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Dopo la Partenza PUBBLICAZIONE SCOUT PER EDUCATORI I.R. 2009 3

Dopo la partenza

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RS Servire numero 3/2009

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Dopo la Partenza

PUBBLICAZIONE SCOUT PER EDUCATORI

I.R.

20093

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S O M M A R I O

Dopo la Partenza

Dopo la Partenza Giancarlo Lombardi pag. 1

1. Il primato della Partenza Davide Magatti pag. 5

2. La Partenza Gege Ferrario pag. 8

3. Il capo e il clan-fuoco nel percorso della Partenza Maurizio Crippa pag. 10

4. The Vigil pag. 14

5. La comunità dei capi: storia, funzioni,

contenuti attuali Piero Gavinelli pag. 16

6. Un tempo nuovo per il singolo e la comunità:

il già e non ancora Saula Sironi pag. 19

7. L’esperienza della fede, i giovani-adulti,

lo scautismo Davide Brasca pag. 21

8. Pensieri del giorno dopo Gian Maria Zanoni pag. 25

9. Un uomo solo (nella società complessa) Roberto Cociancich pag. 28

10. Il progetto del capo Andrea Biondi pag. 32

11. Cultura sociale, cultura associativa:

i nodi della Partenza R. D’Alessio, S. Pirovano pag. 35

12. Perché il Masci Riccardo Della Rocca pag. 40

13. 2020: comunità capi, struttura per la

speranza o per la sopravvivenza? P. Stroppiana, A. Fantuzzo pag. 44

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a vista notturna sul Lago d’Orta, dall’al-to della Madonna del Sasso, era di appas-sionante bellezza: una perla incastonatanei boschi con le luci a fare da cornice apiccoli, radi, paesini sulle colline circo-stanti.

Il clan era in cerchio silenzioso, solenne, attento e ansiosoagli eventi.Io ero sereno nella mia consapevolezza che l’ora giusta eraarrivata e occorreva viverla con piena coscienza.Il capo clan, Gianni, senza inutili sbavature, indicava conchiarezza “ ...questa è l’accetta, se la strada non c’è fattela;… questa è la forcola, incontrerai sempre l’alternativa frail bene e il male, sappi scegliere il bene….”L’assistente, Baden, consegna il Vangelo “… sappi essere fe-dele…” e il rosario “…non stancarti di pregare, resta vici-no a Maria…”Il canto del clan si alzava commovente e io partivo lungola strada, nella notte, per superare le colline che dividonoil bacino del lago d’Orta dalla Valle Sesia:La “mia Partenza” resta indimenticata: da ora in poi oc-

corre saper camminare anche da soli, ci saranno amici, co-munità di riferimento, gruppi di compagni, ma devi sapercamminare anche da solo.La partenza resta un momento “educativo” molto impor-tante nell’iter scout, un momento di “discontinuità” in unaprogressione continua e normale.È come la Promessa, come il Noviziato e la salita al clan:momenti di scelta profonda e significativa, momenti chesegnano la vita...Sono decine di migliaia le scolte e i rover che hanno pre-so la Partenza, hanno lasciato il clan e si sono incammina-ti su strade diverse per vivere la propria maturità, la pro-pria scelta di Servizio, la propria fedeltà agli impegni indi-cati nella Carta di clan, divenuta, in qualche modo, Cartadi vita. Sono decine di migliaia, lungo i più di 50 anni da quan-do il roverismo è cresciuto in Italia, dopo il fascismo e laguerra, e sono sparsi in tutti gli ambienti, in tutti i luoghi,in situazioni molto diverse, molto spesso riconoscibili dalloro stile, dalla loro coerenza, qualche volta più mimetiz-zati nelle pieghe della società complessa.

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Q U E S T O N U M E R O

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Dopo la Partenza

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borghese verso il quale tutti sono tentati.La comunità capi, per coloro che dopo la Partenza scelgo-no il servizio educativo nell’Agesci, rappresenta certamen-te un ambito di grande qualità e utilità anche per la cre-scita personale.Ciò è tanto vero che porta anche il rischio, come viene be-ne indicato nei vari articoli di questo numero dedicati al-la comunità capi, che molti tendono a restare in comunitàcapi anche quando hanno terminato il servizio non vo-lendo separarsi dalla comunità di cui sentono il bisogno.Proprio per questo abbiamo cercato di affrontare i moltitemi che interessano la comunità capi, a circa 30 anni dal-la Route di Bedonia che, in qualche modo ne ha segnatola consacrazione.In particolare l’articolo dei Presidenti del Comitato na-zionale dell’Agesci cerca di delineare anche un possibilefuturo per la comunità capi nella società che cambia.La decisione di dedicare questo numero di Servire al “Do-po Partenza”, con particolare attenzione anche ai proble-mi della comunità capi, nasce proprio da queste conside-razioni. Abbiamo cercato di affrontare i problemi con lealtàe concretezza, non evitando gli scogli ma mettendo anchein evidenza le contraddizioni e le ambiguità.

Resta comunque da sottolineare, in conclusione, che lospirito fondamentale della Partenza è quello, come dettoall’inizio, di invitare ciascuno a camminare con le proprieforze, facendo le proprie scelte nella linea di impegno chela Partenza ha solennizzato.Le strade percorribili sono tante, sono tante le comunitànelle quali si può operare, ambiti parrocchiali, associazionidi servizio, associazioni per l’assistenza dei più deboli e bi-sognosi, associazioni attente ai problemi dei giovani, doveRover e Scolte “ partiti” possono trovare coerente sboccoe ambito di realizzazione per il proprio impegno.Proporre e indicare queste possibilità può essere un servi-zio da potenziare nell’Agesci, in particolare nella BrancaR/S.In fine in alcuni articoli del Quaderno abbiamo cercato diaffrontare i problemi più delicati per un adulto nel conte-sto sociale in cui viviamo.È questo un presupposto per la riflessione che abbiamocercato di avviare in modo serio aprendo un dibattito peril quale RS Servire è disponibile a ospitare gli interventidi chi vorrà portare il proprio contributo

Giancarlo Lombardi

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Con coraggio, coerenza e intelligenza, a nostro avviso, loscautismo e l’Agesci hanno sempre rifiutato la tentazionedi trasformare questa ricchezza di persone in un partito, inuna forza sociale, in un gruppo di pressione.Hanno privilegiato la dimensione educativa e rispettato lalibertà delle scelte che è implicita nel tipo di educazioneche lo scautismo propone.Ne è derivata inevitabilmente una certa diaspora, e ancheuna certa dispersione. Molti scolte e rover “partiti” resta-no per un certo tempo in Associazione come capi e han-no nella comunità capi il loro ambito di riferimento; mol-ti scelgono altri servizi e altri impegni e trovano spesso am-bienti comunitari con cui confrontarsi e nei quali riceve-re aiuto e consiglio; molti apparentemente si disperdononon riuscendo a trovare comunità di riferimento per con-tinuare nella propria educazione permanente e per ali-mentare la propria scelta di servizio.Il problema di come collocarsi, di quale servizio scegliere,di quale comunità in cui inserirsi, si pone evidentementeanche per i capi quando lasciano il Servizio attivo ed esco-no dalla comunità capi.Sono perciò tre possibilità concrete che si presentano difatto a chi prende la Partenza: trovare la strada individual-mente del proprio impegno, così come la Partenza in qual-che modo indica; restare nell’Agesci come capo ed entra-re nella comunità capi ( ma il problema si porrà poi al ter-mine del servizio attivo); non fare nulla di particolare im-pegnandosi soprattutto nella propria vita familiare e pro-fessionale, con il rischio di finire però in un sano e vivotran tran borghese abbandonando ideali di servizio e dicrescita educativa personale alimentati anche da una vitacomunitaria.Come è noto esiste per gli adulti scout anche una propostae una possibilità offerta dall’ Associazione di Adulti Scout, ilMasci, aperta anche a chi Scout non è mai stato, allineata congli ideali e con lo stile scout, impegnata nel servizio e nella

proposta educativa ai propri membri adulti.L’articolo di Riccardo Della Rocca in questo quaderno laillustra con completezza.Il Masci non ha la velleità di accogliere tutti i Rover eScolte dopo la Partenza, tutti i capi che lasciano la comu-nità capi, ma si pone come una prospettiva concreta e va-lida per chi cerchi un cammino di educazione permanen-te in una comunità che condivide lo stile e i principi fon-damentali dello scautismo.Occorre però constatare che non solo non vi è oggi au-tentico passaggio dopo la Partenza e dopo la vita in co-munità capi, da Agesci al Masci, ma anzi la maggior partedelle persone “partite” non prende seriamente in conside-razione questa scelta.Le ragioni di ciò sono molte e anche complesse: alcuni do-po la Partenza attaccano gli scarponi al chiodo e non han-no intenzione di farsi coinvolgere in altri impegni signifi-cativi, altri, come già detto, trovano altri ambiti di impe-gno e comunità di riferimento, altri sarebbero potenzial-mente interessati ma guardano al Masci come a una asso-ciazione di anziani, di genitori, se non di nonni, e pur sti-mando l’iniziativa non la ritengono adatta alla propria si-tuazione.Occorre lealmente dire che quest’ultima considerazionenon è immotivata e l’età media dei membri del Masci lodimostra, ma altrettanto lealmente occorre rilevare chel’associazione lascia aperto il problema del perché non sipossa “rinnovare” il Masci, in qualche modo “rifondando-lo” pur restando più rispondente, anche organizzativa-mente, alle esigenze delle persone più giovani, e soprattut-to lascia aperto il problema, a mio avviso il più grave, deimolti che si perdono in una società dispersiva e comples-sa come la nostra, finendo con il sacrificare quella poten-zialità positiva che è implicata nella Partenza, potenzialitàdi servizio e di crescita personale, che senza una comunitàdi riferimento si spegne progressivamente in un tran-tran

Q U E S T O N U M E R O Q U E S T O N U M E R O

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Più che mai la vita moderna esige la presenza di uomini e donne attenti allarealtà presente e capaci di giudicarla inspirito indipendente alla luce di principisicuri maturati nella loro giovinezza e

fondati sulla libertà e sulla responsabilità.

Uomini che avendo incontrato il Cristo,siano pieni di speranza e desiderosi di confermare la loro vita al Vangelo.

Lo scautismo può essere per questo di grande aiuto.

Padre ForestierScoutisme route de libertè

Presso il monastero della Grande-Chartreuse, tra le foreste dell’Isère, ècustodita una raccolta di dipinti che

ritraggono le tappe fondamentali del-la vita del monaco: il noviziato, il ser-vizio, la firma sull’altare, i voti perpe-tui. I momenti di passaggio sintetizza-no e determinano la traccia.Il roverismo, come a noi è stato tra-smesso, ha tra i modelli di riferimen-to la formazione religiosa, in partico-lare quella monastica, dalla quale haereditato termini e strumenti che sisono integrati in modo efficace con ilmessaggio di autonomia e di amoreper il prossimo espresso molto chiara-mente da B.-P. nelle prime pagine di“La strada verso il successo”.La convergenza tra metodo scout edelementi tipici della vita religiosa haportato non solo ad una forte conno-tazione della spiritualità della brancaR/S, ma soprattutto ad una precisaidentificazione della proposta educa-

tiva scout con un percorso di ascesi edi formazione cristiana.Padre Forestier nei suoi scritti indica-va esplicitamente il legame esistentetra la grazia del battesimo e la Pro-messa scout, nuova conferma dell’ap-partenenza a Cristo. In questo modol’esperienza della fede, lontana dall’es-sere una voce tra le tante da portare aprogramma e verifica, tende ad orien-tare completamente la proposta. Lo scautismo è riletto in modo unita-rio in chiave evangelica e la Promessadel lupetto è il primo, essenziale passoverso la scelta che la scolta ed il rovercompiranno nel giorno determinantedella loro Partenza: mettere la propriavita, il proprio tempo, le proprie capa-cità al servizio dei fratelli.

Partenza, si vira

La Partenza indica la direzione pertutta la vita di clan e per l’intero per-corso scout. Rispetto ai passaggi dibranca la discontinuità è decisamentepiù netta: si conclude il tempo dellaproposta educativa e dei capi-educa-tori, inizia un tempo di scelte auto-nome nella propria formazione e diimpegno verso una testimonianza for-te nel servizio. Il salto si deve sentire.È questo l’ultimo, significativo stru-mento a disposizione del capo: abbia-mo camminato insieme ma ora parti,apriti la via.

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D O P O L A P A R T E N Z A

Il primato della PartenzaÈ una proposta ancora preziosa, compimento

e sintesi del percorso educativo. La scelta di servizio

è richiesta irrinunciabile

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Meglio provare ad essere reciproca-mente schietti a buon tempo. Megliodirsi quali gli impegni e quali le sta-gioni, meglio riferirsi alla tracciascritta di una lettera o alle parole det-te davanti alla comunità. Meglio, per icapi, partire da lontano, coinvolgendonon solo il singolo e lavorando nonsolo nell’urgenza degli ultimi mesi,cercando di volgere alla meta finale ilsenso di ogni proposta. È con questointento che, nelle abitudini di alcunigruppi, durante la cerimonia si ri-chiama ad ognuno, capi inclusi, ilpensiero della propria Partenza passa-ta o futura, sempre presente.

Autonomi non solisti

Certamente nel giorno della Partenzasi compie il tempo della proposta edu-cativa, almeno quella mediata dalla fi-gura del capo. Il rover e la scolta par-tendo salutano i capi clan, le ultimepersone con un esplicito mandatoeducativo nei loro confronti. Inevita-bilmente, va detto, questo cambia laprospettiva, le risorse, il percorso.C’è stata, prima, la lunga stagione deicampi, delle uscite, dei momenti pre-parati da altri per te, perché tu potessi,giocando con lo scautismo, crescerenella vita. Viene, dopo, insieme all’au-tonomia, il tempo della restituzione.Tutta la letteratura di B.-P. insistechiaramente sull’idea di autoeduca-

lità. Nel simbolo della forcola vieneevocato l’istante del discernimento: lavia più stretta sarà quella che percor-rerai. Chi parte lo fa liberamente, macon la consapevolezza di risponderead una chiamata impegnativa ed esi-gente, così come lo è il versetto diLuca: “sforzatevi di entrare per la por-ta stretta”.

Il capo è presente

Il capo non è il protagonista, ma nep-pure lo spettatore passivo. Sa esplici-tare e ricordare le tappe ed i tempiprogettati insieme: era autunno, è pri-mavera. Richiama con chiarezza gliimpegni presi, ma altrettanto incorag-gia e ripone fiducia.Anche quando le scelte del ragazzoportano decisamente verso un’altrastrada, il capo aiuta ad operare unasintesi, attraverso un confronto leale,affinché maturi una serena consape-volezza che la direzione presa, in mol-ti casi del tutto dignitosa, non si iden-tifica tuttavia con quello che insiemeabbiamo chiamato Partenza.È una faticosa consuetudine quellache vede i capiclan ed il partente tra-scinarsi per mesi tra incontri di veri-fica, punti della strada, tentativi, pro-messe e delusioni. I primi con la sen-sazione costante di uno scarso raccol-to e l’altro con l’idea di non com-prendere le attese.

Quando l’esperienza del roverismo èqualificata da richieste alte da parte deicapi e forte partecipazione da partedei ragazzi, questi ultimi ne possonotrarre un’impronta di riferimento de-terminante per la vita. Gli ultimi annidi clan e quelli immediatamente se-guenti non costituiscono in alcun mo-do un tempo di semplice attesa rispet-to all’età adulta; al contrario, possonoessere una stagione cruciale per la for-mazione dell’identità di una persona. Sottovalutare la Partenza come mo-mento di sintesi di ideali nella vita diun uomo e di una donna vuol dire ri-durne la portata come strumentoeducativo; prenderla seriamente signi-fica invece favorire il consolidarsi diuno slancio destinato a durare.Ha poco senso pensare alla Partenzacome a qualcosa che attiene esclusi-vamente ai ragazzi più grandi. Comeogni punto di virata che si rispetti, an-che questo condiziona l’intera rotta eva traguardato con anticipo e costan-za, va tenuto sempre ben presente al-l’orizzonte. Non esiste nella comunitàR/S la classe dei partenti, chiunqueabbia firmato l’impegno cammina giàper la Partenza. I rover e le scolte del-l’ultimo anno, giunti ormai a pochimetri dalla vetta, guardano già piùlontano, ai passi che verranno.Partire comporta scegliere ed impara-re a scegliere, ad orientare la propriavita nella direzione della responsabi-

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chiaro la discontinuità: la Partenza èper sempre. Questa richiesta di espo-sizione, di impegno, cade in un tem-po della vita che viene facilmenteconsiderato di attesa, di rinvio, di pro-va. Al contrario, lo scautismo prendemolto sul serio quel tempo conside-randolo caratterizzante per la vita. Fin dalla Promessa, la persona è chia-mata ad un percorso di crescita versola responsabilità. Attraverso una buo-na pratica della Partenza si confermail senso dell’intera proposta educativaed insieme si comunica un’idea diuomo e di donna.L’efficacia sta nell’equilibrio tra idea-lismo e concretezza. Lo spunto puòdurare se le convinzioni orientano leazioni, lo stile, le scelte, se nel “guar-dare lontano” non dimentico il voltodi chi mi è già vicino. Riusciamo avalorizzare questo prezioso strumen-to di educazione se facciamo in mo-do che il clan prepari i ragazzi ad es-sere persone capaci di tradurre gliideali in scelte vive, in decisioni co-raggiose, persone capaci di affrontarela responsabilità, capaci di pensiero in-dipendente sulla realtà e sul mondo esoprattutto uomini e donne che han-no iniziato ad elaborare una visionedavvero unitaria della propria vita.

Davide Magatti

persona possa spendersi per gli altri inmodo significativo.Se questo sistematicamente non av-viene, nel senso che una buona partedegli R/S nei mesi a venire abbando-na ogni forma di impegno, allora ènecessario ripensare, come capi, alsenso di quelle Partenze.Non si tratta di attestare o negare labuona condotta alla fine dell’espe-rienza R/S, ma di capire insieme, i ca-pi ed il ragazzo, se la scelta maturata èdavvero quella di testimoniare attra-verso il servizio.Occorre fare chiarezza su un punto: lacomunità capi appartiene al “prossi-mo” del partente e questa, in moltigruppi, si trova nella drammatica ne-cessità di formulare una richiesta.L’ingresso in comunità capi non do-vrebbe essere considerato come la pe-nultima opzione in fondo alla lista, inquanto esperienza già acquisita, macome una possibilità di restituzionenobile e concreta con la quale si èchiamati seriamente a confrontarsi.

