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Nella stessa collana:

Storie di lupi famosi, di Ernest Thompson SetonE Dio aveva un cane, Stanley CorenSuoni bestiali, di Danilo RussoLo Zen e l’arte di allevare galline, di Clea DanaanLibereso, il giardiniere di Calvino, di Libereso GuglielmiL’enigma delle pecore blu, di Sandro LovariPiante e fiori del terrazzo, di Ippolito PizzettiVegetale sarai tu!, di Mirella Delfini, Eliana FerioliOrto facile per tutti, di Giancarlo BertinazziIl giardino naturale, di William RobinsonPiante medicinali nostre amiche, di Marina Giammetti MamaniDottor Miele, di Eva CraneDoctor Dog, di Guy Quéinnec Guy, Gérard Gilbert101 cavalli d’autore, a cura di Alessandro ParonuzziLa coltivazione naturale della cannabis, di Ed Rosenthal, J.C. StitchGuida alle malattie delle piante e del bosco, di G. Hartmann, F. Nienhaus, H. Butin

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Danilo Russo

La vita segreta dei pipistrelli

Presentazione di Francesco Petretti

TARKA

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La vita segreta dei pipistrellidi Danilo Russo

Tutti i diritti riservati

Nuova edizione: marzo 2017©2013 Fattoria del Mare sas di Franco MuzzioPiazza Dante, 2 – 54026 Mulazzo (MS)www.tarka.it

Impaginazione ed editing: Monica Sala

StampaMediagraf S.p.A Noventa Padovana (PD)

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SOMMARIO

Ringraziamenti ix

Presentazione xi

Premessa xiii

Pipistrelli nel passato e nel presente 1Escono i rettili, entrano i mammiferi (e con questi i pipistrelli) 1Le origini dei pipistrelli: un volo di 52 milioni di anni 3I mammiferi mettono le ali: le origini del volo 8

Inserto: La forma dell’ala 11Le rondini della notte 16Campioni di biodiversità, ovvero come i pipistrelli hanno conquistato il Pianeta 23

La sfida del buio 31L’ecolocalizzazione 31La struttura dei segnali di ecolocalizzazione 35

Inserto: Come leggere uno spettrogramma 36Lo strano caso dei pipistrelli “ferro di cavallo” 42L’avvicinamento alla preda, all’acqua o al suolo 45I bat detector e l’identificazione delle specie 47

Il ciclo vitale 51Una lunga vita 51Torpore diurno e letargia invernale 52

Inserto: Risvegli 55Rifugi e colonie d’ibernazione 60Il comportamento sessuale e l’accoppiamento 61

Inserto: Un harem in una tenda 64

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Le colonie riproduttive, i parti e l’allevamento dei piccoli 70Inserto: Stare vicini da piccoli vuol dire diventare amici per la pelle? 79

Migrazioni 82Orientamento 85

Predatori e prede 87Le modalità di caccia 87

Inserto: Come un pipistrello può, pur ecolocalizzando, catturare insetti sensibili agli ultrasuoni 91Inserto: Sopravvivere o riprodursi? Questo è il dilemma 95Inserto: Altro che ciechi! 97

La selezione della preda 100

Mammiferi minacciati 103Pipistrelli a rischio in un mondo di uomini 103Scomparsa o alterazione dei rifugi 103Alterazione o scomparsa di grotte idonee al rifugio 104Pipistrelli in edifici: conflitti con l’uomo, effetti di abbattimenti e ristrutturazioni 109Gestione forestale insostenibile 112

Inserto: Barbastelli, picchi e coleotteri: le fustaie di faggio del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise 113

I pesticidi e i metalli pesanti 115Scomparsa o alterazione degli ambienti di alimentazione 117Riscaldamento globale 121Impianti eolici 122Le malattie 124Il consumo a scopo alimentare 126

Inserto: I Chamorro, il consumo della carne di volpe volante e una grave malattia del sistema nervoso 127

Gatti, gazze, cornacchie, gabbiani e altri (insospettabili) 128Fobie e falsi miti 130

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Sommario

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La tutela 133I pipistrelli sono protetti dalla legge 133Le azioni di conservazione 135Le bat box 138La riabilitazione 139

Inserto: Una seconda chance 141L’educazione ambientale 141

La ricerca scientifica 143A cosa serve la ricerca scientifica sui pipistrelli 143Come si fa ricerca sui pipistrelli 145

A cosa servono i pipistrelli? 151I servizi ecosistemici offerti dai pipistrelli 151Il valore culturale ed estetico 153

Le specie presenti in Italia 157Rhinolophus euryale 160Rhinolophus ferrumequinum 162Rhinolophus hipposideros 164Rhinolophus mehelyi 166Myotis alcathoe 168Myotis bechsteinii 170Myotis blythii 172Myotis brandtii 174Myotis capaccinii 176Myotis daubentonii 178Myotis emarginatus 180Myotis myotis 182Myotis mystacinus 184Myotis nattereri 186

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Myotis punicus 188Pipistrellus kuhlii 190Pipistrellus nathusii 192Pipistrellus pipistrellus 194Pipistrellus pygmaeus 196Nyctalus lasiopterus 198Nyctalus leisleri 200Nyctalus noctula 202Hypsugo savii 204Eptesicus nilssonii 206Eptesicus serotinus 208Vespertilio murinus 210Barbastella barbastellus 212Plecotus auritus 214Plecotus austriacus 216Plecotus macrobullaris 218Plecotus sardus 220

Inserto: Plecotus sardus e “gli altri”: le specie “criptiche” 221Miniopterus schreibersii 222Tadarida teniotis 224

Bibliografia consultata e di riferimento 226

Crediti fotografici 235

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RINGRAZIAMENTI

Questo libro è il risultato, diretto o indiretto, dell’appoggio, dell’incoraggia-mento e della collaborazione di molte persone. Proverò a ricordarle tutte ma so già che giocoforza incorrerò in imperdonabili omissioni. Anzitutto Gareth Jones (Università di Bristol), la mia eccezionale guida nel mondo dei pipistrelli; i miei “ex” allievi, oggi chirotterologi esperti, Luca Cistrone e Giovanni Ma-strobuoni, coi quali ho condiviso un incalcolabile numero di ore al lavoro, di notte come di giorno, totalmente immersi nel fascino della storia naturale dei pipistrelli; Stefano Mazzoleni (Università degli Studi di Napoli Federico II), insostituibile maestro e guida illuminata alle complesse dinamiche del mon-do scientifico e accademico; il Servizio Scientifico del Parco Nazionale d’A-bruzzo, Lazio e Molise, in particolare Cinzia Sulli e Roberta Latini, a cui sarò sempre grato per il costante ed entusiastico appoggio fornitomi nei tanti anni di ricerca in quello splendido angolo d’Appennino; Adriano Martinoli, Paolo Agnelli e Dino Scaravelli (eccellenti chirotterologi e cari amici), coi quali ho avuto la fortuna di condividere tante esperienze scientifiche e professionali; i miei tanti, appassionati studenti, e miei meno numerosi ma ottimi dottorandi, le cui domande e la cui curiosità sono state e restano costante motivo d’ispirazio-ne; mia moglie Marisa, per aver condiviso generosamente e con amore scelte di vita complesse e tanti momenti difficili che ne sono scaturiti, e per la pazienza costantemente dimostratami sia quando sono in giro per il mondo sia quando, a volte ancor più assente, mi ritrovo assorto davanti allo schermo di un computer a esaminare dati o scrivere articoli; i miei carissimi genitori, che restano vivi nel mio commosso ricordo e ai quali dedico questo libro, che appoggiandomi incondizionatamente mi hanno permesso di coronare il sogno di una vita, di-ventare uno zoologo. Molti amici e colleghi hanno generosamente contribuito permettendomi l’uti-lizzo di foto a titolo completamente gratuito: Leonardo Ancillotto (che ha anche preparato i disegni e mi ha fornito le misure biometriche di Tadarida teniotis), Luciano Bosso, Francesca Buoninconti, Luca Cistrone, José Antonio Dìaz Ca-ballero, Maurizio Fraissinet, Gareth Jones, Guglielmo Maglio, Andrea Mandri-ci, Mauro Mucedda, Haris Nicolaou, Jens Rydell, Juan José Ramos Encalado, Boyan Petrov, Slaveya Stoycheva, Simone Vergari, Stefania Mazzaracca. Con Paolo Agnelli, Adriano Martinoli, Mauro Mucedda, Damiano Preatoni, Marco Riccucci, Dino Scaravelli, Maria Tiziana Serangeli e Alessandra Tomassini mi

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La vita segreta dei pipistrelli

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sono confrontato su diversi aspetti legati ai chirotteri italiani e li ringrazio per gli utilissimi scambi di dati e opinioni. Martina Spada mi ha cortesemente for-nito i dati biometrici relativi ai Miniopterus schreibersii del nord Italia. Grazie di cuore anche al caro amico, bravo collega (e notissimo personaggio TV della divulgazione naturalistica!) Francesco Petretti per aver generosamen-te redatto la presentazione e a Emanuela Dell’Orco e Virginio Sala per aver seguito la preparazione del testo.

