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DISPENSE DI ELETTRONICA INDUSTRIALE (anno accademico 2002 -2003) Convertitori di energia

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DISPENSE DI ELETTRONICA INDUSTRIALE

(anno accademico 2002 -2003)

Convertitori di energia

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1.-Introduzione. I convertitori di energia elettrica assolvono al compito di trasformare sorgenti di energia continua (DC) in sorgenti di energia alternata (AC) e viceversa. Essi normalmente impiegano interruttori comandati (meccanici o elettronici) che hanno il vantaggio di non assorbire energia dato che, sia nello stato chiuso che in quello aperto, il prodotto della tensione per la corrente è nullo. Poiché l’impiego di interruttori (cioè dispositivi tutto niente) ha per conseguenza la creazione di tensioni ad onda quadra il compito del progettista è quello di studiare delle leggi di commutazione che minimizzino il loro contenuto di armoniche. La presenza di armoniche nelle forme d’onda sintetizzate non è solo inutile ma anche dannosa perché esse sono causa di disturbi elettromagnetici e di perdite di energia per riscaldamento nei materiali conduttori circostanti. 2.-Convertitori DC/AC ad interruttore elettronico. Un semplice esempio di convertitore a transistori con tensione di uscita ad onda quadra è quella riportato in Fig. 1.

Fig. 1: Inverter a transistori. Il trasformatore viene impiegato per elevare l’ampiezza della tensione alternata sul carico. Allo scopo di minimizzare le perdite esso deve avere resistenza di avvolgimento la più piccola possibile. Inoltre i flussi dispersi debbono essere resi anch’essi trascurabili onde evitare pericolose sovratensioni sugli interruttori. Si supponga allora che il transistore Tr2 conduca mentre Tr1 sia interdetto e, a partire dal generico istante t0, si applichino delle tensioni opportune sulle rispettive basi, in modo da capovolgere bruscamente la situazione. Detto allora Φ il flusso nel ferro del trasformatore, np il numero di spire di ciascuna metà del primario ed ns quello delle spire del secondario, prima della commutazione si ha, trascurando le resistenze e i flussi dispersi:

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3

dtdnE pΦ

=

dtdnv ssΦ

=

Prima della commutazione il flusso nel trasformatore va dunque crescendo con legge lineare1, mentre corrente e differenza di potenziale ai capi della resistenza rimangono costanti fintantoché, a partire dall'istante t0, causa l'interdizione di Tr2, la corrente nella metà inferiore del primario cessa bruscamente. Subito dopo la commutazione si ha perciò un transitorio le cui modalità variano a seconda che la parte superiore del primario cominci o non cominci subito a condurre corrente. Se infatti all'istante t0 si ha E < np dΦ/dt il transistor Tr1 risulta polarizzato con tensione negativa e non può condurre corrente. In questo caso il secondario si evolve liberamente con andamento esponenziale tendente a zero e cioè:

τ0

0

tt

e−

Φ=Φ

in cui τ è la costante di tempo legata al carico resistivo e all'induttanza di magnetizzazione secondaria del nucleo del trasformatore. Non appena però al decrescere di Φ la condizione E < np dΦ/dt non è più' soddisfatta, il primario riprende a condurre e le leggi di variazione del flusso e delle correnti ritornano ad essere lineari.

Fig. 2: Andamenti periodici del flusso e della corrente nel carico. 1 In pratica il flusso non può crescere linearmente oltre un certo limite dato che esso tende al

valore limite p

p REL=Φ max in cui Lp ed Rp sono l’induttanza e la resistenza primaria.

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Si hanno perciò i diagrammi di Fig. 2 in cui l'andamento esponenziale si raccorda con quello lineare quando si ha la mutua tangenza tra i due. È importante notare infine che la corrente nella resistenza di carico subisce un brusco salto per compensare l’azzeramento della corrente primaria e mantenere così costante il flusso nel nucleo del trasformatore. Pertanto se il carico comprendesse oltre alla resistenza, una induttanza in serie (ad esempio quella di dispersione del secondario), la brusca variazione di corrente richiesta sul secondario verrebbe impedita dando luogo all'insorgere di sovratensioni di tipo impulsivo con conseguenze catastrofiche sul transistor Tr2 che, commutando dallo stato di conduzione a quello di interdizione, è la causa prima del transitorio descritto. 3.- Convertitori DC/AC di potenza. Molto spesso è necessario alimentare carichi con forte assorbimento che necessitano di una tensione quasi sinusoidale a frequenza variabile. In tal caso si utilizza il circuito di Fig. 3 che consente in particolare di alimentare un carico trifase (la versione monofase verrà descritta nel seguito):

Fig. 3: Convertitore DC/AC trifase. Il carico trifase ha infatti il vantaggio di essere alimentato da tensioni sintetizzate con interruttori, riportate in Fig. 4, che, benché risentano ancora della natura tutto-niente degli interruttori con cui sono state generate, si avvicinano abbastanza alla forma sinusoidale desiderata.

Fig. 4: Forme d'onda nel convertitore trifase DC/AC.

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Il circuito di Fig. 3 ovvero la sua realizzazione a mezzo di interruttori allo stato solido, data la sua semplicità costruttiva, è molto diffuso nelle applicazioni industriali. Il tipo di interruttori allo stato solido impiegati dipende dalla potenza assorbita dal carico e va dagli SCR, per le alte potenze, ai transistori bipolari o Mos per le potenze più basse. Nel caso si voglia utilizzare i transistori, uno dei problemi più difficili che deve risolvere il progettista consiste nel pilotaggio della base (o del gate) quando l’emettitore (o la sorgente) non è collegato a massa. Fortunatamente se si usano MOS questo problema si risolve facilmente con l’impiego della cosidetta pompa di carica, il cui schema elettrico è riportato in Fig. 5.

Fig. 5: Pompa di carica per il pilotaggio di un MOS fuori massa. Si tratta in pratica di un condensatore C che viene caricato alla tensione Vz portando il transistore Tr1 allo stato ON. Chiudendo poi il transistor Tr2 (e aprendo Tr1) si applica la Vz al gate del MOS portandolo in conduzione. Il diodo Zener ha lo scopo di limitare la tensione del condensatore al valore Vz

strettamente necessario per saturare il MOS mentre il diodo D1 impedisce la scarica del condensatore quando Tr2 è conduttore. Normalmente la carica del condensatore, che si va lentamente esaurendo, viene ripristinata commutando i due transistori Tr1 e Tr2 a frequenza piuttosto elevata. Il transistore Tr3 infine serve a bloccare senza ritardi il MOS quando si desidera che esso non conduca. 4.-La tecnica PWM. Il problema di ottenere una tensione o più precisamente una corrente di forma prossima a quella sinusoidale sia nel carico trifase che in quello monofase si può affrontare anche con altre tecniche e in particolare con quella a modulazione di lunghezza di impulso PWM (Pulse Width Modulation). Quest'ultima consiste nell'applicare sul carico, sempre utilizzando il convertitore di Fig. 3, oppure la sua versione semplificata mostrata in Fig. 6 per il caso di un carico monofase, una serie di impulsi di durata variabile come è mostrato ad esempio in Fig. 7. Calibrando opportunamente le durate degli impulsi all'interno di ciascun

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semiperiodo è possibile ottenere una tensione (e quindi una corrente) con un certo numero di armoniche nulle.

Fig. 6: Convertitore monofase.

Fig. 7: Forma d’onda PWM a due livelli (caso a) e a tre livelli (caso b). Per fissare le idee si supponga di voler annullare le armoniche di ordine 3 e 5 (le armoniche pari sono tutte nulle se la forma d’onda è simmetrica) con la fondamentale eguale a V0. L'espressione generale delle armoniche di tensione nella forma d'onda di Fig. 7-b (caso a tre livelli) è data dalla relazione:

...])12()12()12([)12(

432112 −−+−−−

−=− ααα

πnsinnsinnsin

nEV n n=1,2,….

dove αi sono gli istanti angolari in cui la forma d'onda commuta. Utilizzando allora le note formule trigonometriche:

ααα 3cos-3cos4cos3 = αααα 5cos20cos3-5cos16cos5 +=

si ottiene il seguente sistema di equazioni:

π0

321 )(3 Vxxx =+−

0)(4)(3 33

32

31321 =+−++− xxxxxx

0)(16)(20)(5 53

52

51

33

32

31321 =+−++−−+− xxxxxxxxx

nelle 3 incognite xi = cosαi , i=1,2,3. Tale sistema essendo di tipo algebrico e non trascendente è abbastanza facile da risolvere per via numerica (esso è inoltre direttamente estensibile al caso generale di un numero qualsiasi di istanti di commutazione).

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Una volta calcolati i valori di xi e quindi di αi che lo soddisfano, per vari valori diversi dell’ampiezza V0 della fondamentale, questi ultimi valori possono essere inseriti nella memoria permanente di un microcalcolatore che provvede a comandare gli interruttori Si di Fig. 6. Questa procedura, che attualmente è di gran lunga la più diffusa nella pratica, ha però alcuni punti deboli. Anzitutto all’aumentare del numero di armoniche da eliminare cresce di conseguenza il numero degli angoli di commutazione con conseguente aumento delle perdite negli interruttori allo stato solido utilizzati. Inoltre non sempre l’eliminazione delle armoniche 3, 5 ecc. è sufficiente a garantire un corretto funzionamento del carico. Molto spesso infatti il carico alimentato è di tipo elettromeccanico (motore più parte mobile da spostare) e le sue caratteristiche possono variare in modo imprevedibile durante il normale funzionamento. Per esempio un braccio mobile di un manipolatore che sposta dei pesi può assumere posizioni caratterizzate da frequenze di risonanza meccanica di valore variabile col pericolo che una di esse possa coincidere con una delle armoniche non-eliminate nell’onda PWM. In questo caso la corrente associata all’armonica in questione assume ampiezze molto elevate ed il braccio inizia a vibrare fortemente con conseguenze dannose facilmente prevedibili. 5.- La PWM a minima potenza. Una tecnica che in teoria dovrebbe consentire di ottenere una forma d’onda di corrente quasi perfettamente sinusoidale è quella nota col termine di controllo a isteresi. Essa consiste nell’imporre una fascia di variazione (isteresi) alla corrente nell’intorno di un andamento sinusoidale di riferimento, come mostrato in fig. 8.

Fig. 8: Controllo a isteresi di corrente. Non appena la corrente erogata sul carico tende ad uscire dalla fascia di valori permessi vengono commutati gli interruttori (vedi fig. 8). Il principale svantaggio di questa tecnica consiste nel fatto che al restringersi della fascia di oscillazione permessa il numero di commutazioni richieste assume valori molto elevati mettendo in crisi gli interruttori allo stato solido utilizzati. È quindi preferibile in

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ogni caso impiegare tecniche che facciano uso di un numero fisso e limitato di commutazioni per ogni periodo onde limitare gli stress e le perdite sugli interruttori. Un approccio che ha dato buoni risultati è quello della minimizzazione di una grandezza che meglio identifichi l’effetto delle armoniche sul carico e precisamente la potenza ad esse associata. Tale minimizzazione va inoltre fatta mantenendo fisso il numero di commutazioni per periodo onde non aggiungere consumi ulteriori legati ai processi di commutazione. Se si suppone allora di utilizzare interruttori ideali, la tensione continua E viene trasformata dal convertitore di Fig. 6, senza apprezzabile perdita di potenza, nella tensione alternata v(α), riportata in Fig. 7, la quale invia nel carico la potenza media:

∫−=

π

πααα

πdivP )()(

21

Se uno degli angoli di commutazione, ad esempio αi viene variato di ∆α anche la potenza erogata subisce una variazione di entità:

∫−∆+∆≅∆

π

πααααα

πdivivP )]()()()([

21

L’integrale del prodotto ∆v(α)i(α) è facile da calcolare dato che, come mostrato in Fig. 9 nel caso in cui si faccia variare α1 , ∆v(α) è una funzione formata da impulsi (indicati in colore rosso) di larghezza ∆α piazzati in corrispondenza degli angoli di commutazione iα± . Facendo allora l’ipotesi che la variazione ∆α sia

abbastanza piccola si ha:

αααπ

αααπ

π

π∆+−

−≅∆

−∫ )]()([)1()()(21 1

ii

i

iidiv

dove il termine (-1)i-1 è dovuto al fatto che un incremento angolare ∆α provoca un incremento dell’area degli impulsi se i è dispari, ovvero un decremento se i è pari.

Fig. 9: Forma d’onda della variazione ∆v(α). Il calcolo del contributo del prodotto ∆v(α)i(α) non è altrettanto facile e qui verrà eseguito nel caso semplice di un carico R-L serie. Va però subito precisato che il risultato ottenuto è valido in generale e cioè per qualsiasi tipo di carico purché lineare. Se si considerano allora le variazioni di corrente ∆i(α) indotte in un carico R-L serie dalla variazione di tensione ∆v(α) si ha:

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ααωαα

didLiRv )()()( ∆

+∆=∆

Moltiplicando ambo i membri per i(-α) si ottiene:

ααααααα

didwLiiRivi )()()()()()( ∆

−+∆−=∆−

Utilizzando l’identità:

)()()()()()()(

αα

ααα

ααα

−−

∆+−∆

=∆

−ddiai

diid

didi

si ha:

α

ααωαααωααα

diidLi

ddiLRivi )]()([)(]

)()()([)()( −∆

+∆−−

+−=∆−

ossia, tenendo conto della relazione )()()()(

ααωαα

−−

+−=−ddiLRiv , si ricava:

α

ααωααααd

iidLivvi )]()([)()()()( −∆+∆−=∆−

A questo punto integrando ambo i membri e tenendo conto che sia la v(α) che la ∆v(α) sono simmetriche rispetto all’origine si ha (la funzione moltiplicata da ωL dà contributo nullo essendo la derivata di una funzione periodica):

αααααπ

π

π

πdivdavi )()()()( ∆=∆ ∫∫ −−

da cui segue immediatamente la variazione complessiva di potenza cercata:

αααπ

∆+−−≅∆ − )]()([)1(2 1ii

i iiEP

Come si vede la variazione di potenza causata da una piccola variazione dell’angolo di commutazione si può stimare semplicemente misurando i valori delle correnti nell’istante di commutazione medesimo. La ricerca dei valori degli angoli di commutazione αi cui corrisponde il valore minimo della potenza erogata si può allora fare per passi successivi, misurando l’ampiezza delle correnti e incrementando o decrementando αi a seconda che il termine (-1)i-1[i(-αi)+i(αi)] sia negativo o positivo. A questo proposito occorre però ricordare che la potenza da minimizzare non è la P che è quella totale ma solo quella parziale associata alle armoniche, mentre il valore della fondamentale V1 va tenuto costante. Allo scopo di tener conto di quest’ultimo vincolo conviene allora introdurre il seguente Indice di Prestazione: 2

101 )( VVPIP −+= β

in cui V1 = 4E/π(sinα1 –sinα2 +sinα3 + …) e V10 sono rispettivamente il valore attuale e quello desiderato della fondamentale mentre β è un fattore numerico da stabilirsi ed è tanto maggiore quanto maggiore è il peso che si vuole assegnare al vincolo V1=V10. In pratica si procede nel seguente modo. Durante il normale funzionamento del convertitore si valuta, a mezzo di misure di corrente, l’entità della variazione

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ααβααπ

∆−++−−=∆ − }cos)(4)]()({[)1(2101

1iii

ii VViiEIP

dell’indice di prestazione in corrispondenza di tutti gli angoli di commutazione e poi si varia nel periodo successivo quell’angolo cui corrisponde il rapporto ∆IPi/∆α di entità più elevata, cioè in definitiva quell’angolo che appare essere il più lontano dal valore ottimale cercato. In questo modo uno alla volta tutti gli angoli di commutazione vengono sospinti verso quell’insieme di valori ottimali che garantiscono il minimo valore di IP, cioè in definitiva il minimo valore della potenza totale, compatibilmente con un valore di fondamentale V1 non troppo discorde da quello desiderato. 6.- Convertitori DC/AC risonanti. Uno dei problemi principali che affliggono i dispositivi di conversione descritti nei precedenti paragrafi è senza dubbio la dissipazione di calore negli interruttori allo stato solido che oltre a provocare perdite di energia è anche una delle prime cause di guasto. Poiché lo stress si verifica quasi esclusivamente durante la commutazione ci si può chiedere se non sia possibile progettare convertitori in cui la commutazione degli interruttori avvenga esclusivamente in corrispondenza di valori di corrente (o tensione) nulli.

Fig. 10: Sintesi di una forma d’onda a bassa frequenza a mezzo di semisinusoidi. In linea di principio ciò è possibile nel caso DC/AC se la tensione continua da convertire è preventivamente trasformata in una corrente (o tensione) alternata ad alta frequenza le cui singole semisinusoidi vengano applicate poi al carico aprendo o chiudendo gli interruttori del convertitore negli istanti in cui esse transitano per lo zero. In altre parole si ha la situazione di Fig. 10 in cui vengono riportate per confronto le forme d’onda PWM tradizionali e quelle ottenute a mezzo di elementi semisinusoidali. In pratica se la frequenza delle semisinusoidi è sufficientemente elevata, la forma d’onda sintetizzata che si ottiene non differisce sostanzialmente da una PWM tradizionale con la differenza fondamentale che in quest’ultimo caso è possibile aggiungere o togliere solo semisinusoidi intere. Vi è perciò una discretizzazione delle durate dei singoli impulsi dell’onda di bassa frequenza sintetizzata che possono perciò assumere solo valori multipli del semiperiodo

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dell’onda di alta frequenza. Il vantaggio, come già detto, consiste nel fatto che l’aggiunta delle semisinusoidi avviene commutando interruttori in istanti in cui la corrente (o tensione) è appunto nulla, come viene mostrato in Fig. 11 nel caso di un interruttore realizzato con un transistore. Come si vede la commutazione avviene in ogni caso evitando il passaggio attraverso zone con prodotto vi ≠ 0.

Fig. 11: Commutazione dallo stato on a off e viceversa, con alimentazione (tensione o corrente) variabile semi-sinusoidalmente. Il problema pratico si può perciò ridurre alla generazione di una corrente (o tensione) sinusoidale ad alta frequenza di ampiezza indipendente dal carico utilizzato. A tale scopo si impiega un circuito risonante posto nel solito ponte ad interruttori, come indicato in Fig. 12.

Fig. 12: Ponte a interruttori che alimenta un circuito risonante serie. Se la frequenza con cui commutano gli interruttori coincide con la frequenza di risonanza del circuito e il fattore di merito di quest’ultimo è abbastanza elevato, la tensione ad onda quadra applicata fa circolare una corrente pressoché sinusoidale ed in fase con la tensione, come è mostrato in Fig. 12. Il passaggio per lo zero della corrente avviene perciò nell’istante preciso in cui gli interruttori commutano garantendo così l’assenza di perdite. Una volta generata la sinusoide ad alta frequenza, essa viene instradata nel modo voluto attraverso il carico posto in serie a mezzo di un altro ponte a interruttori, come mostrato in Fig. 13.

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Fig. 13: Convertitore risonante serie con carico. Occorre però notare che l’inserzione del carico in serie al circuito risonante provoca grossi problemi a quest’ultimo. Questo infatti è il tallone d’Achille dei convertitori risonanti: se il carico non presenta una reattanza sufficientemente bassa il circuito risonante esce di sintonia con conseguenze facilmente immaginabili sulla ampiezza, fase e distorsione dell’onda sinusoidale. Questi ed altri sono i motivi che fin’ora hanno impedito un’ampia diffusione di questi dispositivi. Ovviamente oltre al circuito di Fig. 13, che impiega un circuito risonante serie per la generazione di una corrente sinusoidale, esiste il caso duale di un circuito risonante parallelo che genera una tensione sinusoidale di alta frequenza. Lo schema è riportato in Fig.14 in cui si nota che al posto del generatore costante di corrente I0 che, per dualità, dovrebbe sostituire la batteria E del caso serie, si è utilizzata una batteria con in serie una induttanza di valore elevato. Si tratta ovviamente di una realizzazione non del tutto soddisfacente ma di cui è necessario “accontentarsi” per non andare incontro a problemi realizzativi troppo complicati o dispendiosi.

Fig. 14: Convertitore risonante parallelo alimentato da un “generatore di corrente”. Anche nel caso del circuito risonante parallelo esiste il grosso problema della dissintonizzazione causata dall’inserzione di un carico la cui reattanza non sia sufficientemente elevata. 7.-Convertitori risonanti AC e DC-link. I convertitori risonanti descritti nel precedente paragrafo vengono spesso detti ad

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AC-link perché dalla connessione (link) ad alta frequenza vengono estratti degli impulsi di corrente o tensione la cui forma è quella di una sinusoide tagliata esattamente a metà. Esiste però la possibilità di utilizzare in modo diverso queste forme d’onda e cioè aggiungendo loro una componente continua in modo da avere un impulso elementare di ampiezza più elevata. Facendo riferimento al caso del convertitore risonante serie, l’aggiunta di una componente continua di corrente I0 si ottiene inserendo in parallelo alla capacità C del circuito risonante una induttanza La, come è mostrato in Fig. 15.

Fig. 15: DC-link series resonant converter. Se il valore di La è sufficientemente grande e la corrente che la attraversa è nulla, essa non disturba il funzionamento normale del circuito risonante. Si supponga ora di aprire tutti gli interruttori Hi nell’istante di passaggio per lo zero della corrente nella induttanza L in modo da “congelare” il funzionamento del circuito risonante per un breve intervallo di tempo ∆τ, durante il quale il condensatore C resta praticamente carico mentre la corrente nell’induttanza L rimane nulla. Naturalmente quando si richiudono nuovamente gli interruttori, il circuito riparte dalle condizioni precedenti, come mostrato in Fig. 16.

Fig. 16: Asimmetria nella tensione del condensatore introdotta da una pausa ∆τ.

Questa procedura ha come risultato di ottenere una forma d’onda di tensione ai capi del condensatore C di valore medio non nullo. Indicando allora con V0 tale valore e con Ra la resistenza dell’induttanza ausiliaria, attraverso di essa circolerà, dopo un certo tempo necessario a raggiungere la situazione di regime, una corrente continua pari a I0=V0/Ra. Quest’ultima viene inviata tutta sul carico sommandosi alle semionde di corrente del circuito risonante. Naturalmente la presenza della componente I0 altera il regime iniziale,

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riportato in fig. 16, che diventa quello di fig. 17. In quest’ultimo caso, che rappresenta la situazione di regime corrispondente ad un valore prefissato di ∆τ, il condensatore si scarica secondo una rampa lineare e la semionda negativa di corrente sparisce del tutto.

Fig. 17: Situazione di regime della tensione e corrente in un DC-link series

resonant converter. Come si può vedere in Fig. 17 la corrente iL che viene inviata sul carico è formata da impulsi sinusoidali traslati verso l’alto. Ovviamente l’entità di questa traslazione può essere variata variando l’intervallo ∆τ durante il quale il circuito risonante viene abbandonato a se stesso. Un procedimento analogo (o meglio duale) si usa nel convertitore risonante parallelo: in questo caso si pone un grosso condensatore ausiliario Ca in serie alla induttanza L del circuito risonante. Cortocircuitando il circuito risonante a mezzo degli interruttori Hi si disimmetrizza la corrente nell’induttanza L con la conseguente formazione di impulsi di tensione sinusoidali traslati verso l’alto. 8.-Convertitori AC-DC. Il convertitore AC/DC si può considerare almeno da un punto di vista puramente concettuale come un dispositivo che effettua l’operazione inversa della trasformazione di energia da continua (DC) ad alternata (AC) descritta nei paragrafi precedenti. Sorge quindi il problema di verificare se non sia in pratica possibile utilizzare il convertitore DC/AC e tutte le tecniche per la eliminazione e minimizzazione di armoniche sviluppate per esso, anche per la realizzazione dei convertitori AC/DC. Ovviamente la difficoltà sta nel fatto che mentre il convertitore DC-AC converte una tensione continua in un’onda quadra, un convertitore AC-DC deve necessariamente prendere in considerazione le forme d’onda sinusoidali dato che questa per l’appunto è la tensione disponibile nella rete pubblica di distribuzione dell’energia elettrica. Si consideri allora la Fig. 18 in cui vengono posti a confronto i convertitori DC/AC, realizzati con le tecniche PWM e basati sui ponti ad interruttori, con i convertitori AC/DC di cui non è però ancora mostrata la struttura interna.

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Fig. 18: Confronto tra convertitori AC/DC e DC/AC. Come si può vedere mentre dal punto di vista delle tensioni (e correnti) sul lato DC non vi è una differenza sostanziale tra i due dispositivi, sul lato AC compaiono rispettivamente una tensione alternata PWM e una tensione sinusoidale cioè’ due forme d’onda nettamente distinte. Inoltre se si pensasse di sostituire il convertitore AC/DC con il ponte a interruttori usato nel DC/AC vi sarebbe il problema che il generatore sinusoidale viene cortocircuitato quando la coppia S1-S3 (oppure S2-S4) è in conduzione. Fortunatamente si può ripristinare una equivalenza di tensioni e correnti anche dal lato AC, salvando contemporaneamente il generatore sinusoidale dal cortocircuito, se si inserisce in serie al generatore sinusoidale stesso una induttanza ausiliaria L, come indicato in Fig. 19.

Fig. 19: Come rendere equivalente un convertitore AC/DC ad un DC/AC. Quando infatti la coppia di interruttori S1-S3 (oppure S2-S4) è chiusa la tensione è nulla, come nel caso PWM. Quando invece chiude la coppia S1-S4 (oppure S2-S3 ) la caduta ai capi dell’induttanza colma la differenza tra la tensione alternata del generatore e la tensione continua E mantenuta dal condensatore ai capi del carico. In altre parole a monte dell’induttaza appare, pur con qualche piccola

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ondulazione sovrapposta (dovuta alla scarica del condensatore di filtro), la medesima forma d’onda PWM che si ha nel convertitore DC/AC per cui l’equivalenza è dimostrata. La verifica di tale equivalenza ci permette quindi di affermare che tutte le tecniche di eliminazione e minimizzazione delle armoniche sviluppate per il caso DC/AC sono trasferibili senza alcuna modifica al caso AC/DC. In Fig. 20, a titolo di esempio, è riportata la forma d’onda della corrente alternata di linea in un convertitore AC/DC in cui il ponte a interruttori è stato fatto funzionare seguendo le tecniche di minimizzazione armonica viste in precedenza. Come si può vedere il ponte a interruttori, pur nei limiti delle 7 commutazioni permesse, favorisce un tracciato di corrente che è molto vicino ad una sinusoide ideale.

Fig. 20: Corrente alternata di linea IL con minime armoniche e 7 angoli di

commutazione per quarto di periodo. L’impiego del ponte a interruttori nel caso AC/DC non è tuttavia consigliabile per motivi di economicità e di pratica fattibilità. Esso si può sostituire con un economico ponte a diodi seguito da un selettore posto in serie con l’induttanza. Il ponte a diodi fa le medesime2 funzioni delle coppie di interruttori S1-S4 e S2-S3., mentre il selettore equivale alla chiusura della coppia di interruttori S1-S3 (oppure S2-S4).

Fig. 21: Schema di principio di collegamento tra una sorgente AC e un carico DC.

2 In realtà tale equivalenza può in taluni casi limite non essere del tutto verificata ma tale

problema esula i limiti di queste dispense.