Una prassi ancora preziosa

Raccontano di un tempo, il nostro,nel quale i confini sfumano, le defini-zioni, bene o male che sia, si confon-dono. Lo scautismo, intanto, continuaa proporre in modo semplice ma

zione e l’intero metodo scout è unapreparazione del ragazzo a saper sce-gliere la propria strada, a compiere va-lutazioni in modo indipendente, a ca-varsela nelle difficoltà, ad aprirsi ilsentiero quando non c’è. Affinché laPartenza porti ad un’autentica auto-nomia, deve essere chiaro che questopassaggio non è l’arrivo, bensì il colledal quale inizia la pista futura. L’uomoe la donna della Partenza, senza piùeducatori al loro servizio, saprannoancora cercare e trovare una comunitàdi riferimento, una guida spirituale,esperienze profondamente significan-ti, tappe di progressione e formazionepersonale, occasioni di confronto everifica.Il buon governo della propria canoanon è l’inizio di una vita da solista.

Je m’engage

Tra le buone prassi delle cerimonie diPartenza è spesso incluso il rinnovodella Promessa davanti al clan. Il per-corso unitario si conclude con la con-ferma dell’impegno a fare della pro-pria vita un servizio al prossimo: tra ledue vie ho scelto la più stretta.Perché questo passaggio sia fondato evero, ne dovrebbe conseguire l’assun-zione di un incarico di servizio, ovve-ro la scelta di un ambito nel quale la

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Anche la forcola ti ricorda con insistenza che davanti a unbivio devi saper scegliere. Ma bisogna anche sapere chenon è così sempre scontato che la tua scelta fatta sia sem-pre quella giusta. Devi fermarti a riflettere, chiedere aiutoad altri, pensare e meditare, pregare… Ciò nonostante nonè detto che tu scelga per il meglio e che quella scelta siastata quella giusta. Anche qui più cresci e ti imbatti in bi-vi, la sola tua ragione non ti rassicura ma anzi ti fa tituba-re. Magari è solo pigrizia o stanchezza ma spesso ti con-vinci che la strada che ti sta di fronte, quella più larga e piùin piano, è quella da scegliere e da percorrere.

Allora al termine del tuo iter educativo capisci che non seiarrivato ma devi partire per poi ripartire con qualche cer-tezza in più ma anche con la chiara convinzione che nontutto dipende da te e neppure con i tuoi compagni di stra-da che nel frattempo sono cambiati e che continuano acambiare. Devi procedere con coraggio ma anche con cau-tela e soprattutto con umiltà perché l’esperienza della vi-ta ti ha fatto capire che nulla dipende solo da te e nulla saifare se non divieni consapevole dei tuoi limiti e delle tuefragilità. C’è in te la sete di cercare, di interrogarti, di cam-minare senza arrenderti, sentendoti un po’ più povero, per-ché assetato e affamato di tutto e bisognoso di tutti.Sarà la comunità capi, i tuoi genitori, il tuo assistente, ilgruppo di amici che ti vuol bene, la persona che ami, latua famiglia, il gruppo di adulti a cui appartieni, gli even-ti importanti che ti sono accaduti, le gioie ed i dolori cheti hanno segnato…, che ti faranno fare nuove scelte nel be-ne e nel male.Oggi devo dire che di fronte alla opulenza di mezzi di co-municazione, alla ricchezza e varietà delle risorse, alla mol-titudine di proposte, con una quantità enorme di stili di vi-ta e modelli di pensiero, le scelte che quotidianamente sia-mo chiamati a fare divengono sempre più complesse e in-sicure.

Certo lo scautismo e quindi la Partenza mi hanno dato duepunti fissi: la sete di cercare, di interrogarsi, di camminaresenza arrendersi e la ricerca di ambiti e di amici che ti so-no vicini per meglio indirizzare le tue scelte. Proprio per questo io credo che debba essere e diventareancora più significativa e incisiva la proposta educativascout che ti permette di meglio indirizzare le tue scelte fu-ture, anche quando gli anni, l’esperienza di vita, i vari mo-menti del tuo cammino ti hanno portato nel tempo lon-tano dal magico momento della cerimonia della partenzama ancora molto vicino agli ideali vissuti negli anni chel’hanno preceduta.

Gege Ferrario

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Quante volte abbiamo sentito parlare di Partenza, si è scrit-to e dibattuto in tutti gli ambiti scout e soprattutto l’ab-biamo vissuta e il suo ricordo è ancora vivo dentro di noi.Momento magico, irrinunciabile, vissuto con un’intensitàemozionale straordinario. La preparazione, i colloqui coni capi, le titubanze, il carico di responsabilità, la lettera alcapo clan, la cerimonia, il distacco dai compagni di stra-da, lo zaino in spalla come tante volte ma questa voltapiù pesante perché non più condiviso, una torcia acce-sa nel fuoco che illumina il cerchio degli amici, una ac-cetta per aprirsi un varco quando il sentiero si fa osta-colo, la bibbia che l’assistente ti stringe tra le mani conun sorriso insieme al crocefisso che ti accompagnerànella tomba e soprattutto la forcola: “sappi scegliere ilgiusto sentiero”. E poi, dopo aver fatto il giro a strin-gere la mano a tutti, la benedizione dei capi e dell’assi-stente, via da solo nella notte.

Quanti pensieri si intrecciano e accavallano nella testamentre senti ancora l’eco delle note: “essa è là dischiu-sa per te”.

Partire.

Dopo tanti anni trascorsi in branco, in reparto, in novizia-to e clan, ora sei arrivato alla fine del tuo iter educativo.Non sei arrivato, devi partire e non puoi fermarti.

Hai imparato a guidare da solo la tua canoa. Cosa vuol di-re? Che sai sbrigartela da solo, davanti alle difficoltà riescia superare le rapide, tenere la direzione giusta, non perde-

re il controllo del mezzo che ti conduce verso la meta, cheriesci ad evitare gli ostacoli senza seguire passivamente lacorrente orientando il tuo procedere con determinazione.È una bella metafora ma preferisco quella della forcola cheti invita a scegliere ad ogni bivio del tuo cammino con di-scernimento e riflessione. Questo perché una volta impa-rato a guidare nelle avversità la tua canoa, come in ognicircostanza della vita, le incognite e gli imprevisti sonosempre in agguato. Quindi non esiste in assoluto la certezzache le tue competenze, la padronanza delle tecniche sonoqualcosa che ti garantiscono la soluzione degli imprevistie delle difficoltà di quel momento, di quella circostanza.Mai possiamo dire che siamo in grado di dominare e su-perare qualsiasi evento imprevisto. Questo per sempre, pertutta la vita. Se pensiamo di essere noi da soli in grado difarcela e di non temere avversità che possono far fallire ilnostro procedere, abbiamo già solo per averlo pensato, pec-cato di presunzione e prima o poi siamo destinati alla de-lusione e al crollo di tante speranze e sogni. È importantela competenza e la assunzione di responsabilità ma occor-re anche continua ricerca di approfondimento di compe-tenze che con il divenire della vita, delle circostanze, conil procedere inevitabile degli anni, ci plasmano e ci fannomaturare sempre più verso l’assunzione e la convinzionedi una sana precarietà e relativa incertezza. Tutte quelle si-curezze che da giovani giustamente si conquistano e cisembrano per sempre, poi con il passare degli anni e conla più cauta maturazione, ci fanno sentire paradossalmen-te più insicuri, più desiderosi di andare alla ricerca di vali-di punti di appoggio, più ansiosi di conoscere dove sta laverità, più assetati di confronti e riscontri.

D O P O L A P A R T E N Z A D O P O L A P A R T E N Z A

La Partenza

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fare ma non ad essere. Ricorrendo adun termine inglese assai efficace, i ca-pi devono cercare di testimoniare ilvalore del life long learning, ossia dell’e-ducazione permanente in cui le cosepiù importanti per i ragazzi sono il di-namismo e l’orientamento verso lapienezza di vita: ciò spiega anche per-ché si può dare – come giovani adul-ti ai più giovani – anche ciò che nonsi possiede totalmente ma che si è incammino sicuro per conquistarlo. Quiè molto importante mantenere la ve-rità e l’autenticità nei momenti in cuile difficoltà inevitabili della vita pos-sono indurre il capo ad abbassare il li-vello per salvare, in uno slancio dilealtà verso se stessi e i ragazzi, la pro-pria coerenza e per mantenere una“proporzionalità equidistante” tra il li-vello di crescita proprio e quello deiragazzi. Un altro elemento importan-te riguarda la dialettica tra l’autonomiadelle proprie scelte e le scelte delgruppo, della comunità. Lo scautismopropone al giovane – con lo strumen-to della partenza – una scelta netta diauto direzione e distacco dalla comu-nità educante perchè ricerchi altri am-bienti nei quali proseguire la propriacrescita: è questo l’aspetto educativoche differenzia lo scautismo da altrimovimenti che hanno fatto l’opzionedella comunità educante permanentecome CL o l’Opus Dei. L’ultimo ele-mento da considerare è l’intensità del

rapporto interpersonale. Nel clan èfondamentale perché il rapporto èesplicitamente diretto: né il capo né irover e le scolte giocano un ruolo orecitano una parte, sono semplice-mente sé stessi perché hanno libera-mente scelto di farlo. L’intensità di-pende sempre anche dalla numerositàe continuità dei contatti altrimenti ilrapporto interpersonale serve a poco elascia poco. È un impegno che richie-de di dedicare più tempo al dialogo eal confronto con i ragazzi che alle at-tività.

I capi e il rapporto individualecon i r agazzi: gli strumenti

Quando si sale al clan i ragazzi lascia-no alle loro spalle il gioco, i totem, ilgioco, le specialità, l’abilità manuale edespressiva per “essere chiamati per no-me”. Il rover e la scolta che firmano lacarta di clan alla fine della veglia del-l’impegno scelgono anche di chiama-re per nome i loro capi, per iniziare acostruire un legame personale forte:forse per la prima volta si mettono ingioco per quello che sono e non soloper ciò che sanno fare. Ma se i capinon sono molto diversi dai loro ra-gazzi oltre la persona, cosa fa la diffe-renza, cosa rende ineliminabile il lororuolo? Innanzitutto dispongono diuno strumento straordinario del me-todo educativo, la carta di clan, in cui

c’è tutto ciò che serve. Ci sono i va-lori, le tradizioni consolidate, gliobiettivi del gruppo e di ciascuno: ba-sterebbe usarla come mezzo sistemati-co e ricorrente di verifica individualericordando ai ragazzi l’importanzadelle scelte. I capi possono aiutare i ra-gazzi a capire, più di altri adulti, cheper crescere occorre ripetere quoti-dianamente quelle piccole e grandiscelte per raggiungere la pienezza del-la vita. Innanzitutto scegliere di autoeducarsi per mettersi in cammino, se-riamente verso la partenza, il momen-to della scelta più importante. In se-condo luogo, affrontare le situazioninaturali e non rinviabili di scelta perriflettere sulla propria vita, sui valori,sulle ambizioni da coltivare, sugliesempi da seguire: la scelta dell’uni-versità, del servizio, delle amicizie, del-l’uso del tempo per sé e per gli altri.Tante occasioni per aiutare a impara-re a scegliere con giudizio e con co-raggio. È evidente che i capi non sem-pre possono sapersela sbrigare da soliquando le scelte dei ragazzi sono sem-pre più complesse, tuttavia a volte ser-ve soltanto che essi siano dei “cono-scitori”: se non sanno alcune cose, èprobabile che conoscano qualcunoche le sa e può aiutare a capire e in-terpretare meglio. La comunità capi,per esempio, può essere il primo luo-go nel quale i più grandi possono da-re una mano ai più giovani. Infine i

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D O P O L A P A R T E N Z A

La situazione attuale riguardo al temadella partenza come obiettivo da pro-porre ai rover e alle scolte per orien-tare e caratterizzare la loro esperienzanel clan, segnala alcune difficoltà. Insé, per le mutate condizioni sociali eper le caratteristiche stesse dei ragazzi,e in relazione alla sequenza e scansio-ne dell’esperienza scout che tende adaccorciarsi nella fase educativa e ad al-lungarsi in quella del servizio, nel pas-saggio alle comunità capi. Intendo di-re che i ragazzi sono figli di questotempo e si presentano con caratteristi-che abbastanza note: lunga permanen-

za nella fase degli studi e in famiglia,entrata tardiva e spesso precaria nelmondo del lavoro, scarsa propensioneal rischio. I post adolescenti che salgo-no dal noviziato, inoltre, spesso nonsono riusciti a “farsi nuovi” dopo l’e-sperienza sempre più difficile e pocoincisiva del reparto e sono più inclinia entrare in clan per “stare bene” an-ziché per scoprire se stessi.

Il rapporto adulto-ragazzi nell’esperienza del clan

Il tema cruciale è dunque il rapporto

tra l’adulto – il capo – e i rover e lescolte. La specificità e l’originalità del-la proposta R/S sta proprio nell’im-portanza del rapporto interpersonale enella disponibilità di alcuni strumentiefficaci che rendono possibile che unadulto, giovane, svolga la sua funzionedi educatore nella fase più delicata incui i ragazzi si preparano a passare dal-l’educazione etero diretta a quella au-to diretta. È un impegno delicato perchi molto spesso guarda al suo ruolodi adulto nel rapporto educativo conla consapevolezza che la differenza dietà non marca sempre la differenza dicrescita e di maturità personale e so-ciale. È un impegno gravoso perché glisi chiede anche di compiere, nei rap-porti con i rover e le scolte, alcuni“sforzi autentici di testimonianza”. Losforzo di guardare con minor sensod’incertezza al futuro e allungare gliorizzonti temporali accentuando lacapacità di “visione” ossia la capacitàdi cogliere la complessità e la ricchez-za delle dimensioni esistenziali. Un al-tro sforzo riguarda la proposizione airagazzi di aspirazioni e di progetti peraiutarli a non limitarsi a “registrare icambiamenti ma ad esserne i protago-nisti”. Infine, lo sforzo di offrirsi comepersone meritevoli di essere seguite eimitate. Se non si soddisfano questi re-quisiti di base, il rapporto capo-ragaz-zi rischia di diventare solo organizza-tivo e metodologico: può insegnare a

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Il capo e il clan-fuoconel percorso della partenza

Il rapporto tra i capi e i ragazzi, sia individuale sia

collettivo, è determinante per arrivare alla partenza: progetti

di vita, esperienze forti e tanto dialogo perché il periodo di

tempo passato nel clan sia veramente decisivo.

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a diventare “lievito e sale della terra”.Oggi si trova tutto già pronto, internetpriva del gusto della scoperta direttadella realtà: quale migliore occasioneper rilanciare l’inchiesta, la route, l’in-tervista, la visita preparata con cura diluoghi, ambienti, comunità, famiglieecc.? Nello stesso tempo il clan è unacomunità che aprendosi si fa interro-gare, entusiasmare, sorprendere, com-muovere da presenze significative, ditestimoni autentici e diversi di impe-gno sociale, di passione e di attenzio-ne agli altri. Per evitare il pericolo del-l’autoreferenzialità e per imparare ad“aggiungere un posto a tavola”, è im-portante creare le condizioni per ac-cogliere le persone che sono fuori dal-lo scautismo e che possono essere si-gnificative per far conoscere ai ragaz-zi gli aspetti dell’uomo che altrimentisarebbe difficile capire. Portare i ra-gazzi alla partenza è far loro viverequattro anni pieni, ricchi di novità e diproposte che altrimenti non avrebbe-ro mai ricevuto. Se la branca R/Scontinuerà a fare questa proposta,contribuirà in modo significativo e inmisura importante ad essere attrattivaper tanti adolescenti che vogliono di-ventare adulti ed essere persone signi-ficative nella prospettiva del servizio:ciò aumenterà la speranza che il mon-do potrà davvero essere migliore.

Maurizio Crippa

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capi possono aiutare i rover e le scol-te nella costruzione del loro progettodi vita offrendo il metodo per svilup-pare il progetto. Il rapporto personalecon i ragazzi deve essere semplice enaturale se si vuole agganciarli, delmio vissuto di capo clan mi ricordotante sere a mangiare la pizza o a cam-minare chiacchierando con i rover, perascoltarli, spingerli a impegnarsi e atrovare fiducia in se stessi, a vincere leloro paure e a caricare i loro entusia-smi, ad andare avanti con un progettoe ad avere la volontà di realizzarlo. Icapi aiutano la progressione di ciascu-no così: è il riferimento dapprima per-sonale e quindi metodologico, è svol-gere il ruolo di coscienza critica, è of-frire un altro punto di vista, un’alter-nativa, un’amicizia. I care: mi importadi te, ti vengo a cercare, entro nella tuavita, non mi limito a organizzare eproporre delle attività.

Il capo e il clan

Il passaggio dal rapporto interperso-nale bilaterale al rapporto con ilgruppo non è semplice né facile. I ra-gazzi insieme sono quasi sempre di-versi da quando sono presi da soli,uno a uno, ed è più probabile cherendano ai capi la vita più difficile.Poiché “nessuno nasce imparato”, ènecessario migliorare la capacità dianimare il gruppo e di educarlo gui-

dandolo con alcuni accorgimenti fon-damentali, quelli che fanno del clan –quantomeno nelle intenzioni – un’e-sperienza indimenticabile. Innanzitut-to, il clan è un gruppo di persone di-suguali che tuttavia non accettano ledifferenze, anzi, quasi sempre rifiuta-no istintivamente le proposte che di-vidono, distinguono, richiedono ilcontributo originale di ciascuno, sen-za riserve. La tentazione da parte deicapi di mollare di fronte alla resisten-za dei ragazzi alle loro proposte èspesso forte, come il rischio di accon-tentarsi; però bisogna insistere altri-menti il clan diventa un luogo di so-cializzazione uguale a tanti altri e pri-ma o poi la routine uccide dapprimala voglia di partecipare con entusia-smo e poi la voglia di partecipare toutcourt! In secondo luogo, occorre chei capi siano i primi ad essere convin-ti ed entusiasti delle proposte che fan-no e devono corrispondere alle esi-genze dei ragazzi cercando, per quan-to possibile, di farle coincidere un po’anche con dei loro desideri. È impor-tante imparare a “tirar dentro” i ra-gazzi per “tirar fuori” la loro vitalità ela loro voglia di fare: capitoli ben pre-parati, uscite inusuali, simboli fortidell’identità del gruppo, comunica-zione e memoria di ciò che si fa. Ter-zo, avere una visione d’insieme. La vi-ta di clan richiede la costante proie-zione in avanti, non può essere solo

una sequenza di attività anche inte-ressanti ma senza un filo conduttore.Infine, mantenere sempre viva l’atten-zione sulla partenza. La partenza è unfatto individuale, il frutto dell’impe-gno di ogni rover e scolta verso sestessi e conseguenza del rapportocon i loro capi; è la conclusione con-sapevole di un traguardo perseguitoin base al rapporto di fiducia che sicrea nel clan che è l’ambito nel qua-le questa tendenza si sviluppa. Allorala partenza è il segno evidente che lacomunità ha funzionato bene, facili-tando il confronto, valorizzando ledifferenze, spingendo a scegliere,mettendo a frutto i talenti di ciascu-no. È il segno che il clan è un luogodi vita vera, di rapporti sinceri e,molto spesso, di amicizia profondache dura per sempre.