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PRESENTAZIONE

Sebbene siano mammiferi come noi, partoriscano cuccioli e li allattino, i pi-pistrelli vivono in un mondo che non ci appartiene, quello della notte, che noi possiamo penetrare solo con grande difficoltà e con l’aiuto delle luci artificiali. Essi, invece, si orientano benissimo nell’oscurità più completa grazie al loro sonar.Per conoscerli abbiamo bisogno quindi di una guida, e ne troviamo una, vali-dissima, in Danilo Russo, brillante zoologo e appassionato naturalista, che in-dossa il casco da speleologo e accende la sua lampada frontale per guidarci alla scoperta del gruppo più nutrito, e allo stesso tempo sconosciuto, della nostra fauna di mammiferi. Più di trenta specie diverse di piccole creature ignorate nel migliore dei casi, perseguitate nel peggiore.Utili consumatori di insetti molesti e nocivi, elementi importanti delle comu-nità animali non solo delle grotte, ma anche degli spazi urbani e delle foreste vetuste, affascinanti animali hi-tech, i pipistrelli sono esposti alle perturbazioni ambientali. Soffrono per l’alterazione degli equilibri globali, per la distruzione dei grandi alberi, per l’invasione rumorosa delle loro grotte, per la distruzione dei loro rifugi negli edifici antichi e in rovina e mai come in questo momento hanno avuto bisogno del nostro aiuto e della nostra simpatica tolleranza, anche quando entrano per errore nelle nostre case. Apriamo la finestra, chiudiamo la luce, usciranno da soli. Niente scope e stracci, ma solo delicatezza e tanta curiosità per scoprire come vivono, una curiosità che questo volume dell’amico Danilo Russo non mancherà di soddisfare.

Francesco PetrettiDocente all’Università di Camerino, esperto zoologo del programmaGeo & Geo di Rai3

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PREMESSA

Prima d’iniziare: alcuni fatti che il lettore di questo libro deve sapere. Su-bito!

Cosa non sono i pipistrelli:Non succhiano il sangue con l’eccezione di tre specie americane.Non s’impigliano ai capelli.Non meritano di essere considerati simboli demoniaci.Non sono pericolosi per l’uomo.Non sono ciechi.Non sono uccelli.Non sono topi volanti. Coi topi non hanno nulla a che vedere.Non rappresentano assolutamente, coi loro escrementi, un rischio per la salute umana, anzi ci forniscono un eccellente concime!

Cosa sono i pipistrelli:Mammiferi come noi, che allattano i loro piccoli e hanno il corpo ricoperto di pelo.Animali utilissimi alla nostra salute e all’economia poiché consumano grandi quantità di insetti nocivi, zanzare incluse.Animali a forte rischio d’estinzione, decimati dalla perdita dei rifugi o delle aree di alimentazione, dagli impianti eolici, dai pesticidi e, in America, dalla terribile “Sindrome del Naso Bianco” che ne ha già uccisi 7 milioni.Specie strettamente tutelate dalla legge italiana, che ne protegge anche gli ha-bitat e i rifugi.

I pipistrelli non vanno:Temuti. Sono del tutto innocui per l’uomo, anzi utilissimi, come scoprirete in questo libro.Uccisi, disturbati o allontanati dai loro rifugi. Si tratta di animali strettamente tutelati dalla legge, così come lo sono i loro rifugi. Anche solo entrare in un ri-fugio riproduttivo o d’ibernazione può arrecare gravi danni a un’intera colonia, come vedremo nelle pagine a seguire.Inseguiti, scopa alla mano, se per pura casualità uno di essi dovesse per errore imboccare una finestra di casa vostra. Spegnete la luce, lasciate la finestra aper-ta e chiudete la porta uscendo dalla stanza. Assai spesso si tratta di giovani ai primi voli, in estate; date loro un po’ di tempo e tranquillità e imboccheranno la finestra per lasciar casa vostra e tornare alla “loro” notte.

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I pipistrelli vanno:Conosciuti, cosa che ci farà superare ogni diffidenza dovuta all’aspetto fisico di questi animali, non sempre apprezzato d’istinto. Se li conoscerete, li apprezze-rete quanto meno con la ragione!Protetti. La scomparsa dei rifugi, gli impianti eolici mal collocati sul territorio, i pesticidi e, in America, una terribile malattia, stanno provocando un inesorabile declino di questi mammiferi la cui presenza in natura è fondamentale per pre-servare gli equilibri ecosistemici e, come vedremo, espletare azioni importanti come il controllo degli insetti nocivi e, seppur non alle nostre latitudini, l’im-pollinazione e la dispersione dei semi.Studiati. Senza ricerca scientifica è impossibile tutelare efficacemente queste delicate creature.

Andiamo, dunque, alla scoperta di questi fantastici mammiferi. Buona lettura.

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PIPISTRELLI NEL PASSATO E NEL PRESENTE

Escono i rettili, entrano i mammiferi (e con questi i pipistrelli)La nostra avventura inizia moltissimo tempo fa, su un Pianeta che era stato per oltre 150 milioni di anni il regno incontrastato dei rettili, e

in particolare dei dinosauri, i quali avevano occupato numerosissime nicchie ecologiche – ossia facevano, in sostanza, moltissimi “mestieri” diversi nei più svariati ecosistemi. Siamo nel Mesozoico (225-65 milioni di anni fa) – l’era, appunto, dei rettili. Im-maginatevi una Terra molto diversa da come la conosciamo oggi. All’inizio del Mesozoico le terre emerse costituiscono un supercontinente, chiamato Pangea, che a un certo punto – circa 200 milioni di anni fa o poco meno – si spezza in due grandi blocchi, Laurasia e Gondwana, rispettivamente negli emisferi nord e sud. Si frammenteranno ancora, i due blocchi, e avranno ormai assunto la forma dei continenti come li conosciamo oggi quando i dinosauri scompaiono. Che cosa accade ai rettili? Una catastrofe di dimensioni planetarie, la collisione con un meteorite e un radicale cambiamento climatico, ed ecco che i regnanti perdono lo scettro. Nonostante molte specie di rettili sopravvivano, moltissime altre semplicemente non ce la fanno. Ma il fascino dei processi evolutivi è che quanto sembra, o rappresenta, una disgrazia per alcuni diventa presto un’op-portunità per altri. Da un gruppo di rettili, chiamati sinapsidi, si sono intanto evoluti animali endotermi (capaci cioè di controllare la temperatura corporea mantenendola a livelli costanti, cosa che garantiva loro grandi performance fi-siche), col corpo coperto di peli, che incredibilmente sono in grado di nutrire i loro piccoli con una sostanza, il latte, prodotta da ghiandole specializzate. Sono comparsi i mammiferi. Elusivi, notturni, a partire dalla metà del Mesozoico re-legati in un angolo dello scenario ecologico dalla preponderanza dei rettili. Ma ecco che ora le cose cambiano e con la “decadenza dello status” dei rettili tanti nuovi “ruoli” ecologici prima ricoperti da questi possono essere portati avanti dai nuovi arrivati. Questa profonda trasformazione innesca un processo che gli scienziati chiamano “radiazione adattativa”, ossia un’esplosione evolutiva che porta alla comparsa di tante nuove forme di vita adattate alle sopraggiunte condizioni, alle risorse resesi disponibili, insomma alle mutate opportunità. Ar-riviamo così al Cenozoico, l’era dei mammiferi, nella quale, mentre i continenti assumono l’assetto attuale, questo gruppo di animali occuperà gli ambienti più svariati ed estremi, dai deserti alle foreste pluviali, dalle distese oceaniche… al cielo. Già sul continente Laurasia (fatto delle attuali Europa e Asia), nell’emi-sfero nord, si era evoluto un gruppo di mammiferi detto appunto Laurasiatheria (mammiferi del Laurasia). I Laurasiatheria danno origine a linee evolutive di grande importanza: i carnivori (lupi, leoni, orsi, foche ecc.), i cetartiodattili

