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imperiale. Dopo la restaurazione, la potenza di Wicar svanì e la sua ambizione si riversò tutta sull' arte, covando forse, alla fine, sentimenti non sempre sereni. Nel suo testamento Wicar legò alla Accademia di San Luca il putto, alcune stampe, e due quadri propri, un bozzetto e un autoritratto. Donazione assai poco generosa, se il putto era un falso! Sono noti i docu- menti relativi alla donazione e la ricevuta rilasciata il maggio 1834 dalla Accademia agli eredi per" Un putto dipinto a fresco sul muro che dicesi dell'immor- tale Raffaello, ritoccato dal Lod.to Cav.e Wicar ". 45) Altro che ritoccato! La parola dicesi mostra almeno un'ombra di dubbio sulla paternità di Raffaello, ombra poi scomparsa in tutti gli storici e critici posteriori. Non è mancato anzi chi, come s'è detto, ha considerato il putto della San Luca superiore a quello in Sanr' Ago- stino. 46) Il frammento fu sempre considerato una gemma della Galleria dell' Accademia e fu oggetto di ogni cura e di restauri. 47) L'abitudine a considerare un'opera come originale, la persistenza di una tradizione letteraria e critica diventano spesso ostacoli insormontabili. Per questo credo che non mancherà chi obbietti che, nonostante tutto, non è stato affatto dimostrato in questo articolo che il putto sia un falso. Ma lo scrivente può rispon- dere capovolgendo l' obbiezione: è ancora da dimo- strare che il putto sia un originale. Tutto il materiale raccolto nel presente articolo ha lo scopo preciso di impostare il problema su dati esatti e perciò stesso di contribuire a una sua definitiva risoluzione. PICO CELLINI NOTA TECNICA SUL RESTAURO Le costatazioni tecniche, che via via ho annotato durante il restauro dell'Isaia in S. Agostino, sono state argomento di mutuo scambio d'idee e deduzioni tra me, che materialmente andavo operando, e l'Ispettore ai Monumenti Luigi Salerno, preposto a seguire il lavoro. Così è avvenuto che le vecchie notizie delle fonti abbiano acquistato nuovo significato e che si siano rag- giunti più precisi accostamenti alla verità. Tuttavia resta ancora da aggiungere qualche ragguaglio stret- tamente tecnico, che, seppure arido e di limitato inte- resse, sembra necessario per la completa informazione. Il dipinto, che all'atto del restauro risultava inte- gralmente ripassato da ottocentesche velature e da arbitrarie rielaborazioni a tempera e ad acquarello, aveva già subìto in epoca precedente vaste ridipinture ad olio, soprattutto nei panneggi, ed un tentativo di ravvivamento purtroppo effimero e dannoso, operato in antico con un beverone d'olio di lino. La polvere, il fumo delle candele e quello di un incendio, le successive FIG. 13 - VATICANO, STANZA DI ELIODORO - pENNI: PUTTO CON L'ANELLO MEDICEO, AFFRESCO FIG. 14 - VATICANO, MUSEO PIO CLEMENTINO - SCUOLA DI RAFFAELLO: AFFRESCO GIÀ SUL CAMINETTO DI GIULIO II 93 ©Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo -Bollettino d'Arte

dicesi mostra almeno - Bollettino d'Arte · mento di pittura murale, posseduto dall' Accademia di S. Luca, è tutt'altro che risolto. Quando sopravvenne la curiosità di stabilire

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Page 1: dicesi mostra almeno - Bollettino d'Arte · mento di pittura murale, posseduto dall' Accademia di S. Luca, è tutt'altro che risolto. Quando sopravvenne la curiosità di stabilire

imperiale. Dopo la restaurazione, la potenza di Wicar svanì e la sua ambizione si riversò tutta sull' arte, covando forse, alla fine, sentimenti non sempre sereni.

