una volta al contrattacco i resti della brigata Ferrara, riesce a ricacciare il nemico oltre il fosso Palumbo.
Così lo racconta Baj-Macario:
Già al mattino la pressione concentrica della sinistra del vii Corpo
d’Armata austroungherese verso sud-ovest e sud della destra del xxiii
Corpo d’Armata verso nord-ovest soff oca la nostra a Divisione; alle
essa perde le trincee di Villa Premuda.
Restano tagliati fuori, aggrappati all’argine regio, tappati nelle anse di
Gonfo e di Lampòl, i resti di alcuni battaglioni delle Brigate Ferrara ed
Avellino. Immobili come scogli nei fl utti si spengono lentamente. Pres-
so la sede del comando di brigata si posano spauriti candidi colombi;
essi portano arrotolati sotto l’ala, scritti su minuscolo striscioline di seta,
messaggi laconici dei difensori: «Siamo accerchiati ma non cediamo».
È la parola dei forti che hanno ascoltato il comandamento della Pa-
tria scritto sui muri diroccati di una casa presso il Piave: «Meglio vivere
un’ora da leone che cent’anni da pecora».
Quando sono esauriti i viveri, quando sono esaurite le munizioni ed i
fucili non sono che clave, nuclei di animosi tentano di aprirsi il varco a
colpi di baionetta: molti uomini cadono coll’arma in mano, altri sono
catturati, qualche manipolo riesce a sfuggire e raggiunge i camerati sullo
Scolo Palumbo.
Spezzate queste tenaci resistenze il vii Corpo d’Armata austrounghe-
rese prende fi nalmente contatto col xxiii, dilaga, rovescia reparti della
brigata Ionio presso lo Scolo Palumbo.
. I fatti militari (ottobre ’-giugno ’)
Folti gruppi nemici con numerose mitragliatrici sbucano lungo il tor-
rente Meolo, puntano sul caposaldo di Monastier dove è appena giunta
la brigata Bergamo, intaccano la seconda fascia difensiva.
Momenti di panico e di ansia. Ritto in mezzo ad una strada battuta
dal fuoco l’intrepido generale Latini incita i suoi uomini. Si ricorre alla
cavalleria: i lancieri della iii brigata arrivano al galoppo da Roncade e si
sguinzagliano pei prati e fra le spighe dorate per rastrellare le infi ltrazioni
nemiche.
La lotta è confusa e di vicende alterne: verso le un nostro gruppo
d’assalto appoggiato da reparti della brigata Ancona si proietta animosa-
mente fra gli avversari. Più a sud un’impetuosa corsa di arditi raggiunge
Fossalta.12
Dopo le la situazione torna critica a causa della crescente pres-sione nemica su tutto il settore: al centro i difensori dell’ansa di Lampòl, ormai circondati da ogni parte, devono ritirarsi sullo Scolo Palumbo; a destra la Divisione d’assalto, vista addensarsi la minac-cia sul suo fi anco sinistro e dietro, desiste dal compito affi datole e la linea retrocede così allo Scolo Palumbo.
Fossalta è di nuovo rioccupata e, per quanto riguarda gli austria-ci, dal al giugno passa, nel contesto della v Armata o Isonzo Armèe, dal xxiii Corpo d’armata Cicserics al vii Corpo d’armata Scharitzer (a e poi a Divisione) per poi tornare al xxiii (a Div. Schuetzen): si sono aperti ora un fronte ad est sullo Scolo Palumbo ed uno a nord della strada Fornaci-Osteria con un nucleo centrale a Pralungo.
La perdita di Capo d’Argine: 18 giugno
La situazione continua a rimanere grave, causa soprattutto la man-canza di collegamenti con i settori vicini, per cui il comando opta per un ridimensionamento delle linee operative per il giugno.
Alle del mattino viene notifi cato ai tre Corpi d’armata la deci-sione di desistere dal programmato impiego della Divisione d’as-salto.
Questa, assieme alla brigata Bergamo, viene posta alle dipendenze
di qui non passeranno
del xxviii Corpo, perché possa attuare un attacco a fondo con obiet-tivo iniziale la fronte Capo d’Argine-Ronche e, in secondo tempo, la zona fra Scolo Palumbo e Argine San Marco; inoltre alle con una direttiva del Comando d’armata si raccomanda al xxiii Corpo che la brigata Bisagno venga sorretta in modo tale da tenersi collega-ta con l’azione svolta su Capo d’Argine dal xxviii Corpo, che nello stesso giorno ha fatto ogni sforzo per consolidare la sistemazione delle linee.
Nel frattempo la a Divisione occupa temporaneamente il fosso Palumbo, mentre i Battaglioni d’assalto della Divisione Speciale A riescono a rinforzare la destra del Corpo d’armata a sud e a nord del-la strada Pralungo-Osteria, ed occupare la linea C. Gorghetto-Fos-salta-Ronche-C. Gasparinetti. La brigata Bergamo deve sostituirsi ai battaglioni della Divisione d’assalto e metterne uno a disposizione della a Divisione; la divisione prima si ripartisce i battaglioni in due gruppi, uno dei quali è collocato all’ala destra del settore con obiettivo la linea Fossalta di Piave-caposaldo di Capo d’Argine.
A mezzogiorno la situazione si può riassumere cosi: la linea è te-nuta sul Palumbo, da C. Gasparinetti a Zenson, dai resti della briga-ta Ferrara, Avellino e Ionio; in rincalzo i resti dei battaglioni ciclisti sono riuniti presso Pralungo; i battaglioni della Divisione d’assalto rinforzano la destra del Corpo d’armata a sud e a nord della strada Pralungo-Osteria in attesa che venga completata la loro sostituzione da parte di due battaglioni della brigata Bergamo.
Alle comincia la programmata azione off ensiva e anche la a Divisione, approfi ttando dei progressi alle sue ali, inizia la sua avan-zata al centro dello schieramento.
Alle . il comandante della Divisione d’assalto, che aveva oc-cupato Fossalta e Osteria, chiede di avere rinforzi per sostenere la lotta che va assumendo un carattere molto logorante a causa della tenace resistenza del nemico, che intorno alle si lancia in vari contrattacchi sia al centro che alle ali dello schieramento: sull’ala sinistra la lotta è riportata sul Palumbo, mentre al centro le truppe italiane si sono stabilmente aff ermate sempre sul Palumbo e alla de-stra è stata raggiunta la linea Fossalta-Osteria-Capo d’Argine, come recita anche il bollettino uffi ciale:
. I fatti militari (ottobre ’-giugno ’)
... la resistenza nemica, che si affi dava ai vespai di mitragliatrici, fu
sgominata: il coltello di Ronche, il paese di Fossalta, le case di Osteria
di Fossalta, le case di Capo d’Argine furono occupate di sbalzo: Fossalta
viene riconquistata senza che si spari un colpo di moschetto: gli Arditi vi
si sono gettati a raffi che di bombe a mano, e poi a colpi di pugnale.13
Questi successi sono però effi meri: un nuovo contrattacco ne-mico, con tre direzioni diverse, non può essere contenuto a causa della mancanza di riserve e progressivamente le posizioni conquista-te devono essere abbandonate. Alle è perso Capo d’Argine e di conseguenza, poco più tardi, cedono anche le posizioni di Osteria e Fossalta.
La nuova linea del fronte, che passava per Losson-C. Sacerdoti-Scolo Palumbo, non dà però grandi garanzie di resistenza soprattut-to rispetto agli attacchi austriaci verso Losson, Pralungo e Zenson.
Le piene del Piave: 19 giugno
La mattina del giugno il Comando della a Armata dispone che il xxviii Corpo ritiri dalla prima linea la Divisione d’assalto A e allo stesso tempo si dedichi al riordinamento della a Divisione, in vista di una nuova operazione controff ensiva più vasta.
La fanteria italiana sul fronte di Fossalta, ad ogni modo, è aiutata dalle piene del Piave e dal continuo fuoco dell’artiglieria e dei veli-voli che tengono sotto controllo i posti di transito.
Durante la notte del il generale Zoppi, comandante della Di-visione d’assalto, notifi ca al Comando d’armata ed a quello del xxiii Corpo il suo proponimento di riprendere, in giornata, l’azione con-giuntamente alla brigata Sassari per riconquistare gli obiettivi a cui aveva forzatamente rinunciato la sera precedente. Il suo ordine di operazione prevede che si debba iniziare l’attacco alle : dopo una preparazione di artiglieria della durata di mezzora, un’avanguardia di arditi avrebbe aperto la strada alla brigata Sassari destinata al-l’occupazione del caposaldo di Capo d’Argine; un altro reparto di arditi avrebbe eseguito un’azione dimostrativa su Ronche-Fossalta, per richiamarvi almeno una parte delle riserve nemiche.
di qui non passeranno
L’attacco degli Arditi: 20 giugno
L’operazione, fatta comunque iniziare nonostante pericolose infi l-trazioni nemiche nei settori vicini, è coronata da successo: alle . vengono rioccupate Fossalta e Osteria, alle anche Capo d’Argine è conquistata.
Nel corso della mattinata anche la a Divisione, integrata nel frattempo dalle brigate Firenze e Roma, si lancia alla conquista di nuove posizioni, prima all’altezza di Scolo Palumbo* e poi anche oltre.
Gli austriaci cominciano a cedere, ma prima di ritirarsi vorreb-bero a tutti i costi allargare la vecchia testa di ponte tra Piave Vec-chia e Nuova – a sud di San Donà, che tenevano già da gennaio – estendendola fi no a includere Portegrandi-Meolo-Losson-Forna-ci-Ronche di Fossalta in vista di una futura avanzata. Fanno quindi di nuovo pressione nella zona circostante lo Scolo di Palumbo14, tuttavia fi no al giorno sono accanitamente contrastati dalle bri-gate Sassari e Bisagno supportate dall’arrivo del Settimo Lancieri di Milano utilizzato per ripulire le campagne e i fossi dalle infi ltrazioni nemiche fi no allo Scolo Palumbo.
Nella notte gli Arditi di Zoppi si ritirano dalla prima linea in quanto hanno assolto al loro compito mentre per gli austriaci falli-sce anche l’obiettivo di allargare la testa di ponte.
Intanto i giorni -- le brigate Sassari e Bisagno devono con-trastare gli ultimi disperati assalti austriaci sempre fra Capo d’Argi-ne e Scolo Palumbo.
La liberazione di Fossalta: 22 e 23 giugno
Il giugno il comando austriaco, preso atto del fallimento del-
* «Lungo lo Scolo Palumbo, da casa Levi a Ca’ Giudici, il Tenente Maresciallo Ur-barz rimanda in linea gli Schutzen della a Brigata rilevando la a Divisione e l’a Brigata, ormai logore. Invano la a Divisione austroungherese si accanisce contro casa Ninni. Lentamente il combattimento si spegne», in Baj-Macario, Giugno 1918, Corbaccio, Milano, , p. .
. I fatti militari (ottobre ’-giugno ’)
l’off ensiva, è costretto a diramare l’ordine di ritirata che però non riguarda tutta la linea del Piave, anche se alcuni punti devono es-sere mantenuti poiché rappresentano i capisaldi in grado di agevo-lare la ritirata dell’esercito. E fra questi c’è Fossalta, solo in parte occupato.
Gli Arditi e i reparti della brigata Bergamo, che avevano com-battuto nella zona fi no a quel giorno seguendo un piano elaborato sempre dal gen. Zoppi15, si riuniscono per incalzare il nemico e im-pedirgli di riattraversare il ponte: operazione parzialmente coronata da successo dopo la rioccupazione di Fossalta a partire dalla famosa Osteria*.
Il fulcro della battaglia trova il suo apice sulle rive del Piave a Campolongo, dove si combatte all’arma bianca, fi nchè il ponte non viene distrutto: i soldati austriaci vengono così tagliati fuori.
Fossalta è interamente libera alle ore del giugno. In sostanza l’andamento della battaglia conferma il profi lo gene-
rale tracciato da Rochat16:
Il fi ume in piena rappresentava un ostacolo diffi cile, gli austriaci do-
vevano prima traversarlo con barche e barconi, poi alimentare la loro
off ensiva su passerelle e ponti di barche; in compenso il sistema difensivo
italiano era meno forte e continuo che su un terreno normale. La batta-
glia (conosciuta anche come Battaglia del solstizio) ebbe caratteristiche
analoghe lungo tutto il corso del Piave: le truppe italiane ne difesero
male il passaggio e furono rapidamente sopraff atte, ma il successivo in-
tervento dell’artiglieria e dell’aviazione distrusse o danneggiò i ponti get-
tati dagli austriaci, la cui progressione si esaurì presto. Le riserve italiane
* «Verso le le nostre pattuglie escono, poi i grossi muovono e nel tardo pome-riggio tutta la sponda sinistra da Candelù a Fossalta è rioccupata senza contrasto. Vengono raccolti circa duemila sbandati. Dovunque raccapriccianti visioni di morte e di rovina. Più lento il defl usso del xxiii Corpo d’Armata austrounghe-rese davanti a San Donà. A Losson troviamo qualche pezzo nemico e fra i canali rastrelliamo un migliaio di prigionieri. Premuta da tre lati, sferzata dalla nostra artiglieria la retroguardia dell’agguerrito Corpo d’Armata del Generale Csicserics – il Corpo che doveva entrare in Venezia – perde terreno: sull’imbrunire uomini, gli ultimi, addossati all’argine del fi ume si arrendono», in Baj-Macario, Ibidem.
di qui non passeranno
affl uirono in buon numero e con suffi ciente tempestività, ma furono
impiegate a piccoli lotti e con molta confusione. Riuscirono comunque
a contenere gli austriaci, dopo alcuni giorni di viva preoccupazione, ma
non a impedire che si ritirassero in relativo buon ordine. Le posizioni
che costoro avevano mantenuto sulla destra del Piave vennero presto
riconquistate.
Dopo la battaglia
Dal giugno le brigate Avellino – o e o fanteria – e so-prattutto Ancona – o e o fanteria – si alternano al presidio del sistema di trincee Campolongo-ansa di Lampòl-borgata Ronche-Fossalta-ansa di Gonfo. In particolare a Fossalta, nella «casa del sin-daco» – un modesto rustico tra il cimitero e l’argine di San Marco – ha sede il comando del reggimento delle prime linee quindi anche del o fanteria.
La zona viene tenuta con qualche diffi coltà anche perché il lu-glio a San Donà, caduta la vecchia testa di ponte, gli austriaci, in-nervositi, intensifi cano la loro pressione mediante bombardamenti anche di luoghi precedentemente rispettati come i posti di medica-zione, fra cui quello di Pralongo che viene evacuato.
In realtà Fossalta dopo la «Battaglia del solstizio» assume una posi-zione interlocutoria: non è più luogo di signifi cativi combattimenti in quanto la guerra ha preso altre direzioni, favorevoli agli italiani, fi no alla battaglia della Sernaglia o di Vittorio Veneto.
. I fatti militari (ottobre ’-giugno ’)
note
Alba Bozzo, Fossalta, dal 131 a.C. alla battaglia del Piave, s.i.t., Treviso .
Alba Bozzo, cit., p. .
Don U. Modulo, Parrocchia di Fossalta di Piave, La Moderna, Lodi , p. .
Alba Bozzo, cit., p. .
Ministero della Difesa, Stato maggiore dell’esercito, Uffi cio storico, L’esercito italiano nella Grande Guerra (1915-1918), vol. V, Le operazioni del 1918, tomo , p. .
Ibidem, p. .
Per i movimenti austriaci ci si basa soprattutto su Gianni Baj-Macario, Giugno 1918, Corbaccio, Milano , p. e ss.
Baj-Macario, cit., p. e ss.
Uffi cio storico, L’esercito italiano nella Grande Guerra, cit., pp. -.
È possibile seguire i movimenti del xiii Reparto d’assalto a Fossalta nella sin-tesi, tratta dal Diario Storico del reparto, curata dal comandante dello stesso reparto, il maggiore di cavalleria Giorgio Moro Lin, e pubblicata in Giuseppe Cordenos, La fotografi a di guerra sul Piave, vol. I, Da Caposile a Ponte di Piave, le imprese dei decorati e degli Arditi, Gaspari, Udine , pp. -.
Uffi cio storico, L’esercito italiano nella Grande Guerra, cit., p. .
Baj-Macario, Giugno 1918, cit., pp. e ss.
Bollettino di guerra, giugno .
Succede lo stesso, intorno alle , a Losson, Ibidem.
Gianni Pieropan, 1914-1918 Storia della Grande Guerra sul fronte italiano, Mursia, Milano , p. .
Mario Isnenghi, Giorgio Rochat, La Grande Guerra 1914-1918, La Nuova Italia, Milano , p. .
Foto in apertura di capitolo: gli Arditi dopo l’azione del Basso Piave [pre-sumibilmente a Losson, N.d.R.]. Sono riconoscibili, oltre al caratteristico fez nero, perché ostentano pugnali sguainati e bombe a mano, tutti ele-menti distintivi dell’uniforme e del mito degli Arditi.
di qui non passeranno
Cap.
Il racconto ufficiale
I bollettini di guerra
I bollettini espongono la «rappresentazione uffi ciale» della guerra, che giunge dall’alto dei Comandi militari e che ha una funzione di narrazione accreditata, quindi rivolta più ai mezzi d’informazione e di conseguenza all’opinione pubblica che ai soldati, per i quali dopo Caporetto si utilizza il Servizio Propaganda con forme d’azione ben più incisive.
Quindi una rappresentazione uffi ciale dei fatti ad uso politico, viziata sin dall’origine rispetto all’andamento della guerra come di-mostra, fra gli altri studiosi, Rochat.
Signifi cativo esempio è il famoso proclama di Cadorna del ot-tobre, in cui il generale accusa di disfattismo parte dell’esercito: non un’analisi strategica della situazione, bensì una valutazione politica atta a proteggere il ruolo e la gestione della guerra e che avallerà in seguito le pesanti accuse rivolte alle truppe dalla stampa e dall’opi-nione pubblica.
Fossalta è presente nei bollettini di guerra del «Solstizio vittoriale» che riportiamo di seguito1:
giugno Sull’Altipiano di Asiago e sul Grappa il nemico, che nella
giornata del ha subito perdite ingenti, si è limitato ieri ad ostacolare
con forte reazione di fuoco la spinta controff ensiva delle truppe nostre
ed alleate, che tuttavia in più tratti hanno potuto conseguire parziali
successi e rettifi che di linea.
Lungo il Piave, invece la battaglia è continuata con estrema violenza.
L’avversario, senza guardare a perdite, ha proseguito la sua poderosa pres-
sione per estendere l’occupazione sul Montello ed aprirsi le vie alla pia-
nura. Le nostre truppe hanno impegnato fortemente il nemico sulla linea
Ciano-Cresta del Montello-Sant’Andrea: tengono fi eramente le loro po-
sizioni sul fi ume da Sant’Andrea a Fossalta e contrastano effi cacemente
l’avanzata all’avversario nella zona di fronte alle anse di San Donà. [...]
di qui non passeranno
giugno sera Sulla fronte montana e sul Montello il nemico non
ha nella giornata rinnovato attacchi di fanterie. Altre puntate di nostre
truppe sono felicemente riuscite. Si occuparono alcune posizioni, cattu-
rando mitragliatrici e qualche centinaio di prigionieri.
Importanti azioni si sono sviluppate a sud del Montello e lungo il Piave
nella zona tra Zenson e Fossalta, ma l’avversario fu ovunque arrestato
dai contrattacchi e lasciò nelle nostre mani parecchie centinaia di pri-
gionieri. [...]
giugno La violenza della battaglia, attenuata alquanto sulla fronte
montana va crescendo sul Piave. Nella giornata di ieri la Terza Armata
ha sostenuto il poderoso sforzo nemico con l’usato valore. Di fronte a
Maserada e a Candelù rinnovati tentativi di stabilire nuovi sbocchi sulla
destra del fi ume sono stati sanguinosamente respinti.
Da Fossalta a Capo Sile la lotta ha imperversato fi erissima e senza posa.
Formidabili attacchi nemici si sono alternati con nostri contrattacchi;
inizi di vigorosa avanzata sono stati frantumati dalla nostra resistenza
ed arrestati da nostre azioni controff ensive. La lotta ha sostato soltanto
a tarda notte. Le valorose truppe dell’Armata sono state strenuamente
provate, ma l’avversario non ha potuto aumentare la breve profondità
della fascia entro la quale da quattro giorni il combattimento imperver-
sa. prigionieri sono restati nelle nostre mani. Gli aviatori hanno
continuato a prodigarsi instancabilmente, intervenendo effi cacemente
nella battaglia sotto la pioggia dirotta. [...]
In questo bollettino, inoltre, merita “speciale menzione” la brigata di
Fanteria “Ferrara” (o e o) presente appunto a Fossalta.
giugno [...] Sul Piave la mattina di ieri fu calma, ma nel pomerig-
gio la battaglia divampò ancora furiosa. I nuovi tentativi nemici di passare
sulla riva destra da Sant’Andrea a Candelù furono tutti respinti. Sull’argine
del fi ume, fra Candelù e Fossalta, la strenua difesa dei nostri mise a dura
prova l’avversario, il cui impeto s’infranse di fronte all’incrollabile bravura
delle nostre fanterie. Egualmente intensa, ma su fronte più vasta, la lotta
imperversò nel settore Fossalta-sud-est di Meolo-Nord di Capo Sile.
L’avversario, incalzato da noi, si difese disperatamente e ad ogni passo il
terreno è stato teatro di epiche lotte, alle quali gli aeroplani nostri hanno
contribuito dal cielo, colpendo con Kg. . di proiettili e decine di
migliaia di colpi di mitragliatrice i vulnerabili bersagli delle truppe ne-
miche costrette in spazio angusto sulla destra del fi ume. [...]
. Il racconto uffi ciale
giugno [...] Nella zona ad occidente di San Donà l’avversario
tentò una forte azione contro Losson. Arrestato una prima volta dal no-
stro fuoco, rinnovò invano per ben quattro volte l’attacco, fi nchè esausto
dalle perdite eccezionalmente gravi subite, dové recedere di fronte all’in-
crollabile valore dei sardi della brigata “Sassari” (o e o) validamen-
te coadiuvati dal o battaglione del o fanteria brigata “Bisagno” e dal
o battaglione bersaglieri ciclisti.
giugno [...] Ieri l’avversario sferrò ancora un forte attacco locale
in direzione di Losson, ma venne sanguinosamente respinto. [...]
giugno Speciale citazione per la brigata “Avellino” (o, o).
«La Tradotta» e «La Domenica del Corriere»
Fossalta trova uno spazio anche su due giornali legati a fi lo doppio tra di loro: «La Tradotta» naturale appendice al fronte della «Do-menica del Corriere», espressione di «borghesia italiana, mondo moderato, patria liberale»2 che cercano di intrattenere il fante e dia-logare con lui avvalendosi dei talenti e delle pratiche comunicative disponibili.
Un nome su tutti: Arnaldo Fraccaroli che contemporaneamente tiene una rubrica sulla «Tradotta»* e scrive epici resoconti di bat-taglia per il «Corriere»3, citando Fossalta negli articoli dedicati alla Battaglia del solstizio.