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(che includono i cetacei e gli artiodattili attuali, quindi balene, delfini ma anche cinghiali, cervi, antilopi, ippopotami, giraffe), i folidoti (gli attuali pangolini di Asia e Africa), i perissodattili (attuali cavalli e zebre), gli erinaceomorfi (i ricci), i soricomorfi (talpe e toporagni) e infine i chirotteri, o pipistrelli, protagonisti di questo libro.Già, perché mentre siamo tutti abituati a chiamarli pipistrelli, per gli zoologi il nome di questi incredibili mammiferi è chirotteri, una parola composta di origine greca che vuol dire mano-ala. Il perché è presto detto. A differenza di tutti gli altri mammiferi, i chirotteri sono dotati di ali che conferiscono loro la capacità di volare attivamente, ossia di spostarsi grazie a un volo battuto (Figu-ra 1). Altri mammiferi, come gli scoiattoli volanti, riescono solo a planare da un ramo all’altro grazie alla presenza di una membrana che funziona un po’ da paracadute (o deltaplano se preferite), ma nulla a che vedere con le performance di volo esibite dai pipistrelli, i quali possono raggiungere notevoli velocità di volo, manovrare nella vegetazione più fitta, spostarsi di decine di chilometri in una notte o addirittura di migliaia di chilometri in una stagione, migrando come fanno gli uccelli.

Figura 1. Il volo battuto ha rappresentato la più importante novità evolutiva dei pipistrelli, consentendo loro la conquista di ampie aree del globo, incluse le re-mote isole oceaniche. Nella foto, un molosso di Cestoni (Tadarida teniotis) in volo. (L. Ancillotto)

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Pipistrelli nel passato e nel presente

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Spieghiamo dunque il perché del nome scientifico dato a quest’ordine di mam-miferi. I chirotteri volano letteralmente con le mani. Esaminando la struttura dell’ala, ci accorgiamo che essa è costituita da una membrana alare, detta pata-gio, e da uno scheletro che la sostiene ed è costituito delle ossa del palmo della mano e delle dita, allungate a formare una struttura a raggiera. Tipicamente, il pollice resta piccolo ed è esterno all’ala, provvisto di unghia. Nelle volpi vo-lanti, un gruppo di chirotteri che vive nelle aree tropicali (Americhe escluse), anche l’indice conserva un’unghia. Il patagio si estende anche intorno agli arti posteriori e spesso include la coda. In una delle specie che incontriamo in Italia, il molosso di Cestoni (Tadarida teniotis), la coda però non è incorporata nel patagio, ma sporge esattamente come quella di un topolino (motivo per cui gli studiosi anglofoni chiamano i pipistrelli molossidi free-tailed bats, ossia “pipi-strelli a coda libera”). La capacità di volare in modo efficiente ha fatto emergere i pipistrelli rispetto a tutti gli altri mammiferi, consentendo loro di conquistare il cielo almeno du-rante la notte, mentre nelle ore diurne è appannaggio degli uccelli. Orientarsi al buio sarebbe stato davvero difficile se la stragrande maggioranza dei pipistrelli non avesse evoluto anche un sesto senso, l’ecolocalizzazione, ovvero un siste-ma di orientamento fondato sull’emissione di particolari segnali acustici (di so-lito ultrasonori) e sull’ascolto dell’eco da essi prodotto quando rimbalzano sugli oggetti circostanti. Discuteremo tra breve del motivo per cui i pipistrelli sono diventati notturni e dell’ecolocalizzazione. Ma ora ritorniamo alla nostra storia.

Le origini dei pipistrelli: un volo di 52 milioni di anniI pipistrelli sono stati tradizionalmente distinti in due grandi gruppi, o sottordini, i Microchirotteri e i Megachirotteri, e comprendono 1232

specie attualmente viventi. I Microchirotteri, pari all’85% circa delle specie di pipistrelli viventi, sono in genere di dimensioni inferiori rispetto ai Megachi-rotteri (ma esistono eccezioni), inoltre sono tutti caratterizzati da ecolocalizza-zione laringea: la laringe (parte iniziale dell’apparato respiratorio) è in grado di produrre suoni che permettono all’animale di ecolocalizzare, di orientarsi e re-perire il cibo. I Megachirotteri – le cosiddette volpi volanti – appartengono tutti a una sola famiglia, gli Pteropodidi, e vivono nelle aree Paleotropicali: Africa, Madagascar, isole dell’Oceano Indiano, India, Indocina, isole del sudest asia-tico e del Pacifico Occidentale, coste settentrionali e orientali dell’Australia, spingendosi a nord fino all’arcipelago delle Ryukyu e a est fino a Fiji, Tonga, Samoa e Isole Cook. Le volpi volanti vengono anche chiamate, in inglese, pipi-strelli della frutta (fruit bats) perché in effetti si nutrono di frutta, fiori, foglie, nettare, polline. Esistono casi documentati di un piccolo consumo deliberato d’insetti a integrazione della dieta, ma di poco conto. Tutte le volpi volanti hanno vista e olfatto sviluppati e non posseggono ecolocalizzazione laringea.

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Non vi ho menzionato un’eccezione nella distribuzione: in Europa, in effetti, abbiamo una volpe volante: si chiama rossetto egiziano (Rousettus aegyptiacus; Figura 2). È una specie ad ampia distribuzione, che nel nostro continente occu-pa l’isola di Cipro e la Turchia. Per inciso, il rossetto egiziano ha anche un’altra peculiarità: ecolocalizza analogamente ai microchirotteri, ma i suoni non sono prodotti dalla laringe bensì dalla lingua che schiocca contro il palato. Vivendo sovente in grotta, il rossetto egiziano ha dovuto adattarsi al buio di questo tipo di rifugi dove l’ecolocalizzazione è chiaramente di grande aiuto.

Figura 2. Il rossetto egiziano è l’unica volpe volante presente anche in Europa, sep-pure limitato a Cipro e alla Turchia. (H. Nicolaou)

Per anni la classificazione zoologica ha ritenuto Micro- e Megachirotteri due gruppi validi, e negli anni Ottanta e Novanta era acceso il dibattito sulla loro origine. Alcuni ritenevano fossero originati da progenitori insettivori comuni, ossia fossero un gruppo “monofiletico”, mentre altri sostenevano si trattasse di un gruppo artificiale, “difiletico”: i Microchirotteri avrebbero avuto origine da progenitori insettivori, mentre i Megachirotteri avrebbero avuto un progenitore comune con i primati. La presenza di caratteristiche comuni, a partire dalle ali, secondo i sostenitori dell’origine difiletica sarebbe stata il risultato di un fenomeno di convergenza adattativa, ossia la comparsa di caratteristiche simili

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Pipistrelli nel passato e nel presente