Nel suo testamento Wicar legò alla Accademia di San Luca il putto, alcune stampe, e due quadri propri, un bozzetto e un autoritratto. Donazione assai poco generosa, se il putto era un falso! Sono noti i docu­menti relativi alla donazione e la ricevuta rilasciata il l° maggio 1834 dalla Accademia agli eredi per" Un putto dipinto a fresco sul muro che dicesi dell'immor­tale Raffaello, ritoccato dal Lod.to Cav.e Wicar ". 45)

Altro che ritoccato! La parola dicesi mostra almeno un'ombra di dubbio sulla paternità di Raffaello, ombra poi scomparsa in tutti gli storici e critici posteriori. Non è mancato anzi chi, come s'è detto, ha considerato il putto della San Luca superiore a quello in Sanr' Ago­stino. 46) Il frammento fu sempre considerato una gemma della Galleria dell' Accademia e fu oggetto di ogni cura e di restauri. 47)

L'abitudine a considerare un'opera come originale, la persistenza di una tradizione letteraria e critica diventano spesso ostacoli insormontabili. Per questo credo che non mancherà chi obbietti che, nonostante tutto, non è stato affatto dimostrato in questo articolo che il putto sia un falso. Ma lo scrivente può rispon­dere capovolgendo l' obbiezione: è ancora da dimo­strare che il putto sia un originale. Tutto il materiale raccolto nel presente articolo ha lo scopo preciso di impostare il problema su dati esatti e perciò stesso di contribuire a una sua definitiva risoluzione.

PICO CELLINI

NOTA TECNICA SUL RESTAURO

Le costatazioni tecniche, che via via ho annotato durante il restauro dell'Isaia in S. Agostino, sono state argomento di mutuo scambio d'idee e deduzioni tra me, che materialmente andavo operando, e l'Ispettore ai Monumenti Luigi Salerno, preposto a seguire il lavoro. Così è avvenuto che le vecchie notizie delle fonti abbiano acquistato nuovo significato e che si siano rag­giunti più precisi accostamenti alla verità. Tuttavia resta ancora da aggiungere qualche ragguaglio stret­tamente tecnico, che, seppure arido e di limitato inte­resse, sembra necessario per la completa informazione.

Il dipinto, che all'atto del restauro risultava inte­gralmente ripassato da ottocentesche velature e da arbitrarie rielaborazioni a tempera e ad acquarello, aveva già subìto in epoca precedente vaste ridipinture ad olio, soprattutto nei panneggi, ed un tentativo di ravvivamento purtroppo effimero e dannoso, operato in antico con un beverone d'olio di lino. La polvere, il fumo delle candele e quello di un incendio, le successive

FIG. 13 - VATICANO, STANZA DI ELIODORO - pENNI: PUTTO CON L'ANELLO MEDICEO, AFFRESCO

FIG. 14 - VATICANO, MUSEO PIO CLEMENTINO - SCUOLA DI RAFFAELLO: AFFRESCO GIÀ SUL CAMINETTO DI GIULIO II

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FIG. 15 - HAARLEM, TEYLERS MUSEUM - SECOLO XIX: STUDIO DAL PROFETA ISAIA, DISEGNO

mani di colletta e di miele, le verniciature alla cera e alla paraffina s'erano stratificate con gli anni, pro­ducendo un offuscamento veramente incredibile.

Essendo il primo lavoro quello della pulitura, furono fatti opportuni saggi, poi collaudati dall'apposita com­missione. Allora si decise di fare anche delle fotografie agli infrarossi, per stabilire con sicurezza le parti sulle quali maggiormente si sarebbe dovuto insistere. Tra l'altro il profeta Isaia presentava nel grembo un'illogica ombra proiettata dal suo braccio sinistro, sostenente la parte alta del rotolo. E soprattutto di quest'ombra, che dalla reazione della materia sotto i solventi si dimo­strava aggiunta, era prudente documentarsi; e dimo­strare anche con mezzi obbiettivi e non opinabili la liceità della sua rimozione. Ormai tale aspetto dell'af­fresco era in certo modo codificato dal tempo, attra­verso le vecchie copie e riproduzioni varie, e facilmente ci si sarebbe potuto imputare di aver svelato un penti­mento, o peggio def~e rifiniture a secco originali .

Le fotografie agli infrarossi, eseguite dagli operatori dell'Istituto Centrale del Restauro, si sono rivelate vali­dissime per provare in maniera certa che si era nel giusto, ed in più sono state una guida veramente eccellente nell' esecuzione di questo delicato lavoro di ricerca delle parti originali (fig. 2).