La «Domenica del Corriere» fa parte di quella stampa della bor-ghesia, che include anche «Il Corriere dei Piccoli», atta a fornire al paese un’immagine “virtuosa” dei suoi soldati e quindi spesso non rispondente al vero, poiché lo scopo implicito è una determinazione a priori degli atteggiamenti interpretativi della popolazione lontana dal fronte.
In una delle tavole di Achille Beltrame pubblicata sulla «Domeni-ca del Corriere»4 gli austriaci vengono ritratti nel vano tentativo di mettere in acqua delle imbarcazioni per tentare il passaggio sull’altra riva, impossibilitati da raffi che di mitragliatrici italiane.
* È il settimanale della iii Armata, il primo numero esce il marzo , l’ulti-mo (a guerra fi nita) il ° luglio .
di qui non passeranno
Le illustrazioni di questo disegnatore si tengono sempre in sospe-so tra una visione stereotipata, e conforme alle attese di narrazione degli Italiani rispetto alla guerra, e una descrizione lucida, tesa alla realizzazione di puntuali binari interpretativi. In base a ciò ci sen-tiremmo di aff ermare che la tavola concernente Fossalta è realisti-ca nella rappresentazione, anche se non manca la pervasività di un mero intento propagandistico intenzionato ad accentuare le diffi -coltà del nemico.
Nella «Tradotta», spesso e volentieri prevale lo spirito goliardico e dissacratore, “popolano/popolare” oseremmo dire, con cui vengono illustrate le vicende belliche, un ideale contraltare allo spirito più serio che contraddistingue la «Domenica».
Per quanto riguarda Fossalta, nel n. del giugno appare una tavola del sottotenente Antonio intitolata Gli spettacoli pirotec-nici sul Piave; il merito dell’identifi cazione va al colpo d’occhio di Giovanni Cecchin:
Con mia sorpresa noto che quella medesima località è stata oggetto di
una tavola a colori del pittore Antonio Rubino*, Spettacoli pirotecnici sul Piave [...] Ci sono gli stessi elementi: il dedalo di trincee del Basso Piave,
il fi ume che “punta a elle” verso le linee italiane, il nido di mitragliatrici,
la spiaggetta. [...]5
* Nato il maggio a Sanremo (Imperia), Antonio Rubino inizia a colla-borare al «Giornalino della Domenica» nel e alla fi ne dell’anno successivo passa al «Corriere dei Piccoli», diventando in breve tempo uno dei più prolifi ci e importanti autori di questo popolarissimo settimanale, per il quale crea numerosi personaggi: da Quadratino a Viperetta, da Pino e Pina a Lola e Lalla. Durante la Prima guerra mondiale collabora assiduamente a «La Tradotta», una rivista de-stinata ai soldati, per la quale ha tra l’altro dato vita al caporale C. Piglio, sempre pronto a elargire consigli non richiesti a chiunque gli capiti a tiro, e all’eroico Muscolo Mattia. Nel passa al «Balilla», disegnando le favole di Esopo, due anni dopo fonda e dirige «Mondo Bambino» e nel inizia una lunga colla-borazione con la Mondadori, assumendo la direzione di «Topolino» dal al . In seguito si dedica all’animazione. Antonio Rubino è morto a Baiardo (Imperia) il primo luglio .
. Il racconto uffi ciale
La rappresentazione dei combattimenti a Fossalta si attesta su due registri diversi: epica una, ironica l’altra; entrambe però rilevano e sostanziano gli stessi elementi della vita di trincea in quel partico-lare settore in cui, più che i soldati è protagonista il «fi ume sacro», il Piave che pretende notevole spazio per sé, lo occupa e in un cer-to senso lo sublima dandogli alterazioni, ora tragiche ora comiche, rispettando occultamente i canoni della tragedia greca, secondo la quale tragico e comico sono solo le due facce di quel Giano bifronte che è la guerra.
note
«Bollettini di guerra del solstizio vittoriale (dal giugno al giugno – Pro-clama del re all’esercito vittorioso)», in Oreste Battistella (a cura di), Comme-morazione del VI annuale della battaglia del Montello, Soc. Anonima Longo e Zoppelli, Treviso , in Amerigo Manesso (a cura di), La Grande Guerra nel Trevigiano, Stamperia della Provincia di Treviso, Treviso .
Mario Isnenghi, Giorgio Rochat, cit., p. .
Mario Isnenghi, Giornali di trincea, Einaudi, Torino .
Numero del aprile- maggio , Centro di documentazione sul Monte Grappa – Biblioteca Comunale di Crespano del Grappa.
Giovanni Cecchin, Con Hemingway e Dos Passos sui campi di battaglia italiani della Grande Guerra, Mursia, Milano , p. .
Foto in apertura di capitolo: Gli spettacoli pirotecnici sul Piave, in «La Tra-dotta», n. 10, 6 giugno 1918.
di qui non passeranno
Cap.
I protagonisti
Ciò che sappiamo dei soldati è poco, pochissimo: la documen-tazione, sia pubblica – atti comunali e parrocchiali – che privata è andata quasi completamente distrutta; sorte diversa è toccata agli uffi ciali di complemento sui quali invece siamo ben informati.
Anche ciò che concerne Fossalta rientra nei paradigmi interpre-tativi fi n qui impostati secondo linee metodologiche di carattere più generale proposte da Mario Isnenghi e Antonio Gibelli; infatti dell’archivio della memoria più veracemente popolare restano sola-mente una lettera e una testimonianza raccolta in un’opera miscel-lanea, mentre dal versante più “alto” ci sono pervenuti una lettera e in più ben tre diari, scritti contemporaneamente alla guerra, quin-di nel suo “farsi”: quelli di Arrigo Pozzi, di Luigi Gasparotto, da me analizzato, e di don Giuseppe Bianchi. Sulla linea mediana vi è quello di monsignor Albino Schileo, un prete soldato, che si com-pone di scarne, se pur drammatiche, note che non ho analizzato nel dettaglio, rinviando a Cecchin che lo ha conosciuto direttamente riportando le testimonianze orali nel suo libro.
Due lettere a confronto: Giuseppe Roncola e Benedetto Panciera
Giuseppe Roncola è un soldato fossaltino del i Granatieri che ri-cevette una medaglia d’argento alla memoria con la seguente moti-vazione: «Caduto il portatore di una mitragliatrice nei tentativi di forzamento di un paese eseguiti avanzando in corsa e contempo-raneamente sparando, ne raccoglieva l’arma e continuava l’azione, cadendo pure esso fulminato dal piombo nemico. Caposile, luglio ».
Sua è l’unica lettera di un soldato fossaltino che abbiamo rin-venuto1, inviata alla madre il .. da Tivoli dove era stato assegnato in attesa del fronte:
di qui non passeranno
Tivoli li ..
Carissima mamma vengo con questa mia lettera per farti sapere che io
sto bene e così spero anche di te e tutta la famiglia.
Cara mamma mi scuserai se non tio mai scrito, tu mi ai deto nela tua
lettera che tu mi ai scrito che non staga pensare a casa ma se tu sapessi
quanto male che sista soto le armi pensarmi che a casa stavo molto bene.
Cara mamma pensarmi quando era che dicevo non vedo ora di andare a
militare, perché avevo poco giudizio. Pensarmi quando ero a casa quan-
do non avevo soldi venivo da te e invece qui da chi vado a soldi se non
mi mandate valtri.
Cara mama pensarmi quel giorno che sono partito io credeve di par-
tire allegro ma invece non sono stato buono. Ma sono stato per un po’
fi no alla stazione dopo mi sono trovato con altri due granatieri e me la
sono pasata molto bene. Cara mama ho fato un bel viagio che mi sono
divertito molto.
E dopo apena rivato lì mi sono trovato con Gildo [...] e siamo andati
fuori per Roma.
Cara mama ti facio sapere se qui non si a giudizio qui neo fa fare per
forza con le bote o con la prigione.
Cara mama fatemi sapere qualcosa di Parigi come si porta, fami sapere
qualcosa della signorina [...] come si porta con il suo caporale e poi fate-
mi sapere qualche bela novità.
Cara mama ti ricomando il mio vistito che non il vada tocato da nes-
suno e poi la bicicletta che non vada toccata.
Cara mama non mi resta che salutarti te e tutta la famiglia.
Sono il tuo fi lio
Giuseppe
Adio mile baci a te e li bambini che non pasa un giorno che menzio-
nino.
Da questa lettera, secondo le chiavi interpretative fornite da An-tonio Gibelli2, possiamo cogliere più di qualche spunto interessante, nonostante lo scrivente non sia ancora eff ettivamente calato nella realtà estraniante del fronte.
All’inizio il soldato Roncola cerca di rassicurare la madre, seguen-
. I protagonisti
do il canovaccio che prevede un esordio rassicurante («io sto bene») evitando di accrescere l’angoscia e i penosi tentativi della madre di avere sue notizie («tu mi ai deto nela tua lettera che tu mi ai scrito»); ben presto però emergono tutte le paure di Giuseppe che vanamen-te cerca di occultare.
La lettera si muove su due registri, diversi e insieme complemen-tari: infatti il soldato prima dà ragione alla madre che lo aveva av-vertito della durezza della vita sotto le armi; poi si sforza di sminuire la durezza della sua situazione accennando a come si sia divertito durante il viaggio, infi ne non rimane che un’ultima soff erta presa d’atto («cara mama ti facio sapere se qui non si a giudizio qui neo fa fare per forza con le bote o con la prigione»), stranamente sfuggita alla censura.
Confermato è anche l’attaccamento, quasi ossessivo, pur di sfug-gire all’alienazione cui è sottoposto, alle memorie della famiglia e della casa, tale da costituire una sorta di rifugio in una situazione del tutto precaria. Roncola chiede notizie di persone a lui care e accen-na a determinati oggetti che pur nella loro banalità conservano per lui un forte principio d’identità («cara mama ti ricomando il mio vistito che non il vada toccato da nessuno e poi la bicicletta che non vada tocata»).
A parziale contrapposizione, presentiamo la lettera del tenente fossaltino Benedetto Panciera inviata alla madre e alla sorella – pro-fughe a Modena – il giugno dal Grappa3.
È un testo fortemente intriso di patriottismo dove l’Austriaco è sentito come il nemico per eccellenza, verso il quale non si deve provare pietà alcuna in quanto invasore e profanatore della propria terra:
[...] restare alla nostra Terza Armata, specie per il fatto di essere nei
nostri Paesi, dove forse era più doloroso restare, ma dove anche l’odio
maggiormente alimentato ci avrebbe reso molto più soddisfacente lo
schiacciare la lurida Aquila a due teste.
Questo motivo, continuamente rimarcato nonché tenuto vivo nella memoria dello scrivente, indica come per i soldati ed uffi ciali originari dei territori occupati la guerra si caricasse di nuove e più
di qui non passeranno
veritiere motivazioni, quelle della difesa/liberazione del proprio ter-ritorio e anche della vendetta:
Il sibilo dei proiettili che, fi schiando, portano la distruzione e la morte
fra i nemici, mi rassomiglia e mi ricorda il grido di dolore vostro che
avete dovuto abbandonare i nostri focolari: mi ricorda il dolore dei no-
stri morti che vennero sconvolti nelle loro tombe dal fuoco e dall’artiglio
nemico, contenti ed orgogliosi di aver visto i loro fi gli alla riscossa, a
vendicare le loro donne, vogliono ora riposare in pace!
Va fuori, o ladro, questa è terra nostra... intangibile! Ti ricacceremo
nei tuoi nidi di gubo, nelle tue gelide città: ove prospera e vive il sangue
latino non c’è posto per il tedesco! Via!
E voialtri, madri e sorelle, assieme alle spose e alle fi glie, non accascia-
tevi! I vostri quassù vi difendono: ritornate tranquille alle vostre case
che ricostruiremo più belle, a imperituro ricordo della magnifi ca epopea
delle nostre terre.
Mi sono lasciato un po’ vincere dai miei pensieri: scusatemi! Forse vi ho
addolorato con i miei sentimenti perché avrò riaperto e messo a crudo
ferite vostre che, sacre, non potranno essere mai rimarginate.
Con notevole lucidità il tenente Panciera considera la zona del Piave e del Grappa come ultimo baluardo («forse sento che quassù è più forte la minaccia nemica e che questo è il punto dove dobbiamo arrestare l’ingordigia asburghese») e soprattutto rileva il signifi ca-to della guerra dopo Caporetto come portatrice di unità nazionale nella comunanza di intenti, in cui anche la Chiesa assurge a prota-gonista:
Laggiù – nei nostri paesi – da un alto platano, dove arrampicatomi
piantai un osservatorio, rividi Fossalta. Aveva la fi sionomia lacera, ma
sacra, di tutti i paesi martiri della guerra: più alta di tutti e meglio visibile
la Chiesa dove maggiormente si è sempre accanita la rabbia austriaca:
laggiù, come quassù contro la Cappella del Grappa, come vicino a me,
dove, in questi giorni, la piccola Chiesa di un paese montano. Iddio,
giustamente, ci ha chiamati ad eseguire la Sua vendetta: e bene hanno
fatto i suoi sacerdoti a ringraziarLo della vittoria nelle Sue Chiese in Pa-
tria. Gradita a tutti, e in special modo a noi che abbiamo le nostre case
. I protagonisti
dove maggiormente arde la battaglia, è riuscito il Te Deum che a Treviso
venne cantato in Duomo*. È stata forse la prima volta che i nostri animi
si sono tenuti veramente uniti a quelli del Paese: sempre siamo stati cer-
ti del Vostro appoggio per quello che facevamo quassù: ma ora questo
appoggio tutto si è unito in tutta la Nazione ed è stato consacrato sugli
altari. È ormai in noi, in tutta la sua eloquenza, la certezza che combat-
tiamo per una causa giusta e sacra e sopportiamo meglio i nostri disagi
e la nostra vita è più tranquilla! Come la Nazione ha sentito impulsivo
di esprimere la sua doverosa ammirazione all’esercito, così l’esercito si
è rivolto felice verso la sua Patria e orgoglioso e contento ha gridato
«aiutateci... di qua non passano! Siateci, sempre come ora, strettamente
uniti e vinceremo».
Vi è anche un accenno ai soldati, forse con toni troppo ideali-stici:
[...] non siamo uffi ciali e soldati, siamo tutti uguali. [...] unica loro
soddisfazione [dei soldati, N.d.R.] il compiacimento di noi, uffi ciali, per
il servizio prestato.
Anche la descrizione dei combattimenti a Fossalta del giugno è intrisa di toni aulici e di motivazioni di carattere personale dello scrivente:
Quella giornata – il giugno – che resterà forse una delle più belle
giornate della nostra guerra perché consacrò il Piave, il nostro Piave,
baluardo che proibì al «barbaro» di calpestare più oltre il suolo sacro
della Patria; resterà indimenticabile pure nel libro nero delle sconfi tte
dell’Austriaco. Quante legnate!... Ma quante!... In qualunque posto vo-
lesse correre ai ripari, sempre trovava prima i nostri meravigliosi fanti,
eroicamente coadiuvati dalle nostre magnifi che mitragliatrici, che dava-
no gli ultimi colpi di grazia. Rastrellavano le pattuglie che non consce
di battere non contro l’esercito di Caporetto, ma contro il migliorato
esercito della nostra Patria Latina, testardamente voleva far fronte al loro
* Si parla del giugno , come si evince in Giovanni Brotto, Il Vescovo del Montello e del Piave, Editrice Trevigiana, Treviso , p. .
di qui non passeranno
impeto vittorioso. Maggiormente si accanivano proprio all’altezza di
Capo d’Argine: non volevano abbandonare le nostre terre, speranzosi di
raccogliere il promettente raccolto. Ah!... no cari miei... Quello è pane
delle nostre famiglie: non potrà mai soddisfare le vostre immonde fauci
insoddisfatte. A voi vi regaliamo il piombo: niente perde l’umanità se
scomparite voi, brutti esemplari di una peggiore razza!
Glorie e miserie della Trincea
Glorie e miserie della Trincea 4 viene presentato dal suo stesso auto-re come un diario di guerra, quasi il suo testamento «convinto che un giorno o l’altro sarei morto»5. In realtà l’anonimo, uffi ciale degli Arditi, sopravvisse alla guerra e, dimessa la divisa, dopo essere stato mandato a reprimere i moti dei «comunisti» a Roma nel quartiere di San Lorenzo, divenne un sostenitore del movimento fascista nel 6.
Un intero capitolo delle sue memorie è dedicato all’azione del suo reparto a Fossalta, interessante per la descrizione vivida dei combat-timenti e anche per la fi losofi a di quella singolare fi gura di soldato che era l’ardito:
sul piave – giugno La prima divisione d’assalto alla quale
appartenevo era costituita da tre gruppi di due reparti ciascuno e precisa-
mente x-xx, xii-xiii, viii-xxii e del o gruppo d’artiglieria da montagna
che aveva il compito tattico di coprire la nostra avanzata.
Le armi speciali, come i lanciabombe, i lanciafi amme e le mitragliatrici
pistola, facevano parte organica di ogni reparto d’assalto.
Questa divisione forte di pugnali, venne impiegata per la prima
volta come unità dal al giugno , al comando del Generale
Zoppi, magnifi ca fi gura di ardito dal berretto sulle ventitré che infonde-
va nell’animo di noi tutti il senso del moto.
In quelle giornate la divisione ebbe il compito di assalire il saliente
dell’esercito austriaco che era riuscito a passare il Piave al Montello ed a
Fossalta, di distruggere le teste di ponte e ributtare nel fi ume il nemico.
Compito diffi cile contro avversari disperati dal nostro attacco e senza
via di scampo. Erano stati interrotti tutti i ponti alle spalle del nemico,
. I protagonisti
dal tiro delle nostre artiglierie e dalla corrente del fi ume ingrossatosi per
la pioggia.
Fin dal giugno avevamo ricevuto l’ordine di tenerci pronti a partire,
perché il nemico aveva iniziato un furioso bombardamento sulle nostre
linee del Piave ed era imminente l’attacco.
Bisognava che gli austriaci passassero perché fosse necessario il nostro
intervento; noi non eravamo ancora preparati a intraprendere l’off ensiva
oltre il fi ume.
Venite pure!.. Questo era il recondito desiderio di ogni ardito. Se il
nemico non fosse venuto al di qua dal fi ume, noi saremmo rimasti...
buoni per un’altra volta.
Passò in due punti; penetrò per alcuni kilometri nelle nostre linee e si
ebbe quello che si meritava.
In questa azione morirono due persone a me tanto care: il capitano
d’artiglieria da campagna Tombolan Fava, mio ex collega del o artiglie-
ria da campagna ed un mio compagno, il tenente degli arditi Albertini
Giuseppe, entrambi medaglia d’oro.
Questo è il bollettino del Comando Supremo che in data giugno
, fa la storia del combattimento del giugno.
«Sul Piave la mattina di ieri fu calma, ma nel pomeriggio la battaglia
divampò ancora furiosa... Sull’argine del fi ume, fra Candelù e Fossalta,
la strenua difesa dei nostri mise a dura prova l’avversario, il cui impeto si
infranse di fronte all’incrollabile bravura delle nostre fanterie.
Egualmente intensa, ma su fronte più vasta, la lotta imperversò nel
settore Fossalta. L’avversario, incalzato da noi, si difese disperatamente, e
ad ogni passo il terreno è stato teatro di epiche lotte. Le truppe nemiche
sono costrette in spazio angusto sulla destra del fi ume...»
Io che ho avuta la ventura di viverlo, desidero che il lettore conosca
qualche particolare di quello che fu il teatro di epiche lotte.
Le due brigate, la Sassari e la Bisagno erano uscite dai combattimenti
del e giugno decimate dai furiosi contrattachi contro il nemico
che aveva passato il fi ume e la Prima Divisione d’Assalto ebbe il compito
di sostituirle. L’ordine fu di contrattaccare in direzione di Fossalta con
uno schieramento parallelo al fi ume.
Per questo attacco ogni ardito ebbe una dotazione di petardi in
luogo dei come al solito: nel tascone, nel tascapane. I soldati
per nessun motivo potevano usare i moschetti: solo il pugnale nei corpo
di qui non passeranno
a corpo e le bombe a mano a distanza. Le altre armi da usarsi oltre i dieci
metri erano state abolite.
«Gli austriaci a portata di pugnale» era l’ordine tassativo ed era la posta
degli arditi.
Verso mezzogiorno del giugno raggiungemmo con gli autocarri il tea-
tro dell’impresa per la camionabile Roncade-Monastier, Fossalta di Piave.
Balzare a terra e buttarsi in ordine sparso verso il Piave, ogni uffi ciale
coi propri uomini, fu cosa di un attimo.
Uno strano presentimento di morire mi prese l’animo al vedere i re-
sti di due brigate che tornavano verso le retrovie e che andavamo man
mano sostituendo.
Non vi erano trincee da cercare e da prendere in consegna; ogni drap-
pello lasciava il nemico che gli stava di fronte in ordine sparso, senza
trincee, senza una continua linea di possesso.
La difesa del nemico era costituita da tanti capisaldi, tenuti ognuno da
cinque o sei mitragliatrici. Di solito erano piazzate a ventaglio e dietro
di esse, scaglionati in profondità, plotoni di fucilieri, di lanciabombe e
soldati porta munizioni.
Il mio reparto investì come primo obiettivo le case di Osteria di Fos-
salta mentre il reparto gemello attaccava il paese di Capo d’Argine, par-
tendo da Losson.
Percorsi metri, col cuore in gola, alla testa dei miei arditi che sem-
bravano più nervosi del solito. Forse erano stati emozionati alla vista dei
superstiti della Sassari che venivano indietro tentennando il capo come
se contro il nemico non vi fosse più nulla da tentare.
Truppe di quella fama che tornavano disperate dalla resistenza opposta
dal nemico, non era il più bell’augurio.
Incappai subito in un nido di mitragliatrici che apri il fuoco sul nostro
fi anco con sei armi. Vidi cadere le prime coppie e sparpagliarsi il mio
plotone come soffi ato dal vento.
Chi si buttava a terra, chi tentava di impugnare il moschetto, chi ten-
tava di buttarsi contro le mitragliatrici.
Mi buttai più per istinto che per ragionamento dietro un grosso gelso e
tentai di farmi sottile il più possibile per non essere colpito dalle raffi che
di una mitragliatrice che aveva preso di mira il mio posto.
Vedevo saltare sbriciolata la scorza della pianta all’altezza delle mie gi-
nocchia e urlavo parole inutili ai miei uomini.
. I protagonisti
Fra le tante dette devo anche aver comandato il lancio di petardi ad al-
cuni uomini che erano sdraiati a terra a pochi metri dalle mitragliatrici.
Vidi alcuni Th evenot cadere vicino ai nemici che sparavano; il tiro
difatti si fece meno preciso poi confuso.
Approfi ttai di quell’attimo per saltare tre metri avanti dietro un’altra
pianta.
Ripetei due o tre volte questi sbalzi, fi nché fui a dieci metri dai mitra-
glieri austriaci.
Gridai un potente e disperato: «A noi!» E tutti i miei arditi balzarono
in piedi o uscirono dai loro nascondigli. In un baleno fummo sopra il
nemico, lo investimmo con una gragnuola di petardi, seguita da una
violenta mischia a pugnalate, fi nché un mitragliere nemico fu in piedi.