Nessun clan è un’isola

La vita del clan ha bisogno di spaziampi, di visioni: per questo i capi de-vono spingerla ad aprirsi continua-mente per moltiplicare le esperienze.Ciò significa mandare i ragazzi a sco-prire le realtà che li aspettano: la so-cietà, il lavoro, la Chiesa, la politica, ideboli, gli stranieri; è importante farconoscere le numerose e diverse sfac-cettature della vita che li circonda perspingere i rover e le scolte a prender-si sul serio, a migliorarsi per imparare

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7. Intendo prendere la Partenza solo per considerare ul-timata la mia vita Scout e cominciare a divertirmi?

8. Sono deciso a mettere nella mia vita un Serviziosvolto in autentico spirito di abnegazione?

9. Qual è il tipo di Servizio che sono più adatto asvolgere?

Poiché il successo del mio Servizio dipenderà in larga mi-sura dalla mia personalità, devo darmi una disciplina inmodo da rappresentare una influenza positiva per gli altri.

Ricorda: “Ciò che SEI grida così forte che non riesco asentire ciò che DICI”.

10. Sono deciso a rinunciare alle cattive abitudini pre-se in passato?

11. Quali sono i punti deboli del mio carattere? 12. Sono in ogni senso un uomo d’onore, fiducioso e

degno di fiducia? 13. Sono fedele a Dio, alle Autorità, al mio Paese, ai

miei datori di lavoro, ai miei sottoposti, ai mieiamici ed a me stesso?

14. Sono di buon carattere, allegro e cortese verso glialtri?

15. Sono sobrio, pulito nei miei atti e nelle mie parole?16. Ho il coraggio e la pazienza per resistere quando

le cose vanno contro di me? 17. Ho un mio giudizio personale, o permetto a me stes-

so di essere trascinato dalla persuasione di altri? 18. Ho una volontà abbastanza ferma da tenermi lon-

tano dalle tentazioni dell’intemperanza e dell’ im-purità?

Prendo qui e adesso la decisione, con l’aiuto di Dio, di fa-re del mio meglio per correggere o abbandonare tutti que-sti miei difetti.

Possa Dio darmi la forza di andare avanti da qui in poi co-me un uomo/donna vero, un buon cittadino, un buonAdulto Scout e un vanto per il mio Paese.

(Testi tradotti e curati per il Centro Studi Baden-Powell da Mario Sica e Fulvio Janovitz, pubblicati su

“Esperienze e Progetti” n. 163, maggio-giugno 2006)

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Introduzione alla veglia

“Nel diventare con la Partenza Rover-Scout, nell’essere Capo, sisupera la soglia della maturità e si diviene Adulto Scout. Il ragazzo ed il giovane pensano al presente, l’uomo guarda al fu-turo, pensa a cosa ha fatto ed a cosa farà nella vita e quando riguar-derà gli anni vissuti si chiederà se gli ha sprecati o usati al meglio. A volte un moribondo dice: “Ho cercato di fare sempre il mio do-vere”. Ognuno di noi dovrà affrontare quei momenti: potremo di-re anche noi che in ogni caso abbiamo fatto il nostro dovere? Ab-biamo usato al meglio quel meraviglioso corpo, la mente e l’ani-ma che il Creatore ci ha, non dato, ma prestato? L’anima è l’Amore che si esprime usandola con il corpo e la men-te, per il bene degli altri. Abbiamo la possibilità di scegliere tra duestrade nella vita: noi stessi ed il Servizio. Il Servizio comporta Sacrificio, ma è proprio il test di un vero uo-mo. Il senso del servizio ci fa considerare il punto di vista dell’al-tro, sacrificare parte delle nostre idee per aiutare l’altro ed incon-trarlo a mezza strada. Ciò porta alla pace, mentre l’egoismo nonha mai portato né alla pace, né al bene. Per questo il Servizio è l’obiettivo del Rover-Scout, del Capo edell’Adulto Scout nella sua vita”. (da una chiacchierata di B.-P. prima di una Veglia nel 1928).

La Veglia è un esame di coscienza fatto di domande allequali ogni uomo e donna scout che partecipa rispondedentro di sé. Può scrivere le risposte, poi nel suo Quader-no di Marcia rileggerle, modificarle, approfondirle, aggior-narle ogni anno nella “Giornata del Pensiero”. Ogni pun-to va meditato con cura prima di passare al successivo.

Via via che s’invecchia, il tempo trascorre veloce. Relativa-mente parlando, la vita dura solo per un breve tempo e fi-nisce presto. Anzi può finire domani: stanotte stessa io pos-so essere morto. (Confronta la parabola in Lc 12,16-21).

1. Sto facendo il miglior uso della vita che Dio miha dato?

2. Sto sciupandola senza fare nulla che valga, cioèsprecandola?

3. Sto lavorando a qualcosa che non fa del bene anessuno?

4. Sto cercando troppo il mio personale godimento,o guadagno, o promozione senza cercare di aiuta-re gli altri?

5. Chi ho aiutato nella mia vita? 6. Chi ho offeso o danneggiato nella mia vita?

Non ricevo paga o ricompensa per il Servizio che svolgo,ma è questo che fa di me un uomo libero quando lo svol-go. Non sto lavorando per un datore di lavoro, ma per Dioe la mia coscienza. Ciò significa che sono un Uomo. La Branca Rover del Movimento Scout è una “FRA-TERNITÀ DI SERVIZIO” e quindi, avendola vissuta tut-ta sino alla Partenza, avrò la possibilità di svolgere un Ser-vizio in molte forme che altrimenti non avrei a disposi-zione, specialmente come Capo in una delle Unità o in al-tri incarichi nel Movimento. Il Servizio non è solo per il tempo libero. Devo essere co-stantemente alla ricerca di occasioni di Servizio in ognimomento della mia vita di Adulto Scout.

The VigilUna veglia basata sui testi originali di B.-P- del 1928 per la Partenza o per un fuoco ai campi scuola

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che ci ha permesso di mantenere cre-dibile un “patto tra generazioni” e ilconcetto che l’educazione non è unfatto individuale ma comunitario. Èstata l’intuizione profetica che proba-bilmente ci ha permesso di essere pre-parati su quella che oggi viene chia-mata emergenza educativa, emergenzache oggi appare in tutta la sua eviden-za e che da tante parti (anche dai no-stri Vescovi) si sottolinea oggi comequella fondamentale.

Un tentativo di sintesi

Se così è, si può allora affermare chela comunità dei capi è una comunitàdi adulti che, nello spirito del Patto as-sociativo, serve i ragazzi attraverso l’u-so fedele e coerente del metodo scout,in una realtà locale che richiede diprogettare l’uso degli strumenti edu-cativi (il Progetto educativo).È quindi una comunità di servizio per-ché composta da adulti che, a monte,hanno scelto, come cristiani, come cit-tadini, come scout di aiutare la crescitadei ragazzi giocandola con loro nelloscautismo. Credo non ci possono esse-re molte altre interpretazioni.Non è né una comunità educante (senon nel senso dell’aiutarsi a crescereperché insieme si ragiona di educazio-ne), né una comunità di vita (se non nelsenso della condivisione e degli ap-profondimenti dello spirito del Patto).

È una comunità di persone che cerca-no insieme, ma nel perseguimento diun’autonomia intelligente, di diventa-re uomini e donne tenaci, appassiona-te, competenti, nello spirito di quel“soli e ben accompagnati”, che deter-mina le caratteristiche del nostro esse-re “chiamati per nome”, che è unachiamata alla responsabilità individua-le in una dimensione comunitaria, do-ve l’accompagnamento è l’elementodi sostegno.Faremmo allora un torto ai nostri gio-vani capi se dessimo loro l’illusioneche la comunità dei capi possa, o deb-ba, essere qualcosa di diverso.Li illuderemmo nel far loro credere dipoter trovare risposte che non potran-no – probabilmente – essere lì trovate,perché da ricercare anche altrove. Nel-le nostre comunità di capi potrannotrovare solo la risposta, una risposta al-ta e degna questo sì, al loro “senso delservire” e alcuni semi da piantare nelgiardino della propria auto-formazionee, in questo senso, ne è prova evidentequanto espresso nell’art. 20 dello Statu-to che evidenzia in modo cristallino ilsenso di questa bella “invenzione” perun’educazione dei nostri ragazzi sem-pre meglio strutturata.

Una porta aperta

Favorire la dimensione comunitaria equella individuale orientata al servizio,

nell’ottica di quanto prima espresso, èpiù una questione di stile che di tem-po da utilizzare, nonostante le preoccu-pazioni di averne poco a disposizione.Questo stile diventa, per ciascuno eper tutti, lo stile dell’essere capo equindi, riverberandosi nel lavoro ditutti i giorni con i ragazzi nell’aiutar-li a crescere, diventa il loro stile equindi lo stile e la “tradizione” delgruppo scout.Se tutto ciò è vero, questo stile nel vi-vere lo scautismo, nell’essere capo enell’essere comunità di capi crea un’a-spettativa rispetto al confronto – chenon può essere soddisfatta solo all’in-terno del gruppo – e che quindi spin-ge al trovare occasioni che lo possanofavorire.Queste occasioni sono il collante delsentirsi parte di un qualcosa di piùgrande, di più completo e che permet-te di scoprire comunanze che portanoalla dimensione della “porta aperta” sul-l’associazione e sull’esterno.Se ciò diventa prassi, avremo allora unarealtà dove la proposta educativa è in-carnata da comunità dei capi che non siconcepiscono come un luogo protetti-vo per capi che hanno nostalgia di clan,ma come comunità che si incontranoper fare sempre meglio il proprio servi-zio e per giocare in modo sempre piùefficace la propria presenza, a nome eper conto dell’associazione, nella Chie-sa locale e nel territorio.

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L’espressione comunità capi non mi hamai convinto pienamente.Mi è sempre parsa come un’espressioneche prefigurasse qualcosa di statico, dichiuso, una sorta di raggruppamentopiuttosto che un insieme di individualitàorientate ad una comunanza di servizio.Ecco perché ho sempre preferito e,quando possibile, utilizzato l’espressione“comunità dei capi” che mi pare espri-ma in modo più immediatamente per-cepibile il senso del suo essere e cioèquello di palestra dove il singolo capo,che mette in gioco tutto se stesso a fa-vore del servizio educativo, trova soste-gno, riferimento e, perché no, consola-zione.

Una storia minima

La prima volta che nello scautismo inItalia (e nel mondo, essendo una invi-diata realtà unica a livello planetario,almeno nei termini che noi conoscia-mo) si parla di comunità dei capi, è in-torno agli anni ‘69/’70, a cavallo tra unimportante Congresso capi (il QuintoCongresso ASCI della fine del 1969“Un Metodo per l’educazione alla vita so-ciale” che vide la partecipazione di ol-tre 800 capi) e il Consiglio generaleASCI del 1970.Sono anni, in Italia e in Europa, digrande fermento sociale ed ecclesiale.Anche nello scautismo nasce un viva-

ce dibattito educativo e metodologi-co, orientato a ricercare nuove stradee modalità per essere “capaci di ri-spondere al segno dei tempi, nella fe-deltà ai valori e al Metodo”.È interessante, direi fondamentale, no-tare che si parla di comunità dei capilegandola strettamente ad un elemen-to fondante la nostra storia che sta na-scendo negli stessi anni: il Patto asso-ciativo. Il Consiglio generale ASCI del1970 infatti, definendo una serie dicriteri sulle comunità dei capi, rileva alpunto d) che “le disposizioni relative al-la comunità capi devono essere intese nellospirito del Patto associativo e quindi nel ri-spetto delle situazioni locali”.In poche parole si esprimono e fissa-no due concetti fondamentali da cuinon si può sfuggire: la comunità deicapi fa riferimento allo spirito delPatto associativo e si incarna nel ter-ritorio.Nel giro di pochissimo tempo e conuna crescita tumultuosa (ci fu ancheun Commissario centrale alle comu-nità capi, Carlo Braca, aiutato da alcu-ni capi tra i quali anche un giovanePiero Badaloni), le comunità locali dicapi al servizio dello scautismo diven-nero una realtà ricca e feconda.La Route delle comunità capi di Be-donia del 1979, ha poi costruito/con-solidato, su queste premesse, la comu-nità dei capi che noi conosciamo.È stata questa l’idea vincente, quella

La comunità dei capi: storia,funzioni, contenuti attualiDopo quarant’anni la comunità capi funziona ancora?

Dobbiamo chiederci se essa risponde ancora al bisogno

formativo degli adulti impegnati in educazione.

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“Hubyoung è un progetto che nascedalla semplice constatazione oggi co-me sempre, che il bene più prezioso diuna società sono i suoi giovani. E oc-corre, in un epoca come la nostra, digrande crisi di identità, valorizzare lagioventù come un capitale utile allasocietà….La proposta è di un percor-so che è innanzitutto per i giovani: unprendersi sul serio e un’occasione perempower (mettere in grado qualcunodi), quindi un aprirsi efficacemente aipropri bisogni in un modo che i gio-vani stessi diventino i protagonisti in-traprendenti della loro vita professio-nale e sociale…” è questo uno stralciopreso da un progetto che si rivolge al-

la fascia di età 14 - 30 anni (!) realiz-zato dall’assessorato alle politiche gio-vanili della mia città, che ha vinto unbando di concorso e che è stato quin-di finanziato per un valore complessi-vo di € 2.864.544,00 con un contri-buto da parte della Regione Lombar-dia di € 1.051.00,00 e verrà realizza-to in due anni.Sfogliando le pagine di un recenteopuscolo del CSV della provincia diMilano «Che “MITI”…Questi Gio-vani», vademecum per orientare al vo-lontariato, mi hanno colpito alcunefrasi “Quando si parla di giovani, si ri-schia sempre di cadere in facili defini-zioni etichettanti: i giovani non han-

no valori, non credono più in niente,i giovani non fanno volontariato.” An-cora “ …i volontari in certe circo-stanze hanno dei pregiudizi nei con-fronti dei giovani e qualche volta si ar-rendono ancor prima di iniziare apensare proposte specifiche per lenuove generazioni.”Ogni domenica noi mettiamo in cam-po circa 30 mila volontari, i nostri ca-pi, definiti dal nostro statuto i sociadulti, di cui la stragrande maggioran-za giovani, i giovani di cui sopra; masono degli alieni? Vi immaginate chefinanziamenti potremmo ricevere ri-spetto a quello che facciamo?La partenza è per sempre, scrive Davi-de Magatti in questo numero e iorinforzo dicendo che la partenza è unascelta irreversibile che viene chiesta adun giovane, forse una delle uniche,l’altra è quella di avere un figlio: vi-viamo però in un contesto in cui igiovani respirano l’aria di scelte rever-sibili, che si possono cambiare.Se il dopo partenza si concretizza conla scelta di un servizio associativo e difar parte quindi di una comunità capidiventa il modo per fare un’esperien-za adulta di crescita.Il nostro capitale è il servizio educativoche ha un ruolo determinante per la co-struzione della propria identità di adul-to; le relazioni create, il sostegno ricevu-to dalla comunità capi, dallo staff, per-mettono di sentirsi parte di una rete so-

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Un tempo nuovo per il singolo e la comunità:

il già e non ancoraScegliere il volontariato educativo: servizio e crescita

personale nel dopo partenza in comunità capi

Patologie o segnali di fumo?

Una inappropriata applicazione delsenso della comunità dei capi, porta adelle “sofferenze” che permettono diaffermare che, pur ritenendo di es-serne immuni, anche le comunità deicapi soffrono di patologie (o quelleche potrebbero sembrare tali) per ora,forse non gravi, ma che rischiano dimodificare il DNA delle comunitàdei capi, producendo effetti distor-centi la proposta che dovrebbero in-carnare.Un esempio emblematico di questepatologie è la settimana comunitaria.Da qualche tempo, si sente racconta-re di settimane comunitarie di co-munità capi, esperienze cioè di vitainsieme nello stesso luogo.Se già metodologicamente non com-prensibili per la Branca R/S, da cuitraggono ispirazione, le settimane co-munitarie di comunità capi sono, amio giudizio, l’evidenziazione di unaconfusione di mezzi e di fini che nongioca a favore di nessuno. Non delsingolo, che si può illudere di trovareuna sorta di “terapia alla vita norma-le” quasi che la comunità dei capifosse altro, non della comunità cheimposta una dinamica di gruppo supremesse improprie e fuorvianti ri-spetto al senso del proprio essere.Certo è che dobbiamo chiederci, sequesta fosse una pratica diffusa, se

non sia una spia di qualcosa che nonfunziona e se forse la comunità deicapi così come è stata pensata 40 an-ni fa, non risponde alle esigenze deicapi di oggi.Se la comunità è funzionale al mi-gliorare il servizio educativo, forse lamaturità dei nostri capi, la loro mo-tivazione, l’essere capi come rispostaad una vocazione, non è sufficiente-mente forte e radicata. Allora quelloche giudichiamo una “stortura” forseè un “segnale di fumo” che ci fa pen-sare che la comunità dei capi va ri-pensata nel suo funzionamento omeglio, che i capi che abbiamo for-mato forse non sono realmente pron-ti per quella Partenza accordata maforse poco maturata?Potrebbe essere una spia del fatto chela società oggi è più complessa di 40anni fa, che la frammentazione chesubiscono i ragazzi è la stessa che su-biscono i giovani capi, che si fa fati-ca anche da adulti a fare sintesi nellanostra vita, che testimoniare i valoricristiani di cui dovremmo essere por-tatori è difficile perché spesso ci sisente soli, perché esistono pochi (nes-suno?) ambiti nei quali da adulti con-frontarsi, sostenersi, crescere e alloraquesta è l’unica possibilità tra quellerealisticamente percorribili per trova-re aiuto.