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Omettendo allora per semplicità il ponte raddrizzatore a diodi, che comunque nella struttura realizzativa finale andrà sempre aggiunto, il convertitore AC/DC si riduce al dispositivo descritto in Fig. 21 in cui il generatore in alternata (sorgente AC) con la sua impedenza interna Zi viene collegato ad un carico Z (utilizzatore DC) da un circuito tripolare (racchiuso in una cornice ombreggiata per meglio evidenziarlo) formato da una induttanza L, un condensatore C e un deviatore S. A questo proposito val la pena di ribadire che avendo omesso il ponte raddrizzatore, il circuito di Fig. 21 è valido solo per la semionda positiva del generatore AC. In altre parole il generatore di tensione sinusoidale diventa un generatore di semisinusoidi raddrizzate V*AC. È allora lecito considerare il circuito tripolare entro cornice ombreggiata come il convertitore AC/DC vero e proprio. Anzi da questo punto di vista non deve destare sorpresa se si generalizza la situazione di Fig. 21, effettuando delle permutazioni nell’ordine in cui il suddetto circuito tripolare collega il generatore AC al carico DC, ottenendo così le altre due possibili configurazioni mostrate in Fig. 22 e 23. In particolare il circuito in Fig. 21, che si può considerare la connessione base, poiché consente di ottenere tensioni sul carico ben superiori a quella di cresta dell’alternata, viene denominato comunemente convertitore step-up. Invece quello di Fig. 22 in cui l’induttanza funge da volano di corrente in serie al carico ma provoca una caduta di tensione, viene denominato convertitore step-down. In pratica la situazione è duale della precedente in quanto ad essere aumentata non è la tensione ma bensì la corrente in uscita sul carico.

Fig. 22: Seconda possibile configurazione (step-down) di convertitore AC/DC. È anche evidente che il convertitore step-up è un dispositivo a tensione costante adatto per esempio a regolare la velocità dei motori in continua mentre il convertitore step-down funziona a corrente costante e serve a controllare la coppia motrice. Il circuito di Fig. 23 che rappresenta la terza ed ultima configurazione possibile di collegamento, ha caratteristiche miste in quanto sia l’induttanza che la capacità

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agiscono ora sull’ingresso ora sull’uscita a seconda della posizione del deviatore S ed è quindi noto col termine di convertitore step-up-down.

Fig. 23: Terza possibile configurazione (step-up-down) di convertitore AC/DC. Come verrà mostrato nel paragrafo relativo alle realizzazioni circuitali, è possibile accentuarne sia le caratteristiche up che down a seconda della scelta dei valori dei componenti. 9.-Convertitori AC/DC a fattore di potenza unitario. La legge di commutazione del deviatore S deve avere, per ovvi motivi, una frequenza di ripetizione eguale a quella del generatore sinusoidale. Tuttavia la sua fase rimane entro certi limiti arbitraria consentendo così di ottenere l’importante risultato di una corrente di linea in fase con la tensione. Questo consente di minimizzare le perdite lungo le linee di collegamento dovute a scambio di potenza reattiva. Indicando infatti con Vx la prima armonica della tensione PWM e con Ix la corrispondente corrente, si ha la situazione di Fig. 24 in cui viene riportato lo schema semplificato e il diagramma vettoriale delle componenti sinusoidali che interessano il convertitore di Fig. 21 (per gli altri due tipi valgono considerazioni analoghe) e viene inoltre mostrato come sia possibile riportare in fase la corrente complessiva di linea IL agendo sia sulla fase che sull’ampiezza di Vx.

Fig. 24: Schema semplificato e diagramma di fase del convertitore step-up con

rifasamento della corrente di linea IL.

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Risulta allora chiaro che una volta fissato il valore desiderato della tensione continua sul carico, la condizione di fase nulla consente di identificare sia la fase che la ampiezza di Vx. Qui di seguito verranno perciò riportati i dettagli del calcolo relativi al caso del convertitore step-up fermo restando il fatto che negli altri due casi (step-down e misto) si può procedere in modo analogo. 10.- Guadagno di tensione del convertitore step-up. Facendo riferimento allo schema semplificato di fig. 24 in cui la tensione continua sul carico si suppone costante ed eguale ad E, si indichi con V1cosα la tensione alternata di linea e con Vxcos(α+ψ) la componente fondamentale della tensione PWM vx supposta sfasata dell’angolo ψ. L’ampiezza di Vx1 è come noto data dalla relazione: pEVx 2=

dove il termine p, denominato parzializzazione è espresso in funzione degli angoli di commutazione dalla relazione:

...)(2321 −+−= ααα

πsinsinsinp

Ovviamente gli angoli αi vanno scelti oltrechè per ottenere un dato valore di p anche in modo da minimizzare il contenuto armonico della corrente dovuta alla tensione PWM, come discusso nel capitolo relativo ai convertitori DC/AC. La componente complessiva di corrente sinusoidale che fluisce attraverso la linea è data allora dall’espressione:

)cos(2)cos(1 φψαφα ++−+= EZp

ZVI L

dove Z è la reattanza della linea di collegamento e della induttanza L e φ è l’angolo di fase relativo. Se si sviluppano i coseni, la relazione precedente si può riscrivere nella forma:

αφψφαφψφ sin)]sin(2sin[1cos)]cos(2cos[111 +−−+−= pEV

ZpEV

ZI L

in cui la componente in quadratura si annulla se è soddisfatta la condizione: )sin(2sin1 φψφ += pEV Quest’ultima viene denominata condizione di fase e come si era già visto esaminando la Fig. 24 può essere soddisfatta sia agendo su ψ che sulla parzializzazione p. Si consideri ora il problema del calcolo della tensione continua VDC. Tale tensione è dovuta alla componente media di corrente che raggiunge la sezione DC moltiplicata la componente resistiva RL del carico stesso. La corrente media è data dalla relazione :

απ

π

πd

EV

II PWMLDC ∫−

=21

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La presenza del termine VPWM/E si spiega col fatto che quando la tensione PWM e cioè la VPWM è nulla non entra corrente nel carico mentre la IAC entra nel carico solo quando la tensione PWM è non nulla e cioè si ha VPWM/E = 1. Sostituendo allora la sola componente in fase di IAC (a rigore occorrerebbe tener anche conto delle armoniche che contribuiscono alla formazione della IDC, ma esse si trascurano supponendo di funzionare in una situazione di contenuto armonico minimo) si ha:

ααπ

φψφ π

πdV

ZEpEVI PWMDC cos

2)cos(2cos1 ∫−

+−=

ossia dato che l’integrale esprime semplicemente la componente di prima armonica della forma d’onda PWM:

pZpEVI DC

)cos(2cos1 φψφ +−=

da cui segue immediatamente:

)]cos(2cos[ 1 φψφ +−= pEVZ

pRE L

Se a questo punto si ricava il termine 2pE dalla condizione di fase e si sostituisce, si ottiene:

)sin(

sin1

φψφ+

=Z

VpRE L

Moltiplicando ambo i membri per la condizione di fase si ha:

)(2

2

ψφ

sinsin

RZp

L

=

Mentre dividendo si ha:

)(sin

sinsin2

)( 22

1 φψφψ

+=

ZR

VE L

Quest’ultima è l’espressione cercata del guadagno G = E/V1 del convertitore. In Fig. 25 sono riportati, a titolo di esempio, i grafici relativi alla p e al guadagno al variare di ψ per una data Z ed RL.

Fig. 25: Andamento del guadagno di tensione G = E/V1 del convertitore e della parzializzazione p al variare di ψ, con φ = 60°.

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Come si può vedere una volta fissato il guadagno G è possibile ricavare direttamente l’angolo di fase ψ che poi consente di calcolare la p. Infine l’angolo di fase varia nell’intervallo ψmin – (180°-φ), dove ψmin è l’angolo al di sotto del quale, per soddisfare alla condizione di fase, occorrerebbe impiegare un valore di parzializzazione superiore a 2/π che è il massimo teoricamente ottenibile. 11.-Circuiti realizzativi dei tre tipi di convertitori AC/DC. Nel paragrafo precedente si sono introdotti degli schemi di principio che per essere utilizzati in pratica necessitano essenzialmente dell’inserzione di un ponte raddrizzatore e della sostituzione dell’interruttore S con un dispositivo equivalente allo stato solido. Ovviamente la soluzione di questi due problemi si può ottenere in vari modi per cui qui ci si limita a portare solo qualcuna delle possibili soluzioni. Prima di far questo conviene però osservare che l’inserzione del ponte raddrizzatore crea una netta linea di demarcazione tra la sezione in alternata e quella in continua che ha una conseguenza non trascurabile sul funzionamento di L e C. Normalmente infatti l’induttanza L è inadatta a lavorare in continua perché il suo circuito magnetico tende a saturare perdendo così granparte della sua permeabilità. Analogamente il condensatore C è inadatto a lavorare in alternata perché non essendo elettrolitico (che può funzionare solo con tensione continua) esso assume dimensioni e costi proibitivi. Analogo discorso vale per l’interruttore allo stato solido che essendo normalmente monodirezionale è adatto a funzionare solo nella sezione in corrente continua. In conclusione, anche se come si vedrà non è sempre possibile, il ponte raddrizzatore dovrebbe essere posto in modo da lasciare nel settore AC l’induttanza e in quello DC sia il condensatore che l’interruttore allo stato solido. A semplice titolo di esempio di possibili schemi realizzativi viene riportato in Fig. 26 quello relativo al convertitore step-down nella sua forma trifase con interruttori MOS.

Fig. 26: Esempio realizzativo di convertitore AC/DC trifase di tipo step-down.

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In Fig. 27 viene invece mostrato un esempio realizzativo di convertitore step-up-down monofase. Come si può vedere nel convertitore step-up-down di Fig. 27 il condensatore C è stato spezzato in due e cioè C1 e C2. Questa semplice modifica ha lo scopo di permettere un bilanciamento a seconda dei casi delle caratteristiche del convertitore: se ad esempio C1>>C2, prevarrà il comportamento di tipo step-up mentre si avrà invece un comportamento step-down se C1<<C2.

Fig. 27: Esempio realizzativo di convertitore AC/DC di tipo step-up-down. Per quel che riguarda il deviatore S esso è stato realizzato a mezzo di un transistor bipolare e di un diodo. Quando il transistore conduce il diodo si blocca e separa il carico in continua dal generatore che invece alimenta l’induttanza. Quando invece il transistore viene bloccato la corrente che scorre nell’induttanza si chiude attraverso il diodo e alimenta il carico in continua. Val la pena infine di notare che questo convertitore ha la curiosa proprietà di applicare la tensione raddrizzata sul carico invertendone la polarità

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DISPENSE DI ELETTRONICA INDUSTRIALE

(anno accademico 2002-2003)

La giunzione p-n in regime transitorio

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Il comportamento dinamico di una giunzione p-n. La giunzione p-n è la base di tutti i dispositivi a semiconduttore, siano essi bipolari o Mos e la conoscenza del suo comportamento dinamico è quindi essenziale per comprendere cosa avviene durante la commutazione nei dispositivi più complessi, dai transistori agli SCR ecc. Distribuzione di cariche in una giunzione. Il funzionamento statico di una giunzione p-n è sintetizzata in fig. 1 in cui sono mostrate le densità di cariche ai bordi della zona di svuotamento per valori rispettivamente positivi e negativi della tensione di polarizzazione esterna V. Normalmente i valori delle densità di cariche maggioritarie è di parecchi ordini di grandezza superiore a quelli delle cariche minoritarie per cui i grafici di fig. 1 sono spezzati al centro.

Fig.1: Andamento delle densità di carica nelle zone p ed n di un diodo a semiconduttore Come si vede la tensione applicata alla giunzione provoca un accumulo (ovvero un deficit se è negativa) di cariche minoritarie ai bordi della zona di svuotamento. In pratica indicando con pp− e pn+ le densità di lacune ai bordi destro e sinistro rispettivamente, si ha la relazione: pn+= pp− e-qΦ/kT eqV/kT (1)

dove Φ è il potenziale di contatto della giunzione. La densità delle lacune minoritarie (nella zona n) è quindi condizionata dalla densità delle lacune maggioritarie (nella zona p). Analogo discorso vale per gli elettroni:

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np−= nn+ e-qΦ/kT eqV/kT (2)

Osservando la Fig. 1 si nota che, dovendo essere garantita la neutralità di carica all’esterno della zona di svuotamento, l’incremento di cariche minoritarie in una regione ha per conseguenza un identico incremento di cariche maggioritarie nella stessa zona. Per questo motivo l’applicazione di una tensione di polarizzazione altera i profili di tutte le cariche agendo anzitutto sulla densità minoritarie pn+ e np− tramite le relazioni (1) e (2), e poi sulle densità maggioritarie pp− e nn+ per garantire la neutralità di carica. Quest’ultimo effetto deve essere preso in considerazione nel caso di regimi di elevate correnti perché rende non più valida la relazione: I = Isat(eqV/kT –1) (3) che è stata ricavata nell’ipotesi di bassi regimi di corrente in cui si può assumere pp-

p≈ po e nn+ n≈ no. . Lo studio della giunzione per alti regimi di corrente è comunque molto complesso e non è generalmente possibile trovare una relazione analitica sostitutiva della (3). Per concludere la situazione del diodo polarizzato direttamente è quella di Fig. 2 in cui sono evidenziate le correnti sia nella giunzione che in prossimità degli elettrodi laterali.

Fig.2: Densità di carica e correnti in una giunzione polarizzata direttamente.

Facendo riferimento alla sola zona n, la corrente In proveniente dal catodo alimenta l’eccesso di elettroni maggioritari sul bordo destro della giunzione che a loro volta alimentano l’eccesso di elettroni minoritari sul bordo sinistro (zona p). Va notato che la corrente In degli elettroni maggioritari ha due componenti, una (prevalente)

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dovuta al campo elettrico e l’altra di verso opposto dovuto alla diffusione La corrente Ip è invece dovuta alla sola diffusione delle lacune minoritarie (l’effetto del campo è trascurabile sulle lacune poiché la loro densità è molto minore). Un

discorso duale vale per la zona p. Ovviamente in entrambi i casi si haREII pn =+ .

Comportamento transitorio di una giunzione. Quando si inverte bruscamente la tensione ai capi di una giunzione portandola per esempio dallo stato di conduzione (V>0) a quello di interdizione (V ≤ 0), come è indicato in Fig. 3, si ha un transitorio che altera i profili di densità di carica da quelli iniziali (a sinistra in fig.1) a quelli finali (a destra in fig.1).

Fig.3: Dispositivo per il rilievo del transitorio di commutazione di un diodo p-n. Questo comporta una estinzione graduale della corrente secondo un processo che si può suddividere grossolanamente in due fasi successive. Prima fase: non appena la tensione esterna E viene invertita la situazione diventaquella di fig. 4 in cui per semplicità si è riportato solo l’andamento, per vari istantisuccessivi di tempo, della densità delle lacune minoritarie (nella zona n).

Fig.4: Transitorio di estinzione delle lacune minoritarie lungo la zona n.

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Ovviamente un fenomeno analogo si ha sulle densità di elettroni minoritari (nella zona p) e di riflesso su entrambe le cariche maggioritarie in eccesso (per garantire la neutralità di carica). Come si vede a partire dall’istante t = 0 la densità delle cariche minoritarie pn+ su bordo destro della giunzione cala fino a raggiungere, per t = t0, il valore pn0 che corrisponde in base alla (1) ad una tensione V esterna nulla. In altre parole il diodo rimane in conduzione fino al tempo t < t0 e tutta la tensione negativa esterna E cade ai capi della resistenza serie. La corrente esterna dopo essersi invertita di colpo rimane quindi costante ed eguale a –E/R. Durante la discesa di pn+ tutti i profili di densità di cariche minoritarie in eccesso si incurvano su se stessi e si evolvono nel tempo come indicato in Fig. 4. Questa fase è dominata dalla presenza delle cariche minoritarie in eccesso ai bordi della zona di svuotamento e la sua durata complessiva è denominata storage time. Dal punto di vista delle correnti la situazione è quella di Fig. 5 in cui la giunzione, avendo ancora un accumulo extra di cariche ai suoi capi, si trova a lavorare in situazione di conduzione e quindi presenta una caduta di tensione trascurabile. Si hanno cioè due fenomeni che, almeno in prima approssimazione, non interagiscono tra di loro ossia la corrente esterna, che assume il il valore negativo -E/R, e le cariche in eccesso sulla giunzione che vanno via via decrescendo sia per ricombinazione locale che per diffusione verso gli elettrodi esterni.

Fig.5: Diodo in commutazione subito dopo l’inversione della tensione di alimentazione. È importante notare che le situazione delle correnti di fig. 5 è del tutto identica a quella di fig. 3 salvo che per le componenti dovute al campo elettrico delle correnti

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maggioritarie che ora hanno cambiato di segno. In ogni caso la corrente elettrica esterna, salvo il segno, è rimasta inalterata ed eguale a E/R. Seconda fase: al tempo t = t0 la densità (pn+ − pn0 ) di cariche minoritarie in eccesso sul bordo della zona di svuotamento ha raggiunto un valore nullo (curva verde di Fig. 4) e inizia a invertire il proprio segno anche se i blocchi di semiconduttore p ed n hanno ancora cariche residue da smaltire. Per quest’ultimo motivo il transitorio di corrente assume connotati non ben chiari e di difficile definizione. In ogni caso al calare di pn+ la zona di svuotamento della giunzione inizia ad allargarsi (questo fenomeno non è mostrato per ovvie difficoltà grafiche in fig. 4!) e la caduta di tensione V ai capi del diodo che era nulla per t = t0 assume valori via via più negativi. La tensione sulla resistenza esterna cala, la corrente comincia a diminuire di conseguenza e tutte le cariche nelle zone p ed n tendono a raggiungere l’assetto finale. Il tempo necessario affinché si compia questa fase è detto fall time. Ovviamente tutto quanto ora detto sulle lacune vale anche per gli elettroni minoritari. Occorre notare che la presenza di due portatori con caratteristiche (mobilità, vita media ecc.) notevolmente diverse e che interagiscono tra di loro onde mantenere la neutralità di carica, complica notevolmente l’evoluzione transitoria di entrambe le fasi ora descritte. In ogni caso l’andamento della corrente esterna è grossomodo quello riportato in fig. 6, in cui sono evidenziate le fase di storage e di fall. Va notato che la corrente finale sarebbe eguale a quella non nulla di saturazione inversa; essa però non appare in Fig. 6 in quanto ritenuta trascurabile.

Fig. 6: Transitorio di spegnimento in un diodo a semiconduttore. Per concludere un fenomeno analogo si ha quando si passa dallo stato di non conduzione a quello di conduzione. In questo caso si può dire che, ammettendo la validità del grafico di fig. 4, che però va percorso alla rovescia e cioè per valori di

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pn+ crescenti, il transitorio che ne consegue è caratterizzato esternamente solo da un tempo di salita (rise) come mostrato in fig. 7.

Fig. 7: Transitorio di accensione in un diodo p-n. Il fenomeno di storage, che ovviamente esiste anche in questo caso, non appare esternamente ovvero non influenza la corrente, come avviene invece durante lo spegnimento. Il transitorio di accensione è quindi notevolmente più breve di quello di spegnimento.

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DISPENSE DI ELETTRONICA INDUSTRIALE

(anno accademico 2002 - 2003)

Dispositivi a microonde allo stato solido

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1-Il diodo IMPATT. Il diodo IMPATT (IMPact Avalance Transit Time) é un dispositivo a stato solido utilizzato per generare o amplificare una corrente ad alta frequenza (1 - 300 GHz). Esso é formato da una struttura a giunzione brusca p+- n fatta crescere su di un substrato n+, come indicato in Fig. 1.

Fig. 1: Struttura di un diodo IMPATT, campo elettrico e fattore di ionizzazione . Polarizzando alla rovescia il diodo si crea una zona di svuotamento che normalmente interessa parzialmente la zona p+ e pressoché totalmente la zona n contigua. In quest’ultima si genera un campo elettrico E(x) il cui andamento approssimativo é riportato in Fig. 1. In una zona ristretta di estensione xa in cui il campo raggiunge i valori più elevati, si ha un fenomeno di generazione di cariche per urto. Tale processo interessa sia le lacune che gli elettroni e la quantità di cariche generate é proporzionale al tasso di ionizzazione per urto α(E) il cui andamento è mostrato in Fig. 1 e che dipende dal campo secondo la relazione approssimata α(E) = A e-(b/E)2 ; A=18.0 105 b=5.55 105 nel GaAs

Non appena la quantità di cariche generate in tutta la giunzione supera quella delle cariche che si ricombinano e cioè quando la condizione

∫ >w

dxE0

1)(α

è soddisfatta, si ha un fenomeno di moltiplicazione incontrollata (avalanche) di coppie lacuna elettrone in una zona molto ristretta della giunzione. Il tasso di ionizzazione dipende molto dai valori del campo elettrico: per esempio per valori di E inferiori a 300 kV/cm esso varia con E6 mentre per E maggiore di 500 kV/cm

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varia "solamente" con E2.5. Questo permette di suddividere la regione di svuotamento lunga w in due parti, come illustrato in Fig. 1. La prima lunga xa, più interna e molto stretta, detta di avalanche in cui la funzione α(E) assume valori significativi e provoca ionizzazione e l'altra detta di trascinamento, in cui α(E) é praticamente trascurabile e quindi non vi é ionizzazione ma il campo E é ancora abbastanza forte da far viaggiare le cariche generate alla massima velocità possibile vs (velocità di saturazione) che si aggira sui 105 m/s nel GaAs. In questo modo la corrente nel dispositivo é dovuta agli elettroni generati nella regione di avalanche che attraversano la regione di trascinamento ed emergono dalla regione n+ di Fig. 1 con un ritardo pari al tempo di transito. Si supponga ora di applicare al diodo una tensione continua inversa di valore appena più piccolo di quello Vo necessario all'innesco del fenomeno di avalanche. Se, come indicato in Fig. 2, a tale tensione si sovrappone una componente alternativa, quest'ultima provoca durante i suoi picchi positivi la generazione di cariche nella zona di avalanche. Tale fenomeno cessa invece durante i picchi negativi di modo che la regione di avalanche si comporta come un generatore di corrente impulsiva della stessa frequenza della tensione alternata applicata al diodo.

Fig. 2: Tensione e correnti nel diodo IMPATT. Osservando la Fig. 2 si può notare che il picco di corrente generata per ionizzazione nella zona di avalanche è molto stretto e sfasato di circa 90° rispetto al picco di tensione che lo ha generato. Tale ritardo è legato al meccanismo di ionizzazione a valanga che ha una natura induttiva, come verrà mostrato nel prossimo paragrafo. I pacchetti di elettroni generati nella zona di ionizzazione (zona calda) viaggiano attraverso la regione di trascinamento e raggiungono l'anodo con un ritardo pari al tempo di transito. La loro forma va riducendosi in ampiezza

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e allargandosi a causa della mutua repulsione delle cariche, cosicché la corrente che esce ha una forma notevolmente più lunga e appiattita dell’impulso generato nella zona calda. Se si sceglie il periodo T dell'onda di tensione circa eguale al doppio del tempo di transito Tt si ha la situazione di Fig. 2 in cui la tensione alternata e la componente di prima armonica della corrente in uscita risultano in controfase. Ciò equivale a dire che la resistenza dinamica del diodo ha assunto un valore negativo. 2-Circuito equivalente del diodo IMPATT Come si é visto il diodo IMPATT, se alimentato con una tensione alternata di frequenza opportuna, equivale ad una resistenza dinamica negativa a causa del tempo di transito del pacchetto di elettroni che attraverso la sua regione di trascinamento. Per quel che riguarda la regione di avalanche, sede della generazione di cariche, essa si può assimilare invece ad un circuito risonante. Indicando infatti con J la densità di corrente dovuta alla ionizzazione si può dimostrare che vale la relazione (equazione di Read):

]1)([3

axa

−= ∫ dxEJdtdJ α

τ

in cui τa é il tempo di transito attraverso la regione di avalanche di estensione xa. L'equazione di Read mostra come varia col tempo la corrente di avalanche. Se infatti il termine entro parentesi quadra:

1)(ax

−∫ dxEα

è positivo, la corrente cresce altrimenti essa cala fino ad estinguersi. Si supponga allora di applicare una tensione di polarizzazione inversa Vo in modo che il campo elettrico interno assuma una distribuzione corrispondente all'annullarsi del termine entro parentesi quadra a secondo membro dell'equazione di Read. Questa é la condizione limite per il fenomeno di ionizzazione a valanga che può essere descritta approssimativamente assegnando al campo elettrico E(x) nella regione di avalanche (che é molto stretta) un valore medio costante Εo. Se a questo punto si sovrappone alla tensione Vo un termine variabile Vac tutte le grandezze in gioco variano e si hanno le relazioni (si noti che sia E(x) che α(Ε), che dipendono da x, sono state assunte eguali a valori medi calcolati lungo la zona di ionizzazione): V = Vo + Vac J = Jo + Jac E(x) ≅ Eo + Eac α(Ε) ≅ α(Εo) + (dα/dΕ)Eac che sostituite nella equazione di Read danno luogo alla equazione valida per piccole variazioni:

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aacoa

ac xEJdEd

dtdJ α

τ3

=

Quest'ultima, tenendo conto che la tensione applicata cade prevalentemente nella zona di avalanche e che quindi si può assumere Vac ≅ Eacxa, diventa:

acoa

ac VJdEd

dtdJ α

τ3

=

da cui si deduce immediatamente che la regione di avalanche si può assimilare ad una induttanza equivalente di valore La = τa/(3 dα/dΕ AJo), essendo A l'area della sezione del diodo. Naturalmente oltre all'induttanza La vi é anche la capacità Ca = εA/xa dovuta allo svuotamento, per cui in definitiva la regione in questione si può descrivere con un circuito risonante parallelo la cui pulsazione di risonanza é data dalla relazione (si ricordi che vs = xa/τa è la velocità di saturazione delle cariche) :

ε

αω os JvdEd3=

e quindi cresce con la radice quadrata della corrente di polarizzazione del diodo.

Fig. 3: Circuito equivalente per piccoli segnali del diodo IMPATT. Per quel che riguarda la regione di trascinamento, essa é caratterizzata da una resistenza dinamica negativa –r in parallelo con la capacità di svuotamento Ct = εA/(W-xa) per cui il circuito equivalente completo del diodo, valido per piccoli segnali, é quello di Fig. 3. 3-Impiego pratico del diodo IMPATT. Il dodo IMPATT é una delle più potenti sorgenti di microonde allo stato solido che permette di ottenere oscillazioni con frequenze fino a 300 GHz. Esso normalmente viene inserito in una cavità risonante con caratteristiche variabili a mezzo di un pistone mobile, come illustrato in Fig. 4. Si ha così una oscillazione spontanea dovuta al fatto che la resistenza di perdita della cavità viene annullata dalla resistenza negativa del diodo. Variando la corrente di polarizzazione continua,

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insieme con la posizione del pistone mobile, si può variare la frequenza delle microonde generate.

Fig. 4: Oscillatore a microonde con diodo IMPATT. Inserendo invece il diodo IMPATT nella struttura di Fig. 5 si ottiene invece un amplificatore. Il circolatore utilizzato in Figura è un blocco di ferrite che devia sempre verso destra il fascio incidente e cioè verso il basso il fascio di microonde in ingresso e verso l’uscita il fascio amplificato (output) proveniente dal basso.

Fig. 5: Amplificatore a diodo IMPATT. 2-Il diodo di Gunn. Il diodo ad effetto Gunn si basa sulle proprietà di alcuni semiconduttori, quali l'arseniuro di gallio (GaAs), di esibire un legame decrescente tra il campo applicato e la densità di corrente che ne consegue. In un normale conduttore la densità di corrente cresce infatti linearmente col campo elettrico applicato (legge di Ohm), secondo un coefficiente di proporzionalità che dipende dal numero di portatori liberi e dalla loro mobilità all'interno del reticolo. Quest'ultima é funzione della massa effettiva delle cariche (elettroni) che normalmente assume un valore costante in un ampio intervallo di valori del campo elettrico applicato. Tuttavia l'elettrone, muovendosi all'interno di un reticolo cristallino, che ha una struttura periodica e quindi ne condiziona fortemente la funzione d'onda, non può

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assumere valori qualsiasi della coppia di grandezze Energia - Momento (quantità di moto). In particolare per il GaAs si ha il legame di Fig. 6 da cui risulta chiaramente che l'elettrone in banda di conduzione può muoversi lungo il reticolo e assestarsi su due minimi di energia a livelli non molto differenti ma caratterizzati da comportamento dinamico notevolmente diverso.

Fig. 6: Legame Energia-Momento nel GaAs. Applicando allora un campo elettrico E in un punto interno ad un blocco di GaAs drogato n, si genera localmente una corrente J che cresce rapidamente al crescere di E fintantoché l'energia degli elettroni rimane in prossimità del minimo caratterizzato da alta mobilità (massa piccola). Tuttavia aumentando il campo elettrico, una sempre maggiore quantità di elettroni si trasferisce nel minimo a bassa mobilità (massa elevata) cui corrisponde una pendenza molto minore del legame tra campo e corrente.