Contemporaneamente un terribile vociare si innalzò al cielo sulla destra
avanti. Due plotoni del mio reparto erano stati assaliti alle spalle da una
dozzina di mitragliatrici leggere che sparavano protette dai cespugli.
Senza un comando, senza un gesto, i miei uomini si precipitarono ad-
dosso al nemico che venne a trovarsi preso fra due lanciatori di petardi.
Anche qui seguì una tremenda zuff a col pugnale ed ogni mitragliere
venne crivellato dai colpi di quattro arditi.
Io assallii col mio sergente un mitragliere che in ginocchio tentava di
disincagliare la sua arma inceppata.
Lo colpii sulla faccia col manico del pugnale perché si arrendesse, ma
non volle saperne.
Ripetei il colpo con più violenza tanto che lo feci sanguinare dalla boc-
ca; ma egli per tutta risposta accese una grossa bomba a mano.
Col sergente mi buttai a terra a tre metri dall’austriaco per evitare gli
eff etti dello scoppio e poi nel fumo che ancora avvolgeva l’avversario
tentai di assalirlo e fi nirlo a pugnalate.
Mi accorsi che era già morto dilaniato dalla sua bomba: egli giaceva
bocconi sopra la sua mitragliatrice. «Avevano ragione quelli della Sassa-
ri» commentò il mio uomo. Veniamo di nuovo assaliti da una sezione di
mitraglieri che è uscita da una siepe.
Un susseguirsi di vociare «A noi!» rompe il canto delle mitragliatrici;
ora siamo tre plotoni mescolati, due giovani uffi ciali comandano gli altri
due; mi metto a capo di tutti e diamo l’assalto alle prime case in località
Osteria.
Da ogni fi nestra del pian terreno e dagli angoli delle case provengono
di qui non passeranno
raffi che intermittenti di mitragliatrici ed ogni tanto mezzo elmetto e
mezza faccia si vede spuntare dai vari nascondigli.
Ci disponiamo a semicherchio e via di corsa.
Cadono alcuni arditi mentre una pioggia intensa di petardi fumogeni
investe l’abitato.
I primi che raggiungono l’obiettivo ricevono nella schiena le bombe dei
compagni: la situazione è assai critica e grido: «Solo pugnale, a noi!».
Accerchiamo tre case semi diroccate e parecchie coppie vi si buttano
dentro, la lotta dura pochi minuti: scoppi di bombe misti a spari di
mauser, qualche urlo... poi un silenzio tragico. Il gruppo di case è pulito.
Andiamo avanti riforniti di altre bombe: ormai la scorta di petardi
per ogni ardito è terminata.
La nostra artiglieria verso le ore iniziò un violento tiro sui ponti del
Piave. Sulla mia destra infuriavano numerosissimi piccoli combattimenti
isolati, che fi nivano subito come tante risse di bassifondi: un crepitar di
mitragliatrici, quattro fucilate, quattro bombe, delle urla... poi silenzio.
Approfi ttai di un momento di sosta, intorno le mitragliatrici tacevano,
riunii i miei uomini dietro una casa e presi accordi coi due colleghi.
Alcuni plotoni del mio reparto erano già entrati nel paese di Fossalta e
stavano facendo quello che noi avevamo già compiuto a Osteria.
Decisi allora di tentare una carta grossa; sapevo che il Piave fa un’ansa
verso Fossalta e che dopo le case di questo paese con un balzo di
metri si può arrivare al fi ume.
Mi trovavo coi miei uomini a quattrocento metri dal paese sulla destra;
decisi di attaccare puntando verso il fi ume, da sud a nord.
Ci disponiamo in ordine sparso e via a sbalzi. Fatti pochi passi incap-
piamo in un posto nemico. Maledizione! Un altro nido di mitragliatrici
appostato vicino ai pezzi di una batteria da campagna. Siamo molto ner-
vosi, eccitatissimi e decidiamo senz’altro l’attacco frontale, sparpagliati
su un fronte di duecento metri.
Questa volta usiamo la nostra tattica: avanziamo dietro la cortina di fumo
degli scoppi dei nostri petardi ed in pochi minuti siamo sul nemico.
Evito non so come una baionettata che mi vien diretta al ventre. L’au-
striaco sbaglia un secondo colpo e pianta la baionetta in terra tra le mie
gambe... cade ai miei piedi e lo liquido, vibrandogli un paio di pugnalate
nei fi anchi.
Inorridisco del mio gesto e gli lascio il pugnale nelle reni e vado oltre.
. I protagonisti
Due arditi mi vengono incontro raggianti e mi gridano: «Tenente, fuo-
ri i biglietti da mille: quattro bei cannoni sono qui. Li abbiamo presi».
Proseguo alcuni metri con loro e vedo una batteria da campagna...
alcuni nostri artiglieri morti stanno vicino ai cannoni.
Gli austriaci avevano già voltato i pezzi verso di noi, ma evidentemente
non avevano saputo usarli perché gli otturatori erano ancora imbrattati
di terra.
«Niente da fare, dico, cannoni nostri, niente conquista, andiamo avan-
ti». Restano un po’ male. Riprendiamo l’avanzata fi no al fi ume.
Qui è stato quasi un giochetto perché il nemico non disponeva di mi-
tragliatrici. Ci accolse con un nutrito fuoco di fucileria e con alcune
bombe a mano, ma venne presto ridotto al silenzio.
Quasi tutto il reparto giunse con noi al fi ume: attaccammo in massa
come se si trattasse di esercitazioni al campo.
Qui facemmo parecchi prigionieri, perché all’apparire degli arditi nelle
trincee, già nostre, il nemico alzò le mani; una dozzina si buttarono nel
fi ume per tentar la fuga, ma aff ogarono.
Non è possibile tener la bocca chiusa e nuotare in simili occasioni. Chi
si butta in acqua annega.
Verso le cinque di sera venne la fanteria e prese in consegna l’argine del
fi ume raggiunto.
Alle diciotto, dopo aver raccolto una cinquantina di mitragliatrici ne-
miche, ci riunimmo per l’appello a Meolo.
Ottanta morti e duecento feriti, furono le perdite del mio reparto, in
quel pomeriggio di lotta accanita.
Venne distribuito il doppio rancio e mezzo litro di vino a testa... poi
andammo a dormire nelle cascine dell’abitato di Meolo.
Un’ulteriore fonte sull’operato degli arditi nella zona è l’opera di Salvatore Farina, recentemente riedita7, che dà un’esposizione più organica dei fatti8.
Diario di un fante
Il diario di Luigi Gasparotto9 (Sacile -Roccolo di Cantello ) è pregno di una singolarità derivante dallo status del suo au-
di qui non passeranno
tore: fi gura di soldato-deputato volontario, interventista senza es-sere nazionalista, attento fi n dalle prime battute della guerra alla fi gura del «fante» di cui indaga il «morale» in largo anticipo rispetto al dopo-Caporetto e all’Uffi cio Propaganda10.
Il testo attraversa temporalmente tutta la guerra, dal Carso a Ca-poretto, dal Piave a Vittorio Veneto anche se inspiegabilmente man-ca l’anno , a causa forse dell’infi ttirsi dei contemporanei impe-gni parlamentari dell’autore. Prezioso dal punto di vista militare e anche letterario, questo diario acquista ulteriore importanza grazie alle frequenti considerazioni sui sentimenti sia dei soldati che della popolazione, modellandole sulla descrizione dei paesaggi circostanti che stanno quasi a simboleggiare le varie fasi della guerra. Inoltre, come viene spiegato nell’introduzione,
[...] il diario di Luigi Gasparotto* non va considerato soltanto come
espressione, pur effi cacissima, della memorialistica di guerra, poiché la
statura politica e personale dell’autore gli permette di avere una posizio-
ne aperta e consapevole delle vicende di cui è protagonista. Gasparotto
non si lascia trascinare dagli eventi, pur così terribili, della Grande Guer-
ra, ma riesce a mantenere uno sguardo criticamente lucido e cerca di va-
lutare ogni situazione, pesandone le dinamiche e le possibili evoluzioni.
Dopo Caporetto egli si off re volontario per una seconda volta, prima viene assegnato come sottotenente al o Reggimento Fan-teria e poi come tenente addetto al comando della iii Armata.
Il primo accenno a Fossalta è datato novembre , quando cioè comincia la preparazione della linea di resistenza e si prendono le posizioni sugli argini del Piave:
La linea di Fossalta è tenuta dalla brigata Catania; le mitragliatrici sono
* Eletto per la prima volta deputato nel , fu presidente della Camera nel ’, ministro sia del Regno (-) che della Repubblica (- e come primo ministro della Difesa della storia italiana); rifugiatosi in Svizzera a causa del suo antifascismo nel ’, negli ultimi anni di vita politica fu consultore e deputato alla Costituente e dal al senatore di diritto per il Partito della democrazia del lavoro.
. I protagonisti
state portate oltre l’argine, sino all’acqua. Fra i canneti, sotto il tiro delle
artiglierie, gli zappatori stendono reticolati, allineano cavalli di Frisia. Si
grida per ostentazione «Viva l’Italia», di fronte al nemico, che da stama-
ne ha collocato i suoi “cecchini”. Ma i soldati questa notte hanno sentito
arrivare dall’altra sponda grida di donne e pianti di fanciulli, e ne sono
sdegnati. Kobylinsky comincia a intenerirsi. «Di qui non passeranno»,
dice il maggiore Saracco del o fanteria. Arriva la prima granata sulla
chiesa. Incomincia la fi ne di Fossalta. Si inizia così la distruzione di que-
sta superba terra veneta, tanto diversa dal Carso, tutta percorsa da fi umi
e da rivi, da rogge e da “tagli”, da brendelle e da bottenighe; la terra
classica della Piave Vecchia, della Piave Nuova e della Piavesella; del Sile
e del Siletto, dove ogni zolla è bagnata di sudore, dove ogni fi ume e ogni
canale ha la sua lunga storia di lutti e di vittorie.11
Come si vede Gasparotto predice la distruzione di Fossalta e si soff erma a lungo sulla dolcezza del paesaggio circostante contrap-ponendolo alle asprezze del Carso, anch’esso testimone degli orrori della guerra.
Essendo addetto al comando della iii Armata, l’autore ha modo di girare in lungo e largo la zona circostante, da San Donà a Musile e soprattutto Zenson; sulle pagine del suo diario Fossalta ritorna in maniera diretta il maggio , quando la situazione militare si è ormai assestata e le truppe fi no a giugno vivono un periodo di relativa calma. L’autore ha così modo di raccontare episodi della vita quotidiana della truppa e della popolazione locale.
Riportiamo l’interessante narrazione di un episodio di incoraggia-mento alla diserzione di un uffi ciale ceco:
maggio Il fronte di Fossalta è tenuto dalla brigata Avellino, che
sorveglia le due anse di Gonfo e Lampòl. Al comando del o, alla casa
del sindaco, ci sono due uffi ciali giornalisti, Tondi e Cristiani. Fossalta è
squallida, il campanile è a terra, ma sulla facciata delle scuole elementari
si legge ancora: «Educa e spera».
Intanto, il nemico spara. Sull’argine ci sono oggi gli czechi che tentano,
attraverso il Piave, gli approcci con un uffi ciale di Praga che è disposto
a disertare. Ma di giorno la fuga è impossibile. Tre uffi ciali legionari,
Rodolfo Sàrek studente in legge, di Ostrava, già condannato a morte, il
di qui non passeranno
dottore Vittorio Ettel, di Praga, e Nosàl Cyrill, di Tèsice, sperano di por-
tar a compimento l’operazione questa notte. Intanto, si percorrono gli
argini, si scende ai piccoli posti e si canta. Cioè, loro cantano le canzoni
boeme e noi canticchiamo. Di tratto in tratto le vedette fanno cenni. Ci
sono degli austriaci e con la mano ne indicano la direzione. Fra gli op-
posti gesti, fra le opposte parole, il Piave passa rapido e torbido, sostando
nelle anse tortuose. È toccante questo sforzo di cuori fratelli che fanno
arco sopra l’acqua che li divide, per congiungersi in un comune dolore,
in un’unica speranza. Il sole incombe sull’una e sull’altra sponda, incolte
entrambe e rosse di papaveri. Frattanto il nemico, per mezzo di pallonci-
ni, lancia dei numeri dell’«Elmetto», nel quale si esaltano gli eff etti della
campagna di sommergibili. Anche i polacchi che si trovano al di là, verso
l’ansa di Gonfo, accettano di parlamentare, ma non sanno decidersi.
Finalmente un uffi ciale boemo lancia una parola: «A mezzanotte».
Mezzanotte. È il plenilunio. Si tenta dapprima la caccia nell’ansa di
Gonfo. Di qua ci sono i nostri czechi col tenente Ettel, di là ci sono i
polacchi. Si parla lungamente, ma i polacchi sono esitanti. [...] Si passa
all’ansa di Lampòl dove le cose procedono diversamente. [...]12
Questo brano non solo ricrea in modo suggestivo l’atmosfera sul fronte di Fossalta, ma è anche una decisiva testimonianza del pen-siero di Gasparotto, che aveva compreso come uno dei punti deboli dell’Austria-Ungheria fosse la coesistenza di più popoli tutti tesi a difendere le proprie nazionalità, un punto di cui i soldati italiani dovevano approfi ttare per incoraggiare le diserzioni.
Qui di seguito riportiamo una lunga descrizione di furiosi com-battimenti, siamo in piena Battaglia del solstizio e a Fossalta si guer-reggia aspramente:
l’ansa di lampòl, giugno [...] Anche oggi la brigata Avellino è alle
prese col nemico. Ha già la sua pagina caratteristica, scritta col sangue,
nella bruciata ansa di Lampòl. La sera del giugno la corda dell’ansa, a
nord di Fossalta, era tenuta dal secondo battaglione del o comandato
dal maggiore Savardo, quando a mezzanotte fu dato l’annunzio che pri-
ma dell’alba il nemico avrebbe attaccato. Alle tre del scoppiettarono
le mitragliatrici e all’alba il sole non apparve, perché tutto il terreno e
il cielo, fi no a una certa altezza, sbiadivano in una fi tta nebbia, che solo
. I protagonisti
dopo si apprese che era artifi ciale; ondate lacrimogene obbligarono tutti
a ricorrere all’impaccio delle maschere. Mentre davanti, sulla prima linea
e ai fi anchi, si combatteva, la corda, lacerata dalle bombarde, venne sal-
damente tenuta per tutto il giorno, senza che un palmo di terreno fosse
ceduto. Il primo e secondo battaglione del o riescono a tenere le mi-
tragliatrici sul ciglio del fi ume per tutto il giorno . Ma a mezzogiorno
del , folte schiere nemiche sbucavano dalla destra, dopo aver rotto il
dronte del o fanteria, verso Fossalta, e il secondo battaglione del o
dovette spostarsi per difendere il caposaldo delle Ronche. [...] Tutto ieri
nell’ansa di Lampòl infi eriva la battaglia; vi sono anche i fanti dell’eroica
«Ferrara», col maggiore Meneghini. I nostri, ormai prigionieri in mezzo
alle fi le nemiche, rifi utano di arrendersi. Si sa che un centinaio di uo-
mini si sono barricati fra le rovine di casa Rossetto, altri tengono casa
Musuruanna; ma in questo momento si ignora la sorte di questa falange
di prodi. È certo che è abbandonata a se stessa, senza vettovaglie e senza
possibilità di soccorsi. La brigata Avellino sbarrò così il passo al nemico
che, secondo l’orario di Boroevic, per le del doveva essere a Meolo,
stamane una ventina di soldati, caduti ieri prigionieri, riuscirono a fuggi-
re e si aff rettarono a correre al comando della brigata ad annunciare che
questa notte altri tenteranno di evadere, perché nessuno vuole rimanere
in mano dell’austriaco. [...] Quanti eroismi! Ma i tre comandanti di bat-
taglione del o sono già tutti caduti, e morti sono pure i due uffi ciali
di collegamento della brigata.
brigata avellino Sulla via di Fossalta, al Pralongo, a casa Scrinzi, c’è
il colonnello Pau del o, Cristiani e Manfredonia: a poche centinaia
di metri, il nemico sferra un attacco sullo Scolo Palumbo. Lo spazio che
divide casa Scrinzi dallo Scolo è sotto il fuoco; i rincalzi scavano buche
per ripararsi dalle pallottole. [...] Non sono giorni di chiacchiere, que-
sti. L’aria è tutta un sibilo, un fi schio un fremito; ma sul margine dello
Scolo Palumbo i soldati rispondono al nemico con la calma dei forti*. Il
capitano Cecchi mi dice: «Come non vincere con questi soldati?». [...] E
che avviene nell’ansa di Lampòl? Si dice che, ancora oggi, a mezzogior-
* Si vede ancora come per il Gasparotto la cosa più importante sia sempre il mora-le delle truppe, in primo luogo del fante, che egli vede come il vero protagonista della guerra.
di qui non passeranno
no, due mitragliatrici e una cinquantina di fanti si difendessero dispe-
ratamente a casa Rossetto sud. [...] Giunge notizia che gli arditi hanno
ripreso Fossalta e la tengono.13
Arriviamo così al giugno, giorno della vittoria e della defi nitiva liberazione di Fossalta: qui Gasparotto annota solo l’arrivo del o e o reggimento fanteria mentre per il giorno successivo, il giu-gno, si limita a una breve ma intensa annotazione:
Anche il viale alberato di Fossalta è semidistrutto: distrutta la bella
piazza del paese. Ma sugli avanzi delle scuole restano ancora le parole:
«Educa e spera»; il programma di domani.14
A metà settembre, la situazione è completamente cambiata: ades-so sono i soldati italiani che hanno l’iniziativa e cercano di attraver-sare il Piave.
settembre Mezzanotte, sulla strada di Biancade. Passano autocarri
a velocità sfrenata, con soldati che cantano. Si ferma l’ultimo.
«Alto là, dove andate?»
«Siamo arditi; andiamo a fare l’azione.»
«C’è l’uffi ciale?»
«C’è padre Giuliani, che dorme.»
Si sveglia padre Giuliani, il cappellano del xxviii reparto d’assalto. Si
deve passare il Piave, stanotte. Ormai le gite oltre Piave, per alimentare
lo spirito aggressivo degli arditi, sono venute di moda. Allo sbarramento
di Fossalta, le sentinelle si oppongono al passaggio, perché nessuno di
noi conosce la parola d’ordine. Poiché si protesta, il sergente domanda:
«Ma chi sono, loro?». Si risponde, accennando a Simoni: «Il tenente è
direttore della “Tradotta”». «Ah, il giornale che fa ridere i soldati! Allora
li faccio passare! La parola d’ordine è Lugo». Si arriva all’ansa di Lampòl
sotto un cielo che è tutto un ridere di stelle. Corrono tra le due spon-
de lampi di rifl ettori, razzi, bombarde, fucilate. Una colonna di arditi
scenderà in acqua a Lampòl, un’altra a Gonfo; dovranno incontrarsi al
di là. [...]15
L’ultimissimo riferimento a Fossalta è datato ottobre, poco
. I protagonisti
prima della battaglia di Vittorio Veneto o della Sernaglia, come la chiama l’autore:
A Losson è straripato lo Scolo Palumbo, a Capo d’Argine stagna l’ac-
qua nei campi; il nemico tira rabbiosamente su Fossalta.16
Don Giuseppe Bianchi
Trovo tracce di questo tenente-cappellano* (del o e, interinal-mente, del o fanteria), amico di Hemingway, nello studio di Gio-vanni Cecchin e leggo con curiosità del suo diario, a cui lo stes-so scrittore statunitense attinse notevolmente per il suo Addio alle armi, ad esempio per la vivida – seppure romanzata – descrizione della ritirata di Caporetto.
Constatato che trascorse gli ultimi anni della sua vita nell’abbazia di Monte Oliveto Maggiore di Asciano (Siena), approdo anch’io in questo luogo suggestivo dove ho modo, grazie alla gentilezza di don Roberto Donghi, di consultare il suo registro delle Messe e diario.
Nelle pagine dove don Bianchi annota i suoi spostamenti lungo il fronte, traspare la sua forte fede e, quasi conseguentemente, le sue salde aspirazioni pacifi ste, anche se mai arriva ad una recisa condan-na della guerra che sta combattendo.
Vi sono solo due riferimenti diretti a Fossalta: uno fugace del novembre ; l’altro, più corposo, che può essere letto come una indiretta testimonianza di come infl uisse sul morale dei soldati e dello stesso cappellano militare la “qualità” di chi li comandava:
Il tenente colonnello Gario (perfi do uomo) faceva togliere il comando
[del ° fanteria, N.d.R.] al buon colonnello Soria. Alla chiesa di Va-
glio [in realtà Vallio, N.d.R.] si costituisce il comando del Reggimento
e vengono in quei giorni complementi. Il [giugno] si parte per
mettere il comando a Pralongo-Casa Scrinzi. Il ii battaglione va in linea,
il primo si accampa vicino al comando stesso e il iii a S. Pietro Novello.
* Nominato tale con un telegramma del Ministero della Guerra del marzo e assegnato il aprile dal Vescovo Castrense al ° fanteria.
di qui non passeranno
Il col. Gario fa fare molti insensati tentativi e fi nalmente viene sbalzato
dall’egregio e valente col. Cravero Giulio Cesare di Roma che ha anni
e decorazioni. Come per incanto quest’uomo militare rialza le sorti
del reggimento e fa risplendere tanto il suo valore che con lui verrà a
riscuotere anche quelle lodi che per lo innanzi meritatesi non gli erano
state concesse.
Fra l’altro, don Bianchi intratterrà anche negli anni seguenti otti-mi rapporti con questo colonnello Cravero.
«I gas asfi ssianti»
Questo è il titolo di una testimonianza, quella del fante Ernesto Piceni a Fossalta di Piave il giugno , trovata da una classe di scuola media, nel contesto di una ricerca sul centenario dei «Ra-gazzi del ’», in una raccolta di testimonianze curata dal generale Faldella17.
La riportiamo nella sua interezza perché ci sembra un episodio in-teressante nel contesto delle forme di fraternizzazione tra gli italiani e gli austriaci18: un momento rivelatorio della tragedia intriseca della guerra a cui i soldati trovavano modo di ribellarsi con gesti “piccoli” ma altamente signifi cativi:
fossalta di piave, giugno Il ho lasciato Padova ed il
mattina giungo a pochi chilometri da Fossalta di Piave in uno scenario
desolante. La campagna attorno mostra le sue ferite attraverso un rosso
terreno sconvolto dalle esplosioni e tronchi d’alberi divelti alzano i loro
rami anneriti verso il cielo come moncherini. Il Piave, intravisto da lon-
tano, mi è parso ingrossato paurosamente e scuro e limaccioso trascina
relitti d’ogni specie.
Da alcuni giorni il nemico ha sferrato un’off ensiva e noi della a
compagnia mitraglieri, aggregati al o reggimento della brigata Sassari,
abbiamo il compito di contenerne e limitarne i movimenti. Verso la sera
del siamo già a contatto di fuoco: poi giunge la notte insonne che
porta ripetuti scontri di pattuglia all’altezza delle trincee dove mi trovo,
sotto l’incessante tuonare delle artiglierie.