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in organismi che non condividono parentele dirette ma che si sono evoluti fron-teggiando necessità ambientali analoghe (prendete il caso della forma del corpo dei cetacei, balene, delfini e simili, che ricordano molto dei pesci pur essendo mammiferi, e ciò perché sia i cetacei sia i pesci si sono adattati a spostarsi in acqua, ove compiono tutto il loro ciclo biologico). I sostenitori dell’ipotesi difiletica adducevano a supporto della propria tesi una serie di indizi di tipo soprattutto morfologico. I recenti studi di biologia mole-colare hanno definitivamente confutato la pista difiletica, facendo inoltre emer-gere un risultato sconcertante. I pipistrelli ferri di cavallo, o rinolofoidei, clas-sicamente considerati Microchirotteri, sono in realtà legati, da un punto di vista evolutivo, più alle volpi volanti che agli altri Microchirotteri. I Microchirotteri non sono, quindi, un gruppo naturale, e oggi la divisione in Micro- e Megachi-rotteri non è più considerata valida. Attualmente la classificazione proposta sul-la base degli studi sul DNA divide i pipistrelli in due gruppi, Yinpterochiroptera (volpi volanti e rinolofoidei) e Yangochiroptera (i restanti pipistrelli). Ma come erano fatti i primi pipistrelli? E quando sono comparsi? Fino a pochi anni fa, tutti i fossili di pipistrelli reperiti ci raccontavano assai poco su come potesse esser fatto il “pipistrello progenitore”. A esser sinceri, di fossili non ce ne sono molti. I pipistrelli sono infatti animali terrestri, che soprattutto all’inizio vivevano in ambienti tropicali dove appena morti si trovavano esposti all’azio-ne degli organismi decompositori, davvero rapida in quei climi. La fossilizza-zione richiede che il corpo cada in un ambiente idoneo, ad esempio in acque stagnanti, e sia così rapidamente ricoperto dai sedimenti. Capirete che non si tratta di un evento comune. C’è un giacimento, in Germania, che ha restituito ben sette specie: è quello di Messel, ove addirittura è stato possibile analizzare il contenuto stomacale delle varie specie notando preferenze alimentari diverse. Si tratta, in quel caso, di materiale però troppo recente – 47 milioni di anni – per farci incontrare un potenziale pipistrello “ancestrale”. Pipistrelli già moderni, insomma, almeno strutturalmente, che a Messel prosperavano grazie al clima tropicale e alla presenza di laghi, il che voleva dire moltissimi insetti a dispo-sizione (Figura 3). Ricordiamo subito, a questo proposito, che oltre 900 specie di chirotteri attuali si nutrono di insetti, e questa dieta era chiaramente comune ai pipistrelli antichi.In pratica, fino a qualche anno fa il fossile più antico conosciuto, vecchio di circa 52,5 milioni di anni, era piuttosto simile agli attuali pipistrelli: si tratta di Icaronycteris index, ritrovato negli anni Sessanta nella Green River Formation del Wyoming (USA). Il nome scientifico chiama in causa il mitologico pionie-re greco del volo, Icaro, che pagò cara la sua scelta di approssimarsi troppo al Sole. Il nome specifico si completa con index, che richiama la presenza di un’unghia sul dito indice dell’ala, scomparsa nei pipistrelli che ecolocalizzano e tuttora presente nelle volpi volanti. Tutto sommato Icaronycteris è una testi-

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monianza fossile che racconta poco delle origini dei pipistrelli: denti da insetti-voro, scheletro dell’ala piuttosto ben sviluppato, sterno e gabbia toracica simili a quelli attuali, arti posteriori brevi, insomma un po’ tutto come nei pipistrelli moderni. In più i paleontologi sono stati in grado di capire che Icaronycte-ris ecolocalizzava. Questo è possibile anche solo guardando il cranio, poiché esistono caratteristiche che nel complesso offrono un vero “identikit da ecolo-calizzatore”, diciamo così. Anzitutto, la coclea, struttura ossea posta alla base del cranio che accoglie le parti sensibili dell’orecchio interno, è molto svilup-pata nelle specie che ecolocalizzano. C’è poi uno dei tre ossicini dell’orecchio medio responsabili della trasmissione delle vibrazioni acustiche dal timpano all’orecchio interno, il martello, che in queste specie presenta una protuberanza allargata deputata a un miglior controllo delle vibrazioni. Infine un osso della gola, lo stiloiale, che nei pipistrelli che ecolocalizzano presenta una caratteri-stica unica tra i mammiferi. In tali pipistrelli, infatti, l’osso stiloiale connette direttamente l’orecchio interno con la laringe. Perché esista questa connessione non è chiarissimo. Si ritiene che essa possa da un lato evitare al pipistrello di auto-assordarsi quando produce un impulso (ricordiamo che quest’ultimo può essere 100 volte più intenso dell’eco e che ascoltare l’eco è essenziale!), dall’altro migliorare la percezione del segnale in uscita in modo da averne una nitida rappresentazione, fisicamente prossima alla sorgente (la laringe), cosa fondamentale per una corretta comparazione con l’eco.

Figura 3. Un fossile di Palaeochyropterix del giacimento di Messel, in Germania. (J. J. Ramos Encalado)

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Il fossile di Icaronycteris, soprattutto, non era in grado di rispondere a una domanda che da tempo assilla gli specialisti di pipistrelli: è nato prima il volo o l’ecolocalizzazione? Le ipotesi proposte dagli scienziati erano tre: il volo è nato 1) prima dell’ecolocalizzazione, 2) dopo o 3) allo stesso tempo. Nel primo caso ipotetico, immaginatevi in origine dei mammiferi planatori, con un patagio che funziona un po’ da paracadute, che si sarebbero poi specializzati a inseguire insetti in volo. Il passo successivo sarebbe stato la comparsa del volo battuto e solo dopo dell’ecolocalizzazione, per identificare le prede in volo con maggiore efficacia. Seconda alternativa: i mammiferi planatori avrebbero prima messo a punto l’ecolocalizzazione e poi, per raggiungere più rapidamente le prede identificate grazie a essa, si sarebbe evoluto il volo battuto. Terza opzione: co-evoluzione di volo ed ecolocalizzazione, ipotesi non peregrina poiché nei pipi-strelli attuali ciascun impulso ultrasonoro è di norma emesso in corrispondenza di ogni battito alare (talora ogni due), in modo che i muscoli che azionano le ali possano comprimere i polmoni svuotandoli e facilitando la produzione del suono. In pratica per ecolocalizzare un pipistrello non affronta costi energetici. Quando abbassa le ali inspira, quando le alza espira e produce un impulso (o un gruppo di due o più, nel caso si avvicini a un ostacolo e abbisogni di un maggior dettaglio). Concludo quest’inciso ricordando che ecolocalizzare a riposo costa non poca energia e questo spiega perché questo “sesto senso” non si è diffuso tra i vertebrati terrestri (quei pochi che se ne servono usano impulsi deboli ca-paci solo di identificare oggetti su breve distanza). Qualche anno fa è stato descritto un fossile che secondo molti ha risolto l’e-nigma, anche se la sua interpretazione non ha trovato consenso unanime tra gli specialisti. Nancy Simmons (dell’American Museum of Natural History di New York) e i suoi colleghi hanno descritto, grazie a due esemplari fossili ri-trovati da privati, una specie praticamente coeva di Icaronycteris; i fossili sono stati estratti dallo stesso strato roccioso della Green River Formation. La specie è stata battezzata Onychonycteris finneyi. Il nome del genere viene dal greco e vuol dire “pipistrello con le unghie”, perché in effetti la specie possedeva un-ghie su tutte le dita dell’ala, un carattere primitivo che indicherebbe una recente separazione da mammiferi arboricoli che usavano arrampicarsi sui rami. Inoltre gli avambracci relativamente brevi e gli arti posteriori piuttosto lunghi rispetto ai pipistrelli attuali sono stati considerati anch’essi caratteri primitivi, vicini a quelli posseduti dai progenitori arboricoli planatori. Tuttavia, le dita piuttosto lunghe e alcune caratteristiche del torace fanno pensare che Onychonycteris fosse capace di volare battendo le ali, che erano però ampie e brevi. Questa situazione ricorderebbe quella degli attuali Rinopomatidi, pipistrelli che vivono in Medio Oriente e nelle aree aride dell’Africa Orientale, che in effetti alterna-no volo battuto a brevi planate. Ma la cosa interessante è che Onychonycteris manca delle caratteristiche del cranio sopra descritte, che identificano un ecolo-

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calizzatore. Insomma, secondo questa interpretazione il volo si sarebbe evoluto prima del biosonar. Va però detto che un noto specialista canadese di pipistrelli, Brock Fenton, non è d’accordo: secondo Fenton lo stiloiale di Onychonycteris connetteva l’orecchio interno alla laringe, come in un vero ecolocalizzatore. Siamo, insomma, di fronte al classico problema dell’interpretazione dei resti fossili, spesso tutt’altro che semplice. Non c’è invece alcun dubbio sul fatto che la comparsa di questi due incredibili adattamenti, volo ed ecolocalizzazione, sia alla base del successo evolutivo del gruppo, che, come indicano gli studi effettuati sul DNA, alla fine dell’Eocene (33,5 milioni di anni fa) contava già 25 famiglie, ossia le 19 giunte fino ai giorni nostri e sei che si sarebbero poi estinte.