Fig. 7: Caratteristica elettrica tensione-corrente con tratto a pendenza negativa. Si ha così la situazione di Fig. 7 in cui il passaggio graduale tra le due situazioni descritte dà luogo ad un tratto a conduttanza negativa la cui presenza può essere

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fonte di varie forme di instabilità nella distribuzione delle cariche libere (elettroni) nel semiconduttore drogatoSi consideri ad esempio un prisma di GaAs drogato uniformemente di tipo n al cui interno viene generato un campo elettrico uniforme a mezzo di una tensione esterna costante (vedi Fig. 8).

Fig. 8: Prisma di semiconduttore drogato e andamento della densità di cariche libere e del campo elettrico dovuto ad una tensione esterna. Si supponga che la densità degli elettroni liberi, che normalmente é uniforme, per ovvi motivi di neutralità di carica, subisca un leggero incremento, come mostrato in Fig. 9. Tale accumulo di elettroni perturba l'andamento del campo elettrico facendolo decrescere alla sua sinistra (verso il catodo) e crescere alla sua destra (verso l'anodo). In tal modo gli elettroni posti a destra acquistano più energia assestandosi nel minimo di Fig. 9 caratterizzato da massa efficace elevata e quindi rallentano notevolmente la loro velocità di spostamento. Ciò ha per conseguenza uno squilibrio tra la densità di corrente entrante ed uscente dal grumo di carica stesso che, se il campo iniziale Eo era all'interno del tratto di caratteristica E-J a conduttanza negativa, viene via via arricchito di elettroni gonfiandosi sempre di più.

Fig. 9: Addensamento di carica ed effetto sul campo elettrico (notare le diverse

masse e velocità delle cariche poste a destra e a sinistra). Tale fenomeno cessa solo quando i valori E1 ed E2 danno luogo a correnti entranti ed uscenti eguali ( vedi Fig. 10).

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Fig. 10: Situazione di equilibrio di un grumo di cariche in moto verso destra. È importante notare che la presenza dell’accumulo di carica in un punto porta le rimanenti zone del semiconduttore a lavorare in situazione di stabilità cioè lontane dal tratto a pendenza negativa garantendo così l’impossibilità di formazione di ulteriori grumi. Una situazione più frequente di quella ora descritta é quella in cui una zona di semiconduttore si arricchisce di cariche a scapito di una zona contigua: si ha allora il una instabilità dipolare che, per gli stessi motivi visti nel caso del grumo isolato di cariche, cresce fino ad assestarsi nella situazione di equilibrio descritta in Fig. 11.

Fig. 11: Situazione di equilibrio di un dipolo di cariche. Va notato che la estensione equivalente δ del dipolo si può stimare in prima approssimazione tenendo conto che la tensione applicata rimane costante ed eguale a Vo sia in presenza che in assenza di dipolo. Si ha allora Vo = Eow = E1δ + (w-δ)E2 da cui segue:

w21

2o

E- E E- E

Come già accennato in precedenza, una notevole conseguenza della crescita del grumo singolo o di quello dipolare é che essi impediscono la generazione di altri accumuli concomitanti di cariche poiché i valori di campo E1 ed E2 che interessano

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il corpo del semiconduttore risultano automaticamente esterni alla zona instabile e cioè a pendenza negativa della caratteristica E-J. Questo fatto viene sfruttato per la generazione di impulsi equidistanti ad alta frequenza, utilizzando semplicemente la struttura di Fig. 8 che viene denominata diodo Gunn (ovviamente non si tratta di un diodo). Quando infatti si forma un grumo singolo (o dipolare) esso si muove dal catodo all'anodo insieme a tutto il gas di elettroni liberi che riempie il semiconduttore, collassando infine sull’elettrodo esterno dell’anodo e dando luogo ad un impulso di corrente esterno. Contemporaneamente il campo si riporta a valore eguale ad Eo lungo tutta l'estensione del semiconduttore, anche se ciò avviene anticipatamente in corrispondenza del catodo che, essendo la zona più distante, subisce meno l'influenza del grumo (o del dipolo) uscente. Ciò ha per conseguenza la generazione di una nuova instabilità localizzata nel catodo (drogato in modo da favorire l'insorgere di una instabilità locale) che poi viaggia verso l'anodo e ivi collassa. Gli impulsi di corrente esterna sono perciò equidistanti e hanno una frequenza legata alla distanza w del blocco di semiconduttore utilizzato oltreché alla velocità di propagazione che si aggira sui 105 m/s nel GaAs . 3-Il transistore MESFET. Il transistore MESFET (MEtal-Semiconductor-Field-Effect-Transistor) si può pensare come un normale transistore MOS in cui é stato eliminato lo strato di ossido isolante tra metallo (Gate) e substrato. La sua struttura é riportata in Fig. 12, in cui si vede come l’estensione del canale di conduzione, posto al di sopra dello strato di blocco (Buffer Layer) venga modulata dalla zona di svuotamento indotta dal contatto metallo-semiconduttore. Quando infatti si pone un semiconduttore drogato n in contatto con un metallo gli elettroni liberi del semiconduttore si trovano normalmente a livelli energetici più elevati di quelli, anch'essi liberi, del metallo e pertanto diffondono in esso come un gas compresso. La diffusione provoca la formazione di una barriera di potenziale di modo che il contatto metallo-semiconduttore si comporta come un diodo.

Fig. 12: Struttura di un MesFet.

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Tale diodo, detto anche diodo Schottky, presenta l'importante differenza, rispetto ai diodi tradizionali di tipo p-n, di condurre solo attraverso le cariche maggioritarie (elettroni) e quindi di avere una elevata velocità di commutazione. Eventuali lacune, presenti nel semiconduttore in prossimità del contatto, vengono infatti riempite dagli elettroni del metallo che si trovano a bassi livelli di energia (vedi Fig. 12). Utilizzando quale substrato l'Arseniuro di Gallio si ha un canale in cui si muovono elettroni a massa efficace ridotta (pari a circa 0.068 quella dell'elettrone libero come mostrato nel paragrafo relativo al diodo di Gunn) e che pertanto consentono di ottenere dispositivi ad alta velocità.

Fig. 13: Contatto metallo-semiconduttore. Una struttura realizzativa tipica impiegata per i MesFet di potenza è quella riportata in Fig. 14.

Fig. 14: Struttura di un MesFet di potenza; notare i ponticelli che collegano le

sezioni di drain all’elettrodo esterno.

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DISPENSE DI ELETTRONICA INDUSTRIALE

(anno accademico 2002-2003)

Transistori di potenza ad effetto di campo

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1.-Transistori di potenza ad effetto di campo. I transistori di potenza ad effetto di campo con struttura Metallo-Ossido-Semiconduttore (Mos-Fet) pur presentando notevoli vantaggi rispetto ai normali transistori bipolari sono stati utilizzati fino a qualche tempo fa esclusivamente per applicazioni a bassa potenza a causa di una limitazione apparente legata alla loro struttura fisica planare. Osservando la fig. 1 che riporta la struttura tipica di un transistore Mos-Fet a canale n ad arricchimento di carica (enhancement mode) si nota come la configurazione del canale sia piuttosto sottile e quindi inadatta alla conduzione di forti correnti.

Fig. 1: Transistore MOS a canale n in fase di conduzione. Infatti la conduzione tra gli elettrodi di Source e di Drain è dovuta alle cariche negative (elettroni) indotte per effetto condensatore in un sottile strato (canale di spessore non uniforme ) adiacente il dielettrico (biossido di silicio). Il problema di aumentare a corrente di conduzione di un MOS si può però risolvere ponendo in parallelo tanti dispositivi eguali dopo aver trasformato la loro struttura da orizzontale a verticale per poterli collegare in modo più semplice. Un primo tentativo in questa direzione fu fatto con la struttura a V, mostrata in fig. 2.

Fig. 2: Struttura di un transistore V-Mos Tale struttura si ottiene sfruttando la demolizione preferenziale dei piani più deboli (cioè i piani <100>) nel cristallo di Silicio, a mezzo di soluzione di

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idrossido di potassio (KOH) o simili. Rimangono così i piani più resistenti (cioè i piani <111>) che formano una V il cui vertice corrisponde ad un angolo di 54.7°. Purtroppo però è proprio lo spigolo vivo della V così ottenuta il tallone d’Achille del dispositivo di fig. 2: la concentrazione di campo elettrico che ne consegue provoca sia il restringimento delle linee di flusso della corrente (vedi fig. 3), con conseguente aumento della resistenza di conduzione, sia la perforazione del dielettrico sovrastante.

Fig. 3: Concentrazione di corrente (e di campo elettrico) in prossimità della punta

della V nel transistore V-Mos. Una soluzione costruttiva di gran lunga più soddisfacente che si è imposta negli ultimi anni, è invece rappresentata dalla struttura di fig. 4 in cui la corrente scorre prima in senso verticale nella regione di Drain e poi orizzontalmente attraverso il canale n che si forma per arricchimento di carica nella zona p posta sotto il Gate.

Fig. 4: Mos di potenza a canale orizzontale e conduzione verticale. Il Gate è formato da una struttura di silicio policristallino sepolta nel biossido isolante in modo da proteggerla dallo strato di alluminio che ricopre tutta la

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superficie e funge da elettrodo di Source. Va notato che l’uso del Silicio policristallino, che ha il grosso difetto di avere una resistività pari a circa 3000 volte quella dell’alluminio, è reso necessario dalla difficoltà che si incontrerebbe nel tentativo di sepellire l’alluminio nel biossido. Collegando in parallelo le celle elementari di fig. 4 si ottiene una struttura ripetitiva di considerevole eleganza geometrica come quella esagonale riportata in fig. 5 (che va sotto il nome commerciale HexFet ma che però non è l’unica utilizzata in pratica).

Fig. 5: Struttura realizzativa di un Mos-Fet di potenza (HexFet). L'unico inconveniente della struttura di fig. 5 è legato al fatto che l'elettrodo di Gate ha una notevole resistenza serie. Osservando infatti la fig. 5 si vede che esso è costituito da una sottile griglia esagonale sommersa ad elevata resistività (Silicio policristallino). Essa inoltre viene collegata al connettore esterno mettendola a nudo solo in zone limitate poste in periferia. La elevata resistenza serie che così ne risulta, insieme alla capacità di Gate, si comporta come un filtro passa basso RC e provoca notevole un abbassamento della velocità di commutazione del MOS. La struttura Mos-Fet di potenza ha anche una caratteristica peculiare che la distingue da quella cosiddetta di segnale. La sua caratteristica ID-VGS, a differenza di quella del Mos-Fet tradizionale, che segue la legge dei 3/2, è infatti lineare, come mostrato in fig. 6 a) e b), in cui vengono riportate entrambe le caratteristiche. Tale apparente linearizzazione della caratteristica è legata al fatto che essa viene utilizzata per forti correnti (zona in cui e’ lineare) mentre nei Mos di segnale viene utilizzata per basse correnti (zona in cui non e’ lineare).

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Fig. 6: Caratteristica del Mos-Fet di potenza a) e di quello di segnale b) 2.- La misura della corrente nel MOS di potenza. In molte applicazioni è necessario misurare la corrente assorbita da un carico posto in serie ad un interruttore allo stato solido. Generalmente questo problema si risolve aggiungendo in serie al carico stesso una resistenza di piccolo valore la cui tensione viene amplificata da un apposito circuito. Questa tecnica ha però due difetti che ne rendono problematico l’impiego. Anzitutto la resistenza in questione per quanto piccola può assorbire una quantità non trascurabile di energia. In secondo luogo avendo entrambi i terminali fuori massa essa pone dei problemi al circuito di misura che invece deve essere sempre riferito a massa. Fortunatamente l’uso di transistori Mos di consente di risolvere il problema della misura di corrente in modo semplice ed elegante.

Fig. 7: Misura della corrente in un Mos di potenza. A tale scopo vengono realizzati MOS a mezzo di n+1 celle tutte eguali. Le prime n celle vengono collegate in parallelo in modo da realizzare il Mos di potenza vero e proprio mentre l’ultima viene lasciata con la sorgente scollegata ottenendo un Mos di misura. Il tutto viene poi inserito nel circuito di fig. 7.

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L’amplificatore operazionale stabilisce un collegamento virtuale tra i due elettrodi di sorgente S1 ed S2, dimodoché tutte le celle lavorano nelle medesime condizioni. Se le celle sono tutte eguali, attraverso il Mos di misura (indicato in colore) fluisce una corrente pari a I/n che viene inviata sulla resistenza di misura R riferita a massa, ottenendo così una tensione proporzionale alla corrente I, senza con questo alterare in nessun modo il circuito in serie al carico. 3.- Il fenomeno del latchback nel MOS di potenza. La struttura di fig. 4 e 5, oltre alla resistenza e capacità di Gate già menzionata nel paragrafo precedente, presenta alcuni parametri parassiti che ne possono limitare severamente l’uso.

Fig. 8: Componenti parassiti dell’elemento base di un Mos-Fet di potenza . La

zona p+ ad elevato drogaggio serve a minimizzare il valore della resistenza parassita.

Osservando infatti la fig. 8 è possibile notare la presenza di un transistore bipolare parassita posto in parallelo al Mos-Fet, la cui base è collegata al Drain da una capacità e alla Sorgente da un resistore (per semplicità i suddetti componenti parassiti sono indicati solo nella zona a sinistra ma ovviamente essi si trovano anche nella zona simmetrica posta destra). In particolare la capacità parassita tra base e collettore è dovuta alla corrispondente giunzione polarizzata inversamente. Tale capacità può iniettare una notevole corrente in base durante una rapida sovratensione, come quella che si verifica ad esempio nella commutazione con carico induttivo. In questo caso anche se il canale del Mos-Fet regge la sollecitazione extra che ne risulta, è invece il transistore bipolare parassita che va in breakdown con conseguente cortocircuito (latch-back) dell’intera struttura. Questo fenomeno si può ridurre minimizzando il valore della resistenza base-sorgente in modo che la maggior parte della corrente che arriva dal diodo sia drenata e non entri in base favorendo il breakdown del transistor parassita. In altre parole se la resistenza in questione fosse ridotta a zero il transistore funzionerebbe con base a massa e quindi sarebbe in grado di

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sopportare sovratensioni notevolmente maggiori (vedi capitolo sui transistori bipolari). A tale scopo si inseriscono due zone p+ di cortocircuito disposte simmetricamente in prossimità dell’elettrodo di Sorgente (vedi fig. 8 in cui per semplicità una sola di tali zone è evidenziata). Il transistor parassita non presenta però solo svantaggi. Se la tensione tra Drain e Source si inverte esso si comporta come un diodo (precisamente è la giunzione collettore base che funge da diodo) cortocircuitando il segnale inverso che potrebbe avere effetti pericolosi sulla struttura Mos-Fet. La velocità di commutazione di tale diodo è abbastanza alta sopratutto se la regione p della giunzione è stata ottenuta con la tecnica dell'impiantazione ionica. In questo ultimo caso il bombardamento di ioni crea delle microfratture (dislocazioni) nel cristallo che agendo da centri di ricombinazione aumentano la velocità di commutazione del diodo. È però buona norma, se si vuole una protezione veramente efficace contro le tensioni inverse, inserire in parallelo al transistore un diodo veloce per commutazione (Schottky) posto esternamente. 4.- L'area di sicurezza nei Mos-Fet di potenza. Le considerazioni valide per la costruzione dell'area di funzionamento sicuro fatte nel caso dei transistor bipolari si possono adattare senza particolari variazioni anche al caso dei Mos-Fet. Anzitutto il Mos-Fet è pur sempre un resistore il cui valore minimo dà luogo ad una linea di separazione (rDS(on) limit) al di sopra della quale il dispositivo non è fisicamente in grado di andare a funzionare. Vi sono poi i limiti di corrente dovuti alla necessità di evitare danni agli elettrodi (package limit) insieme ad un limite di tensione legato all'avalanche breakdown (moltiplicazione per urto delle cariche). E naturalmente vi è un limite di potenza legato alla possibilità limitata di smaltimento del calore generato nel canale (thermal limit). Manca invece, e questo è un enorme vantaggio dei Mos-Fet, il fenomeno della fuga termica e il conseguente direct biased second breakdown. Mentre infatti nel transistor bipolare un aumento di temperatura ha per conseguenza un aumento esponenziale delle correnti di fuga che vengono amplificate dalla giunzione base-emettitore, nel Mos-Fet non è presente tale effetto di amplificazione. Un aumento di temperatura nel Mos-Fet induce semplicemente una maggiore vibrazione del reticolo cristallino con conseguente diminuzione della mobilità delle cariche ed aumento di resistività del canale con effetto stabilizzante. A rigore occorrerebbe tener anche conto della formazione di coppie lacuna-elettrone per effetto termico ma questo fenomeno che aumenta la conducibilità con la temperatura è di entità inferiore. Inoltre nei Mos-Fet il secondo breakdown dovuto a fenomeni di ionizzazione per urto durante i

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transitori è ancora presente ma mancando dell'aiuto dell'instabilità termica laterale non si fa sentire in modo apprezzabile. Si ha così un'area di sicurezza più ampia come indicato in fig. 9.

Fig. 9: Area di sicurezza del Mos-Fet MTP10N40E (Motorola). 5.- Il transistore bipolare a Gate isolato (IGBT). I transistori di potenza bipolare e Mos-Fet hanno pregi e difetti che sono grosso modo complementari tra di loro. Il transistore bipolare infatti presenta una bassa resistenza allo stato ON ma necessita di una forte corrente di pilotaggio nella base, con tutti i fenomeni collaterali di saturazione e di ritardo di commutazione che ne conseguono. Il transistore Mos-Fet che assorbe una bassa corrente di Gate e non presenta quindi particolari difficoltà di commutazione, ha invece una elevata resistenza allo stato ON che ne pregiudica l'uso in molte applicazioni, specie quando il rendimento elevato di una apparecchiatura è una specifica di primaria importanza. Inoltre mentre il transistore bipolare non è adatto al collegamento in parallelo il Mos-Fet si presta bene a tale impiego. Per questi motivi molti progettisti di componenti di potenza allo stato solido si sono posti il probema di combinare le due tecnologie (bipolare e Mos-Fet) in modo da ottenere un dispositivo che ne riunisse i pregi e cioè una elevata impedenza di ingresso insieme con una bassa resistenza allo stato ON. Attualmente il componente che ha dato migliori risultati da questo punto di vista è il cosidetto IGBT ovvero Insulated Gate Bipolar Transistor la cui struttura è riportata in fig. 10 a) insieme con il suo schema equivalente (fig. 10 b)). Osservando tale figura si nota che l’approccio su cui si basa L’IGBT è apparentemente simile a quello dell’SCR; anche in questo caso infatti si ha una

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struttura di tipo tetrapolare p-n-p-n e lo scopo del componente Mos sembra solo quello di permettere l’innesco iniettando cariche nella zona n adiacente l’anodo. In realtà le cose vanno in modo alquanto differente sia per la presenza della zona p+ posta al centro della zona p sia per la natura dello strato epitassiale n- posto subito al di sopra del substrato (anodo).

Fig. 10: Struttura fisica e circuito equivalente dell'IGBT. Come già visto infatti nel caso dei Mos-Fet, la zona p+ intensamente drogata (Shunting Resistance RS) dà luogo ad un cortocircuito verso massa della base del Gate dell’SCR parassita impedendo così l'innesco di quel fenomeno rigenerativo che ne causerebbe il passaggio veloce e irreversibile dallo stato di interdizione a quello di conduzione. La zona epitassiale n- invece decresce la propria resistività fino a portarsi quasi in corto circuito a causa della corrente di lacune provenienti dall’anodo p+, per cui l’intera struttura si riduce inizialmente ad una giunzione p-n polarizzata direttamente. Questo è tra l’altro il motivo per cui talvolta l’IGBT è denominato conductivity-modulated Fet (COMFET). La presenza di questa giunzione equivalente conferisce alle parte sinistra delle curve caratteristiche la tipica forma esponenziale, evidenziata in colore nella fig. 11. Quando però la tensione VAK aumenta si ha la saturazione del canale e le curve diventano orizzontali, come nei normali transistori Mos-Fet. Occorre però tener presente che la corrente di canale favorisce la comparsa di una corrente laterale di SCR, il quale anche se non innesca da’ un contributo preponderante alla corrente complessiva.

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Fig. 11: Caratteristiche elettriche tipiche di un IGBT con evidenziato il tratto iniziale a forma esponenziale.

Si pensi infatti che la massima corrente sopportabile dall’IGBT può aumentare anche di 20 volte rispetto a quella condotta dal solo Mos-Fet. L’entità di questa corrente extra è però direttamente legata al valore della corrente di canale. È infatti quest’ultimo che fornisce le cariche di quasi innesco all’SCR il quale in un certo senso funge da amplificatore che però non deve mai superare la soglia di innesco completo che lo porterebbe in cortocircuito (latch-up). Come già detto, da questo punto di vista gioca un ruolo fondamentale la zona p+ evidenziata in fig. 10 a): essa infatti cortocircuitando il Gate dell’SCR ne impedisce il latch-up. Facendo infatti riferimento alla fig. 10 b) si ricava facilmente la seguente relazione per la corrente di collettore iA:

iA = 21

21

1 αααα

−−− RG ii

dove α1 ed α2 sono i guadagni di corrente di emettitore del transistor pnp ed npn rispettivamente e iG è la corrente proveniente dal Mos-Fet. Come si nota dalla formula precedente, la corrente iR ha effetto opposto a quella controllata dal Gate iG e pertanto tende a ridurre la corrente anodica complessiva; inoltre essa sottraendo corrente alla base del transistore npn lo fa lavorare con basse correnti di emettitore in corrispondenza delle quali il suo guadagno di corrente α2 è molto minore di 1 e la condizione di non innesco: α1 + α2 < 1 è soddisfatta. Uno svantaggio dell' IGBT è legato al fatto che il controllo delle cariche

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iniettate nella zona epitassiale (lacune e elettroni) è piuttosto difficile dal punto di vista dinamico. Infatti essendo esse poste a notevole distanza dagli elettrodi esterni bisogna aspettare che decadano da sole annullandosi a vicenda. Applicando allora una tensione di ingresso a onda quadra si ha la forma d’onda di corrente anodica mostrata in fig. 12.

Fig. 12: Corrente anodica con gradino di tensione sul Gate. Come si può vedere, il fronte di discesa è composto da due andamenti successivi, uno rapido corrispondente allo spegnimento del Mos-Fet e l’altro più lento corrispondente allo spegnimento dell’SCR e più precisamente al riassorbimento delle cariche in eccesso nella zona epitassiale. Fortunatamente è possibile ridurre il tempo di vita delle cariche in tale zona a mezzo di un procedimento di formazione di irregolarità (traps) nel reticolo, basato su un processo di irradiazione con fascio di elettroni durante la fabbricazione: in questo modo si raggiungono anche tempi di commutazione dell'ordine di 0.2 µs. 6.- IGBT a Gate infossato (trench-Gate). Una tecnica realizzativa che ha consentito negli ultimi tempi di realizzare IGBT con caratteristiche notevolmente migliorate è quella del cosidetto Gate infossato (trench-Gate), cui corrisponde la struttura di fig. 13. In tale figura è riportato anche l’IGBT tradizionale per evidenziarne i suoi punti deboli che sono: la presenza di una resistenza parassita R sottostante il Gate e l’eccessiva estensione della struttura a SCR rispetto a quella Mos-Fet che comporta il pericolo di latch-up anche a correnti moderate. La presenza della resistenza R è legata al fatto che il Gate riempie il canale e le zone vicine sottraendo però elettroni cioè svuotando parzialmente la parte più lontana dalla zona n-.

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Fig. 13: Struttura tradizionale (a sinistra) e a Gate infossato (a destra). Come si può vedere, nella struttura a Gate infossato la zona di pertinenza dell’SCR non è così prevalente come nella struttura tradizionale ed inoltre il suo Gate viene cortocircuitato con maggiore efficacia dalla zona p+ posta in posizione più favorevole. La zona è suddivisa in n-drift in cui il drogaggio disuniforme provoca l’insorgere di un campo elettrico che accelera le cariche rendendole più veloci e in n-buffer che ha lo scopo di creare una giunzione n-p++ soffice onde permettere l’applicazione di tensioni elevate. Tutto ciò conferisce al dispositivo un maggior margine di latch-up, un miglior comportamento dinamico e infine la resistenza R, dovuta allo svuotamento indotto dal Gate nella regione epitassiale sottostante non si trova più al centro della zona di conduzione, diminuendo così la rCE(ON). Infine a parità di dimensioni del canale, l’ingombro per ogni singola cella risulta ridotto (anche di 5 volte).

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Programma del Corso di Elettronica Industriale (anno acc. 99/00)

SCR, UJT, GTO. Introduzione. Struttura fisica e caratteristiche elettriche degli SCR. Impiego di un SCR come interruttore in corrente continua. Studio del transitorio di spegnimento. Circuito di innesco di un SCR in corrente alternata; curva di innesco e circuito sfasatore. Transistore unigiunzione. Oscillatore a UJT: ciclo limite e forma d’onda dell’impulso di corrente. Struttura fisica del Gate-Turn-Off SCR (GTO). Transistori di potenza bipolari. Caratteristiche elettriche dei transistori bipolari. Limiti di corrente e di tensione nei transistori bipolari. Massima potenza e circuito equivalente termico: temperatura massima in regime impulsivo di potenza. La fuga termica nei transistori bipolari. L'instabilita' laterale (Forward biased second breakdown). L'area di sicurezza in regime impulsivo. Il reverse biased second breakdown. Problemi di pilotaggio della base di transistori bipolari. Dispositivo di antisaturazione. Circuiti di protezione. Transistori di potenza ad effetto di campo. Transistori di potenza ad effetto di campo. Struttura HEXFET. L'area di sicurezza nei MOS-FET di potenza. Il transistore bipolare parassita. Il transistore bipolare a gate isolato (IGBT). Dispositivi per microonde. Fenomeni di instabilita' della densita' di carica nell’arseniuro di Gallio. Il diodo di Gunn. Forma d'onda della corrente generata in un diodo di Gunn. Fenomeno di ionizzazione per urto: il diodo IMPATT. Zona di ionizzazione e zona di trascinamento. Forma d’onda della corrente. Equazione di Read. Circuito equivalente del diodo IMPATT. Struttura di un amplificatore a diodo IMPATT. Tecniche di misura industriali. Fenomeni fisici: piezoelettricità, piroelettricità, ferroelettricità. La giunzione p-n: termodiodo, piezodiodo e fotodiodo. Strutture meccaniche nel silicio. Accelerometro con sensori a piezogiunzione. Trasduttori di pressione e trasduttori piroelettrici. Misura di temperatura con coppia di transistori. Ponte di misura per trasduttore di pressione. Misura di corrente in un transistor MOS. Amplificatore per strumentazione; pilotaggio della calza e pilotaggio del corpo. Compensazione della deriva termica. Amplificatore di isolamento a fotoaccoppiatore. Trasduttori di posizione: Syncro-Resolver, Inductosyn. Codificatori digitali. Codice Gray. Servoposizionatori digitali. Trasduttori incrementali. Tecniche di controllo strutturale con correnti parassite. Correnti parassite in un conduttore cilindrico. Bobine di induzione e di raccolta dei segnali. Circuito per il rilevamento di cricche, inclusioni ecc. Convertitori di energia. Convertitori DC/AC a transistor. Convertitore DC/AC trifase. Pompa di carica per pilotaggio MOS fuori massa. Eliminazione e minimizzazione delle armoniche nei convertitori DC/AC. Equivalenza tra convertitori DC/AC e AC/DC. Tipi di convertitori AC/DC: step-up, step-down e step up-down. Rifasamento della corrente

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di linea. Circuiti realizzativi. Convertitori risonanti serie e parallelo e di tipo AC e DC link. Motore in corrente continua a collettore elettronico. Motore piezoelettrico. Struttura fisica e circuiti di controllo del motore a collettore elettronico. Forze elettromotrici mozionali e coppia motrice. Misura della velocita’. Struttura del motore pieziolettrico. Computer Vision. Dispositivi di acquisizione delle immagini: sensori a matrice di diodi e a accoppiamento di carica (CCD). Modulatore di luce a semiconduttore. Estrazione dei contorni: operatore di Sobel. Piano x-y e s-θ. Confronto col modello: tratti salienti. Trasformata di Hough e figure simmetriche di convoluzione. Testi Consigliati: Dispense del Corso.