. I protagonisti
Sono le cinque e venti ed il disco giallo del sole è già nitido all’orizzon-
te: improvvisamente pallottole di mitraglia si confi ccano nei sacchetti di
terra a pochi centimetri dal mio capo, mentre esplosioni si susseguono
ad alcuni metri da me. Schegge arroventate falciano l’erba sibilando. Mi
scuoto, ma faccio solo pochi passi in direzione delle nostre mitragliatrici
e dei serventi che si trovano a brevissima distanza, quando un urto vio-
lento mi percuote il lato destro del viso. Stordito mi getto a terra, mentre
terriccio e fumo mi ricoprono. Mi rialzo e tra il fumo e l’odore acre della
polvere da sparo bruciata vedo brandelli di carne sanguinante appiccata
dappertutto. In bocca sento il sapore dolciastro del sangue. Più nessuno
è accanto a me.
Mi catapulto fuori dalla trincea ed inizio a strisciare carponi; non so
dove dirigermi e pare che siano tutti scomparsi o morti. Gli scoppi delle
granate aumentano d’intensità e mi impediscono di sentire urla o ri-
chiami.
Percorro strisciando venti metri, quasi acceccato dal terriccio che mi
è penetrato fra le palpebre, e scorgo l’orlo di una buca provocata da
un’esplosione. Mi ci infi lo e cerco a tentoni il fondo, ma tocco qualcosa
di caldo e viscido. Sotto di me, all’intorno, sono sparse le interiora di
un cadavere.
Inorridito tento di risalire lungo il fi anco del cratere, quando uno scop-
pio accecante ne colpisce la sommità. Attendo che il terriccio sollevato
dall’esplosione sia ricaduto e ricomincio ad issarmi, ma incespico e cado
all’indietro. Ritento con maggiore forza ma faccio solo un passo e le
gambe, non reggendomi, mi costringono a ricadere inginocchiato. Ri-
provo ma è inutile.
Ora sento che lungo la gamba sinistra sta scorrendo un liquido caldo.
Il panno della divisa è rosseggiante di sangue. Devo essere stato colpito
da una scheggia ma non provo dolore. Strappo il tessuto all’altezza del
ginocchio ed appare la ferita ampia e profonda. A un tratto, l’olfatto
percepisce un tanfo orrendo e sento in bocca il sapore dello zolfo. Il
fumo che ricopre la buca prende sfumature verdognole ed il panno della
divisa mi appare giallo. Ora il fumo si fa più denso e scende fl uido lungo
i fi anchi del cratere. I gas asfi ssianti!
Sono privo di maschera per proteggermi e non posso muovermi. Il
respiro si fa diffi coltoso e colpi di tosse mi provocano conati di vomito.
Uno strano languore s’impossessa di me e mi adagio, quasi estraneo a ciò
di qui non passeranno
che mi circonda. Non provo sensazione alcuna e mi abbandono inerte.
Sembra che tutto attorno si sia quietato. L’udito è l’ultimo senso che
pare non mi abbandoni. Ascolto. Del pietrisco frana dall’alto. Mi sfor-
zo di alzare lo sguardo, che sento ormai spento, verso la sommità della
buca. Un soldato austriaco, forse un uffi ciale, mi sta osservando. Il viso
è ricoperto dalla maschera antigas che ne nasconde i lineamenti. Istin-
tivamente cerco un’arma, mentre lui rimane immobile a fi ssarmi. Non
fa alcun gesto ostile e da questo intuisco che si sia reso conto della mia
situazione. Con un balzo mi è accanto ed io m’irrigidisco in attesa del
colpo. Secondi terribili trascorrono. Accovacciato accanto a me, strappa
una maschera antigas che porta appesa alla giubba e, chinatosi, m’infi la
il boccaglio respiratore tra le labbra e mi stringe le cinghie sulla nuca.
Stacca la fi aschetta dell’acqua dal cinturone e me la ripone tra le mani.
Rimane ancora un breve istante a fi ssarmi mentre i nostri sguardi s’in-
crociano e poi, senza alcun cenno, risale veloce lungo i fi anchi della buca
e scompare dalla mia vista. Tutto ciò si è svolto in pochissimi minuti
senza che io potessi reagire in alcun modo, mentre la nebbia verdognola
si fa maggiormente densa ed aleggia pesantemente sul terreno. Poi perdo
i sensi.
Trentasei ore trascorrono prima che mi trovino in quella fetida buca,
attanagliato dal dolore e dal delirio. Poi mi trasportarono in un ospeda-
letto da campo nelle nostre retrovie, presso Mogliano Veneto, per l’am-
putazione dell’arto ormai in stato di avanzata putrefazione.
Tale testimonianza trova i suoi motivi di interesse anche nella cruda descrizione della battaglia e dell’incombere della morte, temi ampiamente aff rontati dal Gibelli19.
«Medaglie d’oro conferite per fatti d’arme avvenuti sul Piave e sul Montello»
È il titolo del paragrafo che la famosa guida del cti (Consociazio-ne Turistica Italiana), Sui campi di battaglia: il Piave e il Montello20, dedica all’elenco dei combattenti che in seguito ad atti di grandissi-mo valore, quasi sempre culminanti con la morte, furono decorati con la massima onorifi cenza militare: la medaglia d’oro.
. I protagonisti
Fra questi fi gurano anche combattenti decorati per fatti d’arme avvenuti a Fossalta e nei suoi immediati dintorni21:
Maggiore mignone Francesco, da Savona, del o Regg. Fanteria.
Comandante di un battaglione a difesa di una importante posizione,
accerchiato, resisteva fi eramente per tre giorni a forze nemiche assai su-
periori, fi nchè, impegnatasi la lotta a corpo a corpo, cadeva sul posto del
dovere e dell’onore combattendo eroicamente fra i suoi soldati. (Ansa di
Lampòl, - giugno ).
Aiutante di battaglia Saloni Soccorso, da Lecce, del xxiii Reparto
d’assalto. Volontariamente e non ancora guarito, usciva dall’ospedale
per raggiungere la prima linea. Alla testa della sua compagnia superava,
primo fra tutti, i reticolati nemici. Ferito, continuava ad avanzare, fi n-
chè cadeva colpito in pieno da una raffi ca di mitragliatrici. (Losson,
giugno )
Caporale verdirosi Attilio, da Longone Sabino (Roma), del xxiii
Reparto d’assalto. Quarantasettenne, volontario di guerra in un reparto
d’assalto, animatore e suscitatore di eroismi, cadde colpito a morte al gri-
do di: Viva l’Italia! nel trascinare gli arditi delle prime ondate in un ful-
mineo attacco che ricacciò in disordine il nemico. (Losson, giugno).
Capitano tombolon-fava Ottorino, da Strà (Venezia), del o Reggi-
mento Artiglieria da campagna.
Comandante di batteria, ricevuto l’ordine della difesa ad ogni costo ed
assalito da forze preponderanti, assicurò col sacrifi zio del suo reparto il
ripiegamento dei pezzi di medio calibro, impegnando col nemico vio-
lenta lotta corpo a corpo fi nché, colpito da una bomba a mano, cadde da
eroe sull’ultimo pezzo rimastogli, col fucile ancora spianato e col nome
d’Italia sulle labbra. (Musile, giugno)
Sottotenente albertini Giuseppe, da Milano, del xxv Reparto d’assal-
to. Alla testa della propria sezione di mitragliatrici d’assalto conquista-
va una forte posizione nemica distruggendone il presidio. Manovrando
personalmente un’arma, allo scoperto, riduceva al silenzio quattro mi-
tragliatrici avversarie. Contraccatto da forti masse, resisteva con pochi
di qui non passeranno
uomini per oltre due ore dando tempo ai rincalzi di sopraggiungere.
Accerchiato, si apriva la strada a colpi di bombe e quindi, incontrati
rinforzi, tornava con essi al contrattacco e riconquistava la posizione. (S.
Pietro Novello, Fosso Palumbo, - giugno).
. I protagonisti
note
In possesso di Giancarlo Dall’Acqua, giuntagli probabilmente mediante gli ul-timi eredi della famiglia Roncola.
Antonio Gibelli, L’offi cina della guerra, Bollati Boringhieri, Torino .
Archivio privato di don Umberto M. Modulo, copia dattiloscritta.
Tenente Anonimo, Glorie e miserie della Trincea, Omero Marangoni, Milano .
Ibidem, p. .
Ibidem, p. -.
Salvatore Farina, Le Truppe d’Assalto Italiane, a cura di Federico Cavallero, pre-fazione di Giorgio Rochat, Edizioni Libreria Militare, Milano .
Ibidem, pp. -: si rimanda al primo capitolo, paragrafi La lotta di Scolo Palumbo e La perdita di Capo d’Argine.
Riedito recentemente, dopo un lungo silenzio editoriale che persisteva fi n dal secondo dopoguerra, a cura di Riccardo Zuliani, presso la Nordpress Edizioni, Chiari .
Per un inquadramento dell’azione dell’Uffi cio Propaganda si veda Gian Luigi Gatti, Dopo Caporetto. Gli uffi ciali P nella Grande Guerra: propaganda, assisten-za, vigilanza, Editrice La Goriziana, Gorizia, .
Ibidem, p. .
Ibidem, pp. -.
Ibidem, pp. -.
Ibidem, p. .
Ibidem, p. .
Ibidem, p. .
Emilio Faldella (a cura di), I racconti della grande guerra, Edizioni Periodici Mondatori, Milano .
Somigliante a quello raccontato da Luigi Baccolo in M. Isnenghi, Le guerre de-gli Italiani. Parole, immagini, ricordi (1848-1945), Mondadori, Milano , p. .
Antonio Gibelli, La Grande Guerra degli Italiani, Sansoni, Milano .
Sui campi di battaglia: il Piave e il Montello, cti, Milano (xviii anno dell’era fascista. Prima edizione, Milano ).
Ibidem, pp. -.
Foto in apertura di capitolo: don Bianchi in una foto del ’.
di qui non passeranno
Cap.
«Sono un ragazzo del Basso Piave»
L’ossessione di Fossalta
«Gli dissero [...] tu sei un ragazzo di Torcello».
Rispose: «Io sono un ragazzo del Basso Piave».
Questa citazione, tratta da Al di là del fi ume e tra gli alberi (), è una sorta di retro-illuminazione ovvero un immenso aff abulare condensato in poche parole, tipico di Hemingway. Un’azione insi-stente, che torna spesso, quasi bisognevole di essere continuamente rimarcata, come in una lettera del al noto critico d’arte Ber-nard Berenson, suo intimo amico, e che trova il suo polo di confl a-grazione in Fossalta.
Hemingway è ossessionato da Fossalta, essa è una delle sue tante angosce esistenziali:
[...] Non ho mai avuto alcuna paura della morte e non ho mai credu-
to che potesse succedere a me fi no a quando sono saltato in aria in un
modo così veramente grave quella volta a Fossalta de [sic] Piave. Credo
che la forza dell’esplosione [...] sia stata molto grave per i miei nervi e per
la mia testa e hanno impiegato molto tempo per ristabilirsi. Per molto
tempo non ho potuto dormire senza la luce accesa di notte.*
Ma anche un punto di raccolta, di confl uenza e di riallineamento delle sue memorie della Grande Guerra.
Un riannodarsi di memorie, che trova sostanza in buona parte della sua narrativa: Addio alle armi (), il già citato Al di là del fi ume e tra gli alberi, i racconti Spiegazione di me stesso (), In paese straniero (), Qualcosa che mai proverete () e altri.
Naturalmente non va dimenticato che per Hemingway «fare lette-ratura» signifi ca enfatizzare la portata dei reali avvenimenti storici di
* Lettera a Fernanda Pivano datata novembre .
di qui non passeranno
cui è stato protagonista, fondendoli con altri su coordinate spazio-temporali antecedenti, o più semplicemente sublimandoli. Non vi è cioè un eff ettivo realismo storico, quale si può trovare in un Kurt Sucker – Curzio Malaparte – o in un Giovanni Comisso1.
La guerra del soldato Ernest
Tutto inizia nell’aprile quando il giovane Hemingway, in-tento a pescare nella sua casa di campagna nel Michigan, riceve il telegramma di arruolamento e parte subito alla volta di New York per imbarcarsi sul Chicago il maggio, arrivare a Parigi e dopo due giorni spostarsi a Milano.
Viene assegnato alla Quarta sezione della Croce Rossa americana (arc) e distaccato presso Schio dove collabora al giornale «Ciao», vicino al fronte ma non troppo2.
La permanenza in Italia nel e la sua compenetrazione nella narrativa di Hemingway sono stati oggetto di una fondamentale indagine da parte di Giovanni Cecchin3, a cui ci atteniamo in parti-colare per quanto riguarda il Basso Piave e il fronte di Fossalta.
Secondo le ipotesi di Cecchin, Hemingway arriva il giugno come volontario presso alcuni «Posti di ristoro di emergenza», costi-tuiti pochi giorni prima nelle retrovie per far fronte alle gravi condi-zioni degli uomini delle brigate ritiratesi nella notte tra il e il giugno perché provatissime, come la Ferrara, l’Avellino e l’Ancona.
Per la precisione, il l’ormai tenente Ernest giunge a Fornaci di Monastier per dirigere il Posto di Ristoro arc n. , ospitato nella Casa del soldato di Casa Botter, assieme a George C. Noyes. Viene distaccato presso il o fanteria della brigata Ancona che presiede le trincee di prima linea, mentre il o è immediatamente indietro. Come uffi ciale ha, tra l’altro, libero accesso alle mense uffi ciali di «casa del sindaco» (comando del o), Casa Scrinzi lungo lo stra-done Osteria di Fossalta-Fornaci (comando del o) e a Villa Donà delle Rose a mt. da Casa Botter vicino all’incrocio con lo stra-done per Pralongo-Osteria di Fossalta (comando di brigata).
Qui Ernest fa amicizia con gli uffi ciali della «nuova» Ancona, tor-nata il giugno al fronte dopo essersi ricostituita a Vallio, dai cui
. «Sono un ragazzo del Basso Piave»
racconti trarrà molti spunti per la sua narrativa, e in particolare fa amicizia con il cappellano militare del o, il fi orentino Giuseppe Bianchi, uno dei protagonisti di Addio alle armi.
Ernest trova da subito il modo di sfogare la sua curiosità di re-porter. Dopo il giugno lui e il suo compagno Noyes rimangono praticamente disoccupati in quanto è in corso una sorta di “scio-pero” degli aiuti americani in sostegno a don Minozzi, il fondatore e animatore delle Case del soldato, ingiustamente messo da parte dalle autorità militari il giugno.
Hemingway ne approfi tta per girare in bicicletta per la zona del-le trincee a cercare ispirazioni e si trova anche un “lavoro”, distri-buendo i generi di conforto che gli passa un nuovo conoscente, il ten. Edoardo Lanzetti, il rappresentante di Minozzi presso la iii Armata.
Presto rimane solo: Noyes ritorna da dove era partito, cioè alla Sezione Tre dell’arc, in quanto il luglio sul fronte a sud di Musile e San Donà comincia la battaglia per ricacciare gli austriaci.
Hemingway, determinato a rimanere al fronte piuttosto che ri-tornare agli “agi” di Schio come avrebbe dovuto, appoggiato dal maggiore Lowell responsabile dei servizi militari dell’arc, segue la fi losofi a dei tenenti addetti ai posti di ristoro:
si esigeva amore e volontà di comunicare e mescolarsi con uomini
d’ogni genere e d’ogni razza [...] grandi capacità organizzative [...] una
spiccata disposizione ad assumere iniziative in proprio4.
Nel frattempo diventa suo diretto superiore il già citato tenente Lanzetti, laureando in fi sica e prete soldato, che, fra l’altro assieme ad altri amici di Hemingway – il col. Valentini del o, cui lo scrit-tore statunitense cambierà ruolo in Addio alle armi trasformandolo nel chirurgo che a Milano gli sistemerà la gamba, e naturalmente il cappellano don Bianchi – gli trova una divisa da bersagliere ita-liano.
Questo almeno fi nchè l’aff aire Minozzi non viene positivamente risolto con conseguente ristrutturazione dei «Posti di ristoro d’emer-genza» che passano alle dipendenze del cap. Gamble. Ad Ernest vie-ne assegnato un nuovo compagno che, presidiando Casa Botter, gli
di qui non passeranno
lascia un’ulteriore libertà di girare per il fronte ed avventurarsi in «libere iniziative», con il capitano Gamble pronto a chiudere un occhio, come suppone lo stesso Cecchin quando dice:
Tutto sommato, è tutt’altro da escludere che Ernest a Fossalta abbia
partecipato a piccole azioni militari.5
A supportare tale testimonianza potrebbe essere la foto che ritrae lo scrittore statunitense in divisa da bersagliere, con fucile e tascapa-ne di bombe a mano, davanti alla chiesa di Fossalta.
L’appuntamento col destino a Buso de Burato
Hemingway viene ferito l’ luglio proprio durante una di queste «libere iniziative»: giunto in un avamposto al di là dell’Argine Regio – zona che a Fossalta chiamano Buso de Burato, sulla riva dove il Piave punta ad “elle” verso il paese – dove c’è un protetto nido di mitragliatrici e posto di osservazione* pericolosamente vicino alle postazioni austriache, si ferma a distribuire cioccolata e sigarette nonché a conversare con un gruppo di mitraglieri. Ciò non sfugge agli austriaci che aprono il fuoco ferendo una prima volta Hemin-gway e uccidendo il soldato con cui parla.
Ernest, nonostante sia stato colpito gravemente alle gambe, si rialza e cerca di trascinare con sé un altro soldato ferito. Viene nuo-vamente individuato e colpito, sempre alle gambe; si rialza con il ferito cercando di raggiungere il riparo dove viene gettato quasi a forza dai nuovi colpi austriaci che lo raggiungono al piede sinistro.
Raccolto dai portaferiti viene trasportato, in mezzo a continui bombardamenti, in vari posti di soccorso, tra cui la chiesetta della Madonna nera a Pralongo, case coloniche trasformate in ospedali da campo e anche nelle scuole elementari di Monastier
Lì durante la notte, in attesa dell’autoambulanza che la mattina successiva lo porterà alla Stazione di Sanità di Fornaci, Hemingway
* Forse di lì è passato anche l’uffi ciale osservatore Amedeo Fani, Il mio diario di guerra, Tipografi a Commerciale, Perugia , p. e ss.
. «Sono un ragazzo del Basso Piave»
deve combattere contro la tentazione del suicidio in mezzo al fuoco di battaglia che si è scatenato nel frattempo.
Poi verranno Milano ed Agnes.
Il racconto di Fossalta
Ora che abbiamo ricostruito con suffi ciente precisione le mosse del “pedone” Hemingway sullo scacchiere di Fossalta, possiamo cer-care di rintracciarle su un piano più alto, quello della narrativa, e meno mediate cioè sfuggite al fi ltro “centrifugante” cui il romanziere statunitense pone le sue opere tutte giocate sul fi lo della memoria.
A partire dal libro più famoso, ovvero Addio alle armi, Hemin-gway compie un movimento spazio-temporale non ortodosso e co-munque slegato su più piani diversi tra loro, in quanto confonde le sue esperienze di giugno-luglio a Fossalta di Piave, nonché l’immediato seguito, cioè la sua degenza a Milano, retrodatandole all’indietro come se i fatti fossero avvenuti nella Valle dell’Isonzo prima-durante-dopo Caporetto, ottobre .
Le suggestioni su Caporetto gli vengono da molteplici fonti e Cecchin le riconosce, fra l’altro, quando scrive:
Nel diario del di Ardengo Soffi ci La ritirata del Friuli, dove si
narra di un profugo che, sospettato come spia per il suo accento stranie-
ro al ponte di Pinzano sul Tagliamento, si salva buttandosi in acqua, c’è
in nuce l’episodio centrale di Addio alle armi, dove il tenente americano
Frederic Henry, al posto di blocco del Ponte della Delizia, vicino a Co-
dròipo (Udine), è sospettato anche lui come spia per lo stesso motivo e
si salva buttandosi nel fi ume inseguito da fucilate. Altri stimoli Hemin-
gway li ebbe leggendo all’ospedale i numeri del «Red Cross Magazine»
(Amabile, la storia di una ragazza che nel caos di Caporetto attraversa
la piana veneta con un gruppo di bambini e li porta in salvo a Milano; Il tenente, resoconto di una diffi cile problematica di disimpegno...), se-
guendo sul «Corriere della Sera» (il «suo» giornale) le corrispondenze
dal fronte di Luigi Barbini, Arnaldo Fraccaroli, e di altri, come pure
sfogliando i giornali di trincea «La Tradotta», «L’Astico», «La Ghirba»,
il «Savoia!»...6
di qui non passeranno
Comunque lo spunto più incisivo gli viene probabilmente dai racconti di don Bianchi che sono riportati nel suo diario, un mo-desto taccuino che il prete porta sempre con sé. Questo cappellano militare, come abbiamo già accennato, è una delle conoscenze più importanti di Ernest al fronte e anche una delle più familiari, non a caso sarà don Bianchi a riconoscerlo gravemente ferito a Fornaci, a battezzarlo e impartirgli l’estrema unzione.
La sua grande umanità colpisce profondamente il futuro scrittore, che ne trasporrà quasi integralmente la fi gura nel personaggio del cappellano abruzzese di Addio alle armi – don Bianchi è fi orenti-no, ma questo cambiamento di provenienza sembra volere essere un velato riferimento a don Minozzi – e ne coltiverà l’amicizia avendo inoltre l’occasione di incrociarlo spesso a Fossalta prima di venire ferito.
Il protagonista del romanzo, il tenente Frederic Henry, non è una completa trasposizione del io-narrante Hemingway, ma assume al-cuni caratteri del suo predecessore ed amico, il ten. McKey, che viene ucciso da una granata il giugno vicino al ponte sul Palumbo, primo soldato statunitense morto in quella guerra (meda-glia d’argento alla memoria, è uno dei . caduti che riposano all’Ossario di Fagarè della Battaglia).
Questa sorta di sovrapposizione è provata anche da una poesia che Hemingway, in origine, scrive proprio per questo tenente Mc-Key:
Ucciso: Piave – giugno
Desiderio e
Tutte le dolci pene pulsanti
E le gentili ferite
Che tu eri
Se ne sono andati nell’oscura terra.
Adesso nella notte tu vieni immusonito
Per giacere con me
Una triste, fredda, rigida baionetta
Nella mia calda, gonfi a, pulsante anima.
. «Sono un ragazzo del Basso Piave»
In seguito Hemingway cambia la data, sostituendola signifi cativa-mente con quella dell’ luglio.
Dal romanzo Addio alle armi, proponiamo il passo in cui lo scrit-tore descrive, quasi alla maniera di Marinetti, gli avvenimenti in cui viene ferito:
Attraverso gli altri rumori udii un colpo di tosse, poi venne il sciu-sciu-
sciu-sciu, poi ci fu un lampo, come quando lo sportello di un altoforno
si spalanca, e un muggito che incominciò bianco e divenne rosso e via e
via nella corrente dello spostamento d’aria.