I mammiferi mettono le ali: le origini del voloVolare è una strategia vitale rivoluzionaria. I gruppi animali che hanno con-quistato la terza dimensione, il cielo, hanno colonizzato il globo giungendo

in terre remote e inaccessibili come le isole oceaniche. Volare permette di ri-posare in un luogo e alimentarsi a chilometri di distanza, migrare per migliaia di chilometri, sfuggire efficacemente ai predatori o catturare prede altrimenti inafferrabili. Nonostante appaia assai costoso in termini energetici (il volo costa il doppio della corsa se misuriamo l’energia spesa in un secondo), in realtà è molto conveniente se consideriamo lo spazio percorso: in effetti in termini di chilometri coperti in uno spostamento ci accorgiamo che il volo costa un quinto rispetto alla corsa. Ci domandiamo dunque come mai il volo non sia comparso più spesso nella storia evolutiva degli animali. La risposta è che esso deriva da un progetto architetturale altamente specifico, che non ammette errori, fatto che rende l’evoluzione di una struttura funzionalmente mirabile come l’ala di un pipistrello un evento assai poco probabile (che però, come sappiamo, ha avuto luogo!).L’ala di un pipistrello è composta da un doppio strato cutaneo (patagio), so-stenuto dalle ossa allungate dell’arto anteriore, oltre che dall’arto posteriore e, in tutti i pipistrelli italiani con l’eccezione del molosso di Cestoni (Tadarida teniotis), dalla coda. Lo scheletro alare è un vero miracolo di ingegneria. Le ossa dell’ala hanno un diametro non uniforme, maggiore solo nei punti di stress meccanico e ridotto invece dove non necessario. In questo modo lo scheletro resiste perfettamente alle sollecitazioni del volo pur mantenendosi leggero (Fi-gura 4).

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Figura 4. Le ossa dell’ala costituiscono gli elementi più cospicui nello scheletro di un pipistrello. (Disegno di L. Ancillotto)

Le ossa che si allungano a sorreggere l’ala sono, più che quelle delle dita (fa-langi), quelle del palmo della mano, ossia i metacarpali. Il margine anteriore dell’ala è sorretto dall’omero, dal radio e dal secondo e terzo dito della mano. Il primo dito, il pollice, è libero, di dimensioni ridotte e viene usato per ripulire il pelo e arrampicarsi. Nelle volpi volanti il pollice, munito di un’unghia impor-tante, può essere usato anche negli scontri tra conspecifici che lo impiegano un po’ come un pugnale. Ricordo scontri epici tra maschi dominanti e subordinati di Pteropus rodricensis, volpi volanti endemiche dell’Isola di Rodrigues, che ho avuto la fortuna di studiare ormai parecchi anni fa: dire che quei pipistrelli se le dessero di santa ragione usando i pollici non è un’esagerazione! Secondo e terzo dito si uniscono all’estremità grazie a uno speciale legamento così da rinforzare il margine anteriore dell’ala. Il margine posteriore dell’ala è invece sorretto da quarto e quinto dito, ma a tal fine collabora anche l’arto posteriore. A seconda che il quinto dito sia molto allungato oppure no, l’ala sarà più o meno ampia. Un’ala allungata e stretta, come quella di una rondine, rappresenta un adattamento per un volo veloce ed efficiente (vedi inserto “La forma dell’ala”). La riscontriamo nei pipistrelli che utilizzano gli spazi aperti e liberi da ostacoli per il volo e la caccia, come le nottole (Nyctalus spp.) e il molosso di Cestoni (Tadarida teniotis; Figura 5).

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Figura 5. Un chirotterologo (specialista di pipistrelli) esamina l’ala di un molosso di Cestoni (Tadarida teniotis). (L. Cistrone)

Ala particolarmente allungata è quella del miniottero (Miniopterus schreiber-sii), specie che sovente caccia lungo i fiumi o percorrendo i margini forestali. Il miniottero è tra i pipistrelli il campione di velocità in assoluto: sfiora i 55 km/h. Per contro, specie adattate a cacciare nel folto della vegetazione e a ghermire prede dalle foglie, dalle rocce o dal suolo posseggono tipicamente ali ampie e brevi, che sviluppano scarsa velocità ma sono più utili a manovrare in ambienti strutturalmente complessi. È il caso dell’orecchione bruno (Plecotus auritus) che, come vedremo, caccia spesso in habitat forestali ed è un foliage gleaner, ossia raccoglie le prede poste sulle foglie. Alcune specie dotate di un’ala di forma intermedia riusciranno a frequentare una varietà di habitat, in ciascuno dei quali si troveranno sufficientemente bene senza però eccellere, e più spesso frequenteranno habitat come i margini forestali, che se volete rappresentano una sorta di compromesso tra habitat aperto e chiuso. È il caso dei Pipistrellus, come il pipistrello albolimbato che spesso solca i cieli notturni anche delle no-stre città.

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La forma dell’alaIl tipo di performance che un’ala può offrire – velocità o capacità di ma-novra – dipende essenzialmente da due variabili, che prendono il nome di carico alare (wing loading) e rapporto di aspetto (aspect ratio). Questi due parametri si relazionano al tipo di ecologia (ambienti frequentati e di conse-guenza tipo di alimento) della specie considerata. Vediamo di che si tratta.Il carico alare si calcola dividendo la massa corporea dell’animale per la superficie delle ali. Se questo rapporto è elevato il pipistrello è grande e pesante rispetto alla superficie dell’ala, mentre ali ampie e masse corporee piccole corrispondono a un piccolo carico alare. Ovviamente un pipistrello con un carico alare elevato – condizione tipica delle specie che volano in ambienti aperti – troverà difficile mantenersi in aria, cosa che riuscirà a fare solo grazie a un’elevata velocità. È pur vero, però, che un’ala stretta come quella delle specie che posseggono questa caratteristica eserciterà meno attrito in volo, ossia consentirà un volo ener-geticamente più conveniente. Viceversa, un pipistrello con un carico alare basso manovrerà e decollerà con più facilità, ma il suo volo sarà più lento e dispendioso. È la condizione tipica delle specie che cacciano nel folto del bosco. Il rapporto d’aspetto descrive invece la forma dell’ala. Si calcola dividen-do il quadrato dell’apertura alare dell’animale per la superficie dell’ala. Se questo rapporto è elevato abbiamo a che fare con animali dotati di ali lunghe e strette, assai efficienti dal punto di vista aerodinamico e quindi tali da conferire un volo energeticamente meno dispendioso, anche se inevitabil-mente esse avranno performance assai deludenti negli habitat chiusi come il bosco. Viceversa, ovviamente, si dirà per le specie che posseggono un rapporto d’aspetto basso. Queste due variabili ci dicono molto dell’ecologia delle specie, almeno a grandi linee (ci sono anche altri fattori in gioco per cui anche piccole diffe-renze possono portare a interpretazioni errate). Prendiamo due casi estremi. L’orecchione bruno (Plecotus auritus) presenta valori bassi di carico alare e rapporto d’aspetto. Lenti nel volo (intorno ai 10 km/h), questi pipistrelli hanno grande capacità di manovra che permette loro di catturare prede poste sulla vegetazione, percepite grazie al rumore che esse producono (fenome-no detto dell’ascolto passivo o passive listening). Il frequente contatto col substrato imporrà loro anche di decollare rapidamente, cosa che le caratte-ristiche aerodinamiche delle loro ali permettono. Inoltre, una volta catturata la preda, per esempio una grossa falena (preda abituale dei Plecotus), do-vranno portarla a un posatoio dove la smembreranno con tutta calma. Sotto ai posatoi di questi pipistrelli spesso si osservano le ali delle falene, una