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Programma del Corso di Elettronica Industriale (anno acc. 00/01)

SCR, UJT, GTO. Introduzione. Struttura fisica e caratteristiche elettriche degli SCR. Impiego di un SCR come interruttore in corrente continua. Studio del transitorio di spegnimento. Circuito di innesco di un SCR in corrente alternata; curva di innesco e circuito sfasatore. Transistore unigiunzione. Oscillatore a UJT: ciclo limite e forma d’onda dell’impulso di corrente. Struttura fisica del Gate-Turn-Off SCR (GTO). Transistori di potenza bipolari. Caratteristiche elettriche dei transistori bipolari. Limiti di corrente e di tensione nei transistori bipolari. Massima potenza e circuito equivalente termico: temperatura massima in regime impulsivo di potenza. La fuga termica nei transistori bipolari. L'instabilita' laterale (Forward biased second breakdown). L'area di sicurezza in regime impulsivo. Il reverse biased second breakdown. Problemi di pilotaggio della base di transistori bipolari. Dispositivo di antisaturazione. Circuiti di protezione. Transistori di potenza ad effetto di campo. Transistori di potenza ad effetto di campo. Esempio realizzativo (hexfet). L'area di sicurezza nei MOS-FET di potenza. Il transistore bipolare parassita. Il transistore bipolare a gate isolato (IGBT). Dispositivi per microonde. Fenomeni di instabilita' della densita' di carica nell’arseniuro di Gallio. Il diodo di Gunn. Forma d'onda della corrente generata in un diodo di Gunn. Fenomeno di ionizzazione per urto: il diodo IMPATT. Zona di ionizzazione e zona di trascinamento. Forma d’onda della corrente. Equazione di Read. Circuito equivalente del diodo IMPATT. Struttura di un amplificatore a diodo IMPATT. Tecniche di misura industriali. Fenomeni fisici: piezoelettricità, piroelettricità, ferroelettricità. La giunzione p-n: termodiodo, piezodiodo e fotodiodo. Strutture meccaniche nel silicio. Accelerometro con sensori a piezogiunzione. Trasduttori di pressione e trasduttori piroelettrici. Misura di temperatura con coppia di transistori. Ponte di misura per trasduttore di pressione. Misura di corrente in un transistor MOS. Amplificatore per strumentazione; pilotaggio della calza e pilotaggio del corpo. Compensazione della deriva termica. Amplificatore di isolamento a fotoaccoppiatore. Trasduttori di posizione: Syncro-Resolver, Inductosyn. Codificatori digitali. Codice Gray. Servoposizionatori digitali. Trasduttori incrementali. Tecniche di controllo strutturale con correnti parassite. Correnti parassite in un conduttore cilindrico. Bobine di induzione e di raccolta dei segnali. Circuito per il rilevamento di cricche, inclusioni ecc. Convertitori di energia. Convertitori DC/AC a transistor. Convertitore DC/AC trifase. Pompa di carica per pilotaggio MOS fuori massa. Eliminazione e minimizzazione delle armoniche nei convertitori DC/AC. Equivalenza tra convertitori DC/AC e AC/DC. Tipi di convertitori AC/DC: step-up, step-down e step up-down. Rifasamento della corrente

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di linea. Guadagno di tensione del convertitore step-up. Circuiti realizzativi. Convertitori risonanti serie e parallelo e di tipo AC e DC link. Testi Consigliati: Dispense del Corso.

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Programma del Corso di Elettronica Industriale (anno acc. 01/02)

(*) argomenti riservati ai soli allievi del 3° anno (**) argomenti riservati ai soli allievi del 5° anno

La giunzione p-n in regime transitorio.

1. Distribuzione di cariche in una giunzione. 2. Comportamento transitorio di una giunzione.

SCR, UJT, GTO.

1. I thyristori. 2. Caratteristiche elettriche degli SCR. 3. Applicazioni degli SCR. 4. (**) Transistore a unigiunzione. 5. (**) Oscillatore a UJT. 6. Il Gate Turn Off Thyristor (GTO).

Transistori di potenza bipolari.

1. Caratteristiche elettriche dei transistori di potenza bipolari. 2. Limiti di corrente e di tensione nei transistori bipolari. 3. La fuga termica nei transistori bipolari. 4. L'instabilità laterale (Forward biased second breakdown). 5. L'area di sicurezza in regime impulsivo. 6. Il reverse biased second breakdown. 7. Circuiti di protezione. 8. Problemi di pilotaggio della base di transistori bipolari.

Transistori di potenza ad effetto di campo.

1. Transistori di potenza ad effetto di campo. 2. La misura della corrente nei MOS di potenza. 3. Il fenomeno del latch-up nel MOS di potenza. 4. L'area di sicurezza nei Mos-Fet di potenza. 5. Il transistore bipolare a gate isolato (IGBT). 6. IGBT a gate infossato.

Dispositivi per microonde allo stato solido.

1. (**) Il diodo IMPATT. 2. (**) Circuito equivalente del diodo IMPATT. 3. (**) Impiego pratico del diodo IMPATT. 4. (**) Il diodo di Gunn.

Trasduttori e dispositivi di misura.

1. Introduzione 2. Fenomeni fisici utilizzati nei trasduttori. 3. Piezoelettricità, piroelettricità e ferroelettricità. 4. Termogiunzione, fotogiunzione e piezogiunzione. 5. Microstrutture su silicio. 6. Primo esempio di applicazione di microstrutture su silicio: realizzazione di un

accelerometro assiale.

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7. Secondo esempio di applicazione di microstrutture su silicio: realizzazione di un trasduttore di pressione.

8. Esempio dell’applicazione dell’effetto piezoelettrico: trasduttori a quarzo, amplificatori di carica.

9. Misure di dilatazione. 10. Misure di temperatura. 11. Trasduttori piroelettrici. 12. Amplificatori per strumentazione. 13. Pilotaggio della calza schermante. 14. Pilotaggio del corpo del trasduttore. 15. Autoazzeramento. 16. Amplificatori di isolamento. 17. Zero crossino detector. 18. Trasduttori di posizione. 19. Il trasduttore lineare a trasformatore differenziale. 20. Syncro-resolver. 21. Inductosyn. 22. Codificatori digitali di posizione. 23. Posizionamento digitale. 24. Trasduttori incrementali. 25. (**) Tecniche di controllo strutturale dei materiali. 26. (**) Controllo strutturale mediante correnti parassite. 27. (**) Impiego pratico del metodo.

Convertitori di energia.

1. Introduzione. 2. Convertitori DC/AC a interruttore elettronico. 3. Convertitori DC/AC di potenza. 4. La tecnica PWM. 5. La PWM a minima potenza. 6. (**) Convertitori DC/AC risonanti. 7. (**) Convertitori risonanti AC e DC link. 8. Convertitori AC/DC. 9. Convertitori AC/DC a fattore di potenza unitario. 10. Guadagno di tensione del convertitore step-up. 11. Circuiti realizzativi dei tre tipi di convertitori AC/DC.

Motore in corrente continua a collettore elettronico. Motore piezoelettrico.

1. (**) Il motore elettrico in corrente continua a collettore elettronico. 2. (**) Motore piezoelettrico.

Elementi di macchine elettriche.

1. (*)Trasformatori: Cenni costruttivi, equazioni fondamentali, circuito primario e secondario

2. (*) Funzionamento a carico e a vuoto, diagrammi vettoriali, funzionamento in corto circuito.

3. (*) Reti equivalenti, ridotta a primario e secondario. 4. (*) Rete equivalente semplificata, caduta di tensione industriale. 5. (*) Diagramma di Kapp, perdite e rendimento. 6. (*) Generatori in corrente continua: principio di funzionamento. F.E.M. indotte e

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principali circuiti di eccitazione. 7. (*) Potenza, perdite e rendimento. Coppia di reazione e potenza meccanica.

Caratteristica a vuoto. 8. (*) Motori in C.C., principio di funzionamento. Forza controelettromotrice, potenza e

rendimento. 9. (*) Studio del motore in C.C. ad eccitazione indipendente e parallelo. Caratteristica

meccanica. 10. (*) Studio del motore con eccitazione serie: caratteristica meccanica.

Testi Consigliati: Appunti e Dispense del Corso reperibili in rete agli indirizzi: http://131.114.9.130:80/Dispense/Dispense.htm http://131.114.9.20:8001/Dispense/dispense.htm

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Programma del Corso di Elettronica Industriale (anno acc. 02/03)

(il programma è comune per gli allievi del 3° e 5° anno) La giunzione p-n in regime transitorio.

1. Distribuzione di cariche in una giunzione. 2. Comportamento transitorio di una giunzione.

SCR, UJT, GTO.

1. I thyristori. 2. Caratteristiche elettriche degli SCR. 3. Applicazioni degli SCR. 4. Transistore a unigiunzione. 5. Oscillatore a UJT. 6. Il Gate Turn Off Thyristor (GTO).

Transistori di potenza bipolari.

1. Caratteristiche elettriche dei transistori di potenza bipolari. 2. Limiti di corrente e di tensione nei transistori bipolari. 3. La fuga termica nei transistori bipolari. 4. L'instabilità laterale (Forward biased second breakdown). 5. L'area di sicurezza in regime impulsivo. 6. Il reverse biased second breakdown. 7. Circuiti di protezione. 8. Problemi di pilotaggio della base di transistori bipolari.

Transistori di potenza ad effetto di campo.

1. Transistori di potenza ad effetto di campo. 2. La misura della corrente nei MOS di potenza. 3. Il transistore bipolare a gate isolato (IGBT). 4. IGBT a gate infossato.

Dispositivi per microonde allo stato solido.

1. Il diodo IMPATT. 2. Circuito equivalente del diodo IMPATT. 3. Impiego pratico del diodo IMPATT. 4. Il diodo di Gunn.

Trasduttori e dispositivi di misura.

1. Introduzione 2. Fenomeni fisici utilizzati nei trasduttori. 3. Piezoelettricità, piroelettricità e ferroelettricità. 4. Termogiunzione, fotogiunzione e piezogiunzione. 5. Microstrutture su silicio. 6. Primo esempio di applicazione di microstrutture su silicio: realizzazione di un

accelerometro assiale. 7. Secondo esempio di applicazione di microstrutture su silicio: realizzazione di

un trasduttore di pressione. 8. Esempio dell’applicazione dell’effetto piezoelettrico: trasduttori a quarzo,

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amplificatori di carica. 9. Misure di dilatazione. 10. Misure di temperatura. 11. Trasduttori piroelettrici. 12. Amplificatori per strumentazione. 13. Pilotaggio della calza schermante. 14. Pilotaggio del corpo del trasduttore. 15. Autoazzeramento. 16. Amplificatori di isolamento. 17. Zero crossing detector. 18. Trasduttori di posizione. 19. Il trasduttore lineare a trasformatore differenziale. 20. Inductosyn. 21. Codificatori digitali di posizione. 22. Posizionamento digitale. 23. Trasduttori incrementali. 24. Tecniche di controllo strutturale dei materiali. 25. Controllo strutturale mediante correnti parassite. 26. Impiego pratico del metodo.

Convertitori di energia.

1. Introduzione. 2. Convertitori DC/AC a interruttore elettronico, monofase e trifase. 3. Convertitori DC/AC di potenza. 4. La tecnica PWM. 5. La PWM a minima potenza. 6. Convertitori DC/AC risonanti. 7. Convertitori risonanti AC e DC link. 8. Convertitori AC/DC. 9. Convertitori AC/DC a fattore di potenza unitario. 10. Circuiti realizzativi dei tre tipi di convertitori AC/DC.

Testi Consigliati: Appunti e Dispense del Corso reperibili in rete all’indirizzo: http://131.114.9.130:80/Dispense/Dispense.htm

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DISPENSE DI ELETTRONICA INDUSTRIALE

(anno accademico 2002-2003)

SCR - UJT - GTO

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1.-I Thyristori. I Thyristori, detti anche SCR (Silicon Controlled Rectifier) sono dispositivi a semiconduttore che permettono di controllare elevate potenze in modo abbastanza semplice ed economico. Esempi ben noti di tali applicazioni sono i convertitori di energia, i quali comprendono tutta quella vasta categoria di apparecchiature statiche che trasformano una tensione continua (DC) in una tensione alternata (AC) o viceversa. Non vanno inoltre dimenticati quei particolari sistemi di controllo della velocità di rotazione dei motori elettrici le cui applicazioni ai trasporti ferroviari e urbani sono oggigiorno sempre più diffuse. Per comprendere le caratteristiche di funzionamento di un SCR si consideri il circuito formato da due transistori complementari riportato in fig. 1.

Fig. 1: Circuito a transistori complementari.

Si supponga che inizialmente il circuito sia a riposo, cioè privo di correnti e si supponga di inviare sulla base di T1 un impulso brevissimo di corrente I0. Tale corrente provoca una variazione dell'equilibrio delle cariche sulla giunzione base-emettitore di T1 che ha per conseguenza, dopo un certo tempo di ritardo legato alla mobilità delle cariche stesse, il fluire di una corrente Ic1 sul collettore di T1. Quest'ultima corrente penetra nella base di T2 e agendo in modo analogo genera la corrente Ic2 che ritorna sulla base di T1 dando luogo alla ripetizione del ciclo descritto. Si ha così il manifestarsi di una serie di impulsi di corrente, uno ritardato rispetto all'altro, che si susseguono come indicato in fig. 2. Se, come in fig.2, l'impulso Ic2 che ritorna in base di T1 é di ampiezza maggiore della corrente I0 che lo ha provocato, si ha un fenomeno rigenerativo che dopo breve tempo (dell'ordine di qualche microsecondo) porta in saturazione entrambi i transistori. Il fatto che l'ampiezza degli impulsi vada via via crescendo é legata al

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ben noto effetto amplificatore del transistor: la corrente di base perturbando l'equilibrio della giunzione base-emettitore fa fluire una corrente di collettore β volte più grande (β é il guadagno di corrente di base del transistor ed é normalmente molto maggiore di uno).

Fig. 2: Correnti nel circuito di fig.1.

Va però notato che se l'ampiezza dell'impulso iniziale I0 é abbastanza piccola, le cariche libere che raggiungono la giunzione sono molto poche o addirittura nulle, dato che alcune ricombinano nella regione di base, e sono quindi incapaci di dar luogo a correnti di collettore di ampiezza sufficiente. In tal caso l'ampiezza degli impulsi successivi va via via decrescendo e dopo poco tempo il circuito ritorna nello stato di correnti nulle iniziale. Questo fatto si può prevedere anche analiticamente ricavando dalla fig. 1 l'espressione approssimata della corrente anodica (essa vale per [α1+α2] ≈ 1)

)(11

21 +−=

ααα G

AI

I

dove α1 ed α2 sono i guadagni di corrente di emettitore di T1 e T2 rispettivamente. Per bassi valori di corrente α1 ed α2 sono minori di 1 e la corrente IA é limitata. Aumentando IG aumentano anche α1 ed α2 fintantoché quando é soddisfatta la condizione di innesco (α1+α2) = 1 la corrente anodica tende teoricamente all'infinito. Il circuito di fig. 2 si può allora paragonare ad un interruttore la cui chiusura si può provocare applicando alla base di T1 un impulso di corrente di ampiezza opportuna. Quando infatti entrambi i transistori saturano, la tensione residua ai capi del dispositivo si aggira sui 0.7 volt e la corrente che fluisce é limitata unicamente dal carico esterno. Per provocare la riapertura di tale interruttore occorre invece agire sulla tensione di alimentazione abbassandola fintantoché la

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corrente che fluisce assume valori così piccoli che il fenomeno rigenerativo appena descritto non può più autosostenersi. Infatti al di sotto di un valore limite detto Ihold (corrente di mantenimento) entrambi i transistori interdicono e l'interruttore si riapre. Il circuito ora descritto non meriterebbe una particolare considerazione se non fosse per una particolarità che lo distingue. Osservando infatti la fig.1 si nota che i conduttori che collegano tra di loro i due transistor, fungono da congiunzione tra zone di semiconduttore aventi lo stesso tipo di drogaggio (zona n con zona n, zona p con zona p). É perciò ovvio che, supponendo di far tendere a zero la lunghezza di tali conduttori, la struttura del dispositivo si riduce a quella formata da 4 zone di semiconduttore, riportata in fig. 3, che prende appunto il nome di SCR (Silicon Controlled Rectifier). Fig. 3: Struttura fisica e simbolo elettrico di un SCR.

In fig. 3 insieme alla struttura basilare a tre giunzioni dell' SCR viene riportato il suo simbolo elettrico, nonché la struttura planare a mezzo della quale viene realizzato in pratica. 2.-Caratteristiche elettriche degli SCR. Allo scopo di caratterizzare il funzionamento di un SCR, nelle varie condizioni di alimentazione cui é normalmente sottoposto in una applicazione pratica, si supponga di alimentare l'elettrodo di comando (denominato Gate) con una corrente costante di modesta entità e contemporaneamente applicare tra anodo (A) e catodo (K) una tensione crescente come é indicato in fig. 4. Supposto che la tensione VAK sia positiva, delle tre giunzioni che compongono l'SCR due sono polarizzate direttamente mentre quella centrale é bloccata: pertanto il dispositivo complessivo si comporta come un diodo polarizzato inversamente attraverso il quale fluisce la sola corrente di fuga di origine termica.

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Fig. 4: Rilevamento della caratteristica statica.

Tale corrente si somma a quella nel Gate ma la corrente risultante é ancora piccola (tratto 1 di fig. 4) e non é in grado di provocare il fenomeno rigenerativo (innesco) descritto nel precedente paragrafo. All'aumentare della tensione applicata il campo elettrico assume valori sufficientemente elevati da ionizzare gli atomi di semiconduttore, provocando così un piccolo aumento di corrente anodica (tratto 2 di fig. 4). Le cariche elettriche (elettroni) così liberate, movendosi in un campo elettrico di notevole intensità, acquistano una elevata energia cinetica liberando altre cariche per urto e provocando quindi una moltiplicazione a valanga che ha per conseguenza la formazione di una miscela di elettroni e lacune denominata plasma. Quest'ultimo fenomeno (tratto 3 di fig. 4) é molto veloce e porta a lavorare il dispositivo nel tratto 4 di fig. 4 in cui la corrente é limitata solo dal valore della resistenza R di carico. La densità del plasma che si forma dipende dalla intensità della corrente per cui se si diminuisce il valore della tensione applicata VAK la corrente diminuisce fino al valore Ihold al di sotto del quale il plasma scompare, l'SCR disinnesca e il punto di funzionamento si riporta nel tratto 1 di fig. 4.

Fig. 5: Caratteristica statica di un SCR con retta di carico. Da quanto detto finora si intuisce che al variare della corrente di Gate varia anche

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la posizione del tratto 2 di fig. 4 che precede l'innesco: al crescere di IG tale tratto si sposta verso sinistra, come é mostrato in fig. 5. In tale figura è riportata anche la retta di carico relativa al circuito di Fig. 4, allo scopo di far vedere come sia possibile identificare la minima corrente di gate necessaria per l’innesco. Osservando la Fig. 5 si vede che l’innesco dell’SCR avviene anche a tensioni anodiche molto basse, in corrispondenza delle quali il fenomeno descritto di ionizzazione può non risultare sufficientemente efficace. È chiaro allora che nella struttura dell’SCR debbono aver luogo anche altri processi che ne favoriscono l’innesco anche in caso di basse tensioni. In pratica si tratta del fenomeno rigenerativo già descritto in Fig. 2 che però può essere spiegato da un punto di vista leggermente diverso, senza necessità di utilizzare la struttura equivalente a due transistori complementari, riportata in Fig. 1. Si supponga infatti di far scorrere attraverso la giunzione Gate-Catodo una corrente di lacune a mezzo di una sorgente esterna. Per ragioni di neutralità di carica a tale flusso si deve accompagnare un flusso di cariche di segno opposto (elettroni) che però, invece di terminare sul Gate viene deviato verso l’Anodo, come mostrato in Fig. 6 a). Quest’ultimo flusso di elettroni, sempre per ragioni di neutralità di carica, dev’essere a sua volta accompagnato da un flusso di lacune nella zona di Anodo il quale a sua volta richiederà un flusso di elettroni nella zona di catodo, non più elettricamente neutra (vedi Fig. 6 b), ecc. Si innesca perciò un fenomeno di creazione di regimi paralleli di corrente di lacune ed elettroni che ricercando la neutralità di carica si spostano velocemente verso destra saturando di plasma il corpo dell’SCR.

Fig.6: Formazione del plasma per ricerca di neutralità di carica. Ovviamente anche la forma, oltreché la ampiezza della corrente IG (impulsiva, continua, ecc.), influenza il tratto 2 di fig. 5. Come si é visto lo spegnimento dell'SCR avviene abbassando la tensione di alimentazione al di sotto del valore cui corrisponde Ihold. In realtà nei casi pratici si preferisce spegnere l’SCR invertendo

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addirittura la tensione anodica in modo da ottenere un passaggio più rapido e sicuro dalla fase di conduzione a quella di interdizione. In questo caso si ha un fenomeno transitorio la cui conoscenza é molto importante e che dà conto di uno dei principali limiti dell’SCR. Invertendo infatti la tensione VAK la corrente cambia verso di percorrenza e penetrando nelle giunzioni contribuisce all'annullamento delle cariche (plasma) che si erano accumulate durante la fase di conduzione. Tuttavia finché tale processo di annullamento delle cariche immagazzinate, che dura un tempo non trascurabile, non si é completato l'SCR rimane ancora in conduzione. In altre parole per spegnere completamente l'SCR occorre attendere che sia trascorso un intervallo di tempo denominato turn-off time solo al termine del quale si può riapplicare una tensione di alimentazione positiva senza che l'SCR riinneschi spontaneamente. Un'altra limitazione all'uso dell'SCR deriva dalla presenza delle capacità parassite poste tra le giunzioni.

Fig. 7: Tipica curva limite di non innesco di un SCR.

Applicando infatti tra anodo e catodo una tensione a gradino, come ad esempio avviene all’accensione di una apparecchiatura elettronica contenente SCR, il ripido fronte di salita dVAK/dt che ne consegue transita attraverso tali capacità giungendo fino alla regione di Gate nella quale provoca una iniezione di corrente che può essere sufficiente a determinare l'innesco. D'altra parte poiché una corrente di Gate costante può innescare l'SCR solo se la tensione anodica é sufficientemente elevata é ovvio che al crescere di VAK decresce la dVAK/dt massima applicabile. In pratica si ha una curva limite di non innesco (vedi esempio di fig. 7) che non deve essere mai superata durante l’inserzione della f.e.m. di alimentazione, pena l’innesco spontaneo dell’SCR. Come si vede la pendenza massima permessa tende a ridursi man mano ci si avvicina alla tensione di innesco spontaneo BV riportata in Fig. 5. Vi é infine un'ultima importante limitazione all'uso degli SCR ed é legata al modo con cui il fenomeno dell'innesco si propaga attraveso la sua struttura geometrica. Supposto infatti di provocare l'innesco del dispositivo a mezzo di un

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opportuno impulso di comando sul Gate, la corrente anodica, se il carico é puramente resistivo, raggiunge pressoché istantaneamente il suo valore di regime. Tuttavia nei primi istanti di conduzione il fenomeno non interessa l'intera area delle giunzioni ma solo parte di essa (si veda ad esempio la struttura realizzativa di fig. 3 nella quale, causa la sua inevitabile disimmetria, l'innesco interessa prima le zone di giunzione a destra in prossimità del Gate e poi si propaga a tutto il resto della struttura). É ovvio allora che la densità di corrente può raggiungere valori così elevati nella zona limitata di primo innesco, che nei grossi SCR può essere anche inferiore all' 1% dell'intera zona utile, da portare al danneggiamento permanente del dispositivo. Occorre quindi impedire che la corrente anodica aumenti troppo velocemente in modo da dare sempre il tempo alle giunzioni di portarsi a regime. In altre parole la di/dt all'innesco va limitata (di solito con una piccola induttanza posta in serie all'anodo) e deve essere in ogni caso inferiore al valore massimo indicato dal costruttore. Riassumendo nell'uso dell'SCR occorre tener presente tre parametri limitativi findamentali:

- il tempo di spegnimento (turn-off time) - la massima velocità (curva limite esponenziale) di variazione dVAK/dt permessa

alla tensione anodica con l’SCR non innescato

- la massima velocità di aumento di/dt permessa alla corrente anodica all'innesco

Esistono ovviamente anche altre limitazioni legate per esempio alla massima potenza dissipabile, nonché alla massima tensione inversa applicabile ecc. ma almeno da questo punto di vista si può ben dire che l’SCR sia un elemento di natura oltremodo robusta e affidabile che non crea problemi al progettista.

3.-Applicazioni degli SCR. Dal punto di vista dell'uso degli SCR si possono suddividere le applicazioni in due grandi categorie. La prima é quella in cui la sorgente di f.e.m. di alimentazione é alternata (sinusoidale) e che é particolarmente favorevole in quanto l'SCR può essere innescato durante le semionde positive per poi spegnersi spontaneamente non appena la f.e.m. cambia segno: per le frequenze industriali (50 Hz) non esistono in genere problemi legati al turn-off time, né al dv/dt. La seconda viceversa comprende tutti i casi in cui l'SCR viene alimentato da tensioni continue con le quali esiste il grosso problema dello spegnimento che, come visto in precedenza, può avvenire solo annullando o invertendo il segno della f.e.m. di

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alimentazione. Nelle applicazioni con f.e.m. alternata sinusoidale l'SCR viene di solito impiegato al posto dei normali diodi raddrizzatori. Si hanno così dei convertitori AC/DC in cui il valore della tensione continua può essere regolato variando a piacere l'istante di innesco dell'SCR, durante la semionda positiva, come é mostrato in fig. 8.

Fig. 8: Convertitore AC-DC.

Ritardando l'istante di innesco é possibile variare da un massimo a un minimo il valore della corrente media nel carico. A tale scopo si usa di solito un circuito sfasatore che preleva una porzione limitata della tensione alternata di alimentazione e la applica opportunamente sfasata al gate dell’SCR. In Fig. 9 è riportato un esempio di circuito sfasatore insieme al diagramma vettoriale delle tensioni da cui si vede che la tensione VGK applicata al gate si po’ sfasare rispetto a quella di alimentazione Vac di un angolo θ variabile da 0° a 180°, semplicemente variando la resistenza R.

Fig. 9: Circuito sfasatore e diagramma vettoriale. In Fig. 10 è invece riportata la caratteristica di innesco in alternata dell’SCR. Quest’ultima curva riporta i valori di corrente di Gate IG necessari all’innesco, nell’ipotesi di tensione di alimentazione sinusoidale. I valori di IG vengono ricavati

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sperimentalmente a partire dalla caratteristica dell’SCR, riportata in Fig. 5, variando la retta di carico al variare di E = Vac e leggendo nel diagramma il valore minimo di IG necessario all’innesco.

Fig.10: Caratteristica di innesco in alternata. Nella prima e ultima fase del semiperiodo positivo la tensione anodica e’ di entità limitata e quindi la corrente di Gate deve essere molto elevata. Viceversa essa decresce e raggiunge un minimo al centro del semiperiodo dove la tensione anodica è massima. L’istante di innesco si determina in base al punto di intersezione tra la corrente in uscita dello sfasatore e la caratteristica di innesco dell’SCR. Come già accennato, nei circuiti alimentati da una sorgente di f.e.m. continua, l'SCR una volta innescato deve venire spento per mezzo di artifici circuitali che ne invertano per un certo tempo la tensione di alimentazione tra anodo e catodo. Per raggiungere tale scopo si fa uso di solito dell'energia immagazzinata in un elemento reattivo (condensatore, induttanza) la quale viene sfruttata per annullare momentaneamente l'effetto della sorgente primaria di alimentazione causando così lo spegnimento dell'SCR. Un esempio tipico é quello riportato in fig. 11 in cui un carico Z viene alimentato da una f.e.m. continua, inseribile o disinseribile tramite un SCR posto in serie e che funge da interruttore comandato.