Per ritogliere tutta la sopra struttura d'imbratti ci si giovò di solventi volatili, perchè si convenne fosse

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preferibile evitare per quanto possibile i lavaggi, che, se anche in teoria si ritenga siano innocui all'affresco, pure finiscono per mettere in movimento i sali conte­nuti nei materiali costituenti il muro, l'intonaco e la pellicola cromatica, determinando in superficie, nel successivo essiccamento, un' effiorescenza di cristalli filiformi, il cosiddetto salnitro.

Dopo la pulitura generale, s'è trattato di dissolvere ogni singola macchia e restante ridipintura, con l'ap­propriato solvente, blando o violento a seconda della particolare resistenza di quel che andava tolto.

Procedendo in tal modo, ogni dettaglio autografo dell' opera è stato messo in evidenza, e a noi e a tutti quelli che hanno avuto agio di osservarla da vicino, stando sul palco, essa è apparsa in tutta la sua magi­strale perfezione tecnica.

Escluse alcune riprese a vernice, di cui poi si dirà, il dipinto fu eseguito tutto a buon fresco con una felicità e sicurezza prodigiose in sole quattro giornate di la­voro, come s'è potuto chiaramente constatare seguendo gli attacchi nei successivi campi d'intonaco. Nel primo sono contenuti entrambi i genietti che sorreggono l'en­carpo e la tabella con la dedica in greco: difatti un' unica sutura li collega al resto, come può seguirsi nel grafico a fig. 16.

La traccia, partendo dal ripiano del postergale della cattedra, su cui poggiano i piedi del putto di sinistra, risale lungo il bordo del manto su per la spalla, fino al sommo del velo del capo del profeta, per discendere a destra lungo il cartiglio col testo della profezia, e raggiungere la linea del piano sotto i piedi dell'altro genietto. In questa prima porzione dell'af­fresco come nelle successive, Raffaello si attenne al disegno dello spolvero battuto sull'intonaco appena steso, spolvero ch' era stato tratto da un cartone a gran­dezza naturale già avanti preparato, poi sommariamente fermando con tratti leggeri di graffietto le linee mosse dei vari panneggi, e incidendo quelle dei netti profili architettonici; solo ai limiti avvolgenti delle carni si rinvengono le file dei punti neri dello spolvero, che nella maggior parte furono rispettati, tanto precisa era nella visione dell'artista la realizzazione dell'immagine. Alla povertà degli ingredienti materiali (poche comuni terre naturali, solo un po' di smalto per l'azzurro del manto), egli aggiunse una ricchezza inusitata di mezzi pittorici: per cui l'opera risulta intrisa di corposità coloristica, e palpita e vive su quella muraglia, come pochi altri esempi dell'arte dell'Urbinate.

La seconda giornata di lavoro va dal capo del profeta alla radice del busto comprese le due braccia e il car­tiglio ; la terza contiene l'ampio panneggio composto sull'anca e sulla gamba destra, la quarta ed ultima, la gamba sinistra nuda col mirabile ginocchio. È questo un pezzo famoso e leggendario di grande stile, dove il modellato è ottenuto con un impasto sapiente di toni

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freddi e caldi, contesti gli uni con gli altri ; dei colpi di pennello sono condotti quasi a plasticare nel fresco dell' intonaco il vario andamento delle stria tu re dei muscoli e dei legamenti, sotto il pannicolo adiposo del­l'epidermide.

Una volta compiuto l'affresco ed essiccato l'intonaco, Raffaello tornò sulla sua opera per riprenderla con alcune velature e ritocchi. Mise a foglia d'oro la cor­nice della tabella, che profilò e chiaroscurò con del colore nero, legato con la stessa vernice diluita con olio che gli era servita come mordente per attaccare l'oro sulla calcina. Di questo medesimo veicolo si avvalse pure per intridere alcuni pochi colori, tra cui una terra verde, con la quale rinforzò di tono la maggior parte delle foglie dell' encarpo, risultate troppo uniformi e chiare. Anche alcune frutta furono abbassate di tono con una densa vela tura di lacca bruno-rossa, di cui ho pure trovato tracce negli incarnati. Le ombre della veste azzurra furono rafforzate con radi punti d'oltre­mare, con un divisionismo desunto dalla tecnica del mosaiCO.