Piero Gavinelli

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Il punto di partenza della nostra ri-flessione è la semplice constatazioneche secondo l’evangelo non esiste unaetà della vita particolarmente adattaall’incontro con Gesù. Gesù incontraindifferentemente adulti, giovani evecchi. Anzi, se vi è, per così dire, unapredilezione essa va agli adulti che so-no indubbiamente la fascia di personecon cui Gesù si incontra più spesso.Ma il dato non va enfatizzato, né tra-sformato in teoria. È un semplice fat-to legato alle circostanze e ai luoghidella vita di Gesù. L’itinerario di se-quela proposto da Gesù non è un per-corso educativo, né secondo i canoniebraici, né secondo quelli greci. L’in-

contro con Gesù e la fede in Lui è unevento di Grazia che accade comeevento ‘dall’alto’, da Dio, secondo il ‘mi-sterioso disegno di Dio’ e accolto nellalibertà dall’uomo; la libertà di cui l’uo-mo, in quella età della vita, con quellastoria, in quel contesto, è capace.Da questa semplice constatazioneevangelica, confermata dalla vita dellachiesa, sorgono tre domande decisive: • Come si deve intendere il rapportofra educazione (fin anche educazionecristiana) e fede in Gesù Signore?

• Ha senso fissare un’età entro la qua-le un uomo deve necessariamenteessere giunto alla fede? Avere incon-trato Gesù Cristo?

• Per conseguenza: ha senso porre co-me scelta necessaria per la Partenzala scelta di fede?

Proviamo ad abbozzare una risposta.

• Come si deve intendere il rap-porto fra educazione (fin ancheeducazione cristiana) e fede in Ge-sù Signore? Il rapporto non va cer-tamente inteso nel senso che la fedesia un risultato di un processo dicrescita psicologico e pedagogico. Ilsuo carattere di Grazia e di liberalitàdivina lo impedisce. Si deve piutto-sto dire che anche nel tempo dellacrescita psicologica, intellettuale,morale, relazionale il vangelo va pre-dicato, annunciato e testimoniato:“quello che abbiamo veduto e sen-tito lo annunciamo a voi” dice Gio-vanni (1 Gv. 3) a cui fa eco Paolo:noi predichiamo Cristo crocifisso eguai se non predicassimo il vangelo.Del vangelo non si fa un richiamovago rimandando l’annuncio all’etàadulta, ma va predicato integral-mente e fedelmente in tutto il per-corso educativo. Non di rado suquesto punto la riflessione sull’an-nuncio della fede con il metodoscout ha fatto confusione quasi esi-stessero temi per i piccoli e temiadatti ai grandi. L’unica vera distin-zione è invece fra il Kerigma cen-trale – Gesù Cristo Signore e Salva-

L’esperienza della fede, igiovani-adulti, lo scautismo

Come si colloca l’annuncio di fede nel processo di

preparazione alla partenza? Cosa chiede il capo al rover

e alla scolta riguardo il suo percorso di credente?

E, soprattutto, siamo pronti per la sequela di Cristo?

ciale, esterna alla propria famiglia e dicontribuire al benessere di altre persone.Attraverso la relazione educativa siesplicita la volontà di trasmettere adaltri i valori interiorizzati nel proprioprocesso di crescita condividendoneideali, norme e regole.Se è vero che la transizione alla vitaadulta si è dilatata nel tempo e avvie-ne con tanti piccoli cambiamenti omicro-transizioni, come possiamorendere questo periodo un periodofecondo, un periodo in cui fare espe-rienze inserite in un progetto checonsentano ai giovani capi di diventa-re più adulti, più forti con un’identitàaffermata?Una risposta può essere quella di ini-ziare ad assumersi delle responsabilità:attraverso il servizio educativo si di-venta soggetti attivi, si è produttori diazioni e non solo consumatori, si di-venta generativi da un punto di vistasociale, ci si prende cura di un’altra ge-nerazione, si ha la possibilità di rico-noscere di avere ricevuto qualcosa cheuna volta rielaborato a mia volta do-no e nel momento in cui passo il do-no creo legame e relazioneContribuire alla crescita dell’altro, at-traverso il servizio educativo ha a chefare con il mio modo d’agire e con latrasmissione di quello che sono comepersona.La comunità capi va letta come untempo nuovo, un luogo in cui è pos-

sibile formarsi e crescere soprattuttoper i giovani capi alle prese con la de-finizione della propria identità e dellapropria strada verso il mondo adulto.Ma nelle nostre comunità capi o nellanostra associazione quanto e come siparla delle scelte che i giovani sonochiamati a compiere come ad esempiofare famiglia, scegliere il lavoro, interro-garsi sul valore del tempo e del denaroo su un cammino di fede matura? Inbranca R/S probabilmente se ne di-scute in vista della partenza e poi?Quali spunti di riflessioni e spazi ven-gono offerti? Con quali modelli educativi ci con-frontiamo e quale modello di uomo edonna proponiamo?Cercando risposte da dare ai nostri ra-gazzi e alle loro famiglie, si cresce sin-golarmente e come comunità.La relazione educativa, il rapportocapo ragazzo ci allenano a scegliere dache parte stare, a esprimere un pensierosu cosa è giusto e cosa è sbagliato, purse immersi in contesto percepito conpoche norme sociali e tentati dalla log-ica di rispondere “dipende” e quindilasciarci sopraffare dalla difficoltà nell’e-sporsi con norme e punti di riferimen-to chiari e precisi.La comunità capi offre la possibilità aigiovani capi di lasciare una traccia nelmondo, di cercare in questi anni giova-nili, vissuti ancora come un gran mine-strone, la spezia o l’aroma che da gusto

alla vita. È questo lo stile con cui starenella realtà concreta dell’oggi, comescritto nel nostro Patto Associativo?In Associazione sono presenti sicura-mente due generazioni distinte di ca-pi che affrontano fasi diverse della vi-ta portatrici ciascuna di proprie con-vinzioni e riferimenti, quale scambioc’è tra queste? Che cosa viene tra-smesso rispetto alle norme e ai valori?I capi che hanno fatto delle scelte re-lativamente alla loro vita dovrebberoessere in grado di trasmettere questaeredità alla generazione più giovaneaffinché quest’ultima la faccia propriae la rielabori attraverso l’entusiasmo ele difficoltà della vita.Mi piace pensare alla comunità capi,interpretando quanto scritto nello sta-tuto all’art. 20 come:• Un luogo in cui creare legami e relazioni• Un luogo di risorse finalizzate• Un luogo di virtù• Un luogo di incontro di generi diver-si (maschile e femminile)

• Un luogo di generazioni a confronto(le età della comunità capi)

• Un luogo in cui sperimentare l’esse-re adulto

• Un luogo in cui allenarsi all’eserciziodi un ruolo

• Un luogo in cui sperimentare fidu-cia e reciprocità

• Un luogo in cui attivare strategie.

Saula Sironi

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gesti simbolici importanti. Sonoanni impegnativi per i giovani-adulti: mantenere vivo in loro unriferimento al vangelo, ad alcunepratiche di vita spirituale, ai sacra-menti lascia il segno, da frutti.

– far approcciare il vangelo e Gesùsecondo la questione propria del-l’età: ‘voglio mettere la molta vitache ho da vivere alla sequela diCristo?’.

Nel passaggio alla vita adulta verso i25 anni, l’incontro con Gesù ela fede prendono la forma della‘conversione quotidiana’. Il Signorelo si incontra nella vita quotidianae le sue esigenze riguardano quella conversione quotidiana che Luichiama a fare con semplicità e ve-rità. Qui l’esperienza della fe-de assume due forme. Per chi lo hagià incontrato e già ha fatto atto difede diventa decisivo il carattere esi-gente del Signore Gesù e della vitaalla sua sequela. La tentazione di-venta quella di andare via (voleteandarvene anche voi?), di mollare. Ilcammino spirituale si modella comecammino verso una gioia ‘mariana’:lieve, profonda e, appunto, quotidia-na. Per chi deve incontrarlo,invece,proprio la quotidianità appare illuogo dell’incontro più vero conLui. Lì lo si cerca e lì lo si trova. Lìsi decide se credere in Lui o in al-tro. Ogni enfasi emotiva è bandita.

Qui il sostegno delle comunità capiappare piuttosto debole ed è forsebene che sia così. Fortissimo e uti-lissimo è invece il sostegno delleamicizie e dei rapporti veri che l’e-sperienza scout ha consentito di co-struire. Certa franchezza scout aiutaa ‘farsi le pulci’ sulla qualità evange-lica della propria vita; certa fiduciain Dio maturata sulla strada sa soste-nere gli amici ‘sfiduciati’, certa sen-sibilità scout sa farsi vicinanza diDio nel bisogno degli amici,...

• Ha senso porre come scelta ‘ne-cessaria’ per la ‘Partenza’ la sceltadi fede? È evidente, da quanto giàdetto, che fare della fede un risulta-to pedagogico-metodologico appa-re decisamente improprio. Il discor-so va approfondito. La fede stessaesige un tempo di crisi: dice il librodel Deuteronomio: ‘”fin qui ti hoportato su ali d’aquila, da qui inavanti verrai con me solo se tu vor-rai”. Il Signore Gesù fa eco: voleteandarvene anche voi? In terminiteologici: il mistero di Dio e di Cri-sto è scandaloso e stolto (scandaloper i giudei e stoltezza per i pagani)e viene il tempo in cui il credente eil non credente si misurarano conquesta scandalosità e questa stoltez-za: la crisi della fede. Gli itinerarieducativi cristiani non solo sannoquesto, ma ‘saggiamente’ promuovo-

no il tempo della crisi ‘teologica’. Adire il vero questo appartiene più al-lo scautismo che ad altri itinerarieducativi di ispirazione cristiana. Loscautismo, però, dopo aver promos-so la crisi promuove anche la scelta.È la partenza.

Con la partenza si dice sì a Cristo:

• nel magma delle indecisioni la par-tenza con il suo diktat sulla fede ob-bliga a posizionarsi. Questo ha va-lenza teologica; alla domanda: vole-te andarvene anche voi? Pietro ri-sponde: “Signore da chi andremo tusolo hai parole di vita eterna!” Cheequivale a dire: avessimo trovato dimeglio... ma non lo abbiamo trova-to e restiamo con te. Una buona ri-sposta per un partente.

• È prudente e onesto che a 20 annilo spettro della ricerca di Dio si re-stringa, almeno come prima ipotesiseria. L’estremo ‘basso’ di questospettro è l’accettazione del ‘vangelo’come propria regola di vita. Non‘riferimento’ o ‘testo importante’,ma ‘regola’, cioè impegno pratico avivere secondo il vangelo. Circa l’i-dentità del Signore non si hannoancora idee chiare, ma si accetta dalpunto di vista pratico di andarglidietro. L’estremo ‘alto’ è la risposta‘Tu sei il Figlio di Dio’, alla doman-da: “chi dite che io sia?” e la rispo-

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tore – e la fede e prassi ecclesiale,che da quel centro, talvolta in modoinfallibile o tal altra in maniera ‘fal-libile’, ha preso le mosse, e rispettoalla quale bisogna prudentementedare a tutti il tempo per fare un per-corso di approfondimento che lacomunità ha fatto in 2000 anni. Inconcreto: l’educazione scout è unluogo e un clima di straordinaria in-tensità educativa che spiana al via al-l’annuncio del vangelo...purché ilvangelo sia predicato!

• Ha senso fissare un’età entro laquale un uomo deve necessaria-mente essere giunto alla fede? Ave-re incontrato Gesù Cristo? La ri-sposta è certamente no! Il caratteregratuito e grazioso della fede e del-l’incontro con Cristo va salvaguar-dato in modo assoluto e nel rappor-to fra pedagogia e fede questa salva-guardia è realizzata affermando il ca-rattere ‘altro’ della Grazia del Signo-re. Ogni determinismo che riducelo spazio della Grazia divina e dellalibertà umana va rifiutato. Poichéperò, come dicevano gli antichi teo-logi, ‘la Grazia suppone la natura’ ildato antropologico non può essereeliminato, ma ha un preciso signifi-cato dal punto di vista teologico eprudenziale. Volgiamo ancora l’at-tenzione al vangelo. L’incontro conGesù ha un solo contenuto: credere

che lui è il Signore, lasciare tutto eseguirlo. Recentemente si usa l’e-spressione ‘dedizione incondiziona-ta’: non è male. Il vangelo però ciindica anche tre modi per così direantropologici in cui questa ‘dedizio-ne incondizionata’ prende forma. Ilprimo è quello di Nicodemo: peruna persona avanti negli anni l’in-contro con Cristo è ‘rinascere dinuovo e dall’alto’ anche quandocronologicamente questa operazio-ne appare fuori luogo. Per un uomoin età adulta – seconda forma - in-contrare Cristo significa ‘conversio-ne’, cioè lasciar plasmare da Cristo lavita concreta con le sue scelte e isuoi impegni. I discepoli, la Samari-tana e più ancora Paolo esprimonoplasticamente questo senso di ‘cam-biamento vitale’ che segue l’incon-tro con Cristo. Infine – terza forma– il giovane ricco, dove il senso del-la chiamata del Signore è rinuncia acostruirsi il futuro a partire da sestessi, dalle proprie ricchezze e daquella ricchezza che è il disporre diuna vita. La risposta alla domandaposta prende ora una prospettiva di-versa. È vero l’incontro fra Cristo eun uomo non avviene necessaria-mente ad un determinato tempo esecondo una scansione fissati in ma-niera deterministica, ma è anche ve-ro che esso avviene nella forma pro-pria della stagione della vita concre-

tamente vissuta dall’uomo nel mo-mento dell’incontro. Nel tempodella gioventù l’incontro con Cristoha ‘necessariamente’ la forma del:“cosa farne della ‘molta’ vita che siha da vivere”; e precisamente: ‘”vo-glio mettere la molta vita che ho davivere alla sequela di Cristo?”; “co-sa vuole Cristo da me?”. Siamo anostro avviso nel tempo che va dai19 anni (post-maturità) ai 25 (fineuniversità e affini). L’esperienza dellavoro accorcia un poco i tempi diquesta fase ma non di molto. Gli approcci intellettualistici – i fi-losofi e i sociologi studiati a scuola–, quelli ‘accomodanti’ – come farconvivere Cristo con il mio statosociale (di solito elevato) – e quelli‘tradizionali’ – le pratiche religioseche non danno fastidio – sono ap-procci inadeguati, anzi falsi. I com-piti dell’educazione scout – concre-tamente della parte finale della vitadi clan e di un bel pezzo della vitadi comunità capi – in questa fasciadi età sono:– lottare contro il nemico che vuo-le separare l’uomo da Cristo: de-naro, potere, cose materiali. Sonole tre tentazioni di Gesù. Bisognafar riflettere attraverso l’esperien-za della strada e del servizio sullavuotezza di queste realtà.

– predicare il vangelo: a parole, conla vita, con esperienze forti, con

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Primo pensiero, banale, ma necessario.

L’uomo vive per agire. La sua azionequalifica la personalità e la vita. Co-munemente questa azione si chiamalavoro. Il lavoro, quindi, dà dignità al-l’uomo. Guai se la persona “non si af-ferma nel proprio lavoro, ma si nega,non si sente appagata, ma infelice, nonsviluppa alcuna libera energia fisica espirituale, ma mortifica il suo corpo erovina il suo spirito”1. Se così accade, “illavoro non è più la soddisfazione di unvitale bisogno umano, ma un mezzo persoddisfare altri bisogni. […] Il risultatoè che l’uomo (il lavoratore) si sente li-

bero soltanto nelle sue funzioni bestia-li, nel mangiare, nel bere e nel genera-re, tutt’al più nell’avere una casa, nellacura corporale ecc., mentre nelle suefunzioni umane si sente una bestia.Il mangiare, il bere, il generare ecc. so-no in effetti anche schiette funzioniumane, ma sono bestiali se perdono illegame con la più qualificante attivitàumana (il lavoro) e diventano scopi ul-timi e unici”2.

Secondo pensiero, banale, ma inevitabile, vista l’ideologia dominante.

Non solo gli uomini, ma tutti gli es-

seri viventi hanno trovato nel gruppola possibilità di aumentare l’efficaciadelle proprie azioni.Adam Smith, filosofo morale, riflet-tendo su questo fenomeno, che nellaseconda metà del Settecento si andavamanifestando qua e là nell’attività pro-duttiva, elaborò la teoria della divisio-ne del lavoro. Sostenne che un operaionon addestrato e privo di macchineavrebbe potuto fabbricare “un solospillo al giorno, e certamente nonventi”3. Disse che lui stesso aveva vistouna fabbrica che in una giornata, condieci uomini e la divisione del lavoro,ne sfornava 48000. Teorizzò chiarivantaggi per il costo unitario, per ladiffusione del prodotto, per gli utiliaziendali, per la piena occupazione,per la formazione delle maestranze eper l’innalzamento del tenore di vita.Proclamò la necessità e la bontà del-l’interesse privato e della concorrenzae fece nascere l’economia classica ed illiberismo: tutto quello che la borghe-sia doveva avere in testa per sviluppa-re la propria azione. Dopo 72 anniMarx poteva dire “la borghesia hacreato forze produttive in massa benmaggiore e più colossali che non aves-sero mai fatto tutte insieme le altre ge-nerazioni del passato”4.Credo che la bontà del binomio ideechiare e azione di gruppo non abbiabisogno di altre considerazioni.L’attività produttiva e riproduttiva, la

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Pensieri del giorno dopoEssere scout è uno stile che deve trovare applicazione

costante nella vita quotidiana, anche quando

non si è più scout attivi. Ecco alcune idee per vivere

da adulti lo stile scout.

sta “sì”, all’imperativo: “Seguimi!”

Con la partenza si dice no:

• alla ricerca di Dio nella speranza dinon trovarlo;

• alla fede in ‘qualcuno’ di più gran-de;

• ad altri dei: l’egoismo, il potere, ildenaro, le cose, se stessi.

Riassunto:

• La Fede è mistero di Grazia e li-bertà che sfugge alla presa degli iti-

nerari educativi e può accadere inogni stagione della vita.

• L’educazione prepara l’evento diGrazia con un ‘clima’ e con la pre-dicazione del Vangelo. Lo scauti-smo è un clima straordinario cheprepara la predicazione... che puredeve essere fatta!

• Le domande chiave che guidano lapredicazione e introducono all’e-vento di grazia nell’età giovanile(19-25) sono: “voglio mettere lamolta vita che ho da vivere alla se-quela di Cristo?” e “cosa vuoleCristo da me?”