Fig. 11: Impiego dell 'SCR come interruttore in corrente continua.

Il circuito in colore che compare in fig. 11 serve unicamente per provocare lo

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spegnimento dell' SCR principale S1 posto in serie al carico. L'energia necessaria a tale scopo viene immagazzinata nel condensatore C e viene scaricata su S1 al momento richiesto innescando l' SCR ausiliario S2. Si supponga infatti che il circuito in questione si trovi a riposo cioè sia S1 che S2 siano spenti e il carico non sia percorso da corrente. Inviando un impulso sul Gate di S1 se ne provoca l'innesco alimentando così il carico Z. L'innesco di S1 ha anche come effetto secondario la carica del condensatore C la cui d.d.p. dopo un certo tempo assume il valore di batteria E. A questo punto si invii sul gate di S2 un impulso che a sua volta ne determini l'innesco: il transitorio che ne segue deve avere come conseguenza lo spegnimento di S1. In effetti la tensione del punto B si porta di colpo a zero per cui quella del punto A, essendo A e B posti ai capi di un condensatore carico, si deve portare al potenziale negativo -E determinando così lo spegnimento di S1. In realtà le cose vanno in modo un pò diverso a causa del tempo di turn-off di S1. Nei primissimi istanti dopo l'innesco di S2, S1 é ancora in conduzione: i punti A e B sono entrambi a massa e il condensatore C risulta in corto circuito. Il picco elevatissimo di corrente che ne consegue, attraversa i due SCR provocando la distruzione di S2 a causa dell'abbondante superamento del suo di/dt limite all'innesco. É perciò essenziale l'aggiunta di una piccola induttanza L in serie a S2 sia per proteggere quest'ultimo sia per impedire la scarica del condensatore in un tempo troppo breve. In tal caso, l'evoluzione della tensione del punto B e della corrente attraverso C durante il tempo di turn-off di S1 é quella di fig. 12.

Fig. 12: Spegnimento di S1 e circuito equivalente.

Come si vede, la corrente che fluisce attraverso il condensatore nei primi istanti é di segno tale da contrastare e prevalere (zona tratteggiata) sulla corrente di carico IZ e favorire così lo spegnimento di S1. Essa infatti penetra nella zona occupata dal plasma e favorisce la sua rimozione. É ovvio che i valori dei componenti debbono essere scelti in modo che il turn-off di S1 avvenga prima che la corrente che lo

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attraversa ritorni di segno positivo. Poiché l'SCR, attraversato da corrente negativa (area tratteggiata di fig. 12), passa gradualmente dalla conduzione allo spegnimento, la sua resistenza varia di conseguenza dal valore zero al valore infinito. Lo studio teorico in tali condizioni é molto difficile e perciò conviene fare l'ipotesi semplificativa che la resistenza di S1 sia pari a zero fino all'istante in cui l'SCR spegne (vedi fig. 12) e diventi infinita subito dopo. Una volta spento S1 il condensatore C prende perciò a scaricarsi attraverso il carico Z e se quest'ultimo é induttivo, l'andamento che ne consegue può essere oscillatorio (l'effetto della piccola induttanza in serie ad S2 si può trascurare). La corrente che in tal modo attraversa S2 diventa negativa, favorendo così lo spegnimento anche di quest'ultimo. In ogni caso, per sicurezza, il valore della resistenza R viene scelto sufficientemente elevato così che se anche durante il transitorio suddetto S2 non si fosse spento, la corrente che attraversa R non sia da sola in grado di mantenerlo in conduzione, per cui alla fine il suo spegnimento sia garantito comunque. 4.-Transistore unigiunzione. Nei paragrafi precedenti si é sempre supposto che l'innesco dell' SCR avvenga a mezzo di un opportuno impulso di corrente applicato al gate. In realtà il problema di creare un impulso di sufficiente ampiezza e tale da provocare l'innesco degli SCR anche di grande potenza senza eccessivi ritardi non é dei più semplici da risolvere per cui si é sentita la necessità di realizzare un apposito dispositivo a semiconduttore che si adatti in modo semplice ed economico a questo scopo.

Fig.13: Struttura fisica e simbolo dell'UJT.

Si tratta del cosidetto transistore unigiunzione (UJT), la cui struttura é riportata in fig. 13 insieme al suo simbolo elettrico. Esso si realizza a partire da un blocco di materiale semiconduttore (Silicio), drogato debolmente di tipo n, su cui viene formata una giunzione diffondendo della droga di tipo p in percentuale elevata. Applicando una d.d.p. tra gli elettrodi B2 e B1, detti di base, e tenendo conto che la zona n é debolmente drogata e quindi ad elevata resistività, si ha il circuito equivalente di fig. 14 in cui la giunzione p-n é stata schematizzata con un diodo e

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le zone n vicine a B1 e B2 con due resistori.

Fig. 14: Circuito equivalente semplificato dell'UJT Si supponga di far crescere a partire da zero la tensione VE applicata all'elettrodo

E (emettitore). Finché il diodo é bloccato e cioè BBBB

BE V

RRR

V21

1

+≤ , attraverso di

esso non circola corrente, ad eccezione di quella di saturazione inversa.

Fig. 15: Fenomeni di conduzioni di cariche nell'UJT

All'aumentare di VE il diodo comincia a condurre ed un flusso sempre maggiore di lacune invade la porzione di zona n prossima all'elettrodo B1, come é indicato in fig. 15. Poiché il materiale n é poco drogato, le lacune che ricombinano con gli elettroni sono in numero limitato, mentre le altre rimangono libere aumentando considerevolmente la conducibilità della zona interessata (in realtà per ragioni di neutralità di carica all’eccesso di lacune si accompagna un eccesso di elettroni provenienti dall’elettrodo B1 così da formare un plasma ottimo conduttore). Via via che la corrente aumenta, la resistenza RB1 va perciò diminuendo fino ad assumere valori pressoché trascurabili. In tal caso tutta la tensione VE cade interamente ai capi del diodo ed il diagramma tensione-corrente tende a diventare quello ben noto della giunzione p-n. Riportando allora le curve caratteristiche valide per intensità rispettivamente bassa ed alta di corrente e raccordandole

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opportunamente nella zona dei valori intermedi si ha la caratteristica complessiva di fig. 16.

Fig. 16: Caratteristica elettrica composita dell'UJT. Il rapporto η nella cui espressione RB1 compare col suo massimo valore, é detto rapporto intrinseco statico ed é un parametro caratteristico del dispositivo. La caratteristica del transistore unigiunzione riportata in fig. 16, é ovviamente dipendente da VBB (tensione continua applicata tra le basi B1 e B2) ed é caratterizzata da un tratto a pendenza negativa cui corrisponde una resistenza dinamica dello stesso segno. Tale componente si presta quindi alla realizzazione di dispositivi oscillanti ed essendo in grado di assorbire picchi molto elevati di corrente senza danno (per valori elevati di corrente la potenza che vi si dissipa é trascurabile perché RB1 ≅ 0) é adatto al pilotaggio di dispositivi di potenza come gli SCR.

5.-Oscillatore a UJT. L'impiego del transistore unigiunzione é limitato quasi esclusivamente alla realizzazione dell'oscillatore a resistenza e capacità riportato in fig. 17.

Fig. 17: Oscillatore a resistenza e capacità con UJT.

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Quest'ultimo é un oscillatore non-sinusoidale a bassa o bassissima frequenza (frazione di Hertz) utilizzato principalmente per l'innesco degli SCR ma che, causa la sua buona stabilità e la facilità con cui se ne può variare la frequenza, trova utile impiego nei casi più disparati (lampeggiatori, clock di BF per circuiti digitali, ecc.). Per comprenderne il funzionamento si consideri anzitutto il caso in cui sia assente il condensatore C; in tale evenienza la situazione (statica) é sintetizzata in fig. 18. Da notare che il valore Vp della tensione di picco é dato dall'espressione:

BBBBBB

Bp VV

RRRRRRV η≈

++++

=2211

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essendo di solito R1 ed R2 molto minori di RB1 ed RB2. Il punto di funzionamento statico Q, per garantire l'oscillazione, deve trovarsi nel tratto di caratteristica a pendenza negativa; ciò si ottiene in prima approssimaziane imponendo che sia:

v

vBB

p

pBB

IVVRR

IVV −

>+>−

1 (vedi anche Fig. 18).

Fig.18: Situazione statica in assenza di condensatore.

Per lo studio del funzionamento dinamico del circuito di fig.17 si supponga che il condensatore C sia inizialmente scarico. La tensione ai suoi capi é nulla e va crescendo esponenzialmente verso il valore di batteria VBB con costante di tempo RC; infatti l'emettitore dell'unigiunzione assorbe una corrente trascurabile e la carica di C avviene quasi esclusivamente attraverso R. Non appena la tensione ai capi di C raggiunge e tende a superare la tensione di picco Vp dell'unigiunzione quest'ultimo viene portato a funzionare nel tratto a conduttanza negativa con conseguente innesco di un fenomeno transitorio a variazione molto rapida. La corrente varia bruscamente da valori praticamente nulli fino a valori molto elevati dando così luogo al fronte di salita dell’impulso di

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corrente che provocherà l’innesco dell’SCR. La situazione è allora quella riportata in fig. 19 in cui la differenza di potenziale tra la tensione del condensatore e quella del transistore unigiunzione viene colmata dalla Lpdi/dt ai capi di una induttanza parassita dovuta ai fili di collegamento e al moto delle cariche elettriche nel semiconduttore.

Fig. 19: Componenti di tensione transitorie. Il circuito equivalente durante questo transitorio veloce é invece quello di fig. 20 in cui il transistore unigiunzione equivale ad una resistenza dinamica negativa di valore -r. Poiché R1 - r < 0 ed Lp ≅ 0, la costante di tempo con cui si evolve il circuito di fig. 20 é negativa e molto piccola, il transitorio é perciò divergente e molto rapido.

Fig. 20: Circuito equivalente durante il transitorio veloce. In realtà man mano che la corrente cresce la -r, prima si annulla e poi cambia segno (vedi fig. 19), in modo che il transitorio complessivo di salita della corrente é formato da due tratti distinti (a) e (b) come é indicato in fig. 21 in cui viene riportato in dettaglio il transitorio complessivo. In definitiva si ha un salto veloce (Lp ≅ 0) lungo la retta di commutazione la cui pendenza é legata al valore di R1 (in realtà nell'ultimo tratto si può avere un incurvamento più o meno accentuato dovuto alla perdita di cariche nel condensatore C). Alla commutazione veloce ora descritta fa poi seguito la scarica più lenta di C attraverso la resistenza R1 in serie con la resistenza dinamica positiva

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dell'unigiunzione (tratto (c)). A questo punto si rientra in zona a pendenza negativa con relativa commutazione veloce (tratto (d)), dopodiché ha inizio la carica (lenta) di C attraverso R e si ripete un nuovo ciclo. Il punto di funzionamento descrive perciò una curva chiusa detta ciclo limite il cui interno è ombreggiato in Fig. 21. Va infine notato che il circuito equivalente di fig. 19 è valido durante i tratti veloci a), b) e d) mentre nel tratto c) il condensatore C si scarica sulla resistenza equivalente positiva dell’unigiunzione e il circuito tenderebbe (tratto tratteggiato di c)) verso il punto di equilibrio Q riportato in fig. 18.

Fig. 21: Transitorio complessivo e ciclo limite. La durata equivalente τ dell’impulso di corrente si può stimare supponendo che esso abbia una forma rettangolare di base τ e altezza IGmax. In questo caso esso comporta un trasferimento di carica Q = IGmaxτ che viene estratta dal condensatore C nel passare da tensione VC2 a tensione VC1 (vedi Fig. 21). Si ha allora:

τ =max

12 )(

G

CC

IVVC −

Assumendo per semplicità VC2 = ηVBB, VC1= 0 e IGmax = ηVBB/R1 si ottiene la relazione approssimata τ = CR1

Nel caso in cui si voglia innescare un SCR, al posto di R1 si piazza il Gate stesso oppure il primario di un trasformatore il cui avvolgimento secondario va al Gate dell'SCR nel caso quest’ultimo abbia il catodo fuori massa. Dimensionando opportunamente il trasformatore si ottengono impulsi di tensione e di corrente più che sufficienti a pilotare anche gli SCR di più elevata potenza. La forma d'onda che si ha ai capi del condensatore C é quella tipica a

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dente di sega mentre ai capi di R1 si ha una serie di impulsi brevi, come mostra la fig. 22.

Fig. 22: Segnali di tensione e di corrente nell'oscillatore a UJT.

Il periodo dell'oscillazione T, trascurando il tempo durante il quale si hanno le commutazioni, si ricava dalla relazione approssimata: da cui si ha:

RCt

BBvBBp eVVVV−

−=− )(

e da cui si ha:

η−≈

−−

=1

1lnln RCVVVV

RCTpBB

vBB

6.-Il Gate Turn Off Thyristor (GTO). Come si é visto nel capitolo dedicato agli SCR la principale limitazione di tali dispositivi risiede nell'impossibilità di portarli dallo stato ON allo stato OFF a mezzo di un semplice comando sull'elettrodo di Gate, con la conseguente necessità di impiego di circuiti ausiliari di spegnimento costosi e complicati. Si spiegano pertanto i ripetuti tentativi fatti dai costruttori per l'introduzione di componenti allo stato solido completamente equivalenti ad un interruttore comandato. Tra questi il più noto é il GTO (Gate Turn Off) che non differisce in modo essenziale da un normale SCR ma viene realizzato in modo da poter essere portato dallo stato ON allo stato OFF applicando un impulso di corrente negativa sul Gate. Per comprendere come sia possibile provvedere allo spegnimento di un normale SCR applicando un impulso negativo sul Gate, si consideri la fig. 23 in cui viene riportata la normale situazione di conduzione in un SCR. Una elevata quantità di corrente di elettroni esce dal catodo (che essendo una regione n+ é appunto una sorgente di elettroni) ed una corrispondente corrente di lacune esce dall'anodo (che é una regione p+ cioé sorgente di lacune). Tale mescolanza di cariche forma un plasma (elettricamente neutro) ad alta densità che

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cortocircuita la giunzione centrale n-p impedendogli di bloccare la corrente.

Fig. 23: Distribuzione di corrente in un SCR in conduzione.

Si supponga a questo punto di applicare una forte tensione negativa tra Gate e Catodo. Come é mostrato in fig. 24 parte del flusso di lacune viene deviato verso il Gate mentre le corrispondenti linee di corrente di elettroni, che per ragioni di neutralità di carica (il plasma é elettricamente neutro!) debbono rimanere paralleli alle corrispondenti linee di corrente di lacune, sono anch'essi costretti a uscire dal Gate. Quest'ultimo pero é una regione p+ cioé non é in grado di fornire gli elettroni richiesti. Ciò porta all'estinzione della corrente di elettroni e di conseguenza a quella parallela di lacune.

Fig. 24: Rimozione del plasma in prossimità del Gate. In definitiva l'applicazione di una tensione negativa tra Gate e Catodo ha per effetto l’allontanamento del plasma dalla porzione del corpo dell'SCR posta in prossimità del Gate, che pertanto può essere considerato in stato di OFF, salvo per una zona più distante in cui persistono sia il plasma che la corrente anodica. Si nota anche il verificarsi di due fatti concomitanti. Poiché la intensità di corrente nell' SCR é limitata solo dal carico esterno, nella zona interessata dal plasma residuo si manifesta una elevatissima densità di corrente che porta alla distruzione del dispositivo. In secondo luogo essendo la giunzione gate-catodo di tipo p/n+ e cioè di tipo a profilo di drogatura ripido, la tensione negativa applicata ne determina il breakdown e la conseguente rottura. Questi ultimi fenomeni possono però venire evitati se si introducono delle modifiche opportune nella struttura dell'SCR.

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Anzitutto occorre rendere più intimo il contatto tra Gate e Catodo allo scopo di aumentare l’efficacia della tensione di Gate nel controllare la corrente che fluisce nel catodo. Questo si può ottenere impiegando forme particolari quali quella cosidetta spirale involuta, riportate in Fig. 25.

Fig. 25: Struttura a spirale involuta di Gate e Catodo nei GTO. La spirale involuta gode infatti della proprietà di avere una distanza costante tra i suoi bracci contigui e quindi permette un contatto più “uniforme” tra Gate e Catodo. Il fenomeno del breakdown tra gate e catodo si può invece evitare inserendo una zona intermedia p- in modo che la giunzione p/p-/n+ che ne consegue sia di tipo sofficie e resista a più elevate tensioni. Per quel che riguarda la zona residua di plasma posto sulla destra della fig. 24 essa viene automaticamente eliminata se al di sotto di essa si toglie la zona p+ sorgente di lacune. Ciò porta all'estinzione dei canali di flusso delle lacune e di riflesso a quelli di flusso degli elettroni. Tale estinzione può essere anche giustificata osservando che nella zona in questione non si avrebbe più la struttura tetrapolare tipica dell'SCR con il fenomeno rigenerativo che ne consegue. In definitiva la struttura di un Thyristor che possa essere spento con comando negativo nel gate, che assume la denominazione di GTO (Gate Turn Off SCR), é quella riportata in fig. 26 in cui viene indicato anche il corrispondente simbolo elettrico.

Fig. 26: Struttura fisica di un GTO . Va comunque notato che benché il GTO sia comparso abbastanza presto sulla

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scena dei dispositivi a semiconduttore, la sua vita é stata molto tribolata e solo negli ultimi anni esso sembra aver raggiunta una certa maturità, benché le sue prestazioni non siano ancora entusiasmanti. Il suo tallone d'Achille é infatti l'ancor elevato valore di corrente negativa di gate necessaria per lo spegnimento che si aggira su di un valore pari a un decimo della corrente anodica da estinguere.

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DISPENSE DI ELETTRONICA INDUSTRIALE

(anno accademico 2002-2003)

Transistori di potenza bipolari

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1.-Caratteristiche elettriche dei transistori di potenza bipolari. Se si effettua il tracciamento delle caratteristiche elettriche di un transistore bipolare, come indicato in Fig. 1, si nota che è possibile mettere in evidenza tre regioni distinte di funzionamento. La prima zona, ridotta in pratica ad una retta quasi verticale, corrisponde al funzionamento in saturazione del transistor; esso si comporta infatti come una resistenza di valore costante entro una gamma di valori di tensione e corrente dipendente dall'entità della corrente di base applicata. Fig. 1: Caratteristiche elettriche di un transistore bipolare.

Facendo riferimento alla fig.1 si vede che applicando una corrente di base pari a Ib3 il transistor è assimilabile ad una resistenza pari a R = Vsat/Isat a patto che la tensione applicata sia inferiore a Vsat. Se la tensione di collettore supera il valore sopraddetto il transistor entra nella zona di funzionamento lineare, in cui esso si comporta, in prima approssimazione, come un generatore di corrente costante e indipendente dalla tensione Vce. La terza zona è quella a destra dell'iperbole di massima dissipazione e in corrispondenza di essa si verificano fenomeni di varia natura tutti legati ad un eccessivo innalzamento di temperatura delle parti che compongono il transistor. Per meglio comprendere i fenomeni che verranno descritti in seguito conviene fare riferimento alla fig. 2 in cui è riportata la struttura tipica di un transistor bipolare di potenza di tipo NPN. La fig. 2 evidenzia alcune caratteristiche strutturali dei transistor che hanno lo scopo di ottenere alcune qualità essenziali del dispositivo e precisamente: a) elevato guadagno di corrente b) elevata velocità di commutazione

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c) elevata corrente massima d) elevata tensione massima sopportabile e) bassa resistenza nello stato ON Il guadagno elevato è legato essenzialmente ad una regione di base sottile e poco drogata. In tal modo infatti si riduce la probabilità di ricombinazione nella regione di base con conseguente aumento del numero di cariche che raggiungono la zona di giunzione base-emettitore e ne influenzano il potenziale. Va messo in evidenza che per aumentare la velocità di funzionamento del transistor, la base viene drogata non uniformemente: ciò ha lo scopo di creare un campo elettrico interno che aumenta la velocità delle cariche e ne abbrevia il tempo di transito lungo la base.

Fig. 2: Struttura planare tipica di un transistor di potenza. Per quel che riguarda la corrente che transita tra collettore ed emettitore, essa è tanto più elevata quanto maggiore è l'estensione in larghezza del dispositivo. Si deve fare inoltre in modo che la corrente si distribuisca in modo uniforme evitando zone in cui le linee di flusso (vedi fig. 2) si addensano troppo. L'estensione in larghezza della zona di collettore (e quindi anche di base) ha come contropartita un aumento delle capacità sia dielettriche che di diffusione, con conseguente diminuzione della velocità massima di funzionamento. Per quel che riguarda l'attitudine a sopportare una elevata tensione, essa si ottiene interponendo tra la regione di collettore e la regione di base (la giunzione base-collettore è quella su cui si concentra la tensione applicata) uno strato intermedio di materiale drogato debolmente (zona n-) o addirittura allo stato intrinseco (zona i). In pratica si usa uno strato depositato chimicamente sul wafer (strato epitassiale) la cui resistività e circa 1600 - 2000 volte quella del substrato n+. La tensione applicata, come è noto, crea una zona di svuotamento ai bordi

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della giunzione collettore-base che è tanto più ampia quanto più le regioni vicine alla giunzione sono debolmente drogate. Il campo elettrico, essendo inversamente proporzionale alla estensione della regione di svuotamento risulta perciò ridotto e non provoca quegli effetti di ionizzazione per urto che, come verrà descritto in seguito, possono innescare fenomeni distruttivi incontrollabili. La regione di base va fatta anch'essa piuttosto estesa in spessore onde contribuire a sopportare parte della tensione applicata: questo naturalmente comporta una diminuzione di guadagno e di velocità massima di funzionamento. La presenza di una zona poco drogata nella regione di collettore, se da un lato permette di ottenere dispositivi con tensione di funzionamento maggiori, ha il difetto di introdurre una resistenza serie; la retta quasi verticale di fig.1 viene ruotata verso destra e il transistor, quando è utilizzato come interruttore chiuso, presenta una resistenza equivalente dell'ordine di qualche ohm o anche di decine di ohm. A tale proposito esiste una legge empirica esponenziale che lega la massima tensione sopportabile BV (Breakdown Voltage) al valore della resistenza nello stato ON Ron e all'area A del transistor (visto dall'alto). Si ha infatti (BV)n = A Ron ; n = 2.3 - 2.7 Volendo ad esempio aumentare la tensione massima sopportabile da 110 a 200 volt occorre aumentare di circa 5 volte l'area del transistor per mantenere inalterata la resistenza allo stato ON. Questo però comporta una diminuzione del numero di dispositivi ricavati per ogni singolo wafer secondo un fattore molto superiore a 5 con conseguente aggravio economico. La resa per wafer (cioè la percentuale di dispositivi funzionanti sul totale di quelli prodotti sul wafer) e infatti data dalla formula empirica:

Y = K(n) (1 - e-AD)2

AD

in cui si è posto A area del dispositivo D densità di difetti presenti normalmente nel wafer n numero di passi nel processo realizzativo K(n) fattore esponenziale variabile secondo una potenza negativa di n Per valori di A molto piccoli e comunque minori di 1 mm quadro (è il caso dei transistor di segnale) la resa è molto elevata e il costo proporzionalmente basso. Se però l'area supera i 2.5x2.5 mm2 la resa cala rapidamente a causa del notevole

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numero di dispositivi difettosi e il costo subisce una scalata notevole. Un transistor da 450 volt con 1 ohm di Ron può costare da 4 a 6 volte un transistor con la stessa tensione massima ma con 2.5 ohm di Ron. Esaurito il breve commento sulle caratteristiche strutturali della fig. 2 conviene esaminare ora gli effetti legati al riscaldamento che sono, per il progettista dei dispositivi di potenza, quelli più importanti. La sorgente di calore principale del transistor è la giunzione base collettore su cui si concentra quasi tutta la tensione applicata. Il calore generato tende a diffondere attraverso il meccanismo della conduzione verso le zone a temperatura più bassa ed è cura del costruttore che queste siano a contatto termico con una struttura dotata di buone capacità di smaltimento del calore medesimo (per esempio un dissipatore alettato come quello indicato in Fig. 2). Un eventuale eccessivo innalzamento di temperatura della zona di base e di collettore porterebbe infatti a una serie di fenomeni particolarmente dannosi che data la loro importanza e varia natura verranno studiati in dettaglio nei prossimi paragrafi. Qui va notato per concludere che la iperbole di massima dissipazione di fig.1 è legata di solito alla necessità di evitare la migrazione e la ridistribuzione delle impurità nel cristallo di Silicio con conseguente degrado delle giunzioni. Tale fenomeno di solito comincia a manifestarsi al di sopra dei 250 °C. 2.-Limiti di corrente e di tensione nei transistori bipolari. Come si nota osservando la fig.2 l'area di collettore, piuttosto ampia, è affacciata ad un'area di emettitore che per ragioni costruttive è necessariamente più limitata. Le linee di corrente che attraversano il collettore tendono perciò a restringersi e a concentrarsi in modo non uniforme con l'inevitabile conseguenza che in alcune zone la densità di corrente può raggiungere valori tali da danneggiare il cristallo. Esiste perciò un valore massimo di corrente oltre il quale è bene non spingersi per non incorrere in conseguenze catastrofiche. Va detto però che in genere un limite ancor più severo alla massima corrente è posto dai collegamenti con gli elettrodi esterni che possono distaccarsi a causa delle elevate correnti. Questo limite dipende anche dal tipo di funzionamento a cui è sottoposto il transistor; la corrente massima sopportabile in regime permanente (corrente costante) è infatti minore di quella che il dispositivo può sopportare senza danno in regime impulsivo. Ciò è legato al fatto che il danneggiamento della struttura cristallina e delle connessioni esterne si verifica con un certo ritardo rispetto alla causa che lo provoca e cioè l'elevata corrente. In altre parole una corrente molto intensa può essere sopportata senza danni purché sia mantenuta per un tempo sufficientemente breve. Un altro fenomeno distruttivo che si verifica in presenza anche di piccole

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correnti ma con elevate tensioni applicate è quello ben noto della ionizzazione per urto e conseguente moltiplicazione delle cariche nella zona di collettore. Se infatti la tensione applicata tra collettore ed emettitore supera un certo valore le cariche che si muovono lungo la regione di collettore vengono accelerate dal campo elettrico presente e possono acquistare energia sufficiente a liberare altre cariche che a loro volta vengono accelerate. Si innesca così un fenomeno rigenerativo (avalanche breakdown) che porta alla distruzione del transistor. Il valore della tensione di breakdown, indicato con la sigla BVce, a differenza di quanto avviene per la corrente massima non è influenzato in modo sensibile dalla durata; esso invece oltre che dal profilo di drogatura della zona di collettore dipende dalle caratteristiche del circuito con cui si alimenta la base. Nel caso in cui l'elettrodo di base sia lasciato libero (fluttuante) tutte le cariche minoritarie (lacune) generate termicamente nella zona di collettore raggiungono la zona di base e aumentandone il potenziale equivalgono ad un segnale di tensione esterno che provoca un flusso di corrente di collettore amplificato. Le cariche corrispondenti possono così venire accelerate dando luogo al fenomeno dell'avalanche breakdown. Viceversa se l'elettrodo di base è collegato a massa la regione di base tende a rimanere a potenziale zero e solo quelle zone di essa che si trovano più lontane dall'elettrodo esterno subiscono un aumento di potenziale. In questo ultimo caso perciò il fenomeno dell'avalanche breakdown si verifica a tensione superiore rispetto al caso della base fluttuante. Una situazione ancora più favorevole si ha quando la base è mantenuta a potenziele negativo; in tal caso vale la relazione: BVcex(base negativa) > BVces(base a massa) > BVceo(base aperta) A titolo indicativo si può dire che, a seconda dei casi, vi sia una differenza che va da 50 a 250 volt tra la tensione di breakdown a base aperta e quella a base negativa. Una volta innescato il fenomeno del breakdown l’aumento di corrente e di cariche libere che ne consegue porta a funzionare il transistore in una situazione del tutto indipendente dalle condizioni di partenza per cui si ha la situazione di fig. 3 in cui le tre suddette tensioni tendono ad un limite comune denominato BVcesus (sustaining voltage) il quale è quello che di solito è riportato nelle caratteristiche elettriche fornite dal costruttore. Come ultima annotazione va anche detto che le tensioni di breakdown aumentano entro certi limiti al crescere della temperatura; in altre parole crescendo la temperatura il transistore sopporta tensioni più elevate.