Questa ricerca di movimento nel colore fu anche rag­giunta in alcune parti con strigliature dell' intonaco a pittura ultimata, mentre ancora la superficie era umida ; per cui i corpi dei due genietti, nelle parti smorzate d'ombra, risultano striati, secondo una logica costru­zione anatomica, da ampie calca tu re che variano il tono del colore e che suscitano particolari vibrazioni, ricercate dall' artista ai lati della figura principale.

La ragionevole e conveniente datazione dell'affresco al 1512 può suggerire, nello svolgimento della visione di Raffaello, che ci si trovi già al momento dell' espe­rienza veneta. Certo fu eseguito dopo la Galatea, fatta a prosecuzione del Polifemo di Sebastiano del Piombo, la cui veste azzurra in contrasto con l'incarnato acceso è più prossima a quella dell'Isaia che non quella di azzurro spento dei Profeti della Sistina: per cui potrebbe anche immaginarsi una mediata lezione dal Fondaco dei Tedeschi pervenuta all'Urbinate. Tuttavia quel che predomina è il gusto delle campiture delle tinte in chiari toni locali (giallo il manto, azzurra la veste, violaceo il velo, rosa le carni), a testimoniare della particolare gamma coloristica di Raffaello, rifacentesi sempre a soluzioni umbre e toscane.

Infine deve chiarirsi che il problema tecnico del fram­mento di pittura murale, posseduto dall' Accademia di S. Luca, è tutt'altro che risolto. Quando sopravvenne la curiosità di stabilire il rapporto che esisteva tra il putto e l'affresco dell ' Isaia, l'unica certezza raggiunta fu che le due opere fossero interdipendenti, e che tutta falsa fosse la storia della provenienza vaticana. Il dipinto è stato ed è oggetto di giustificata ammirazione, rac­chiuso nella teca di cristallo che lo protegge, perchè -sia esso una riedizione o una tarda replica - vive per l'essenza di un' immarcescibile idea di Raffaello.

FIG. 16 - IL PROFETA ISAIA, DOPO IL RESTAURO, CON LA INDICAZIONE DEGLI" ATTACCHI" DEI SUCCESSIVI CAMPI

DI INTONACO

Il frammento pittorico (lo chiamo così perchè ancora non sappiamo se si tratti di affresco, tem­pera o encausto) ha una se pur tenue possibilità di essere quel che resta della prima stesura del­l'affresco del profeta Isaia rammentata dal Vasari, nel caso che, ad esami finiti nel laboratorio di ricer­che scientifiche dell'Istituto Centrale del Restauro, esso risulti realmente di esecuzione raffaellesca e in affresco.

In questo caso si dovrebbe ricostruire la vera storia del frammento, supponendo che al Goritz, avanti di essere assegnata la parete del terzo pilastro della nave mediana di S. Agostino, per erigervi l'altare di S. Anna, fosse stata concessa una delle cappelle absi­date lungo le navi minori: perchè solo la centina di un catino potrebbe giustificare l'andamento curvo del frammento.

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I) Il restauro è stato eseguito a spese di un cittadino americano che ha offerto alla Soprintendenza ai Monumenti di Roma di assumersi l'onere della spesa in forma anonima, al solo scopo di compiere un gesto di amicizia per gli italiani e di amore per l'arte. La Soprintendenza ai Monumenti, che di concerto con la Soprintendenza alle Gallerie aveva già dato inizio ad un pro­gramma di restauri integrali dell 'interno di Sant'Agostino, assunse la direzione del lavoro incaricando il restauratore prof. Pico Cellini di installare un ponteggio per esaminare l'affresco da vicino. Veniva poi chiesto il parere del Soprintendente alle Gallerie prof. Emilio Lavagnino e del Direttore dell' Istituto Centrale del Restauro, prof. Cesare Brandi, che metteva a di­sposizione le attrezzature dell ' Istituto per le eventuali analisi e per le fotografie a infrarossi e ad ultravioletti . Dopo i primi saggi e le necessarie documentazioni fu iniziata la pulitura nel set­tembre 1959 e il restauro fu ultimato alla fine di dicembre dello stesso anno.