Un altro riferimento ai combattimenti di Fossalta è nella «punta secca» – racconto in miniatura con cui Hemingway vuole ottenere il massimo dell’eff etto con il minimo delle parole – Trincea del , in cui il soldato immaginario della brigata Avellino Nick Adams rimane coinvolto nel terribile bombardamento austriaco del giugno sull’argine San Marco, che delimita l’ansa di Lampòl. Racconto importante, perché Ernest anticipa il motivo della paura, ripreso due volte in Addio alle armi e nella narrativa successiva.
Un accenno al paese si trova anche ne La scomparsa di Pickles Mc-Carty, quando lo stesso Pickles accenna al contrattacco degli Arditi avvenuta nel giugno, ma è nel lungo racconto Qualcosa che mai proverete che Hemingway dispiega innanzi a se stesso il signifi cato dannante e insieme salvifi co che Fossalta ha per lui, riassunto nella inquietante «casa gialla» che popola i suoi incubi.
Quelle erano le notti in cui il fi ume scorreva più ampio e tranquillo,
e fuori di Fossalta c’era una casa bassa dipinta di giallo con salici tutto
intorno e una scuderia bassa e c’era pure un canale [...].
Ciò che gli metteva paura e di cui non sapeva sbarazzarsi era quella
lunga casa gialla e la diversa lunghezza del fi ume [...]
Si svegliava sudando freddo, più atterrito che se si fosse trovato sotto
un bombardamento, e tutto per una casa gialla con una scuderia e un
canale [...].
Interessante anche la descrizione di quando Nick Adams entra nel paese:
di qui non passeranno
[...] Evidentemente, verso la fi ne, il paese era stato difeso dalle posi-
zioni della strada incassata [a ridosso dell’argine di San Marco, N.d.S.] e
pochi austriaci c’erano rimasti. Sulla strada davanti [ora via Ragazzi del
’, N.d.S.] c’erano soltanto tre cadaveri di austriaci, che sembrava fos-
sero stati colpiti mentre scappavano. Le case del paese erano state tutte
colpite dai proiettili, le vie erano piene di pezzi d’intonaco e di schegge
di mortaio, e c’erano travi spezzate e tegole rotte e molte buche, alcune
orlate del giallo del gas iprite. C’erano anche frammenti di proiettili e,
sparse tra i rottami, pallottole di shrapnels. Nel paese non c’era anima
viva.
Appena fuori delle case e prima che la strada declinasse, c’era una ra-
dura [il colmello dove gli argini Regio e San Marco si toccano, N.d.S.] e
di qui egli potè osservare la placida distesa del fi ume e la curva bassa del-
l’opposta riva e il fango, tutto bianco ed arso dal sole, dove gli austriaci
si erano trincerati [...] Il battaglione era sulla riva verso sinistra [dell’ansa
di Lampòl, N.d.S.]. C’era una serie di buche sulla sommità dell’argine,
con pochi uomini dentro. Nick notò le postazioni delle mitragliatrici e
i razzi per i segnali di allarme pronti nelle ruote. Gli uomini nelle bu-
che sul fi anco dell’argine dormivano. Nessuno gli intimò niente ed egli
proseguì fi nchè, svoltata una curva dell’argine di terra, un sottotenente
con la barbetta e gli occhi rossi spiritati gli puntò contro la pistola e gli
chiese chi fosse...
Un’altra «punta secca», Al riparo (), ritrae sempre Nick Adams che
è appoggiato a un muro della chiesa, ha il sole che gli batte in faccia,
guarda su per la strada [sempre via Ragazzi del ’, N.d.R.] e nota al-
l’angolo della piazza l’osteria-alberghetto color rosa [ho anche conferma
di quel colore da un’anziana maestra di Fossalta, signora Alba Bozzo,
N.d.R.]. Tutto ciò signifi ca che Nick era appoggiato al muro est della
chiesa e che era prima di mezzogiorno. Il riferimento sarebbe quindi alla
presa di Fossalta del mattino del giugno.7
Non a caso il canto del cigno di Hemingway, Di là dal fi ume e tra gli alberi, contiene ancora riferimenti a Fossalta – nonostante la
. «Sono un ragazzo del Basso Piave»
delusione che prova quando vi ritorna nel assieme alla moglie Hadley8 – questa volta puntuali, senza alcun travestimento occulto, quasi che l’ormai anziano scrittore, prossimo al suicidio, voglia, con il famoso rito propiziatorio di sapore indiano, chiudere idealmente il cerchio fra il suo primo e ultimo faccia a faccia con la morte.
Qualche settimana prima era passato da Fossalta e si era spinto sulla
strada avvallata per trovare il punto dove era stato ferito, sulla sponda
del fi ume. Era facile da trovare per via della curva del fi ume, e nel punto
dov’era stato il nido di mitragliatrici pesanti il cratere era coperto d’erba
liscia. Era stato usato come pascolo, da pecore o capre, fi no a parere una
depressione predisposta in un campo da golf. In quel tratto il fi ume
era lento e di un azzurro fangoso, con le canne lungo le sponde, e il
colonnello, mentre non c’era nessuno a vederlo, si accoccolò a terra e
guardando di là del fi ume dalla sponda dove non si poteva mai mostrar
la testa alla luce del sole, fece i suoi bisogni nel punto esatto dove aveva
stabilito, per triangolazione, di esser stato ferito gravemente trent’anni
prima. [...] «Ora completo il monumento» disse ai soli morti, e prese di
tasca un vecchio coltello a serramanico Solingen, di quelli usati dai fran-
chi cacciatori tedeschi. Lo fi ssò aperto e facendolo girare scavo un buco
nella terra umida. Si pulì il coltello sullo scarpone destro e poi inserì un
biglietto da diecimila lire nel buco e lo tamponò e lo coprì con l’erba che
aveva divelto. [...] Ora va bene, pensò. Merda, denaro e sangue; guarda
come cresce l’erba, e nella terra c’è il ferro, con la gamba di Gino, le due
gambe di Randolfo, e il mio ginocchio destro. È un monumento ma-
gnifi co. C’è dentro tutto. Fertilità, denaro, sangue e ferro. È proprio una
nazione. Dove c’è la fertilità, denaro, sangue e ferro, c’è una patria.9
Se Hemingway è legato indissolubilmente a Fossalta, lo stesso paese porta fortemente in sé le tracce dello scrittore statunitense a tale punto che, dopo averlo nominato cittadino onorario, gli ha dedicato assieme all’associazione trevigiana “Amici di Comisso” una lapide, opera di Simon Benetton, inaugurata con solenne cerimonia da parte delle autorità civili e religiose il settembre 10.
Alla cerimonia è presente anche la traduttrice italiana di Ernest nonché sua amica, Fernanda Pivano, che depone un fi ore, come omaggio personale11.
di qui non passeranno
La lapide in ferro battuto, che tuttavia non è collocata nel pun-to preciso in cui Hemingway fu ferito, riporta incise da un lato le parole:
Su questo argine
Ernest Hemingway
Volontario
Della Croce Rossa Americana
Veniva ferito
La notte dell’ luglio
A cura degli amici di Comisso
Il settembre
Dall’altro:
Io sono un ragazzo del Basso Piave
Ernest Hemingway
Quella lapide ora è uno dei luoghi della memoria di Fossalta.
. «Sono un ragazzo del Basso Piave»
Foto in apertura di capitolo: Hemingway davanti alla chiesa di Fossalta in divisa italiana.
note
Si veda l’imprescindibile lavoro di Mario Isnenghi, Il mito della Grande Guerra, Giunti, Firenze .
Fernanda Pivano, Hemingway, Tascabili Bompiani, Bologna , p. .
G. Cecchin, Con Hemingway e Dos Passos, cit.
Rapporto del marzo , in G. Cecchin, cit., p. .
G. Cecchin, cit., p. .
G. Cecchin, cit., pp. -.
Giovanni Cecchin, Le strade bianche, Collezione Princeton, Bassano del Grap-pa , p. .
Visita di un reduce al vecchio fronte, articolo comparso nel «Toronto Daily Star» del luglio , in G. Cecchin, Con Hemingway e Dos Passos, cit., p. : «A Fossalta fermammo l’auto e camminammo in giro. Tutta la devastante e tragica dignità della città distrutta se n’era andata. Al suo posto c’era una nuova, funzionale, orribile collezione di case dall’intonaco fresco e dai colori sgargianti: blu, rosso, giallo. Io, a Fossalta, c’ero stato probabilmente cinquanta volte, ma non l’avrei più riconosciuta».
Ernest Hemingway, Di là dal fi ume e tra gli alberi, Oscar Mondadori, Milano , pp. -.
«Il Gazzettino», articolo del settembre .
Fernanda Pivano, cit., p. .
di qui non passeranno
Cap.
Il profugato (-)
«Gli esuli di Caporetto»
Nella categoria esplicata dal titolo dello studio di Daniele Ce-schin1 rientrano a pieno titolo, anzi forse più di altri, i fossaltini. Infatti Fossalta è per la sua stessa localizzazione destinata all’evacua-zione di gran parte dei suoi abitanti che devono cedere il territorio a un esercito provato da Caporetto e che colloca la sua linea di resi-stenza sul Piave.
Esercito che, come si rendono conto ben presto gli sgomenti cit-tadini fossaltini, ha bisogno dei prodotti della ricca campagna cir-costante e soprattutto necessita di basi logistiche per le operazioni militari.
Già prima dell’ordine uffi ciale di sgombero, novembre , molte famiglie hanno raccolto le masserizie più funzionali sui carri per iniziare il loro tragico esodo; per quanti sono rimasti le autori-tà militari, insediatesi nel municipio – sindaco è l’avvocato Remo Dall’Acqua – provvedono a diramare il foglio di via che prevede come destinazione generica la provincia di Firenze – la destinazione specifi ca sarà precisata durante il viaggio.
Che l’evacuazione sia stata più soff erta per i fossaltini che per gli altri abitanti della zona del Basso Piave è esplicato nella tabella di p. , ricavata dal censimento dei profughi di guerra fatto a suo tempo dal ministero per le Terre liberate.2
La “Via Crucis” di don Gallina
Il novembre anche il parroco, don Giovanni Gallina, è costretto ad andarsene e addirittura le autorità gli chiedono le chiavi della chiesa, in quanto vogliono destinarla a luogo di rifugio per la truppa e posto di osservazione. A proposito di chiavi, curioso è il ricordo della maestra Alba Bozzo3:
di qui non passeranno
Il giorno novembre un proiettile entrò dalla fi nestra della nostra cu-
cina. Spezzò un lume a petrolio e vi si adagiò nel fondo. Capimmo che la
nostra presenza era diventata incompatibile e il giorno dopo partimmo.
Fummo gli ultimi; chiudemmo accuratamente la casa, ed è grottesco,
lasciammo la chiave ad un sergente, con tante raccomandazioni.
Celebrate le ultime due messe, vengono nascosti nella cantina della canonica, in un sacco, ad una profondità di cm, ritrovato intatto subito dopo l’armistizio, i principali oggetti di valore mentre i paramenti sacri sono rinchiusi negli armadi della sagrestia – in parte li salverà il cappellano militare del o fanteria subito dopo la partenza di don Gallina e inviati alla Curia mediante il deposito del reggimento.
Nel giorno della partenza si uniscono al parroco, dopo aver messo in salvo i documenti della pubblica amministrazione, che verranno però comunque dispersi, le due massime autorità civili: il già citato sindaco avv. Remo Dall’Acqua e il segretario comunale Ildebrando Luconi con la famiglia.
La partenza a don Gallina è in un certo modo imposta, come riporta don Umberto Modulo4:
È tempo che se ne vada – impose il Colonnello stanziato nella Casa Ca-
nonica –; la sua casa, come il Municipio, rimangono affi dati a noi: non
c’è più tempo per discutere. Fino a ieri la consigliai di fermarsi... oggi
devo usare un altro sistema e ciò per il suo bene: Lei partirà senz’altro a
mezzogiorno.
Per quell’ora tre carrozze allestite lasciano Fossalta e si dirigono, per la via di San Michele del Quarto, oggi Quarto d’Altino, a Favaro Veneto dove giungono la sera stessa; la comitiva viene ospitata dal parroco don Giammaria Fàvaro, ma la mattina dopo deve subito riprendere il viaggio in quanto anche quella Canonica è requisita dalle truppe.
Il maltempo rende ancora più diffi cile il viaggio: la nuova tappa è nei dintorni di Padova, in casa del Priore di San Gregorio, un certo don Giovanni Marangoni di Crespano Veneto, dove i profughi ri-
. Il profugato (-)
mangono per due giorni a causa delle precarie condizioni di salute di don Gallina.
Il viaggio per Rovigo riprende e la descrizione che ne viene fatta è tristemente suggestiva:
La strada era impraticabile, tramutata in un vero torrente umano. La
colonna di profughi, che procedeva lentamente, si incrociava con un’al-
tra colonna: quella dei soldati che, procedendo a piedi o sugli autocarri,
si dirigevano verso il Piave. Di tanto in tanto, persone e cavalli stra-
mazzavano sfi niti nel fango e venivano abbandonati in mezzo ai campi.
Raccapriccianti scene di terrore di madri sfi nite dalle soff erenze, di bam-
bini piangenti, di animali gettati a morire nei fossati, di carri sfasciati e
abbandonati sulla strada, stringevano il cuore.5
La sera di quell’undici novembre il gruppo di profughi arriva a Boàra Polesine dove viene ospitato da una famiglia di contadini perché il parroco di quel paese, don Carrèr, nativo di Noventa di Piave, è impossibilitato a ospitarli essendo la Canonica già occupata da altri profughi del Basso Piave. Don Gallina cade nuovamente malato e i suoi compagni di viaggio, timorosi che il sacerdote non sia in grado di arrivare a Bologna a piedi, lo persuadono a vendere il cavallo e il calesse in modo tale da avere i soldi per il viaggio ferro-viario dalla stazione di Rovigo fi no a Prato.
Il sindaco e il cappellano, invece, proseguono a piedi fi no alla città emiliana dove giungono il pomeriggio del novembre: qui, fra le carovane provenienti dal Friuli e dal Piave, incrociano la famiglia fossaltina dei fratelli Perissinotto, arrivata lì dopo un viaggio di sei giorni su due carri trascinati da buoi.
Fossalta a Prato
Il giorno dopo è la volta di Prato dove i fuggiaschi vengono accolti da don Gallina e ospitati prima dalla signora Francesconi e poi per venti giorni presso l’Hotel dei Giardini. Subito le autorità comincia-no ad organizzarsi per far fronte all’emergenza, anche attraverso il supporto del «Comitato profughi di guerra»; il sindaco Dall’Acqua,
di qui non passeranno
nominato commissario prefettizio del comune di Fossalta, ottiene dal citato comitato di fare aprire un asilo per i fossaltini presso la «Villa della Sacca» in località di Coiano, a circa 4 km da Prato.
È una spaziosa villa dotata di grandi dormitori, numerose stanze, un’ampia cucina e anche una chiesa: accoglierà circa profughi fossaltini fra cui don Giovanni Gallina e il cappellano don Serna-giotto, che viene nominato direttore con decreto prefettizio.
I legami di comunità permangono anche con le famiglie fosssal-tine che non hanno trovato posto nella villa e sono state sistemate nei paesi circonvicini: i rimanenti si disperdono un po’ ovunque per l’Italia: da Avellino a Ravenna, da Comacchio a Pompei, e così via.
Ceschin, riferendosi proprio ai profughi fossaltini, usa il termine colonia e lo precisa nel contesto del dopo-Caporetto:
Durante l’ultimo anno di guerra, il termine colonia da un lato ven-
ne esteso all’insieme dei profughi residenti in un determinato comune,
indipendentemente dalla loro provenienza, che dunque per l’assistenza
facevano riferimento a uno stesso Patronato; dall’altro venne utilizzato
per indicare coloro che provenivano da una stessa località e che si erano
costituiti in colonia potendo contare nella maggior parte dei casi sulla
presenza delle autorità comunali o del parroco. [...] Ad esempio, dei
circa profughi ricoverati a Prato, la metà che proveniva da Fossalta
di Piave si costituì in una colonia ben organizzata, con tanto di scuole,
laboratori ed uffi cio notizie dipendente dal municipio che lì aveva fi ssato
la propria sede; era presente anche il parroco e il nucleo più numeroso
era alloggiato presso la Villa della Sacca, sede estiva del Collegio Nazio-
nale Cicognini.6
Don Gallina si aff retta a dare sue notizie al vescovo di Treviso mons. Andrea Giacinto Longhin:
villa della sacca, prato
Prato: novembre
Ecc. Rev.ma,
col cuore straziato dal dolore mando due righe per farLe noto che,
dopo lungo e faticoso viaggio, giunsi a Prato di Toscana col mio Cappel-
lano e col Sindaco di Fossalta.
. Il profugato (-)
Appena giunto andai ad ossequiare il Vescovo di Prato, che mi accettò
con molta gentilezza e mi assegnò ad alloggiare la Villa Sacca in Prato,
dove vi sono circa miei parrocchiani.
Spero che sia breve la mia dimora costì e che possa ritornare nella mia
disgraziata Parrocchia.
Con fi liali ossequi
Sac. Giovanni Gallina
Don Giovanni quindi segue la parola d’ordine del suo vescovo:
Stare al proprio posto, in mezzo ai cari fi gli, per essere d’aiuto e di
conforto ai tanti poveretti che ora più che mai sentono urgente la ne-
cessità di essere sorretti dal pastore. Se in qualche paese i fedeli fossero
colpiti dal decreto di sgombero e costretti ad emigrare in massa, i par-
roci si diano premura, perché i loro protetti stiano possibilmente uniti,
perché vengano diretti a una stessa meta e li seguano partecipando alla
loro dura sorte, che richiederà previdenze e sacrifi ci per renderla meno
disastrosa.7
Ciononostante la lettera di risposta di mons. Giacinto Longhin sembrerebbe dare adito a qualche interpretazione equivoca:
curia vescovile, treviso
Treviso: novembre
Carissimo Arciprete,
sono lieto di avere Sue notizie. Purtroppo non è ancora così della Sua
Parrocchia, né della Sua Chiesa, né degli arredi sacri. Dio li preservi da
ogni profanazione!
Non posso approvare che anche il Cappellano sia fuggito e Le includo
la lettera del S. Padre, in cui è detto chiaramente quale sia la Sua precisa
volontà.
Il Cappellano adunque si aspetti a ritornare, perché i bisogni nella cura
d’anime si fanno ognora più urgenti e domani diventeranno estremi.
Le faccio notare, caro Arciprete, che domani tanto Lei quanto il Suo
Cappellano potreste essere tagliati fuori da Treviso... chi sa per quanto
tempo!
Dal momento che tutta la popolazione dei nostri paesi invasi è partita,
di qui non passeranno
l’ordine del S. Padre diventa, anche umanamente parlando, ragionevo-
lissimo e sapiente.
Benedico di cuore, dicendomi dev.mo
Fr. Andrea – Vescovo
In realtà mons. Longhin non è ancora informato che a Fossalta ormai non c’è più nessuno e che la zona è invasa e mitragliata. Inol-tre la lettera di papa Benedetto xv8, di cui parla il vescovo, arriva a Treviso quando ormai tutti i fossaltini sono già partiti.
Comunque l’equivoco viene presto chiarito dallo stesso vescovo, una volta venuto a conoscenza dei fatti, al punto tale da congratu-larsi in una lettera successiva con lo stesso cappellano don Serna-giotto per la sua nomina a «Economo spirituale» della chiesa annes-sa alla villa, come risulta dal seguente decreto di nomina del vicario generale di Prato:
Al diletto in Cristo rev.do sac. Giovanni Sernagiotto, addetto presente-
mente, quale profugo, al Clero di questa nostra Diocesi.
Mossi dal desiderio di provvedere al bene spirituale dei profughi rico-
verati nella villa detta «Delle Sacca», con queste nostre lettere vi nomi-
niamo, «ad beneplacitum nostrum», Economo Spirituale dell’Oratorio
annesso alla Villa suddetta.
A tal fi ne vi concediamo le necessarie ed opportune facoltà e tutti gli
onori ed onéri annessi a tale uffi cio.
Prato dalla Curia Vescovile novembre .
Paolo Badiani v.g.
Grazie a questo decreto la comunità parrocchiale fossaltina si ri-costituisce, in un certo modo, a Prato anche se vincolata a una sorta di regolamento interno molto rigido e il cui tempo è calibrato sulle funzioni liturgiche, quali la messa o le preghiere. Una presenza no-tevolmente pervasiva nella vita quotidiana dell’elemento religioso, che però agisce anche come polo unifi catore.
I Fossaltini si guadagnano da vivere occupandosi del giardino e della campagna; viene inoltre aperta una regolare scuola elementare interna che rende Prato un vero e proprio “centro fossaltino” dal punto di vista sociale e civile oltreché religioso: infatti funziona-
. Il profugato (-)
no bene anche la sede comunale e un regolare servizio postale per la corrispondenza tra i profughi, i combattenti e i prigionieri. A questo proposito, ci è nota la lettera rivolta «Alle Famiglie dei miei soldati»9, datata maggio in località Erba, in cui un tenente colonnello dalla fi rma indecifrabile si rivolge alle famiglie fossaltine che hanno propri cari al fronte.
Il testo off re spunti interessanti: innanzitutto viene sottolineato l’intento, per quei particolari destinatari, salvifi co che viene ad as-sumere la guerra:
non è solo guerra di liberazione di fratelli oppressi da un barbaro ne-
mico, non è guerra che si combatte per l’onore, ma è guerra per la nostra
stessa esistenza, per la nostra casa [...]
Dopo un richiamo allo storico nemico tedesco e all’esigenza di in-tendere vittoria come sinonimo di pace, la lettera diventa una sorta di “vademecum” di come ci si debba regolare con la corrispondenza da e per il fronte:
Non scrivetegli lettere che parlino di soff erenze o di miserie, ch’egli
non potrebbe alleviare. Questi racconti gli rattristano l’animo e ne inde-
boliscono la fi bra, non solo, ma lo spingono involontariamente a com-
mettere delle mancanze che sono causa di punizioni, e anche reati infa-
manti come quello della diserzione causa di pene gravi e disonore. [...]
Tenetegli alto il morale; scrivetegli sempre e spesso cose belle e buone
per renderlo sicuro, fi dente e tranquillo. [...] Non abbiate per lui preoc-
cupazioni esagerate [...] Con le vostre lettere non rendete sterile l’opera
educativa dei Superiori[...].
Come si può intuire, siamo arrivati ai tempi di Diaz e dell’Uffi -cio propaganda e della conseguente rilevanza assunta dal cosiddetto «morale» dei soldati. Ma tornando a Prato, il nostro don Gallina scrive un’altra lettera suo caro amico monsignore Domenico Pan-ciera10:
Carissimo Memi,
solo oggi posso darti risposta alla tua lettera, non avendo veduto prima
di qui non passeranno
il Fregonese, poiché Grignano ove risiede dista dalla Villa Sacca circa
chilometri.
Avendo domandato al Fregonese cosa ha fatto della tua roba trasporta-
ta da lui dalla tua casa, mi rispose che nel fugi fugi fu salvata poca della
sua e poca della tua, veduta bensì molta in casa Camillo dal tuo fratello
tenente Giovanni.