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Fig. 3: Andamento delle tensioni di breakdown. Ciò non deve sorprendere dato che la ionizzazione per urto si manifesta quando le cariche accelerate raggiungono una energia cinetica sufficiente. Perché ciò avvenga occorre che la carica in questione si muova liberamente attraverso il reticolo per un tratto sufficientemente esteso (cammino libero medio). Un'ampia vibrazione del reticolo indotta da una temperatura elevata tende però a favorire gli urti e impedisce quindi il raggiungimento dell'energia cinetica necessaria. 3.-La fuga termica nei transistor bipolari. Se il transistore viene fatto funzionare con tensioni e correnti abbastanza elevate può talvolta manifestarsi un fenomeno di aumento incontrollato della temperatura, noto col nome di fuga termica (thermal runaway), che porta in breve alla distruzione del dispositivo. Tale fenomeno, che può aver luogo a partire da punti di funzionamento ben al di sotto della iperbole di massima dissipazione, è legato in gran parte al tipo di circuito esterno cui è collegato il transistor, nonché a eventuali fenomeni transitori indotti in esso. Nel caso dei transistori bipolari al germanio, ora in disuso, la fuga termica si manifestava prevalentemente a causa della presenza di correnti di fuga di elevata intensità. Tali correnti crescono esponenzialmente con la temperatura (hanno un tasso di crescita che va dal 11% al 110% per ogni grado di temperatura) e giungendo nella regione di base ne aumentano il potenziale favorendo lo scorrere di una corrente di collettore amplificata che causa una ulteriore crescita della temperatura e quindi un conseguente aumento delle correnti di fuga provocando così in definitiva un fenomeno rigenerativo. Sperimentalmente si verifica che nelle normali condizioni di funzionamento in un dispositivo al silicio si ha un incremento di corrente di collettore pari a circa l'8% per ogni grado di temperatura. Per rendersi conto di come questo aumento possa in taluni casi provocare il fenomeno della fuga termica, si consideri il caso di un transistor con

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carico resistivo. Supposto il transistor termicamente stabile, si immagini di riscaldarlo a mezzo di una sorgente di calore esterna.

Fig. 4: Spostamento verso l’alto, lungo la retta di carico, del punto di

funzionamento al crescere della temperatura. L'aumento di temperatura indotto crea un corrispondente aumento di corrente di collettore e il punto di funzionamento, muovendosi lungo la retta di carico, si sposta via via verso zone interessate prima da una dissipazione crescente e poi da una dissipazione decrescente, come è indicato in fig. 4. D'altra parte la quantità di calore Q che viene prodotto in prossimità della giunzione di collettore, tende a fluire verso l'esterno per il fenomeno di conduzione, secondo la legge lineare approssimata:

ja

ambj TTQ

θ)( −

=

dove il coefficiente θja è denominato resistenza termica e si misura in °C/watt. Quest'ultima relazione è riportata in fig. 5 insieme a quella relativa alla potenza dissipata ricavata dalla fig. 4. I punti di intersezione corrispondono a situazioni di equilibrio in cui tutto il calore prodotto viene smaltito verso l'ambiente. Due di tali punti sono stabili mentre il terzo e cioè P2 è instabile. Normalmente il punto di funzionamento coincide con P1 in cui la temperatura assume valori piuttosto contenuti. Un eventuale aumento accidentale di temperatura provoca uno squilibrio tra produzione e smaltimento di calore in cui quest'ultimo prevale con relativo effetto stabilizzante. Se però l'aumento accidentale è tale da portare la temperatura a superare il valore T2, il nuovo punto di equilibrio verso cui tende il transistor diventa P3 cui corrisponde di solito una temperatura ben superiore a quella massima tollerabile, con conseguenze facilmente immaginabili.

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Fig.5: Variazione della potenza dissipata al crescere della temperatura. In taluni casi può essere sufficiente un momentaneo aumento della tensione di alimentazione E, non ben stabilizzata, per spostare verso l'alto la curva della legge di produzione del calore. In questo caso la temperatura tende a salire verso l'unico punto possibile di equilibrio P3 e se essa nel frattempo supera il valore T2 non è più sufficiente riportare la tensione E al valore iniziale per fermare la fuga termica ormai inarrestabile. Un'altra causa di fuga termica può essere un aumento anche momentaneo della temperatura ambiente che abbassa la retta di dissipazione del calore, oppure una diminuzione (per invecchiamento o altra causa) del valore della resistenza elettrica R in serie al collettore. Per concludere va notato che benché il fenomeno della fuga termica possa essere legato a cause molteplici e in larga parte imprevedibili esso è per fortuna facilmente evitabile se si effettua un controllo della corrente di emettitore. Tenuto infatti conto che l'entità della corrente di collettore differisce di poco da quella di emettitore, il mantenere costante la corrente di emettitore è condizione più che sufficiente per garantire l'assenza di fughe termiche. È superfluo aggiungere che un modo semplice ed economico per limitare il valore della corrente di emettitore, consiste nel aggiungere in serie all'emettitore stesso una resistenza di valore opportuno. 4.-L'instabilità laterale (Forward biased second breakdown)La fuga termica, descritta nel paragrafo precedente, è un fenomeno che si evita facilmente, come si è visto, avendo cura di impedire variazioni della corrente di

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collettore dovute a cambiamenti accidentali delle condizioni operative (tensioni di alimentazione, temperatura ambiente ecc.). Sfortunatamente mantenere costante la corrente di collettore nel suo complesso1 non equivale a mantenere costante la corrente che fluisce internamente lungo tutta la estensione della regione del collettore stesso. Si possono avere infatti delle zone limitate del corpo del transistor bipolare in cui si ha un momentaneo aumento della corrente eventualmente bilanciato da una diminuzione equivalente in altre zone. Si crea così un corrispondente squilibrio termico in una zona limitata della giunzione base-emettitore che favorisce un ulteriore aumento locale di corrente senza che il circuito di stabilizzazione esterno possa intervenire dato che la corrente complessiva si mantiene pressoché costante o varia di poco. La fuga termica locale è così un fatto inevitabile e il riscaldamento subito dalle zone interessate, generalmente di estensione assai ridotta e denominate punti caldi (hot spots), è così intenso da portare alla fusione locale del cristallo di silicio (che fonde a 1550 °C). Il fenomeno è molto subdolo perché si accompagna inizialmente ad un aumento impercettibile di corrente esterna e solo quando il guasto è ormai irreparabile si manifesta come un cortocircuito netto tra collettore ed emettitore. Una delle cause principali che favoriscono l'innesco del fenomeno appena descritto sono i bruschi transitori cui è sottoposto il transistore durante il funzionamento in regime variabile. Si consideri infatti a titolo di chiarimento il caso dell'applicazione di un impulso di tensione in base, che faccia passare il transistor dallo stato di interdizione a quello di conduzione. Facendo riferimento alla fig. 6 si vede che, a causa della forma geometrica planare del transistor e tenendo conto che la base è debolmente drogata e quindi presenta una resistenza distribuita non trascurabile, l'impulso di tensione di comando agisce prevalentemente sui bordi laterali della giunzione base-emettitore, più vicini agli elettrodi esterni e al contrario viene fortemente attenuato dalla resistenza della zona di base prima di giungere nella zona centrale. In tal modo le zone laterali sono quelle che conducono per prime e sono perciò maggiormente soggette ad andare in fuga termica laterale. È per tale motivo che il fenomeno descritto è noto col nome di instabilità laterale (lateral instability o anche forward biased second breakdown). La denominazione di second breakdown deriva dal fatto che benché la presenza della fuga termica locale sia sufficiente a spiegare il fenomeno nel suo complesso, esso è però così violento da far supporre che anche altri meccanismi contribuiscano alla sua evoluzione. L'ipotesi più accreditata è quella del manifestarsi nei punti caldi di una intensa ionizzazione

1Ovviamente si fa riferimento al valore medio della corrente, ovvero al punto di funzionamento,

dato che i segnali variabili applicati in base faranno certamente variare la corrente medesima.

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per urto che provoca una proliferazione di cariche libere e quindi la perforazione della giunzione per fenomeno di breakdown oltrechè per fusione termica.

Fig.6: Propagazione della zona di conduzione L'ipotesi suddetta è suffragata dal fatto che il secondo breakdown si manifesta di preferenza in presenza di tensioni collettore-emettitore elevate. Come regola empirica dedotta sperimentalmente, si può assumere come condizione per l'innesco del secondo breakdown la relazione: VnIc > c in cui le costanti n e c possono assumere valori diversi a seconda dell’intervallo di tensioni preso in esame.

Fig. 7: Area di sicurezza in regime permanente (DC) e in regime mono-impulsivo

del transistor bipolare di potenza D64VS3 (General Electric). Quest'ultima relazione, insieme con quella relativa all'iperbole di massima dissipazione, alla massima corrente ammissibile e alla massima tensione sopportabile, consente di delimitare una zona di funzionamento sicuro all'interno della quale il transistor dovrebbe funzionare correttamente e senza pericoli di

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guasto. Se si fa uso di coordinate entrambe logaritmiche sia l'iperbole di massima dissipazione che la curva limite di secondo breakdown diventano rette e l'area di sicurezza, denominata SOAR (Safe Operating ARea) assume la forma tipica di fig. 7. Osservando la fig. 7 si nota, come già anticipato, che le curve limite di secondo breakdown (rilevate sperimentalmente) sono due (talvolta c'e n'è una sola); la prima è valida per valori più bassi di tensione ed è caratterizzata dal valore n = 2 mentre l'altra, valida per tensioni più elevate, ha n = 1. 5.-L'area di sicurezza in regime impulsivo. Nei paragrafi precedenti si è introdotto il concetto di area di sicurezza (SOAR) immaginando di portare il transistor a funzionare in vari punti del piano V-I e verificando poi se si manifestano fenomeni distruttivi. In pratica però tale tipo di funzionamento (denominato spesso funzionamento continuo) non rispecchia le situazioni reali in cui vengono impiegati i transistori di potenza, per cui è necessario estendere il concetto di area di sicurezza anche al caso di un singolo impulso (regime mono-impulsivo) nonché a quello di impulsi ripetitivi. Si supponga allora che la potenza dissipata nel transistor sia assimilabile a una sequenza periodica di impulsi di durata t1 e periodo t2. Il circuito equivalente termico approssimato del transistor è quello di fig. 8 in cui θ e C indicano rispettivamente resistenze e capacità termiche.

Fig. 8: Circuito equivalente termico e andamento della temperatura di giunzione. È facile verificare che il valore massimo raggiunto dalla temperatura di giunzione è data dalla relazione:

Tjmax =[ 1/2

1/1

11

τ

τ

t

t

ee

−− θjc+ 2/2

2/1

11

τ

τ

t

t

ee

−− θca]Pmax

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in cui τ1 = θjcCjc e τ2 = θcaCca sono le costanti di tempo termiche della giunzione e del dissipatore, rispettivamente. Si hanno allora i seguenti due casi: Tjmax = (θjc + θca)(Pmax)DC regime continuo (t1, t2 = ∞ ) Tjmax = (δθjc + kθca)(Pmax)imp regime impulsivo ripetitivo in cui, posto che la costante di tempo termica τ2 del dissipatore sia molto grande, si ha:

k = 2/2

2/1

11

τ

τ

t

t

ee

−− =

2

1

tt (duty cycle)

ed inoltre il fattore

δ = 1/2

1/1

11

τ

τ

t

t

ee

−−

che è sempre minore di 1, è detto fattore di riduzione della resistenza termica (thermal derating factor). Quest'ultimo viene riportato graficamente dal costruttore per ogni tipo di transistor al variare di t1 e t2 (vedi fig. 9). Noto allora δ è possibile calcolare la potenza massima dissipabile in regime inpulsivo a partire da quella in continua. Come si vede osservando la fig. 7, in cui è riportata l’area di sicurezza sia in regime continuo che monoimpulsivo (cioè per δ = 0), anche il limite di secondo breakdown si sposta verso l'alto, insieme con quello della corrente massima. Il calcolo teorico di tali variazioni è però molto difficile, data la natura complessa dei fenomeni e perciò si preferisce affidarsi ai rilevamenti sperimentali. Può comunque essere utile osservare che la corrente di secondo breakdown varia con la frequenza di ripetizione dell'impulso secondo la legge approssimata:

fI BS

1/ ≡

In altre parole la retta limite di secondo breakdown viene traslata verso il basso al crescere della frequenza di ripetizione degli impulsi di potenza applicati. Si consideri ora il caso in cui il dissipatore non sia ideale e cioè la sua resistenza termica sia non nulla.

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Fig. 9: Thermal derating factor δ del transistor bipolare D64VS3. Nel caso del regime continuo, la massima potenza dissipabile con un dissipatore non ideale ( 0≠caθ ) è:

jc

ca

DCDC

PP

θθ

+=

1

)()( max'

max

dove Pmax è la potenza massima con dissipatore ideale ( 0=caθ ).

Tenendo allora conto che, per la regola del partitore di tensione (vedi fig. 8):

cj

c

jc

ca

TTT−

=θθ

si ottiene

DCj

cDC P

TT

P ))(1()( max'

max −=

Il fattore (1 - TcTj

) che fa diminuire la potenza massima dissipabile quando

l'involucro, con un dissipatore non ideale, sale in temperatura è detto power derating factor ed il suo andamento è riportato in fig. 10 insieme con quello di un derating factor della la corrente di secondo breakdown. Quest'ultimo, ricavato sperimentalmente, è meno sensibile all'innalzamento di temperatura dell'involucro, come era facile prevedere visto che il fenomeno di secondo breakdown non è dovuto che in parte ad effetto termico.

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Fig. 10: Derating factor della potenza e del secondo breakdown per il transistor BUX-15 . Utilizzando i grafici della fig. 10 è possibile costruire l'area di sicurezza in continua per qualsiasi valore della temperatura dell'involucro. Basta infatti ridurre le ordinate delle curve di potenza e di secondo breakdown di un fattore percentuale pari al rispettivo derating factor. Va notato inoltre che le curve di massima corrente e massima tensione non sono sostanzialmente influenzate dalla temperatura dell'involucro. 6.-Il reverse biased second breakdown. Dal punto di vista della effettiva pericolosità, il fenomeno del forward biased second breakdown appena decritto non stà al primo posto nelle preoccupazioni del progettista dei sistemi di potenza a transistor bipolare. A parte infatti la precauzione di lavorare sempre all'interno dell’area di sicurezza, occorre tener presente che le componenti induttive, sempre presenti nel carico, tendono ad impedire con la loro inerzia elettrica i fenomeni transitori troppo veloci che possono innescare la fuga termica laterale. Una situazione particolare molto pericolosa si ha invece nel caso, piuttosto frequente in pratica, del brusco passaggio dallo stato di conduzione a quello di completa interdizione del transistor. La tensione di spegnimento (nulla o negativa) applicata all'elettrodo di base del transistor in conduzione, fa sentire anche in questo caso i suoi effetti prima lungo il bordo della giunzione per cui l'area di conduzione va restringendosi verso il centro come è mostrato in fig. 11. Sfortunatamente il processo di rapida estinzione è contrastato dall'inerzia del carico che più o meno è sempre induttivo e che tende a mantenere costante la corrente di collettore. Nella zona centrale di conduzione che va velocemente restringendosi si concentra perciò una corrente di valore pressoché costante la cui densità in breve raggiunge valori proibitivi dando luogo alla formazione di un

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punto caldo (hot spot) centrale: la distruzione del transistor è cosa perciò pressoché certa. Benché in questo caso non sia corretto parlare di fuga termica il fenomeno della ionizzazione per urto è certo ancora presente in modo massiccio ed è perciò che il fenomeno descritto prende il nome di reverse biased second breakdown.

Fig. 11: Transitorio di spegnimento. A differenza dell'instabilità laterale (positive biased second brakdown) non è possibile stabilire per il reverse biased second breakdown un'area di sicurezza; esso infatti è in gran parte legato alla entità della componente induttiva del carico. In pratica, osservando il fenomeno da un punto di vista del tutto diverso, si può dire che durante lo spegnimento del transistor l'energia immagazzinata nell'induttanza serie del carico che ammonta a 1/2 Lsi2 si scarica sul collettore del transistor, trasformandosi tutta in calore ed eventualmente distruggendolo.

Fig. 12: Andamento dell'energia sopportata al variare della tensione di

spegnimento applicata in base.

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Per ogni tipo di transistor viene perciò specificata dal costruttore la massima energia (espressa in joule), indicata con la sigla ES/B, che il dispositivo è in grado di sopportare senza danni. Tale energia massima sopportabile è tanto più piccola quanto più rapidamente viene effettuato lo spegnimento del transistor; infatti se si spegne lentamente il transistor l'energia viene diluita nel tempo e quindi più facilmente sopportata. In pratica, dato che per aumentare la velocità di commutazione si usa applicare alla base una forte tensione negativa, viene fornito di solito l'andamento di ES/B al variare della tensione negativa di interdizione applicata in base. In fig. 12 è riportato a titolo di esempio un andamento tipico di ES/B al variare della tensione negativa -Vbe A tale proposito occorre notare infine che anche la resistenza interna del generatore Rb che eroga il segnale di comando in base, influenza in qualche modo l'andamento di ES/B. 7.-Circuiti di protezione. Come già visto a proposito del fenomeno del reverse biased second breakdown, durante la fase di spegnimento, l'energia immagazzinata nella componente induttiva del carico dissipandosi nel transistor può danneggiarlo. Occorre perciò predisporre dei circuiti opportuni che hanno il compito di proteggere il transistor stesso durante le fasi critiche di funzionamento, pur non intervenendo durante il resto del tempo. Il circuito impiegato è quello riportato in fig. 13.

Fig. 13: Circuito di protezione per il turn-off: clamping diode e snubber Il diodo D (detto clamping diode) viene inserito in parallelo al carico onde impedire alla tensione di collettore di superare la tensione di batteria, che di solito è di poco inferiore al valore di breakdown del transistor.

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Tuttavia poiché qualsiasi diodo ha un tempo di intervento non nullo esso non è in grado di impedire che parte della sovratensione si manifesti in ogni caso. Il punto di funzionamento si sposta infatti lungo la traiettoria in colore posta in alto e riportata in fig. 14.

Fig. 14: Traiettorie del punto di funzionamento durante lo spegnimento con clamping diode e con condensatore.

Nel primo tratto, percorso ad altissima velocità, la corrente di collettore rimane costante a causa dell’inerzia del carico induttivo. Non appena il diodo comincia a condurre e cioè la traiettoria supera il valore di E essa si incurva verso il basso e tende poi verso il punto di funzionamento a corrente di collettore nulla (stato OFF). Come si vede la corrente del carico induttivo si separa in due componenti e cioè la corrente di diodo Id e la corrente di collettore Ic. Per ottenere traiettorie non eccessivamente spostate verso destra è essenziale utilizzare diodi ad alta velocità di commutazione (come i diodi Schottky) e limitare la tensione di batteria a valori convenientemente più bassi della tensione di breakdown del transistore. La presenza del diodo di clamping, che assorbe parte della corrente induttiva, è di solito più che sufficiente per evitare il fenomeno del reverse second breakdown ma non sempre è sufficiente a garantire che il punto di funzionamento rimanga all’interno dell’area di sicurezza. Come già mostrato in fig. 13 è spesso necessario aggiungere in parallelo al transistore un condensatore di valore opportuno che assorbendo in modo più pronto ed efficace parte della corrente induttiva provochi un incurvamento verso il basso più marcato della traiettoria del punto di funzionamento (vedi curve C1, C2 e C3 di fig. 14). Il diodo e la resistenza posti in serie al condensatore C in fig. 13 hanno il compito ausiliario di minimizzare l'effetto di quest'ultimo durante la fase di accensione; la presenza di un condensatore ai capi del transistor potrebbe infatti provocare pericolose sovracorrenti. Si ha infatti la situazione di fig. 15 in cui sono riportate le traiettorie di accensione con diodo (2) e senza diodo (1).

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Fig. 15: Transitori di accensione con e senza diodo Ds. Come si può vedere, in assenza del diodo Ds il condensatore carico si scarica sul transistore appena attivato, provocando un picco di corrente molto pericoloso. Il diodo Ds conduce la corrente solo durante la fase di spegnimento caricando il condensatore, mentre durante l’intervallo di conduzione del transistor la resistenza di valore elevato Rs permette al condensatore C di scaricarsi. Il dimensionamento di C si effettua in modo da garantire un transitorio di spegnimento tutto all'interno dell'area di sicurezza (vedi ad esempio la curva C3 di fig. 14). A tale scopo si prende in considerazione il circuito semplificato di fig. 16 in cui si suppone che il carico sia costituito da un gruppo R-L serie e il transistore si assimila ad un generatore ideale di corrente. In linea di principio la corrente Ic che fluisce nel transistor durante la fase di spegnimento dipende sia dalla forma del comando applicato in base sia dai valori del circuito esterno. Tuttavia i rilievi sperimentali condotti su un gran numero di transistori di potenza collegati ad un carico induttivo hanno permesso di accertare che l'andamento della corrente Ic si può assimilare con buona approssimazione ad una rampa lineare decrescente (vedi ad esempio gli oscillogrammi di fig. 18 riportati più avanti).

Fig. 16: Circuito equivalente durante la fase di turn-off.

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Risolvendo allora le equazioni che governano il comportamento del circuito di fig.16 si ottiene una famiglia di curve transitorie (riportate in fig. 14 e contrassegnate con C1, C2 e C3), che permettono di verificare se il transistor lavora sempre entro l'area di sicurezza e con quali margini ciò avviene. 8.-Problemi di pilotaggio della base di transistor bipolari. Quando si utilizza il transistore di potenza come interruttore è essenziale che esso assorba allo stato ON la più piccola potenza possibile ossia si porti quanto più possibile in saturazione. Tanto più profondo è lo stato di saturazione tanto minore è la caduta ai capi del transistore e quindi anche la potenza dissipata. Vi sono però alcune importanti considerazioni che sconsigliano di raggiungere uno stato di saturazione troppo spinto. Si consideri ad esempio la fig.17 che rappresenta schematicamente i vari stati di conduzione di un transistor di potenza.

Fig.17 : Dilatazione della regione di base di un transistor bipolare nei vari stati di

conduzione. Durante il funzionamento in zona lineare le lacune nella base sono in quantità limitata e non vengono attratte dal collettore che si trova a potenziale positivo rispetto alla base (la giunzione base-collettore è polarizzata negativamente). Aumentando però la corrente di base e di conseguenza quella di collettore, la caduta sul carico esterno fa calare il potenziale del collettore stesso fino a portare alcune sue zone a un potenziale più basso di quello di base: la giunzione base collettore risulta quindi polarizzata positivamente e la base può iniettare lacune nelle aree più prossime del collettore (stato di quasi saturazione). Se si aumenta ancora la corrente di base le lacune arrivano a toccare la zona n+ del collettore: la base si estende sempre di più e il transistor è saturo. Un ulteriore aumento della corrente di base (cui però non fa seguito un apprezzabile aumento della corrente di collettore) porta il transistore in sovrasaturazione: parte della regione n+ di

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collettore viene invasa dalle lacune aumentando così ulteriormente l’estensione della zona equivalente di base. Se a questo punto si vuole effettuare il percorso inverso e cioè portare il transistore dallo stato ON allo stato OFF si vede subito che fintantoché l’eccesso di carica non è stato asportato, cioè la zona di base equivalente non è stata riportata ai valori normali, la tensione di collettore rimane al valor minimo e l'interruttore equivalente non da segno di cominciare ad aprirsi. Il tempo necessario per eliminare le cariche (lacune) di saturazione è detto storage time. Lo storage time ha lo svantaggio di essere largamente indipendente dal valore della tensione inversa che si applica in base durante la fase di spegnimento. Se si applica una tensione negativa all'elettrodo di base, solo le lacune poste in prossimità dell'elettrodo vengono drenate, mentre quelle di saturazione poste in cima alla zona n+ di collettore sono scarsamente influenzate e vengono eliminate per ricombinazione in loco. Va infatti tenuto presente che per garantire la neutralità di carica, all’incremento di lacune descritto in fig. 17 fa sempre riscontro un identico incremento degli elettroni: le coppie lacuna-elettrone coesistenti tendono quindi a ricombinare localmente. Una volta eliminata la carica di saturazione, ha inizio la fase di risalita della tensione (voltage rise time) e di concomitante caduta a zero della corrente di collettore (current fall time) come viene indicato in fig.18.

Fig.18 : Fenomeno di spegnimento di un transistor bipolare con carico induttivo. Una considerazione molto importante riguarda l’entità della la tensione negativa applicata in base durante la fase di passaggio dallo stato ON allo stato OFF. Si è

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appena visto che durante tutte le fasi di saturazione e sovrasaturazione si manifesta un notevole accumulo di cariche minoritarie nel collettore (lacune), che vengono eliminate solo per ricombinazione locale. Pertanto l'applicazione di una tensione inversa eccessiva, oltre che inutile, è anche dannosa. Infatti la giunzione base-collettore rimane conduttrice a causa delle lacune presenti ed equivale ad una resistenza di basso valore anche con tensione inversa.

Fig.19: Coda di corrente In conseguenza di ciò l’emettitore, che si trova a potenziale zero e cioè molto più positivo della base, può venire praticamente escluso dalla conduzione. In questo caso tutta la corrente di collettore viene deviata verso la base, con conseguente forte dissipazione di potenza sia nell’area di base che nel suo circuito di pilotaggio. Tale fenomeno, noto col nome di coda di corrente (current tail) è rappresentato in colore nella fig.19 e normalmente si manifesta con un brusco incremento della corrente di base cui fa seguito un forte allungamento del transitorio di spegnimento. Il pericolo di instabilità termica e di rapida distruzione del transistor è molto elevato e la coda di corrente va assolutamente evitata. Durante lo spegnimento occorre perciò moderare inizialmente l'ampiezza della tensione inversa per evitare la coda di corrente. Invece quando per la giunzione base-collettore è svuotata di lacune, un aumento di tensione negativa è benefico perché abbrevia in modo considerevole la parte finale del fenomeno di passaggio tra lo stato ON e lo stato OFF. La tecnica che occorre usare è allora quella dell'adattamento della dib/dt e consiste nell'inserire in serie alla base una induttanza di valore opportuno, come indicato in fig. 20. Quando infatti inizia a manifestarsi la coda di corrente, il brusco incremento della corrente di base viene frenato dalla presenza dell’induttanza; viceversa quando la giunzione base-collettore tende a bloccarsi, la corrente di base decresce rapidamente e quindi l'induttanza invia una sovratensione negativa sulla base favorendo così un rapido

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fall-time.

Fig. 20: Tecnica dell'adattamento delle dib/dt. In altre parole si tratta di fare in modo che la corrente di base si evolva con velocità controllata, così da dare tempo alle cariche minoritarie poste nel collettore di ricombinare. Ciò consente di abbreviare sia lo storage time che il fall time. Ovviamente esiste un valore ottimale di induttanza da inserire in base. Osservando infatti la fig. 20 si vede che se l'induttanza è troppo elevata la corrente di base sale troppo lentamente e il transistore commuta in un tempo molto lungo. D'altra parte se l'induttanza è troppo piccola la corrente di base raggiunge valori elevati quando ancora il transistore in saturazione e si presenta il fenomeno della coda di corrente.