• La domanda chiave che guida lapredicazione e introduce all’even-to di grazia nella prima maturità(25-30) è: voglio lasciar plasmare lamia vita concreta da Cristo e dalvangelo?”

• La partenza, con umiltà, mette al-l’angolo il giovane obbligandolo aposizionarsi di fronte a Cristo...,poi ci penserà il Signore che nonvuole che nessuna vada perduto.

Davide Brasca

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panorama sociale, dei suoi bisogni, del-le sue opportunità, per orientare e con-cepire un’attività produttiva liberante epromuovente. Ci vuole una squadra dipersone competenti, curiose, leali, ca-paci di collaborare e di sacrificarsi,insomma un gruppo che abbia uno sti-le comune e inconfondibile. Potrei cer-care tra gli ex studenti di Harvard, diOxford, della Bocconi o di Eton, op-pure, più semplicemente, ma con mag-gior sicurezza, tra gli ex boy-scout. Chemi possa rivolgere al Masci?

Quarto pensiero. La vita di fede

Qui sono più esigente, e credo sia giu-sto; ma le richieste nascono sempredallo stesso stile. Ho bisogno di unacomunità capace di vivere una fedeadulta. Un cristianesimo che si nutradel confronto costante con la Parola,nella sua essenzialità; che sappia prati-care una liturgia trasparente ed auten-tica; che sappia riconosce il primatodella fede nella sua forza liberantecontro ogni perbenismo, moralismo,settarismo. Un cammino di crescitache sappia portar lontano, anche confatica, dalla superstizione e dalle pic-cole o grandi strumentalizzazioni. Sitratta della spiritualità schietta e sem-plice, perché a lungo e criticamentepurificata, della strada. Dovrò rivol-germi agli ex boy-scout? Dovrò ri-volgermi al Masci?

Quinto pensiero. Lo stile

In conclusione è una questione di sti-le, cioè di un complesso di abitudi-ni e di prospettive che non nascecasualmente, ma che deve esserevoluto e coltivato. Questo è il sensodell’ “ex”. Non certo nostalgia e cul-to del passato, ma garanzia di forma-zione e idoneità al presente. Noi sia-mo quello che abbiamo costruito, ilnostro “ex”.Gli uomini della partenza, gli ex boy-scout sono questo? O sono degli ex“cialtroncelli” del tutto inaffidabili?

Gian Maria Zanoni

1 Marx, K., Manoscritti economico-filosofici,Ed. Riuniti, Roma 1971, p. 300

2 Marx, K., Manoscritti economico-filosofici,Ed. Riuniti, Roma 1971, p. 301

3 Smith, A., La ricchezza delle nazioni,Utet, Torino 1950, p. 14

4 Marx, K., Manifesto del Partito Comuni-sta, Einaudi, Torino 1963, p. 150

5 Mancini, G., «Dal progetto ai materialila condivisione è di casa», Il Sole-24Ore, 5.11.2007, p.III

6 Mancini, G., «Dal progetto ai materialila condivisione è di casa», Il Sole-24Ore, ibid.

7 Mancini, G., «Dal progetto ai materialila condivisione è di casa», Il Sole-24Ore, ibid.

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ricerca, l’educazione, la fede.. tutto sisviluppa nell’indispensabile contestodi più soggetti coordinati. Si deve faresquadra, équipe, gruppo, lobby…e co-sì via enumerando. Senza scomodareAristotele, possiamo riconoscere chel’uomo è a tutt’oggi, e forse per mol-to tempo ancora, un essere struttural-mente bisognoso dei propri simili, po-chi o tanti che siano.

Terzo pensiero. La casa

La vorrei in un buon posto, con deivicini “accettabili”, solida ed ecologi-ca. Potrei adottare un progetto di“cohousing” (coresidenza): un esperi-mento di innovazione sociale. Trovoun gruppo di persone, singoli o fami-glie, interessate a progettare insieme ilcomplesso in cui andranno a stare, conil 20-25% della superficie-costruitadedicato agli spazi comuni. Il “cohou-sing-tipo” prevede 10 o 20 famiglie“che gestiscono assieme alcuni luoghidell’edificio o momenti della giornata,ad esempio una sala per il tempo libe-ro (dove mettere la televisione o siste-mare i giochi dei bambini), una cucinacondominiale, una lavanderia, una pi-scina, un grande spazio verde, un parcoauto, oppure un servizio di portineria“intelligente”(che paga le bollette, smi-sta la posta eccetera). In Italia ne sonostati avviati sei. […] Non si tratta discelte “estreme”: ciascun nucleo fami-

gliare ha la sua abitazione e la sua in-dipendenza. Semplicemente si tratta dipoter scegliere i propri vicini e di of-frire disponibilità e solidarietà nellepratiche quotidiane, dalla spesa alla cu-stodia dei figli, all’uso delle diversecompetenze e abilità”5.“Normalmente ci vogliono tra i sei ei nove mesi per mettere assieme uncerto numero di persone con la stessaidea di divisione, che spesso non si li-mita alla spartizione di spazi comuni,ma prevede anche la scelta di partico-lari materiali edilizi per la costruzionedella casa, di soluzioni tecnologiche einnovative che permettano una mag-giore efficienza energetica e un ri-sparmio economico”6.Sei o nove mesi non mi sembranomolti, anzi un po’ pochi, per trovare lepersone “giuste”, affidabili e senza“grilli per il capo”, a meno che nonsiano ex boy-scout. Facili da trovare ecertamente affidabili, anzi potrebberoessere i promotori di queste iniziative.“…una squadra di professionisti, ar-chitetti, specialisti di sostenibilità am-bientale e facilitatori sociali, che per-mettesse di ridurre questi tempi”7.Che sia una delle attività del Masci?

Quarto pensiero. Il lavoro

Non ho grandi pretese. Mi basta la ga-ranzia dell’identità tra finalità espressee finalità implicite. Un lavoro dignito-

so deve servire a qualcuno e gratificarechi lo fa. Per servire deve essere effi-ciente, per gratificare deve svilupparsi inun clima stimolante e collaborativo. Potrei farmi assumere dalla Ferrari.Pare che sia l’azienda più richiesta edapprezzata. C’è la coda per mansionidi qualsiasi livello. Certo, vincere ilmondiale costruttori non mi sembra ilmassimo del servizio all’umanità. For-se ci vuole una finalità più significati-va, perché la finalità rappresenta certa-mente un aspetto importante dellaqualità e del significato di un lavoro.Ma la finalità espressa non è tutto, an-zi. È certamente una condizione ne-cessaria, ma tutt’altro che sufficiente.Per questo non ho grandi pretese, mavoglio l’identità tra finalità espresse efinalità implicite. Anni di scautismo mihanno insegnato che anche dietro iprogetti più efficienti e generosi, voltial servizio del primo, del secondo odel terzo mondo, possono annidarsi fi-nalità implicite capaci di corrodere to-talmente la qualità del lavoro. E nonparlo solo di finalità implicite, più omeno inconfessabili, insite nella logi-ca stessa del progetto, nel suo realesenso ed effetto, ma anche e soprattut-to di quelle che animano i singoli par-tecipanti. Una squadra è vivibile senon ha “gente” animata da secondi,terzi o quarti fini. Chi ha un “suo”progetto intralcia, calpesta e alla finetradisce. Ci vuole un’analisi seria del

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sopportabile me stesso. Di te sfrontatoragazzino, che si pone qualche do-manda (non troppe) sulla vita e che inqualche momento pensa forse a quel-lo che io sono, cioè a quello che di-verrai fra trent’anni.

Ho bisogno di parlarti perché a voltevorrei ritrovare il tuo entusiasmo, latua sicurezza, la tua voglia di avventu-ra. La capacità di stupirti davanti almondo e di provare una gioia profon-da, intima, davanti alle montagne, allospettacolo della natura. Quel senso diriconoscenza a Dio per il mistero del-la vita. Quel sentimento di trovarsi al-l’inizio di ogni strada, al bivio primor-diale, avendo davanti a sé tutte le pos-sibilità, come se il mondo fosse statoappena creato e ci venisse chiesto sol-tanto di attraversarlo, felici, nell’alba diuna nuova era ricca di promesse.

Domani sarà il giorno della tua Par-tenza, lascerai il clan e ti avvierai perla tua strada, “senza voltarti indietro”,come hai scritto ai tuoi capi. So chehai deciso di lasciare lo scautismo,un’esperienza che pensi ti abbia ormaidato tutto quel che poteva. Ovviamen-te non voglio e non posso svelarti nien-te di quel che ti succederà ma tieni pre-sente (questo sì, ti prego) che a volte lecose non vanno esattamente come unose le aspetta e che nella vita può ir-rompere il caso e l’inatteso e in defini-

tiva l’esistenza prendere una piega as-sai diversa da come uno se l’era prefi-gurata. Vabbè, non voglio andare oltre,se no mi metto subito a fare quel chemi ero ripromesso di non fare e cioèil distillatore di morali e precetti di vi-ta. Invece sono qui, con molta umiltà(e la cosa non mi è per nulla facile,specialmente davanti a te) per fare do-mande anziché per dare risposte.

Trent’anni sono un periodo di temposufficientemente lungo per dimentica-re ciò che siamo stati e io sono abba-stanza curioso di riscoprire il ragazzoche ero (e che tu sei), di ritrovare quelbatticuore che quando sei giovane ti fastar male ma che quando diventi adul-to ti manca da morire e sei tentato diricercare in situazioni che non te lopossono più regalare. Dove trovi l’entusiasmo? Che saporeha la vita prima di essere inquinatadalla slealtà e dal tradimento? Ricor-do alcune parole di una lettera di An-na Frank, scritta nella sua soffitta, pri-ma che la trovassero le camicie brune;sono solo un mozzicone di frase mami sembra dicessero: “Fino a quandopuoi guardare il cielo senza timore...”.Guardare il cielo... che gioia semplice,eppure profonda... Bisogna avere oc-chi grandi e cuore forte per poterlofare; direi quasi un esercizio di corag-gio puro. Talvolta abbiamo paura di es-sere felici.

Altre volte non ne siamo capaci. Anzi,aspetta, voglio cercarla meglio quellafrase, perché oggi mi pare così impor-tante... ecco diceva esattamente:“Quando guardavo fuori, immergendominella profondità di Dio e della natura, misentivo felice, assolutamente felice. Peter,finchè c’è questa felicità interiore, questo go-dere della natura, della salute e di tante al-tre cose, finchè si ha tutto questo si torneràsempre a essere felici. Ricchezza, fama, tut-to puoi perdere, ma questa felicità nell’in-timo del tuo cuore può soltanto velarsi e sirinnoverà sempre finchè vivrai. Finchè puoiguardare il cielo senza timore, sappi che seiintimamente puro e che ridiverrai comun-que felice”.

Questa felicità oggi io cerco ma nonricordo: tu la sentivi? Avevi paura ocoraggio? Amavi la vita o ne provavitimore? Eri curioso o disattento? Nonpensare che io oggi sia messo così ma-le da vagare senza bussola nell’esisten-za. Ma giunge un giorno nella vita incui per camminare a testa alta bisognafare appello a tutte le proprie risorseinteriori, anche quelle sepolte in unpassato lontano e quasi dimenticato.Ciò che sei stato a vent’anni ti aiuteràsempre o al contrario sarà per te unazavorra duratura.Ho bisogno di sapere se questa felicitàl’hai mai provata.

Certe sere torno a casa stanco e in-

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“Lettera a me stesso il giornoprima di prendere la Partenza

Milano, 3 giugno 2009

Caro Roberto,approfitto degli straordinari progressidella posta elettronica per scriverti unalettera che ti raggiunga il giorno pri-ma che tu prenda la Partenza. Una let-tera a te indirizzata (potrei anche di-re: a me stesso indirizzata) più o me-no dove abiti ora ma che riceverai cir-ca una trentina di anni fa. Certo, for-se resterai un po’ sorpreso. Tu vivi inun tempo in cui si racconta di lettereo cartoline che giungono al destinata-

rio con una trentina di anni di ritar-do. Mai hai sentito dire di messaggiche giungono con una trentina di an-ni di... anticipo! Con ogni probabilitàneppure sai che cosa è la posta elet-tronica... Eppure, credimi, il progressoè stato tale che oggi i sistemi di co-municazione sono in grado non solodi annullare la distanza spaziale(schiacci un tasto e.. oplà, la tua lette-ra viene recapitata a migliaia di chilo-metri di distanza, che ne so: in Tasma-nia o nella Nuova Caledonia) ma an-che di annullare la lontananza tempo-rale (posso scrivere a chi mi legge og-gi, domani oppure...l’altro ieri). Lo so,già ti vedo scettico, ma ti prego, alme-

no per una volta, cerca di non esserequell’insopportabile sbruffoncello cheti riesce così bene di essere. Qui nonè qualcun altro che ti parla ma sonoio, cioè tu stesso. Fidati almeno di te esmettila di rivolgermi quel sorrisinoironico e saccente che tanta voglia diriempirti la faccia di sberle faceva ve-nire a tuo padre, ai tuoi professori eanche a qualche capo scout.Se mi prendo oggi la briga di scriver-ti (e detto fra di noi, avrei cose anchemolto più piacevoli da fare..) non ècerto per farti la morale, metterti inguardia sui pericoli dell’esistenza, dar-ti suggerimenti pratici per cavartelanelle difficoltà che stanno per piover-ti addosso. No. Queste cose so beneche non ti interessano. Faresti finta diascoltarmi, muoveresti la testa con am-pi cenni strizzando l’occhio a un vici-no come per dire: ma senti un po’ cherazza di storie viene a raccontarmiquesto... lo so, sai essere spietato, irri-verente, persino sprezzante. Pensi diavere il mondo nelle tue mani e que-sto ti fa sentire un semi-Dio.

Se oggi mi rivolgo a te, non è perchého qualcosa da insegnarti o una predi-ca da impartirti. Oggi ti scrivo nonperché tu abbia bisogno di me mapiuttosto il contrario. Perché, perquanto possa sembrare assurdo, sonoio che ho bisogno di te. Di te Rober-to, brutta bestiaccia; di te, giovane, in-

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Un uomo solo (nella società complessa)

È quasi mezzanotte, sono solo in casa. Accendo il computer

e da un cassetto remoto della memoria apro un file nascosto.

Non so da quanto tempo si trovi lì.

Appaiono due lettere che leggo sottovoce...

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in Afghanistan, gli Sciiti che fanno larivoluzione in Persia... ti basta? Inol-tre, scusa se parlo di me stesso, ma de-vo anche decidere cosa fare l’annoprossimo, se optare per il servizio civi-le oppure lasciare tutto e andare inAfrica come ha fatto Marco, che perme è un mito. Oppure se accettarequella proposta di un posto in bancacome ha fatto Giulia che di certo nonè una scema. Non sono dubbi sempli-ci, te lo assicuro. E dovrei venire a far-ti i massaggini alle tempie in modoche tu possa ritrovare il tuo perduto

benessere psicologico? Caro mio, dat-ti una mossa e arrangiati. Ogni stagio-ne ha le sue tempeste e io ho già ab-bastanza da fare a ripararmi dalle mie.Se proprio vuoi un consiglio te lo di-co: cammina con la testa dritta e sen-za voltarti sempre indietro che se no tiviene il torcicollo e magari cadi inqualche buca. Il coraggio di viverecercalo insieme ai tuoi amici (sempreche tu sia stato in grado di farteli econservarteli, eh, eh) ed evita di auto-compatirti. Se poi qualche volta ti tro-verai da solo guarda pure il cielo ma

non per cercare consolazione bensì laconferma che il mondo è più grandedel piccolo universo individuale nelquale ti sei cacciato e che tu devi so-lo andargli incontro e abbracciarlo.

Questo almeno ti ho scritto nella mialettera di Partenza e mi faresti unagrossa cortesia se non te lo dimenti-cassi. Adesso scusami ma ho da fare.Ciao bello, buona strada, ci vediamofra trent’anni.”

Roberto Cociancich

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soddisfatto. Tutto appare così difficile ecomplicato. Ho come l’impressioneche gli uomini del mio tempo abbia-no perso il gusto della fraternità e cheprevalga la lotta gomito a gomito, ildesiderio di arricchirsi a scapito deglialtri, di chiudersi nella cittadella che cisiamo costruiti intorno. Dove sono gliideali? A volte mancano persino leidee. Le nuove tecnologie pongonodomande alle quali non so più rispon-dere: quando inizia la vita? Quando èlecito farla cessare? Cosa vuol dire uo-mo, cosa vuol dire donna? Ti sembre-ranno domande semplici, persino ba-nali ma ormai la genetica, la ricercasulle cellule staminali, quella farmaco-logica ci costringono a rimettere indiscussione tutto quello che avevamoconsiderato indiscutibile fino ad ora.Notizie terribili trapelano dalle pagi-ne dei giornali: uomini che ributtanoa mare carrette piene di immigrati di-sperati, ragazzi che si fanno saltare lebudella con i chiodi e l’ esplosivo inodio al vicino, campi illegali di pri-gionia gestiti da superpotenze... L’u-manità viene depredata, la natura vio-lentata. Dove stiamo andando? Chesocietà stiamo costruendo? È questociò che volevo? È questo ciò che de-sideravi? Ho davvero lottato abbastan-za per la giustizia, per la fraternità fragli abitanti della Terra? Mi domandoallora se non sto cominciando a farmicadere le braccia, a rinunciare a quel

sogno che sono certo di avere avutoun giorno nel cuore. Tu forse te la ri-di ma ciò che mi dà ansia non è oggiquello di restare solo ma quello di ave-re forse lasciato troppo soli le donne egli uomini che ci hanno creduto perdavvero e non solo a parole.

Dicono che non si può tornare indie-tro ma se tu mi ascolti vieni da me,portami un po’ della tua sfrontatezza,aiutami ad uscire dalle minacce degliincubi e salvami con la tua voglia dirisvegliare il mondo.

Risposta all’uomo che non conosco

Milano, 2 giugno 1979

Ciao Rob,vedo che te la passi male. Scusa la fran-chezza ma ti ho trovato un po’ pateti-co. Il sogno, il cielo, gli anni che passa-no, l’umanità depredata... magari pote-vi aggiungerci anche le mamme cheimbiancano e la canottiera di lana e co-sì eravamo a posto. La storia della postache torna indietro nel tempo, poi, è adavvero fantastica. Ma per chi mi haipreso? Per uno con l’anello al naso?tanto per cominciare so benissimo co-sa è la posta elettronica che noi chia-miamo BBS (Board Bulletin System) eche anche se ancora poco usata è evi-dente che da qui a poco si svilupperà

in modo massiccio. Però l’inversionedel tempo... ti prego! Non potevi tro-vare qualcosa di più verosimile?