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parte scartata dal predatore. Chiaramente, il trasporto di una grossa preda appesantisce il pipistrello, che però si può permettere questo lusso visto che ha un carico alare basso. I Plecotus si spostano poco dal rifugio – hanno, si dice, un home range (ossia uno spazio vitale) piuttosto limitato. Situazione opposta quella delle nottole, e in particolare della nottola di Leisler (Nycta-lus leisleri), che tipicamente caccia in ambienti aperti. Non sorprende che questa specie abbia carico alare e rapporto d’aspetto alti: caratteristiche non favorevoli a districarsi nel bosco o a decollare, ma che senz’altro permetto-no volo veloce ed efficiente (non a caso le nottole sono anche migratrici su lunghe distanze). Una nottola è assai più veloce di un Plecotus, sfiorando i 50 km/h, cosa che le permette di coprire home range ampi tutte le notti. Se esaminiamo i valori di carico alare e rapporto d’aspetto delle altre specie italiane, nella maggioranza dei casi la loro ecologia, lo “stile di vita”, è ben rispecchiato da questi parametri. Non sorprende che il vespertilio di Natterer (Myotis nattereri) o il rinolofo minore (Rhinolophus hipposideros) abbiano valori simili a quelli di Plecotus auritus, poiché entrambi sono spe-cialisti di habitat forestali. La grande capacità di manovra di M. nattereri gli permette di accostarsi moltissimo alla vegetazione senza atterrare fino a ghermire i ragni dalle ragnatele, oppure di catturare prede come le mosche (insetti diurni) durante la notte, quando riposano sulla vegetazione. Valori intermedi di carico alare e rapporto d’aspetto corrispondono spesso a pipi-strelli che hanno bisogno di performance di volo intermedie, ossia velocità moderatamente elevata e capacità di sfruttare ambienti con moderato livello di complessità strutturale come i corsi d’acqua o i margini forestali. Va detto che esistono ulteriori variabili legate alla forma dell’ala che ne condizionano la performance. Ad esempio, una punta dell’ala arrotondata è tipicamente associata a una maggior capacità di manovrare e a una velocità di volo minore, viceversa per le ali appuntite. Inoltre, così come ve l’ho rac-contata finora, sembrerebbe che una specie come la nottola di Leisler non sia in grado di muoversi nel fitto della vegetazione. In effetti in quella con-dizione non è capace di manovrare (se immaginiamo la manovra circolare con cui un pipistrello cambia direzione, più è piccola la circonferenza per-corsa maggiore è la capacità di manovra dell’animale). Però le nottole sono comunque capaci di cambiare direzione in modo piuttosto efficace (certo non molto sofisticato, come invece richiederebbe la cattura di insetti posati sulla vegetazione), tant’è vero che spesso i loro rifugi sono nel bosco, nelle cavità degli alberi. Se non sono grandi manovratori, questi pipistrelli sono comunque agili, ossia possono cambiare direzione abbassando un’ala e pie-gando di conseguenza in quella direzione. Per vincere la resistenza offerta a questa manovra dall’ala, la struttura alare è tale da avvicinare il grosso del peso dello scheletro al corpo, in modo da far meno fatica. È il motivo per

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cui la sezione dell’ala corrispondente all’avambraccio è più breve rispetto a quella sorretta dalla mano, che è invece maggiormente allungata.

L’uropatagio, ossia la membrana che circonda la coda, può agire da freno du-rante il volo ed è anche impiegato per raccogliere la preda in volo o, per le specie che cacciano sulla superficie di laghi e fiumi, dal pelo dell’acqua. Abbiamo detto che i pipistrelli sono i primi veri mammiferi volatori, e ciò gra-zie a una speciale modificazione dell’arto anteriore le cui ossa metacarpali, soprattutto, si allungano come i raggi di un ombrello per sostenere il patagio dell’ala. Grazie a queste ali assai funzionali i pipistrelli sono capaci di un volo battuto, a differenza di pochissimi altri mammiferi planatori che sfruttano pas-sivamente il loro patagio per planare da un ramo all’altro (i dermotteri e gli sco-iattoli volanti o, tra i marsupiali, i petauri). Il bello è che della funzione delle ali continuiamo a scoprire aspetti nuovi. Ben prima che l’ecolocalizzazione fosse scoperta – siamo alla fine del Settecento – il naturalista francese George Cuvier propose che le ali dei pipistrelli fossero sensibili alle correnti d’aria riflesse da-gli oggetti nel loro approssimarsi, in modo da orientarsi al buio. Cuvier sbaglia-va, nel senso che oggi sappiamo come l’ecolocalizzazione sia invece il “sesto senso” impiegato dai pipistrelli per orientarsi al buio e identificare le prede, ma uno studio recentissimo suggerisce che l’idea sbagliata di Cuvier contenesse tutto sommato qualcosa di vero. Infatti si è scoperto che le ali dei pipistrelli, oltre a essere parzialmente ricoperte di peli visibili a occhio nudo, tipici di tutti i mammiferi, posseggono piccoli rigonfiamenti su cui si inseriscono peli micro-scopici collegati a speciali cellule sensoriali, le cellule di Merkel. I pipistrelli sono sensibili alle correnti d’aria che stimolano questi peli; quelli posti presso il margine posteriore dell’ala sono molto sensibili alle correnti d’aria che giun-gono alle spalle dell’animale. Si tratta di correnti pericolose poiché possono de-terminare lo “stallo” del pipistrello, cioè lo “scollamento” delle particelle d’aria da una parte della superficie dell’ala con conseguente caduta al suolo. (Lo stallo è un fenomeno ben noto in ingegneria aeronautica ed è un rischio noto per la sicurezza degli aerei, intervenendo soprattutto a basse velocità quando l’angolo d’incidenza dell’aria sull’ala supera un certo valore critico.) Ma torniamo ai peli sull’ala. Se essi vengono sperimentalmente rimossi, il pipistrello si terrà a una distanza maggiore dagli oggetti, farà manovre più ampie e soprattutto acce-lererà. Ciò accade perché quei peli sono sofisticati tachimetri, ossia informano il pipistrello della sua velocità e gli permettono di effettuare manovre ardite e rallentare senza rischiare lo stallo. Se i peli sono rimossi, il pipistrello è costret-to ad accelerare proprio per evitare il rischio di stallo. Struttura viva, il patagio è ricco di terminazioni nervose ed è percorso da vasi sanguigni. È il motivo per cui un danno al patagio, se non eccessivamente este-

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so, viene rapidamente riparato per rigenerazione. Il patagio è anche sostenuto da proteine fibrose come l’elastina e il collagene il cui ruolo è quello di evitare la deformazione del profilo alare durante il volo (Figura 6). È inoltre prov-visto di minuti muscoli che ne controllano il ripiegamento. Per la sua buona performance è necessario che esso resti elastico e ben idratato. Un pipistrello debilitato tipicamente mostrerà un patagio secco, segno inequivocabile della disidratazione. I pipistrelli trascorrono parecchio tempo, quando sono nei rifugi diurni, a ripulire il patagio e a umettarlo con speciali secrezioni cutanee prodot-te da ghiandole poste sul muso.

Figura 6. In certi casi (genere Pipistrellus) l’esame delle “venature” alari, ossia della disposizione dei fasci di tessuto connettivo che sostengono il patagio, risulta utile agli specialisti dei pipistrelli ai fini del riconoscimento della specie. (L. Cistrone)

Come si sono evolute le ali dei pipistrelli? L’idea classica è che un piccolo mammifero notturno arboricolo, si ritiene insettivoro, che avesse l’abitudine di arrampicarsi e saltare di ramo in ramo abbia a un certo punto del suo percorso evolutivo presentato un patagio teso tra gli arti anteriori e posteriori. A partire da questa prima struttura atta a planare, per passaggi evolutivi successivi, si è arrivati a un’ala utile per il volo battuto. Nuovi studi di biologia evolutiva dello sviluppo suggeriscono che il processo possa essere stato però più rapido.