Questo potè constatare anche il tuo zio Modesto a Roncade ove fu
depositata e veduta dalla tua zia a Grignano, ove due volte si recò dal
Fregonese.
Mi disse che tutto quello che aveva di tua mamma e sorelle fu conse-
gnato alla signora Angelina e che il cassettone tua zia ha dichiarato che
era sua. Si vera sunt exposita, non resta altro dire: tutto è perduto con
grave danno della tua buona famiglia. A me rincresce molto di non avere
potuto ottenere nulla dal Camillo, dopo di avergli dimostrato la gravità
della faccenda e la conseguenza che potrebbe andare incontro, e noie
non indiff erenti. Sarebbe mia opinione che i tuoi fratelli scrivessero una
lettera dimostrando, con dati certi in mano, che una parte della roba fu
venduta da lui o per esso a L. a Roma per indurlo a sborsare il danaro
ricavato dalla vendita della merce. Ieri ho avuto la gradita visita di mio
cugino Vitale e mi raccontò tutto quello che avvenne di rapina nella mia
canonica.
Poveri noi abitanti del Piave... Spero che la tua salute sia buona e così
quella della tua mamma e sorelle e fratelli. Io sto bene, così don Giovan-
ni e mia nipote Giulia e mandiamo tutti un saluto di cuore.
Ricordati di me nelle tue orazioni.
Obb.mo aff .mo Parroco
Sac. Giovanni Gallina
Prato (?) Villa Sacca, ..’
Lettera interessante perché adombra come nel momento dramma-tico e tragico della fuga dalle proprie case si siano verifi cati furti ed episodi simili; la missiva è anche una dimostrazione dell’impotenza ad agire contro, determinata dal particolare momento storico in cui tutto è basato su quello che dovrebbe essere il collaudato apparato di relazioni a livello parrocchiale e comunale.
Inoltre don Gallina accenna alla distruzione della sua canonica dimostrando che può continuare ad avere informazioni su Fossal-
. Il profugato (-)
ta grazie alle visite di concittadini muniti dei necessari permessi e soprattutto dalle cartoline del nipote ten. Guido Gallina, che co-manda una batteria sistemata proprio presso l’abitazione dello zio e che gli racconta, tra l’altro, il curioso episodio del trafugamento di bottiglie di raboso che il povero prete aveva messo da parte per festeggiare adeguatamente il nuovo campanile iniziato anni prima.
Che si cerchi di riprendere i binari della consuetudine quotidiana lo dimostra la cerimonia della prima comunione a cui vengono am-messi molti bambini l’ giugno nella chiesa della Villa, di cui troviamo notizia in una commossa lettera che mons. Longhin invia in risposta a quella mandatagli dai suddetti bambini, come pure la festa organizzata a sorpresa per i anni dell’ordinazione sacerdota-le di don Gallina ricorrente il settembre.
Si fa carico della cerimonia un apposito comitato composto dal cappellano, dal sindaco, dal segretario comunale e dal parroco di Magnana, dimostrazione di come i legami civili e religiosi della co-munità fossaltina sono rimasti saldi, trovando nell’esilio una irripe-tibile opportunità di speculare identifi cazione.
In risposta a una delle numerose lettere di felicitazioni – vi sarà anche quella di papa Benedetto xv –, quella di Andrea Giacinto Longhin, don Gallina esprime la sua commozione per la festa pre-paratagli e sottolinea la durezza dell’esilio che però è destinata a fi nire presto. Infatti a fi ne ottobre giungono a Villa della Sacca le notizie della vittoria e dell’imminente armistizio, che viene fi rmato a Villa Giusti la sera del novembre.
Il lungo ritorno a casa
La mattina del dicembre, dalla stazione di Prato, il prete parte per Fossalta in compagnia del cugino mons. Vitale Gallina, novel-lo vicario generale di Treviso; la sua permanenza. Di dodici giorni è davvero sconfortante in quanto non si è salvato nulla, solo ma-cerie.
Ritorna a Prato la sera del e il giorno dopo, riunita la comunità dei fedeli, racconta quanto ha visto esortando tutti a prepararsi per
di qui non passeranno
il ritorno; in realtà solo dai primi di marzo del comincia l’eso-do dalla Toscana e verso la fi ne dello stesso mese le prime famiglie si sistemano in paese.
Qui subito inizia il lavoro di riparazione o più spesso costruzione ex novo di abitazioni e di esumazione delle salme che sono sparse praticamente ovunque; in maggio il sagrestano Antonio Velludo, per ordine del sindaco, comincia a sistemare il cimitero. Il maggio giunge a Fossalta anche don Sernagiotto che, con decreto vescovile, viene nominato vicario parrocchiale – don Gallina è costretto dalla sua salute malferma a fermarsi ancora un anno a Prato – e provvede subito a restaurare la vita religiosa della popolazione.
Deve fare i conti con la pressoché completa distruzione della chie-sa e della canonica, nonché dell’abbattimento avvenuto nel luglio del pericolante campanile ordinato dal commissario prefetti-zio, magg. Valente.
Celebra messa ogni giorno presso l’unico capitello rimasto inco-lume, quello della Madonna del rosario, dove il giugno celebra anche il primo matrimonio dopo l’armistizio; nei giorni festivi in-vece le funzioni religiose vengono celebrate su un tavolato in piazza, di fronte ai ruderi della chiesa almeno fi nchè nella seconda settima-na di agosto non vengono ottenute una baracca-abitazione per don Sernagiotto e una baracca-chiesa.
Il sentimento di concordia e preminenza religiosa non è unifor-memente accettato, come viene dimostrato da varie manifestazioni di protesta di una squadra di operai qualifi cati come «estremisti» da don Modulo e di cui abbiamo testimonianza in una lettera di Andrea Giacinto Longhin al ministro Nava:
curia vescovile, treviso
Treviso: giugno
Eccellenza,
sono spiacente di doverLe di nuovo scrivere per reclamare la baracca
ad uso Chiesa in favore di una popolazione di abitanti: Fossalta di
Piave.
La baracca era stata approvata dal Genio: il Sacerdote vi aveva anche
celebrato, quando sopraggiunse una squadra di operai che la occupò: e
non intendono aff atto di lasciarla.
. Il profugato (-)
Eccellenza, io non qualifi co certamente questi atti, ma reclamo a van-
taggio del popolo cristiano ciò che si accorda alle altre persone private.
Mi pare che con l’aria che spira non si dovrebbe amareggiare gli animi
di popolazioni eminentemente cattoliche, le quali fi nora hanno attinto
dalla fede e dalla parola pacifi ca del Sacerdote il coraggio per sopportare
dolori d’ogni sorta.
Io voglio sperare che l’Ecc. V. si prenderà a cuore la situazione di quel
povero paese e vorrà provvedere a bisogno così sacro ed urgente...
Fr. Andrea – Vescovo
Fra il febbraio e l’agosto dell’anno seguente due perizie, la prima schematica, la seconda più circonstaziata, vengono inviate alla prefettura di San Donà circa i notevoli danni ai beni mobili ed immobili della parrocchia e che giungono anche allo stesso Lon-ghin, come attesta la sua rammaricata lettera dell’ottobre al vicario parrocchiale.
Particolarmente signifi cativa risulta la circolare, sullo stesso ar-gomento, destinata ai fedeli di Fossalta del marzo che rivela come su un danno quantifi cato in L. . il ministero dei Lavori pubblici ne ha risarcito solo L. .,.
Inoltre si accenna anche alla sparizione delle pale dei tre altari laterali della chiesa di cui ancora oggi è ignota la sorte:
[...] Da quanto si dice, le pale non andarono distrutte, ma furono
asportate, i primi giorni di Caporetto, da un individuo che si è presen-
tato quale speciale incaricato dell’Accademia delle Belle Arti di Venezia:
risulta ancora che le stesse Autorità Militari abbiano coadiuvato all’opera
di salvataggio. Chi sia stato questo “incaricato” e dove siano state portate
le tele, è un problema che meriterebbe una soluzione. [...]*
* La prima pala raffi gurava la Sacra Famiglia e i Sacri Cuori di Gesù e Maria, la seconda i Santi Patroni Ermagora e Fortunato ed è del luglio , la terza la Madonna del Rosario (ottobre ) e sono tutte opera di Stefano Serafi n di Possano: le ultime due sono citate, rispettivamente, alle pagine e in L. Bonora (a cura di), Scritti del beato Andrea Giacinto Longhin vescovo di Treviso, ed. E. San Liberale, Treviso .
di qui non passeranno
Ritornando ai profughi, essi continuano a tornare in tutto l’arco del richiamati dall’autorità locale, dove vengono sistemati in baracche; il ritorno alla vita normale parte ovviamente dalle campa-gne che vengono ripulite dai numerosi proiettili ma per la loro col-tivazione si deve aspettare l’anno seguente. Vengono installati anche ambulatori per l’assistenza medica, igienica e antimalarica, affi dati all’onnipresente don Sernagiotto, e un centro di rifornimento viveri seguito dall’Opera bonomelliana, dalla Croce rossa e dal vescovo di Treviso.
Simbolo della ricostruzione diventa la nuova chiesa, riedifi cata sulla pianta della precedente e ultimata nel .
Come ideale conclusione del capitolo, riporto dalla guida cti11, la descrizione di Fossalta negli anni quaranta nel contesto di uno degli itinerari consigliati per poter visitare i campi di battaglia del Montello e del basso Piave:
Ora non esistono più vestigia di tanta epica lotta [del giugno ,
N.d.R.]: la vanga e l’aratro hanno trasformato in lussureggiante giardino
quello che fu il triste campo della morte; sono scomparse le macerie
immense; e i nuovi lindi e spaziosi abitati danno alla regione un senso di
gaiezza e di vita novella.
Profughi di guerra della provincia di Venezia, distretto di San Donà di Piave
Comune Censimento popol. .. Censimento profughi ott. ’
Cavazuccherina . .
Ceggia .
Fossalta di Piave . .
Grisolera .
Meolo . .
Musile . .
Noventa di Piave . .
S. Donà di Piave . .
S. Michele del Quarto .
Torre di Mosto .
Totale . .
. Il profugato (-)
note
Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto: i profughi in Italia durante la Grande Guerra, Laterza, Bari .
Ministero per le Terre Liberate – Uffi cio Censimento, Censimento dei profughi di guerra, Tipografi a del Ministero dell’Interno, Roma , p. ., segnala-tomi da Daniele Ceschin.
Alba Bozzo, cit., pp. -.
Don Umberto M. Modulo, La parrocchia di Fossalta di Piave, cit., p. e ss. su cui si basa quasi tutto questo capitolo.
Ibidem, p. .
Daniele Ceschin, Gli esuli di Caporetto, cit., pp. -.
«Bollettino Ecclesiastico, », pp. -, citato in Giovanni Brotto, Il vescovo del Montello e del Piave, Editrice Trevigiana, Treviso .
Non siamo riusciti a trovare un riferimento diretto, ma vi è un accenno nella lettera che il Longhin invia a mons. Ridolfi , vescovo di Vicenza, il .., in A. G. Longhin, supplemento al «Portavoce di San Leopoldo Wandic», nu-mero unico, , p. .
Proveniente dall’archivio privato di don Umberto M. Modulo.
Ibidem.
Sui campi di battaglia: il Piave e il Montello, cit., p. .
Foto in apertura di capitolo: l’ultima famiglia di profughi lascia Fossalta. (Archivio Modulo)
di qui non passeranno
Cap.
Il mito del Piave a Fossalta
Il mito della Grande Guerra: la cerimonia dell’acqua
Un articolo del Gazzettino1, non a caso uno dei giornali più im-pegnati a sostenere il fascismo, supportato da alcune foto, off re una rappresentazione vivida di come il paese di Fossalta rientri a pieno titolo nella costruzione del mito della Grande Guerra, al di là delle disposizioni di carattere cimiteriale e monumentariale2.
Si tratta della cronaca di una cerimonia di «off erta» dell’acqua del Piave che si avvia a diventare il fi ume sacro alla Patria, e che anticipa in maniera quasi inquietante e, perché no?, ironica altre manife-stazioni di squisito sapore padano-leghista come quella legata alla ormai famosa «ampolla del dio Po».
L’articolo è interessante anche perché dà un’idea di carattere pra-tico e locale di come il fascismo costruisca il mito, procedendo cioè alla costruzione delle origini e cercando una saldatura ideale, quasi una chiusura del cerchio, con le altre componenti di questo «rac-conto della vita»3.
fossalta offre l’acqua del piave
In una borraccia simbolica al Milite Ignoto
Fossalta, ottobre
Fossalta di Piave, il ridente paesello posto sulla destra del fi ume sacro
che visse le ore più martoriate durante l’epica battaglia che dal Piave
stesso ebbe il nome, ha visto svolgersi nella mattinata di ieri, domenica,
una delle più suggestive cerimonie patriottiche. Una squadra di ciclisti
dell’«Audax Club Italiano»*, sezione di Rovigo, ad iniziativa di un loro
consocio e valoroso ex combattente, il capitano Ugo Rogna, è giunta
* È curioso questo incrociarsi tra manifestazione patriottica e manifestazione spor-tiva, quasi preludio all’opera unifi cante di altri avvenimenti “ludici” come il Giro d’Italia.
di qui non passeranno
in paese in bicicletta per portare una simbolica borraccia, contenente
l’acqua del Piave, alla tomba del Milite Ignoto a Roma. Quivi la squadra
giungerà il novembre p.v. giorno anniversario della Vittoria, compien-
do complessivamente da Rovigo alla Capitale una marcia di chilo-
metri che verrà suddivisa in cinque tappe.
Alla cerimonia, sorta sotto l’alto patrocinio di S.E. il Primo Ministro,
hanno partecipato le autorità locali, numerose rappresentanze del Man-
damento e tutta la popolazione, nonché parte di quella limitrofa, giunta
con ogni mezzo per unirsi in corteo dal Municipio al Piave, ove si è
compiuto il rito con commovente austerità.
l’attesa in paese Sin dalle il paese è in grande animazione. Da tutte
le fi nestre delle case, linde e pulite, e riedifi cate completamente dopo la
tremenda (...) della guerra, pende il tricolore.
Striscioni tricolori, con scritte inneggianti all’«Audax», agli «Eroi del
Piave» e al «Milite Ignoto» sono stati affi ssi ai muri, accanto a un patriot-
tico manifesto, lanciato dal Podestà ing. Guglielmo Rossetto. Squadre di
avanguardisti e balilla vanno ordinandosi davanti alla sede municipale,
luogo designato pel convegno delle autorità e delle rappresentanze, in
attesa che giungano i baldi ciclisti rodigini.
Notiamo: il Podestà di Fossalta, il sindaco di Rovigo, cav. Di Gr. Cr.
Avv. Maneo, giunto in automobile, recando la borraccia simbolica, il
comm. Bortolotto, per la Federazione Provinciale Fascista e per l’Asso-
ciazione Combattenti di San Donà di Piave, il segretario comunale di
Fossalta, sig. Mignon, il segretario del Fascio sig. Ferrari, l’uffi ciale dello
stato civile sig. Nievo, il dirigente del servizio sanitario dr. Da Re, ed
il dott. Lino Spica, il sig. De Bartoldi fi duciario del Fascio di Rovigo,
il seniore Del Turco comandante la a Coorte della Milizia Volontaria
Fascista, il Podestà di Meolo cav. Simonato, di Torre di Mosto cav. Bar-
bieri, di Grisolera cav. Stocchino, di Musile cav. Argentini, di Zenson
cav. Botter, il Commissario Prefettizio di Noventa di Piave cav. Pilla,
di S. Michele del Quarto sig. Gries, di Cavazuccherina cav. Viaro, il
segretario del Fascio di Meolo sig. Gallo, col direttorio, di S. Michele del
Quarto cav. Caberlotto, il segr. Com. di Noventa di Piave sig. Gialan, il
segretario della sezione combattenti di San Donà signor Guerrati, il cav
Spaccani pel Podestà di Ceggia, col segretario del Fascio signor Viviani,
il Giudice Conciliatore di Fossalta, cav. Busanel, i segretari politici del
. Il mito del Piave a Fossalta
Fascio di Musile sig. Satin, di Meolo sig. Bellanovich, di Grisolera sig.
Vanin e molti altri.
la scquadra dell’«audax» Verso le arriva dallo stradale, in perfetto
ordine di marcia, la squadra rodigina dell’«Audax Club Italiano».
La compongono il co. Dott. Alvise Bragadin che ne è il capo, il sig.
Rino Molinari direttore della marcia, il fratello Cesare e i compagni Ugo
Bacchiega, Lino Goggia, Augusto Manservigo, Luigi Salmaso, Carlo
Raff aelli, Antonio Bordin, Arturo Piva, Dino Toff oli, cap. Ugo Rogna,
Luigi Grompi e Mario Bottari.
La squadra è partita da Rovigo alla mezzanotte, salutata da tutta la
sezione e dall’on. Enzo Canalini, che pronunciò un vibrato discorso
d’augurio.
I baldi giovani, con il conte Bragadin alla testa, hanno compiuto la
prima tappa di chilometri, pedalando sotto una pioggia incessante
e dopo aver fatto una unica sosta di pochi minuti a Padova. Ciò non
ostante essi appaiono freschissimi. La squadra è ricevuta dal Podestà che
muove incontro con tutte le autorità e le rappresentanze, mentre la Ban-
da di Fossalta suona la Marcia Reale e l’Inno Giovinezza.
la borraccia simbolica È questa un pregiato lavoro di grandezza
comune tutto in argento lucidato, chiuso in un elegante astuccio di pel-
le. È stata ideata ed eseguita dal sig. Egidio Zilio di Padova. Essa porta
inciso, in alto, il famoso motto del fante: «Di qui non si passa»* e più
sotto: «Al Milite Ignoto, Audax Italiano – auspice la sezione di Rovigo».
* Qui si riferisce ad un episodio dagli aloni leggendari di cui trovo traccia in una cir-colare informativa dell’associazione nazionale “I ragazzi del ’”: «Sul Montello, accanto ai ragazzi del ’ dove si trovava inquadrato nella Brigata “Lucca”, il poeta E.A. Mario testimoniò la scena del tutto singolare che il Re Vittorio Emanuele iii si era rivolto a un Fante del chiedendogli, secondo lui, quale sarebbe stato l’esito dell’off ensiva che il nemico stava preparando; il “Ragazzo”, Fante Luigi Saccaro, non avendo riconosciuto (essendo notte) il suo Sovrano, così gli rispose: “Se voi vecchi aveste fatto prima tutto il vostro dovere, oggi l’Italia avrebbe già vinto la guerra. Comunque ora, fi n qui arriverà il nemico ma di qui non si passa!”. Il poeta, di fronte a quella scena tanto vibrante di passione, ebbe la felice ispira-zione di scrivere, in quel momento tragico per le sorti della guerra che lì si stavano decidendo, l’Inno del Piave: “Il Piave mormorò: non passa lo straniero!”».
di qui non passeranno
Al centro, lavorati fi nemente in ismalto, vi sono gli stemmi di Fossalta
e di Rovigo, i quali sono separati da una fascetta di bronzo che porta
in rilievo la stella d’Italia e la scritta: «Marcia ciclistica Rovigo-Fossal-
ta di Piave-Roma – Km ». Su calce vi è poi la data « novembre
mcmxxvi».
Fatta girare fra molti dei presenti, in modo che possa venire ammirata
la sua squisita fattura, la borraccia viene presa in consegna dal sig. Rino
Molinari, il quale la porterà in corteo, sino al Piave perché vi siano rin-
chiuse dentro due fi ale di vetro, ripiene d’acqua.
l’imponente corteo si ordina alle .. Lo aprono gli avanguardisti
di Fossalta, di Cavazuccherina e di Grisolera, coi rispettivi gagliardetti.
Poi vengono gli orfani di guerra, i Balilla e le Piccole Italiane di Fossal-
ta guidate dalle insegnanti elementari signorine Sembiante, Bonomaro,
(...), Parmesan, Baretta, Sussi e Silvestri. Gli orfani portano per distin-
tivo una fascia tricolore a tracolla e le Piccole Italiane recano in capo
una coccarda tricolore e in mano un mazzetto di fi ori rossi che verranno
gettati nel Piave. Seguendo l’ordine del corteo, notiamo: i Balilla e le
Piccole Italiane di Cavazuccherina e di Grisolera, la Banda di Fossalta,
che lungo il percorso alterna gli inni patriottici ad allegre marce, venti
cantori della «schola cantorum» locale, col loro istruttore sig. Aurelio
Velludo, la bandiera del comune di Fossalta fi ancheggiata da due gagliar-
detti azzurri dell’«Audax Club Italiano», il sig. Rino Molinari, che porta
la borraccia “simbolica”, seguito dal gruppo dei compagni che indossano
tutti la maglia azzurra.
Poi vengono le autorità e le rappresentanze in gruppo, con alla testa il
Podestà di Fossalta, il Sindaco di Rovigo e il comm. Bortolotto: quindi
il parroco locale, don Giovanni Gallina, in camice e stola, preceduto da
tre chierici e dalla croce e le bandiere dei comuni, dei Fasci di Combat-
timento e delle Sezioni dei Combattenti di Fossalta, Meolo, S. Michele
del Quarto, Ceggia, Grisolera, Noventa di Piave, Cavazuccherina, Zen-
son, Musile e Torre di Mosto.
Segue la popolazione di Fossalta e dei paesi limitrofi . Il corteo è fi an-
cheggiato da carabinieri in alta tenuta al comando del brigadiere Balali
che dirige il servizio d’ordine. Percorsa Via Municipio il corteo svolta a
sinistra, infi lando Via Piave e giunge lentamente alla riva del fi ume sacro
ove sosta qualche istante.
. Il mito del Piave a Fossalta
L’autorità, le rappresentanze e le bandiere prendono quindi posto su
apposito pontile mobile, ornato con fasce tricolori: i cantori e le bande
in una grossa peata, pure adorna di addobbi tricolori, i Balilla e le Picco-
le Italiane si schierano lungo un terrapieno, vicinissimo alla riva e la folla
si stende lungo l’argine, serrandosi in linea di fronte.
la consacrazione del rito Trascorsi alcuni minuti dal pontone
mobile, che viene spinto a forza di remi verso il centro della corrente, si
avanzano i due orfani di guerra Itala Silvestri e Guerrino Marchi. Essi,
guidati dal segretario comunale di Fossalta, raccolgono l’acqua del Piave
in apposito bacile, depositandolo poscia sopra un tavolo. Il parroco di
Fossalta, tra un religioso silenzio, si avanza a sua volta e consacra l’acqua
raccolta entro il bacile, benedicendola. Poi vi sparge dentro il sale e recita
le preci di rito.4
L’acqua viene prontamente introdotta in due fi ale di vetro. Chiuse er-
meticamente, le fi ale vengono legate con nastro tricolore e sigillate col
timbro del Comune, che reca le fi rme del Podestà, e (...) poste entro
la borraccia simbolica, che s’apre a libro per essere fi ssate con appositi
anelli. Tale operazione dura alcuni minuti e, quando è cessata, imprende
a parlare per primo il Podestà di Fossalta, tra la viva attenzione di tutti
i presenti.
il discorso del podestà L’ing. Rossetti [Rossetto, N.d.R.] ringrazia
le autorità e le rappresentanze convenute, a nome della popolazione,
dicendosi lieto e grato che la scelta per l’attuale cerimonia sia caduta
su Fossalta, paese che fu teatro di spaventose battaglie, il cui caposaldo,
Ronche, resistendo per tre giorni, quantunque accerchiato dal nemico,
sventò il piano e le bieche mira del generale austriaco Boroevic.