2) J. D . PASSAVANT, Raffaello d' Urbino e il padre suo Giovanni Santi, Lipsia 1839; edizione citata, Firenze 1882, II, pp. 129-131, n. 84.

3) G. B. CAVALCASELLE, Raffaello, la sua vita e le sue opere, 1884-91, II, p. 202 ss.

4) L. PASTOR, Storia dei Papi, III, p. 726. 5) C. GAMBA, Raphaiil, Paris 1932, p. 70. 6) O. FISCHEL, Raphaiil, London 1948, I, p. 363. 7) E. CAMESASCA, Tutta la pittura di Raffaello, Milano 1956. 8) Il contratto è citato da A. C. DE ROMANIS, La Chiesa di

S. Agostino di Roma, Roma 1922, p . 18 ss. Ne ho consultato il testo integrale nella trascrizione esistente negli Archivi Generali, Collegio Internazionale di S. Monica, in Via del Santo Uffizio a Roma. Dal testo risulta il permesso di erigere l'altare sul pilastro mediano della chiesa di fronte al pilastro nel quale doveva essere eretto un altro altare con un gruppo marmo reo rappresentante la pietà e la Beata Vergine. Inoltre era concesso al Coritz di costruire la sua sepoltura davanti all'altare da lui eretto e di porvi una pietra tombale; ma questa non è più conservata.

9) Sul gruppo del Sansovino vedi G. HAYDN HUNTLEY, Andrea Sansovino, Cambridge, Mass. 1935, p. 65 ss.

IO) G. CELIO, Memorie de nomi degli artefici ... di Roma, Napoli 1638, p. 16.

II) Per le incisioni e le copie dell'Isaia vedi PASSAVANT, op. cito 12 ) G . GALBIATI, Itinerario per il visitatore della Biblioteca

Ambrosiana, deNa Pinacoteca e dei monumenti annessi, Milano 1951, p. 220.

13) Eseguita prima del 1764. Die Staatliche Gemiildegalerie zu Dresden, 1929, p. 49, n. 95·

14) Per la data della rimozione del gruppo del Sansovino vedi DE ROMANIS, op. cito Inoltre F. TITI, Descrizione delle pitture ... in Roma, 1763, p. 403, precisa, circa la seconda cappella della navata sinistra della chiesa : "Ma ultimamente in vece del­l'Assunta [di Guidubaldo Abbatini; cioè una tela, citata nelle edizioni precedenti dello stesso Titi] v'è stato posto il gruppo d'Andrea Sansovino che rappresenta Gesù, la Madonna e S. Anna ".

15) L. RÉAU, Iconographie, II, I, p. 365 S. 16) Sul Goritz vedi L. GEIGER, in Vierteljahrschr. fiir Kultur

und Litt. der Renaissance, I, 1886, p. 145 sS. 17) Per "Coryciana" oltre ad un introvabile articolo di D .

GNOLI, in Riv. italiana 1898, vedi V. GoLZIO, Raffaello nei docu­menti, nelle testimonianze dei contemporanei e nella letteratura del suo secolo, Città del Vaticano 1936, p . 208.

18) G. VASARI, Le Vite, ed. Milanesi, Firenze 1879, IV, p. 339 S. 19) F. BALDINUCCI, N,otiz ie de' professori del disegno da Cimabue

in qua, Firenze 1769, TV, p. 133. 20) J. RICHARDSON, Traité sur la peinture, III, p. 154. 21) A. R. Mengs, Lettera di A. R. Mengs ad un amico sopra

il principio, progresso e decadenza delle arti del disegno, in Opere di A . R . Mengs, pubblicate dal Cavalier M . D'Azara, Bassano 1783, II, pp. II4-115.

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22) F . TITI, Studio di pittura, scultura e architettura nelle chiese di Roma, Roma 1675, p. 245.

23) L. PUNGILEONI, Elogio storico di Raffaello Santi da Urbino , Urbino 1829, p. 128 sS.

24) PASSAVANT, op. cito Il punto di vista è condiviso da QUA­TREMERE DE QUINCY, Histoire de la vie et des ouvrages de Raphael, Paris 1824, p. 76 S.