Fig. 21: Circuito di antisaturazione Visto allora che il fenomeno della sovrasaturazione dannoso e difficile da

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trattare, la cosa più vantaggiosa da fare consiste nell'evitare che esso avvenga. Ciò si ottiene col circuito di fig. 21 che è denominato appunto circuito di antisaturazione. Come si vede, quando la tensione di collettore durante lo stato ON tende ad assumere valori troppo bassi il diodo Das entra in conduzione e impedisce alla tensione che pilota la base di crescere ulteriormente e quindi di sovrasaturare il transistore stesso. Ovviamente tale fenomeno di blocco si manifesta tanto prima quanto maggiore è il numero di diodi in serie alla base. Pertanto maggiore il numero di diodi serie DD, minore il grado di saturazione del transistore nello stato ON. La presenza del diodo DS serve ad eliminare l’effetto del circuito di antisaturazione durante la fase di spegnimento del transistor.

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DISPENSE DI ELETTRONICA INDUSTRIALE

(anno accademico 2002 - 2003)

Trasduttori e dispositivi di misura

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1.-Introduzione. La natura delle grandezze da misurare nelle applicazioni pratiche é in genere estremamente varia ed a tale scopo é stata creata una grande varietà di trasduttori e amplificatori dedicati. Qui, senza pretendere di esaurire il vasto campo di fenomeni fisici considerati vengono descritti solo alcuni dispositivi di uso più comune. 2.-Fenomeni fisici utilizzati nei trasduttori. Esiste una grande varietà di fenomeni fisici che possono essere utilmente impiegati per la misura di grandezze meccaniche, termiche ecc. Qui ci si limita ad una panoramica estremamente succinta dei più noti e delle loro applicazioni. 3.-Piezoelettricità, Piroelettricità e Ferroelettricità. Quando due o più atomi diversi si uniscono in una molecola scambiandosi elettroni all’interno di un cristallo, la nube di elettroni che li circonda spesso non ha il baricentro coincidente con quello dei corrispondenti nuclei positivi per cui si forma un dipolo di carica come indicato schematicamente in Fig. 1.

Fig. 1: Formazione di un dipolo in una molecola con due atomi diversi. Tale dipolo interagisce coi dipoli vicini e contribuisce a dare una forma particolare alla cella elementare del cristallo. Dal punto di vista dell’utilizzazione pratica di questo fenomeno fisico si possono dare allora essenzialmente tre casi: a) Piezoelettricità: la forma della cella elementare si assesta in modo da essere

caratterizzata a riposo da dipolo risultante nullo. Tuttavia se si sottopone il cristallo che è anisotropo a uno sforzo meccanico, la geometria della cella viene cambiata non solo nelle sue dimensioni ma soprattutto nella sua forma. L’equilibrio dei dipoli viene così alterato con la conseguente comparsa di una tensione risultante proporzionale, entro certi limiti, alla deformazione.

b) Piroelettricità: la cella elementare assume una forma tale per cui i singoli dipoli danno luogo ad una risultante permanente non nulla. Poiché l’entità di questa risultante dipende dalla distanza di separazione dei singoli atomi, una variazione di temperatura alterando le distanze produce una variazione di tensione ai capi del cristallo.

c) Ferroelettricità: a differenza del caso precedente in cui la struttura cristallina è

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rigida, esistono dei materiali in cui i bipoli o gruppi di bipoli (domìni), sono parzialmente liberi di ruotare. La mutua interazione tende perciò ad allinearli lungo una orientazione comune. L’applicazione di un campo elettrico favorisce tale processo di passaggio da uno stato iniziale di disordine ad uno di maggior allineamento con conseguenti fenomeni di incremento di campo elettrico, saturazione ed isteresi analoghi a quelli ben noti dei materiali ferromagnetici (d’onde il nome). La ferroelettricità è comunque un fenomeno abbastanza raro e sono pochi i composti che la presentano e in limitati intervalli di temperatura: oltre al ben noto sale di Rochelle vi è il il Titanato di Bario (BaTiO3) e pochi altri.

Va infine aggiunto che la piroelettricità e la ferroelettricità hanno uno o più valori critici di temperatura, detti punto di Curie, attraversando i quali le suddette proprietà appaiono o scompaiono. 4- Termogiunzione, Fotogiunzione e Piezogiunzione. La caratteristica tensione corrente di una giunzione p-n a semiconduttore è data dalla nota relazione:

LightkTqV

SAT IeII −−= )1(

in cui ILight è una corrente costante indotta nella giunzione da una radiazione esterna che incidendo sugli elettroni in banda di valenza li fa passare in banda di conduzione. Il segno di ILight è negativo perché il campo elettrico all’interno della zona di svuotamento, che mette in moto gli elettroni appena liberati, ha segno opposto a quello applicato esternamente. Si ha inoltre la seguente relazione di proporzionalità:

kTE

SAT

g

ekTI−

≡ 3)(

dove T è la temperatura assoluta ed Eg è il salto di energia tra banda di valenza e di conduzione. Come si vede il termine ISAT, che ha il significato più ampio di termine moltiplicativo della corrente totale della giunzione, varia sia al variare della temperatura che della eventuale deformazione del cristallo. Il salto di energia Eg è infatti fortemente dipendente dalle dimensioni della cella elementare del cristallo del semiconduttore utilizzato. Per esempio se si sottopone il cristallo di Silicio ad una sollecitazione di pressione nella direzione cristallografica <100> si ha un decremento di Eg pari a 105 eV/Bar. Se perciò si indica con ISAT0(T) il valore della corrente di saturazione in assenza di sforzo, l’equazione della giunzione si può scrivere nella forma completa:

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4

lightkTqV

kTP

SAT IeeTII −−= )1()(0

α

dove appaiono le tre grandezze fisiche fondamentali, temperatura T, pressione P e radiazione (α è un coefficiente numerico di proporzionalità). In particolare in assenza di radiazione luminosa si ha la situazione di Fig. 2 che corrisponde al cosidetto termo e/o piezodiodo.

Fig. 2 : Caratteristica di un termodiodo e/o piezodiodo. In Fig. 3 viene riportata invece la caratteristica del fotodiodo che come si vede si differenzia nettamente dalla precedente.

Fig. 3 : Caratteristica di un fotodiodo e sua connessione fotoconduttrice (diodo 1) o fotovoltaica (diodo 2). La caratteristica del fotodiodo ha la peculiarità che, in presenza di radiazione luminosa incidente, essa non attraversa l’origine degli assi. Infatti la luce, a differenza della pressione e della temperatura che sono solo degli stati in cui si trova un sistema fisico, è una fonte di energia ed è perciò in grado di far circolare corrente anche in assenza di tensione applicata. 5.- Microstrutture su Silicio. Il cristallo di silicio è una struttura anisotropa molto complessa in cui si possono mettere in evidenza piani aventi densità atomica diversa. È quindi possibile,

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usando agenti chimici opportuni (soluzioni acquose di idrato di potassio, ecc.), effettuare una demolizione (etching) preferenziale che rispetti i piani ad alta densità e distrugga gli altri. In questo modo si ottengono microstrutture che sono particolarmente utili nella realizzazione di trasduttori e dispositivi di varia natura. Per esempio in Fig. 4 viene mostrato come sia possibile realizzare ponti, membrane, cavità, ugelli ed anche scavi a pareti verticali. Una delle procedure più delicate dei processi descritti consiste nel calibrare con precisione lo spessore delle membrane sottili o delle leve (vedi Fig. 4).

Fig. 4: Strutture ricavate in wafer di silicio con diversa orientazione A tale scopo si usa spesso inserire per diffusione nel semiconduttore strati di sbarramento di Boro che ne bloccano la demolizione chimica. Il Boro ha però il difetto di drogare troppo intensamente di tipo p il semiconduttore, impedendo così il suo uso quale materiale di supporto per la realizzazione di circuiti monolitici ausiliari da associare al trasduttore stesso.

Fig. 5: Stop elettrochimico. Un procedimento alternativo che non soffre di questa limitazione è quello denominato stop elettrochimico a giunzione p-n, illustrato in Fig. 5. Lo stop elettrochimico si basa sull'uso di una soluzione alcalina demolitrice caratterizzata da una transizione attivo/passivo molto ripida, in corrispondenza di circa 0.5 volt (per il Silicio). Questo significa che se il blocco di Silicio immerso nella soluzione si

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trova a potenziale anche di poco superiore a 0.5 volt rispetto ad essa non viene demolito. Se allora si immerge nella soluzione demolitrice una giunzione polarizzata inversamente con una tensione esterna di poco superiore a 0.5, la zona n rimane protetta mentre la zona p viene dissolta in breve tempo. La velocità di demolizione della zona p non protetta (cioè quella a potenziale inferiore a 0.5 volt) risulta essere circa 200 volte maggiore di quella nella zona n protetta, garantendo errori trascurabili nello spessore ottenuto. 6.- Primo esempio di applicazione di microstrutture su Silicio: realizzazione di un accelerometro assiale. Un tipico esempio di impiego delle tecniche di realizzazione di microstrutture su Silicio è l'accelerometro assiale mostrato in Fig. 6. Come si vede una massa centrale è sospesa a quattro barrette sottili laterali in cui vengono diffusi delle piezogiunzioni. Lo spessore tipico delle barre di sospensione è 10 micron mentre il lato della massa sospesa è dell'ordine di 2000 micron e il suo peso di 4 milligrammi.

Fig. 6: Vista tridimensionale della struttura meccanica di un accelerometro

interamente realizzato su Silicio. Il supporto esterno viene collegato rigidamente all’oggetto di cui si vuole misurare l’accelerazione istantanea mentre la massa centrale è libera di oscillare. Detta allora y la posizione verticale del supporto e ym quella della massa sospesa, quest’ultima è soggetta ad una forza di richiamo pari a k(ym – y), dove k è un coefficiente dipendente dalla rigidità della barrette di sospensione, che equilibra la sua inerzia e cioè:

mm ymyyk &&=− )(

Supponendo allora che k sia molto grande (barrette di sospensione molto rigide) si deve supporre che sia (ym – y) ≅ 0 ossia ym ≅ y. Ammettendo che tale relazione approssimata valga anche per le derivate prima e seconda si ha:

)( yymkyy mm −=≅ &&&&

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In altre parole per misurare la accelerazione istantanea basta misurare l’entità dello spostamento (ym – y) ovvero la deformazione delle barrette di sostegno. A tale scopo si piazza una piezogiunzione su ciascuna barretta come indicato schematicamente in Fig. 7. Va notato che le piezogiunzioni sono poste in due posizioni diverse allo lo scopo di favorire i segnali derivanti da un moto della massa sospesa in direzione assiale (cioè lungo l'asse z) eliminando invece gli effetti dovuti ad altri possibili movimenti.

Fig. 7: Schema di principio dell'accelerometro con indicate le piezogiunzioni. Ciascun piezodiodo è in realtà la giunzione base-emettitore di un transistor che viene inserito in un circuito elettronico come quello di Fig. 8. L’amplificatore operazionale impone una corrente di collettore e quindi di giunzione base-emettitore costante. Va notato che allo scopo di garantire la stabilità del circuito occorre collegare il collettore del transistor al morsetto non-invertitore dato che il transistore funge da invertitore di tensione.

Fig. 8: Circuito a corrente di collettore costante con tensione di giunzione all'uscita

dell'amplificatore Se si suppone che la tensione base emettitore sia sufficientemente elevata si può assumere:

kTqV

kTP

SATC

BE

eeIIα

0≈

da cui, essendo Ic costante segue αP+qVBE=c0. Misurando allora la tensione base-emettitore e conoscendo le costanti α e c0 si

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può risalire al valore di P. In pratica il termine costante c0 scompare dato che la struttura di Fig. 7 effettua la differenza tra due piezogiunzioni eguali ma sollecitate in modo opposto. 7.- Secondo esempio di applicazione di microstrutture su Silicio: realizzazione di trasduttori di pressione.Le membrane visibili in Fig. 4 si possono utilizzare per la misura di pressioni di valore non troppo elevato (normalmente fino a 50 Bars1). In pratica si sfrutta la variazione dimensionale (lunghezza o sezione) di resistori diffusi in prossimità dei bordi di una membrana sottile, in cui la deformazione per effetto della pressione é più intensa, come mostrato in Fig. 9. La disposizione dei corpi resistivi è inoltre tale da dare luogo ad un aumento di resistenza in due di essi e ad una diminuzione negli altri due.

Fig. 9: Struttura di un trasduttore di pressione a membrana di Silicio. Le quattro resistenze vengono quindi inserite in un ponte di misura, mostrato in Fig 10.

Fig. 10: Circuito di misura. L'alimentazione del ponte a corrente costante ha lo scopo di minimizzare l'effetto della temperatura sulla funzione di trasferimento del circuito di misura. Si ha

1 Il bar è una unità di misura che corrisponde a circa una atmosfera fisica o più precisamente 1

Atm = 1013 Bar.

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infatti (vedi Fig. 10):

RREVout ∆=

in cui il valore della resistenza R, realizzata nel semiconduttore, è fortemente dipendente dalla temperatura. Il guadagno E/(2R) del ponte di misura si può però rendere insensibile alle variazioni di temperatura stabilizzando il valore della corrente di alimentazione, che coincide appunto con E/R. 8.-Esempio di applicazione dell’effetto piezoelettico: trasduttori a quarzo,

amplificatori di carica. Nel caso in cui si debba effettuare la misura di pressioni avente valori elevati (ad esempio quelle che si verificano all'interno dei cilindri di un motore a scoppio) si impiegano dei trasduttori a quarzo che consentono la misura di pressione fino a oltre 7500 Bars. La misura di pressioni mediante trasduttori a quarzo (cristallo di SiO2) si basa sul ben noto effetto piezoelettrico. Naturalmente, a seconda di come viene tagliato, da un cristallo di quarzo si possono ottenere dei dischi sensibili alla pressione o anche allo sforzo di taglio.

Fig. 11: Cristallo di quarzo e relativi dischi trasduttori. Sottoponendo uno dei dischi di Fig. 11 ad una sollecitazione meccanica (pressione o taglio) si ottiene una carica di dipolo in superficie la cui entità é linearmente dipendente dalla intensità della pressione applicata: kPQ =

Una volta nota la carica Q si può quindi risalire direttamente alla pressione P. Il problema della misura di Q non é però facile. Tenendo presente che il quarzo stesso ha una capacità propria C si potrebbe pensare di effettuare la misura della tensione ai suoi capi V=Q/C e poi risalire al valore di Q. Tale procedimento non é però possibile perché la capacità del quarzo varia a sua volta per effetto della

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deformazione e quindi non è nota. Si preferisce quindi effettuare il trasferimento virtuale2 su di una capacità nota e con caratteristiche stabili della carica generata, misurando poi la tensione ai capi di quest’ultima. Ciò si ottiene a mezzo del così detto amplificatore di carica, il cui circuito é riportato in Fig. 12. La carica Q netta presente in un dato istante ai capi del quarzo é la differenza tra quella di origine dipolare kP e quella Q0 proveniente dal condensatore di reazione C0 che in tal modo si è caricato alla tensione Vout=Q0/C0. Poiché i morsetti di ingresso dell’operazionale costituiscono un corto circuito virtuale la carica complessiva sul quarzo deve essere nulla da cui segue: outVCkP 0=

Misurando quindi Vout e conoscendo k e C0 si risale all’entita P della pressione applicata.

Fig. 12: Amplificatore di carica. Occorre notare che l'amplificatore di carica ora descritto, benché semplice in linea di principio, é molto delicato e costoso. Basti notare che per avere dei buoni risultati nella misura, l'impedenza di ingresso dell'amplificatore operazionale (realizzato con transistori MOS) deve essere dell'ordine di almeno 1014 ohm. La carica di dipolo indotta dalla deformazione sul quarzo è infatti generalmente piccola (poche decine di pico Coulomb) per cui una perdita di carica anche minima attraverso i morsetti dell’amplificatore falserebbe in modo intollerabile la misura. 9.-Misure di dilatazione. In taluni manufatti é importante effettuare una misura delle deformazioni subite in certi punti durante le prove di collaudo o anche durante il normale funzionamento. Esempi tipici sono le travature di ponti metallici, i serbatoi in

2 Infatti un trasferimento reale non sarebbe possibile perché la carica di bipolo non è libera di

muoversi.

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pressione, le pale delle turbine idrauliche, le bielle dei motori a scoppio, le ali degli aerei e in generale tutti quei dispositivi meccanici che a lungo andare possono incorrere in una rottura causata dalla eccessiva dilatazione o compressione subite.

Fig 13: Esempi di estensimetri. La misura di tali variazioni si fa in genere a mezzo di trasduttori estensimetrici (strain gauge) costituiti da una resistenza metallica depositata su di un supporto elastico di resina epossidica. Due esempi di forme utilizzate sono riportate in Fig. 13 e hanno lo scopo di misurare l'entità di allungamenti, compressioni e torsioni. Il trasduttore viene incollato sul punto da controllare ed inserito in un ponte di misura alimentato con tensione alternata di frequenza opportuna. Va notato che per minimizzare l'effetto di variazione dovuto alla temperatura gli estensimetri vanno sempre montati in coppia (estensimetro di misura + estensimetro di bilanciamento) in modo che essi si trovino l'uno in prossimità dell'altro e quindi alla stessa temperatura. Naturalmente l'estensimetro di bilanciamento deve essere montato in un punto non sottoposto a sollecitazione meccanica. 10.-Misure di temperatura. I trasduttori di temperatura più comunemente usati sono le resistenze di platino, le termocoppie e i termistori. Tuttavia sia le termocoppie che presentano livelli di tensione piuttosto bassi e necessitano di procedimenti di compensazione dispendiosi, sia i termistori che sono non lineari, presentano difficoltà nelle applicazioni pratiche. Si sono perciò affermate tecniche di misura di temperatura basate sul termodiodo e precisamente sulla giunzione base emettitore di una coppia di transistori bipolari che lavorano a densità di corrente diverse. Si considerino infatti due transistori Q1 e Q2 supposti alla medesima temperatura e con l’emettitore posto in comune. Indicando con IE1 e IE2 le rispettive correnti di collettore e facendo l’ipotesi che valga la relazione approssimata:

kTqV

SATE

B

eII ≅

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valida per elevate correnti, si ha:

)ln(12

2121

SATE

SATEBB II

IIq

kTVV ≅−

Se allora si riesce, mediante un artificio qualsiasi, a mantenere costante il termine entro logaritmo, la differenza di tensione misurata tra le due basi si può utilizzare direttamente per la misura della temperatura assoluta dell’ambiente in cui è posta la coppia di transistori. Normalmente si preferisce utilizzare due transistori con caratteristiche (densità di corrente di fuga JSAT e guadagni α) identiche, ma con un’area di emettitore diversa e controllare le rispettive correnti di collettore in modo che siano eguali. In tal caso detto ρ il rapporto tra le aree di emettitore si ha (si noti che l’introduzione del rapporto ρ ha avuto per conseguenza la sostituzione delle correnti di saturazione con le rispettive densità di corrente):

)ln(11

2221 ρ

αα

SAT

SATBB J

Jq

kTVV ≅−

che diventa

)ln(21 ρq

kTVV BB ≅−

se si assume, come già detto in precedenza, JSAT1 = JSAT2 e α1 = α2. Il circuito utilizzato a tale scopo è riportato in Fig. 14.

Fig. 14: Circuito per la misura della temperatura assoluta. L’amplificatore operazionale crea un corto circuito virtuale sui morsetti di ingresso imponendo così l’eguaglianza delle correnti di collettore. La tensione di uscita è misurata ai capi della serie di resistenze 26R, R e 23R e risulta quindi essere 50 volte la differenza di potenziale tra le basi. Se si usa un rapporto ρ = 10, come nel

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caso della Fig. 14, si ottiene una sensibilità di circa 0.2mV per grado Kelvin. Ovviamente è possibile introdurre delle modifiche circuitali in modo che la tensione in uscita sia proporzionale alla scala Celsius (0°C=273°K) o alla scala Fahrenheit. 11.-Trasduttori piroelettrici. L’effetto piroelettrico (vedi Par. 3) pur non avendo quelle caratteristiche di linearità che ne permettono l’impiego nella misura della temperatura, possiede tuttavia il vantaggio di fornire valori di tensione molto più elevati degli altri trasduttori (termocoppie, termodiodi) e di essere largamente insensibile al tipo di radiazione che provoca l’aumento di temperatura. Essi possono pertanto essere utilizzati come rivelatori di una vasta gamma di sorgenti di radiazione che vanno dal lontano infrarosso, ai raggi X. Il materiale più usato è il cristallo di Tantalato di Litio, che ha un punto di Curie a 610 °C. La radiazione incidente sia essa infrarossa o a raggi X viene convertita in calore. Il trasduttore piroelettrico è perciò non selettivo per natura e se tale qualità gli permette di essere utilizzato in un vasto campo di applicazioni è spesso necessario utilizzare dei filtri appositi onde restringere il campo di lunghezze d’onda rivelate.

Fig. 15: circuito equivalente di un trasduttore piroelettrico. Il circuito equivalente elettrico del trasduttore piroelettrico è quello mostrato in Fig. 15. Il generatore di corrente dT/dt che appare in Fig. 15 è proporzionale alla entità della variazione di temperatura nell’unità di tempo. Il livello del segnale è molto elevato per cui è possibile collegare direttamente il trasduttore a un carico, oppure utilizzare un amplificatore operazionale, come indicato in Fig. 16.

Fig. 16: Connessioni del trasduttore piroelettrico. Va notato che il collegamento diretto al carico deforma una veloce variazione di

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temperatura, introducendo dei fronti di salita e di discesa in un segnale ∆I di tipo impulsivo. Al contrario la connessione diretta all’ingresso dell’amplificatore operazionale, cortocircuitando il condensatore, ne annulla gli effetti ritardanti. Tuttavia quest’ultima soluzione ha per conseguenza una intensa amplificazione degli eventuali rumori presenti, con notevole peggioramento del rapporto segnale disturbo. Una applicazione tipica del trasduttore piroelettrico è il rivelatore di passaggio: due trasduttori identici vengono posti uno accanto all’altro in posizione leggermente angolata come indicato in Fig. 17.

Fig. 17: Rivelatore di passaggio di corpo caldo. Quando un corpo caldo (ad esempio il volto di una persona) passa davanti alla coppia di trasduttori, induce sul primo sensore un impulso di tensione V1 seguito subito dopo da un altro impulso V2 identico ma leggermente sfalsato nel tempo, nell’altro trasduttore. Ponendo in serie i due trasduttori si ottiene una forma d’onda (vedi Fig. 17) che segnala il passaggio e la direzione in cui esso avviene. 12.-Amplificatori per strumentazione. Un amplificatore per strumentazione deve avere alcune proprietà peculiari che lo distinguono da un semplice amplificatore operazionale. A parte i requisiti di precisione e di stabilità termica, esso anzitutto deve poter effettuare la differenza tra due tensioni senza assorbire corrente da entrambi i morsetti di ingresso. Deve inoltre poter aggiustare il suo guadagno con l’inserzione di una unica resistenza esterna e infine deve avere la possibilità di eliminare l’effetto di disturbi indotti sul trasduttore cui si collega. La struttura tipica di un amplificatore per strumentazione è riportata in Fig 18.

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Fig. 18: Schema di amplificatore per strumentazione. Come si vede non vi è assorbimento di corrente nei due morsetti di ingresso e il

guadagno di tensione è dato dalla relazione 1

2

0)21(

RR

RR

VVV

BA

out +−=−

.

Vi è inoltre disponibile la tensione di modo comune 2

BACOM

VVV += che, come

verrà mostrato nel seguito, viene impiegata per minimizzare l’effetto dei disturbi soprattutto quando si usano cavi di collegamento di notevole lunghezza e trasduttori a basso livello di tensione. 13.-Pilotaggio della calza schermante. Dato che nella maggior parte dei casi i segnali da amplificare sono di livello basso e il trasduttore si trova a distanza non trascurabile dall’amplificatore, per proteggerli dai disturbi é necessario ricorrere ad un cavo schermato. Lo schermo usato (calza di rame flessibile) è in grado di proteggere il segnale utile unicamente dai disturbi a radiofrequenza. I disturbi di bassa frequenza (soprattutto quelli a frequenza di rete) transitano invece attraverso di esso senza attenuazione apprezzabile e se le resistenze e capacità parassite dei due cavi interni non sono perfettamente uguali inducono tensioni di notevole entità che giungono con una differenza di fase non trascurabile ai morsetti di ingresso dell’amplificatore. L'effetto, molto dannoso, può essere evitato con l'impiego della tecnica che va sotto il nome di "pilotaggio della guaina del cavo (shield driving)". Si tratta di un artificio, descritto schematicamente in Fig. 19 e che consiste nell'applicare direttamente alla guaina del cavo la tensione ausiliaria VCOM vista in precedenza. In questo modo, essendo

le capacità parassite ad esempio del cavo A vengono alimentate con una

tensione pari a

BA VV ≈

0)2

( ≈+

− BAA

VVV e pertanto la loro influenza é quasi del tutto

annullata. Analogo discorso per il cavo B. In altre parole questa tecnica non

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elimina i disturbi, ma impedisce al cavo di sfasarli.

Fig. 19: Pilotaggio della guaina. 14.-Pilotaggio del corpo del trasduttore. Una tecnica alternativa del pilotaggio della calza è il pilotaggio del corpo del trasduttore (bootstrapping). Questa metodo è impiegata quando non è possibile collegare il trasduttore con un cavo schermato e l’unica possibilità per minimizzare l’effetto dei disturbi è la loro eliminazione per quanto possibile. In questo caso la tensione VCOM =(VA +VB )/2 viene amplificata il più possibile e riapplicata con segno invertito al corpo del trasduttore, supposto sede dei disturbi. Si tratta in pratica di controreazionare il disturbo in modo da minimizzarne l’entità. È una tecnica usata ad esempio in campo medico nel rilievo dell’elettrocardiogramma, come mostrato in Fig. 20

Fig. 20: Pilotaggio del corpo. 15.-Autoazzeramento. Un'altra prestazione essenziale di un amplificatore di misura consiste nella possibilità di correzione automatica della deriva termica della condizione di zero. Quando infatti il segnale é assente occorre che la tensione in uscita sia rigorosamente nulla anche se in pratica ciò non si verifica mai a causa delle inevitabili derive termiche dei componenti. Normalmente l’azzeramento si può

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effettuare manualmente aggiustando il valore di una delle due tensioni di alimentazione fino a che la tensione in uscita, in assenza di segnale, é nulla. Tale procedura può essere automatizzata impiegando il circuito di Fig. 21.

Fig. 21: Circuito di autoazzeramento. Come si vede un circuito integratore di segnale provvede alla tensione di alimentazione positiva dell'amplificatore. Applicando ad istanti prestabiliti e che non interferiscano con il procedimento di misura, il segnale di uscita con tensione di ingresso nulla all'integratore si effettua una correzione della tensione di alimentazione che permette di annullare la deriva termica della condizione di zero. 16.-Amplificatori di isolamento. Un problema che spesso si incontra nel campo delle misure industriali é quello di amplificare un segnale fornito da un trasduttore avente un riferimento di tensione diverso da quello dei circuiti di acquisizione e di elaborazione. Tale situazione é pressoché generalizzata nel campo medico in cui é essenziale proteggere il paziente da eventuali pericolosi malfunzionamenti dei circuiti di monitoraggio e registrazione. Un altro esempio é quello della misura della corrente che attraversa un carico con entrambi i morsetti fuori massa. In questi casi si fa uso di un amplificatore di isolamento che permette di ottenere una tensione proporzionale al segnale utile pur senza un collegamento diretto tra il circuito di acquisizione e il sensore. Un esempio tipico di amplificatore di isolamento è il cosidetto amplificatore ad accoppiamento ottico il cui schema è riportato in Fig. 22. Per uno studio dettagliato del circuito si può fare l'ipotesi che esista il seguente legame analitico approssimato tra corrente di foto-diodo e la corrente di collettore del foto-transistor: n

Dc kII = 2≅n

Tenendo allora conto che l’ingresso dell’amplificatore operazionale posto a

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destra si comporta come un corto circuito virtuale, si ha da cui

segue: 2211 cccc IRIR =

21 )()( 22

2211

11nout

cnin

c IR

VkRI

RV

kR +=+

Allo scopo di garantire che per tensione di ingresso nulla si abbia tensione di uscita nulla, occorre scegliere le resistenze poste sui collettori dei transistor in modo da soddisfare alla condizione 21 )()( 222111

nc

nc IkRIkR =

In pratica ciò si ottiene automaticamente in sede di realizzazione del circuito monolitico, aggiustando i valori delle due resistenze a mezzo di un fascio laser che ne assottigli il profilo (laser trimming). Una volta sodisfatta la condizione di zero, la tensione di uscita dell'amplificatore assume la espressione:

])1(1[ 2

1

1122

nn

inout IR

VIRV ++=

Poiché il valore del rapporto n1/n2 può discostarsi anche in modo sensibile da 1, il guadagno risulta lineare solo per piccoli segnali. In questa ultima ipotesi si ottiene infatti:

inout VIRIR

nnV

11

22

2

1=

Fig. 22: Amplificatore ad accoppiamento ottico (notare le masse differenti). Per quel che riguarda infine il comportamento dinamico, si può dire che esso é più che soddisfacente nella maggioranza dei casi; in pratica si raggiunge un prodotto guadagno per larghezza di banda dell'ordine di 10 MHz.