È evidente che tu sei solo un partodella mia fantasia, un me stesso imma-ginario a cui do un appuntamento fratrent’anni, un Roberto a cui ho indi-rizzato la mia lettera di Partenza chesabato prossimo leggerò davanti a tut-to il clan. Dare un appuntamento a sestessi è un chiodo fisso del mio capoclan, dice che dobbiamo verificarci ditanto in tanto, capire se le scelte dellaPartenza le abbiamo portate avanti,che poi bisogna aggiornarle e poi bla,bla, bla... Per farlo contento ti ho in-ventato. Mi sono immaginato questoscambio di corrispondenza. Ho salva-to le tue lettere e le mie risposte nel-la memoria remota del mio computer.Certo che mi sei venuto fuori propriomale...

Se sei depresso vai a farti un giro, dor-mi di più e frequenta qualche bella ra-gazza (sempre che tu non ti sia sposa-to nel qual caso te lo sconsiglio viva-mente...). Ti prego, però: non scoc-ciarmi con i problemi del tuo tempo.Tu pensi che noi non abbiamo già inostri? Te ne cito alcuni: inflazione, di-soccupazione, la guerra fredda, la mi-naccia nucleare, la droga che dilaga, ilterrorismo rosso, il terrorismo nero, ilprocesso di Piazza Fontana, la guerra

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provoca, specie ad un’età in cui le ri-sposte che posso dare come capo so-no ancora piene di incertezza. Pensoalla scelta di fede e alle bellissime pa-gine che ho sentito narrare dai capinella condivisione del proprio proget-to di capo. Penso al contrario alla se-rietà con cui tanti capi vivono la fati-ca di questo cammino e che con al-trettanta sincerità si impegnano in uncammino di autentica ricerca che for-se riesce ad intercettare con più effi-cacia l’indifferenza dei nostri ragazzi.Come fare emergere e condividerequesta ricchezza che deriva da un vis-suto reale che mi coinvolge ed è ca-pace di incidere profondamente sullamia crescita?

Mi sembra che lo strumento diventasolo un adempimento: c’è anche ilprogetto del capo nel programma dicomunità capi! Un ulteriore elemen-to di serate già molto intense, per ar-rivare al paradosso di concludere l’an-no, non avendo ultimato la condivi-sione di tutti i progetti e poi ricomin-ciare con la ripresa delle attività. Ov-viamente ci sono esperienze moltovirtuose: la condivisone del progettodel capo avviene durante un’uscita dicomunità capi preferibilmente all’ini-zio delle attività, in un contesto e cli-ma di comunità certamente più favo-revoli.Una seconda obiezione: se l’esercizio

di fare il punto sulla proprio vita ècertamente un esercizio lodevole, michiedo quali sono poi le conseguenze.Narro in comunità i contenuti delmio progetto e poi vorrei trovare ri-sposte... Ma è così?

Il bilancio dunque non mi sembra po-sitivo. Proviamo a mettere in fila i pro-blemi:

1. C’è indubbiamente un bisogno diformazione all’interno della comu-nità capi. Una delle ragioni del suc-cesso della comunità capi è proprioquello di condividere con altri l’im-pegno del servizio di capo. Anche lastessa responsabilità educativa è pri-mariamente del gruppo, del suoprogetto, anche se vissuto ed inter-pretato dal singolo capo a cui la co-munità capi dà il mandato del servi-zio di una unità. La gestione e lacorresponsabilità educativa credosiano vissute con grande senso di re-sponsabilità dai gruppi, con mo-menti critici di tensione (il famoso“quadro capi”) che fanno parte del-la quotidianità di esperienze di vitaa cui si tiene!

2. La formazione avviene all’internodi una comunità di “pari”: non cisono livelli diversi di capi all’inter-no di una comunità capi. Il tema ri-chiama quello dell’animazione ed il

ruolo di continuità che un tempo lapresenza assidua e costante di un AEdedicato garantivano. Ma oggi nonè più così.

Il Consiglio Generale del 2009 ha ap-provato la nuova versione dell’artico-lo 47 del Regolamento che rende piùesplicito il legame tra progetto educa-tivo e progetto del capo. I nuovi am-biti del progetto del capo sono: lacompetenza metodologica, la vita difede, la responsabilità sociale e politi-ca, l’adeguatezza al compito e al ruo-lo di educatore. Nel documento pre-paratorio si precisa che “Lo strumentodel Progetto del capo aiuta il socio adultoad orientarsi nel percorso di formazio-ne permanente, e nella misura in cui neesplicita le esigenze formative. Diventa l’elemento utile anche alla programma-zione della vita di comunità capi ed al-la progettazione nelle strutture associa-tive. Il Progetto del capo è uno strumentorivolto a tutti i soci adulti fin dal loro in-gresso in comunità capi. Solo la comunitàcapi è il luogo di attribuzione dei si-gnificati di un Progetto del capo. Ad essaspetta il compito di stabilire le modalità distesura e di verifica modellandole in fun-zione delle proprie esigenze e di quelle deisuoi membri”.

Ho evidenziato i passaggi e le parolechiave che mi sembrano più signifi-cativi.

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Siamo figli della stagione dei “proget-ti”: progetto associativo, regionale, dizona, di gruppo, di unità ed infine delcapo! Abbiamo vissuto la stagione divedere tutti i livelli del progetto arti-colati in modo coerente e quasi gerar-chico….Che fatica! Certamente è sta-to e credo sia tuttora un grande sfor-zo di produzione di documenti. Nonsono necessariamente convinto chetutto ciò aiuti il capo nella sua attivitàeducativa. È finito per prevalere losforzo elaborativo sul vissuto reale, inparticolare su quell’aspetto della rela-zione educativa che è fatta, proprio inquanto relazione tra persone, di em-patia, complicità, capacità di coglierele occasioni, le parole e che pertantonon si esaurisce nella definizione arti-colata di obiettivi, strumenti, verificapropria della programmazione in di-verse campi del sapere umano.

“Meno progetti e più relazioni”: po-trebbe essere il motivo che descrivesinteticamente quanto mi sembra sirespiri in associazione. E ciò mi sem-bra curioso perché accomuna ex-capi,come il sottoscritto, come i capi gio-vani ed in servizio (figli compresi!)che ho avuto e continuo ad avere l’oc-casione di incontrare!

Il Progetto del capo mi sembra rap-presenti un buon esempio, forse il piùparadigmatico. L’ispirazione credo sia stata quella difornire alla comunità capi uno stru-mento di crescita per adulti. La comu-nità capi non è una quarta branca maluogo di condivisione della scelta diessere capi. Poiché la scelta di esserecapi e persone richiede la disponibilitàcontinua a progettarsi… ecco l’ideadel progetto del capo.

Pur nelle diversità di soluzioni adotta-te mi sembra si possano riconoscere ilmomento di elaborazione personalerispetto ad una griglia comune, quel-lo di condivisione in comunità capicon la possibilità di essere affidato adun capo più adulto come aiuto e cor-rezione fraterna. Si chiede in altre pa-role ad ognuno di confrontarsi con lescelte di essere capo e quindi con gliimpegni in unità, nella comunità capied in generale nella vita associativa ac-canto agli impegni di vita personale.

Una prima obiezione: il contenuto ri-chiama la mia vita (verifica) con unadefinizione (progetto) che poco si ad-dice alla frammentarietà delle nostrescelte anche quando sono vissute congrande determinazione. L’esperienzaautentica di crescita personale comecapo si realizza nel servizio con i ra-gazzi. In tutto che ciò esso comporta:interrogarsi sui bisogni di Carlo, Ma-ria etc… i ragazzi/e che ci sono affi-dati, organizzare un programma di at-tività, giocarsi nel ruolo di adulto chela struttura del metodo ci permette divivere con tutte le nostre incertezze.Ed è proprio in questa dinamica (ruo-lo e vissuto personale) che sono con-tinuamente provocato ed interrogatosulle motivazioni e sulle risposte checerco di dare. Non c’è progetto del ca-po che tenga rispetto alla ricchezze eproblemi che la relazione educativa

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Il progetto del capoIl progetto del capo è un ennesimo adempimento associativo

o uno strumento di crescita per adulti?

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Premessa

Cosa pensa l’opinione pubblica, lagente comune, “l’italiano medio”della partenza? La favorisce o la osta-cola? Ci rispondereste: “Cosa devepensare!? Nulla, non sa cosa sia!”.Non è proprio così nella pratica.Pensate se facessimo alla “opinionepubblica” la stessa domanda posta inaltro modo: “Ha ancora senso oggiparlare della partenza e quindi con-siderare l’età dei 21 anni quella del-le scelte irrevocabili? Ha senso vole-

re che la partenza sia un momentosignificativo nel quale si esprimonogli orientamenti della propria vita inmodo definitivo?”.Messa così la domanda la risposta del-la maggioranza sarebbe “noooo! Lescelte vere sono molto, molto più tar-di!”; e, attenzione, nel pensare mag-gioritario, di tendenza, siamo dentrotutti se non stiamo attenti; l’associa-zione, i genitori…Se non vigiliamo: è questo il nostropunto di partenza; su questo tema sirema controcorrente: non è facile!

Quando si possono decidere orientamenti di vita

Dal punto di vista pedagogico poco ècambiato negli ultimi decenni e pro-babilmente le riflessioni sulla partenza– sintetizzate dallo slogan della routenazionale di branca R/S del 1986 “Lescelte per un mondo che cambia” –sono ancora attuali. A 20-22 anni inItalia il proprio ruolo sociale è mal de-finito: si è scelta una facoltà universi-taria, ma non si sa quale sarà lo sboc-co lavorativo di tale scelta; si è comin-ciato a lavorare ma si sa che sarà il pri-mo precario lavoro che cambierà an-cora molto nel tempo; si può essereinnamorati e si può avere l’orienta-mento verso la costituzione di una fa-miglia, ma senza sapere quando e conquali condizioni, men che mai si pen-sa ad un autonomia abitativa... Sappia-mo che nella mentalità comune euro-pea la macro categoria adolescenza“dura” per questo fino ai 30-35 anni!Eppure la medicina e in particolare leneuroscienze, allo stato attuale delleconoscenze, pongono il limite dellosviluppo delle aree della sostanza gri-gia della corteccia cerebrale e di quel-le al di sotto di essa intorno ai 22 an-ni. In sostanza “all’inizio della pubertàcrescono le competenze cognitive;poi, durante la pubertà quelle esecuti-ve; dopo, nel periodo immediatamen-te post-puberale, quelle sociali e intui-

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È uno strumento nel percorso di for-mazione permanente: certamente fareil punto è sempre utile. È allenamen-to all’autoeducazione che deve sempreessere ispirato dalla flessibilità e dina-micità dell’azione educativa in cuiogni tappa è qualcosa che nel mo-mento stesso in cui la definiamo (ed èper questa utile!) è già superata perchénuovi orizzonti si aprono.È bene che lo sforzo si concentri (e silimiti!) su tempi, risorse, obiettivi e fa-tiche del mio essere capo in quell’an-no, in quella unità, con quello staff etc.più che pretendere di essere “revisio-ne annuale della tua vita”.Mi sembra di cogliere un certo grado

di autoreferenzialità nel pensare che lacomunità capi “è il luogo di attribu-zione di significati del progetto del ca-po”. Sarei più preoccupato che la co-munità capi sia luogo di esperienza direlazioni significative (come fortuna-tamente è nella realtà), di un clima difraternità e condivisioni (impegno diservizio!) possibili!Infine credo che proprio l’aspetto del-le modalità e verifica siano gli aspettisu cui si debba principalmente riflet-tere. La narrazione o prendere appun-ti in un diario personale sono certa-mente modalità più incisive della for-malità di una griglia. Forse anche l’a-spetto della condivisione non è poi

così necessario onde evitare che ci sitrasformi in luogo di autocoscienza!

“Esiste una leggerezza della pensosità,così come tutti sappiamo che esisteuna leggerezza della frivolezza; anzi, laleggerezza pensosa può far apparire lafrivolezza come pesante e opaca”. Co-sì diceva Italo Calvino nelle sue cele-bri “Lezioni americane”. Oggi, intempo di crisi, ci sentiamo tuttischiacciati dalla pesantezza della realtà.

Non facciamo diventare il Progettodel capo un altro peso!

Andrea Biondi

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Cultura sociale, cultura associativa: i nodi della partenza

Partenza: età delle scelte o dell’incertezza?

Qual è l’immagine di adulto che offre la società

contemporanea? Le scelte della partenza

devono confrontarsi con la società nella quale si vive.

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rischia di non averne più nessunodentro di sé”; questo è l’obiettivo chein ogni tempo, in diverse culture, a di-verse età, l’educazione si può dare. Cesare Sommariva, utilizzando la lun-ga esperienza personale nell’ambitodella scuola Popolare e con riferimen-to alle tesi di Romano Guardini, con-sidera le grandi stagioni della vita co-sì definite:• dallo zero ai 20: il cammino versol’autonomia

• dai 20 ai 35: cammino verso lamaturità

• dai 35 ai 55: l’agire maturo • dai 55 ai 65: la definizione dell’ope-ra e consegna

• dai 65 in poi: una stagione in granparte ancora da scrivere.

Da qui un concetto nuovo per quan-to stiamo dicendo: “la maturità comeinsieme di atteggiamenti e comporta-menti che fanno la persona adulta” el’idea che a quella età (l’età della par-tenza) inizia un cammino radicalmentediverso dal precedente e irreversibile. Ci possiamo allora chiedere: il percor-so “dalla promessa alla partenza” èorientato a far sì che lo scautismo di-venti luogo di senso, significativo perla mia vita di oggi e per il mio futu-ro? Oppure è una somma di “attività”,dove prevale la regola sull’intuizione,l’organizzazione sull’esperienza, lanoia sulla passione, la ripetitività sul-l’esplorazione?

Nella vita precedente della comunitàr/s e nel suo tratto finale orientato al-la partenza i giovani sono posti difronte ai temi che la maturità dovreb-be comportare?In sintesi: per dare un senso pieno al-la partenza come momento delle scel-te, occorre avere ben chiari alcuni pre-cetti, che non sono rivolti ai rover ealle scolte, ma alle comunità capi.

1. È noto che si cresce per crisi e di-scontinuità. Ogni evento di cresci-ta è segnato da passi importanti: co-noscenza di sé, scoperta del passosuccessivo da compiere, balzo inavanti lasciando alle spalle il “vec-chio”, conoscenza della nuova con-dizione: si tratta di un processo for-mato da continue fratture e ricom-posizioni, di un equilibrio instabileche per procedere correttamente habisogno di un grande dispendio dienergie. In questa prospettiva si po-ne la partenza, che deve essere unforte elemento di rottura. Gli stru-menti del metodo sono orientatiespressamente in questa direzione.

2. Ciò annullerebbe il pensiero domi-nante, nella società ma anche – cisembra – nello scautismo, che l’a-dulto ha un ruolo protettivo. L’a-dulto rimuove gli ostacoli piuttostoche farli affrontare, sopisce i con-flitti piuttosto che farli esplodere egovernare, ammansisce piuttosto

che proporre il duro confronto, sicomporta da “piccolo” piuttostoche proporsi come “grande”, accu-disce e tutela piuttosto che lasciarespiccare il volo, cura piuttosto cheeducare.

3. Dalla qualità delle domande di-pende la qualità delle risposte. Co-sa chiedono i capi C/F nelle lette-re della partenza? Proviamo alcuniesempi; sul futuro: il tempo ci co-stringe a priorità: sento la pesantez-za e il rigore dell’impegno? Chepercorso ho preparato per la miaformazione personale: sono alla ri-cerca di episodi o di progetti? Sul-la scelta scout: ho costruito rappor-ti coi ragazzi di cui sono soddisfat-to: dove arriveranno e quale fedeltàposso/devo prestar loro? Sul dovevivo: quanto rispecchia la mia vitasociale l’essere scout? Da questedomande, che guardano all’espe-rienza fatta, devo aggiungere quel-le su quella che farò: la scelta edu-cativa è un mio tratto vocazionale?E dopo essermi interrogato sui va-lori fondamentali occorre anchedomandarsi in quali condizioni divita una persona intende mettersi:le condizioni di vita (casa, lavoro,partner…) in cui oggi sono, deb-bono essere modificate? come? Equali sono le regole (ritmi di vita,sessualità, uso del denaro…) che mido per arrivare a questo? Capite

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tive; e, infine, in epoca decisamentepost-puberale quelle decisionali”1.Ciò significa che dal punto di vistastrettamente biologico è completa-mente sviluppata la capacità di assu-mere le decisioni!Tiriamo dunque una prima intuitivaconclusione: dunque le decisioni posso-no essere prese, ma occorre che ci sianole condizioni sociali perché tale poten-zialità possa essere sviluppata appieno.Non è dunque sbagliato porre il limi-te della partenza intorno ai 20-22 an-ni; anzi, quello è proprio il tempo perdeterminare consapevolmente le pro-prie scelte future, ma, comunemente,non succede!

Una contraddizione da gestire: come?