Al Milite Ignoto, «simbolo dei nostri mila morti immolati per la
santa causa, in virtù dei quali fu possibile distruggere una concezione
politica ultra-secolare, instaurando sulle sue rovine un ordine nuovo e
un edifi cio di saggezza incrollabile»5 il Podestà manda il più sincero e
devoto omaggio.
Dopo aver elogiato i baldi ciclisti dell’«Audax» rodigino per l’impresa
ardua che si sono accinti di compiere, recando con una marcia le acque
del fi ume sacro all’Altare del Milite Ignoto, l’oratore così conclude: «O
voi, giovani che onorate i nostri morti per la patria con questa suggestiva
di qui non passeranno
cerimonia, abbiate presente che essi, col loro sangue versato, hanno sug-
gellato la più bella pagina della nostra storia e contribuito grandemente
a far sì che la Patria nostra possa avere una frontiera la più formidabile
e precisa, come nessun altro paese del continente d’Europa possiede.
Per quei morti, in segno di devozione profonda, serva di sprone a tutti
i combattenti sopravvissuti, la bellezza della nostra vittoria feconda di
pace onde l’opinione pubblica abbia l’esatta percezione dell’immenso
sforzo fatto e dell’eff etto conseguito. L’Italia ha bisogno di far conoscere
la sua guerra per sé e per il mondo; soprattutto, per la compilazione della
storia universale che non può e non deve subire deformazioni a danno
del paese che ha soff erto per tutti e più di tutti».
Le parole del Podestà sono accolte da vivi applausi. Parlano quindi, an-
cora applauditissimi, il Sindaco di Rovigo, il conte Bragadin e il comm.
Bortolotto.
la canzone al milite ignoto Cessati gli applausi e dopo un istante
di raccoglimento profondo, osservanda tutti i presenti alla cerimonia, i
cantori e la banda, diretti dal maestro sig. Mason, intonano la canzone
«al soldato ignoto», le note (...) si diff ondono nell’aria ascoltate religiosa-
mente, mentre le bandiere e i gagliardetti si inchinano e il Piave, con un
mormorio tenue, sembra voglia accompagnare l’ode bellissima. L’istante
suscita nei presenti un’intensa commozione e il sole, che ora dardeggia
luminosissimo, off re un quadro d’incomparabile bellezza, tra l’ultimo
verde dell’inoltrata stagione.
Alla canzone del «Soldato ignoto» segue quella del «Piave»69 cantata
dalle freschissime voci bianche dei bimbi, mentre le piccole italiane,
sporgendosi dalla riva, gettano entro le acque del fi ume i loro mazzetti
di fi ori rossi, simbolo gentile dell’amore purissimo che tutti gli italiani
devono sentire pei morti del Piave.
il ritorno a rovigo La bella cerimonia volge così alla fi ne. Il corteo
poco dopo si riordina e, incolonnatosi con la stessa formazione, si reca
al cimitero, per una visita di omaggio ai Caduti gloriosi, tra i quali ve ne
sono oltre duecento rimasti tutti ignoti.
Poscia fa ritorno alla sede comunale dove si scioglie, tra ripetuti alalà.
Alle autorità che si raccolgono nelle sale del Municipio, viene off erto un
rinfresco mentre si dà lettura di un telegramma giunto dal Prefetto di
. Il mito del Piave a Fossalta
Venezia il quale dicendosi dolente di non poter presenziare alla simboli-
ca cerimonia, manda la sua adesione e il suo saluto augurale. La lettura
del telegramma venne accolta da poderosi alalà e da grida di Viva l’Italia,
viva il Milite Ignoto.
La squadra rodigina è ripartita alle precise per Rovigo, portando con
sé la borraccia simbolica. Come abbiamo detto, la squadra sarà a Roma
il novembre p.v. e vi giungerà dopo aver compiuto l’intero percorso,
con le seguenti tappe: Rovigo-Fano, Fano-Perugia, Perugina-Viterbo,
Viterbo-Roma.
La partenza da Rovigo avverrà il novembre.
P.B.*
Tutto il contesto della cerimonia rientra nel piano della gestione della memoria della Grande Guerra, che il Regime utilizzò ampia-mente per auto-designarsi unico e legittimo erede sia dei sacrifi ci che del signifi cato della guerra stessa.
Contrasti fra due poteri
Il fascismo a Fossalta è anche espressione delle grandi tensioni a livello religioso, politico e sociale che caratterizzano la nazione nel dopoguerra e si lega saldamente al quadro delle lotte delle leghe agrarie per la spartizione della terra, che era stata promessa dal go-verno Salandra ai reduci. In questa ottica rientra l’episodio di vio-lenza da parte di una squadra fascista ai danni del sacerdote Sante Bianco, “reo” di aver confortato una famiglia fossaltina, quella dei Fregonese, a cui era stata incendiata la casa poiché si era esposta nelle lotte mediante riunioni e comizi vari tesi a riunire il maggior numero possibile di contadini.
Troviamo traccia del fatto nella corrispondenza fra don Bianco e mons. Andrea Giacinto Longhin:
* Dovrebbero essere le iniziali di Pino Bellinetti, noto articolista del «Gazzettino».
di qui non passeranno
parrocchia di s. maria immacolata, fossalta di piave (ve)
Fossalta di Piave: ottobre
Eccellenza Rev. ma,
questa notte verso l’una fui svegliato di soprassalto. Che c’era? Una
visita poco gradita: una pattuglia di persone entrava a forza nella mia
stanza da letto e colla rivoltella spianata alla tempia m’invitava a seguirle
così com’ero, in puri pantaloni. E senza aspettare, mi spinsero fi n fuori
del piccolo cortile, nella strada, dove mi dettero varie bastonate al capo
e due colpi col clacio d’un moschetto.
Ho cercato di riparare i colpi con le mani e le braccia e in parte vi sono
riuscito.
In tal modo ebbe fi ne la poco gradita visita accompagnata con bestem-
mie e con frasi triviali. [...]
Il motivo pure desidererà sapere: credo che motivi seri non ne abbiano,
poiché in nove mesi che sto a Fossalta, non mi sono occupato che di
bambini e della Chiesa, trattando tutti con rispetto.
Domandato ad essi il motivo, mi dissero che giravo troppo di notte e
che ero andato a visitare coloro che avevano avuta incendiata una casa.
Ecco l’accusa! [...]
Suo dev.mo fi glio in G.C.
Sac. Bianco Sante – bastonato
A sua Ecc. Rev.ma
Mons. Andrea Giacinto Longhin
Treviso
La reazione del Vescovo non si fa attendere; alcuni giorni dopo scrive al Prefetto di Venezia:
curia vescovile di treviso
Treviso: ottobre
Ill.mo Prefetto di venezia
Dall’ottimo mio sacerdote Sante Bianco, Cappellano di Fossalta di
Piave, ricevo una lettera di cui unisco copia e nella quale egli mi dà
relazione di una brigantesca aggressione di cui fu vittima per parte di
individui che io bramo di credere non ascritti a nessun partito.
Come cittadino e come Vescovo, umiliato ed avvilito che sulla sponda
del Piave, alla distanza di quattro anni dalla strepitosa vittoria riportata
. Il mito del Piave a Fossalta
dalle nostre armi si rendano possibili per colpa di Italiani scene del ge-
nere di quella narrata dal sullodato Sacerdote (il quale durante la grande
guerra in epiche battaglie come semplice soldato di artiglieria da monta-
gna ha compiuto tutto il suo dovere) invoco da lei, Signor Prefetto, quei
provvedimenti che reputerà necessari per tutelare l’incolumità personale
non soltanto del Sacerdote in parola, ma anche dei suoi Confratelli del
Basso-Piave che son fatti segno all’odio anticivile di alcuni torbidi ele-
menti*.
Anticipando i più sentiti ringraziamenti e con perfetta osservanza mi
rassegno
Della S. V. ill.ma
Dev.mo
Fr. Andrea – Vescovo
La risposta del Prefetto è fumosa, e la denuncia del prelato si ri-solve in un nulla di fatto.
il prefetto di venezia
Venezia: ottobre
Eccellenza,
appena avuta notizia delle deplorevoli violenze commesse a Fossalta di
Piave, disposi l’invio colà di un funzionario di P.S. con adeguata forza
per provvedere alla identifi cazione e denuncia dei responsabili e per tu-
telare da ulteriori attentati le persone e la proprietà.
L’opera del funzionario è stata effi cace in quanto alcuni degli autori
delle violenze sono stati già denunciati all’Autorità Giudiziaria.
Relativamente alle minacce fatte al Parroco di Noventa di Piave, ho
subito ordinato che ne siano identifi cati e diffi dati gli autori e che sia
esercitata la maggiore vigilanza possibile perché l’incidente non abbia a
ripetersi.
Con devoti ossequi
Il Prefetto di Venezia
A S.E. Andrea Giacinto Longhin
Vescovo di Treviso
* Chiaro ed interessante riferimento del Vescovo alla violenza delle squadre fasciste che si esplica contro i sacerdoti della zona.
di qui non passeranno
In realtà questa è solo una delle tante situazioni di pericolo che monsignor Longhin, vescovo di Treviso, si trova ad aff rontare in quei cruciali anni, come si può capire dall’analisi del contesto più generale dei rapporti della chiesa trevigiana con il fascismo:
Il rapporto tra chiesa – intesa nella sua totalità che va dalle alte gerar-
chie alla moltitudine dei parroci e dei cappellani – e fascismo è stato
certamente complesso ed articolato. [...] Anzitutto è evidente che chiesa
e fascismo si presentarono sulla scena come soggetti organizzati e coesi
al loro interno e con una precisa strategia nei confronti della società in
cui operavano. Entrambi si proponevano di mantenere ed ampliare la
propria sfera di infl uenza, mettendo in campo iniziative che apparivano
complementari, sotto certi aspetti, concorrenti in altri. È anche logico
pensare che il fascismo degli anni venti sentisse la supremazia della orga-
nizzazione ecclesiastica e che avvertisse la necessità di trovare una strada
per ottenere autonomamente il consenso della popolazione, in gran par-
te aggregata attorno alle parrocchie.7
Il vescovo di Treviso ha nei confronti del fascismo un atteggia-mento diverso rispetto ad altri prelati come monsignor Eugenio Beccegato, vescovo di Vittorio Veneto: egli infatti rispetto al fasci-smo è più ostile e schierato a difesa della supremazia delle istituzioni ecclesiastiche:
Andrea Giacinto Longhin appare come la guida forte e autorevole di
una chiesa che non è disposta ad accettare limitazioni nell’attuazione
della sua missione, soprattutto quando queste tentano di imbrigliare le
organizzazioni cattoliche diff use nelle parrocchie. Difende per principio
i suoi sacerdoti accusati di atti ostili al fascismo e non accetta pressioni
nelle nomine di nuovi parrocci. Nell’altro fronte è un vociferare di pode-
stà, di sindaci fi no al questore e al prefetto che vorrebbero tacitare preti
scomodi o poco benevoli nei confronti delle iniziative di regime.8
. Il mito del Piave a Fossalta
note
Datato ...
Di cui ci occupiamo nel capitolo , «I luoghi e i segni della memoria».
Si vedano, per un inquadramento generale, Emilio Gentile, Il culto del littorio. La sacralizzazione della politica nell’Italia fascista, Laterza, Roma-Bari .
Per le rifl essioni sulle interrelazioni tra i codici civili e religiosi rimandiamo a Mario Isnenghi, «Alle origini del aprile. Miti, riti, mass media», in Mario Isnenghi, Silvio Lanaro (a cura di), La Democrazia Cristiana dal fascismo al 18 aprile, Marsilio, Venezia .
Notevole rilettura della Grande Guerra, inevitabilmente frutto di forti sugge-stioni e fi nalità fasciste come si evince dal seguito del discorso.
Per le rifl essioni sulle canzoni come luogo della memoria rimandiamo al saggio di Emilio Franzina, «Inni e canzoni», in Mario Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria, cit.
A. Manesso, (a cura di), Il trevigiano tra le due guerre, Provincia di Treviso, Treviso , p. .
Ibidem, p. .
Foto in apertura di capitolo: i ciclisti rodigiani dell’«Audax Club Italiano» in piazza Vittoria, in attesa di dirigersi, alla testa di un corteo di cittadini fossaltini, verso il Piave, dove riempiranno la simbolica borraccia da por-tare successivamente presso la tomba del Milite Ignoto a Roma. (Archivio Modulo)
di qui non passeranno
Cap.
I luoghi e i segni della memoria
Il battistero della Pace
Il battistero è forse l’edifi cio simbolo che meglio richiama e man-tiene la memoria collettiva della Grande Guerra a Fossalta, secondo le linee tratteggiate da Maurice Halbwachs1. Anche se la sua inaugu-razione risale al giugno , più vicino a coloro che ricordano piuttosto che a coloro che debbono essere ricordati, e quindi sfug-gendo alla scansione periodizzante in tre diverse fasi che dà Mario Isnenghi di quella che lui defi nisce, nel contesto della costruzione dei luoghi della memoria della storia patria, la seconda ondata mo-numentale, dedicata ai caduti della Grande Guerra*.
Il battistero è stato costruito grazie all’iniziativa dell’associazione nazionale «Ragazzi del ’», a cui successivamente hanno aderito anche l’autorità politica e l’intera cittadinanza: Fossallta infatti è uno dei fronti su cui vengono mandati questi «ragazzi» e dove essi costruiranno il loro «mito».
L’associazione «Ragazzi del ’» nel primo dopoguerra rientra nei quadri dell’ancr, nel se ne stacca diventando ente autonomo che si allarga anche a fi gli, nipoti degli ex «ragazzi» e ai simpatizzanti.
Dotata di una festa sociale che ricorre il novembre, a ricordo
* «Volendo tentare una periodizzazione, si possono distinguere tre grandi mo-menti in questi processi di diff usione su tutto il territorio nazionale degli spazi sacri dedicati al culto dei morti per la Patria. Il primo momento, negli anni tra Vittorio Veneto e la Marcia su Roma, è quello più legato a una genesi spontanea e locale [...]. Il secondo momento [fi no al , N.d..R.] fa già capo a precise direttive dall’alto e a un progetto organico di intervento sulle forme e i conte-nuti della memoria in gestazione [...]». Mentre il terzo momento organizzativo è quello che parte appunto dal : «[...] il Regime ha decretato la fi ne del monumento ai Caduti di iniziativa locale, avocando al centro la costruzione di grandi spazi sacri a carattere nazionale e di luoghi della memoria più confacenti al secondo decennio del Regime». In Mario Isnenghi, Le guerre degli Italiani 1848-1945, Mondatori, Milano , p. e ss.
di qui non passeranno
del bollettino di Diaz in cui per la prima e unica volta viene citata come singola classe e di un periodico, intitolato dapprima «I ragaz-zi del ’», poi «Il Tascapane» e di nuovo con il nome originario, secondo il settimanale diocesano «La vita del popolo» si scioglie il ottobre quando in realtà rimane viva fi no al , trasfor-mandosi quindi in fondazione.
I «Ragazzi del ’», alcuni dei quali combatterono eff ettivamente in queste zone, identifi candosi e facendosi portatori dei meccanismi della memoria collettiva della Grande Guerra a Fossalta, ne sono infatti cittadini onorari: a loro è stata intitolata una via nelle imme-diate vicinanze del monumento, e a partire dal si ritrovano in occasione del raduno nazionale ricordato da un ceppo sull’argine.
Questa identifi cazione è ulteriormente comprovata da una testi-monianza di Ignazio Buttitta, raccolta da Mario Bernardi2:
[...] Arrivammo a Monastier, quindi ci attestammo nella zona tra Cam-
polongo e Fossalta di Piave. Lì erano concentrate la a e a brigata ed
il nostro o reggimento della Ionio. Era il giugno e la sorte non ci
aveva certo favoriti, perché l’indomani sarebbe incominciata l’off ensiva
nemica. Improvvisamente fummo investiti da un mare di fuoco. Stavo
dentro ad una trincea con il mio gruppo e, dalle feritoie, riuscivamo a
scorgere il fi ume in piena che trascinava nella corrente tronchi d’albero
e soldati annegati. Dietro a noi le artiglierie incrociavano i tiri con quelli
delle bombarde nemiche che cercavano di colpire le nostre postazioni
e al fragore degli scoppi si accompagnava una miriade di schegge. Ci
furono subito morti e feriti, ed anch’io fui colpito di striscio da uno
shapnel, ma dopo una medicazione sommaria ero nuovamente col fucile
in mano a sparare, a sparare, a ricaricare e sparare, senza sapere dove ed
a chi, perché il fumo e la nebbia ci impedivano di vedere. [...] Il giorno
ci fu il grande scontro. Noi vigilavamo il fi ume e loro giunsero dalla
campagna, a decine di migliaia. In fondo alla strada si sentiva il crepitare
delle mitraglie e non sapevamo più da che parte stesse il nemico. Qual-
cuno urlava degli ordini e ci parve di capire che dovevamo ripiegare.
Oltre il fi ume, le macerie di alcune case si distinguevano appena in
mezzo al fumo ed alla polvere sollevata dalle nostre cannonate. Alcuni
drappelli di soldati austriaci cercavano di calare in acqua dei pontoni
per forzare le nostre difese. Sparammo all’impazzata fi n quasi ad esau-
. I luoghi e i segni della memoria
rire le scorte di munizioni che stavano nella trincea. I nostri mitraglieri
facevano miracoli con le loro Fiat raff reddate ad acqua, che ogni tanto si
inceppavano per l’eccessivo riscaldamento della canna. Li ricacciammo,
e – a darci man forte – arrivarono gli «arditi» che caricarono la valanga
nemica all’arma bianca compiendo un massacro, mentre noi tenevamo a
bada i nemici che tentavano di attraversare il fi ume.
Fu una giornata tremenda. Alle grida dei nostri si aggiungevano i ran-
toli degli austriaci morenti, fulminati sul greto dai nostri colpi ed abban-
donati al loro destino da compagni che li avrebbero soccorsi solo al so-
praggiungere della notte. Io – «ragazzo del ’» – coi piedi aff ondati nel
fango della trincea, pregavo ed imprecavo insieme, senza avere coscienza
di quello che mi stava attorno. In quell’indimenticabile chiarore di un
tramonto di sangue, mentre le ombre lunghe delle macchie di acacie
stendevano una coltre pietosa sui corpi di tanti compagni che avevano
parlato con me poco prima, scherzando sull’idea della morte, come fosse
soltanto un gioco.
Il battistero non è solo un punto di arrivo e di partenza per le memorie di questi reduci, ma qualcosa di più: nelle intenzioni del-l’associazione e del suo presidente onorario, il comm. Arturo Radici Valenti, oltre che «monumento ai Caduti», rappresenta il segno tan-gibile di una volontà di superamento della Guerra in nome di ideali più “alti” quali la Pace e la Fratellanza.
L’intento della cerimonia inaugurale è stato infatti quello di un ar-monizzarsi delle diverse memorie, compiendo prima un battesimo collettivo di bambini italiani, ungheresi, germanici ed austriaci, e cioè delle quattro nazionalità che si diedero battaglia nel ’-’, e poi promuovendo un incontro fra i reduci delle stesse nazionalità.
In realtà l’evento si è risolto in un aspro scontrarsi di memorie, come viene ricordato in un articolo dell’«Avvenire» del giugno forzatamente dai toni neutri, e nella testimonianza orale da parte di don Modulo, offi ciante della cerimonia:
Un paio d’anni or sono venne ospitato a Fossalta, per l’inaugurazione
del Battistero della Pace [in realtà siamo nel giugno , N.d.R.], dedicato ai «Ragazzi del ’», un gruppo di «ragazzi» che, durante la
Grande Guerra, combattè sulla sponda opposta del Piave.
di qui non passeranno
Non erano ormai più «ragazzi», ma vecchi, e, nel lungometraggio girato
con mezzi di fortuna da un regista dilettante loro compatriota, evocava-
no i ricordi. Indomiti sempre, però. Neanche sette lustri di duro regime
comunista, con Rakosi prima e poi con Kadar, gli avevano insegnato
nulla. Nulla della mitezza che pure deve essere nella convivenza civile.
Erano Ungheresi, Magiari. Nelle loro vene scorreva il sangue dei
barbari più feroci, dagli Unni, ai Gepidi, agli Avari; nell’inconscio la
puszta; nelle membra ormai arrese alla vecchiaia, ancora sussultava
l’energia selvaggia del nomade. Duri. Cattivi. Solo gente così poteva
resistere due settimane ai carri sovietici a Budapest. Duri, cattivi anche
nell’esilio.
Eccetto uno, un vecchio gentiluomo rassegnato, che era orefi ce e che il
regime comunista aveva trasformato in orologiaio (ebreo probabilmen-
te), nessuno che abbia espresso riconoscenza ai Fossaltini per il calore
umano dimostrato e l’ospitalità off erta.
Al contrario, rievocavano i loro crimini di guerra con primeva inco-
scienza, facevano del sarcasmo sui nostri soldati, erano ancora rancorosi
con quegli smidollati d’Austriaci che li avevano «traditi» nel ’.
Parlavano così:
«Mi ricordo che ci passò in rassegna il re Carlo» (per loro, l’austriaco
imperatore era il «re». Ricordate: impero d’Austria, ma regno d’Unghe-
ria?)
«Fu subito dopo la battaglia di B...»
«Ah sì! Ricordo. Fu quando usammo per la prima volta i gas...74 Era
una novità, per gli italiani... Che strage! Quanti ne ammazzavamo...!»
«Dopo, quando facevano prigioniero uno di noi, e riconoscevano le
mostrine del “Battaglione Armi chimiche”, l’impiccavano sul posto...»
«A Pederobba, nel giugno del ’, passammo dall’altra parte del Piave.
Sorprendemmo una pattuglia italiana...»
«Alcuni li abbiamo ammazzati subito. Gli altri, appena ci vedono, but-
tano via i fucili, e se la danno a gambe... Non erano molto coraggiosi, i
soldati italiani...»
«Gli uffi ciali austriaci ci tradirono...»
«Se avevamo uffi ciali nostri...! Vincevamo la guerra...!»
Un popolo così, ci chiediamo, può avere dei Santi? L’unico santo un-
gherese che ci viene in mente, è Szent Istvan, quello della corazzata.
Ma poi?4
. I luoghi e i segni della memoria
L’evidente acrimonia dell’autore dell’articolo è indice che l’espe-rimento di riconciliazione delle memorie tentato dai nostri «ragazzi del ’» non ha avuto successo.