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17.-Zero Crossing detector. Un circuito che si usa spesso in pratica è il rivelatore di passaggio per lo zero di forme d’onda. Il dispositivo impiega un comparatore che commuta quando la tensione attraversa lo zero all’istante t1 ed un altro comparatore che, tramite un flip-flop che commuta sul fronte di discesa del clock, inibisce il primo durante la fase iniziale in cui la tensione in ingresso non ha ancora assunto valori significativi. Lo schema e le forme d’onda sono riportate in Fig. 23.

Fig. 23: Schema e forme d’onda nel circuito rivelatore di zero crossing. La tensione V1 in uscita al primo comparatore si annulla segnalando l’attraversamento dello zero e contemporaneamente resettando il Flip-Flop ed inibendo il primo comparatore. In questo modo la tensione V1 presenta un impulso strettissimo il cui fronte di discesa coincide con l’istante t1

18.-Trasduttori di posizione. Quando si vuol spostare un dispositivo qualsiasi, per esempio il braccio mobile di un robot o la piattaforma mobile di una macchina utensile si deve porre un trasduttore rotativo o lineare, direttamente su di esso. Esiste quindi una grande varietà di dispositivi caratterizzati da precisione e campo di impiego i più svariati. Vi sono trasduttori rotativi e lineari analogici che codificano lo spostamento sotto forma di una grandezza (tensione, fase ecc.) variabile con continuità, così come esistono trasduttori che codificano in forma binaria lo spostamento in modo da renderlo direttamente utilizzabile dai dispositivi di calcolo digitale che normalmente si usano nelle applicazioni. 19.-Il trasduttore lineare a trasformatore differenziale (LDVT) Uno dei dispositivi più diffusi, anche in virtù della sua semplicità ed economicità, è il cosidetto trasduttore lineare a trasformatore differenziale (LDVT) la cui

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struttura realizzativa e lo schema equivalente sono riportati in Fig. 24.

Fig. 24: Struttura di un LDVT. Come si vede, esso è costituito da un nucleo mobile che accoppia magneticamente due secondari eguali ad un unico primario. Quando il nucleo si trova in posizione centrale le tensioni indotte sono eguali e quindi la loro differenza è zero. Quando invece il nucleo si sposta verso uno dei due secondari ne innalza la tensione a scapito dell’altro secondario per cui la somma algebrica delle tensioni cresce con lo spostamento.

Fig.25: Tensioni raddrizzate proporzionali allo spostamento. Normalmente si alimenta il primario a frequenza dell’ordine del kHz e si raddrizza la tensione differenza o con un normale demodulatore ad inviluppo o con un raddrizzatore sincrono, ottenendo così le tensioni in uscita mostrate in Fig. 25. A differenza del demodulatore ad inviluppo, che da solamente il modulo della tensione sinusoidale in uscita, il raddrizzatore sincrono è un moltiplicatore che effettua il prodotto tra la tensione di ingresso di ampiezza costante V0 e quella di uscita di ampiezza xV1 proporzionale allo spostamento:

tVVxVVttVxV ωωω 2cos21

21coscos 010101 +=

In tal modo si ottiene un termine proporzionale all’ampiezza con segno (curva

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tratteggiata) dello spostamento x (il termine di frequenza doppia verrà eliminato a mezzo di un filtro passa basso). Come si vede il dispositivo in questione ha un campo di utilizzo abbastanza limitato dato che per forti spostamenti la sua caratteristica si incurva allontanandosi dalla linearità. 20.-Syncro-resolver. Il syncro-resolver è un trasduttore rotativo analogico realizzato a mezzo di un rotore e uno statore su i quali sono disposti due avvolgimenti a 90 gradi, come è indicato in Fig. 26.

Fig. 26: Struttura di un syncro-resolver. L'apparecchiatura di Fig. 26 si presta a generare un segnale sinusoidale modulato sia in fase, sia in ampiezza a seconda delle esigenze. a) generatore di segnale modulato in fase. Si supponga di alimentare gli avvolgimenti di rotore con due tensioni di ampiezza eguale ma sfasate di 90 gradi: Vaà = V0 senωt Vbb' = V0 cosωt I campi magnetici che ne conseguono inducono sugli avvolgimenti delle f.e.m. la cui ampiezza è funzione del valore attuale dell'angolo di rotazione. Supposto in particolare un rapporto spire unitario tra avvolgimenti di statore e di rotore si ha: VAÀ = V0 cosθ senωt - V0 sinθ cosωt VBB' = V0 sinθ sinωt + V0 cosθ cosωt Tenendo presente le note formule trigonometriche per il calcolo del seno e coseno della somma di due angoli si ottiene: VAÀ = V0 sen(ωt-θ) VBB' = V0 cos(ωt-θ) cioè due segnali sinusoidali la cui fase coincide con l’angolo di rotazione θ del rotore rispetto allo statore.

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b) generatore di segnale modulato in ampiezza. Si supponga ora di alimentare gli avvolgimenti di rotore con due tensioni sinusoidali Vaà = V1 sinωt e Vbb' = V2 sinωt in fase tra di loro ma con ampiezze diverse. In questo caso si ha: VAÀ = V1 cosθ senωt – V2 sinθ sinωt VBB' = V2 sinθ sinωt + V1 cosθ sinωt Se a questo punto si suppone che sia V1 = V0 sinθ0 e V2 = V0 cosθ0 si ottiene: VAÀ = V0 sen(θ0-θ) sen(ωt) VBB' = V0 cos(θ0-θ) sen(ωt) cioè due segnali sinusoidali la cui ampiezza dipende dalla differenza tra un angolo θ0 prefissabile arbitrariamente e l'angolo di rotazione attuale θ. 21.-Inductosyn. L'inductosyn si può ritenere la versione lineare del syncro resover. Esso infatti è costituito da un conduttore disposto ad onda quadra inserito in un supporto isolante, che funge da regolo fisso, come è indicato in Fig. 27, sopra il quale scorre un cursore con due conduttori separati disposti a loro volta ad onda quadra e sfalsati tra di loro di n-1/4 periodi.

Fig. 27: Struttura dell'Inductosyn. Quando il cursore è sovrapposto al regolo in modo che i piani dei rispettivi conduttori siano paralleli e molto ravvicinati (di solito distano 0.25 mm.) e si fanno circolare due correnti sinusoidali I1 e I2 negli avvolgimenti del cursore, esse inducono nel circuito del regolo delle tensioni la cui ampiezza è funzione del mutuo spostamento x. Si consideri infatti la Fig. 28 in cui è riportato per semplicità un tratto unico per ciascun conduttore aa’ e bb' del cursore insieme con la coppia sottostante di fili più vicini del regolo. Osservando tale figura e tenendo conto che le f.e.m. indotte su due fili contigui dell'avvolgimento AA’ si sommano algebricamente, si può

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concludere che quando la distanza x è eguale a 0 o a T/2 la tensione indotta dalla corrente I1 su AA’ è massima e viceversa è nulla per x=T/4. Essa è di ampiezza circa cosinusoidale al variare di x, mentre quella causata da I2 ha ampiezza sinusoidale a causa dello sfalsamento (n-1/4)T tra le due disposizioni ad onda quadra del cursore. In pratica, tenendo conto che per tutti gli altri tratti di conduttore di aa’ e bb' vale un ragionamento analogo, si può scrivere:

)]2()2cos([ 21' T

xsindtdI

Tx

dtdIkVAA

ππ−=

in cui k è una costante dipendente dalle dimensioni geometriche del dispositivo. Analogamente al caso del resolver si possono ottenere due tipi di segnali, uno modulato in fase e l'altro modulato in ampiezza.

Fig. 28: Particolare dell'avvolgimento. L'indicazione dell'inductosyn è priva di ambiguità in un intervallo limitato, come verrà chiarito in seguito parlando dei servoposizionatori che ne fanno uso; esso va perciò montato in coppia con un indicatore grossolano (di solito un syncro-resolver) che serve a posizionare l’organo mobile in prossimità dalla quota desiderata dopodichè l’inductosyn permette il raggiungimento di essa con la precisione dell'ordine del micron. Esistono inoltre speciali inductisyn detti a tre piste che sono autosufficienti essendo formati dalla unione di tre inductosy separati aventi periodi pari a T1 = 2 mm. (pista fine), T2 = 200 mm. (pista media) e T3 = 1200 mm. (pista grossolana) 22.-Codificatori digitali di posizione. Questi dispositivi sono dei veri e propri trasduttori digitali di posizione perché convertono direttamente lo spazio angolare (o quello lineare) in un numero rappresentato elettricamente in forma binaria. Il tipo più semplice di codificatore è quello che fa uso di elementi fotosensibili (fotodiodi o fototransistori) che ricevono

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luce attraverso fessure disposte opportunamente in un disco opaco come mostrato in Fig. 29. Il numero di fotodiodi (e di piste) corrispondenti dipende dal potere risolutivo desiderato. I codificatori digitali ora descritti presentano uno svantaggio che è legato sia alla loro struttura sia al codice utilizzato. Il rilevamento della posizione presenta delle ambiguità negli istanti in cui due o più tracce danno luogo ad una commutazione. Benché infatti le fessure siano realizzate con la massima cura allo scopo di ottenere un perfetto allineamento, le commutazioni inevitabilmente non avvengono nello stesso istante ma con piccoli ritardi l'una rispetto all’altra dando luogo all’apparizione di valori binari errati.

Fig. 29: Trasduttore digitale fotoelettrico. Ciò provoca una incertezza di lettura che può portare a gravi conseguenze e che deve quindi essere assolutamente eliminata. A tale scopo si utilizza il codice Gray nel quale si passa da un valore binario al successivo mediante la variazione di un solo bit alla volta. A titolo di esempio in Fig. 30 sono riportati gli oscillogrammi del codice Gray a tre cifre.

Fig. 30: Struttura di codice Gray. Il codice Gray è spesso detto riflesso perché, se si esclude la pista più significativa, gli oscillogrammi sono simmetrici rispetto ad un asse verticale. Come si vede il passaggio da una cifra decimale alla successiva non può essere mai ambiguo in quanto avviene con una sola variazione alla volta.

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Ovviamente le cifre binarie in codice gray debbono venire tradotte in codice binario normale prima di essere utilizzate da un dispositivo di controllo digitale. Ciò si ottiene con la formula ricorsiva:

1+⊕= iii bgb

dove gi è l’iesima cifra gray e bi è la corrispondente binaria pura. Le due cifre più significative coincidono e cioè si ha bn = gn. Il codice Gray presenta però alcuni svantaggi. Anzitutto esso deve essere tradotto in binario per renderlo comprensibile al dispositivo di controllo. Inoltre a causa del fatto che l’ultimo oscillogramma non rispetta la simmetria, due o più codificatori di tipo Gray non possono essere posti in cascata, come è invece possibile fare nel caso dei dispositivi che usano il codice binario naturale. 23.-Posizionamento digitale. Nel sistema sistema di posizionamento qui descritto usato largamente nel campo delle macchine utensili a controllo numerico, si sfrutta il segnale modulato in fase proveniente da un syncro resolver o inductosyn confrontandolo con un segnale di riferimento la cui fase dipende dalla quota che si vuole raggiungere. Lo schema a blocchi del dispositivo è quello di Fig. 31.

Fig. 31: Schema a blocchi di servoposizionatore digitale. I contatori A e B che compaiono in Fig. 31 sono di solito di tipo binario a n Flip-Flop dove n è il numero di cifre binarie che compongono il valore numerico della quota che si desidera raggiungere. Ciascun Flip Flop è presettabile a 0 o 1 in modo che il contatore può essere fatto partire con un ben determinato contenuto

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numerico (binario) iniziale. In tal modo, se ω0 rappresenta la frequenza del segnale di clock utilizzato, la tensione in uscita della catena di Flip-Flop si può rappresentare a mezzo dalla relazione (Q(t) stà ad indicare un'onda quadra):

]2

2[ 0nout

NtQV πω +=

essendo N un numero binario le cui cifre costituenti sono i valori a cui erano stati presettati i rispettivi Flip Flop. A questo punto il funzionamento del circuito di Fig. 31 risulta abbastanza

evidente: infatti il contatore A ad n Flip Flop viene presettato a 0 e l'uscita ]2

[ 0n

tQ ω

va al formatore che ricava i due segnali tsinV n20

0ω e tV n2

cos 00

ω necessari per

pilotare il resolver. All'uscita di quest'ultimo si ritrova il segnale ]2

[ 00 θω

+tsinV n in

cui θ è l'angolo di cui è ruotato il resolver rispetto ad un riferimento prestabilito.

L'uscita del resolver vienetrasformata nell'onda quadra ]2

[ 0 θω+tQ n e viene

confrontata con quella in uscita del contatore B che era stato presettato sul numere binario N legato alla quota da raggiungere. Il comparatore di fase fornisce infine in uscita una tensione proporzionale alla differenza (θ - 2πN/2n) la quale viene assunta come tensione di errore per guidare il motore che fa avanzare l'organo mobile. Ammesso che la quota finale da raggiungere corrisponda al valore θ0, il valore binario da impostare sul contatore presettabile è dato dalla relazione N0 = 2n θ0/(2π). Per quel che riguarda il comparatore di fase esso deve assolvere alla particolare funzione di confrontare le fasi di due onde quadre indicando anche se il segnale di riferimento anticipi o ritardi quello di comando in modo da poter stabilire il verso necessario di rotazione del motore. Ciò si ottiene ad esempio con un circuito come quello indicato in Fig. 32 che data la sua semplicità non necessita di ulteriori spiegazioni.

Fig. 32: Struttura del comparatore di fase.

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Per quel che riguarda il campo di funzionamento del dispositivo di posizionamento ora descritto esso è limitato ad una rotazione completa del syncro-resolver dato che non è possibile distinguere la generica fase θ dalla fase θ + k2π. Detto allora d0 l'escursione totale lineare dell'organo mobile espressa in metri, che corrisponde per quanto detto a θ0 = 2π cioè al numero N=2n presettato sul contatore, il minimo spostamento ottenibile risulta essere ∆d0 = d0/2n. Da tale relazione risulta che per raddoppiare la precisione relativa d0/∆d0 basta aumentare di una sola unità il numero dei contatori binari. Questa possibilità però è più apparente che reale dato che a partire da un certo valore di d0/∆d0 in poi né il resolver né il comparatore sono in grado di discriminare la variazione di fase minima corrispondente ∆θ0 = 2π(∆d0 /d0) A tale limitazione si ovvia utilizzando un secondo resolver (resolver fine) eguale al precedente ma opportunamente demoltiplicato rispetto al primo (resolver grossolano). 24.-Trasduttori incrementali. Si tratta di una classe particolare di dispositivi che codificano lo spostamento (angolare o lineare) sotto forma di una serie di impulsi di tensione. Ad ogni impulso corrisponde uno spostamento elementare ∆d0 del cursore rispetto al regolo fisso; normalmente il valore di ∆d0 si aggira intorno a valori dell’ordine del micron. Se perciò si conta il numero di impulsi a mezzo di un contatore digitale si ottiene un valore numerico che moltiplicato per ∆d0 fornisce direttamente lo spazio percorso dal cursore a partire dall'inizio del conteggio.

Fig. 33: Trasduttore incrementale rotativo .

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Naturalmente in questo modo l'indicazione ottenuta non è assoluta e la precisione dipende anche dall'affidabilità del contatore che deve essere reso il più possibile immune dai disturbi. La struttura di un trasduttore incrementale rotativo è riportata in Fig. 33. In Fig. 34 viene inoltre riportata in dettaglio la parte fissa e quella mobile insieme con le tensioni raccolte dai trasduttori elettronici impiegati (fotodiodi al Silicio). I segnali V1-V2 e V3-V4 sono di forma sinusoidale e vengono poi trasformati in onde quadre per il conteggio.

Fig. 34: Particolari del trasduttore e tensioni raccolte dai fotodiodi. Si noti come la presenza di due segnali sfasati di 90° permettano l’uso di contatori up-down in modo da incrementare o decrementare il conteggio a seconda che ci si sposti verso destra o verso sinistra.

25.-Tecniche di controllo strutturale dei materiali. Esistono varie tecniche che permettono di verificare se le caratteristiche strutturali di un pezzo lavorato soddisfano a certe specifiche. Quelle non distruttive permettono di ottenere delle informazioni sulle condizioni di un pezzo metallico senza esigerne il sacrificio e pertanto invece che ad un campione ristretto, come nel caso dei test distruttivi, possono essere applicate alla totalità dei pezzi prodotti. Naturalmente esiste un'ampia varietà di metodi tra le quali si ricordano quelli acustici (ultrasuoni) ed anche quelli termici in cui viene misurato il flusso di calore attraverso il pezzo da controllare. Tuttavia i più usati sono certamente quelli che fanno uso dell'energia elettromagnetica introdotta nel pezzo a varie frequenze dalle più basse (metodo magnetico) alle medie (correnti parassite) fino alle più alte (raggi X e gamma). 26.-Controllo strutturale mediante correnti parassite. Esso si usa nella manutenzione delle apparecchiature più svariate per verificare, dopo un certo periodo di esercizio, le condizioni di un manufatto e quindi la sua resistenza residua all'usura, alla fatica ecc. È possibile anche il controllo continuo di un pezzo durante tutte le fasi della sua lavorazione per verificare quale fase ne

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può eventualmente pregiudicarne l'integrità. Il materiale da controllare è portato vicino ad una bobina la quale produce un campo magnetico alternativo ad alta frequenza che penetra all'interno del materiale conduttore e induce delle correnti.

Fig. 35: Alterazioni delle correnti indotte a causa di imperfezioni. Come è mostrato in Fig. 35, la distribuzione di queste correnti è alterata da inomogeneità poste in superficie (cricche) o all'interno (inclusioni) del pezzo in esame; tali imperfezioni possono quindi essere rivelate da una apposita bobina posta in prossimità della zona in cui si generano le correnti parassite e che ne misura il flusso risultante. L'entità e la distribuzione delle correnti parassite in un materiale dipende essenzialmente dalla sua conducibilità σ, dalla sua permeabilità magnetica µ nonché dalla sua forma geometrica. In queste dispense si farà riferimento quasi esclusivamente al caso di un cilindro metallico di estensione illimitata, dato che esso, oltre ad avere notevoli applicazioni pratiche, si presta facilmente ad uno studio analitico. Si consideri allora il caso di un cilindro metallico di raggio r0 posto all'interno di una bobina percorsa da corrente sinusoidale a frequenza f (e pulsazione ω=2πf), come mostrato in Fig. 36.

Fig. 36: Dispositivo per la generazione di correnti parassite.

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Come si vede la bobina eccitatrice provoca un campo magnetico uniforme H0 cui si contrappone il campo H1 generato dalle correnti parassite indotte. Le equazioni che regolano l'andamento della corrente e dell'induzione all'interno di un conduttore sono la legge di Ohm e le equazioni di Maxwell. Applicando tali relazioni al caso del conduttore cilindrico (i particolari del calcolo sono omessi per semplicità), si ottiene la seguente espressione dell'induzione magnetica all'interno del conduttore:

)()()()(

00

00 krI

krIrBrB =

dove I0 è la funzione di Bessel modificata di prima specie e di ordine zero e k è un parametro (numero complesso) dipendente dalla conducibilità e permeabilità del materiale e dalla frequenza impiegata, avente l'espressione: ωσµik =

La distribuzione dell'ampiezza dell'induzione magnetica lungo il raggio r è mostrata graficamente in Fig. 37 per diversi valori della frequenza della corrente induttrice e del parametro caratteristico k. Il fenomeno descritto in figura, che è noto come effetto pelle, in quanto l'intensità della induzione magnetica B(r) che ne consegue, si riduce man mano che si penetra in profondità nel materiale.

Fig. 37: Andamento dell'induzione all'interno di un conduttore cilindrico

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Indicando allora con Φ il flusso complessivo che attraversa il conduttore (in senso assiale) si può scrivere: effrBr µπ )( 0

20=Φ

essendo:

∫=0

0 200 )(

)(2r

eff drrr

rBrBµ

un parametro adimensionale, detto anche permeabilità efficace. Quest'ultimo, che è una grandezza complessa, si può esprimere a mezzo della relazione:

)(

)(2000

01

krIkrkrI

eff =µ

dove I1 è la funzione di Bessel modificata di prima specie e di ordine 1. Come si vede l'espressione di µeff dipende attraverso il parametro k dalle caratteristiche fisiche del cilindro. È però possibile normalizzare tale espressione rendendola indipendente dal particolare tipo di conduttore preso in considerazione introducendo la frequenza f0, detta frequenza limite, in corrispondenza della quale il modulo del prodotto kr0 assume valore 1. Si ha

infattiµσπ 2

00 2

1r

f = da cui segue0

0 ffkr = essendo f la frequenza della corrente

della bobina induttrice. In Fig. 38 è riportato l'andamento nel piano complesso della permeabilità efficace di un materiale conduttore paramagnetico qualsiasi al variare del rapporto f/f0. Si supponga ora che intorno al cilindro metallico, oltre alla bobina di induzione, venga disposto un avvolgimento secondario di n2 spire e di raggio r1.

Fig. 38: Permeabilità efficace al variare della frequenza. La tensione indotta nell'avvolgimento secondario si può allora considerare

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composta da due parti: quella dovuta all'induzione magnetica entro il cilindro conduttore e quella dovuta all'induzione magnetica nella restante sezione libera. La f.e.m. totale è quindi data dalla relazione: )()()( 0

20

2120

202 rBrrnrBrnE eff −+= πωµπω

Introducendo il fattore di riempimento γ, definito come rapporto tra i quadrati del raggio r0 del campione e quello r1 della bobina secondaria l'espressione della tensione indotta sulla bobina secondaria si può riscrivere nella forma:

]1[0 γγµ −+= effEE

avendo posto )( 0

2020 rBrnE πω=

L’andamento del rapporto E/E0 per vari valori di γ è riportato in Fig. 39. In tale figura è riportata una famiglia di curve al variare del fattore di riempimento. Le curve a tratteggio corrispondono alla situazione fisica di un cilindro con raggio variabile interessato da correnti a frequenza fissa. In altre parole le curve tratteggiate corrispondono all'andamento della tensione indotta sul secondario nell'ipotesi di far variare il raggio r0 del pezzo cilindrico in esame da 0 a r1 (ossia il fattore di riempimento γ da 0 a 1).

Fig. 39: Tensione normalizzata indotta sull'avvolgimento secondario per diversi

valori del coefficiente di riempimento γ. Curva (a): materiale diamagnetico. Curva (b): materiale ferromagnetico.

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Osservando la precedente figura si nota un fatto piuttosto importante: supposto infatti di far scorrere la bobina secondaria lungo il cilindro in prova, una variazione delle sue dimensioni (cioè del raggio) o una variazione delle caratteristiche fisiche del materiale (conducibilità, permeabilità) provocano effetti distinguibili. Più precisamente effetti di variazione strutturale (diametro) e di caratteristiche fisiche (conducibilità) danno luogo a variazioni in diversa direzione nel piano complesso della tensione della bobina secondaria. Questo fatto può venire sfruttato per rivelare l'entità di variazioni di raggio separatamente da quelle di conducibilità (o di permeabilità). Scegliendo opportunamente il valore del rapporto f/f0 è possibile fare in modo che le curve tratteggiate (dovute a variazione strutturali) e quelle continue (dovute a variazione di parametri fisici) siano inclinate di 45° nel piano complesso di Fig. 40 in modo che i due effetti siano nettamente separati.

Fig. 40: Angolo tra curve a diametro variabile e a conducibilità variabile per il

grafico di Fig. 39 a). Come si può vedere osservando la Fig. 40 questo fatto si verifica soprattutto alle più alte frequenze. Tuttavia la scelta di una frequenza di test troppo elevata non è conveniente perché, a causa dell'effetto pelle, l'esame del materiale si limiterebbe alla sua superficie e quindi non sarebbe in grado di rivelarne i difetti in profondità. Per tale motivo si usa normalmente un campo di frequenze che va da 10 a 50 volte la frequenza limite. La Fig. 39 a) e b) mette anche in evidenza la notevole diversità del risultato ottenuto a seconda che i materiale in esame sia ferromagnetico o diamagnetico. Questa difficoltà può essere aggirata sovrapponendo al campo magnetico variabile un campo continuo molto intenso che, come mostrato in Fig. 41, satura il materiale e in pratica lo trasforma in un materiale paramagnetico per cui vale sempre la Fig. 39 a).

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Fig. 41: Dispositivo con magnete di saturazione. 27.-Impiego pratico del metodo. Allo scopo di misurare separatamente gli effetti dovuti a variazione nelle dimensioni (diametro) e nella conducibilità occorre fare uso di una disposizione circuitale, come ad esempio quella di Fig. 42, in cui la tensione misurata sia eguale alla differenza tra quella dovuta ad un cilindro di riferimento e quella nel cilindro sotto test. In questo modo si ottengono solo quelle variazione di tensione la cui fase permette di risalire alla natura esatta del difetto quale ad esempio porosità, cricche ecc.

Fig. 42: Circuito per il rilevamento delle variazioni. Per esempio in Fig. 43 è riportato schematicamente l'effetto dovuto ad una variazione di diametro (vettore 1 e 2), quello dovuto ad una variazione di conducibilità (vettore 3) ed infine quello dovuto ad una cricca superficiale che provoca un effetto intermedio e che quindi può essere pensata come un effetto composito dei due precedenti (vettore 4). Le variazioni in questione vengono inviate alle placche verticali di un oscillografo, come mostrato in Fig. 43, mentre a quelle orizzontali viene applicata una tensione in fase con quella che alimenta la bobina induttrice primaria.

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Fig. 43: Variazioni di tensione indotta per cause diverse e dispositivo di

rilevamento. Quest'ultima tensione può essere però ruotata di fase con un opportuno sfasatore in modo da allinearsi con uno dei vettori di Fig. 43. Se ad esempio essa si allinea con il vettore di variazione del diametro, si ottiene sullo schermo una linea retta o una ellisse a seconda che l'effetto di variazione sia rispettivamente dovuto ad una variazione di diametro o di conducibilità. In definitiva si sfasa in modo da far apparire sempre una retta sullo schermo oscillografico e poi dalla entità dello sfasamento si deduce la natura del difetto. In molte applicazioni pratiche non è possibile utilizzare una bobina che contiene il materiale conduttore, come nel caso del cilindro visto in precedenza. Si usa allora una coppia di bobine inserite in un nucleo di ferrite ad olla, come è mostrato in Fig. 44.

Fig. 44: Rilevamento di difetti con bobina esterna. Naturalmente i concetti relativi al piano complesso della corrente indotta valgono ancora, seppure con qualche modifica. In particolare al posto del fattore di

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riempimento γ si considera la distanza testina-superficie. Anche in questo caso difetti di natura diversa danno luogo a variazioni di segnale con fase diversa e ben determinata. Va notato infine che la distribuzione delle correnti parassite interessa un volume molto ristretto per cui il test che si effettua è di tipo localizzato e permette quindi di rilevare difetti su viti, bulloni, dadi ed altri particolari miniaturizzati, inseriti in strutture più ampie come l'ala di un aeroplano o il contenitore di un reattore nucleare ecc.