Questa oggettiva contraddizione tracondizione sociale e condizione bio-logica quali r iflessi ha sugli atteggia-menti e i comportamenti degli indivi-dui e dei giovani soprattutto? Facciamo degli esempi.Il lavoro: una parte dei rover e dellescolte che prendono la partenza han-no già un lavoro ma senza dubbio vi-viamo in una società dove l’ingressonel mercato del lavoro è rinviato dal-la necessità di studiare e dalla possibi-lità di sopravvivere con risorse fami-liari: la prima è una richiesta dellacomplessità sociale cui dobbiamo sot-

tostare, la seconda una scelta di como-do cui possiamo sottrarci, pena restaredei “bamboccioni”. Ancora sulla responsabilità come cifradell’età adulta compiuta: è la geronto-crazia, cioè il mondo degli adulti, chetende a prolungare artificiosamentel’età della giovinezza e dell’incertezzao lo stato di non responsabilità che ciòcomporta è tutto sommato soddisfa-cente?Alcuni comportamenti sociali indica-no chiaramente come la società nelsuo complesso non metta fretta anzi.Pensiamo alla cura dell’aspetto esteti-co e della propria forma fisica, con l’o-biettivo del mantenimento dell’eternagiovinezza e prestanza corporea; è unmodello oramai consolidato nell’opi-nione pubblica: lo scautismo ha sem-pre dichiarato la forma fisica non co-me fine ma come mezzo.Pensiamo, ancora, come dietro all’in-stabilità di tante giovani famiglie (e al-la difficoltà stessa di pensare alla possi-bilità di famiglia) ci sia spesso il rim-pianto di non poter più fare quelle co-se – la discoteca, il calcetto, le ore pic-cole – ostacolate o proibite dalla curadei figli piccoli. Dal punto di vista psicologico si puòaddirittura arrivare a pensare che l’o-biettivo dell’adulto contemporaneo siala permanenza di una condizione diimmaturità giovanilistica e spensierata.“L’immaturità è diventata una virtù

della stessa maturità. Ci si raccontaquesta favola per autogiustificare l’e-suberanza della voglia di trasgredireancora, di prolungare le incertezzegiovanili”2.L’affermazione è terribile dal punto divista educativo: viene meno infattil’immagine dell’adulto autorevole edautonomo. Il giovane non ha modelliai quali ispirarsi; l’adulto non ha mo-delli da proporre (se non quelli forni-ti dai mezzi di comunicazione).Il come aiutare le scelte è dunque ilproblema: risalire un fiume controcor-rente o andare controvento non è unacosa facile!Se questa lettura è vera, la questionedella partenza si sposta dall’ “essere”delgiovane rover e scolta a quelladell’”essere” del capo adulto: occor-rerà fare un a proposta rigorosa ma an-che sostenere ed aiutare.

Cosa possiamo chiedere a un ventunenne?

Per rispondere alla domanda dobbia-mo incrociare due visioni: una idea diciò che deve e può dare l’educazionee una idea di ciò che in quella stagio-ne della vita è richiesto. Duccio De-metrio nel suo recente saggio “L’edu-cazione non è finita”3 da una rispostaalla prima questione: “ridare un nomeai valori, agli orientamenti di senso,senza i quali, navigando allo sbando, si

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che la partenza, anche solo fermaalle prime domande, apre veramen-te la strada a quel nuovo camminonella maturità!

4. Tra le regole da darsi c’è nella tra-dizione scout la principale cioè larichiesta di svolgere un servizio; ladomanda dovrebbe essere: il gratui-to/volontario è parte costitutivadella mia vità? Questa è un’esigen-za irrinunciabile della partenza edeve – questa sì – essere una sceltairrevocabile. Sarebbe il fallimentodell’educazione scout se sfuggisse laprospettiva di essere felici facendola felicità degli altri. Il servizio –qualunque esso sia e in qualunqueambito - non può essere il “passa-tempo” con gli amici finché non cisarà qualcosa di più importante dafare, ma deve essere una scelta perla vita. È questa la risposta radicaleche i nostri rover e scolte possonodare a una società orientata all’au-tosufficienza, all’individualismo, al-l’esclusione del diverso. AncoraDuccio Demetrio afferma che“l’altruismo, la solidarietà, il sensodi fratellanza mettono in moto pas-

sioni, coraggio, idealità.”4: questa èl’essenza del servizio.

Conclusione

• È chiaro che i nodi della partenza (èattuale? è adeguata? è utile? è tem-pestiva?) riguardano gli adulti e noni giovani, riguardano le comunitàcapi e non i rover e le scolte. Sonooggi le comunità capi formate daadulti così forti da dare orientamen-ti controcorrente, da allargare – an-ziché ridurre – le aree di impegno?Sono esigenti o condiscendenti?

• La società nella sua maggioranza(l’aria che respiriamo in famiglia, ascuola, nei gruppi..) crede nella im-possibilità di scelte e orientamentiverso la definitività; con questo dob-biamo fare i conti e sollecitare e aiu-tare la presa di coscienza che la par-tenza richiede.

• Il contesto di diffuso benessere ma-teriale non aiuta la presa di respon-sabilità; è paradossale ma è così: igiovani di altre etnie, provati dacontesti piu difficili, dimostranospesso di potersi assumere responsa-

bilità maggiori dei “nostri”: occorreperciò lavorare sulle condizioni divita in cui vogliamo crescere comeadulti.

• Se il percorso “dalla promessa allapartenza” non ha educato alla sceltadel servizio e cioè di uno stile “so-lidale, fraterno, altruistico”, da vive-re anche con fatica nella societàcontemporanea, l’esperienza scout èstata un efficace passatempo, ma nonun’educazione a essere adulto scout;se invece questo tempo è l’occasio-ne per costruire il primo (non l’ul-timo!) progetto personale di vitasarà stato tempo speso bene.

Roberto D’Alessio Stefano Pirovano

1 Franco Panizon, Cosa succede nella te-sta dell’adolescente, Medico e bambino,vol. 28, n. 2, 2009, pag. 95 e segg.

2 Duccio Demetrio, L’educazione non èfinita, Raffaello Cortina Editore, Mila-no, 2009

3 ibidem4 ibidem

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sostegno reciproco per rafforzare leproprie convinzioni più profonde pernon cedere alla “corruzione” del tem-po e delle situazioni.Un percorso quindi soprattutto edu-cativo e culturale. Pochi sono gli ambienti in cui oggivengono offerte queste opportunità. Il Masci, con tutta la consapevolezzadei propri limiti, vuole offrire questaopportunità.Oggi da più parti si parla, con sempremaggiore insistenza, di “emergenzaeducativa”, e la stessa Conferenza Epi-scopale Italiana ha ritenuto necessarioporre questo tema al centro del pro-prio programma pastorale. Ma l’emergenza educativa non riguar-da solamente il mondo dei giovani, mariguarda soprattutto il mondo degliadulti. È prevalentemente il mondodegli adulti che sembra aver bisognodi strumenti e metodi per ritrovare lacapacità di interpretare la storia, di vi-vere con serenità la propria condizio-ne umana, di ritrovare le ragioni dicondivisione e di responsabilità, di ri-trovare il senso profondo della moraleprivata e dell’etica pubblica, di risco-prire il senso creaturale e religioso del-la vita, di riscoprire in modo adulto ilservizio del prossimo come “strada perla felicità”. È lo stesso mondo dei giovani a chie-dere questo: non si possono fare pro-poste educative esigenti e serie per i

giovani se questi non riusciranno adincontrare tra gli adulti, oltre a coloroche si dedicano al servizio educativo,testimoni e maestri credibili.

C’è bisogno di crescere in comunità

Oggi, più di ieri la fedeltà alle virtùdifficili, la resistenza ad un conformi-smo sempre più grigio e pervasivo,difficilmente si realizza con camminiindividuali, ma richiede cammini co-munitari, meglio se inseriti in una piùvasta dimensione di movimento, in cuici si sostiene, ci si incoraggia recipro-camente, si ricercano insieme nuovestrade e nuove speranze; non élites in-tellettuali, non circoli esclusivi, ma co-munità di persone semplici che conumiltà ma con determinazione metta-no a disposizione quello che hanno,magari il poco tempo libero, per uncammino comune. Questa emergenza educativa degliadulti rappresenta la nuova sfida pertutto lo scautismo italiano che ha dasempre fatto della passione per la scel-ta educativa la propria missione.Il Masci è pronto a fare la propria parte.Siamo consapevoli dei limiti attualidel Masci:• il modello di comunità che ha con-solidato nel tempo si adatta bene aduna sola stagione della vita adulta enon sempre è adeguato alle esigen-

ze ed ai bisogni dei giovani adulti;• permane una certa resistenza da par-te di molti adulti scout ad un pieno“impegno nella storia”, anche se èrilevante l’impegno sociale di tantecomunità verso i più deboli e i piùemarginati;

• è necessario ancora maturare per-corsi per la presenza di un laicatoadulto e responsabile nella Chiesaitaliana e nella Chiesa universale, intermini di spiritualità, di catechesi,di testimonianza coraggiosa e di im-pegno;

• esistono ancora persone nostalgichedell’esperienza giovanile.

Ma oggi cogliamo questi limiti comeuna sfida e non come un ostacolo.

Cosa vuole il Masci

Vorremmo però mettere a disposi-zione del mondo adulto le ricchezzedel Masci che sono un patrimonioda cui partire.Vorremmo mettere a disposizioneuna storia ed un cammino di più dicinquant’anni, fatta di riflessioni e diesperienze se pure anche di errori.Vorremmo mettere a disposizionel’appartenenza ad una “rete interna-zionale” di adulti scout che si rico-noscono nel movimento mondialedello scautismo e del guidismo aper-ti perciò ad una prospettiva di mon-dialità mentre il mondo sembra sem-

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Nei miei giri per l’Italia ho l’occasio-ne di incontrare comunità Masci, co-munità capi e gruppi di ex-scout, chelavorano insieme e sovente svolgonoservizi ed attività di grande valore, emi viene spesso posta la domanda:“perché si deve far parte del Masci?”. No, non esiste nessun dovere a far par-te del Masci. La dimensione adulta ècaratterizzata dalla libertà di scelta edognuno trova la propria strada di cre-scita e di vita. Per chi sceglie una viadi esperienza comunitaria, esistono di-verse realtà associate dove fare sintesidelle proprie esperienze, dove con-frontarsi e verificare, dove trovare oc-casioni di impegno e di servizio, dovevivere la propria fede e la propriaesperienza di Chiesa in modo adultoe responsabile.Tuttavia mi sembra che un gran nu-

mero di rover e di scolte che prendo-no la Partenza, un gran numero di ca-pi che per vari motivi sono costretti alasciare il servizio educativo dei giova-ni, tanti genitori di scout e di guide, epiù in generale donne ed uomini adul-ti che guardano con interesse all’espe-rienza scout si disperdono e gradual-mente si rinchiudono in un privatopieno di incertezze e di solitudine.

È opportuno allora impegnarsi a co-struire un Masci o comunque un movi-mento di adulti basato sui principi del-lo scautismo e del guidismo che rispon-da ai bisogni degli adulti di oggi?”.

La condizione attuale degli adulti, nel-le varie stagioni della vita, è caratte-rizzata dal senso di precarietà che nonè solo riconducibile alla precarietà del

lavoro ma costituisce un sentimentoprofondo che riguarda la vita affettiva,il mondo delle relazioni, i valori di ri-ferimento; è caratterizzata da un fortesentimento di insicurezza che non èsolo un problema di “ordine pubbli-co”, ma riguarda l’incertezza del futu-ro, la convinzione che i propri figliavranno un futuro peggiore di quelloche è stato consegnato dai propri pa-dri, il farsi avanti di nuove situazioniquali i fenomeni migratori, l’emer-genza ambientale, l’incontro di nuoveculture; c’è un profondo disorienta-mento riguardo ai sentimenti ed aicomportamenti delle nuove genera-zioni, riguardo ad una pervasiva cultu-ra mediatica che privilegia l’apparirerispetto all’essere.In tutto questo non ci sono solamen-te elementi di difficoltà ma anchegrandi opportunità, c’è un mondonuovo che si può partecipare a co-struire, assumendo una nuova consa-pevolezza.C’è bisogno di ricercare in modoadulto “il senso” della propria vita nel-la triplice accezione del termine “sen-so”: di direzione, di significato e disentimento.È molto difficile realizzare questa ri-cerca da soli o forse anche nella soladimensione familiare, ma può essere digrande aiuto un lavoro comunitarioche richiede di mettere in rete espe-rienze e sentimenti, che richiede un

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Perché il MasciIl Presidente del Masci, Riccardo della Rocca, scrive della

necessità della crescita degli adulti in comunità e di ciò che il

Masci fa per l’educazione permanente

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pre più rinchiudersi in piccoli recin-ti identitari e culturali.Vorremmo mettere a disposizione letante “buone pratiche” realizzate dal-le comunità diffuse in tutta Italia fat-te di esperienze di servizio, di acco-glienza, di vita di fede, di vita comu-nitaria, di percorsi di formazione peradulti, di strumenti di comunicazio-ne in continuo aggiornamento.Vorremmo mettere a disposizionel’attuale cammino di ricerca di unmetodo di educazione permanenteper adulti basato sugli elementi fon-damentali del guidismo e dello scau-tismo.

Questi sono i limiti e le ricchezzeche possiamo mettere a disposizione,perché vogliamo offrire agli adultidel nostro tempo un movimento ba-sato sull’esperienza dello scautismo edel guidismo nel quale donne ed uo-mini possano trovare l’opportunità diun cammino di crescita e di respon-sabilità.Siamo consapevoli che per questo èanche necessario cambiare, è neces-sario adeguare metodi e strumenti evorremmo che tutti coloro che fos-sero interessati si coinvolgessero inquesto percorso.Potremo immaginare metodi e stru-

menti per gli adulti più giovani solose saranno loro a partecipare a que-sta costruzione.Potremo immaginare nuovi percorsidi impegno e di servizio solo se itanti gruppi di adulti che hanno vis-suto l’esperienza dello scautismo edel guidismo vorranno portare al-l’interno del movimento le loro ri-flessioni e le loro esperienze.

Sappiamo che esistono oltre al Mascimolte realtà di adulti scout che si ri-trovano in forme diverse (centri stu-di, redazioni di riviste, fondazioniculturali, associazioni per la gestionedi basi scout, piccole associazioni,gruppi informali, gruppi di preghie-ra e di ascolto della Parola di Dio,..);ci farebbe piacere che, senza rinun-ciare al loro specifico, condividesserola missione di un movimento diadulti scout. Potranno essere un’im-portante testimonianza per i tantigiovani che lasciano l’associazionegiovanile ed una risorsa di esperien-ze e di energie per lo scautismo gio-vanile. Potranno inoltre contribuire amigliorare il cammino di rinnova-mento che il Masci ha intrapreso.Ci farebbe piacere se la proposta dipartecipare ad un movimento diadulti come il Masci, dove continua-

re il proprio cammino educativo inmodo consapevole, certamente inmodo non esclusivo, fosse una pro-posta avanzata esplicitamente neiclan quando si avvicina il momentodella partenza, nelle comunità capiquando qualche capo annuncia chedeve interrompere il suo servizio coni ragazzi, nei campi scuola come pro-spettiva per adulti, alle famiglie degliscout e delle guide ed in generaleagli adulti che osservano con interes-se l’esperienza scout. Non siamo disposti a rinunciare ainostri valori di riferimento, che sap-piamo non essere solo nostri, ma sia-mo disposti ad arricchire e a modifi-care le nostre regole ed i nostri com-portamenti.Siamo convinti che potremo percor-rere questo cammino solo se questasarà la scelta consapevole di tutto loscautismo italiano, di quanti hannovissuto l’esperienza giovanile delloscautismo e del guidismo, di quantihanno svolto il servizio di capo, diquanti adulti si ritrovano in formediverse per dare continuità all’espe-rienza giovanile, di quanti vedononello scautismo una prospettiva diconsapevolezza e di autenticità.

Riccardo Della Rocca

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tenzione alle piccole cose”, di “coe-renza personale dei capi”, di “accet-tare la sfida sui grandi temi”, di “fa-tica nel discernimento”, di “essere,davanti al futuro, uomini e donne difiducia, seminatori di sorriso e disperanza”.Come capita spesso, rileggere testi diqualche anno fa, 30 in questo caso, fascoprire come molte cose di allorasiano ancora attuali, segno che iltempo non passa mai o che vera-mente non siamo capaci di cambiaree di far cambiare. O forse che ci sono richiami che du-rano più delle nostre fatiche e deinostri successi e che ci provocanocontinuamente, nella loro profon-dità, ad una autenticità sempre nuo-va. Noi propendiamo per questa secon-da ipotesi e da questa quindi voglia-mo ri-partire assieme a voi per ten-tare di tracciare un percorso che aiu-ti l’associazione e le comunità capi acercare e a trovare la via migliorenella complessità.Non è facile predire il futuro ed inpiù l’Associazione è solita individua-re “strade e pensieri per domani” inben altro modo.Ma le sfide ci piacciono ed alloraproviamo ad avventurarci nel 2020,per provare a vedere che cosa po-trebbe essere successo alla comunitàcapi nel frattempo.

Scenario 1: cominciamo da unambito che potremmo definire“interno” alla comunità capi.

Che identità avrà tra 10 anni? Comepotrebbe funzionare? O dove si saràrotto il meccanismo nel frattempo?Secondo noi la comunità capi del2020 sarà prevalentemente una comu-nità verticale di capi, in cui sarannorappresentate più fasce di età. In essaci sarà un buon equilibrio tra la cari-ca di entusiasmo di chi è appena en-trato e la sapiente maturità di chi ci stagià da tempo. Le comunità capi “oriz-zontali”, dove tutti i capi sono raccol-ti in pochi anni anagrafici, saranno de-stinate a soffrire di più, perché menoattrezzate a sostenere gli sforzi di adat-tamento che la società sempre più“multi” (etnica, religiosa, linguistica)imporrà.La comunità capi verticale sarà forsepiù lenta nei suoi ritmi, ma sarà piùcapace di gestire il turn over dei capi,influenzato pesantemente da un mon-do del lavoro sempre più destruttura-to e flessibile, in cui il pendolarismo egli studi fuori sede imporranno fre-quenti “distacchi” di capi lontano dal-la sede di appartenenza.In essa potranno però trovare spazio,specie nelle città universitarie, capiprovenienti da altre città, ed il loro ser-vizio per uno, due o tre anni sarà co-munque possibile grazie ad una mag-

giore stabilità della componente au-toctona locale.Nella comunità capi del 2020 potran-no trovare spazio, in numero non esa-gerato, anche capi che abbiano una di-sponibilità parziale di tempo, ed il lo-ro servizio a favore dei ragazzi o deicapi o della comunità locale, sarà co-munque svolto in stile scout. La co-munità capi potrà così dedicare mag-giore attenzione a temi spesso trascu-rati come la partecipazione diretta al-la vita del quartiere, la testimonianzaattiva nella pastorale parrocchiale, l’u-so consapevole del denaro della cassa,la responsabilità ambientale, ….Una parte dei capi sarà formata daquarantenni che hanno fatto la pro-messa da ragazzi, che sono poi uscitiper motivi familiari o di lavoro e chepoi si sono riavvicinati allo scautismograzie ai figli e non hanno, a quel pun-to, saputo resistere al “richiamo dellaforesta”.Per queste persone l’associazione avràpensato, nel frattempo, a dei percorsiformativi ad hoc, per evitare che pos-sano rifarsi solo a schemi e stili vissu-ti molti anni prima e sappiano inveceaffrontare i ragazzi dell’oggi in modoaperto e dinamico.