25) G. MILANESI, in VASARI, op. cito 26) G. DEHIo, Kunsthist. Aufsiitze, Miinchen-Berlin 1914, p. 214. 27) A. VENTURI, Raffaello, 1920, p. 180. 28) L. SERRA, Raffaello, Roma 1930, p. 68. 29) C. GAMBA, op. cit., p. 70 s. 30 ) S . ORTOLANI, Raffaello, Bergamo 1942, p. 42. 31) R. LONGHI, Officina Ferrarese, Firenze 1934. 32) A. VENTURI, Disegni di Raffaello nei Musei Teyler di

Haarlem e Wallraf-Richartz di Colonia, in L 'Arte, XXIV, 1921, pp. 19-23, fig. I.

33) FISCHEL, op. cit., val. I, p. 193; voI. II, fig. 99. Il Venturi mise in rapporto il disegno con il putto in S. Agostino. Il tra­duttore del Fischel in una nota suggerisce che la presenza del­l'anello mediceo indica che fosse uno studio preparatorio per il putto della Accademia di S. Luca che in origine avrebbe sorretto lo stemma di Giulio II su un caminetto in Vaticano. Cosa ine­satta, come vedremo. Del resto l'emblema mediceo non poteva avere a che fare con il caminetto di Giulio II, che era un Della Rovere.

34) PUNGILEONI, op. cito 35) A. TAJA, Descrizione del Palazzo Apostolico Vaticano,

Roma 1750, p. 410. 36) G. P. CHATTARD, Nuova descrizione del Vaticano, Roma

1763, III, p. 136. 37) E. M UNTz, Raphael, Paris 1900, p. 219. Altri parla di ana ­

logia o di replica. G . BERNARDINI, Le pitture nell'appartamento di Innocenzo VIII in Belvedere in Vaticano , in Rassegna d'arte, XVIII, 1918, p . 185 sS. lo considera autografo.

38) DEHIO, op. cito 39) Per questo affresco vedi C. PIETRANGELI, Il Museo Cle­

mentino Vaticano, in Rendiconti della Pontificia Accademia di Archeologia, XXVII, 1951-52, p. 100. Il prof. Pietrangeli per primo ha messo in rilievo l'esistenza dell'affresco del caminetto e l'equivoco nella bibliografia raffaellesca. Debbo al prof. Pie­trangeli la precisa notizia del pagamento al restauratore, Tomma­so Albertini, il 16 aprile 1772 "per aver messo in opera una chappa di camino dove ci era dipinta un arma del Papa con certi putti sopra la porta di detto Museo" (Giustificazioni del Museo Clementino, Archivio di Stato, Camerale, Antichità e Belle Arti n . 308).

40) PASSAVANT, op. cito 4 1) G . ANSALDI, Documenti inediti per una biografia di G. B.

Wicar, in Memorie della R . Accademia Nazionale dei Lincei, voI. V, 1936, pp. 367 SS., 411 n . 2. Vedi anche F . BEAUCAMP, Le peintre Lillois Jean Baptiste Wicar (1762-1834). Son oeuvre et son temps, Lille 1939, 2 volI., II, p. 463.

42) Archivio dell'Accademia di San Luca. Registro delle Congregazioni. Econ., val. 58 f. 8 V.

43) Archivio dell 'Accademia di San Luca. Registro delle Congregazioni di Belle Arti, val. 59, ff. 37, 38, 39 v., 41 V.

44) F . BEAUCAMP, op. cit., II, p. 566. 45) G. C. ANSALDI, op. cit., pp. 471, 478, 479. 46) ORTOLANI, op. cito 47) Il 17 gennaio 1846 Giovanni Silvagni, sopraintendente

alla Galleria dell'Accademia di San Luca, indirlzzava una lettera al presidente della stessa accademia riferendo di avere, in seguito ai timori espressi dal Camuccini, esaminato l'affresco per con­statare se, chiuso sotto vetro, avesse sofferto l'umidità e fosse danneggiato da muffe. E conclude : "ma si riconobbe essersi ben conservato nello stato naturale in cui lo lasciò il sig. Carattoli allorchè lo ripulì per ordine dell' Accademia ". (Archivio della Accademia di San Luca).

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