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Oggi sappiamo che i geni (segmenti di DNA che racchiudono sotto forma di istruzioni codificate il “progetto” della struttura delle proteine “scritto” con un linguaggio universale le cui “lettere” sono particolari molecole, i nucleotidi) non agiscono in modo indipendente: tutt’altro. Abbiamo scoperto che esiste una vera e propria gerarchia di geni, e quelli al comando inibiscono o sbloccano tanti altri a essi “subordinati”, regolandone spesso la tempistica (quando, e per quanto tempo resteranno attivi). La cosa è affascinante poiché cambiamenti evolutivi di grande portata, come “mettere le ali”, si riteneva fossero il risul-tato di tantissimi, piccoli passaggi verificatisi nel tempo. Un processo lungo, che però implicherebbe anche la presenza, nel record fossile, di testimonianze corrispondenti agli stadi intermedi. Badate che non si tratta di un problema limitato alla sola ala dei pipistrelli, ma di un discorso assai più generale appli-cabile a tantissimi organismi. La scoperta di una gerarchia genica e della sua importanza proprio nel regolare lo sviluppo dell’embrione ci sta aprendo un mondo nuovo di conoscenze. Una mutazione, ossia un “errore di scrittura” di un gene di alto ruolo gerarchico, può chiaramente comportare effetti a cascata drammatici e spesso catastrofici. Se però, tra le tante catastrofi, questo processo dovesse portare in alcuni casi a un cambiamento che esprime una nuova funzio-ne? Se per caso in antichi mammiferi avesse prodotto la comparsa di ali come quelle dei pipistrelli? Recentissimi studi suggeriscono che questo possa essere effettivamente successo. La manipolazione di embrioni di topo ha permesso di scoprire che una mutazione tale da alterare la regolazione dell’espressione (cioè della costruzione) di una particolare proteina (BMP2) determina, nello sviluppo dell’embrione, l’allungamento delle dita, perché porta a una prolife-razione dei condrociti, le cellule che costruiscono la cartilagine. Nonostante da quest’alterazione alla costruzione dell’ala di un pipistrello vera e propria ce ne corra, lo studio è davvero interessante perché dimostra che una trasformazio-ne macroscopica può in realtà risultare da cambiamenti apparentemente anche minimi di geni che hanno un ruolo gerarchicamente superiore nello sviluppo embrionale. È probabile che nella storia evolutiva dei pipistrelli sia accaduto qualcosa di simile. Naturalmente, il volo richiede muscoli idonei e un adeguato sistema circola-torio che li rifornisca di ossigeno e nutrimento rimuovendo da essi i prodotti di rifiuto del metabolismo. Gli uccelli posseggono grossi muscoli pettorali che si inseriscono su una speciale prominenza ossea dello sterno, la carena. Per i pipistrelli la situazione è diversa, anche perché sono in grado di impiegare le ali anche per camminare al suolo, arrampicarsi e perfino nuotare. Esistono sette muscoli principali, cinque dei quali abbassano e due sollevano l’ala. Non c’è carena, anche se può esserci uno strato legamentoso per l’inserzione dei musco-li. Questi ultimi sono grandemente irrorati da numerosi vasi sanguigni e sono inoltre ricchi di mioglobina, la proteina che lega l’ossigeno trasportato da un’al-

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tra proteina, l’emoglobina, quest’ultima con il compito di caricare la preziosa molecola presso i polmoni. Il cuore, più grande di due o tre volte rispetto agli altri mammiferi in modo da assicurare il pompaggio di sangue (a sufficienza) durante il volo, è capace di battere assai rapidamente. In un Pipistrellus, ad esempio, la frequenza cardiaca a riposo è pari a 250-400 battiti al minuto ma durante il volo sale a 800-1000. Il sangue è inoltre straordinariamente ricco di globuli rossi, le cellule che contengono l’emoglobina e che hanno il compito di trasportare l’ossigeno acquisito a livello dei polmoni. Tutti questi adattamenti cardiocircolatori servono egregiamente allo scopo, assistendo adeguatamente la performance del volo.

Le rondini della notteQualcuno ha chiamato così i pipistrelli poiché molte specie si alimen-tano un po’ come le rondini, ossia catturano insetti in volo, solo che lo

fanno di notte. A onor del vero faremmo un torto ai pipistrelli attribuendo loro una similitudine così riduttiva, poiché le tante specie di pipistrelli che hanno colonizzato il globo, lo vedremo bene, presentano una notevolissima varietà di strategie ecologiche. Per ora diamo per buono il romantico paragone e focaliz-ziamo l’attenzione sulle abitudini, appunto, notturne dei pipistrelli. Perché di notte? Va detto che in generale molti mammiferi sono attivi soprattutto durante la notte, ma non c’è dubbio che nei pipistrelli il fenomeno sia più marcato: di giorno si riposa e si socializza coi compagni di rifugio, dal tramonto all’alba circa si va in giro ad alimentarsi. Esistono diverse interpretazioni che tentano di spiegare perché i pipistrelli siano diventati notturni: gli scienziati non sono tutti d’accordo su quale sia stato il percorso evolutivo che ha portato a questo comportamento, e come spesso accade nelle scienze naturali non è detto che nel tempo non vi abbiano concorso più pressioni evolutive tali da rendere i pipistrelli notturni. Vediamo alcuni fatti. I pipistrelli delle diverse specie non lasciano il rifugio tutti alla stessa ora: certe specie s’involano prima di altre. Soprattutto se la dieta include in misura importante i ditteri (insetti dotati di due ali come le zanzare, i chironomidi, le mosche ecc.), anticipare un po’ converrebbe perché questi insetti risultano più abbondanti prima del tramonto. Non così se il piatto forte è invece rappresentato dalle falene, lepidotteri notturni, la cui disponibilità è pressoché costante nelle diverse ore della notte. Per quanto detto, ci aspetterem-mo che i divoratori di ditteri siano quelli che lasciano i rifugi prima. C’è però un altro fattore che complica lo scenario e che risulta ancor più determinante. Le specie di pipistrelli a volo più lento lasciano il rifugio più tardi rispetto a quelle più veloci: una nottola di Leisler (Nyctalus leisleri), ad esempio, s’involerà in media prima di un orecchione bruno (Plecotus auritus). Un volo più rapido vuol dire essere in grado di evitare più agevolmente i predatori. Sì, perché i pipistrel-

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li che volassero di giorno sarebbero esposti a un rischio di predazione, soprat-tutto da parte degli uccelli rapaci, tutt’altro che trascurabile. Secondo alcuni il rischio sarebbe stato elevato soprattutto nel lontano passato in cui i pipistrelli divennero notturni; quelle specie di predatori così aggressive da “relegare” i pipistrelli alle ore notturne sarebbero poi scomparse, ma il comportamento not-turno risulterebbe rigidamente fissato nel patrimonio etologico dei chirotteri. Personalmente coltivo una visione più “attualistica”. I rapaci diurni possono rappresentare un rischio rilevante per i pipistrelli; certe specie, come il lodolaio, sono eccellenti predatori di chirotteri. Gli stessi rapaci notturni, dal barbagianni (Figura 7) alla civetta all’allocco, possono catturare pipistrelli e talora vi si spe-cializzano, in certi casi addirittura provocando la sparizione di intere colonie.

Figura 7. Il barbagianni (Tyto alba) è uno dei predatori notturni dei pipistrelli. (M. Fraissinet)

Non c’è dubbio che anche i rapaci notturni rappresentino un rischio maggiore per i pipistrelli se c’è ancora un po’ di luce rispetto a quando invece regna il buio più fitto. Recentemente ho avuto modo di assistere a un involo spettacolare di migliaia di pipistrelli da un rifugio riproduttivo in una grotta del centro Italia: un vero “fiume” di animali, di varie specie (miniotteri, Miniopterus schreiber-sii; rinolofi maggiori, Rhinolophus ferrumequinum, ed euriale, R. euryale; ve-spertili smarginati, Myotis emarginatus, e maggiori, M. myotis). Bene, quando c’era ancora un po’ di luce e io stesso vedevo molto bene senza difficoltà distin-

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La vita segreta dei pipistrelli