Che posto avrà, nella Chiesa del2020, la comunità capi?Dopo anni di difficoltà ed incom-prensioni con parroco, altre associa-

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Ci è stato chiesto di scrivere le nostreriflessioni, da Presidenti del Comitatonazionale, sul futuro della comunitàcapi.Certo, la nostra posizione di servizioattuale ci consente di vedere molte si-tuazioni, di conoscere molte storie, diaccompagnare verso una risoluzionesituazioni non facili.Ma è altrettanto vero che è molto dif-ficile fare sintesi delle diverse realtà dicui si compone il nostro vissuto e chesono caratterizzate in maniera deter-minante dai territori in cui operiamo.Ogni città, paese, zona, presentanodelle caratteristiche sociali, pastorali,economiche, che interagiscono e con-

dizionano lo sviluppo di un’associa-zione come la nostra.Prova ne sia che i progetti educatividei gruppi sono tutti diversi, perché leanalisi d’ambiente da cui scaturisconosono differenti. Conseguentemente ilcompito di ogni gruppo è, a modosuo, diverso, nel senso che si tratta diproporre lo scautismo, i suoi valori, ilsuo stile, declinandolo di volta in vol-ta e tempo per tempo in maniera ade-guata al panorama che si ha davanti.In questo sta sicuramente la fatica deicapi (specie dei capi gruppo) e dellecomunità capi, ma sta anche, o forsesoprattutto, la ricchezza e l’originalitàdel nostro agire.

Ciò premesso, proviamo ad addentrar-ci nel compito assegnato.

Un richiamo al passato

Per farlo pensiamo sia bene innanzi-tutto guardarci dietro, guardare allanostra storia, a chi ha lasciato unatraccia perché potessimo seguirla.“Le parole scritte sono come segni co-scientemente lasciati sugli alberi per far sìche chi passa dopo di te non abbia a per-dersi.” (B.-P.)Guardiamo allora ai segni lasciatidalla Route di Bedonia. Nel 1979 molti degli attuali capi nonsolo non erano in comunità capi, manon erano nemmeno nati….Eppure già allora Giancarlo Lombar-di, Claudia Conti e Padre Luigi Mo-ro, Presidenti e Assistente Ecclesiasti-co del Comitato centrale (allora sichiamava così), sintetizzavano la ric-chezza della Route delle comunitàcapi dicendo tra l’altro: “…abbiamoprivilegiato i tempi dell’incontro edell’ascolto“; “…partiamo dal nostrolavoro educativo per verificare comei nostri progetti rispondano o menoalle situazioni nelle quali ci troviamoe ci troveremo ad operare”; “...la co-munità capi come luogo fondamen-tale per elaborare il progetto educa-tivo“; “…duro compito di essere fe-deli al nostro ideale di servizio edu-cativo”; e poi ancora si parlava di “at-

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2020: comunità capi, struttura per la speranza o per la sopravvivenza?

Ipotesi verosimili per il futuro delle comunità capi. Ci

stiamo preparando a guardare avanti?

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unità, figli di famiglie economicamen-te instabili, con redditi da lavoro preca-rio o saltuario, che sapranno apprezza-re la ricchezza che si vive nelle relazio-ni prima ancora che nelle comodità.Dall’altro si troveranno ragazzi e giova-ni di famiglie anche economicamenteagiate, sazi di aver provato tutto ciò cheil mercato offre loro senza distinzione diprezzo, ma desiderosi di toccare conmano il valore della gratuità che si vivenel servizio e nel dono di sé.Ci saranno anche ragazzi e ragazze,sovente figli di famiglie cosiddette“allargate” quanto ad adulti (genitoriseparati), ma spesso “ristrette” quantoa coetanei (praticamente tutti figliunici), felici di trovare “agli scout”una proposta concreta con cui fareesperienze significative assieme a ra-gazzi della stessa età. La convivenza serena e rispettosa al-l’interno di unità, gruppi, comunitàcapi, di ragazzi e capi di diversa etniasarà dimostrazione concreta che si puòvivere e crescere bene assieme all’in-segna di una fratellanza mondiale chenon deve essere solo scout, condivi-dendo i valori della pace, della tolle-ranza, della nonviolenza.La situazione politica, resa sempre piùaspra da conflitti di schieramento pri-ma ancora che di idee, dimostrerà concrescente frequenza il fiato corto diprogrammi poco legati al futuro etroppo vincolati alla gestione del con-

senso. Alcune associazioni e movi-menti storici, tra cui l’Agesci, pur nonentrando nel difficile campo deglischieramenti di bandiera, avranno de-ciso di rompere gli indugi e di far sen-tire la loro voce sui temi alti della con-vivenza civile, con frequenti richiamialla coerenza, alla fedeltà costituziona-le, alla ricerca del bene comune. For-te di questa copertura dell’associazio-ne, ciascuna comunità capi sarà sog-getto attivo del proprio territorio, at-tenta a ciò che accade e soprattutto vi-gile a denunciare ciò che non dovreb-be succedere. Un numero crescente dicapi avrà nel frattempo scelto di la-sciare il servizio educativo e di impe-gnarsi direttamente in politica, perchéconvinti che un mondo migliore sicostruisce anche con il proprio impe-gno diretto e perché consapevoli chesi può e si deve fare politica come si èfatto servizio: gratis, per il bene co-mune, non centrati su se stessi o sulpotere o sul prestigio da ottenere.

Le comunità cpi, ma anche le struttu-re di zona, regione e del nazionale sa-ranno composte da persone “norma-li”. Qualcuno, ai diversi livelli, rimarràforse sgomento dell’impegno che glista davanti, così grande e così arric-chente, ma tutti avranno compresoche non di geni, né di gente eccezio-nale c’è bisogno, ma di persone aper-te, semplici, leali, fedeli.

Non mancheranno talvolta delusioni einsuccessi, ma la pazienza, in questi ca-si, sarà la migliore medicina.

Scenario 2: comunità capi delCapracotta 1 – anno 2020

Le riunioni di comunità capi sono unbel ricordo, ma solo per quelli chehanno i capelli più bianchi. Si sta a ca-setta propria, si risparmia carburante,code nel traffico, e, nelle serate inver-nali, pure la pioggia e la neve, chescendono giù dal cielo e non vi ritor-nano…..Non serve più fare torte da tagliare as-sieme anche quando non ci sono mo-tivi speciali, né serve più cercare incantina una bottiglia “giusta” per brin-dare al capo nuovo entrato. Tutto al-cool, calorie, sudore risparmiato.I quaderni di caccia con tutti gli ap-punti, gli scarabocchi, le parolaccescritte durante le riunioni, sono rac-colti in una vetrinetta, nel soggiornodi casa dei capi over 50, e sono ogget-to di pellegrinaggi da parte dei lupet-ti in odore di specialità: “amico dellapolvere”.I libri di B.-P. saranno stati tradotti,nel frattempo, in 140 lingue diverse,incluso il dialetto dell’Alta Papuasia,ma la media “libri scout per metro li-neare di scaffale di libreria” (premioriconosciuto a livello WOSM con ca-denza biennale) sarà bruscamente sce-

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zioni, catechisti, la comunità capi avràmaturato la convinzione che non si puòstare e fare da soli, specie se si dice di es-sere accomunati da un’unica fede.Saranno stati individuati livelli diversidi dialogo, di collaborazione, di co-struzione di progetti comuni, d’intesacon gli altri attori della comunità ec-clesiale di riferimento, da sviluppareall’interno degli organismi istituziona-li (parrocchie, consigli pastorali, con-sulte...), ma anche e soprattutto all’in-terno del confronto, del dialogo, dellacooperazione con tutti coloro cheoperano nella pastorale e nell’educa-zione dei giovani.L’esperienza maturata dal grupposcout, presente, operante ed affeziona-to a più parrocchie contemporanea-mente, darà modo ai capi della comu-nità capi di portare la loro esperienzadi comunità allargata ad un territorioampio, in cui il superamento dei con-fini parrocchiali, la sperimentazione dipercorsi di condivisione e di apparte-nenza non siano vincolati esclusiva-mente all’ombra del campanile.La comunità capi avrà saputo resistereal calo delle vocazioni sacerdotali, equindi alla scarsità di assistenti eccle-siastici, perché da anni abituata a co-struire percorsi di fede per i ragazzianche senza l’AE. In questo la matu-rità nella fede richiesta ai capi e daquesti espressa sarà temprata soprattut-to da un contesto che farà risaltare la

testimonianza controcorrente degliadulti rispetto ad una tiepida apparte-nenza formale.Per garantire tutto questo si sarannocostruite delle alleanze tra comunitàcapi vicine, per giocare modalità nuo-ve dello stare assieme nella fede, comead esempio il trovarsi assieme, almenouna volta al mese, alla presenza dell’as-sistente di uno dei gruppi, per la lec-tio divina, per dei momenti di pre-ghiera, per far crescere e sviluppare ilproprio radicamento alla Parola. Neicasi più audaci, la comunità capi avràcontribuito allo sviluppo della capacitàprofetica di accompagnamento ma-turo della comunità ad una parteci-pazione allargata, forte delle espe-rienze di fratellanza internazionalevissute all’interno del movimentoscout mondiale.In alcune parrocchie la buona fiduciainstaurata con parroco e catechisti avràportato la comunità capi ad accettaredi affiancarsi (ma non di sostituirsi) al-l’educazione di fede di base.I pastori della Chiesa cattolica guarde-ranno con rinnovato interesse ai grup-pi scout, ai capi ed ai ragazzi. Molti diessi cercheranno di coinvolgerli anchein attività che vanno oltre l’apparte-nenza associativa, spesso riuscendoci.Continueranno invece a non funzio-nare le richieste di fare il servizio d’or-dine alle processioni del santo Patro-no, perché percepite sempre poco

concrete rispetto al nostro modo divivere la spiritualità scout.Così come aumenterà la sensibilità el’attenzione verso la diarchia comeforma ricca, integrata, completa, diespressione della responsabilità asso-ciativa e della complementarietà digenere.La scelta di volontariato gratuito a tut-ti i livelli, espressa con continuità daicapi, dove vissuta con coerenza, saràtestimonianza di sobrietà evangelica ecostituirà garanzia di libertà di espres-sione educativa per l’associazione, atutti i livelli.Dopo un’approfondita riflessione as-sociativa, nel confronto e nel recipro-co dialogo con gli assistenti e la chie-sa locale, la comunità capi avrà rag-giunto una maturità tale da consentir-le di gestire le situazioni collegate aicapi in situazioni cosiddette “etica-mente problematiche”, in uno spiritodi inclusione pastorale e di valorizza-zione dei diversi carismi in cui lo spi-rito si esprime.

Si accorgerà, la società italiana del2020, degli scout? E che riconosci-bilità avrà l’associazione?Anche la comunità capi, così come lealtre strutture educative attente aicambiamenti della società, si starannocimentando con le nuove povertà del2020. Da un lato ci saranno, nelle nostre

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sa sotto i 20 cm. e l’Italia si sarà cosìclassificata al penultimo posto a livel-lo europeo, subito prima di Andorra eLiechtenstein, ultime ex-aequo.Ci si trova su Facebook per fare staff eci si passa in un attimo file e foto perconcordare attività, percorsi di cresci-ta dei ragazzi, date delle uscite….Gli ultimi aggiornamenti sugli oraridell’uscita vengono ormai sistematica-mente trasmessi via sms, e qualche co-munità capi più “avanti” ha un servi-zio di messaggini automatici che avvi-sano circa le decisioni assunte dal ge-store del server (normalmente il capogruppo), un po’ come per la situazio-ne del traffico in autostrada o per i goldella squadra del cuore.Nessuno sbadiglia più di nascosto, per-ché può farlo su Skype senza timore diessere visto, magari anche durante lavideoconferenza di preparazione delcampo estivo.Le vecchie uscite di comunità capi so-no state rimpiazzate da simpatici buf-fet in piedi, in cui si consumano cibisemplici, biologici e macrobiotici,conversando a piccoli gruppi del tem-po atmosferico degli ultimi 5 campiestivi, appena scaricato dal satellite sulpalmare del capo reparto. Sulla basedello scarto quadratico medio tra laquantità di pioggia precipitata negliultimi 10 anni al campo e la diagona-le tra l’alzabandiera e la tenda degli

Squali, viene calcolata la convergenzaastrale più consona per le date deicampi estivi.Le messe di gruppo vengono diffusesu DVD, complete di manuale multi-lingue, per la comprensione anche daparte delle comunità capi scissioniste,che parlano unicamente in dialetto.Le cronache locali registrano, da alcu-ni anni, una sensibile diminuzione delrapporto “capi-fratto-ragazzi”. Le vec-chie cinture di cuoio, con fibbia delcentenario e spilla del campo scuola,sono state da tempo sostituite con del-le più comode fusciacche girovita conpaillettes, disponibili in vari colori, edi gloriosi coltelli a serramanico “Opi-nel” vengono venduti su e-bay al mi-glior offerente e non più presso l’or-mai cadente cooperativa regionale. Al largo delle coste di Pantelleria, so-spinta dalle correnti e respinta dallemotovedette, è segnalata la presenza diun battello a pedali, dalla cui stiva pro-vengono canti dalle parole strane edincomprensibili ai più, come “Sul cap-pello un bel fior, sulla bocca una can-zon …” oppure “Guarda che biancaluna …”, chiaramente ispirate ad unnuovo corso new-age.L’ultima intercettazione radio della ca-pitaneria di porto lasciava intendereche il mezzo fosse alla ricerca di unabottiglia in vetro contenente la ver-sione restaurata, in pergamena, del

Patto associativo, di cui si erano persele tracce da tempo e che un gruppo dicapi, autodefinitosi Polli Randagi,sembra aver affidato ai marosi ancoranel 2012…..La definitiva estinzione dell’associa-zione, alla presenza delle autorità civi-li ed ecclesiali, è prevista per il 2026,naturalmente il 22 febbraio …..

Conclusione

E allora? Speranza o sopravvivenza (omeglio pre-morienza) per la nostratanto amata-vituperata comunità capi?Ci pare che il punto di svolta tra l’u-no e l’altro futuro, il nodo su cui dob-biamo stare super-attenti a non pren-dere la strada sbagliata, passi, anche sta-volta, attraverso la nostra storia di as-sociazione.Non s’è mai visto, che ci risulti, cheun processo di crescita, di sviluppo, dimaturazione, un percorso educativo,insomma, delle strutture e, ancor pri-ma, degli uomini e delle donne, sia av-venuto senza la continua ricerca diequilibrio tra due fattori fondamenta-li: la fatica e la gioia. Siamo convintiche anche la storia della comunità ca-pi, almeno per i prossimi dieci anni,dovrà fare i conti con questo….. Voiche ne dite?

Paola Stroppiana, Alberto Fantuzzo

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SERVIREPubblicazione scout per educatori

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Condirettore: Gege Ferrario

Capo redattore: Stefano Pirovano

Redazione: Alessandro Alacevich, Andrea Biondi, StefanoBlanco, p. Davide Brasca, Achille Cartoccio, RobertoCociancich, Maurizio Crippa, Roberto D’Alessio, FedericaFasciolo, Laura Galimberti, Mavi Gatti, Piero Gavinelli, donGiuseppe Grampa, Franco La Ferla, Davide Magatti, AgostinoMigone, Saula Sironi, Raoul Tiraboschi, Gian Maria Zanoni.

Collaboratori: Maria Luisa Ferrario, p. Giacomo Grassoo.p., Cristina Loglio, Giovanna Pongiglione, p. RemoSartori s.i.

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I.R.

Io mi sento meglio quando mi trovo con un piccologruppo, intorno ad un tavolino con una tazza di caffè eguardando negli occhi nell’intimità dell’amicizia. Gesù è venuto e si è fatto accogliere da noi, si è fattopiccolo. [...]L’amore reciproco, senza annullare la differenza, ha fatto sìche la distanza tra Lui e noi è diventata meno grande e hareso possibile la tenerezza.I miei genitori mi hanno accolto dalla nascita e questo miha dato la possibilità di crescere normalmente.Pure la mia comunità mi ha accolto così come sono,dandomi la possibilità di “crescere” umanamente espiritualmente.Questa mia stessa comunità mi ha inviato verso popolimolto diversi dal mio.Non sono arrivata in posizione di forza, anzi; dovevoimparare tutto…. Non sapevo proprio niente! La lingua, leabitudini, il modo di lavorare, di occuparsi del gregge,cercare gli azimi, fare il fuoco, drizzare la tenda, cercarel’acqua…Grazie alla loro accoglienza ho potuto inserirmi insiemealle altre Piccole Sorelle e loro sono diventati per mefratelli molto cari. Prima sono stata con gli Afar quattroanni poi con i Tuareg in Niger, quattordici anni. Tuttimusulmani!Ho vissuto sempre sotto la tenda, perché sono tuttinomadi. E loro mi hanno insegnato tante cose…· che si può vivere con molto poco;· a condividere non solo il superfluo, ma anche ilnecessario;

· a valorizzare la relazione, a cui sono pronti a consacraretutto il loro tempo;

· eravamo diversi quando ci siamo incontrati econosciuti… abbiamo fatto un lungo percorso diamici… siamo diventati fratelli, senza perdere la nostraidentità, nel rispetto della differenza dell’altro… [...]

Dopo questi diciotto anni vissuti in Africa, ne ho vissutododici al Luneur qui a Roma. Sono più di trentaquattroanni che questi giostrai ci accolgono e pure loro sonodiventati molto cari per noi e siamo come una famiglia.E adesso vor rei leggere qualcosa della nostracongregazione:“Le Piccole Sorelle vivranno l’accoglienza come l’havissuta Fratel Carlo. La disponibilità a tutti sarà inseparabiledalla loro vita contemplativa (di unione con Gesù).È con rispetto e amore che noi vogliamo accogliere ognipersona come un inviato di Dio, condividendo quello cheabbiamo. Però senza desiderare di possedere di più, neanchecon l’intenzione di poter dare di più. Gesù è rimasto unuomo povero… anche noi con la nostra grazia possiamotestimoniare il Vangelo mantenendoci fedeli alla semplicitàe povertà dei mezzi.Quello che conta è il dono della vita, la solidarietà, l’amoreintenso e tutto questo perché non vogliamo tenere per noiquesto grande tesoro che è la Parola di Gesù.In tutti i luoghi dove andiamo, il desiderio è d’essere unapiccola presenza di Chiesa e che attraverso noi i poveri sisentano amati da Gesù, così come loro sono per noi unaParola di Dio che vogliamo accogliere con gratitudine”.

Testimonianza di Marcè delle Piccole Sorelle di Charles De Focault al seminario della Formazione capi “Introduzione al servizio e accoglienza in comunità capi”

Roma, 17 e 18 marzo 2001