L’inaugurazione del battistero ha avuto eco nei maggiori quotidia-ni locali – «Gazzettino», «Nuova Venezia» –, nelle colonne de «La notte» di Milano, ma solo Vittorio Franchini, de «La voce del Sud», in un articolo del luglio sembra averne colto i signifi cati più immediati e meno reconditi cui abbiamo accennato poco innanzi.
E queste intenzioni sono ulteriormente confermate dalla decisio-ne dell’autorità comunale di festeggiare la ricorrenza innalzandola a giornata della Pace con la realizzazione di un busto di bronzo dedicato alla memoria del gen. Carlo Alberto Dalla Chiesa nella giornata della Pace del giugno e intitolando una nuova via cittadina al vice questore Alfredo Albanese, ucciso dalle Bri-gate rosse, in occasione della giornata della Pace del settembre .
Il cimitero
Il terzo momento organizzativo della memoria monumentale della
Grande Guerra è infatti quello che – smantellati i piccoli cimiteri di
guerra originari, immediatamente a ridosso dei luoghi dei combattimen-
ti – porta alla erezione dei giganteschi edifi ci.5
Fossalta, nell’ambito cimiteriale, non fa eccezione. Nel nel suo cimitero vennero poste le salme di caduti: austriaci e italiani, recuperate nella campagna circostante; ad ognuna fu assegnata una croce di legno con una piastrina di ottone indicante nome, cognome, età grado e luogo di nascita, come suggerito dal sa-grestano Antonio Velludo che ne compilò anche un elenco scritto.
Per questo «Cimitero Militare»6, dedicato alla Medaglia d’oro Sa-loni Soccorso, inaugurato uffi cialmente nella primavera del , venne innalzato un monumento di massi rocciosi, sormontato da una croce, da una lampada votiva a forma di tripode e da simboli di guerra, come il fucile, l’elmetto, bossoli di cannone: una evidente
di qui non passeranno
interrelazione di codici civili e religiosi, inclini entrambi al patriot-tismo7.
Un’iscrizione bronzea ricorda l’eroismo dei soldati e la ricono-scenza loro dovuta da parte della città di Venezia:
I soldati d’Italia – primi al cimento – forti nella titanica gesta – immolati
nell’ultima guerra – per l’indipendenza nazionale – qui gloriosi vivono
– nella memoria dei posteri.
Il comitato per le onoranze ai Caduti in difesa di Venezia.
Estremamente interessante il riferimento all’indipendenza nazio-nale, quasi a voler dimostrare che il signifi cato della Grande Guerra come quarta guerra d’indipendenza sia stato almeno in parte rece-pito e non del tutto dimenticato.
Nel le salme degli italiani vennero traslate a Fagarè e rac-colte nel famoso Ossario; a Fossalta rimangono soltanto i resti dei soldati austriaci che, nel luglio , per la nuova sistemazione e ampliamento del cimitero, furono riesumati e messi in un modesto loculo comune, segnato da una lapide, unico ricordo del cimitero di guerra.
L’altare ai Caduti
Come segno di memoria storica va citato l’altare ai Caduti che si trova nella chiesa parrocchiale di Fossalta. Si tratta di un dono fatto dai genitori fossaltini privati dei fi gli dalla Grande Guerra, nel , ed è accompagnato da una suggestiva pala, opera del pittore trevi-giano Gino Borsato, che raffi gura un soldato moribondo visitato dal Cristo e confortato da un angelo.
Suggestiva perché mostra, una volta di più, come la guerra sia esplicitamente entrata nella zona d’interesse del pubblico e del sa-cro, che se ne fa carico e sembra quasi volerne gestire la rappresen-tazione come una sorta di messa in scena del culto dei morti per la patria in uno spazio sacro.
. I luoghi e i segni della memoria
Il capitello di Sant’Antonio
Storia curiosa quella del capitello di Sant’Antonio, che si lega an-che alla presenza di Ernest Hemingway a Fossalta, ma soprattut-to ha costituito un estremo punto di riferimento devozionale per i soldati della Grande Guerra che combattevano a pochi passi da lì. Il capitello, collocato presso il caposaldo più importante nella battaglia del Piave, la famosa osteria di Sant’Orsola successivamente ribattezzata «Osteria di Fossalta», spiccava ancora di più per essere rimasto intatto nella generale distruzione circostante.
Come testimonia Hemingway/Frederic Henry in un episodio di Addio alle armi quando, ricevendo in dono dalla fi danzata Cathe-rine Barkley una delle statuine di Sant’Antonio che si acquistavano davanti al capitello dell’Orsola aff ermò «dicono che un S. Antonio porta bene», esso assume un signifi cato vagamente pagano di ele-mento salvifi co o, semplicemente, di “portafortuna” per i numerosi fanti che vi transitano diventando così, per un tortuoso processo di scambio di signifi cati, punto di riferimento della loro semplice religiosità.
Anche monsignor Albino Schileo, prete soldato e testimone della battaglia aff erma che
da quelle parti S. Antonio valeva assai più del Padreterno. Sue meda-
gliette e statuine, dentro una piccola capsula di metallo bianco, andava-
no a ruba tra i soldati.
Il persistere nella memoria collettiva di Fossalta del culto del santo con il tempo si è sfaldato, come ben si esplica in occasione di un’in-chiesta8 di un inviato della «Nuova Venezia», Luciano Ferrario, che scopre come il capitello risparmiato dalle artiglierie non sia soprav-vissuto alla dabbenaggine di alcuni amministratori comunali che nel lo hanno tolto per fare posto a una nuova circonvallazione e hanno affi dato la statua di Sant’Antonio a un privato appassionato di raffi gurazioni religiose, il sign. Antonio Bardella, che ne aveva fatto richiesta.
Parliamo di persistere della memoria, perché questa inchiesta rive-la come a distanza di tanti anni il capitello e il suo signifi cato siano
di qui non passeranno
ancora ben vivi all’interno del gruppo di alcuni vecchi frequentatori dell’osteria di Fossalta e risvegli almeno all’apparenza i meccanismi di funzionamento della memoria collettiva fossaltina negli altri grup-pi che vi si identifi cano e se ne fanno portatori (e il portavoce, oltre allo studioso di Hemingway Giovanni Cecchin, è sempre la vecchia maestra Alba Bozzo seppure con molti distinguo) arrivando all’ente pubblico, cioè comunale, che si assume l’impegno di restituire al capitello tutti i suoi connotati originari di luogo della memoria.
Ora il capitello di Sant’Antonio è rimasto al suo posto, in un gabbiotto di legno a lato della via Cadorna. Ciò sta a signifi care una cosa sola: la scomparsa pressoché totale dei gruppi identifi catisi nei meccanismi, di cui si facevano pure portatori, della memoria collet-tiva legata specifi camente alla Grande Guerra.
I monumenti e le lapidi
Sul già ricordato battistero sono state collocate due lapidi: una delle quali riporta una frase di Diaz assunta dall’associazione a pro-prio motto*:
Li ho visti i ragazzi del ’
Andavano in prima linea cantando
Li ho visti tornare in esigua schiera
Cantavano ancora.
Diaz
Affi ssa al muro della «Casa Rossa» di Passo Lampòl, sede di un’as-sociazione di assistenza ai disabili, vi è un’altra lapide, dedicata ai caduti di quei luoghi, collocata sempre dall’associazione «Ragazzi del ’» il giugno in occasione del o anniversario della Battaglia del solstizio.
Appartengono a quella che Isnenghi defi nisce la «seconda onda-ta monumentale» una lapide di sicura committenza privata, non
* Pronunciata da Diaz circa i «ragazzi» inquadrati nel ° Battaglione Bersaglieri in occasione della battaglia di Moriago.
. I luoghi e i segni della memoria
ne abbiamo trovato tracce nelle delibere podestarili di quegli anni, posta in data novembre sulla facciata dell’ottocentesca villa Bortolozzi-Belloni, a Lampòl, per ricordare un glorioso episodio di resistenza al nemico dei battaglioni Ferrara ed Avellino ill giugno .
Ben più carico di signifi cati è il campanile-monumento ai Caduti, che viene ricostruito a partire dal marzo , come si evince nella delibera n. del ..9 in cui si risponde alla domanda presen-tata dalla fabbriceria comunale per l’amministrazione degli edifi ci serventi al culto pubblico e dal locale comitato per l’erigendo cam-panile-monumento ai Caduti. Scarseggiando i fondi e trattandosi dell’«opportunità di completare detta opera pubblica che riveste due nobilissimi scopi fronteggiandoli con un’unica spesa per sicuro raggiungimento del fi ne proposto» il comune decide di girare cin-que cartelle dal valore di L. ciascuna del Prestito del Littorio che era stato da poco sottoscritto.
Per decifrare questo passo della delibera, ci serviamo della illu-minante spiegazione che ne fornisce Isnenghi10, premettendo che anche a Fossalta il primo dopoguerra è carico di tensioni sociali esplicatesi in gesti concreti11:
Il comitato pro-erezione del monumento nasce anche, localmente, per
esprimere un’opzione patriottica e combattentistica di fronte a questo
tipo di recriminazioni postume [cioè le manifestazioni popolari di ran-
core e protesta, N.d.R.]. E il fatto di incentrare questa forma storica della
memoria sulla pietà e il lutto per i soldati morti – anzi, eufemisticamen-
te, caduti in guerra – è anche una maniera per sacralizzare il manufatto
e off rirgli una tutela d’ordine spirituale anche agli occhi degli avversari.
Da una parte il monumento provoca, perché sancisce il prevalere di una
scelta da molti voluta, ma da molti altri subita; dall’altra, sposta il di-
scorso dal terreno politico a quello umano, sociale e religioso. A favorire
sensi di pietà e inibire gesti ostili si aggiungono inoltre le lunghe liste di
nomi noti: concittadini, parenti, padri e fi gli, tutti i «Figli» di una loca-
lità «Caduti per la Patria».
Anche di questo troviamo traccia in un’altra delibera12, in cui il comune copre una parte delle spese del comitato locale committen-
di qui non passeranno
te fi n dal di due lapidi di marmo di Carrara, collocate ai lati della monumentale ditta campanaria, su cui sono riportati tutti i nomi dei soldati fossaltini morti nella Grande Guerra.
L’autoriconoscimento collettivo sul piano locale, la traduzione del-
l’evento a livello microstorico e la sua declinazione in termini religiosi
si manifestano non di rado nella decisione di far debordare il racconto
pubblico dalla piazza o dal municipio sulle pareti esterne della chiesa.
[...] Il presidio in comune di uno spazio sacro che dall’edifi cio parroc-
chiale si protende verso quella sorta di altare all’aperto, oltre che di mo-
numento funebre, che la collocazione, i riti, la celebrazione della Messa
faranno diventare il monumento ai Caduti, è un passo successivo che
le autorità civili e militari compiono con naturalezza. Indizio dei nuo-
vi tempi, la sacralizzazione e la clericalizzazione del nuovo monumento
pubblico derivano dal suo carattere eminentemente funebre. Alla morte
e alla commemorazione dei defunti, in un paese di tradizioni confessio-
nali quale l’Italia, presiede la Chiesa.
Per quanto riguarda Fossalta, il racconto pubblico più che de-bordare si manifesta fi n da principio tutto collocato sul versante religioso, confermato dall’erezione del battistero con connotazione di monumento ai Caduti.
Siamo pur sempre nel bianco Veneto, e lo scandire del tempo è modellato oltreché sulla vita di campagna anche sui modi religio-si che vogliono essere punto di riferimento per tutta la comunità. L’autorità comunale, ben cosciente di questo, demanda, apparente-mente senza particolari confl itti di potere, alla Chiesa e ai comitati locali tali compiti di rappresentanza e partecipazione alla vita pub-blica almeno al livello più esplicito. In altre delibere si parla anche di un «parco della rimembranza»13, che probabilmente può essere identifi cato con l’attuale parco comunale.
I nomi delle vie
La toponomastica di Fossalta contiene un elemento diversifi cante rispetto al quadro delineato da Sergio Raff aelli14, perchè si muove
. I luoghi e i segni della memoria
in notevole ritardo nella generale denominazione di vie e piazze e quindi nello sfruttamento del «luogo pubblico».
Bisognerà aspettare il 7 o Censimento generale della popolazione, in occasione del quale il podestà in carica Guglielmo Rossetto è “costret-to” a procedere a tale operazione toponomastica15, in ottemperanza alle direttive dell’Istituto centrale di statistica, affi dandola alla Com-missione comunale di vigilanza presieduta da Giuseppe Ferrari.
Dal verbale di suddetta commissione – datato febbraio – sembra si sia trattato di un’operazione abbastanza lineare senza particolari discussioni, e attenta a rispettare le disposizioni in tale materia della legge n. del giugno , che disciplina tut-tora le scelte odonomastiche dell’Italia democratica e repubblicana.
Le denominazioni richiamantesi alla Grande Guerra sono presenti in numero abbastanza consistente. Si va dai riferimenti locali (viale della Stazione, via della Favorita, via della Madonna del Soccorso, vicolo della Speranza, via Passo Lampòl, via delle Carbonere) ai rife-rimenti ad eventi e personaggi (via Giugno, via Saloni Soccorso, piazza della Vittoria, piazza Novembre, via Duca d’Aosta e via Ar-mando Diaz) e a riferimenti idealistici (via della Gloria, vicolo della Concordia, via della Conciliazione) fi no a quelli riferiti al fascismo (via Ottobre, via Benito Mussolini, via Tripoli e via Roma), per fi nire con la casa regnante (via Principe Umberto, via Vittorio Ema-nuele iii).
Nel verbale vi sono note di spiegazione per via Giugno – li-berazione del territorio comunale occupato dagli austroungarici –, via Saloni Soccorso – medaglia d’oro caduto in guerra in Fossalta di Piave –, via Favorita – antica denominazione della località – come vicolo della Speranza, mentre curiosamente via Conciliazione origi-nariamente era Febbraio, poi cancellato con un tratto di penna.
Per via Roma c’è un’apposita delibera, n. dell’ agosto , che fa riferimento alla circolare prefettizia n. datata luglio contenente «l’obbligo di intitolare strada non secondaria a Via Roma = Mussolini». Via Benito Mussolini invece viene cambiata in Aprile16 a seguito del perentorio telegramma ai prefetti del dicembre inviato dallo stesso Duce che non voleva riferimenti a sé e ai suoi familiari.
Due delibere degli anni successivi17 attestano che lo stradario non
di qui non passeranno
viene più cambiato almeno fi no al febbraio , data in cui il telegramma della prefettura di Venezia n. , in data dicembre , invita i comuni ad abolire vie e piazze intitolate a casa Savoia, come conseguenza dell’ settembre : via Vittorio Emanuele iii diventa così via Ettore Muti e via Principe Umberto diventa via G. Mazzini: si salva solo Via Duca d’Aosta, in quanto la denomina-zione viene considerata riferita direttamente alla Grande Guerra e perciò al comandante della «invitta» iii Armata.
Con la Liberazione, in un eccesso di zelo, fra le vie intitolate al fascismo viene tolta via Giugno18, in seguito prontamente re-staurata; fi no alla nuova toponomastica comunale in occasione del 9 o Censimento generale della popolazione, «le vecchie denominazioni delle strade sono rimaste invariate»19.
Da qui in poi sembra che il comune di Fossalta voglia, almeno nel-la denominazione delle vie, considerare il Fascismo e la Liberazione come la famosa «parentesi» di cui parlava De Felice richiamandosi più volentieri al periodo precedente. Ricordiamo l’apposizione sulla torre campanaria di due lapidi con i nomi dei caduti della Seconda guerra mondiale proprio sopra quelle preesistenti della Grande Guer-ra quasi a volere instaurare una ideale continuità tra i due eventi.
Per quanto riguarda specifi camente la guerra ’-’ nella delibe-ra n. del agosto si decide per la denominazione di una via dei Caduti e di una via Don Giovanni Gallina.
Negli anni Cinquanta viene deliberata l’intitolazione di una via ai «Ragazzi del ’», negli anni Settanta vi è una via riferita a Vittorio Veneto, una via a G. Roncola in anni più recenti e nel Duemila il curioso episodio20 della rettifi ca di via Soloni Soccorso in via Saloni Soccorso grazie a un cittadino di un paese limitrofo che, in occasio-ne della ricorrenza del novembre al sacrario di Fagarè della Bat-taglia, notando una lapide ricordante la medaglia d’oro Saloni Soc-corso, aiutante di battaglia leccese morto a Losson della Battaglia il giugno , segnalò l’errore al commissario generale delle ono-ranze ai Caduti di guerra, che rispose con la fotocopia dell’attestato di decorazione. Quindi il cittadino scrisse al sindaco di Fossalta di Piave e l’uffi cio anagrafe del comune rettifi cò immediatamente la toponomastica stradale in tutti gli atti comunali relativi.
Tutto ciò nel novembre .
. I luoghi e i segni della memoria
note
Sull’argomento si veda Maurice Halbwachs, La memoria collettiva, a cura di Paolo Jedlowski e Teresa Grande, Unicopli, Milano .
Mario Bernardi, Di qua e di là dal Piave, da Caporetto a Vittorio Veneto, Mursia, Milano , p. e ss.
Vedi testimonianza di Ernesto Piceni, capitolo , «I gas asfi ssianti».
Itinerari umani e non del Basso Piave, in «San Donà domani», marzo , con-tenuto in Camillo Pavan, Grande Guerra e popolazione civile, vol. I, Caporetto. Storia, testimonianze, itinerari, Pavan, Treviso , p. .
Mario Isnenghi, Le guerre degli Italiani, cit., p. .
Il cui percorso rientra nell’inquadramento generale che ne dà Antonio Gibelli nel paragrafo «Il retaggio dei morti» (p. e seguenti) in La Grande Guerra degli Italiani, Sansoni, Milano .
Mario Isnenghi, Alle origini del 18 aprile. Miti, riti, mass media, cit.
«La Nuova Venezia», gennaio .
Questa, come tutte le altre delibere citate, proviene dall’Archivio Comunale di Fossalta di Piave.
Mario Isnenghi, Le guerre degli Italiani, cit., p. e ss.
Vedi capitolo , «Il profugato (-)».
Delibera del febbraio .
Delibera n. del dicembre riguardante lavori di manutenzione di tale parco.
«I nomi delle vie», in Mario Isnenghi (a cura di), I luoghi della memoria, Editori Laterza, Bari .
Ricavabile dalla delibera del maggio .
Delibera n. del febbraio .
Delibera n. dell’ marzo e delibera n. del agosto .
Delibera n. / del luglio .
Delibera n. del ottobre .
«Notiziario» del comune di Fossalta di Piave, n. , del , p. .
Foto in apertura di capitolo: il famoso capitello con le munizioni lasciate dagli austriaci in fuga. (Archivio Cordenos)
Appendice
«È mancato ai vivi...»: i soldati fossaltini caduti nella Grande Guerra
La formula a cui si riferisce il titolo di questa appendice, dedicata all’elencazione dei fossaltini caduti nella Grande Guerra – partendo da quella precedentemente compilata da don Umberto Modulo nel suo lavoro Fossalta ai suoi Caduti – si trova spesso negli atti di morte compilati dagli incaricati dell’esercito, e trasmessi agli uffi ci dello stato civile, per essere fedelmente ricopiati nei registri mortuari.
Dalla consultazione di questi ultimi, conservati presso l’uffi cio anagrafe del comune di Fossalta, è stato possibile risalire ai nomina-tivi, non tutti purtroppo, dei soldati morti nelle varie trincee della Grande Guerra.
Il motivo della mancanza degli atti di morte di alcuni soldati può essere ipoteticamente imputato alla mancata trasmissione degli atti di morte dal ministero della Guerra all’uffi cio anagrafe del comune, alla dispersione degli stessi, oppure alla trasmissione errata di alcuni atti.
È il caso del soldato Luigi Scalon, il cui atto di morte è stato tra-smesso al comune di Ceggia, dove era residente, anziché al comune di Fossalta, dove era nato.
Un altro rilievo riguarda il caso inverso, e cioè i soldati fossaltini i cui atti di morte sono stati ritrovati nei registri e che non fi gurano nell’elencazione dei caduti di don Modulo, corrispondente a quella delle lapidi apposte sul campanile in onore dei morti delle due guer-re mondiali. È la sorte toccata a Nardo Ruggero, Conte Antonio e Feltrin Emilio.
Negli atti trasmessi dal ministero della Guerra, trascritti fedel-mente nella sezione speciale dei registri mortuari, la ii C, sono con-servati tutti i dati relativi alle circostanze della morte dei soldati: ci ha permesso di stilare la seguente tabella.
La quale è stata strutturata in sei caselle: nome e cognome, data di nascita, grado, unità di appartenenza, data di morte, età, causa di morte, località di morte e prima sepoltura.
di qui non passeranno
La maggior parte degli atti è stata riportata nei registri degli anni compresi fra il ’ e il ’, altri si trovano oltre questa data spartiac-que, fi n quasi al secondo dopoguerra.
Si è cercato di riportare i dati più possibilmente attendibili, essen-dovi spesso problemi di omonimia fra i vari referti consultati, oltre-chè diffi coltà nella decifrazione della calligrafi a, a volte poco chiara, degli uffi ciali civili fossaltini addetti alla registrazione.
I lettori fossaltini troveranno probabilmente qui citati il proprio nonno o bisnonno, quando non si va ancora più su nella scala ge-nealogica. Forse potrebbe venire loro la curiosità di cercare qualche notizia in più su questo antenato, quando non ne conoscono già bene la storia e magari sono in possesso di documenti a lui legati. Questa tabella è un lavoro in divenire, è cioè aperta a qualsiasi con-tributo possa venire, e potrebbe magari trattarsi proprio dei lettori di cui si parlava poc’innanzi. Quindi con le loro notizie, qualora volessero fornirle all’Autore, la tabella potrebbe risultare ancora più completa e costituire un ultimo, sentito, omaggio a quei giovani soldati fossaltini caduti per la Patria.
Appendice
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Foto in apertura: il cimitero militare, «Saloni Soccorso» dove nel fu-rono sepolti caduti: i di parte austriaca sono ancora lì, raccolti in un loculo comune, mentre i di parte italiana sono ospitati nel grande sacrario di Fagarè. (Archivio Modulo)In questa pagina, dall’alto: a un Comando di reggimento presso Scolo Palumbo. (Archivio Cordenos); arrivo o Lancieri Milano.
Appendice
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Gioacchino Volpe, Il popolo italiano nella Grande Guerra, Luni, Roma
Bibliografi a
Rosa dei venti
Carattere: questo libro è stato composto in Garamond. Riconosciuto come uno dei migliori caratteri da stam-pa mai incisi, il Garamond fu disegnato a Parigi, nella prima metà del xvi secolo, dallo stampatore Claude Garamond (1480-1561), il quale prese ispirazione (per-fezionandolo) dal modello più antico dei caratteri da stampa, sviluppatosi specialmente in Italia tra la fi ne del Quattrocento e l’inizio del Cinquecento.
Carta: il volume è stato stampato su carta Arcoprint Edizioni da 100 gr/mq delle cartiere Fedrigoni.
Redazione, grafi ca e impaginazione: Mirko Visentin (www.mimisol.it).
Stampa: fi nito di stampare nel mese di febbraio 2008 per conto di Edizioni del Vento presso Grafi che Antiga Spa – Crocetta del Montello (tv).