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guendo le silhouette delle diverse specie, sono comparsi contemporaneamente un barbagianni e addirittura una poiana: tutti e due i predatori, che mostravano di conoscere molto bene il sito e i suoi abitatori, hanno tentato di catturare i pipistrelli. In un altro caso, analizzando le borre (pallottole di peli, penne e ossa indigerite e rigettate dai rapaci: un modo furbo per non danneggiare l’intestino) di un barbagianni che aveva eletto a dimora l’ingresso di un rifugio di pipi-strelli, trovammo che nella sua dieta figuravano parecchi vespertili maggiori (M. myotis). Negli ultimi anni, inoltre, si sono moltiplicate le segnalazioni di cornacchie, gazze e gabbiani, insomma specie di uccelli “opportuniste”, che hanno imparato a catturare pipistrelli, spesso facendo loro la posta all’uscita del rifugio e attendendone l’involo serale. Aggiungete a questo che un bel po’ di anni fa (oggi l’esperimento sarebbe giudicato non molto etico) furono rilasciati pipistrelli in pieno giorno in un’area tropicale per vedere cosa sarebbe loro successo: in quel caso, a suffragio del maggior rischio diurno, la predazione fu significativa. Insomma, un pipistrello che si avventuri nelle ore diurne forse mangerà di più (posto che il suo cibo sia disponibile in quelle ore) ma rischierà la pelle. Si è visto che mettendo assieme i due fattori che abbiamo nominato, tipo di dieta e forma dell’ala (ossia capacità di volare velocemente) siamo in grado di predire se una data specie lascerà il rifugio intorno all’ora del tramon-to, quando di luce ce n’è ancora, oppure a buio fatto. L’orario di emergenza dal rifugio sarebbe dunque un compromesso tra vantaggio energetico e rischio di finire catturati dai predatori, soprattutto diurni. Altri interessanti indizi sul rischio del volo in condizioni di illuminazione provengono dalla variabilità, nell’ambito della medesima specie, dell’ora d’involo dal rifugio. A parità di specie, se il rifugio ha un’uscita riparata, ad esempio, da una grossa siepe o un filare di alberi, i pipistrelli tenderanno a uscire prima che se il rifugio invece si trova circondato da un ambiente aperto. Il significato è chiaro: uscire con le “spalle coperte” da una siepe nasconde i pipistrelli agli occhi dei predatori, quindi ci si può concedere il lusso di anticipare l’involo e aspirare a un bottino d’insetti più ricco. Pensate che la stessa cosa, come appurato proprio da uno studio condotto da me e alcuni colleghi, accade alle specie di pipistrelli come il barbastello (Barbastella barbastellus) che vivono nelle cavità degli alberi: se l’albero si trova nel fitto del bosco, l’uscita è anticipata di qualche minuto, viceversa per alberi in radura. E, restando in Italia, in un canyon montano del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise i pipistrelli pigmei (Pipistrellus pygmaeus) escono oltre un’ora prima del tramonto perché quella stretta valle-cola che hanno eletto a dimora è impenetrabile per i grandi uccelli predatori. Inoltre nel tardo pomeriggio quel luogo è pieno di sciami di piccoli insetti che i pipistrelli predano. Insomma, sito riparato dai predatori e insetti in abbondanza: ed ecco che una specie che esce di norma a buio fatto come il pipistrello pigmeo cambia radicalmente abitudine e inizia a cacciare col sole ancora alto!

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Pipistrelli nel passato e nel presente

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Ma, credetemi, si tratta di situazioni davvero rare. A volte, soprattutto alla fine del letargo invernale, quando le sere sono ancora fredde e gli insetti pochi, al-cuni pipistrelli possono cacciare durante il giorno. Io una volta ne ho osservato uno, si trattava di un pipistrello albolimbato (Pipistrellus kuhlii), che cacciava su una pozza a mezzogiorno, in pieno sole e in habitat aperto. Rischiava la pelle, il poverino, ma era evidentemente soverchiante la necessità di ristabi-lire subito delle riserve di grasso sufficienti, consumate com’erano quelle che avevano assistito il pipistrello nei mesi invernali. Uno dei maggiori studiosi dell’evoluzione del comportamento notturno dei pipistrelli, John Speakman, scrivendo di questi casi di pipistrelli che volano durante il giorno, evidenziò come non basterebbe l’intera vita di un ricercatore per documentarne un nume-ro significativo. Da tutto quanto vi ho finora raccontato si comprende piuttosto bene che l’i-potesi antipredatoria, ossia il fatto che i pipistrelli abbiano colonizzato i cieli notturni per evitare i predatori, possa vantare alcune evidenze importanti, sia pure indirette. Se trovassimo luoghi così remoti da non essere stati mai colo-nizzati da uccelli predatori pericolosi per i pipistrelli quali i falchi e gli altri rapaci diurni, ci aspetteremmo allora dei pipistrelli diurni: in assenza di rischio, perché non avventurarsi nelle ore del dì e beneficiare dell’abbondanza di inset-ti? A supporto di questa ipotesi, conosciamo effettivamente alcune situazioni di pipistrelli divenuti diurni, o per meglio dire attivi anche di giorno oltre che di notte, limitate a certe isole oceaniche in cui non ci sono rapaci oppure dove quelli presenti non sono di dimensioni e capacità di manovra tali da costituire un pericolo per i pipistrelli. Un caso assai noto è quello della nottola delle Az-zorre (Nyctalus azoreum), che assomiglia molto alla nostra nottola di Leisler (N. leisleri) – la prima è stata per parecchio tempo ritenuta solo una sottospecie della seconda – che nelle isole omonime, politicamente portoghesi ma geografi-camente di nessuno, collocate come sono nel cuore dell’Oceano Atlantico, vola spesso durante il giorno. Un secondo caso ho avuto la fortuna di studiarlo io con colleghi italiani e portoghesi, e questa volta dobbiamo trasferirci nel Golfo di Guinea, in Africa Occidentale, sull’Isola di São Tomé. Si tratta di un magnifico pipistrello della famiglia Hipposideridae, Hipposideros ruber (Figura 8), che presenta due fasi cromatiche: certi soggetti hanno il pelo grigio, altri ce l’hanno di un arancione brillante, e le due forme, pur prevalendo ora l’una ora l’altra a seconda dei rifugi, coesistono. Come nel caso delle Azzorre, a São Tomé i ra-paci pericolosi per i pipistrelli non sono mai arrivati, e i “nostri” sono diventati diurni. La peculiarità del caso, però, è che durante il giorno sono soprattutto i maschi a essere attivi, mentre nelle femmine si osserva un comportamento più notturno: probabilmente una strategia per mitigare la competizione alimentare tra i sessi. In effetti, se passate parecchie ore a osservare un rifugio di questa specie sull’isola, vi colpisce il viavai di animali, a qualunque ora. Il flusso netto

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La vita segreta dei pipistrelli

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prevalente è però in uscita dal mattino fino al pomeriggio, quando invece il trend s’inverte e c’è una tendenza netta al rientro; quindi, al tramonto, di nuovo tanti animali che s’involano. E se avete la sventura / fortuna di essere colpiti da uno di quei terribili temporali tropicali mentre siete in foresta a osservare il vo-stro rifugio, resterete sbalorditi nell’ammirare il rientro repentino di tantissimi pipistrelli che, nel bel mezzo del giorno, sono stati sorpresi dalla pioggia mentre erano a caccia e che per scansarsi il violentissimo acquazzone guadagnano la protezione del rifugio tornandovi a rotta di collo.

Figura 8. Sull’Isola di São Tomé, nel Golfo di Guinea, esiste una popolazione di Hippo-sideros ruber che, oltre che frequentemente attiva nelle ore notturne, lascia spesso il rifugio anche nelle ore diurne. (G. Maglio)

Sempre parlando di isole non occupate da predatori alati pericolosi per i pipi-strelli, si conoscono anche casi di volpi volanti che volano durante il giorno. Si tratta di pipistrelli frugivori per i quali il vantaggio legato al volo diurno sta nel-lo sfruttare le correnti termiche ascensionali prodotte dal riscaldamento dell’a-ria da parte della superficie terrestre, un modo molto conveniente di volare. È il caso, ad esempio, della volpe volante delle isole Samoa (Pteropus samoensis). Insomma, i pipistrelli “diurni” sarebbero la vera eccezione che conferma la regola del comportamento notturno. Mi rendo conto che per come vi ho presen-tato finora la faccenda vi sarete convinti della totale bontà dell’ipotesi antipre-datoria. Mea culpa, ne sono un sostenitore, ma per onestà scientifica devo anche